Tra passato e presente di Waimer Perinelli
Roma caput mundi: d’immigrati Migliaia di profughi siriani e altri paesi del vicino Oriente sono ammassati al confine tra Grecia e Turchia. Sembrano greggi sospinti contro i recinti chiusi senza vie di fuga e di scampo perché anche il rimanere dove sono è una condanna a morte. È la scena dell’anno Venti del Ventunesimo secolo, secondo millennio, che resterà nella storia mondiale delle migrazioni. A cui l’Italia non è nuova.
R
oma, la Caput Mundi, secondo la leggenda, ma non solo, è nata da una migrazione: quella di Enea dalla città di Troia distrutta dagli Achei. Secondo Virgilio egli approdò nell’attuale Lazio e con un fortunato matrimonio e una guerra gettò le basi per la nascita della Città Eterna. Romani dunque popolo di migranti e di memoria corta, perché nella Roma di seicento anni dopo le migrazioni divennero un vero incubo ed i migranti, non venivano da terre lontane anzi, tanto prossime che il fenomeno prese il nome di questione italica. Ne scrive anche la storica Mary Beard descrivendo come nel 125 a.c. Anno 628 dalla fondazione della città, la popolazione di Fregelle (Fregellae) distante pochi chilometri a nord, nel territorio dei Volsci, si ribellò a Roma e fu sterminata, non prima di avere contagiato altre popolazioni italiche private di proprie terre date in concessione ai reduci legionari. I nuovi poveri si riversavano a Roma e nacquero i timori di fiumane di stranieri che avrebbero potuto inondare la città. Gli animi si eccitavano, non diversamente da quanto accade oggi, e un avversario di Gaio Cracco, tribuno della plebe passato alla storia come grande riformatore agrario e “gioiello” della madre Cornelia, nel corso ad una Contio (adunanza di popolo) adombrò visioni di una Roma sommersa da ondate di immigrati. Questo populista ante litteram così
profetizzò: “Una volta concessa la cittadinanza ai latini, credete che rimarrà qualche spazio per voi, come adesso, nelle assemblee, nei giochi o nelle feste? Non vi rendete conto che si prenderanno tutto.” Vi furono anche occasionali tentativi di rimpatriare gli immigrati o di impedire che gli italici ( e fra questi molti della Gallia Citeriore) si spacciassero per autentici cittadini romani. Parole la cui eco ancora sembra risuonare nelle nostre case. A questo proposito per sottolineare quanto fosse grave la situazione bisogna ricordare quanto fosse pericoloso sostenere la causa degli italici. Nell’autunno del 91 a.c. mentre infuriava la guerra civile, fra romani e italici, Marco Livio Druso, colpevole di avere proposto l’estensione dei diritti di cittadinanza a un più ampio settore dell’Italia venne accoltellato a morte nella sua stessa casa mentre salutava un gruppo di visitatori. La guerra, iniziata ad Ascoli dove vennero assassinati l’inviato di Roma e tutti coloro che l’ accompagnavano, fu condotta con estrema crudeltà da entrambe le parti e non si risolse sul campo di battaglia, bensì al tavolino quando Roma offrì la piena cittadinanza a tutti gli italici che non avevano preso le armi o erano pronti a deporle. Pace fatta in una città storicamente fondata da Romolo con un altro gesto magnanimo quanto interessato: la concessione dell’ Asylum, una sorta di protezione, a quanti dai territori limitrofi vi fossero approdati. Non si guardava al
censo né alla professione tanto è vero che fra gli immigrati ci furono briganti, disertori ed altra feccia. La storia la scrive chi vince ed alla fine Livio, Tacito, Svetonio, Sallustio.. hanno fatto grande Roma raccontando di eroi e poeti. Oggi con quasi tre milioni di abitanti è la più popolosa d’Italia e ricca d’immigrati da terre vicine e lontane: una città multi etnica di grande cultura.
Fontana di Trevi (Roma)
Il Vaticano (Roma)
Il Colosseo (Roma)
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