Feltrino News n. 1/2022 Gennaio

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Economia e finanza di Emanuele Paccher

Cosa sono il disavanzo e il debito pubblico?

I

l debito pubblico può essere definito come la somma complessiva del debito che uno Stato ha contratto nel passato per far fronte al proprio fabbisogno. Diverso, anche se strettamente correlato, è il disavanzo o deficit di bilancio, dato dall’eccedenza delle uscite sulle entrate annuali. Dato che non è più possibile stampare moneta nazionale, il disavanzo non potrà che essere coperto con il debito. Quindi l’insieme dei disavanzi di ogni anno va a comporre il debito complessivo di uno Stato. Un esempio può aiutare nella comprensione: se quest’anno l’Italia spende 100 ed incassa 90, il disavanzo sarà di 10, e tale somma andrà coperta con il debito, il quale pertanto aumenterà dello stesso importo (10). E qual è la situazione italiana? Occorre fare una breve disamina storica. Durante la seconda guerra mondiale si assistette ad un aumento importante del debito pubblico in relazione al PIL, dovuto all’insostenibilità delle spese belliche, le quali portarono il rapporto debito pubblico/PIL al 108% nel 1943. La situazione migliorò nel 1946, quando un’inflazione notevole (“galoppante” in gergo tecnico) fece scendere il rapporto a circa il 40%. Poi vi è stato un ventennio felice: il rapporto si attestò a valori di poco superiori al 20%, salendo poi al 33% nel 1964. Come fu possibile? Ciò avvenne poiché il costo del debito fu inferiore al tasso

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di crescita. Il debito ha un costo, dato dagli interessi, il quale andrà esso stesso ad accrescere il debito complessivo. Se l’economia non accelera più velocemente del costo del debito, il debito non potrà che aumentare la sua incidenza sul PIL. Se il debito aumenta ma aumenta anche la crescita la situazione non è un problema, poiché il Paese può ripagarlo. Le finanze statali iniziarono a dissestarsi notevolmente dalla metà degli anni ’70. In questo periodo esplosero le spese pubbliche, grazie ad un miglioramento del welfare, ma le entrate iniziarono a stagnarsi. I bilanci statali cominciarono a chiudersi con importanti disavanzi pubblici. Nel 1981 il debito pubblico era pari al 60% del PIL. L’allora Presidente della Repubblica Ciampi mise in pericolo la politica italiana dicendo che la situazione rischiava di divenire insostenibile. Ma le sue parole caddero nel vuoto: i Governi continuarono a mantenere disavanzi troppo elevati. Nel 1990 il debito era già volato al 100% del PIL, e nel 1994 al 124%. Con i trattati di Maastricht si imposero dei vincoli piuttosto

stringenti, e la situazione migliorò: nel 2007 il debito pubblico era di poco sopra il 100% del PIL. Ma qui entrò in gioco la crisi: da allora il debito è sempre aumentato, assestandosi tra il 2014 e il 2019 attorno al 135%, da molti economisti ritenuta la soglia critica da non superare. La pandemia di questi ultimi due anni ha inflitto poi un pesantissimo colpo: oggi il debito pubblico sfiora il 160% del PIL. Ma è sostenibile questa situazione? Perché un debito pubblico elevato può essere un problema? Occorre dire anzitutto che nessuna teoria economica ci consente di dire in astratto e con assoluta certezza quale sia il livello del rapporto debito/PIL che metta a rischio la stabilità finanziaria di un Paese. Molti fattori entrano in gioco: innanzitutto la differenza tra debito lordo e debito netto, il livello di tassazione


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