Il Pesce 1-2022

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IL PESCE DALLA PRODUZIONE AL CONSUMO

PERIODICO BIMESTRALE DEDICATO ALLE PRODUZIONI ITTICHE NAZIONALI ED ESTERE, ALLE TECNOLOGIE E ALLE ATTREZZATURE PER LA PESCA E L’ACQUACOLTURA – € 6,67

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N. 1 Anno XXXIX Febbraio 2022

IL PESCE «Da’ un pesce a un uomo ed egli avrà un pasto; insegnagli ad allevarlo e avrà il nutrimento per tutta la vita»

Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl

EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi

Consulenti scientifici Dr. Gaetano Arcarese – Prof. Giorgio Giorgetti – Dr. Lucia Liddo – Dr. Francesco Paesanti – Prof. Remigio Rossi – Dr. Marco Saroglia – Dr. Aldo Tasselli Collaboratori scientifici Dr. Alessandro De Maddalena – Dr. Maurizio Dell’Agnello – Prof. Fabrizio Ferrari – Dr. Claudio Ghittino – Dr. Gianluigi Negroni – Dr. Paola Pierelli – Prof. Guido Razzoli – Dr. Antonio Trincanato

Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Chiara Zaccaroni – Luigi Credi

Collaboratori scientifici esteri Prof. R. Billard (Francia) – Dr. S. Sarig (Israele)

Fotografia Luigi Credi

ANNUARIO del PESCE e della PESCA

Abbonamenti Fioretta Fiorentin

2021/2022 N. 32

Amministrazione Andrea Tomassone

Annuario del Pesce e della Pesca La banca dati internazionale del mercato ittico sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore acquacoltura, lavorazione, commercio e distribuzione. Edizione 2021/2022 Copia cartacea: € 60,00

Comitato di redazione Franco Ferrari – Manrico Murzi

Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2019. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2019.

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.ilpesce-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 741 del 30-12-1983

IL PESCE, 1/22

Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 0394-2929 – Iscritta nel ROC – Registro degli Operatori di Comunicazione al n. 11256 del 14/6/2005

IL PESCE DAL

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N. 1 Anno XXXIX Febbraio 2022

IL PESCE

A pagina 52.

In questo numero:

Agenda

Bologna

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Immagini

ISMEA: in crescita il comparto ittici affumicati

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Il pesce azzurro e le sue molteplici proprietà

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2022: Anno internazionale della pesca artigianale e dell’acquacoltura

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Sanlúcar de Barrameda capitale spagnola della gastronomia 2022: camarones & Manzanilla à gogo

22

Calendario fiere

Fiere, eventi, convegni 2022

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Attualità

Transizione ecologica, pronti, partenza, via

Tendenze

IL PESCE, 1/22

Guido Guidi

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Il pesce in rete

Social fish

36

Acquacoltura

2022 Anno internazionale della pesca artigianale e dell’acquacoltura: Pordenone Fiere con Aquafarm tra i supporters dell’iniziativa

38

Aziende

42

Small in scale, Big in value

Elena Coccia

L’ostrica di Goro: eccellenza, innovazione e sostenibilità

Elena Tamburini et al. 48

Alla scoperta de La Selvaggia di Marina di Ravenna

Elena Benedetti

52

Bottega d’acqua, quando la gastronomia si unisce al bistrot

Elena Benedetti

56

ORIGINE, primo sistema di tracciabilità del pescato nel piatto

60

Nostromo-Gruppo Calvo rivoluziona le scatolette

64

Fast Blade: affilacoltelli made in Italy sempre perfetto

66

Rebranding di Sapore di Mare

68

Crescita record nelle esportazioni di prodotti alimentari irlandesi nel 2021

72

Interviste

Lepore Mare, sempre più vicina al cliente

77

Mercati

Scozia e Italia, un legame duraturo nel tempo

80

Eventi

Stati Generali della Pesca, si parte: appuntamento a maggio

82

Consumi

ISMEA e consumi alimentari, focus sull’ittico

Elena Benedetti

86

Pesca

Il bragozzo di Chioggia

Nunzia Manicardi

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IL PESCE DALLA PRODUZIONE AL CONSUMO

PERIODICO BIMESTRALE DEDICATO ALLE PRODUZIONI ITTICHE NAZIONALI ED ESTERE, ALLE TECNOLOGIE E ALLE ATTREZZATURE PER LA PESCA E L’ACQUACOLTURA – € 6,67

N. 1/2022

A pagina 77.

In copertina: il 2022 è l’Anno internazionale della pesca e dell’acquacoltura (in foto, reti in un porticciolo siciliano; photo © Massimiliano Agati).

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Il mio ERP. Rende più facile prendere decisioni. Prendere le decisioni giuste – questa è la cosa più importante per ogni azienda. Report dettagliati, dati attuali dalla produzione, DQGDPHQWR degli ordini: il CSB-System vi fornisce esattamente questa trasparenza, semplicemente premendo un tasto. Così anche in tempi incerti potrete prendere decisioni certe.

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A pagina 80.

A pagina 88.

A pagina 138.

Prodotti tipici

Buio di luna, vento di Bora e alta marea: la magia dell’Anguilla marinata tradizionale delle Valli di Comacchio

Chiara Papotti

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Conserve

Il Pigo dei laghi lombardi

Roberto Villa

96

Sardina del Lago di Iseo: racconto di un presidio baciato dal sole

Chiara Papotti

100

Perché il pesce azzurro è alleato della nostra salute

Marilia Tantillo

102

Gli Omega-3 del pesce possono prevenire i danni di una dieta scorretta

Roberto Villa

106

Pesci Yin, pesci Yang, dal pesce la vita e l’equilibrio psicofisico

Josette Baverez Blanco108

Nutrizione

Il pesce in tavola

112

Una gestione della cucina più local, sostenibile e tecnologica: ecco i trend culinari del 2022

Gusto di acciuga del Mar Cantabrico, nuovo condimento gastronomico Giovanni Ballarini 114

Pesce d’acqua dolce

Canocchie in tavola

Giorgia Fieni

118

Esaltiamo (o copriamo) il sapore della carpa

Giorgia Fieni

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A COCOTTE NELLA PRATIC ROONDE IC ADATTA AL M


Sapore di mare

La Perla del Mare, il mondo della spiaggia incontra l’alta ristorazione a San Vincenzo

Riccardo Lagorio

122

Locali di gusto

Hostaria in Certosa, arrivederci a primavera

Gian Omar Bison

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Osteria 22: quando il Garda diventa gourmet

Luca del Grammastro 128

La pagina scientifica

Da rifiuti a risorsa

Fantina Madricardo 130

Packaging

Economia circolare: il packaging fa sul serio

Storia e cultura

Il pesce nella gastronomia dell’antica Roma

Giovanni Ballarini

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Curiosità

Maruzzella, la canzone della lumachina di mare

Nunzia Manicardi

146

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A pagina 118.

A pagina 92.

A pagina 122.

www.ilpesce-online.com 12

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AGENDA Bologna Dopo l’annuncio del posticipo determinato dall’escalation degli indicatori pandemici evidenziati su scala nazionale, Bologna Fiere annuncia le nuove date della 18a edizione di MarcabyBolognaFiere: la manifestazione è stata riprogrammata al 12 e 13 aprile 2022. Un posticipo di tre mesi, dunque, che consentirà alla business community MDD di organizzare con maggiore tranquillità l’agenda degli incontri in fiera e agli operatori internazionali di pianificare la visita all’evento. Con oltre 900 aziende espositrici, la presenza della DMO e dei buyer nazionali e internazionali MarcabyBolognaFiere 2022 si conferma la piattaforma espositiva di riferimento per i protagonisti della PL food, non food e, con logica di filiera, per gli operatori di due ambiti fortemente collegati: quello dei prodotti freschi, a cui è dedicato un format esclusivo — MARCA FRESH — focalizzato quest’anno all’innovazione del comparto e quello riferito al settore dei beni intermedi per la supply chain MDD (Packaging, Logistica, Materie Prime, Ingredienti, Tecnologia e Servizi) cui è dedicata la ottava edizione di MARCA TECH. MarcabyBolognaFiere è un evento organizzato da Bologna Fiere in collaborazione con ADM, Associazione Distribuzione Moderna. Il comitato tecnico scientifico 2022 vede la presenza di ARD/ERGON, BRICO IO, C3, CARREFOUR, CONAD, COOP, CORALIS, CRAI, DESPAR, D.IT – DISTRIBUZIONE ITALIANA, ITALY DISCOUNT, LEKKERLAND, MARR, SELEX, S&C CONSORZIO DISTRIBUZIONE ITALIA, TUODÌ, UNES, GRUPPO VEGÈ. www.marca.bolognafiere.it

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IL PESCE, 1/22



IMMAGINI

Secondo i dati di ISMEA, il comparto ittico è, insieme a quello delle bevande, il più dinamico nei primi nove mesi del 2021. In notevole incremento, in particolare, le vendite dei prodotti affumicati, rappresentati principalmente dal salmone, per i quali la spesa continua crescere: +10,6% dopo il +11% del 2020. Leggete di più nell’articolo a pagina 86 (photo © Vicky NG x unsplash).

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Il pesce azzurro è un alimento che non dovrebbe mai mancare sulle nostre tavole per le sue proprietà benefiche e il suo apporto di proteine nobili e altamente digeribili. Per beneficiarne non è necessario consumare solo pesce fresco: lo sgombro in scatola e il pesce azzurro surgelato infatti mantengono la loro qualità, soprattutto per quanto attiene agli acidi grassi polinsaturi. Leggete l’articolo della prof.ssa Marilia Tantillo, direttrice della Scuola di Specializzazione Ispezione degli alimenti, UNIBA, a pagina 102 (photo © Denis Agati x unsplash).

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Non bisogna far violenza alla Natura ma persuaderla. Epicuro Filosofo greco | Samo, 341 a.C. - Atene, 271 a.C.

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TENDENZE 2022: Anno internazionale della pesca artigianale e dell’acquacoltura

Una bellissima notizia: il 2022 è stato dichiarato dalla FAO “Anno internazionale della pesca artigianale e dell’acquacoltura (IYAFA 2022)”. Finalmente diamo valore al contributo dato dai pescatori artigianali, dai piscicoltori e dai lavoratori del settore ittico al benessere umano, a sistemi alimentari sani e all’eradicazione della povertà, attraverso un uso responsabile e sostenibile delle risorse ittiche e dell’acquacoltura. Nel suo intervento, il direttore generale della FAO, QU DONYU, ha sottolineato come la visione alla base del 2022 sia allineata ai «Quattro Miglioramenti della FAO: produzione migliore, nutrizione migliore, ambiente migliore, vita migliore per tutti, nessuno escluso». Qu ha aggiunto che questo anno contribuirà al raggiungimento di molti degli obiettivi fissati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Un recente studio della FAO e di World Fish indica che il settore della piccola pesca artigianale costiera contribuisce probabilmente alla maggior parte della produzione ittica globale, considerando che circa l’80% della produzione dell’acquacoltura mondiale proviene dai Paesi in via di sviluppo, con un numero di produttori artigianali molto più elevato rispetto a coloro che sono impegnati nell’acquacoltura di media e vasta scala (fonte: agricoltura.regione.emilia-romagna.it; in foto, un tipico capanno da pesca chioggino, photo © underworld – stock.adobe.com). >> Link: www.fao.org/artisanal-fisheries-aquaculture-2022

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Sanlúcar de Barrameda capitale spagnola della gastronomia 2022: camarones & Manzanilla à gogo

Sarà il comune di Sanlúcar de Barrameda a rappresentare le eccellenze culinarie della Spagna per il 2022. La città vicina a Cadice segue quella di Murcia, che ricevette il prestigioso incarico nel 2020, ma che per l’emergenza sanitaria ha vista estesa la sua rappresentanza fino al 31 dicembre 2021. “Il fermo impegno degli impresari locali e una straordinaria offerta di prodotti di terra e di mare, eccellenti e genuini, primi tra tutti i gamberetti e il vino tipico, la Manzanilla, uniti ad una cucina che è in perfetto equilibrio tra tradizione e innovazione”. È questa la motivazione con cui la Federazione dei giornalisti e scrittori spagnoli (FEPE) ha concesso il titolo di capitale gastronomica per il 2022 al comune andaluso. I gamberi Sanlúcar, da gustare soprattutto fritti o sotto forma di frittelle (le tortillitas), crescono nella bocca del Guadalquivir, dove il fiume si getta nell’Atlantico, e per questo hanno un sapore intenso. I gamberi più grandi vengono chiamati “Pedro Romero”, in onore di un noto torero che si diceva avesse la fronte molto ampia. Sanlúcar de Barrameda è il primo comune spagnolo a fregiarsi del titolo di capitale gastronomica senza essere capoluogo di provincia (fonte: Ente Spagnolo del Turismo di Milano, www.spain.info; in alto, tortillitas de camarones by Ricardo Jimenez, photo © Turismo di Cadice).

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CALENDARIO FIERE

Fiere, eventi, convegni

2022 ITALIA Taste Firenze, 26-28 marzo Organizzazione: Pitti Immagine taste.pittimmagine.com Sol & Agrifood Salone Internazionale dell’Agroalimentare di Qualità Verona, 10-13 aprile Organizzazione: Veronafiere Spa www.solagrifood.com

MARCA by BolognaFiere Salone internazionale sui prodotti a Marca del Distributore Bologna, 12-13 aprile Organizzazione: BolognaFiere Spa Associazione della Distribuzione Moderna (ADM) www.marca.bolognafiere.it

Cibus XX Salone internazionale dell’Alimentazione Parma, 3-6 maggio Organizzazione: Fiere di Parma Spa e.canuti@fiereparma.it www.cibus.it

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ESTERO

Ipack Ima Milano, 3-6 maggio Organizzazione: Ipack-Ima www.ipackima.it

Aquaculture Europe 2022 Rimini, 27-30 settembre Organizzazione: EAS-European Aquaculture Society mario@marevent.com eas@aquaeas.eu – aquaeas.org Cibus Tec Forum Parma, 25-26 ottobre Organizzazione: Fiere di Parma www.cibustec.it

AQUAFARM NOVELFARM ALGAEFARM Pordenone, 25-26 maggio Special Conference Day, 27 maggio Organizzazione: Pordenone Fiere basei@fierapordenone.it www.aquafarm.show www.novelfarmexpo.it/

SEALOGY Il salone europeo della Blue Economy Ferrara, 16-18 novembre Organizzazione: Ferrara Fiere Congressi Srl info@sealogy.it www.sealogy.it

Winter Fancy Food Show Las Vegas (USA), 6-8 febbraio Organizzazione: SDA Specialty Food Association www.specialtyfood.com Gulfood Dubai (EAU), 13-17 febbraio Organizzazione: Gulfood www.gulfood.com Aquaculture 2022 San Diego, California (USA) 28 febbraio – 4 marzo Organizzazione: WAS World Aquaculture Society www.was.org

Seafood Expo North America Seafood Processing North America Boston (USA), 13-15 marzo Organizzazione: Diversified Communications sales@seafoodexpo.com www.seafoodexpo.com/north-america

Le date e i luoghi delle fiere sono soggetti sempre a variazioni. Si consiglia chi è interessato a partecipare a una fiera ad accertarsi, presso gli organizzatori, del luogo e della data. Si declina pertanto ogni responsabilità per eventuali inesattezze.

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AquaFuture Spain Santiago de Compostela (Spagna) 23-25 marzo Organizzazione: AquaFuture it.aquafuturespain.com PLMA World of Private Label Il Mondo del Marchio del Distributore On-line, 28-31 marzo Organizzazione: Private Label Manufacturers Association www.plmainternational.com

ALIMENTARIA Barcellona (Spagna), 4-7 aprile Organizzazione: Alimentaria Exhibitions www.alimentaria.com Hostelco Barcellona (E), 4-7 aprile Organizzazione: Alimentaria Exhibitions www.hostelco.com ANUFOOD China Shenzhen (Cina), 20-22 aprile Organizzazione: Koelnmesse Srl info@koelnmesse.it www.anufoodchina.com

Anuga FoodTec Colonia (D), 26-29 aprile Organizzazione: Koelnmesse www.anugafoodtec.com

IFFA Francoforte (D), 14-19 maggio Organizzazione: Messe Frankfurt Exhibition GmbH iffa.messefrankfurt.com SIAL China Shanghai (Rep. Pop. Cinese) 18-20 maggio Organizzazione: ComexposiumSIAL Exhibition Co. Ltd www.sialchina.com World Aquaculture (WA) 2022 Merida (Messico), 24-27 maggio Organizzazione: WAS World Aquaculture Society www.was.org Polfish Danzica (Polonia), 1-3 giugno Organizzazione: Amber Expo www.polfishfair.pl ICEFISH Reykjavik (Islanda), 8-10 giugno Organizzazione: Icelandic Fisheries Exhibition icefish.is

Fish International Brema (Germania), 4-6 settembre Organizzazione: Messe Bremen www.fishinternational.de ANUFOOD India Bombay (India), 14-16 settembre Organizzazione: Koelnmesse YA Tradefair Pvt Ltd. Koelnmesse Srl www.anufoodindia.com Seafood Expo Asia Singapore, 14-16 settembre Organizzazione: Diversified Communications www.seafoodexpo.com/asia Aquaculture Europe AE2021 Madeira (Portogallo) 4-7 ottobre Organizzazione: AE2020 Cork mario@marevent.com eas@aquaeas.eu aquaeas.org Feria Conxemar Vigo (Spagna) 4-6 ottobre Organizzazione: Conxemar conxemar@conxemar.com conxemar.com

Fishwaste for Profit Reykjavik (Islanda) 9-10 giugno Organizzazione: Icelanding Fisheries Conference www.icefishconference.com China Fisheries & Seafood Expo Qingdao (Cina) 26-28 ottobre Organizzazione: China Fisheries & Seafood Expo chinaseafoodexpo.com

SIAL Canada Montréal (Canada) 20-22 aprile Organizzazione: Comexposium www.sial-network.com www.sialparis.com Seafood Expo Europe Seafood Processing Europe Barcellona (Spagna), 26-28 aprile Organizzazione: Diversified Communications sales@seafoodexpo.com www.seafoodexpo.com/global

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WAS North America & Aquaculture Canada 2022 St. John, Terranova (Canada) 15-18 agosto Organizzazione: WAS World Aquaculture Society www.was.org

World Aquaculture Singapore Singapore 29 novembre – 2 dicembre Organizzazione: WAS World Aquaculture Society www.was.org

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Seafood Expo North America e Seafood Processing North America tornano in presenza dal 13 al 15 marzo La 40a edizione di Seafood Expo North America/Seafood Processing North America si svolgerà dal 13 al 15 marzo prossimi presso il Boston Convention & Exhibition Center (BCEC). Diversified Communications, organizzatore dell’evento, sta aggiornando i protocolli seguendo le raccomandazioni dei Centers for Disease Control (CDC), delle normative in materia di sanità pubblica federali e locali nonché quelle del quartiere fieristico al fine di garantire a visitatori ed espositori un’esperienza in totale sicurezza. L’evento si articolerà su tre giornate e sarà articolato con una sala espositiva per opportunità di business e networking, con presentazione di nuovi prodotti, degustazioni, eventi e formazione. «Siamo entusiasti di tornare a Boston con la fiera in presenza per riunire i professionisti del settore ittico che desiderano fare affari nel mercato nordamericano», ha affermato Wynter Courmont, Event Director di Diversified Communications. «Anno dopo anno, fornitori e buyer del settore hanno apprezzato le opportunità di business di Seafood Expo North America e Seafood Processing North America e quest’anno non farà eccezione». >> Link: www.seafoodexpo.com/north-america

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Photo © Nikita Kuzmenkov – stock.adobe.com

ATTUALITÀ

Transizione ecologica, pronti, partenza, via Incremento della popolazione, risorse sempre più limitate, urbanizzazione dilagante, cambio climatico, crisi idriche e altri trend simili: il modello take-make-waste non è più sostenibile di Guido Guidi

Dobbiamo cambiare passo: ne sono consapevoli tanto i consumatori, quanto le imprese, ed è così che l’idea di un’economia circolare, più rispettosa dell’ambiente, prende piede e si mostra oramai irrinunciabile. D’altronde, oltre alla prospettiva di un risparmio effettivo e di un ritorno di immagine, le organizzazioni devono fare i conti con un orientamento normativo sempre più incalzante.

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Il Piano d’Azione per l’Economia Circolare adottato dalla UE a marzo 2020 è uno dei pilastri principali del Green Deal e indirizza in maniera decisa verso la circolarità, dalla progettazione del prodotto al consumo fino alla gestione dei rifiuti. A questo proposito, DNV (www.dnv.it), organizzazione multidisciplinare, ma, soprattutto, azienda leader nelle certificazioni accreditate per i sistemi

di gestione a livello globale, propone i risultati di un’indagine condotta tra marzo e aprile 2021 che ha coinvolto 793 suoi clienti Business Assurance, appartenenti a diversi settori in Europa, Nord America, Centro e Sud America e Asia. Il campione, pur non statisticamente rappresentativo delle aziende mondiali, è certamente significativo, tanto più che offre uno spaccato su un centinaio di aziende

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Allevamento di storioni (photo © kpn1968 – stock.adobe.com). leader che col proprio operato sono anticipatorie di una tendenza che inizia a dare segnali importanti verso un nuovo modo di fare impresa. La ricerca restituisce un quadro interessante, da cui si intravede un aumento della consapevolezza sulla necessità di un’economia circolare, purtroppo ancora lenta e cauta, ma che si sta pian piano affermando. La maggioranza delle imprese coinvolte appare più interessata ai fattori interni e meno del 40% vede immagine aziendale e brand reputation come fattori motivanti per un cambio di passo o un mutamento dell’organizzazione interna. Meno del 30% riconosce l’importanza delle esigenze del consumatore, mentre gli aspetti legati alla normativa non sono annoverati tra i principali fattori trainanti verso la circolarità.

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Ciò che maggiormente spinge in quella direzione è semmai il recupero di risorse e l’estensione della vita del prodotto che possono apportare vantaggi immediati, oltre ad essere direttamente o indirettamente strumenti di tutela dell’ambiente. Il fatto che l’economia circolare sia tema sempre più dibattuto e sempre più al centro dei programmi di enti e istituzioni, ha portato 3 aziende su 4 ad analizzare o discutere l’argomento al proprio interno, anche se con importanti distinguo da un’azienda all’altra. Alcune aziende si sono già poste l’obiettivo di generare valore economico e mitigare gli impatti ambientali. Per il 26%, l’economia circolare fa parte della propria strategia di sostenibilità, mentre per il 12,4% è già al centro delle attuali strategie di business.

