Valsugana News n. 3/2020 Maggio

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Tra passato e presente di Veronica Gianelo

Quarantena: la lezione di Boccaccio

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uarantena. Una parola che abbiamo imparato ad usare molto spesso di questi tempi, una parola che, come molte altre, può acquisire un significato più o meno negativo, a seconda di come si decida di viverla. Inutile dire che per molte persone non si tratta di scegliere come vivere questo periodo di isolamento forzato: parlo di lavoratori, di volontari, di malati che si trovano inevitabilmente nel vortice della pandemia. Molte altre persone però, hanno avuto la possibilità di #restareacasa, con più o meno commissioni da sbrigare, bambini da badare, compiti da svolgere, persone da accudire. Persone in ansia, in pensiero: persone con il cuore fuori casa. Una sfida, questo è certo, per tutti. Eppure, si sa, non siamo stati i primi della storia. Siamo stati i primi di quest’Era nuova, di questo vivere a mille all’ora, di questo tecnomondo che gira in modo strano. Quarantena (in realtà forma veneta di “quarantina”) prende origine dall’isolamento di quaranta giorni che veniva imposto agli equipaggi delle navi come misura di prevenzione contro le malattie che imperversavano nel XIV secolo. Prima grande città di mare e commercio a imporre questa pratica preventiva fu Venezia che iniziò a utilizzare addirittura un’isola lagunare—e in seguito più di una—come ospedale per i contagiati: da qui il nome odierno dell’isoletta di Lazzaretto Vecchio. Quarantena, abbiamo imparato, vuol dire tante cose: isolamento, mancanze, realizzazioni improvvise, difficoltà,

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certo, ma anche possibilità. Così in questo tempo nuovo, inaspettato, scopriamo e riscopriamo noi stessi. Abbiamo visto la rincuorante nascita di nuovi lettori, l’esercizio fisico quotidiano, pani, panetti e pagnotte di ogni genere, penne che disegnano e scrivono, abbiamo visto genitori giocare con i propri figli, case finalmente vissute e folli artisti al balcone di questa Italia immobile. In tutto ciò una fortuna e una condanna, come sempre: la tecnologia. Possiamo condividere, possiamo parlare, possiamo essere più vicini alle persone che amiamo, possiamo studiare, tenerci aggiornati, confrontarci… Se vogliamo. Questa è stata la nostra quarantena. Tuttavia un tempo, ormai molto lontano, un tempo in cui non c’erano respiratori, terapie intensive e la gente moriva per strada, c’era chi senza farsi prendere dal panico provava a rifugiarsi. Siamo improvvisamente nel 1348, in una Firenze devastata dalla peste, e un gruppo di giovani amici decide di isolarsi fuori città. Sono 7 ragazze e 3 ragazzi, e tra di loro c’è anche un certo Giovanni Boccaccio. Grazie a loro e ad altri documenti storici, ritroviamo descritta la realtà dell’epoca: una realtà per certi aspetti vicinissima a noi. Si racconta di gente con le mani piene di fiori e lembi profumati di spezie che annusava spesso, come protezione e scudo dalla peste. Si legge “Assai e uomini e donne abbandonarono la pro-

pria città, le proprie case, i lor luoghi e i lor parenti e le lor cose, e cercarono l’altrui o almeno il lor contado”, e la nostra mente corre subito alle immagini della Stazione Centrale di Milano. La bellezza della letteratura, spesso, è il suo essere senza tempo. Diciamolo, tutti abbiamo sbadigliato in classe


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