Le imprese europee dimostrano un interesse elevato: l’81,1% afferma infatti di aver discusso o analizzato l’economia circolare nel proprio team. In questo quadro, sono poche le organizzazioni che riflettono in maniera seria sul fatto che non bastino pochi accorgimenti per cambiare direzione, ma sia necessario un mutamento radicale del proprio approccio. Resta però la preoccupazione, per molti, che nel lungo termine possa essere rischioso non evolversi, perché i concorrenti lo faranno e il pericolo è che si generi un dannoso divario. Pertanto, seppur le azioni tardano o tarderanno ad arrivare, l’attenzione non manca affatto. Permangono sacche di bassa consapevolezza dell’utilità e della necessità collettiva di attivare sistemi circolari, così come in certi casi a mancare è la capacità e la competenza all’interno delle organizzazioni di affrontare la transizione in maniera strutturale e con un alto profilo di competenza. Tra i problemi esistenti, non è secondario quello della misurabilità della circolarità. Ciò che non si può misurare non si può migliorare, ma non si può nemmeno dimostrare. La ricerca evidenzia che tutte le aziende, in generale, si stanno attivando, sebbene solo il 5,9% dichiari di avere un approccio maturo verso l’economia circolare, mentre il 29,6% si trova nella fase di sviluppo e il 18,6% in una iniziale. Oltre il 50% delle imprese afferma di star esplorando o avere adottato almeno un modello di business circolare. Nei prossimi 3-5 anni, un’azienda su 3 intende adottare uno o più modelli di circolarità. Attualmente, quelli prevalenti sono il recupero di risorse (39,6%) e l’estensione della vita del prodotto (30,3%). Ma l’adozione delle forniture circolari, la sostituzione delle risorse tradizionali con altre interamente rinnovabili, riciclate o alternative sembra essere il modello che crescerà di più nei prossimi 5 anni. Tra le aziende che hanno adottato un’iniziativa di economia circolare è diffusa l’idea che questo approccio sia valido se coinvolge l’intera

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filiera e non resti confinato tra le mura aziendali. Il 41% sta infatti collaborando con operatori del riciclaggio e servizi di manutenzione. Il 35,7% sta cooperando con aziende della propria catena di fornitura, il 18,1% ha coinvolto operatori logistici specializzati (reverse logistics o logistica inversa) e il 17,1% ha incluso nelle proprie iniziative fornitori di tecnologie. Non sempre però le aziende riescono a comunicare adeguatamente le iniziative circolari, perdendo così l’occasione di far sapere al pubblico quale sia il valore aggiunto del prodotto o del servizio proposto. Quelle che lo fanno, utilizzano prevalentemente il sito web aziendale o altri canali di comunicazione istituzionale e solo il 19,3% comunica attraverso l’etichetta del prodotto. Una ragione potrebbe essere che in questo caso è più difficile dimostrare la validità di un’affermazione o condividere informazioni dettagliate. Un grande aiuto può, però, venire dalla tracciabilità digitale, con le tecnologie blockchain e il tagging, ma anche su questo fronte c’è ancora molto da fare. In quest’ambito è convinzione diffusa che le organizzazioni di terza parte possano contribuire in maniera importante ad accrescere la fiducia dei clienti e dei consumatori finali. Sono quindi un valido strumento da prendere in considerazione. Molte imprese stanno a guardare ciò che fanno le leader, capaci di affrontare investimenti in ricerca, di approfondire temi da esplorare e di mettere a disposizione ingenti capitali in operazioni dal risultato incerto. Sono quelle che guidano il mercato e

I due modelli di business circolari prevalenti sono il recupero di risorse e l’estensione della vita del prodotto, seguiti dall’adozione di forniture circolari e sostituzione di risorse tradizionali con altre completamente rinnovabili, riciclate o alternative (photo © Puwasit Inyavileart – stock.adobe.com). che sono tendenzialmente capaci di anticiparlo, facendo da apripista. Nella ricerca citata, su 793 aziende le leader rappresentano il 12,1% e, a conferma di questa tesi, dimostrano di avere un approccio più maturo, esaustivo e avanzato alla transizione verso la circolarità. È possibile che un cambio di abitudini e di modalità di processo non sia completamente vincente in termini di impatto sull’ambiente. Ma è certo che la transizione ecologica sia diventata la protagonista di questi tempi anche sul piano commerciale. Pertanto, chi non si adegua

rischia di rimanere ai margini, per essere poi completamente espulso. È anche questo uno dei principali motivi per i quali i più grandi fondi finanziari stanno investendo ed investiranno sempre di più, su imprese della green economy. Non è un caso, dunque, se le aziende leader siano più inclini ad adottare nuovi modelli e strategie che integrino la circolarità nelle proprie funzioni e in quelle di gestione della catena di fornitura, costringendo così anche i propri partner ad adottare azioni virtuose e comportamenti trasparenti. La stessa trasparenza che è richiesta

Cos’è l’economia circolare È un modello di produzione e consumo che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile. Permette di estendere il ciclo di vita dei prodotti, contribuisce a ridurre i rifiuti al minimo e, quando il prodotto ha terminato la sua funzione, i materiali di cui è composto vengono reintrodotti, laddove possibile, nel ciclo economico. Così possono di nuovo e continuamente essere riutilizzati all’interno dei processi produttivi, generando ulteriore valore. Grazie a misure come prevenzione dei rifiuti, l’ecodesign e il riutilizzo dei materiali, le imprese possono ottenere un risparmio e ridurre al contempo le emissioni totali annue di gas serra. Riducendo così la pressione sull’ambiente, generando maggiore sicurezza sulla disponibilità di materie prime, dando impulso ad innovazione e crescita economica, incrementando l’occupazione. Nel contempo i consumatori avranno prodotti più durevoli e innovativi in grado di far risparmiare e migliorarne la qualità della vita.

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da stakeholder e mercati, ai quali non basta la propaganda aziendale. La comunicazione riguardante la circolarità deve essere fondata su metriche corrette e tracciabili in tempo reale, sebbene la carenza di criteri di misurazione e di indicatori delle performance rimanga, anche per le leader, un problema serio. Senza un approccio scientifico, e possibilmente univoco alla misurazione, è difficile progettare iniziative di successo, svilupparle e comunicarle. Ma, spinte da grandi motivazioni, l’84% delle leader ha già posto l’economia circolare al centro delle attuali strategie di business, con l’obiettivo di generare valore economico mitigando al contempo gli impatti ambientali. I principali driver della transizione sono la possibilità di rafforzare le strategie di sostenibilità (70,8%) e i risparmi sui costi (69,8%). Seguono la brand reputation (49%) e le richieste dei consumatori (35,4%). Le leader appaiono più predisposte a cogliere appieno il potenziale dei modelli di business basati sull’economia circolare: il 29,2%, infatti (rispetto al 16,6% del campione), ne riconosce la capacità di dare accesso a nuovi flussi di ricavi. I due modelli di business circolari prevalenti sono il recupero di risorse (84,9%) e l’estensione della vita del prodotto (72,2%), seguiti dall’adozione di forniture circolari e la sostituzione di risorse tradizionali

con altre completamente rinnovabili, riciclate o alternative (56%). Al pari dell’introduzione di modelli più recenti quali il product-as-a-service (PaaS) (40,5%) e le piattaforme di sharing (40,2%). La creazione di una supply chain più sostenibile (67,7%) è di gran lunga l’azione più implementata, al fine di raggiungere un approccio più circolare. A questa fanno seguito la progettazione del prodotto, considerando gli impatti sull’ambiente, e le risorse durante il suo intero ciclo di vita (60,4%), la riduzione nell’uso di materie prime vergini (57,3%) e gli investimenti tecnologici (53,1%). Nel complesso, le imprese leader stanno implementando modelli di business circolari ad un ritmo molto più sostenuto rispetto alle altre. D’altronde, dalla loro implementazione il 63,8% rileva risparmi sui costi, il 54,3% un miglioramento della propria immagine pubblica e il 48,9% un miglioramento nella conformità coi requisiti legali e normativi. I risultati che sono quindi già evidenti. I leader sono anche coloro che comunicano in maggior misura le performance dei prodotti o delle iniziative circolari. Il bilancio di sostenibilità è utilizzato dal 48,9%, mentre il 46,8% usa il sito web aziendale o altri canali di comunicazione istituzionali. Il 34%, inoltre, condivide informazioni tramite l’etichetta del prodotto.

In sostanza, al netto delle verifiche di terza parte, particolarmente utilizzate dalle imprese leader, l’uso dei canali è in gran parte lo stesso per tutte le aziende. Per ciò che riguarda le competenze, invece, resta il fatto che i team di progetto di economia circolare devono comprendere competenze multidisciplinari, reperite sia all’interno sia all’esterno. Inoltre, più il modello è avanzato, maggiore è il coinvolgimento di esperti di tutte le discipline. Le risorse esterne, specialmente nelle aree più specialistiche, tendono ad essere particolarmente rilevanti nelle fasi iniziali, con costi che normalmente le imprese più piccole hanno serie difficoltà ad affrontare. Pertanto le aziende leader — che hanno maggiori risorse — coinvolgono, nei progetti di economia circolare, un maggior numero di esperti e in più discipline e fanno grande affidamento sulle soluzioni digitali, mentre per le altre questo è uno dei problemi maggiori. Come dimostra la ricerca, la transizione richiede prima di tutto un cambiamento sistematico e organizzativo, collaborazioni e coinvolgimento di tutta la catena del valore, compresi i consumatori. Con costi e uno sforzo iniziale che non tutti possono affrontare con facilità. La direzione presa però è ormai questa e indietro non si torna. Guido Guidi

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Allarme Coldiretti: dalla pesca alle serre, travolte dal caro energia Il caro petrolio blocca i pescherecci italiani nei porti e spegne le serre di fiori ed ortaggi con l’esplosione dei costi energetici che rappresentano la voce principale dell’attività produttiva: è quanto afferma Coldiretti in riferimento al balzo dei prezzi di benzina e gasolio spinti dalla corsa delle quotazioni record dell’oro nero. L’aumento nell’ultimo un anno del +67% del prezzo medio del gasolio sta affondando la flotta nazionale costretta a navigare in perdita o a tagliare le uscite secondo Impresapesca Coldiretti, che sottolinea come fino ad oltre la metà dei costi che le aziende ittiche devono sostenere è rappresentata proprio dal carburante. Con gli attuali ricavi la maggior parte delle imprese di pesca — spiega Impresapesca Coldiretti — non riesce a coprire nemmeno i costi energetici oltre alle altre voci che gli armatori devono sostenere per la normale attività. Senza adeguate ed urgenti misure per calmierare il costo del carburante le imbarcazioni sono costrette a pescare in perdita se non addirittura a restare in banchina con gravi ripercussioni sulla filiera e sull’occupazione per un settore che — sottolinea la Coldiretti — conta complessivamente 12.000 imprese e 28.000 lavoratori, con un vasto indotto collegato. L’aumento record dei costi energetici spegne anche le serre e mette a rischio il futuro di alcune delle produzioni più tipiche del florovivaismo nazionale come tra gli altri il ciclamino, il lilium o il ranuncolo. E se in altri settori si cerca di concentrare le operazioni colturali nelle ore di minor costo dell’energia elettrica — rileva la Coldiretti —, le imprese florovivaistiche non possono interrompere le attività pena la morte delle piante o la mancata fioritura. Le rose ad esempio hanno bisogno di una temperatura fissa di almeno 15 gradi per fiorire e lo stesso vale per le gerbere, mentre per le orchidee servono almeno 20-22 gradi per fiorire ed in assenza di riscaldamento muoiono. E chi non riesce e far fronte agli aumenti è così costretto a spegnere le serre e cercare di riconvertire la produzione. Un trend che pesa gravemente su un settore cardine per l’economia agricola nazionale che vale oltre 2,57 miliardi di euro, generati da 27.000 aziende florovivaistiche attive in Italia, con un indotto complessivo di 200.000 occupati, secondo Coldiretti. Ma in un Paese come l’Italia dove l’85% delle merci per arrivare sugli scaffali viaggia su strada, l’aumento di benzina e gasolio ha un effetto valanga sulla spesa di famiglie e sui costi delle imprese. A subire gli effetti dei rincari — sottolinea ancora la Coldiretti — è infatti l’intera filiera agroalimentare, dai campi all’industria di trasformazione fino alla conservazione e alla distribuzione. Per le operazioni colturali gli agricoltori sono stati costretti ad affrontare rincari dei prezzi fino al 50% per il gasolio necessario per le lavorazioni dei terreni, senza dimenticare che l’impennata del costo del gas, utilizzato nel processo di produzione dei fertilizzanti, ha fatto schizzare verso l’alto i prezzi dei concimi, con l’urea passata da 350 euro a 850 euro a tonnellata (+143%). L’aumento dei costi — continua la Coldiretti — riguarda anche l’alimentazione del bestiame e i costi di produzione come quello per gli imballaggi, dalla plastica (+72%) per i vasetti dei fiori alla banda stagnata per i barattoli (+60%), dal vetro (+40%) per i vasetti fino alla carta (+31%) per le etichette dei prodotti che incidono su diverse filiere, dalle confezioni di latte, alle bottiglie per olio, succhi e passate, alle retine per gli agrumi ai barattoli smaltati per i legumi. Su questo scenario pesa il deficit logistico italiano per la carenza o la totale assenza di infrastrutture per il trasporto merci, che costa al nostro Paese oltre 13 miliardi di euro, con un gap che penalizza il sistema economico nazionale rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea. In Italia il costo medio chilometrico per le merci del trasporto pesante è pari a 1,12 €/km, più alto di nazioni come la Francia (1,08 €/km) e la Germania (1,04 €/ km), ma addirittura doppio se si considerano le realtà dell’Europa dell’Est: in Lettonia il costo dell’autotrasporto è di 0,60 €/km, in Romania 0,64 €/km; in Lituania 0,65 €/km, in Polonia 0,70 €/km secondo l’analisi di Coldiretti su dati del Centro Studi Divulga (www.divulgastudi.it). >> Link: www.coldiretti.it

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cozze, Vongole e lupini Il fresco del mare!

Frutti di mare freschissim freschissimi, allevati Po, conservati in nel Delta del Po conserv vaschette sottovuoto.

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SCANSIONAMI


IL PESCE IN RETE

Social di Elena

2. “Rete del mare” per la piccola pesca artigianale

1. A Milano arriva Pescatorum Ha aperto lo scorso novembre a Milano un nuovo format di pescheria che privilegia le varietà di pesce “dimenticate”. Si chiama Pescatorum (pescatorum.com) ed è una pescheria con “banco del pesce e gastronomia di mare”, che intende valorizzare l’intera filiera ittica semplificando un alimento ancora percepito da molti come “complesso” (photo © corriere.it).

Dal 1o dicembre 2021 sono attivi cinque acceleratori d’impresa interamente dedicati allo sviluppo competitivo delle imprese della piccola pesca artigianale. Il progetto “La Rete del mare” (retedelmare.com) è gestito da 5 Camere di commercio: Venezia-Giulia, Maremma-Tirreno, Cagliari-Oristano, Lecce e Trapani. L’obiettivo? Fornire servizi di assistenza tecnica per far crescere, diversificare e rendere più innovative e sostenibili le attività d’impresa della piccola pesca artigianale (in basso, imbarcazioni di pesca a Punta Molentis, Sardegna; photo © Ana Tramont – stock.adobe.com).

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fish Benedetti

3. I prezzi dell’on-line raccolti da EUMOFA Forse non tutti sanno che EUMOFA (l’Osservatorio europeo del mercato dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura) raccoglie i prezzi al dettaglio dei principali prodotti ittici dai negozi on-line. I prezzi includono i prodotti degli e-shop che rappresentano 8 mercati nazionali (I, B, F, NL, P, E, D. A). Particolare attenzione è riservata alla selezione dei prodotti (fresco, congelato, preparati, affumicati) per garantire la comparabilità tra gli Stati Membri. I prezzi sono raccolti giornalmente e aggregati su base settimanale. Questo il link: eumofa.eu/it/ online-shop-retail-prices (photo © Jakkapan Jabjainai).

4. Itticoinnova, soluzioni innovative È on-line il nuovo portale SiSi – Soluzioni Innovative nel Settore Ittico (itticoinnova.it). Interamente dedicato alle innovazioni per il settore ittico, SiSi ha l’obiettivo di promuovere la conoscenza e l’applicazione di soluzioni e strumenti innovativi tra le imprese della pesca e dell’acquacoltura. Nato per iniziativa del Ministero delle Politiche Agricole, alimentari e forestali e dell’Unioncamere, il portale è la prima banca dati mai realizzata in tale ambito, con oltre 3.500 brevetti, 33.600 pubblicazioni e ricerche scientifiche.

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Photo © Alexander Podshivalov

ACQUACOLTURA

2022 Anno internazionale della pesca artigianale e dell’acquacoltura: Pordenone Fiere con Aquafarm tra i supporters dell’iniziativa L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2022 Anno internazionale della pesca artigianale e dell’acquacoltura, un’occasione per dare visibilità e sostegno ad un settore fondamentale nel percorso di avvicinamento agli obiettivi stabiliti nell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile (Agenda 2030). «Pordenone Fiere con Aquafarm, la mostra-

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convegno internazionale su acquacoltura, algocoltura e industria della pesca, è orgogliosa di essere sostenitrice dell’International Year of Artisanal Fisheries and Aquaculture (IYAFA 2022 Supporters)» dichiara RENATO PUJATTI, presidente di Pordenone Fiere, di concerto con PIER ANTONIO SALVADOR, presidente di API-Associazione Piscicoltori

Italiani. «Ci impegniamo a comunicare l’importanza della pesca e dell’acquacoltura su piccola scala per lo sviluppo sostenibile dei sistemi alimentari e la tutela dell’ambiente. Proprio questo è uno dei temi chiave di AquaFarm, una delle manifestazioni più importanti del calendario di Pordenone Fiere e appuntamento fondamentale per gli operatori della

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Pescatori alle Isole Andamane (photo © FAO). filiera dell’acquacoltura; la quinta edizione si terrà il 25 e 26 maggio, con uno Special Conference Day di caratura internazionale il 27 maggio (le date dell’evento sono state posticipate alla luce dell’attuale situazione epidemiologica in Italia, in Europa e nel resto del mondo). Si tratta di una manifestazione in forte crescita che ha raggiunto nell’ultima edizione numeri che la

qualificano tra i principali saloni europei di settore: 122 espositori di cui 35% esteri, oltre 2.500 visitatori da 43 Paesi del mondo e un calendario di incontri di altissimo valore scientifico che raggiungeranno in questa edizione il loro culmine con il seminario dedicato ad IYAFA 2022 in programma il 27 maggio. Sono previsti interventi di membri di FAO, esperti internazionali del settore e

la testimonianza di imprenditrici e imprenditori di micro e piccole imprese di acquacoltura in Italia e all’estero. Ad arricchire l’evento ci saranno anche AlgaeFarm, appuntamento interamente dedicato all’algocoltura, il contest di AquaFarm R&D Award che premia progetti innovativi volti a migliorare la produttività in acquacoltura.

AquaFarm è la mostra-convegno internazionale dedicata ad acquacoltura e industria della pesca sostenibile. NovelFarm è il più importante evento italiano interamente dedicato alle nuove tecniche di coltivazione, fuori suolo e vertical farming. Sono affiancate da AlgaeFarm, appuntamento dedicato a tecnologie e applicazioni in algocoltura. Pordenone Fiere, 25-26-27 maggio 2022 • AquaFarm: www.aquafarmexpo.it • NovelFarm: www.novelfarmexpo.it • AlgaeFarm: novelfarmexpo.it/algaefarm-fiera-algocoltura

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Tutela tartarughe e cetacei: nasce la rete degli operatori dell’Emilia-Romagna Veri e propri life guards, che operano attraverso quattro centri di primo soccorso, ognuno dei quali responsabile di un determinato tratto di costa emiliano-romagnola. La Regione rafforza la tutela delle tartarughe marine e dei cetacei e amplia la rete dei soggetti pubblici e privati impegnati nell’attività di allerta e salvataggio: dal recupero in mare e sulle spiagge degli animali feriti o comunque in difficoltà, alla loro riabilitazione e liberazione in mare, fino alla ricerca (per quanto riguarda le tartarughe) di possibili nidi per favorirne la riproduzione. È quanto prevede un protocollo di intesa approvato dalla Giunta regionale per la conservazione di questi animali sempre più minacciati dall’attività umana, dalla presenza di plastica in mare, ma anche dai cambiamenti climatici. Tra le tartarughe marine attualmente presenti nel Mar Mediterraneo la specie Caretta caretta è la più diffusa ed è l’unica a nidificare lungo le coste italiane. Questa specie utilizza l’Alto Adriatico principalmente come area nursery, cioè come luogo ideale per allevare e nutrire i piccoli, visto il mare poco profondo e ricco di crostacei. Una volta cresciuta la prole, le tartarughe tendono a migrare verso sud. Negli ultimi anni si sono verificate anche alcune riproduzioni nelle Marche e in Veneto, il che lascia ipotizzare anche un possibile evento riproduttivo sulle coste dell’Emilia-Romagna nei prossimi anni. Per questo motivo tra gli obiettivi della Rete regionale vi è anche quello di promuovere le azioni di pattugliamento delle spiagge da parte dei volontari per cercare e tutelare possibili nidi. In Emilia-Romagna operano quattro Centri di primo soccorso, quelli di Goro e di Porto Garibaldi, entrambi in provincia di Ferrara, e quelli di Marina di Ravenna (RA) e di Riccione (RN). Ora ognuno di essi sarà responsabile di un tratto di costa ben definito, migliorando l’efficacia del proprio intervento: Foce del Po di Goro, Lido delle Nazioni; Lido Pomposa, Foce fiume Reno; Foce del Reno, Cesenatico (Zadina); Cesenatico, Gabicce Mare. Il tutto in stretta collaborazione con il personale delle Capitanerie di Porto (fonte: www.alimenti-salute.it).

La sostenibilita’ e’ un principio cardine di Aller Aqua In Aller Aqua abbiamo abbracciato la sostenibilità, come un’opportunità per minimizzare l’impatto che l’acquacoltura ha sull’ambiente, ottimizzando al XIQTS WXIWWS PƅIƾGEGME HIM RSWXVM TVSHSXXM

Photo: Fish Farm Fonda

Siamo orgogliosi di far parte di un futuro sostenibile e supportiamo gli OBIETTIVI DI UNO SVILUPPO 7378)2-&-0) ()00) 2%>-32- 92-8) Abbiamo scelto quattro obiettivi su cui concentrarci:

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Slow Food: il 2022 è l’anno della pesca artigianale

Small in scale, Big in value di Elena Coccia

sono anche in prima linea nel conquistare diritti e opportunità per loro stessi e nel garantire chi invece si trova all’altro capo della filiera ittica, ovvero, chi quei prodotti li consuma, con effetti positivi che possono essere avvertiti lungo tutto il sistema alimentare globale. Una fotografia del settore ce la offrono le Nazioni Unite, per cui nel 2018 erano 40 milioni le persone impiegate nel settore primario della pesca a livello mondiale. Mentre secondo una rilevazione della Banca Mondiale, che però risale al 2012, erano 120 milioni i lavoratori coinvolti in attività collaterali. Se

consideriamo che il 90% di questi, sempre nel 2012, era rappresentato da pescatori di piccola scala e lavoratori del pesce, possiamo percepire il valore della pesca artigianale nel mondo. Un altro dato è significativo e ci permette di immaginare tutto il potenziale educativo, culturale e sociale del mondo della pesca: il 50% della forza lavoro nel 2012 era costituito da donne. Ed è per questo che al centro dell’IYAFA-International Year of Artisanal Fisheries and Aquaculture c’è la necessità di restituire il giusto valore a pescatori, allevatori e lavoratori del pesce che, pur

Photo © www.slowfood.com

Small in scale, Big in value, è questo il motto con cui l’Assemblea dell’ONU celebra nel 2022 l’International Year of Artisanal Fisheries and Aquaculture (IYAFA). Un’economia di piccolissime dimensioni quella della pesca artigianale, ma diffusa globalmente e capillare, che svolge un ruolo vitale all’interno della catena alimentare. Stiamo parlando di milioni di pescatori artigianali di piccola scala che, grazie alle loro pratiche, possono avere un enorme potenziale nel promuovere cambiamenti sul modo in cui il pesce e i prodotti della pesca vengono prodotti, lavorati e distribuiti. Ma

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5a Edizione

Special Conference Day

25-26 & 27 MAGGIO 2022

FIERA DI PORDENONE Mostra Convegno internazionale su acquacoltura, algocoltura e industria della pesca

LA FIERA DEDICATA ALLA PRODUZIONE SOSTENIBILE DI ALIMENTI IN ACQUA --

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NOVITÀ 2022

MOLLUSCHICOLTURA

PESCA SOSTENIBILE

IN CONTEMPORANEA 3a Edizione

Mostra convegno su algocoltura, coltivazione, trasformazione e utilizzo di alghe e microalghe.

Mostra Convegno internazionale sulle nuove tecniche di coltivazione, vertical farming e fuori suolo.

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rappresentando oltre la metà della produzione totale nei Paesi in via di sviluppo, continuano a essere i più emarginati.

Photo © www.slowfood.com

Proteggiamo i nostri mari «Le nostre aree costiere sono in una situazione critica. Gli ecosistemi stanno cambiando a una velocità mai vista prima, le politiche di privatizzazione delle risorse da cui queste comunità dipendono sono sempre più diffuse e la popolazione è completamente all’oscuro dello stato della pesca e delle condizioni che vivono i pescatori» commenta PAULA BARBEITO, coordinatrice della campagna Slow Fish e rappresentante di Slow Food all’interno del Comitato direttivo IYAFA. Durante questi 12 mesi, la FAO e le altre organizzazioni coinvolte focalizzeranno l’attenzione sul ruolo che la pesca e l’acquacoltura artigianali su piccola scala svolgono nell’ambito della sicurezza alimentare e nutrizionale, nell’eliminazione della povertà e nell’uso sostenibile delle risorse naturali, aumentando così la consapevolezza a livello globale e le azioni utili a sostenerle.

Al centro e in basso, i due Presidi Slow Food pugliesi: la pesca tradizionale delle secche di Ugento e la piccola pesca di Torre Guaceto (photo © Marco Marangoni, Archivio Slow Food).

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Slow Fish, la rete dei pescatori artigianali Slow Food «Il nostro obiettivo, attraverso la campagna Slow Fish, è ripristinare la connessione tra pescatori, cuochi e consumatori, contribuendo alla creazione di comunità locali che possano individuare sfide comuni e soluzioni efficaci. Ne sono un esempio i presidi Slow Food della pesca tradizionale delle secche di Ugento e della piccola pesca di Torre Guaceto» prosegue Barbeito. Ma l’IYAFA 2022 può anche essere un trampolino di lancio per l’attuazione del Codice di condotta per una pesca responsabile e una tappa fondamentale per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG), in particolare il target 14.b, che mira a riconoscere e tutelare i diritti di accesso per la pesca artigianale, quando siamo già entrati nell’ultimo decennio di azione per raggiungere l’Agenda 2030. Elena Coccia Slow Food

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Spesso consideriamo il pesce che portiamo in tavola semplicemente come cibo, una fonte di proteine utile per la nostra dieta, da preferire se vogliamo perdere peso, ma in realtà rappresenta un insieme di interrelazioni tra elementi chimici, microorganismi, attività umane (la pesca, ma anche la vendita, il commercio, la cucina) e fattori ambientali. Questo insieme è così complesso che la maggior parte di noi non lo capisce. Lo sapevi ad esempio che il plancton fornisce fino a 2/3 terzi dell’ossigeno che respiriamo e che è alla base della catena alimentare marina? Hai mai preso in considerazione il fatto che anche il pesce ha una sua stagionalità? Sai da quale ecosistema proviene il pesce che mangi? Chi lo ha pescato? Hai un pescivendolo di fiducia che ti aiuti a scegliere che cosa comprare? Slow Fish è la campagna internazionale di Slow Food, dedicata alla riscoperta della catena del valore che si cela dietro al pesce che mangiamo. Questa catena inizia dall’acqua e dalla biodiversità del plancton, si sviluppa attraverso la gestione delle risorse marine e ittiche da parte dei piccoli pescatori nel mondo, include il trasporto e la vendita e infine raggiunge la cucina. La campagna si sviluppa a partire dalle competenze della rete internazionale Slow Fish, una grande comunità di pescatori, addetti alla trasformazione del pesce, biologi e cuochi che lavorano ogni giorno per rafforzare le relazioni sociali tra le persone — punto di partenza indispensabile per una filiera di produzione sana ed ecosostenibile. Le loro identità, le loro conoscenze, i loro linguaggi e le loro storie sono le risorse più importanti da tutelare, e gli strumenti più potenti ed efficaci per far sì che ognuno di noi capisca la meravigliosa complessità in cui viviamo. Con questo approccio Slow Fish lancia iniziative a sostegno delle pratiche di pesca artigianali e delle specie ittiche neglette — che il mercato globale tende a ignorare o persino a distruggere —, utili a riflettere sullo stato e sulla gestione delle risorse acquatiche. Per avere ricadute di successo, questa riflessione deve iniziare a livello locale. Slow Fish, l’evento che si svolge ogni due anni a Genova, è un’occasione d’incontro in cui — riunendo una variegata comunità di pescatori, scienziati, cuochi e organizzazioni — il pubblico viene educato al consumo, a partire dalle generazioni più giovani (photo © Alessandro Vargiu / Archivio Slow Food). >> Link: Slowfish.it


Dedicato alle donne il calendario dell’Associazione Piscicoltori Italiani Antonella, Maria, Teresa, Anna, Lucilla, Paola: sono alcune donne che prestano il volto al calendario 2022 di API, l’Associazione Piscicoltori Italiani di Confagricoltura, che ha voluto celebrare il ruolo femminile all’interno del comparto. La scelta ricade in occasione dell’Anno Internazionale della Pesca e dell’Acquacoltura Artigianali proclamato dalla FAO per il 2022 e pone attenzione alla figura della donna in un settore produttivo ancora fortemente maschile. «In Italia — afferma l’economista della pesca MARIA COZZOLINO — la presenza femminile sfiora appena il 9%, rispetto a una media europea di quasi il 25%, ed è per lo più impiegata in lavori di ufficio, con una professionalizzazione medio-alta rispetto a oltre il 73% degli occupati maschi; questi ultimi, invece, hanno un livello di scolarizzazione al di sotto della media europea». Nelle fasi di trasformazione le donne rappresentano invece quasi la metà degli addetti. L’acquacoltura in Italia occupa oltre 15.000 persone — evidenzia API — e ogni occupato crea tre posti di lavoro nell’indotto. Le fotografie del calendario intendono dare voce a tutte le donne che lavorano nell’acquacoltura italiana garantendo valore a una filiera che ha raggiunto livelli di eccellenza consolidati per qualità della produzione, sostenibilità ambientale e sicurezza alimentare. «L’associazione — spiega il presidente di API, PIER ANTONIO SALVADOR — ha scelto di raccontare il comparto, declinandolo attraverso una comunicazione esperienziale veicolata da immagini che ripercorrono l’evoluzione del settore, storicamente incardinato nelle radici di intere regioni italiane, impregnato nel DNA di generazioni di persone, e che oggi è giovane, dinamico e anche più rosa. Il calendario è il risultato di una certosina fusione tra identità socioculturali e tecnologia, ricerca e passioni, rispetto per le tradizioni e volontà di innovazione, tutto per garantire tutela dell’ambiente e soddisfazione dei consumatori». È stato distribuito a tutte le imprese del comparto, alle istituzioni e alle pubbliche amministrazioni (fonte: Confagricoltura).

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L’ostrica di Goro: eccellenza, innovazione e sostenibilità di Elena Tamburini, Alessandra Castellini, Alessandro Ragazzoni, Monia Castellini, Marianna Marzano, Gloria Minarelli, Chiara Bertelli, Edoardo Turolla, Vadis Paesanti, Giuseppe Castaldelli

Si sono recentemente conclusi i dieci mesi di attività del progetto “Elementi di innovazione ambientale ed economica per lo sviluppo e la promozione dell’ostricoltura regionale”, finanziato nell’ambito della Priorità 4 FEAMP 2014-2020 SSL FLAG COSTA DELL’EMILIAROMAGNA. Il progetto aveva come obiettivo principale la valutazione delle prospettive di sviluppo del comparto ostricolo di Goro attraverso l’individuazione di processi produttivi innovativi e l’introduzione di modelli di gestione cooperativa volti

a favorire da un lato la competitività e lo sviluppo di mercato, dall’altro assicurare sostenibilità economica (crescita dell’area, nascita nuove aziende, stabilizzazione politiche di prezzo), ambientale (garanzia di controllo sull’uso delle risorse, basso impatto ambientale) e sociale (miglioramento della qualità di vita lavorativa dei pescatori) all’intero comparto. L’ostrica concava (Crassostrea gigas) è l’ostreide più diffuso e allevato su scala globale per le qualità delle sue carni e per la grande

“rusticità” che la rende adatta a svariate soluzioni colturali in differenti siti. Questa specie, pur essendo originaria dell’area del Pacifico, è ormai considerata cosmopolita giacché introdotta accidentalmente o volontariamente in molte aree geografiche temperate, comprese le coste italiane e nel Delta del Po, dove è presente dalla seconda metà degli anni Sessanta. A livello italiano, le ostriche sono un prodotto decisamente apprezzato, con consumi in crescita specialmente in determinati perio-

L’Italia ha una antica tradizione di allevamento di ostriche che risale ai tempi degli antichi Romani. 48

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A Goro, l’allevamento di ostriche è effettuato in mare aperto, in sospensione su impianti long-line. di dell’anno, ma la quasi totalità oggi è di importazione, soprattutto francese. La produzione nazionale è, infatti, ancora quasi del tutto trascurabile, meno di 500 tonnellate/ anno, a fronte di un consumo annuo di circa 9.000 tonnellate. L’Italia in realtà ha una antica tradizione di allevamento di ostriche che risale ai tempi degli antichi romani, ma con la caduta dell’impero la tradizione si è persa e solo con l’inizio dell’era moderna le ostriche hanno riacquistato una loro importanza, in particolare sulle tavole dell’aristocrazia francese, tanto da diventare nell’immaginario collettivo un prodotto totalmente legato alla Francia. Solo negli ultimi dieci anni anche nel nostro Paese è stata ripresa la tradizione con una certa continuità. Sono esempi significativi l’ostrica rosa di Scardovari, l’ostrica verde del Golfo dei Poeti in Liguria, l’ostrica bianca del Gargano, l’ostrica di Sardegna e l’ostrica di Goro, dove

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da qualche anno si produce anche l’ostrica d’oro. Il comune di Goro si trova in provincia di Ferrara, nella parte meridionale del Delta del Po, affacciato sull’omonima laguna, denominata localmente “sacca”. La Sacca di Goro è conosciuta in Italia e all’estero per la produzione di molluschi, in particolare le vongole veraci, di cui è il primo produttore in Europa. A Goro, l’allevamento di ostriche è ancora agli inizi, in quanto è praticato da poco più di una decina di addetti e fornisce circa 20 tonnellate di prodotto all’anno. L’allevamento è effettuato in mare aperto, in sospensione su impianti long-line, e consta di quattro fasi: il reperimento del novellame, il pre-ingrasso, che dura 2-3 mesi, durante il quale le ostriche crescono da pochi millimetri a 2-3 centimetri, l’ingrasso, che dura 7-10 mesi a seconda delle condizioni ambientali e che porta le ostriche fino alla taglia commerciale

di 6-7 cm, e, infine, la selezione e il confezionamento. Tutto il seme che viene utilizzato in Italia, e a Goro, è di importazione francese, ma a Goro è ora attiva una produzione locale di seme, in schiuditoio, che permette di realizzare una filiera ostricola completamente locale. Nell’ambito del progetto sono stati valutati diversi scenari di produzione, affiancando alla produzione tradizionale in mare anche la possibilità di effettuare il pre-ingrasso in laguna e trasportare poi le ostriche in long-line solo per l’ingrasso. I termini della valutazione si sono concentrati sulla fattibilità economica e sulla sostenibilità ambientale. La sostenibilità ambientale è stata valutata attraverso l’analisi di ciclo di vita (LCA), con specifica attenzione al calcolo dell’impronta di carbonio. In particolare, è emerso come la produzione a km 0, con seme prodotto a Goro e la riduzione delle uscite in barca, e di conseguenza i

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ridotti consumi di carburante, assicurino un prodotto a bassissimo impatto ambientale in termini di emissioni di chilogrammi di CO2 equivalenti. A titolo d’esempio, la produzione di 1 kg di ostriche a Goro comporta circa 400 grammi di emissioni di CO2 eq., mentre produrre la stessa quantità di carne bovina ne produce circa 30 kg, di carne suina circa 6 kg, di crostacei circa 15 kg, di salmone allevato circa 2,5 kg. Ciò, senza considerare poi i benefici per l’ecosistema marino, derivanti da una produzione che non necessita di alcun apporto esterno di mangime, né di somministrazioni di antibiotici o antiparassitari, tipiche della pescicoltura intensiva. In aggiunta, va anche sottolineato che, nel processo di crescita della conchiglia, le ostriche, come tutti gli altri bivalvi, generano un sequestro irreversibile di CO2 dal mare sotto forma di carbonato di calcio, rendendone la produzione completamente neutra sul fronte del bilancio del carbonio. In senso allargato, quindi, i molluschi bivalvi, ostriche come vongole e cozze, sono ormai ritenuti fonte di proteine sostenibili per l’alimentazione del futuro, come riportato negli ultimi report della FAO del 2018 e del 2020 sullo stato della pesca e acquacoltura mondiale. Oltre ad essere sostenibile dal punto di vista ambientale, l’analisi economica ha dimostrato come l’ostricoltura rappresenti una buona opportunità di diversificazione della produzione, con la possibilità di generare profitti in tempi brevi, secondo le stime del mercato. Al netto degli investimenti per l’impianto e la barca, con un impegno di 110 giornate/anno, una produzione di circa 8,5 tonnellate, e con un prezzo di vendita ipotizzato di 9 €/kg, l’attività genera un utile medio di gestione che oscilla tra i 10.000 e i 18.000 euro, a seconda degli scenari di produzione. In particolare, il maggior valore per tutti gli attori della filiera (fornitori, produttori, clienti, consumatori) viene creato e mantenuto se il sistema scelto per lo sviluppo del comparto è orientato al coope-

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rativismo, mutuando l’esperienza già positiva e consolidata della principale filiera locale, quella della venericoltura. L’ostricoltura, dunque, rappresenta sicuramente un’opportunità per il territorio, avendo ampi margini di aumento della produzione rispetto alla domanda, ma è chiaro che la sfida per i nuovi addetti è ancora tutta in salita, dal momento che a fronte di potenzialità future, i rischi e gli investimenti devono essere presenti. Il principale punto di debolezza alla diffusione della produzione di ostriche è perciò l’attuale reticenza dell’imprenditoria ad intraprendere una produzione nuova, a fronte di una filiera che oggi è strutturata solo per le esigenze della ristorazione locale e va tutta costruita e riorganizzata, a partire dalla logistica e dalla distribuzione. La possibilità di darsi una gestione cooperativa diviene un vantaggio anche in termini di promozione del prodotto, potendo accedere a canali di marketing che il singolo produttore non riuscirebbe ad approcciare. Le ostriche, infatti, sono per il consumatore italiano un prodotto associato al lusso e ad un consumo legato ad un’esperienza complessiva di gusto e fascinazione che deriva anche dal territorio di provenienza recente di questa tradizione culinaria. Questo immaginario attualmente è legato per lo più alla Francia e per la promozione allargata del prodotto servirebbe un intervento mirato e condiviso tra tutti, produttori, commercianti e distributori, per diffondere una percezione nuova di un prodotto italiano. Di fatto, ha iniziato a diffondersi tra i consumatori italiani la curiosità di assaggiare il prodotto italiano e locale, così come tra gli operatori della ristorazione, favorevoli ad inserire nei loro menù l’ostrica nazionale, dimostrando come il mercato riconoscerebbe il valore del prodotto in sé e del racconto di un territorio ad esso associato. A tal proposito è auspicabile un percorso di valorizzazione basato su un marchio proprio delle associazioni di produttori che sia al tempo stesso garanzia dell’applicazione

di un processo produttivo a basso impatto e anche un’opportunità per identificare prodotto, territorio e ostricoltori. In conclusione, il progetto ha permesso, come atteso, di fornire al territorio gli elementi necessari per comprendere le potenzialità di avviare una produzione innovativa, anche in un’ottica vantaggiosa di diversificazione in un contesto di monoeconomia basato sull’allevamento della vongola, e ha fornito gli strumenti per intraprendere la giusta via di valorizzazione commerciale, integrata ad una promozione territoriale complessiva. Elena Tamburini Alessandra Castellini Alessandro Ragazzoni Monia Castellini Marianna Marzano Gloria Minarelli Chiara Bertelli Edoardo Turolla Vadis Paesanti Giuseppe Castaldelli

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AZIENDE

Alla scoperta de La Selvaggia di Marina di Ravenna di Elena Benedetti

Si parla e scrive tanto di economia circolare, un modello di produzione e di consumo che ha alla base la condivisione e il riciclo di materiali che possono così generare ulteriore valore. Ecco, c’è una realtà a Ravenna che si fonda proprio su un concetto di circolarità e che ha messo insieme soggetti sulla carta distanti anche anni luce tra loro. Lo scorso fine settembre il Comune di Ravenna ha firmato un accordo condiviso e si-

glato anche da ENI DICS, multinazionale leader nella produzione di gas ed energia elettrica, CIFLA (Centro per l’Innovazione di Fondazione Flaminia Distretto Centro-Settentrionale che promuove l’innovazione delle imprese e del territorio), CESTHA (Centro Sperimentale per la tutela degli Habitat), le cooperative di pesca LA ROMAGNOLA e NUOVO CONISUB SOC. COOP, Slow Food Ravenna e l’agenzia pubblicitaria Tuttifrutti.

Che cosa lega tutti questi soggetti? Una cozza unica e speciale: La Selvaggia di Marina di Ravenna. Ne abbiamo parlato con tre protagonisti del progetto, i presidenti delle due cooperative di pesca, SAURO ALLEATI de La Romagnola e Gabriele Barberini di Nuovo Conisub Soc. Coop, e con SIMONE D’ACUNTO, direttore del CESTHA, che ha seguito lo sviluppo del marchio.

La prima selezione delle cozze avviene a bordo delle barche (photo © Max Cavallari).

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La Romagnola è negli anni diventata capogruppo di un raggruppamento temporaneo di imprese il cui personale con il tempo ha acquisito una vera e propria specializzazione, trasformandosi da pescatore subacqueo a operatore tecnico subacqueo con brevetti internazionali, incrementando così sempre di più la propria professionalità. Da pescatore tradizionale a pescatore subacqueo La storia della cooperativa La Romagnola inizia nel 1971, quando un gruppo di pescatori che svolgeva la propria attività andando a pescare con reti a strascico e da posta, decise di costituirsi ed organizzarsi in una cooperativa, vendendo poi il proprio prodotto al locale mercato ittico. «Anno dopo anno però il mestiere della pesca tradizionale iniziò ad andare in declino» mi spiega Sauro Alleati. Il motivo? «Non ci fu il passaggio generazionale da padre in figlio nel tramandare il mestiere del pescatore tradizionale». I pescatori tradizionali stipularono un contratto

con l’allora AGIP SPA e si trasformarono in quelli che sono conosciuti come i cozzari di Marina di Ravenna. Il loro compito era quello di provvedere alla raccolta (disincrostazione) dei mitili delle piattaforme off-shore, un’attività che ben presto divenne una loro principale fonte di reddito. E fu così che nel 1997 si sviluppò la Soc. Coop. Piccola e Media Pesca La Romagnola. «Col tempo la marineria di Ravenna ha cambiato faccia: da pesca tradizionale si è passati alla pesca subacquea, che consiste nel pulire e mettere in sicurezza le piattaforme Eni e provvedere alla raccolta cozze» sottolinea Alleati. Il tutto con l’impiego di 8 barche (4 de

A differenza delle cozze d’allevamento questa cozza, oltre a riprodursi in modo naturale, cresce spontaneamente in un habitat a condizioni ambientali favorevoli e costantemente monitorato. Il marchio La Selvaggia di Marina di Ravenna è nato perché il prodotto era conosciuto ma, non essendo certificato, era soggetto a frodi

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La Romagnola e 4 di Nuovo Conisub Soc. Coop) che richiedono, per ogni imbarcazione, un equipaggio minimo di 4 pescatori che oggi sono operatori tecnici subacquei. «È un lavoro difficile e pesante che viene svolto mediamente tra aprile e ottobre e, dovendosi confrontare con il mare, spesso in condizioni non proprio ottimali» precisa il presidente de La Romagnola. La Soc. Coop. Nuovo Conisub, costituita a fine anni ‘80, è nata appositamente per fare questo tipo di lavoro. «Ci siamo tutti riconvertiti alla pesca subacquea e reinventati un lavoro da svolgere sotto alle piattaforme Eni» mi spiega Gabriele Barberini. «È un lavoro complesso, che dura 7-8 mesi all’anno e che si articola nelle piattaforme che si estendono dal largo della foce del Po fino a Pesaro. Ma è anche un lavoro remunerativo, pur se molto difficile e certamente non adatto a tutti. Da pescatori siamo diventati subacquei! Le caratteristiche dell’Adriatico lo rendono un mare ricco di nutrienti ma, in alcune giornate, particolarmente torbido. Questo aspetto fa sì che in alcuni periodi, spesso a seguito delle cosiddette fiumane, la visibilità non sia eccelsa, per questo il nostro lavoro è divenuto sempre più specializzato. Al di sotto di una piattaforma noi sappiamo muoverci bene, conosciamo talmente bene l’ambiente che siamo in grado di orientarci anche attraverso il tocco delle superfici» sottolinea Barberini. La raccolta delle cozze di categoria A, pronte al commercio La manutenzione delle piattaforme richiede la periodica pulizia delle strutture e rimozione dei mitili che vengono così recuperati e — tornando al concetto della circolarità — immessi in commercio. Il prodotto staccato dagli operatori subacquei viene issato sulle barche e sottoposto ad una prima lavorazione, con selezione in base alle taglie (per legge superiore ai 5 cm), insacchettamento e pesatura. «Le cozze che non raggiungono la taglia minima sono rigettate in mare come prodotto vivo» precisa Gabriele Barberini.

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Inizialmente legata alla normale attività di pulizia e manutenzione dei piloni delle piattaforme Eni sui quali nasce e cresce, nel tempo La Selvaggia di Marina di Ravenna è passata da essere un elemento di scarto e disturbo ad una risorsa commerciale e pregiata. Una volta arrivato a terra il prodotto è già pronto per essere direttamente spedito in tutta Italia. «Si tratta infatti di cozze di categoria A — come da certificazione della ASL — che quindi non devono essere sottoposte ad alcun processo di stabulazione in quanto i suoi parametri rientrano ampiamente nei limiti di legge, tali per cui non è necessario prevedere alcun processo successivo». Un prodotto naturale A differenza delle cozze d’allevamento questa cozza, oltre a riprodursi in modo naturale, cresce spontaneamente in un habitat a condizioni ambientali estremamente favorevoli, monitorato costantemente. «La costruzione delle piattaforme portò con sé una legge, quella che vietava la pesca da traino nell’area fuori Ravenna. Quindi in quest’area da molti anni vige il divieto della pesca a traino e ciò ha sicuramente contribuito a preservare biodiversità marina» sottolinea Sauro Alleati. E questo è un punto centrale del progetto de La Selvaggia di Marina di Ravenna, perché l’habitat in cui crescono

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questi mitili è davvero unico, e lo si sente nel sapore. Il marchio Va da sé che il valore di questi mitili abbia spinto i soggetti del territorio a unirsi per strutturarsi in un progetto che oggi vanta un marchio ad hoc, La Selvaggia di Marina di Ravenna, risultato appunto di un lungo percorso fatto dai “pescatori” con la collaborazione di CESTHA e CIFLA, finanziato dal bando FLAG COSTA dell’Emilia-Romagna all’interno della misura 4.63, azione 1.C b), qualificazione delle produzioni e dei luoghi dove si svolge l’attività dell’operatore ittico – interventi immateriali. D’altra parte non dimentichiamoci che siamo in Romagna, una terra operosa in cui la collaborazione e il lavorare insieme in modo costruttivo e proattivo è nel DNA di tutti. Da qui è nato un marchio che ha coniugato in modo sostenibile l’industria, la pesca, il turismo e l’ambiente. «Il marchio è nato perché il prodotto era già conosciuto ma non essendo certificato da un bollino era soggetto a frodi» precisa Simone D’Acunto,

direttore del CESTHA e a capo, per le cooperative, dello sviluppo del marchio. «Abbiamo quindi deciso di tutelarci per difendere la qualità del prodotto e quest’anno — grazie al supporto del progetto FLAG – La Selvaggia di Marina di Ravenna è arrivata anche sui banchi della GDO». Quali sono le prospettive future? «Stiamo lavorando per implementare sempre di più la rete di vendita che, ci auguriamo, sia capillare a livello territoriale. Se tutti gli stabilimenti balneari di Marina di Ravenna fornissero anche queste cozze si potrebbe, ad esempio, sviluppare un turismo gastronomico legato a questo prodotto» sottolinea D’Acunto. «Un altro aspetto è la lavorazione del prodotto che per ora è partita come un esperimento di commercializzazione. Stiamo lavorando ad un preparato pensato sia come souvenir turistico sia come prodotto da consumare fuori stagione di pesca: un sugo delle cozze e una cozza al naturale in un preparato che possa tenere vivo il racconto di questo prodotto unico e al tempo stesso mettere curiosità e invogliare a venirlo a mangiare qua in stagione!». Sul prossimo numero de IL PESCE vi racconteremo le peculiarità e caratteristiche di questo prodotto, del suo habitat e della sostenibilità alla base di questo progetto. Da non perdere! Elena Benedetti

Piccola e Media Pesca La Romagnola Soc. Coop. Via Molo Dalmazia 53 48100 Marina di Ravenna (RA) Web: cooperativalaromagnola.it Nuovo Conisub Soc. Coop. Via Molo Dalmazia 47 48100 Marina di Ravenna (RA)

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Bottega d’acqua, quando la gastronomia si unisce al bistrot Andrea Bergamasco ci racconta questa nuova avventura, un concept moderno in cui è protagonista il pesce, con tutte le garanzie di sicurezza di Mondel di Elena Benedetti

L’idea di ANDREA BERGAMASCO è semplice e al tempo stesso innovativa. Me la racconta tutta d’un fiato, a fine giornata, dopo aver trascorso mattina e pomeriggio a supervisionare i suoi tre locali, affaccendato in mille cose tutte urgenti.

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«Sia chiama Bottega d’acqua e da settembre 2021 è un locale che a Monselice (PD) offre prodotti di pesce di qualità superiore sia per asporto che per consumo sul luogo» mi dice Andrea. «Non volevo la pescheria tradizionale dove compri e

vai. Volevo — e oggi posso ritenermi soddisfatto — un locale moderno che cattura l’attenzione del cliente, ne stuzzica l’appetito e le sue curiosità, seguendone i gusti e soddisfacendo le sue richieste sempre al massimo! Vuoi una tartare, una zuppa, un

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La scelta del banco frigorifero Mondel Moku, disegnato sulla base delle esigenze della bottega, non è stata scontata: Moku è un capolavoro di design e robustezza, che più di tutti unisce eleganza e versatilità a 360°, con tante destinazioni d’uso per un banco unico. La sua struttura, all’interno come all’esterno, è interamente realizzata in acciaio inox, saldato a mano dagli esperti artigiani dell’azienda padovana.

primo piatto? Il pescato del giorno offre magari sarde fritte? Ostriche, scampi, tonno? Ci sono le crudità, le insalate di pesce, le polpette al sugo di tonno, i moscardini con crema al prezzemolo, il calamaro ripieno. Ogni giorno presentiamo il nostro

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pesce, tutto fresco e della nostra Laguna di Venezia e il cliente sceglie ciò che preferisce!». Questa è la filosofia della Bottega d’acqua, un locale strepitoso, curatissimo nell’offerta di piatti e di materie prime freschissime ma

anche accogliente, avvolgente nel design che coniuga la modernità e funzionalità dei banchi frigoriferi al calore degli interni. Non c’è un menù prefissato, la clientela guarda, valuta, sceglie e decide cosa consumare nella parte

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Bottega d’acqua è progettato insieme a Mondel perché le sue anime sono tante: vendita al dettaglio, consumo, pranzo, apericena, tutti stili di consumo differenti tra loro che richiedono flessibilità e professionalità, anche nell’allestimento e gestione della materia prima, ovviamente delicatissima. In foto, il banco frigorifero Moku di Mondel, scelto da Bottega d’acqua per le linee del design moderno e per la versatilità della sua struttura, realizzata interamente in acciaio inox, che si presta a diversi utilizzi. bistrot o cosa portare a casa in quella riservata alla gastronomia. «Siamo una nuova realtà nella medievale città di Monselice ma abbiamo alle spalle un’esperienza ventennale» sottolinea Andrea Bergamasco. «Monselice è un comune della provincia di Padova che conta 21.000 abitanti. Di questi, 10.000 lavorano fuori città, rientrando dopo il lavoro con l’esigenza di trovare un locale capace di garantire un’ampia offerta di prodotti freschissimi, da acquistare e portare a casa o da degustare magari con un calice di bollicine nel nostro bistrot. La nostra clientela va dai 25 ai 50 anni, è dinamica ed esigente, com’è giusto che sia. La nostra idea è stata quella di riunire, in un unico locale, un connubio di due esperienze di acquisto e consumo di pesce: la gastronomia si distingue per la stagionalità del pescato, per la ricercatezza delle preparazioni cotte e per la qualità del pesce crudo. Il bistrot a pranzo garantisce un servizio di cucina e sala di alto livello con piatti elaborati e moderni mentre

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alla sera è perfetto per gustare un aperitivo accompagnato da piatti freddi e caldi con bottiglie selezionate di cantine locali». Ovviamente l’impostazione di un locale come la Bottega d’acqua è complessa e articolata: tre persone in cucina a lavorare il pesce e a preparare i piatti, la figlia di Andrea dietro al banco e una persona di supporto sono tutti insieme la forza di questo locale. Un locale progettato insieme a Mondel perché le sue anime sono tante: vendita al dettaglio, consumo, pranzo, apericena, tutti stili di consumo differenti tra loro che richiedono flessibilità e professionalità, anche nell’allestimento e gestione della materia prima, ovviamente delicatissima. La scelta del banco frigorifero Moku, disegnato sulla base delle esigenze della Bottega d’acqua, non è stata certo scontata: Moku è un capolavoro di design e robustezza. È infatti il banco Mondel che più di tutti unisce eleganza e versatilità a 360°, con tante destinazioni d’uso per un banco unico. La struttura di

Moku, all’interno come all’esterno, è interamente realizzata in acciaio inox, saldato a mano dagli esperti artigiani dell’azienda di Cervarese Santa Croce (PD). Il lavoro di progettazione del banco è stato fatto insieme ad Andrea Bergamasco, per realizzare un allestimento perfettamente funzionale e in linea con le tante anime di questo locale. Elena Benedetti Bottega d’acqua Via 28 Aprile 1945 56 35043 Monselice (PD) Web: www.facebook.com/Bottegadacqua

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ORIGINE, primo sistema di tracciabilità del pescato nel piatto L’ha sviluppato il Gruppo Manno per i ristoranti Vivo, introducendo così una vera e propria innovazione tecnologica che consente ai clienti risalire all’esatto punto di cattura del pescato presente nei piatti del menù GRUPPO MANNO, uno dei principali player europei del settore ittico e leader nel pescato nazionale a cui fanno capo i ristoranti Vivo, lancia ufficialmente ORIGINE, il primo sistema di tracciabilità al mondo che consente ai clienti dei propri ristoranti di controllare l’esatto punto di cattura del pescato presente nei piatti del menù.

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ORIGINE nasce dalla collaborazione tra Gruppo Manno e Made in App, agenzia toscana che si occupa di sviluppo software, e rappresenta una vera e propria innovazione all’interno del settore ittico. Partendo dal sistema di tracciamento di filiera già in essere, sviluppato a quattro mani dalle due realtà toscane, che consente agli operatori del

settore di conoscere la provenienza del pesce acquistato alle aste, ora ORIGINE permette anche al cliente finale di sapere esattamente da dove proviene la materia prima, da quale imbarcazione e in quale punto del Mar Tirreno è stata pescata. Tutto questo è possibile perché Gruppo Manno ha ideato e tuttora gestisce tutto il processo di filiera: partendo

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Abbiamo fatto della nostra passione il nostro lavoro L’Acquachiara s.r.l. Via Orti Ovest 1, 30015 Chioggia (Venezia), ITALIA lacquachiara.it

L’ACQUACHIARA s.r.l. nasce da una grande passione per il mare e per i suoi frutti migliori. Siamo presenti in tutti i più importanti mercati ittici nazionali in prima persona o tramite nostri fidati collaboratori, con l’obiettivo di garantire costantemente il più ampio assortimento di frutti di mare e pescato nazionale, rispettando con rigore e responsabilità i periodi di fermo biologico. Siamo cresciuti mettendo sempre al primo posto la qualità e la sicurezza alimentare e, grazie a questo percorso virtuoso, siamo riusciti a sviluppare una rete commerciale che copre l’intero territorio nazionale e ad oggi serviamo regolarmente clienti in tutti i paesi europei.


dalla pesca attraverso la sua flotta di pescherecci, passando per la successiva vendita all’asta, attraverso la quale viene commercializzato l’85% del pescato di Porto Santo Stefano e un terzo di tutta la produzione ittica toscana, fino alla fornitura del pesce ai propri ristoranti. Nello specifico, ogni imbarcazione prima dell’asta comunica agli addetti le coordinate GPS in cui ha pescato nelle ore precedenti, ad ogni cassa di pesce viene associata l’area di pesca relativa, dopo la cassa viene pesata su bilance gestite dal server del software, che attivano le fotocamere collegate, le quali scattano in automatico la foto del pesce; infine, viene assegnata un’etichetta che riporta qualità del pescato, nome del peschereccio e lotto di pesca. Tutte le informazioni vengono registrate sul portale dedicato, che le memorizza fino alle 72 ore successive. Nel momento in cui il pescato arriva in consegna ai ristoranti Vivo, il personale, attraverso un’interfaccia appositamente studiata per loro, semplicemente inserendo la qualità del pesce acquistata nella stringa di ricerca, può assegnare le informazioni associate alle singole casse e inserire così all’interno del menù digitale le informazioni sul pescato che compongono i vari piatti dell’offerta.

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Vicino ad ogni singolo piatto, il menù digitale presenta l’icona rossa tipica del map pin, cliccando sulla quale il cliente può risalire facilmente all’origine del pesce ordinato e sapere esattamente da dove proviene: sulla schermata dedicata appare infatti una mappa con la geolocalizzazione tramite coordinate e nome del peschereccio. Le future applicazioni di ORIGINE, per il cui sviluppo è servito un anno di lavoro a stretto contatto tra il Gruppo Manno e Made In App, potrebbero ampliarsi ulteriormente andando a costituire una nuova milestone nel settore ittico nazionale e non solo, servendo anche i ristoranti del panorama internazionale clienti sempre del Gruppo Manno.

Il Gruppo Manno è uno dei principali players europei del settore ittico, leader nel pescato nazionale, guidato dalla quarta generazione della famiglia. Con una storia iniziata nel 1904, il Gruppo ha diversificato negli anni le proprie attività fino ad arrivare oggi ad avere sei società controllate, che consentono di vantare un presidio di tutta la filiera: dal momento della pesca sino all’offerta finale al cliente. >> Link: www.ristorantevivo.it

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Orobica Pesca: un nuovo servizio a firma dello chef Francesco Gotti Se secondo il rapporto COLDIRETTI-CENSIS sulle abitudini alimentari degli Italiani, il 68% della popolazione dimostra un alto interesse nel tornare a mangiare fuoricasa, dall’altra parte, una ricerca Mastercard dimostra come la passione per la cucina fai da te sia in netto rialzo. Una cucina che prevede sperimentazione e pietanze a base di pesce, oltre che materie prime alimentari pregiate e complesse. Per rispondere a questa tendenza, Orobica Pesca ha investito in una nuova sfida e siglato un importate accordo con lo chef Francesco Gotti (in foto), che porterà con sé tante nuove proposte: in prima battuta, dopo accurato studio, verrà introdotta una linea gastronomica che racchiude l’expertise professionale dell’alta cucina con la qualità e la garanzia di Orobica Pesca. Sulla base poi dell’esperienza di Gotti, che vanta incarichi come docente presso importanti scuole di cucina e pasticceria, verrà dato ampio spazio anche al tema della formazione, attraverso corsi formativi e di aggiornamento, degustazioni e test di prodotto rivolti al grande pubblico, ma anche ad esperti del settore. «Il 2022 per noi di Orobica Pesca è un anno di grande ripartenza. Dopo il 2020 segnato dalla pandemia e il 2021 dove abbiamo lavorato per continuare ad essere punto di riferimento del settore Ho.Re.Ca. italiano, andiamo ad aggiungere un ulteriore servizio per i nostri clienti. Il nuovo Hub di Stezzano, già predisposto per accogliere questa nuova attività, oggi si completa con un reparto gastronomia innovativo in grado di fornire a chef Gotti spazi, attrezzature e strumenti studiati per un uso specifico nel settore della gastronomia professionale e casalinga» ha commentato FRANCA CACCIOLO MOLICA, presidente di Orobica Pesca. «Dal 1965 affianchiamo i nostri clienti nelle decisioni in cucina, sia per motivi di lavoro sia volte a rendere più gradevole una serata in compagnia. Nuove sfide ci aspettano, ma la preparazione professionale e la conoscenza approfondita del mercato ci consentiranno di crescere ancora». >> Link: orobicapesca.it

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Un’innovazione del settore che nasce dall’ascolto del mercato

Nostromo-Gruppo Calvo rivoluziona le scatolette Semplicità, facilità e sostenibilità: nasce all’insegna di questi tre fattori l’innovazione “Apri gira facile®” presentata recentemente da NOSTROMO nel corso di un evento in streaming al quale hanno partecipato GIANLUCA CEVENINI, direttore commerciale Nostromo Spa; GIULIA BIZZARRI, marketing manager Nostromo Spa; MARIVÍ SÁNCHEZ, direttrice sostenibilità e comunicazione Gruppo Calvo; Mané Calvo, CEO Gruppo Calvo. Quali sono esattamente le caratteristiche della nuova confezione Nostromo? Lattina priva di bordo interno, per poter rovesciare il prodotto direttamente sul piatto senza l’ausilio della forchetta; coperchio flessibile in alluminio per aprire la confezione in totale sicurezza e

facilità; minor impatto ambientale, grazie ad una ridotta quantità di olio rispetto al prodotto standard, che consente di gustare il tonno senza sgocciolarlo; ancora più succosità del tonno a pinne gialle, grazie alla nuova tecnologia che migliora il processo di confezionamento. “Apri gira facile®” ha fatto ingresso nel mercato italiano da inizio 2022 con il Tonno Nostromo in olio d’oliva come prima referenza. Nostromo leader di innovazione “Apri gira facile®” è il risultato più visibile di una sfida iniziata quattro anni fa col piano di trasformazione industriale di Nostromo-Gruppo Calvo — Nostromo è parte del Gruppo dal 1993 — che ha previsto

un investimento di 30 milioni di euro per la completa riprogettazione del processo produttivo nel proprio stabilimento europeo a Carballo (Coruña). Dopo l’introduzione di novità che hanno rivoluzionato il comparto, come la lattina tonda e la confezione da tre lattine, col contenitore “Apri gira facile®” e la tecnologia Real Peel® che lo rende possibile, Nostromo si fa ancora una volta leader di innovazione, introducendo nel mercato un nuovo modo di produrre, confezionare e consumare il tonno conservato, più efficiente, sostenibile e in linea con le esigenze dei consumatori. «L’innovazione è nel DNA di Gruppo Calvo e quindi di Nostromo — sottolinea Gianluca Cevenini — un’innova-

Con “Apri gira facile®” Nostromo innova il modo di produrre, confezionare e consumare il tonno in scatola.

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zione che nasce sempre dall’ascolto del mercato. A questo si unisce la vocazione al miglioramento continuo, nell’ottica di offrire qualità e valore aggiunto ai consumatori e ai clienti. Ma l’innovazione richiede anche investimenti e competenze per la trasformazione tecnologica e industriale, un percorso che Gruppo Calvo ha sostenuto con forza e che ci ha permesso di raggiungere questo grande risultato». Questa sfida è partita dalle esigenze specifiche espresse dai consumatori, coinvolti attraverso un’indagine realizzata a monte del processo. «Abbiamo chiesto ai consumatori come immaginavano la confezione di tonno “ideale”» spiega Giulia Bizzarri. «L’indicazione è stata quella di un contenitore di facile apertura che potesse essere svuotato senza necessità di utilizzare la forchetta. “Apri gira facile®” nasce così, come innovazione che esaudisce le richieste dei consumatori per semplificare l’esperienza di consumo, migliorare il servizio e la presentazione del prodotto. Quella del tonno in scatola è una categoria tradizionale, nella quale le possibilità di innovazione e distinzione a scaffale sono sempre più scarse. Con “Apri gira facile®” offriamo una vera novità e confidiamo che i consumatori possano apprezzarne la differenza». Ma a trarre beneficio da questa novità è anche il pianeta. «3 consumatori su 4 non consumano l’olio contenuto abitualmente nelle lattine e almeno il 37% dichiara di buttarlo. Con “Apri gira facile®”, alla riduzione di circa 15 g netti di olio per lattina si aggiunge che, grazie al recupero dell’intera porzione di tonno, si evita lo spreco di briciole di prodotto non facili da estrarre dal contenitore standard» sottolinea Mariví Sánchez. «I prodotti “Apri gira facile®” rispettano gli obiettivi di sostenibilità del programma “Impegno responsabile” del Gruppo Calvo secondo cui, entro il 2025, il 100% del tonno impiegato per i propri marchi, incluso Nostromo, proverrà da una pesca responsabile e sostenibile». >> Link: tonnonostromo.it

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Fast Blade: affilacoltelli made in Italy sempre perfetto Brevettato e prodotto dalla vicentina Menegon Ennio Sas, questo affilacoltelli professionale è veloce, pratico, sicuro e, soprattutto, non necessita di alcuna manutenzione. Accessibile anche a chi non è di settore I professionisti del settore ittico, così come quelli della carne e della ristorazione, si ritrovano quotidianamente a lavorare con coltelli non taglienti, che compromettono non solo la qualità ma anche il servizio stesso. La soluzione al problema c’è e si chiama Fast Blade, un prodotto 100% made in Italy brevettato e realizzato dall’azienda metalmeccanica veneta MENEGON ENNIO SAS. Fast Blade è un affilacoltelli che

vanta una serie di caratteristiche che lo differenziano sul mercato: pratico, semplice, solido, di facile utilizzo ma, soprattutto, alla portata di tutti. Veloce, efficace e semplice «La praticità e velocità di utilizzo è uno dei punti di forza del Fast Blade, che sorprende chiunque lo utilizzi: in un solo passaggio, infatti, si ottiene un’affilatura professionale senza la minima imperfezione o

Fast Blade è un affilacoltelli professionale di nuova generazione. Le caratteristiche di questo affilatore professionale sono praticità, semplicità e velocità d’esecuzione, sicurezza ed efficacia.

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Con questo affilacoltelli si possono lavorare lame in metallo o ceramica, con angolo di filo a punta o a botte. E, grazie alla diversa granulosità dei nastri abrasivi, è possibile realizzare innumerevoli finiture di lame senza la minima imperfezione o sbavatura sbavatura in entrambi i lati della lama» ci raccontano i responsabili dell’azienda. «Se si utilizzano lame in acciaio o in ceramica poco conta: Fast Blade le lavora entrambe producendo un’affilatura eccezionale che sfrutta la lama in tutta la sua lunghezza, fino all’attacco dell’impugnatura». Affilatura personalizzabile: con cinque marce in più Una ghiera centrale permette di selezionare 5 diversi angoli d’affilatura ed è stata creata appositamente per facilitare l’affilatura anche a tutti

coloro che non sono qualificati o specifici nel settore (arrotini). La diversa angolatura permette inoltre di ottenere un angolo più o meno acuto del profilo della lama, quindi da una lama col profilo a rasoio fino alla lama dal profilo a botte. Solido Tutta la struttura e i vari componenti sono prodotti con i migliori materiali italiani per ottenere un’eccezionale durata d’esercizio. Il cuore della macchina è composto dai dischi e rotori che sostengono i tre nastri abrasivi, a garanzia della perfezio-

A sinistra: che usiate lame in metallo o ceramica, per Fast Blade non fa alcuna differenza. A destra: Fast Blade garantisce un’affilatura su tutta la lama.

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ne d’affilatura. Sostituirli è molto semplice: in pochi secondi si accede alla zona dove sono sistemati e con pochi passaggi si provvede alla loro sostituzione. I nastri abrasivi sono disponibili in varie granulosità; da quelli classici per la lucidatura e affilatura degli utensili in metallo a quelli diamantati per ottenere la lucidatura e affilatura degli utensili in ceramica. Sicuro Fast Blade rispecchia tutti i canoni di sicurezza previsti dalle vigenti normative in materia, ogni componente viene lavorato e testato a tutela dell’operatore. Dimostrazioni e prove gratuite presso l’azienda L’azienda si rende disponibile a far provare senza impegno Fast Blade, come garanzia non solo dei vantaggi sopraelencati ma, soprattutto, per dimostrare all’utilizzatore la maggior durata del “filo” sui propri coltelli.

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Rebranding di Sapore di Mare È stato realizzato da RBA Design in occasione dell’apertura del nuovo store di Chiavari, in provincia di Genova. La catena di pescherie specializzate in prodotti ittici surgelati completa così il processo di riposizionamento e totale rinnovamento della propria identità

È stato inaugurato a Chiavari (GE) il nuovo punto vendita di Sapore di Mare, catena di pescherie specializzata nella vendita di prodotti ittici surgelati e piatti pronti a base di pesce, presente sul territorio nazionale con oltre 100 store. Lo store ligure è il punto di arrivo di un lavoro iniziato dall’azienda già nel 2019, seguito in tutte le sue fasi da RBA Design. Un percorso che ha visto un intervento di rebranding completo: dalla visual identity alla

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comunicazione al cliente. Obiettivo primario, toccare tutti i touchpoint aziendali dando alla marca nuova visibilità e valorizzandone il posizionamento sul mercato. Il nuovo punto vendita di Chiavari rappresenta quindi anche un punto di inizio. È stato infatti realizzato con un’immagine totalmente rinnovata, volta a far vivere ai clienti l’esperienza della pescheria tradizionale all’interno di uno store urbano, moderno e accogliente.

Una formula innovativa in cui i prodotti sono venduti principalmente sfusi in un ambiente dedicato che ne garantisce la massima sicurezza, preservandone la qualità. Quello di Chiavari è un progetto pilota che sarà esteso a tutte le prossime aperture, realizzate in collaborazione con RBA Design. L’agenzia milanese, in collaborazione con lo studio di architettura Fase Modus, suo partner storico, ha finalizzato un nuovo concept architettonico che co-

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di Sebastiano IMPORT · EXPORT

Lavorazione di CROSTACEI & MOLLUSCHI C.da Baione snc • 70043 MONOPOLI (BA) T. 080 417 4806/07/10 - F. 080 93 74 000 - www.maregioioso.it - info@maregioioso.it


niuga internamente ed esternamente la nuova immagine coordinata del marchio, con una serie di arredi e di caratterizzazioni particolari che danno vita a un punto vendita contemporaneo, pur in un’atmosfera calda, tradizionale e accogliente. Il progetto ha visto le due realtà lavorare insieme sulla scelta dei materiali, sui colori e sui grafismi applicati su tutti gli elementi (strutture del negozio, vetrine, supporti e attrezzature), creando un’esperienza immersiva per i clienti. «Abbiamo deciso per coerenza e per storia di mantenere il nome, ma di dare un nuovo aspetto sia alla nostra insegna sia al punto vendita, per iniziare a tracciare la via per i prossimi 30 anni nei quali l’azienda opererà. La collaborazione con RBA Design è nata dall’esigenza di rinnovare la nostra immagine e ci siamo trovati a parlare la stessa lingua: RBA Design ha compreso le nostre esigenze ed è stata in grado di interpretarle e tradurle in una serie di azioni e di interventi». dichiara ROBERTO MANCUSO, Chief Operating Officer di Sapore di Mare. Il progetto di rebranding Partendo proprio dal desiderio di rinnovamento della marca, scelta voluta per comunicare a un bacino di consumatori più ampio, RBA Design ha impostato il nuovo progetto di rebranding per ottenere un totale riposizionamento del brand Sapore di Mare che valorizzasse i contenuti distintivi. L’agenzia ha lavorato sulla scelta di nuovi colori e iconografie, regalando freschezza e vivacità al brand, giocando sul contrasto tra i colori dell’acqua e del mare con accenti caldi. Il passaggio successivo ha visto RBA Design lavorare sul nuovo logo e sulla creazione del payoff, oggi “Le pescherie d’Italia”, che permette a Sapore di Mare di posizionarsi come specialista del pesce e brand di riferimento, affidabile e di qualità. Il nuovo logo e il nuovo pay off rimandano ad un tone of voice che si fa più colloquiale e vicino al consumatore, ma allo stesso tempo celebrativo della storia dell’azienda e del suo valore sul mercato. Il progetto di rebranding ha previsto anche lo sviluppo del nuovo

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sito, la gestione dei canali social e di tutte le attività below e above the line. «Siamo orgogliosi di avere lavorato a questo progetto fin dall’inizio — commenta STEFANO FABRUCCI, socio fondatore di RBA Design — individuando insieme al cliente la nuova corporate identity aziendale, intervenendo in maniera organica e coordinata su tutti i touchpoint che il consumatore ha quando si avvicina o intraprende una relazione a livello di comunicazione e di esperienza nel punto vendita. È una collaborazione ormai consolidata con l’azienda che ha come principale obiettivo portare la marca ad assumere un ruolo di assoluto protagonista sul mercato ittico italiano».

Il nuovo punto vendita di Sapore di Mare inaugurato a Chiavari a fine 2021, catena di pescherie specializzata nella vendita di prodotti ittici surgelati e piatti pronti a base di pesce, presente sul territorio nazionale con oltre 100 store.

RBA Design – Agenzia specializzata nel settore del branding e del design, con sede a Milano. Da più di 25 anni lavora su progetti volti a sviluppare identità di marca, con la missione di creare valore per le aziende clienti. Opera in diversi settori, in particolare il Food & Beverage. >> Link: rbadesign.it

>> Link: www.saporedimare.it

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Crescita record nelle esportazioni di prodotti alimentari irlandesi nel 2021 +4% per un valore di € 13.5 miliardi. Circa € 37 milioni di cibi e bevande irlandesi vengono esportati ogni giorno 2021/2022 di BORD BIA — l’ente governativo dedicato allo sviluppo dei mercati di esportazione dei prodotti alimentari, bevande e prodotti ortofrutticoli irlandesi —, l’anno scorso l’Irlanda ha esportato giornalmente l’equivalente di quasi 37 milioni di euro di cibo e bevande in più di 180

Paesi nel mondo. L’Irlanda esporta circa il 90% dei propri prodotti e le performance dell’export si sono mantenute solide, considerando la pandemia da Covid-19 tutt’ora in corso e il fatto che il Regno Unito operi ora al di fuori dell’Unione Doganale dell’UE. Nonostante

Ostriche irlandesi (photo © Bord Bia).

Il valore delle esportazioni di cibo, bevande e ortaggi irlandesi è aumentato del 4% raggiungendo, nel 2021, la cifra record di 13.5 miliardi di euro, nonostante l’impatto negativo della pandemia e della Brexit sul commercio. Secondo i dati dell’Export Performance and Prospects report

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Prodotti ittici Il valore delle esportazioni dei prodotti ittici irlandesi è tornato a crescere l’anno scorso, aumentando del 6% (per un valore di € 485 milioni), anche se i diversi settori hanno performato in modo differente: le esportazioni di molluschi, ad esempio, sono state incentivate dalla riapertura dei canali di ristorazione in Europa e in Asia durante il 2021 e il loro valore è aumentato del 25% (pari a € 165 milioni). Di contro, le esportazioni di pesci d’acqua dolce — il salmone in particolare — hanno avuto un anno difficile, a causa della maggiore concorrenza in alcuni mercati. In termini complessivi, il valore delle esportazioni è diminuito dell’8% per un valore di € 98 milioni. Scampi irlandesi, tra le migliori qualità di scampi presenti in Europa. ciò, il valore delle esportazioni di prodotti alimentari irlandesi è cresciuto del +2% rispetto ai livelli pre-pandemia del 2019. Il settore lattiero-caseario, che valeva oltre 5 miliardi di euro lo scorso anno, rimane il compartimento export più ampio, seguito da carne e bestiame, che ha generato un export di oltre 3.5 miliardi di euro e dai PCF (Prepared Consumer Foods) che valevano più di 2.5 miliardi di euro. BORD BIA ha di recente pubblicato un ambizioso piano triennale per favorire ulteriormente la crescita delle esportazioni, ponendosi come obiettivo un aumento dell’11% del valore delle esportazioni nei settori lattiero-caseario, carne e bestiame, e del +14% nell’export di PCF. La sostenibilità è un tema centrale all’interno della nuova strategia e BORD BIA si impegna sempre di più a rafforzare i suoi ambiziosi standard, andando incontro sia alle sfide ambientali che alle richieste del mercato. Il programma Origin Green è determinante nel monitorare e guidare i miglioramenti nell’ambito della sostenibilità ambientale, dimostrando i risultati raggiunti dal paese ai consumatori di tutto il mondo. Le sfide future sono importanti, ma Origin Green fornisce una solida base da cui partire per posizionare l’Irlanda

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come leader globale nell’ambito della sostenibilità alimentare. «La capacità del settore di superare le performance del 2019, registrando un record delle esportazioni è davvero impressionante, e i produttori irlandesi meritano un enorme ringraziamento», ha commentato TARA MCCARTHY, CEO di BORD BIA. «Noi ci concentriamo comprensibilmente sui dati e sui numeri, ma vale la pena ricordare che all’interno di quei miliardi e milioni ci sono imprese e aziende agricole sparse in tutto il paese. Imprese che, grandi o piccole che siano, sono gestite da persone che hanno affrontato sfide enormi negli ultimi 20 mesi, sia professionali che personali e per noi di BORD BIA è un privilegio sostenere questi meravigliosi amanti del rischio, visionari e innovatori. La sostenibilità continuerà ad essere un obiettivo chiave per BORD BIA sia quest’anno che negli anni a venire e lavoreremo sempre più a stretto contatto con l’industria alimentare del nostro paese per ridurre le emissioni di carbonio e gli obiettivi di sostenibilità imposti dal governo irlandese. Origin Green giocherà un ruolo centrale nel sostenere il settore e siamo certi che l’Irlanda continuerà ad essere riconosciuta come leader nella produzione alimentare sostenibile».

Previsioni 2022 Tara McCarthy conclude fornendo una overview sulle aspettative per l’anno appena iniziato: «Nonostante la performance record dello scorso anno, ci sono una serie di sfide da affrontare per il settore Food & Beverage irlandese. Tra questi, l’aumento dei costi della catena di approvvigionamento e produzione, che stanno colpendo i produttori, e l’impatto della Brexit, che deve ancora essere pienamente messa in atto. Mentre il periodo di transizione è terminato il 31 dicembre 2020, il Regno Unito non ha ancora iniziato le ispezioni delle importazioni di alimenti e bevande, che dovrebbero cominciare all’inizio di luglio. Molte aziende del settore agricolo e manifatturiero segnalano un mercato del lavoro sempre più limitato e questo sta portando ad un aumento dei costi, che si sta rivelando un vero ostacolo. La maggiore attenzione alla sostenibilità comporta sia sfide che opportunità per il settore alimentare. I consumatori vogliono cibi sani e naturali e l’Irlanda può soddisfare questa richiesta, ma dobbiamo anche collaborare tutti insieme per ridurre le emissioni di carbonio per rispettare obiettivi fissati per il 2030 e per integrare ulteriormente la sostenibilità in tutte le attività di produzione e distribuzione. La nostra ricerca internazionale mostra che il 75% dei consumatori si

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Bord Bia, Irish Food Board, è un ente governativo dedicato allo sviluppo dei mercati di esportazione dei prodotti alimentari, bevande e prodotti ortofrutticoli irlandesi. Lo scopo di Bord Bia è quello di promuovere il successo dell’industria Food & Beverage e dell’orticoltura irlandese attraverso servizi di informazione mirati, la promozione e lo sviluppo dei mercati. Nel 2021 le esportazioni dell’industria Food & Beverage irlandese sono arrivate a quota 13,5 miliardi di euro, con una crescita del +4% in più rispetto all’anno precedente. L’Italia rappresenta uno dei mercati più importanti per l’export di manzo irlandese in Europa con scambi valutati, nel 2021, a 170 milioni di euro e una crescita dell’1%. >> Link: www.irishfoodanddrink.com/it

La caratteristica costa dell’Irlanda. è impegnato, nell’ultimo anno, a comprare alimenti prodotti in modo sostenibile e il programma Origin Green ci aiuta nel certificare ciò che i consumatori desiderano sempre

di più. L’anno scorso il 71% delle aziende Origin Green ha dichiarato che questo programma è in grado di fornire un vantaggio competitivo per il loro business».

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INTERVISTE

Lepore Mare, sempre più vicina al cliente Parla Sebastiano Finotti, responsabile della sede operativa di Porto Viro (RO), recentemente rinnovata, che lavora direttamente i prodotti pescati, garantendo consegne personalizzate in tutto il territorio nazionale e estero È una tra le aziende del comparto ittico più longeve d’Italia, forse d’Europa. LEPORE MARE SPA, con sede a Fasano, in provincia di Brindisi, e due siti operativi a Porto Viro (RO) e Acireale (CT), è un esempio vincente di impresa che, forte dei suoi 74 anni di attività, oggi il gruppo Lepore Mare conta circa 80 milioni di fatturato e una strategia di business incentrata su innovazione, cambiamento e qualità. Abbiamo in-

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contrato SEBASTIANO FINOTTI, responsabile Lepore Mare Spa per la sede di Porto Viro, recentemente ristrutturata, per fare il punto insieme a lui su un comparto, quello dell’ittico fresco, congelato e confezionato, che sta vivendo una fase di grande dinamismo. Quali sono i driver di business di Lepore Mare? «Sicuramente tecnologia, inno-

vazione e uno sguardo verso il futuro sono da sempre caratteristiche fondanti della Lepore Mare Spa, una delle aziende del settore ittico in Italia più al passo con le moderne esigenze di mercato. L’anno di fondazione risale al 1948 a Fasano e da allora Lepore Mare non si è mai fermata. È infatti di recente inaugurazione la nuova sede di Porto Viro (RO) presso la quale opero».

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Sebastiano Finotti, responsabile Lepore Mare Spa per la sede di Porto Viro, recentemente ristrutturata, integrando nuovi reparti e tecnologie all’avanguardia. «Abbiamo portato la struttura al passo con i tempi: questo ci permette di velocizzare i processi interni, garantire una miglior qualità del prodotto e una sicurezza in più per il consumatore, senza dimenticare il minor impatto ambientale grazie alle migliorie apportate».

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«Nella sede rinnovata di Porto Viro ci siamo concentrati al momento sulla lavorazione di prodotti freschi, che riguarda soprattutto seppie, moscardini e piovre» spiega Sebastiano Finotti. Una nuova sfida che allarga gli orizzonti di un’azienda in continua crescita ed evoluzione. Quali sono gli obiettivi principali di Lepore Mare Spa che hanno portato a questo investimento? «La sfida dell’azienda è di poter servire l’intera rete di clienti Lepore Mare sparsi in tutta Italia con prodotti locali dell’Alto Adriatico con tempistiche sempre più basse e raggiungere zone del Paese impensabili fino ad ora e con un occhio all’estero, dove abbiamo già iniziato nuove avventure». La sede ha apportato un completo restyling, integrando nuovi reparti e tecnologie all’avanguardia. Quali nuove opportunità si prospettano per il vostro mercato e con che tipo di novità si interfaccerà il vostro personale?

«Sicuramente abbiamo un valore aggiunto e un’arma in più da oggi: la tecnologia! Abbiamo portato la struttura al passo con i tempi (vedi lo sviluppo dell’azienda 4.0): questo ci permette di velocizzare i processi interni, garantire una miglior qualità del prodotto e una sicurezza in più per il consumatore, senza dimenticare il minor impatto ambientale grazie alle migliorie apportate (fotovoltaico / controlli remoto / ecc…)». Fornite ai vostri clienti un servizio personalizzato. In cosa consiste esattamente? «Soddisfare le esigenze di ogni nostro cliente, tradotto nel nostro lavoro significa dare a ognuno un servizio dedicato (pezzatura, provenienza, zona e metodo di pesca) senza tralasciare un packaging per ogni esigenza».

Lepore Mare Spa è presente su tutto il territorio italiano con diverse piattaforme di smistamento e filiali. La sfida dell’azienda? Poter servire l’intera rete di clienti con prodotti locali dell’Alto Adriatico con tempistiche sempre più contenute e con un occhio puntato all’estero

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Dallo stoccaggio alla commercializzazione di prodotti ittici, la nuova sede possiede un reparto di lavorazione. Quali sono i prodotti di spicco al momento e quali tipi di lavorazione vengono effettuati? «Ci siamo concentrati al momento sulla lavorazione di prodotti freschi, che riguarda soprattutto seppie, moscardini e piovre. Nei progetti futuri vogliamo integrare prodotti che incontrino le esigenze di consumatori sempre più attenti alla qualità con uno sguardo rivolto all’eco sostenibilità. Oltre alla nuova sede di Porto Viro ed alla sede centrale di Fasano, Lepore Mare Spa è presente su tutto il territorio italiano con diverse piattaforme di smistamento e filiali. Una sfida appassionante con l’obiettivo di migliorare continuamente garantendo qualità e sostenibilità alla nostra offerta, con rispetto e cura dei nostri clienti e dell’ambiente che ci circonda».

Lepore Mare Spa Via dell’Agricoltura 22-24 72015 Fasano (BR) Web: www.leporemare.com

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MERCATI

Scozia e Italia, un legame duraturo nel tempo I forti legami tra il popolo scozzese e l’Italia durano da secoli, con molti Italiani che hanno portato la loro passione per il cibo e il commercio in Scozia, costruendo attività e crescendo lì le loro famiglie. La maggior parte delle storie racconta come gli Scozzesi abbiano preso a cuore il cibo italiano e chi può resistere alle migliori offerte italiane? Ma quale esportazione di cibo scozzese è famosa nel mondo per l’alta qualità e i suoi deliziosi sapori? La risposta è: pesce e crostacei scozzesi e le acque fredde e limpide della Scozia offrono alcuni dei migliori al mondo. I laghi del Paese e i mari circostanti forniscono una risorsa di alta qualità che è stata raccolta dai pescatori scozzesi per generazioni.

Incontra il produttore Gli scampi delle Ebridi catturati in natura da Macduff provengono dalle acque incontaminate e ricche delle Ebridi esterne al largo della costa occidentale della Scozia, dove il flusso caldo della Corrente del Golfo incontra le fresche correnti dell’Artico e del Mare di Groenlandia. I pescherecci partono per brevi gite di 1-2 giorni assicurandosi che vengano sbarcati solo gli scampi più freschi. Vengono quindi congelati a quasi –50 °C prima di essere confezionati a mano dal un team dedicato. Tutto ciò si traduce in scampi di un arancione intenso, con una consistenza soda e un sapore unico dolce e delicato.

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Lo sapevate? La Scozia offre oltre 60 specie di frutti di mare selvaggi di altissima qualità e pesci d’allevamento tra cui salmone, cannolicchi, ostriche, capesante e scampi L’industria ittica scozzese è rinomata per coerenza e abilità, consegnando la propria produzione con i requisiti esatti richiesti dagli acquirenti. Non c’è da stupirsi che, nel 2020, l’Italia abbia importato frutti di mare scozzesi per un valore di oltre 53,2 milioni di euro. Seafood Scotland – l’ente nazionale per il commercio e la commercializzazione dell’industria del pesce scozzese – ha unito le forze con Scottish Development International per evidenziare alcune delle specie scozzesi che si sono guadagnate un posto d’onore nei ristoranti italiani e nei rivenditori più esigenti: • gli scampi hanno un sapore forte e dolce con una consistenza morbida e carnosa. Hanno un sapore un po’ di astice e si sposano bene con sapori cremosi, acuti e delicati come pomodoro, finocchio, asparagi, agrumi, burro, zucca e spinaci; • dal sapore dolce con una consistenza carnosa soda, le capesante si sposano bene con sapori acuti, delicati e speziati come ’nduja, basilico, limone e peperoncino; • il salmone scozzese ha una consistenza carnosa e friabile. Si abbina bene con sapori cremosi, acuti, forti e speziati come avocado, agrumi, vino bianco, crema di formaggio, aneto, zenzero e soia. Il salmone fresco e affumicato è popolare in tutto il mondo; • l’aragosta ha una consistenza soda e carnosa e un gusto forte e dolce. Si sposa bene con sapori cremosi e piccanti come agrumi, peperoncino, aglio, panna, basilico e burro; • di consistenza vellutata, con un sapore cremoso e salato, le ostriche si abbinano bene a sapori piccanti, speziati o delicati come tabasco, aceto di vino rosso, scalogno, mela o agrumi. Le ostriche sono anche un’ottima fonte di vitamine essenziali.

Seafood Scotland aiuta i produttori, i trasformatori e i venditori di prodotti ittici scozzesi ad esportare i loro prodotti nei mercati di tutto il mondo.

Per informazioni: enquiries@seafoodscotland.org www.seafoodfromscotland.org Scottish Development International (Italy) claudio.sinibaldi@scotent.co.uk @SeafoodFromScot @SeafoodFromScotland

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EVENTI

Stati Generali della Pesca, si parte: appuntamento a maggio Resoconto sul “Kick Off Day”, la giornata di lancio di un evento strutturato e diffuso che si svilupperà nel mese di maggio prossimo tra Chioggia, Delta del Po, Caorle e Venezia ed altri luoghi della pesca professionale del Veneto. Un’occasione per mettere in rete i tanti player di un’economia che qui fattura oltre 1 miliardo di euro, coinvolgendo migliaia di imprese e famiglie sul territorio Si è svolto lo scorso 13 dicembre, presso l’Auditorium San Nicolò di Chioggia, il Kick Off Day degli Stati Generali della Pesca, che si svolgeranno a maggio 2022. L’evento è stato pensato come momento di

confronto e di proposta, promosso di concerto con la Regione Veneto, le autorità locali ed il mercato ittico di Chioggia, col coinvolgimento degli operatori della filiera e al quale sono stati invitati a partecipare i

principali interlocutori del settore, anche a livello europeo. Svoltosi in concomitanza con il Consiglio europeo Agricoltura e Pesca di Bruxelles, l’incontro è stato caratterizzato da approfondimenti e dibattiti sui temi

La pesca in Veneto rappresenta un asset strategico che ha sviluppato un’economia florida e sostenibile tanto da considerare i pescatori dei veri e propri custodi del Mar Adriatico e della Laguna di Venezia (in foto, pescherecci nel canale di Chioggia; photo © isaac74 – stock.adobe.com).

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Il Distretto Ittico di Rovigo e Chioggia Il Distretto Ittico di Rovigo e Chioggia nasce nel 2003 grazie al riconoscimento della Regione Veneto e oggi rappresenta più di 3.000 aziende del comparto, con circa 8.000 addetti e un fatturato complessivo di oltre 800 milioni. Vent’anni di attività intensa che hanno portato a raggiungere importanti risultati e ambiziosi obiettivi; un’attività realizzata pensando alle dinamiche di un settore che, pur nella sua eterogeneità di specializzazioni, affronta tematiche comuni, la cui soluzione necessita da sempre di un’azione generalizzata, non individualistica, da parte di tutti gli stakeholder interessati. Molte sono state le iniziative di promozione del prodotto verso nuovi mercati grazie alla realizzazione di numerosi incoming di operatori stranieri che hanno incontrato le aziende del distretto nel nostro territorio, e la partecipazione alle principali fiere di settore internazionali. Ma non solo. Contestualmente ad iniziative verso l’export, il Distretto è stato parte attiva in progetti di ricerca regionali ed europei, ha ottenuto il riconoscimento di certificati Carbon Credits nel settore della molluschicoltura, è al fianco degli operatori in progetti di ricerca internazionali, con importanti parternariati universitari, alla ricerca di soluzioni che vanno dall’utilizzo degli scarti di lavorazione, allo studio di agenti patogeni nel prodotto (photo © Franco Nadalin).

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Uno scatto nel corso dell’evento di lancio degli Stati Generali della Pesca lo scorso 13 dicembre 2021.

#SALVIAMOLAPESCA In occasione della giornata di lancio degli Stati Generali della Pesca, è stato presentato l’appello/manifesto per salvare la pesca italiana con l’hashtag #SALVIAMOLAPESCA. Un documento sintetico a rappresentare le maggiori istanze delle varie anime del settore ittico italiano per salvare la pesca dai nefasti scenari di crisi prospettati nel futuro più prossimo. Il documento è stato sottoscritto in forma di appello e condiviso con tutte le principali cariche istituzionali del governo italiano e delle istituzioni europee. Tra le principali istanze quelle legate alla pesca, alla molluschicoltura e alla sostenibilità economica delle imprese del settore ittico. L’appello, con la collaborazione dell’On. Rosanna Conte del gruppo ID alla Commissione PECH Pesca del Parlamento europeo, è stato contemporaneamente lanciato sul portale change.org (photo © facebook. com/mercatoitticochioggia).

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importanti e attuali per il comparto. Gli Stati Generali entreranno nel vivo a maggio 2022 e saranno tre giornate di lavoro e approfondimento, vere e proprie agorà itineranti tra Chioggia, Venezia e il territorio del Delta e dell’Alto Adriatico. Si prevedono tavoli di confronto su tre tematiche principali: • la pesca in senso stretto e tutto ciò che gravita attorno alle problematiche ad essa negate nell’Adriatico principalmente; • la molluschicoltura e le problematiche che rischiano di depotenziarne la produzione, come ad esempio la scarsità di seme, le morie di animali che si verificano periodicamente, la lotta ai predatori, la vivificazione delle lagune, ecc…. Tutti argomenti che non possono essere affrontati singolarmente dalle aziende, ma che necessitano di azioni più sostanziose, con l’intervento anche di istituzioni ed enti di ricerca, in un’ottica di collaborazione senza la quale non si possono raggiungere i risultati sperati; • l’economia sostenibile e circolare, argomento molto importante anche per il settore ittico, dall’allevamento alla trasformazione del pesce, attraverso una maggiore attenzione ai processi, al recupero e riuso delle risorse, passando per il rispetto dell’ambiente in generale. Basti pensare al tema dei rifiuti in mare, molto sentito non solo dalle aziende del settore, ma anche dai cittadini, sempre più attenti alle tematiche green e all’acquisto consapevole di prodotti certificati dal punto di vista ambientale. Ampio spazio è stato dedicato alla Regione Veneto, che con l’occasione ha avuto modo di presentare i risultati della programmazione FEAMP (Fondo europeo per la politica marittima, la pesca e l’acquacoltura) 2014-2021 e la nuova programmazione FEAMP 2021-2027, la presentazione della nuova Carta Ittica, le zone interdette, le zone SICC, i limiti che ci sono all’interno della nuova pianificazione.

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Il ruolo della Regione sarà fondamentale, è il primo interlocutore per il Distretto. Si pensi che, a livello nazionale, il 17% del mercato ittico si concentra in Veneto che è annoverato come secondo produttore di molluschi a livello mondiale dopo la Cina. Saranno coinvolte tutte le aziende operanti non solo nel distretto ittico, ma in tutto il territorio regionale, afferenti a pesca, molluschicoltura, trasformazione e commercio di pesci, crostacei e molluschi. L’evento avrà poi una notevole risonanza mediatica, andando a sollecitare anche enti ed istituzioni a livello regionale, nazionale ed europeo. I risultati dei lavori dell’evento di lancio, prima, e degli Stati Generali, poi, saranno messi a disposizione del pubblico, attraverso i canali di comunicazione del distretto. I tre giorni degli Stati Generali di maggio 2022 hanno infatti non solo lo scopo di consolidare un dialogo tra attori del settore, ma di giungere ad un risultato concreto attraverso tre documenti finali, redatti e condivisi durante le sessioni di lavoro e tra i diversi soggetti coinvolti, che conterranno idee, proposte, iniziative e criticità sulle tematiche proposte, da presentare nelle opportune sedi istituzionali, siano esse regionali, nazionali o europee. Non è “fare cinema” o fare business l’obiettivo e degli Stati Generali, ma di trasformare questo evento in un appuntamento biennale. Dall’anno Zero del 2022 si potrà strutturare come momento di relazione con il territorio, con un taglio verso l’Europa e verso il mondo, su scenari e proposte per il sistema della pesca.

>> Link: statigeneralipesca.it www.facebook.com/statigeneralipesca


CONSUMI

Ismea e consumi alimentari, focus sull’ittico La spesa per gli ittici freschi dopo la ripresa nella parte finale dell’anno (+21% a dicembre) prosegue nella fase di crescita con un +19,6% di Elena Benedetti

Secondo i dati ISMEA in relazione ai canali di vendita, i supermercati si confermano la principale fonte di approvvigionamento delle famiglie (vi è transitato il 41% dei volumi totali), con una lieve crescita delle vendite (+2%) rispetto ai primi nove mesi 2020, ma con fatturati che sono

aumentati dell’11% rispetto allo stesso periodo del 2019, cioè alla situazione pre-pandemia. I discount, con una quota del 14%, continuano a rappresentare la categoria con crescita maggiore: l’ampliamento continuo della rete e l’esigenza di risparmio sempre più

diffusa hanno spinto l’incremento delle vendite anche nei primi nove mesi 2021 al +3%, con un avanzamento rispetto all’analogo periodo 2019 del 12%. L’indice di penetrazione per questo canale supera l’80%, dimostrando uno “sdoganamento” e un riconoscimento di una

Molto positiva la performance del comparto ittico nei primi 9 mesi del 2021, che ha registrato un incremento di spesa del +9%, dopo un anno caratterizzato da evidenti difficoltà che ne hanno determinato una continua oscillazione delle performance (photo © Joshhh – stock.adobe.com).

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buona strategia assortimentale. La strategia vincente di questo format va infatti ricercata non più solo nel prezzo conveniente, quanto in un assortimento più profondo rispetto al passato, alla ricerca del giusto bilanciamento tra varietà di offerta ed economicità di gestione, con un numero di referenze in aumento e una fortissima attenzione al mondo dei freschi. Hanno invece una battuta di arresto le vendite nei negozi tradizionali, che segnano un –4% mantenendo comunque un vantaggio sulla situazione del 2019 del 15%. I liberi servizi sono l’unico canale a segnare un sostenuto decremento delle vendite (–6%), scendendo con i fatturati a livelli inferiori a quelli del 2019 (–3%). In lieve crescita le vendite degli ipermercati, che chiudono i primi nove mesi 2021 con un riallineamento ai fatturati del 2019, mantenendo lo share del 24% tra i canali distributivi. Per questo canale uno studio di Mediobanca sui bilanci di esercizio evidenzia comunque nell’ultimo decennio una perdita del fatturato del 18% per metro quadro di superficie di vendita. Continuano a crescere le vendite “on-line”: +4% rispetto al 2020; più che raddoppiate dall’inizio della pandemia, arrivano a pesare ora oltre il 3% sulle vendite alimentari retail totali. Si segnala però una netta contrazione delle stesse nel terzo trimestre rispetto ai precedenti mesi. A livello geografico, è ancora una volta il Nord-Est a fare da traino al mantenimento della spesa nazionale (di prodotti confezionati e sfusi), con una variazione del +2,1%, decisamente più marcata di quella registrata nelle altre macroaree; ad eccezione del Sud con +1,1%, la spesa tende a stabilizzarsi nel Centro (0%) o a flettere leggermente nel Nord Ovest –0,5%. Dopo la ripartenza nel 2020 (+9,8% le carni, +8,3% i salumi, +14,5% le uova) il comparto dei prodotti proteici di origine animale, nel 2021, mantiene le posizioni guadagnate. Le carni e salumi, rispettivamente con +0,2% e +0,8%, fanno registrare un ulteriore lieve

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incremento della spesa, mentre torna sui livelli pre-Covid quella per le uova, che perde 11 dei 14 punti percentuali guadagnati nel 2020. Per queste ultime si tratta di un ripiegamento parzialmente atteso, considerati gli anomali valori delle vendite dell’anno precedente e il loro graduale ritorno su livelli prepandemia. Focus sul comparto ittico Il comparto ittico è, insieme a quello delle bevande, il più dinamico nei primi nove mesi del 2021; chiude infatti con un incremento di spesa del +9%, dopo un anno caratterizzato da evidenti difficoltà che ne hanno determinato una continua oscillazione delle performance. L’andamento del comparto è infatti fortemente influenzato da quello del segmento del fresco, che ne rappresenta il 49%, e sul quale le restrizioni legate alla pandemia avevano avuto fortissimo impatto. A sostenere l’incremento della spesa nei primi nove mesi del 2021 è proprio il segmento del pesce fresco, con un +19,6%, che porta la spesa a posizionarsi su livelli superiori del 20% a quelli del periodo prepandemia (gennaio-settembre 2019); crescono i volumi (+16%) ma anche i prezzi medi (+4%). Stabile invece sui livelli del 2020 la spesa sostenuta per i prodotti ittici surgelati, per i quali però va sottolineata l’evidente espansione nel 2020 rispetto all’anno precedente (+17,7%). In notevole incremento le vendite dei prodotti affumicati (principalmente rappresentati da salmone) per i quali la spesa continua crescere: +10,6% dopo il +11% del 2020. Perdono slancio le conserve ittiche (prevalentemente rappresentate dal tonno in scatola), che dopo la crescita del 2020 (+5,9%) tornano ad essere sostituite dal prodotto fresco (-3,6%). Elena Benedetti Nota Fonte: Consumi alimentari – I consumi domestici delle famiglie italiane, ISMEA, Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale, www.ismea.it – www.ismeamercati.it


Bragozzo da parata © Guido – stock.adobe.com

PESCA

Il bragozzo di Chioggia Tarchiato e possente, ma con vele e decorazioni variopinte e leggiadre, dominò la pesca lagunare, costiera e d’altura del Mare Adriatico per circa due secoli, dall’800 fino a quando non fu soppiantato dai motopescherecci di Nunzia Manicardi

Il bragozzo, con le bellissime vele dai tanti colori dipinte a mano dai pescatori e le suggestive decorazioni di angeli e simboli protezionali posti a prua e a poppa, è il simbolo della città di Chioggia e della sua rinomata marineria da pesca ed è anche la più famosa tra le imbarcazioni adriatiche a fondo piatto. La sua relativa semplicità di costruzione e la sua adattabilità a molteplici condizioni di pesca ne fecero, a partire dall’Ottocento e per quasi due secoli, l’imbarcazione più diffusa nell’Alto Adriatico, da Trieste all’Albania.

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L’origine e l’utilizzo L’origine è ignota (la prima citazione è del 1559), ma sicuramente chioggiotta. Fu inizialmente utilizzato per la pesca lagunare, poi — adattato per l’altura — sostituì la tartana, più grossa e più costosa, permettendo ai pescatori maggiori guadagni poiché necessitava di minori spese e di minor personale di bordo e inoltre era più leggero da portare. Così il bragozzo di Chioggia divenne la barca da pesca per eccellenza: idonea, con opportune variazioni del tonnellaggio, alla pesca sia di laguna che di

costa e d’altura, perché la robustezza gli consentiva di affrontare il mare aperto e il fondo piatto la navigazione sui bassi fondali lagunari. Divenne indiscusso protagonista nell’economia di Chioggia, basata su pesca e cantieristica. Nonostante l’uso prettamente lavorativo, era un’imbarcazione molto pittoresca per le decorazioni che ne ornavano lo scafo e per le vele colorate che ogni famiglia personalizzava. Il varo era il momento della festa: con la speranza di un avvenire migliore, la barca addobbata a festa presen-

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ziava al banchetto che il proprietario offriva alle maestranze dopo aver ricevuto la benedizione del sacerdote con l’acqua santa. La fine iniziò con l’avvento del motore applicato alle barche da pesca: un po’ alla volta il bragozzo perse l’alberatura e aumentò le dimensioni fino a cedere il passo, dopo la seconda guerra mondiale, ai moderni motopescherecci. La costruzione Il bragozzo si presentava in generale con un aspetto possente, tarchiato anche se con un’evidente bellezza ornamentale. Misurava dai 6 ai 16 metri (per lo più 12 metri e mezzo di lunghezza, 3,15 di larghezza e 1,05 di altezza) ed era quindi largo un quarto della sua lunghezza, con una poppa squadrata e una prua bombata con fiancate alte e perpendicolari al fondo nella parte più elevata. La larghezza al galleggiamento era quasi pari a quella fuori tutto: non presentava cioè alcuna appendice sporgente (inutile in una barca da lavoro).

Questa caratteristica permetteva al bragozzo di avere una coperta grande e sgombra, utilizzabile per intero dai pescatori nel riordino delle reti e nella cernita del pesce pescato. Il fondo era piatto per consentire all’imbarcazione di muoversi nelle lagune dai bassi fondali e di approdare nelle coste sabbiose del litorale adriatico occidentale in caso di improvvise tempeste. Il fasciame era piegato con il fuoco ottenuto bruciando una qualità di canna palustre: il legno era riscaldato e, tenendolo sempre umido con fango, si cercava di dargli la curvatura voluta. Lo scafo era ricoperto all’interno e all’esterno di pece (pégola). Particolare attenzione era riservata alla costruzione del grande timone lungo più di 4 metri e regolabile in altezza. Era la parte più robusta dell’imbarcazione poiché svolgeva anche, in parte, le funzioni della chiglia. Si immergeva per oltre un metro sotto la superficie dello scafo, funge-

va anche da deriva e controbilanciava il pescaggio volutamente limitato (appena 40 cm su 10 tonnellate). Il bragozzo era armato di due alberi, quello di maestra a un terzo dello scafo e quello di trinchetto a tre quarti partendo dalla poppa e inclinato in avanti di dieci gradi circa, ed era munito di due vele al terzo che rimanevano sempre alla sinistra degli alberi per consentire massima libertà alle manovre di pesca sul lato destro. Le vele La vela è sempre stata l’emblema caratteristico e più appariscente del bragozzo chioggiotto, tanto è vero che il vigariolo (il pescatore-avvistatore) riconosceva a distanza i vari paroni (padroni) dei bragozzi dal colore e soprattutto dalle raffigurazioni dipinte sulle vele. Erano gli stessi pescatori o le loro donne che confezionavano la vela, cucendo insieme 34-35 sfèrzi (cioè teli), dopo aver praticato col coltello il taglio di sotto per darle la giusta obliquità, poi gli uomini le

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Ponti, calli e case color pastello dai tipici balconi verdi, Chioggia è una città marinara di origini antiche. armavano nel tradizionale sistema che si può far risalire all’epoca delle galere (“armatura alla pescatora”), che poteva far assumere alla vela anche una certa forma a sacco per sfruttare meglio il vento con andature di bolina. Quando il vento era forte si utilizzavano i metafioni, cavetti penduli fissati alla vela e posti su file orizzontali. La colorazione era fatta con la teréta, colore in polvere, che veniva sciolta in acqua di mare. Si usavano i colori più facili da recuperare ai quei tempi: ocra, rosso mattone, nero, azzurro, verde e marrone. Venivano poste al sole ad asciugare, quindi gettate nell’acqua di mare per togliere la polvere lasciata dalla pittura e infine esposte ancora al sole perché asciugassero definitivamente ed essere pronte per l’uso. Le decorazioni Lo scafo dei bragozzi era abbellito con varie decorazioni. A prua c’erano figure alate dipinte ad olio nell’atto di suonare la tromba, dette ànzoli (angeli), o soggetti sacri; ai

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lati altre ancora, anche contornate o incorniciate. Gli angeli, in particolare, erano dipinti di solito da qualche pescatore provetto nel disegno che era appunto chiamato el pitoréto dei anzoli. A poppa era tradizione dipingere, all’interno della murata, il nome del proprietario e la località di provenienza con nel mezzo un crocefisso, mentre all’esterno, sui fianchi, si riproduceva il nome della barca contornato da fantasiose cornici. Altre pitturazioni si potevano osservare all’interno dello scafo. Spesso erano riprodotte immagini dei Santi Patroni, della Madonna della Navicella, della Passione di Gesù, di San Giorgio e altri Santi. Lo scopo era, ovviamente, quello di ottenere protezione. Altri dipinti piuttosto comuni erano: colombe bianche col ramo d’ulivo, dischi solari, piccoli occhi (questi ultimi di chiaro significato apotropaico), risalenti a culti e tradizioni di origine cristiana o egiziana o paganeggianti. Tali erano il pentàcolo (stella a 5 punte con

raggi convergenti al centro oppure un cerchio che inscrive una stella), il vellus in uso nelle imbarcazioni più vecchie, i trabaccoli e le tartane, l’òculus (figurante nelle imbarcazioni egizie e fenice oltreché sulle navi romane con funzione magica) e il penèlo, un antico segnavento in legno traforato collocato sulla cima dell’albero maestro. Quest’ultimo elemento caratteristico era costituito da tre riquadri: in basso erano rappresentati i Santi Patroni Felice e Fortunato affinché proteggessero i pescatori durante la battuta di pesca; in mezzo, in quanto simboli della fede, erano raffigurati la Croce e gli strumenti della passione di Cristo; in alto, oltre alla ripetizione di alcuni simboli di fede, c’erano le immagini di due uccelli, le fenìsse, affiancate da due centri simboleggianti la ruota del sole. La fenice, che la leggenda vuole fosse rinata dalle proprie ceneri, nel penèlo chioggiotto rappresentava un simbolo di sfida ai pericoli del mare. Nunzia Manicardi

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PRODOTTI TIPICI

Buio di luna, vento di Bora e alta marea: la magia dell’Anguilla marinata tradizionale delle Valli di Comacchio di Chiara Papotti 92

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In alto: anguilla sugli spiedi pronta per arrostitura. Nella Manifattura dei Marinati vengono prodotte le uniche anguille di Comacchio presidio Slow Food: anguille selvatiche certificate, cucinate manualmente secondo un antico disciplinare di cui vi sono tracce scritte sin dal 1700 (photo © www.imarinatidicomacchio.it). A sinistra: casone nelle Valli di Comacchio. Fin dalla loro origine i casoni, strutture simili a grandi case che si sviluppano in orizzontale solo su un piano ed erano originariamente costruiti con canne e paglia per diventare in muratura e a più vani a partire dal secolo VXII, avevano una doppia funzione: servivano come stazione di pesca ma anche come luogo di appostamento per la sorveglianza delle Valli di Comacchio dalla pesca di frodo (photo © Pietro D’Antonio – stock.adobe.com).

Nelle valli di Comacchio il paesaggio ha un’atmosfera di straordinaria pace e verità. Camminare sulle rive dei grandi fiumi, il Po e il Reno, e sui lembi di terra bagnati dal mare Adriatico regala malia d’orizzonti e suoni misteriosi, l’incanto della voce delle acque. Le valli, velate dalle nebbie, ovattate dai silenzi, dense di ricordi letterari e care ai pittori naïf, si preparano a dare inizio ad una attività dalla storia immemorabile: la cattura delle anguille, praticata nei mesi più poetici per queste zone, quelli che vanno da

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ottobre a dicembre. Profumi e sapori autentici invitano ad entrare nelle locande che accolgono e ristorano clienti abituali e turisti di passaggio. Qui l’anguilla è da sempre protagonista della cucina di valle, è servita tutto l’anno, valorizzata in molteplici preparazioni, ed è consacrata regina della tavola. Zone umide importantissime dal punto di vista ecologico e singolare esempio di integrazione tra ambiente naturale e attività umana, le valli sono l’habitat ideale per l’allevamento estensivo di anche altre spe-

cie ittiche pregiate, in particolare branzini e gamberetti. In queste terre pianeggianti e un po’ desolate, ricche di scorci e sorprese nascoste, sussurrate a chi ha la pazienza di cercarle e ascoltarle, comincia il nostro viaggio alla scoperta di tutto quello che c’è da sapere del presidio Slow Food dalla storia incantata: l’Anguilla marinata tradizionale delle Valli di Comacchio. La lavorazione delle anguille avviene alla “Manifattura dei Marinati”, un ecomuseo con lo stabilimento di produzione all’interno gestito

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Una volta cotte, le anguille vengono lasciate raffreddare per 12 ore, quindi vengono pesate e introdotte nella tradizionale latta in banda stagnata, immerse nella concia di marinatura (aceto, sale di cervia, acqua e alloro). La lavorazione si conclude con la graffatura delle latte e l’inscatolamento (photo © www.imarinatidicomacchio.it). dalla società cooperativa sociale Work And Services, che trova sede nella città di Comacchio (FE). Milleseicento metri di area espositiva con marotte in vista (le antiche barche con le quali un tempo si pescavano le anguille), attrezzature da pesca e documentari sulla lunga storia degli uomini di valle, sulle fasi di lavorazione dell’anguilla e sulla tradizione manifatturiera della città lagunare, ancora oggi in essere. All’interno del complesso si trova la Sala dei Fuochi, cuore pulsante dell’intera struttura, dove sono ben conservati i dodici camini in cui avveniva e avviene tuttora la preparazione del presidio. Un luogo affascinante, dove il presente incontra il passato. Le anguille, pesci serpentiformi, si riproducono nel Mar dei Sargassi, ma crescono nelle acque interne. Quando sono sessualmente mature sentono l’istinto di emigrare verso il mare per riprodursi; qui vengono catturate con i lavorieri, sbarramenti posizionati in prossimità delle aperture a mare delle valli e nei canali interni. Questi impianti fissi sono stati progettati per catturare i pesci adulti nel momento delle loro migrazioni e consentono, al tempo stesso, l’entrata in valle di nuovi esemplari.

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Un metodo antico nato non solo per garantire un’abbondante pesca oggi, ma anche per garantire la riproduzione della specie e quindi anche la pesca della prossima stagione. Una volta pescate, le anguille, vengono quindi messe nelle bolaghe, contenitori in vetroresina che hanno sostituito gli originali in vimini, dove rimangono alcuni giorni a spurgarsi, ossia a svuotarsi dal pasto. Con l’arrivo dei primi freddi comincia la pesca, che avviene in condizioni particolari. Si narra, infatti, che debbano realizzarsi un insieme di circostanze affinché sia buona: buio di luna, vento di Bora e alta marea. Le anguille, che arrivano vive sul mercato, possono essere consumate fresche seguendo le innumerevoli ricette tradizionali, ma, data la concentrazione della stagione di pesca in un periodo molto limitato (prevalentemente da novembre a gennaio), è tradizionale marinarle in aceto per conservarle. La preparazione tradizionale del presidio avviene ancora oggi nella Sala dei Fuochi della Manifattura, in due dei dodici camini. Nel periodo autunnale-invernale è possibile vedere l’intero ciclo di preparazione dell’Anguilla marinata tradizionale di Comacchio.

La procedura prevede quattro fasi principali: il taglio, la spiedatura, la cottura e il confezionamento. Il pesce viene decapitato, diviso in tronchi ed inciso al fine di favorirne la spiedatura. La seconda fase consiste nell’infilare i morelli, ossia i tranci dell’anguilla, su lunghi spiedi di ferro posti sugli appositi ganci a ridosso dei camini a legna, alimentati con legni di leccio o roverella. Comincia quindi la cottura, controllata meticolosamente dagli spiedatori, che ruotano gli spiedi e li spostano progressivamente sempre più vicino alla fiamma. Una volta pronte, le anguille vengono lasciate raffreddare per circa 12 ore, vengono pesate, introdotte nella tradizionale latta in banda stagnata e immerse nella concia di marinatura. La ricetta classica prevede l’amalgama, in ogni litro di aceto di vino bianco, di circa 70 grammi di sale marino di Cervia e un bicchiere d’acqua. Infine si aggiunge una foglia d’alloro. I morelli di anguilla marinata presentano una carne bianca e compatta. Al naso emerge il sentore dell’agro e dell’alloro, ma in bocca il sapore è dolce e solubile. Da provare in abbinamento ad un contorno dalle note dolciastre, come la cipolla rossa caramellata o il radicchio rosso di Treviso per bilanciare le note acetiche del pesce. Ottimo anche l’abbinamento con gli agrumi per bilanciare la grassezza della carne, deliziosa con una maionese aromatizzata al Bergamotto. Nel Museo della Manifattura, oltre all’anguilla, si producono acciughe marinate pescate nelle Valli comacchiesi e si trasformano tutto l’anno pesci del Mare Adriatico pescati nel Delta del Po (Alici marinate – Alici per gli amici e Sarde marinate – S’arde in compagnia). La zona, riconosciuta dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità e Riserva della Biosfera MAB, rappresenta una realtà naturalistica, storica e gastronomica unica. Un mondo dalle due anime, di terra e di mare, che impressiona per il suo fascino mistico, dove la magia del paesaggio si celebra anche e soprattutto a tavola. Chiara Papotti

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CONSERVE

Il Pigo dei laghi lombardi Conserva di pesce di antica origine, è riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale lombardo di Roberto Villa

Il pigo, specie autoctona delle acque dolci padane Il pigo (Rutilus pigus, LACEPÈDE), noto anche come rutilo italiano o squartone, è tra i pesci più rappresentativi dei grandi fiumi e laghi del Nord Italia. Appartenente alla famiglia dei Ciprinidi, vive e predilige le zone profonde a corrente lenta, ricchi di vegetazione sommersa, con substrato a prevalenza di sabbia e ghiaia. Specie gregaria e stanziale, forma branchi numerosi: quelli adulti sono costituiti da esemplari di varia taglia ed età, mentre i giovani tendono ad associarsi anche con altri ciprinidi. È onnivoro: l’alimentazione comprende insetti acquatici, vermi, molluschi e crostacei, mentre tra i vegetali si ciba di alghe filamentose e detrito organico, in estate la componente vegetale diventa prevalente. La riproduzione avviene da aprile a giugno, con temperature non inferiori ai 14 °C e può esser anticipata o posticipata secondo le condizioni climatiche e la portata dei corsi d’acqua; la deposizione delle uova si svolge in acque basse, correnti e ben ossigenate, con fondali sabbiosi o ghiaiosi. La fecondità è elevata: per stagione ciascuna femmina può produrre diverse migliaia di uova di circa 2 mm di diametro. Dopo la fecondazione le uova aderiscono al substrato ghiaioso fino alla loro schiusa. La durata della vita del pigo va da nove a quindici anni: nel periodo di riproduttivo il maschio adulto di pigo si riveste dei classici tubercoli nuziali. Il corpo è tozzo, il capo minuto, il dorso del corpo è verdastro con delle squame orlate di una tinta

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più scura che tende al giallo oro sui fianchi, il ventre è di color argenteo e le pinne sono grigie. Il peso medio della maggioranza degli esemplari è generalmente compreso tra 250 g e 1,5 chilogrammi per una lunghezza massima di 45 cm; ma ci possono essere anche esemplari superiori ai 2 chilogrammi con lunghezza fino a 60 cm. Una specie vulnerabile In Italia e Svizzera il pigo risulta in declino in tutta la sua area originaria di diffusione, principalmente a causa della costruzione di dighe ed altri sbarramenti invalicabili che

impediscono ai pesci di raggiungere aree di riproduzione adatte; per questo nei due Paesi è una specie protetta da misure minime e periodi di divieto di pesca. Recentemente è stato avviato un programma di allevamento in cattività e reintroduzione in natura; R. pigus viene citata come specie minacciata nell’allegato III della convenzione di Berna (fauna protetta) ed è segnalata tra le specie a rischio nella Direttiva Europea “Habitat” (92/43 CEE). L’introduzione di specie ittiche alloctone congeneri come il rutilo o gardon (R. rutilus, LINNEO), la cui presenza minaccia l’integri-

Il genere Rutilus è uno dei 48 generi esistenti della famiglia dei Cyprinidae. Ne sono rappresentanti autoctoni in Italia le specie R. pigus (pigo), R. aula (triotto) e R. rubilio (rovella) (Kottelat, 1997). Di questi il pigo e il triotto sono distribuiti in Italia settentrionale, mentre la rovella è nativa e presente esclusivamente nell’Italia centro-occidentale (fonte: Il pigo, Studio dell’autoecologia della specie nel fiume Ticino, Monografie, ente.parcoticino.it).

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conservazione migliore durante l’anno. Come prima cosa, il pigo viene eviscerato e desquamato, dopodiché viene lavato, messo in salamoia e poi appeso per farlo essiccare leggermente. La lavorazione tradizionale, come nel caso dei missoltin (i più rinomati missoltini del lago di Como) prevede la pressatura sotto dei torchi di legno, così da far fuoriuscire gradualmente l’eventuale grasso del pesce. Viene poi conservato all’interno di contenitori di latta sotto uno strato di olio e con delle foglie di alloro per un periodo variabile dai sessanta ai novanta giorni. Il prodotto finale ha una consistenza semidura ed un sapore dolce con delle note di aspro; l’odore è molto intenso ed aromatico. Si produce nella zona dei Laghi di Como, Iseo, Garda ed in alcune località della sponda lombarda del Lago Maggiore. Sui fiumi dell’areale padano, dal Piemonte (pig, oladiga, voulà) al Veneto (orada dell’Adles, broccada, saurìn, aguia), è più comunemente consumato come pesce fresco.

In alto: campionamento di R. pigus nel fiume Ticino. In basso: squartoni di pigo (photo © fiordisambuco.blogspot.com). tà genetica delle popolazioni, e le sempre più ingenti e continue predazioni da parte di uccelli ittiofagi e pesci ittiofagi alloctoni, nella fattispecie cormorano e siluro, minacciano seriamente il naturale prosieguo di questa specie ittica indigena. Per ovviare a questa situazione ci sono state diverse semine di avannotti nei fiumi e nei laghi lombardi, con esiti non sempre soddisfacenti nel garantire una popolazione stabile.

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L’orada del lagh e la trasformazione in una saporita conserva In Lombardia questa specie viene chiamata pig, pich ma anche agùcc e orada del lagh (orata di lago). Le carni magre e saporite sono state da tempo immemore conservate in recipienti dopo averle salate ed essiccate, preziosa fonte proteica per la stagione fredda. Una volta pescato, viene lavorato secondo un metodo tradizionale che ne consente una

Con cosa si abbina L’accompagnamento più classico, dopo averlo affettato sottile, è la polenta di mais calda anche abbrustolita al burro oppure viene servito su fette di pane croccante strofinato con l’aglio e spalmato con un velo di burro, con verdure al burro a parte (bietola da coste, spinaci). Viene anche impiegato come base per un sugo con il quale insaporire i primi piatti (risotto, gnocchi di patate) e come saporito ripieno di pasta di grano tenero fatta in casa. Tra i vini che meglio si sposano con questo piatto suggerisco un bianco mediamente aromatico e strutturato, come un Riesling renano Oltrepo pavese DOP o un Lugana DOP. Roberto Villa Note 1. Le informazioni sulla biologia del pigo sono tratte da www. comitatocentroadda.it 2. Le denominazioni dialettali sono tratte da www.ittiofauna.org/ webmuseum/pesciossei/cypriniformes/cyprinidae/rutilus/ rutilus_pigus/index.htm

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Sardina del Lago di Iseo: racconto di un presidio baciato dal sole di Chiara Papotti

Nel cuore della Lombardia prealpina un gruppo di pescatori getta le reti in uno dei laghi più scenografici d’Italia: l’Iseo. Ci troviamo in una zona in cui alcuni produttori si ribellano ai metodi di produzione industriali ed inseguono il loro personale ideale di sapore, quello che conserva molti dei tratti più antichi delle genti che vivono qui da sempre. Prodotti unici, come formaggi, salumi e vini di altissimo livello, affiancano una specialità ittica di tutto rispetto. Dal mese di novembre inizia la pesca tradizionale di un presidio Slow Food dalla storia affascinante: la sardina essiccata. Conosciuta localmente come “sardina”, è in realtà un agone, parente dell’aringa che,

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per la sua carne grassa, si presta bene ad essere servito alla griglia o in carpione. I pescatori partono con le loro imbarcazioni al calare del sole e posizionano le reti di profondità, anche dette sardenere, al centro del lago, a circa 200 metri dalla riva, ancorandole alle apposite boe. Alle prime luci dell’alba ritornano ad issare le reti e verificare il pescato: le sardine vengono immediatamente portate a riva, sviscerate, lavate sotto acqua corrente e lasciate riposare per almeno 48 ore sotto sale. Ciò che rende il presidio un prodotto spettacolare è la particolare essiccatura, coi pesci all’aperto, lasciati al sole e all’aria del lago: dai

3 ai 4 giorni per i filetti, a circa 30-40 per il pesce intero. Anticamente per questa pratica si utilizzavano rami di frassino e carpino, piegati ad arco e tenuti in posizione da fili tesi, legati alle estremità sui quali si infilavano i pesci uno ad uno. Un’operazione scenografica fatta solo nel periodo invernale, per evitare il deterioramento del pesce e scongiurare l’attacco di insetti, soprattutto mosche. Oggi le strutture di essiccazione, che si trovano su terrazzi ombreggiati, sono tecnicamente più evolute. Gli agoni vengono inchiodati per la testa a dei piccoli ganci che si trovano sulle assicelle di legno che compongono le intelaiature, disposti a file parallele.

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Ad essiccazione ultimata, i pochi artigiani rimasti raccolgono le sardine e le dispongono in modo concentrico in contenitori di acciaio, oppure in legno, come avveniva in passato. Quando il contenitore è colmo si passa alla fase di pressatura: con un peso, o un torchio, il pesce viene schiacciato per far uscire il grasso, che viene subito eliminato. Infine, si ricoprono gli agoni con olio di oliva e si sigillano i contenitori. Si conservano sottolio per alcuni mesi, ma possono durare anche fino a due anni se si ha l’attenzione di cambiare l’olio ogni 9 o 10 mesi. Dopo qualche mese di maturazione le sardine diventano dorate e sono pronte per essere cucinate. Secondo la tradizione orale l’antica tecnica di essiccatura del pesce all’aperto risalirebbe ad almeno mille anni fa, quando i pescatori della “piscaria di Iseo” ogni anno avevano il dovere di consegnare una precisa quantità di pesce essiccato al monastero di Santa Giulia di Brescia, un complesso monumentale tutt’oggi esistente nato nel 753. Si dice che proprio per i monaci bresciani fu messa a punto questa tecnica, così da conservare a lungo le sardine catturate in quei periodi dell’anno in cui la pesca era più abbondante. I pescatori che si recavano nel monastero provenivano prevalentemente da Monte Isola, l’isola che si trova al centro del Lago d’Iseo e che si

è distinta nei secoli per l’artigianato legato alle reti da pesca e alle barche di legno chiamate naét, imbarcazioni simili alle gondole. Punto di riferimento a livello mondiale per la fabbricazione delle reti, nei primi anni Settanta del Novecento, l’artigianato ittico di Monte Isola è stato messo in crisi dalla concorrenza giapponese. Oggi rimangono pochissimi fabbricatori, soprattutto nella frazione di Peschiera Maraglio, e pochissimi pescatori che si dedicato alla produzione tradizionale delle sardine del lago: il lavoro è faticoso e poco redditizio. Principalmente per questi motivi l’associazione Slow Food ha voluto scommettere sulla sardina essiccata riconoscendola presidio, ai fini di valorizzarla ed incentivarne la produzione. La conserva sottolio delle sardine d’Iseo va a conferire al prodotto finito un gusto più dolce e piacevole in bocca, a differenza dei pesci che subiscono esclusivamente un processo di essiccatura sotto sale. Quando gli agoni terminano la maturazione assumono un invitante color oro e si prestano a molteplici ricette. Ma la versione più apprezzata rimane quella al naturale: dopo una veloce cottura alla brace e vengono condite con olio, aglio e prezzemolo. Sulle tavole degli Iseani è facile trovarle accompagnate con polenta o come condimento per la pasta, in particolare spaghettoni e bigoli.

Agoni essiccati e polenta (photo © 2009 Francesco Laurenzi). Sul Lago d’Iseo la pesca è un’attività vivace: altre specie che si trovano in pescheria o al ristorante sono il coregone (o lavarello), dalla carne bianca e delicata, la scardola, la piccola alborella e il pesce persico. Una meta ideale, quindi, per il viaggiatore goloso in cerca di storia, tradizione e produzioni di nicchia da non perdere. Chiara Papotti

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NUTRIZIONE

Perché il pesce azzurro è alleato della nostra salute

Sgombri (photo © Antonio Scarpi – stock.adobe.com).

di Marilia Tantillo

Le specie comprese nella denominazione di pesce azzurro sono molteplici, alcune molto simili tra di loro, tanto da essere difficilmente distinguibili, altre con caratteristiche abbastanza diverse. La denominazione “pesce azzurro” non ha nulla a che vedere con la tassonomia scientifica delle specie ittiche: questa definizione è stata scelta per comprendere pesci con pezzatura medio-piccola, colorazione del dorso dal blu scuro al bianco ghiaccio e con determinate caratteristiche nutrizionali. Ciò che rende il pesce azzurro davvero interessante sono proprio le tante proprietà nutrizionali e funzionali che possiede: trattasi, infatti, di un alimento che può apportare svariati benefici al nostro organismo. È un alimento che non dovrebbe mai mancare sulle nostre tavole: i medici

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e biologi nutrizionisti consigliano di mangiarlo anche 3 volte a settimana per le sue proprietà benefiche e per l’apporto di proteine nobili e altamente digeribili, in quanto la catena proteica è sempre piuttosto corta e mai molto complessa; sono presenti invece molti peptidi, è facilmente attaccabile quindi dalle proteasi endogene.

Più in generale si afferma che tutti i prodotti della pesca sono considerati una ricca e importante fonte proteica al pari, se non superiore, delle carni rosse di alta qualità. Il consumo di pesce azzurro apporta una bassa percentuale di calorie: con una quantità di 100 grammi di pesce azzurro si introducono 90-120 calorie, solo con il consumo dello

La denominazione di “pesce azzurro” è stata scelta per comprendere pesci con pezzatura medio-piccola, colorazione del dorso dal blu scuro al bianco ghiaccio e determinate proprietà nutrizionali e funzionali. È un alimento che apporta svariati benefici all’organismo e non dovrebbe mai mancare nella nostra dieta

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sgombro si arriva a 170 calorie per 100 grammi. Una fondamentale caratteristica del pesce azzurro è quella di avere un ottimo potere saziante, fattore che lo rende alimento ideale nelle diete. Il profilo lipidico di tutti i prodotti ittici è ben diverso da quello della carne ed è caratterizzato dalla elevata presenza di acidi grassi polinsaturi, ma ovviamente tra i prodotti della pesca la percentuale di grassi varia a specie a specie e pertanto possiamo distinguere: pesci grassi, semigrassi e magri. Tra i pesci grassi rientrano i pesci che contengono dal 3% al 9%. Tra i più conosciuti troviamo l’aringa, lo sgombro, la sardina, l’anguilla o capitone e il salmone. Quando parliamo di pesce grasso erroneamente colleghiamo il concetto ad elevata presenza di “colesterolo”. Il pesce azzurro (sardina e sgombro) è considerato addirittura “pesce anticolesterolo”, perché contribuisce a proteggere il nostro organismo da tutte le conseguenze provocate da un eccesso di colesterolo nel sangue, come arteriosclerosi, Alzheimer e infarto, per il giusto rapporto tra acidi grassi Omega-3 e Omega-6. I pesci semigrassi sono adatti alle diete in porzioni e frequenza di consumo normali; presentano buone quantità di iodio e di vitamina A e D e hanno una percentuale inferiore di Omega-3 rispetto ai pesci più grassi. Tra i pesci semigrassi troviamo il tonno, il pesce spada e il sarago. I pesci magri sono quelli che contengono meno del 3% di grassi e apportano bassissime calorie; sono particolarmente adatti per le diete ipocaloriche, anche mangiandone con una certa frequenza e con porzioni abbondanti (oltre 150 grammi), considerando il fatto che sono molto digeribili. D’altro canto hanno una quantità inferiore di vitamine e Omega-3 (es. alice). È importante ricordare che gli acidi grassi polinsaturi contribuiscono anche allo sviluppo nervoso e oculare dei bambini, soprattutto nel corso della gravidanza; esercitano un’azione vasodilatatrice della rete capillare oculare, favorendone l’e-

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Sarde fresche in cartoccio (photo © Cornelio Ferrari).

lasticità. Alcuni studi hanno anche identificato un legame tra consumo di pesce azzurro e ridotto rischio di perdita della vista negli anziani, oltre che prevenzione per patologie come Alzheimer. Nel pesce azzurro si trova anche un elevato contenuto di creatina, importante per eliminare o limitare l’affaticamento muscolare, e un buon contenuto di sali minerali, quali fosforo, ferro, calcio e iodio. Buono anche il contenuto di vitamine; in particolare tra le vitamine spiccano quelle del gruppo B e le vitamine liposolubili A e D. Le aringhe si classificano al primo posto per il loro contenuto di vitamina D, che rappresenta la vitamina per cui si registrano i maggiori livelli carenza in Italia. Infine, i pesci che possono essere mangiati interi, come le alici, sono una buona fonte di calcio, una porzione, infatti, copre circa il 22% del fabbisogno giornaliero del minerale. Lo iodio contenuto in questa categoria di pesci è un minerale necessario al buon funzionamento della

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ghiandola tiroidea, responsabile della regolazione del metabolismo basale. Mangiare regolarmente pesce azzurro ha quindi un effetto positivo al buon funzionamento del metabolismo. Per beneficiare dei vantaggi legati alle qualità funzionali e nutrizionali del pesce azzurro non è necessario consumare solo pesce fresco, lo sgombro in scatola e il pesce azzurro surgelato mantengono la loro qualità soprattutto per quanto attiene agli acidi grassi polinsaturi. Per quanto riguarda la sua commercializzazione, oltre che fresco si trova in commercio sia in conserva, che congelato. In scatola, sottolio o sotto sale, come capita per lo sgombro o le acciughe, diventa molto più calorico per l’olio e il sale è dannoso per chi soffre di ipertensione. Surgelato mantiene pressoché intatte le sue qualità e le procedure per la cottura sono uguali. Quando si acquista il pesce azzurro fresco è bene saper riconoscerne la freschezza (occhio

vivido e convesso, colore della livrea brillante con sfumature tra il verde e il blu, tessuti resistenti alla pressione, odore di salso, ecc…). Se si desidera mangiare pesce azzurro crudo ricordiamo che è indispensabile abbatterlo cioè portarlo a bassa temperatura di congelamento (–35/30 °C) per il tempo necessario ad inattivare anisakis, un parassita che purtroppo spesso di insidia nell’intestino dei prodotti della pesca e dopo la morte dell’animale nei tessuti edibili. Prof.ssa Marilia Tantillo Direttrice della scuola di Specializzazione Ispezione degli alimenti, UNIBA Accademia dei Georgofili Georgofili.info Nota L’articolo è una sintesi della relazione svolta in occasione dell’incontro “Ciboacculturarsi”, organizzato lo scorso 14/11/2021 a Bari, dalla Sezione Sud-Est dell’Accademia dei Georgofili.

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Photo © Verena J. Matthew, Summerside, PEI, Canada

Gli Omega-3 del pesce possono prevenire i danni di una dieta scorretta Uno studio americano conferma che cibi ricchi in acidi grassi Omega-3 contrastano l’invecchiamento cerebrale negli individui anziani di Roberto Villa

Già altri studi in passato hanno mostrato come un’idonea assunzione di acidi grassi Omega-3 risulti protettiva nei confronti della colesterolemia alta, favorisca la mobilizzazione dei grassi accumulati nel tessuto adiposo ed aiuti a tenere in perfetta efficienza il sistema nervoso centrale. Ora uno studio condotto da una squadra di ricercatori statunitensi dell’Institute for Behavioral Medicine Research, afferente all’Ohio State University di Columbus — e pubblicato sul volume 98 della rivista BRAIN, BEHAVIOR, AND IMMUNITY nel novembre 20211 — mo-

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stra che l’assunzione nella dieta di cibi ricchi in acidi grassi Omega-3 è in grado di opporsi efficacemente al danneggiamento delle cellule cerebrali provocato dall’ingestione di cibi ultra-elaborati, vale a dire alimenti trasformati di origine industriale sottoposti a lavorazioni fisiche e meccaniche nonché formulati con l’utilizzo di conservanti, coloranti ed altri additivi. Sui ratti anziani una dieta povera di fibre e ricca di carboidrati lavorati e grassi causa in sole quattro settimane una infiammazione delle

cellule cerebrali, con perdita di memoria e della sensibilità emotiva. L’esperimento è stato condotto variando la dieta in due gruppi di ratti da laboratorio, uno dell’età di tre mesi l’altro di ventiquattro, ed osservandone le variazioni nei comportamenti nell’arco di quattro settimane. La dieta base consisteva in 32% di calorie da proteine, 54% da carboidrati integrali derivanti dal frumento e 14% da grassi; la dieta modificata, denominata “altamente elaborata” (highly processed), con-

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sisteva in 19,6% di calorie da proteine, 63,3% da carboidrati poveri in fibra, 17,1% da grassi; una terza tipologia prevedeva l’aggiunta di acido docosaesaenoico (DHA), acido grasso Omega-3, alla dieta altamente elaborata. Dopo sole quattro settimane la dieta altamente elaborata aveva prodotto nel gruppo dei ratti più anziani segni palesi di perdita di memoria e di capacità reattiva, riscontrabili nel comportamento delle attività alle quali erano sottoposti, spiegabile con l’innesco di una risposta infiammatoria nelle cellule cerebrali ed in particolare nell’ippocampo (deputato alla memoria) e nell’amigdala (che sovrintende alla gestione delle emozioni e delle reazioni a situazioni di pericolo); la stessa conseguenza non si notava nei ratti più giovani alimentati con la medesima dieta. Altro aspetto sfavorevole di questa dieta rispetto a quella base è stato l’incremento di peso, che ha riguardato entrambi i gruppi sebbene quello degli anziani abbia manifestato un guadagno ponderale più marcato. I benefici dei cibi ricchi in Omega-3 sulla salute cerebrale dei ratti anziani L’aggiunta di acidi grassi Omega-3 (DHA) alla dieta altamente elaborata si è dimostrata in grado di fermare il fenomeno infiammatorio nei ratti più anziani e di prevenirne o limitarne gli effetti avversi. Nessun segno di perdita di memoria o di disturbo nei comportamenti risultava infatti riscontrabile nei ratti anziani con la seconda dieta arricchita di Omega-3. Se si considera che anche negli esseri umani l’infiammazione delle cellule nervose cerebrali è predisponente a malattie invalidanti come il morbo di Alzheimer e il morbo di Parkinson si capisce che questo effetto favorevole degli Omega-3 è potenzialmente molto promettente. Anche negli esseri umani le fonti di Omega-3 hanno lo stesso effetto protettivo? A commento di questo studio vale fare due importanti considerazioni. La correlazione esatta delle eviden-

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ze scientifiche tra i ratti e gli esseri umani non è determinabile in via assoluta, sebbene vari studi anche in campo neurologico abbiano mostrato meccanismi simili. Questa è una delle più recenti ricerche in campo nutrizionale che mettono in relazione gli effetti benefici degli Omega-3 in attività di aperto contrasto a comportamenti alimentari poco salutari. Se si pensa che negli Stati Uniti circa il 60% della dieta quotidiana del cittadino medio è costituita da cibi altamente elaborati, ciò fa riflettere su quali potenziali vantaggi può apportare l’inserimento di fonti di Omega-3 nella dieta, specialmente degli anziani. In Europa sono i paesi centrosettentrionali quelli che più si avvicinano al modello americano, con percentuali superiori (nel Regno Unito) o prossime al 50%, come riportava uno studio condotto pochi anni addietro2; l’Europa meridionale è ancora più legata ad un modello alimentare basato su alimenti semplici, poco elaborati, la cosiddetta e rinomata “dieta mediterranea”. Occorrono altri studi che corroborino tale legame, condotti sulla popolazione umana. Nel frattempo, consigliare alle persone anziane — ma nulla vieta di cominciare anche prima, lasciando gli stravizi ai “giovani” intesi in senso lato — un consumo regolare di pesce e di derivati come l’olio di pesce (oltre che di noci ed altra frutta secca che è parte della dieta mediterranea) non può che promettere un’aspettativa di vita sana. Roberto Villa Note 1. Qui il riassunto in lingua inglese, l’articolo completo è disponibile per l’acquisto: www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/ S0889159121005043 2. L’articolo descrittivo del quotidiano britannico THE GUARDIAN dà accesso anche alla pagina con la pubblicazione integrale della ricerca, condotta in diciannove stati europei: www.theguardian. com/science/2018/feb/02/ultraprocessed-products-now-halfof-all-uk-family-food-purchases

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Pesci Yin, pesci Yang, dal pesce la vita e l’equilibrio psicofisico di Josette Baverez Blanco

Da sempre, il mare è fonte di vita per l’uomo, in particolare per le popolazioni costiere che hanno saputo trarne le proteine nobili per la propria alimentazione. I testi sacri invitano a preferire il pesce alla carne. “Dal pesce sorge la vita” si

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legge nel CORANO, indicando persino quali consumare nei mesi caldi o freddi. Tutti i tipi di pesci sono Halal,quindi leciti, eccetto quelli che muoiono naturalmente nel mare senza alcuna causa esterna (“Ciò che il mare rigetta ed è lasciato dalla

marea lo potete mangiare, ma ciò che muore nel mare e galleggia non potete mangiarlo”). LA BIBBIA sottolinea i benefici che derivano dal consumo del pesce, animale presentato ripetutamente anche in veste simbolica.

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G EORGE O SHAWA , padre della disciplina macrobiotica basata sulla dialettica Yin e Yang, riprende la suddivisione in base alla temperatura ambientale. I pesci nutrienti e grassi, ricchi di vitamina A e di principi nutritivi, sono da consumare all’inizio della stagione fredda, ma anche in agosto, cotti alla griglia senza nessun aggiunta di grasso o altro condimento. Anguille, aragosta, cozze e frutti di mare, mazzancolle e merluzzo, orata, ostriche, sogliola, trota, tonno e vongole, anfibi, sono tutti alimenti Yin. Ricchi di proteine, grassi e sali minerali, sono pesci più “forti” ma anche più laboriosi da digerire. Vanno quindi cucinati nel modo giusto, evitando di appesantirli con altri grassi o salse, in particolare se consumati in estate. Vi sono poi i pesci Yang che, secondo Oshawa, “stimolano lo spirito alla pace e alla comprensione del prossimo e che tranquillizzano il nostro spirito, predisponendolo alla riflessione e alla pace”. Si tratta di acciughe, aringa, caviale, salmone, sardine, scampi, di solito considerati pesci grassi. L’importante è mantenere un equilibrio anche nella scelta del contorno, che deve essere Yin per un pesce Yang e viceversa. Tra le verdure Yang, citiamo gli azuchi, piccoli fagioli giapponesi di color rosso scuro, le carote, il cavolfiore, i ceci, la cicoria, le cipolle, il crescione, l’indivia e la lattuga, le lenticchie, i porri, il prezzemolo, la verdura più ricca di vitamine che ci sia, le rape bianche, il radicchio amaro, il tarassaco, la zucca e la verza. Per affiancare un pesce Yang, ci sarà equilibrio scegliendo l’aglio, gli asparagi, la barbabietola, i carciofi, i cetrioli, i fagioli, i funghi, le melanzane, le patate, i peperoni, il pomodoro, le rape rosse, il sedano, gli spinaci o le zucchine. Mangiando in tal modo, secondo le regole della macrobiotica, avremo la garanzia di digerire bene. Se si decide di acquistare pesce fresco, da pesca o d’allevamento — senza dimenticare l’ottimo pesce surgelato —, occorre rammentare come riconoscerne le caratteristiche di freschezza, la carne soda, le scaglie brillanti, l’occhio limpido,

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le branchie color rosso vivo. Se preferiamo o abbiamo necessità di acquistare il pesce a trance, meglio farcele tagliare al momento, perché più deperibili. Di mare o d’acqua dolce, ogni pesce ha un suo metodo di cottura ideale. E a proposito di tipologie di cottura, ecco una curiosità storica sul “cartoccio”. Bella da vedere e, soprattutto, molto salutare — consente infatti di preservare le proprietà nutritive di un alimento eliminando del tutto o quasi completamente i condimenti —, sembra che la cottura al cartoccio sia di origine bizantina: alla corte di Bisanzio, infatti, pare si usasse avvolgere i pesci in una sottilissima lamina d’oro puro prima di cuocerli. Solo nel Cinquecento, i cuochi delle Corti, volendo ripetere le ricette di Bisanzio, le ripresero sostituendo l’oro dapprima con una sottile pasta sfoglia poi con della carta oleata, in modo che “l’effetto oro” rimanesse attraverso la coloritura dell’involucro ma senza il costo! Quando si parla di Yin e Yang non ci si riferisce solamente ad un’insieme di regole alimentari, ma anche ad una vera e propria filosofia di vita che ha per obiettivo quello di sviluppare al meglio il benessere psicofisico dell’individuo. In tal senso, non ci sono buoni o cattivi alimenti: l’importante è la qualità del cibo da cui deriva la sua componente energetica. Possiamo affermare che in generale gli animali che provengono dall’acqua sono più Yin di quelli che si muovono sulla terra, come lo sono anche gli alimenti con più liquidi rispetto a quelli che non danno acqua (i cibi secchi) o che ne sottraggono (il bestiame). È importante anche la semplicità del cibo per mantenere un equilibrio benefico. Meno sarà “manipolato” il pesce, più trasmetterà al nostro organismo le sue proprietà intrinseche. Si avranno vantaggi per la salute e per il gusto, imparando soprattutto ad abbinare gli alimenti che singolarmente possono essere ottimi ma far scaturire reazioni infiammatorie se non accompagnati nel modo più corretto. Josette Baverez Blanco


La regola filosofica Yin Yang inserisce i diversi cibi in due categorie principali: Yin (alimenti considerati come passivi) e Yang (il cibo con energie positive). Un equilibrio tra questi due gruppi di alimenti mira a raggiungere sia il benessere fisico sia quello spirituale. La cottura è solitamente una procedura che tende ad aumentare il fattore yang del cibo ed è quindi preferibile effettuarla con poca acqua e per strati sovrapposti, così da mantenere il più possibile inalterati i nutrienti degli alimenti stessi.

I due pesci Yin e Yang Il concetto di Yin (nero) e Yang (bianco) ha origine dall’antica filosofia cinese, molto probabilmente dall’osservazione e successiva riflessione della dualità notte-giorno. I concetti di Yin e Yang si riflettono in ogni aspetto della natura. Questa concezione è presente nel Taoismo e nella religione tradizionale cinese, oltre ad essere alla base di molte branche della scienza classica cinese e una delle linee guida della medicina tradizionale cinese. Infine, viene considerata un punto centrale di molte arti marziali cinesi o esercizi come il baguazhang, taijiquan, qigong e della divinazione I Ching. I caratteri tradizionali per Yin e Yang possono essere separati e tradotti approssimativamente come il lato in ombra della collina (yin) e il lato soleggiato della collina (yang). Il significato di questi caratteri non può che avere più di una connotazione. Siccome Yang fa riferimento al “lato soleggiato della collina”, esso corrisponde al giorno e alle funzioni più attive. Al contrario, Yin, facendo riferimento al “lato in ombra della collina”, corrisponde alla notte e alle funzioni meno attive. Lo Yin (nero) e lo Yang (bianco) sono anche detti “i due pesci Yin e Yang”, perché sono due metà uguali con la maggior concentrazione al centro e sul rispettivo lato, quando lo Yang raggiunge il suo massimo apice comincia inevitabilmente lo Yin. Le due polarità non implicano affatto la divisione yin = male e yang = bene, ma semplicemente due polarità energetiche (Tao Te Ching).

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IL PESCE IN TAVOLA

Una gestione della cucina più local, sostenibile e tecnologica: ecco i trend culinari del 2022 Filiera sempre più corta, la riscoperta di ingredienti poveri e dimenticati, un’attenzione sempre maggiore verso la riduzione degli sprechi e il consolidamento del delivery e della tecnologia, non solo verso il consumatore finale (con la differenziazione del menù riservato al delivery) ma anche come canale di approvvigionamento per il ristorante stesso. Questo il quadro che emerge dall’analisi della start-up Soplaya sui trend che più impatteranno le cucine dei ristoranti nel 2022. Un po’ per i rinnovati gusti dei consumatori, un po’ per le contingenze portate dalla pandemia, gli chef stanno sempre più reintroducendo nei propri menù ingredienti locali, che spesso reperiscono direttamente dal produttore. «In media negli ultimi sei mesi, per ogni ordine effettuato da uno chef o da un ristorante tramite la nostra piattaforma, il 50% dei prodotti selezionati proviene da 112

piccoli produttori vicini, anche geograficamente, alle location dei ristoranti; moltissimi, addirittura, sono presidi Slow Food», commenta TOMMASO TERENZIANI, farm manager della start-up. Largo agli ingredienti “poveri”: il pesce vola al +136% grazie alle varietà dimenticate. E anche alcuni ingredienti nell’area ortofrutta stanno letteralmente esplodendo, portando la categoria al +49% sul fresco e al +45% sulla cosiddetta “quarta gamma”. Nel 2022 i menù saranno più sostenibili. Sempre più chef richiedono prodotti tracciati e allenano creatività e innovazione per usare gli ingredienti nella loro interezza. «Rispetto al passato, osserviamo la tendenza a fare ordini più piccoli, ma più frequenti: gli chef che ordinano ogni giorno, sfruttando i progressi fatti grazie a tecnologia e logistica, riescono a tenere sotto controllo

la shelf-life dei prodotti e limitare gli sprechi anche del 30%», spiega Terenziani. Menù a parte per il delivery, che conquista “la sua linea”. Il delivery, dall’essere un canale “contingente”, diventa a tutti gli effetti un core business per molti ristoranti, che si stanno attrezzando dedicando alle consegne a domicilio e all’asporto un menù a sé stante. Il 2022 sarà anche l’anno chiave per la digitalizzazione delle cucine: se il 2020 ha visto chef e ristoratori avvicinarsi timidamente alla tecnologia (il 33% di aziende della ristorazione aveva dichiarato di aver investito solo il 5% del budget per l’introduzione di strumenti tecnologici), il 2021 ha rappresentato un’accelerata e il 2022 sarà l’anno della definitiva svolta tecnologica anche per gli chef e le loro brigate. Fonte: EFA News European Food Agency IL PESCE, 1/22


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Gusto di acciuga del Mar Cantabrico, nuovo condimento gastronomico di Giovanni Ballarini

La cucina di pesce è oggi di grande successo e in espansione e questo alimento non è più considerato un sostituito della carne, ritornando agli splendori della cucina rinascimentale, quando i pesci di maggior pregio e dimensioni erano riservati ai più ricchi. Non dimentichiamo che un grande cuoco, FRANÇOIS VATEL, pseudonimo di FRITZ KARL WATEL (1631-1671), il 24 aprile 1671 si uccise perché non riuscì a preparare

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un banchetto a base di pesce per la festa che il principe di Condé volle organizzare nel castello di Chantilly. L’importanza del pesce, testimoniato dalle particolari posate destinate a questo alimento e che escludono il ferro, è confermata anche dal suo uso come aromatizzante e portatore di gusto in molte ricette, nobili e popolari, tra le tante la bagna caoda o bagna cauda (salsa calda) tipica del Piemonte e preparata con acciughe,

olio e aglio. Questo intingolo per le verdure fresche della stagione autunnale ha origini misteriose e non si sa quando, dove e chi abbia inventato una salsa rimasta per moltissimo tempo soltanto nell’alimentazione dei poveri e dei contadini perché gli aristocratici aborriscono l’aglio. Oggi però la bagna cauda è rivalutata, mettendo in evidenza e nobilitando il gusto e l’aroma delle acciughe, perché anche il pesce con-

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servato con le moderne tecniche è divenuto oggetto di una nuova gastronomia. Al riguardo è sufficiente vedere i risultati ottenuti dai sempre più numerosi cuochi che si dedicano a rivisitare le ricette tradizionali di antiche cucine nelle quali il sapore di pesce si associa a quello di altri alimenti e soprattutto alle paste e alle verdure. Nelle prospettive accennate il gusto del pesce conservato, e soprattutto quello delle acciughe o alici di particolare valore gastronomico e trattate con moderne tecnologie, sta divenendo un nuovo condimento dalle radici antiche. Acciughe del Mar Cantabrico Il Mar Cantabrico è un tratto di mare litorale dell’Oceano Atlantico che bagna la costa nord della Spagna e la costa sud-ovest della Francia e che nella sua parte più orientale e lungo le coste basche diviene Golfo di Biscaglia. Questo mare di passaggio tra i freddi mari del Nord e quelli temperati delle Azzorre è ricco di specie vegetali e animali dando origine ad un’importante industria di pesca e di conserve ittiche e tra queste soprattutto di acciughe trasformate nella regione di Cantabria. L’acciuga europea o alice (Engraulis encrasicolus, L. 1758) è un pesce osseo marino presente nell’Oceano Atlantico orientale e nei mari Mediterraneo, Nero e d’Azov. Tipico pesce pelagico, si trova anche a grande distanza dalle coste, a cui si avvicina in maggio-giugno per la riproduzione. Nella stagione calda non si incontra a profondità superiori a 50 m, ma può arrivare anche a 400 m, nutrendosi di zooplancton; le sue prede principali sono crostacei copepodi e gli stadi larvali di molluschi. Dal tipo di vita in acque fredde e profonde e soprattutto dalla sua alimentazione derivano le caratteristiche dell’acciuga, dalle sue dimensioni, rapporto tra carne e grasso, alla qualità delle carni, grassi e aromi, in modo analogo a quanto avviene per ogni specie animale, per cui le acciughe del Cantabrico hanno una qualità particolare e diversa rispetto alle altre acciughe. Le acciughe del Cantabrico sono pescate da aprile a giugno, prima della deposizione delle uova, quando il grasso è ancora concentrato nella polpa muscolare molto consistente e saporita che ha un gusto migliore e una maggiore capacità dei filetti di assorbire il sale. Buona parte delle 6.000 tonnellate di acciughe pescate ogni anno nel Mar Cantabrico è destinata alla conservazione, i pesci in gran parte lavorati a mano e con passaggi nei quali sono rispettati i tempi corretti per ottenere un prodotto qualitativamente eccellente, venduto a prezzi medio-alti con un marketing e una denominazione territoriale. Non esistono altre acciughe così famose o identificabili per una determinata area geografica, salvo forse le acciughe di Cetara in Calabria per la produzione della Colatura di Alici di Catara DOP. La lavorazione delle acciughe, certificate dal marchio Acciughe del Cantabrico dei Paesi Baschi, avviene ancora oggi in modo manuale: dalla preparazione per la salatura alla sfilettatura e all’inscatolamento

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La formula e la metodologia di lavorazione dell’insaporitore Le Acciughine® è brevettata. Solo tre gli ingredienti: acciughe del Mar Cantabrico, salgemma e fibra vegetale. Si usa al posto del sale su verdure crude e cotte, salse e sughi, zuppe e secondi di pesce e di carne (photo © www.leacciughine.com). finale. È curioso come ad iniziare e a tramandare questa tradizione siano stati i Siciliani emigrati in Spagna i primi del secolo scorso. Sale non solo conservante Da millenni il sale serve per conservare gli alimenti e si usa nelle cucine di tutto il mondo per insaporire i cibi. Per quest’ultimo scopo negli ultimi anni si sono diffusi sul mercato molti tipi di sale che tra loro differiscono per consistenza, colore e contenuto in altri sali (calcio e magnesio) e micronutrienti come lo iodio, il ferro e il bromo, ma soprattutto per l’aroma e il sapore. Sotto quest’ultimo aspetto bisogna riconoscere che il sale incomincia ad aprirsi una nuova strada nella gastronomia che valorizza le diverse caratteristiche dei sali, non più soltanto cristalli di cloruro di sodio, ma ingredienti alimentari dalle molte qualità. Di questo è testimone il sempre più diffuso uso in pasticceria di un sale dolce, per esempio quello di Cervia, e in cucina di sali duri, il salgemma, e sali di diverso colore anche come veicolo di nuovi o antichi gusti, non ultimo quello di pesce.

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Le Acciughine© Le acciughe del Mar Cantabrico hanno una naturale, caratteristica aromatizzazione che deriva dal proprio ambiente di vita e dall’alimentazione e che è conservata ed esaltata nella conservazione sotto sale, ma si riduce e si modifica quando l’acciuga è usata in cucina. Per esempio nella preparazione della bagna cauda le acciughe sotto sale sono sottoposte a trattamenti che ne modificano sapore e aromi originari. Poste in acqua fredda, sono infatti lasciate in ammollo per alcune ore, cambiando spesso l’acqua per eliminare il sale, poi i filetti sono sciacquati in acqua corrente, lavati con vino rosso e infine posti in un tegame con olio d’oliva. L’intingolo è cotto a fuoco lento per circa mezz’ora evitando però una frittura. Oggi è possibile evitare questi trattamenti con l’uso di un innovativo insaporitore con formula e metodologia di lavorazione brevettati e composto di solo tre ingredienti: acciughe del Mar Cantabrico, salgemma e fibra vegetale. Non subisce trattamenti termici che ne di-

minuirebbero proprietà e aromi, mantenendo intatto il profumo per lungo tempo fuori dal frigorifero. Questo insaporitore, denominato Le Acciughine©, si usa al posto del sale, per dare un gusto unico a verdure crude e cotte, per arricchire salse e sughi, per completare una bruschetta o dare carattere a zuppe e secondi di pesce e di carne. Ha una altissima resa perché si usa a freddo e basta poco per avvolgere tutta la pietanza mentre l’acciuga rimane in pezzi, ma anche a caldo, aggiungendolo verso fine cottura. Le Acciughine© è versatile come l’acciuga ma molto più pratico, completamente naturale e senza conservanti e permette di gustare il vero sapore dell’acciuga in una forma insolita con un prodotto buono, naturale, pratico e fatto con le materie prime più pregiate. Le Acciughine© dimostra di poter dare un contributo alla valorizzazione di una cucina alla ricerca di novità e di una gastronomia di ricerca. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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Un allampanato crostaceo

Canocchie in tavola di Giorgia Fieni

PELLEGRINO ARTUSI chiama le canocchie con un nome più poetico, “cicale”, descrivendole così: Non vivono su per gli alberi [–] e per mangiarle in umido non deve dispiacervi di adoperare le unghie, d’insudiciarvi le dita e di bucarvi fors’anche le labbra. Già, perché la Squilla mantis (è questo il suo vero nome) è un crostaceo di una

ventina di centimetri con spine aguzze che fuoriescono da un guscio madreperlaceo punteggiato da due macchie scure. Ha quindi ragione l’Artusi: per gustarle si richiede attenzione, per romperne bene la corazza e farne fuoriuscire la polpa (più soda se è stata catturata in inverno) senza sporcarsi troppo gli abiti.

Photo © denio109 – stock.adobe.com

La parola canochia, in veneto, si dice per ingiuria ad un uomo allampanato, lanternuto, smunto, secchissimo. Perciò, donne, se qualcuno vi chiama “cozze”, voi usate questo termine per rispondergli, non allontanandovi così nemmeno dall’ambito marino… e giustificate la scelta riportando proprio quella definizione, presa da un vocabolario del XIX secolo!

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Per valutarne invece la freschezza, osservatene il colore brillante (privo di macchie giallastre), l’umidità morbida al tatto e l’odore salmastro (assolutamente senza note di ammoniaca). Nella cottura, infine, ci si può sbizzarrire: oltre che in umido, si possono cucinare le canocchie alla griglia (aromatizzate con aglio e prezzemolo) e fritte (ma prima marinate nel vino). Buone nel sugo con pomodorini (che è buono con qualsiasi pasta, ma, per cambiare, ve lo consiglio coi passatelli alle carote) o carciofi (per gli gnocchi). Insaporiscono il brodo della zuppa di pesce, si sposano bene alla besciamella nelle crocchette e fanno bella figura nell’insalata di mare e nel sushi. Ma anche nel risotto (alla riduzione di vino novello, con bacche di ginepro, scorza di agrumi e chiodi di garofano), nella bruschetta (con arancia e pomodoro verde), nel ripieno dei ravioli (con l’orata), serviti con sugo ai porcini, e nella minestra (con cicoria, pomodorini, peperone verde). Questo crostaceo sarà dunque anche lanternuto e secchissimo, ma piace tanto agli esperti di settore: lo sa bene M ORENO C EDRONI , il quale, già a 18 anni, frequentando il mercato, aveva capito che quelle sacche di uova erano le più pregiate perché se le accaparravano gli chef migliori.

Omelette di canocchie di Pier Giorgio Parini (photo © reportergourmet.com). A PIER GIORGIO PARINI piace valorizzare ingredienti da molti considerati poveri, come una canocchia, perciò ne monta parte con olio extravergine, cuocendola come fosse un’omelette, vi dispone al centro il resto della polpa e serve con salsa di mandarino, purea e cimette di stellaria e polvere di felce dolce. BRUNO BARBIERI presenta un frullato (al fumetto di pesce e pomodoro) con quenelles di canocchie, patate schiacciate all’aglio e guarnizione di caviale. ALESSANDRO BORGHESE le condisce con dragoncello e limone e le usa per condire i pici.

A MAURO ULIASSI piace arricchire la tradizione cuocendole in acqua di vongole e insaporendole con maionese alla canocchia, cubi di bianco di cedro, salsa al prezzemolo. LIONELLO CERA aggiunge al risotto scorza di limone, acqua di ostriche e di alghe e schiuma di tè al gelsomino. Gli IACCARINO cucinano la vellutata di cavolfiore e, oltre alle canocchie, aggiungono burrata e tartufo bianco. Sono sicura che, vedendola, e soprattutto gustandola, in queste ricette, nessun allampanato si offenderà se verrà chiamato canocchia! Giorgia Fieni

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PESCE D’ACQUA DOLCE

Esaltiamo (o copriamo) il sapore della carpa di Giorgia Fieni

Non ho mai avuto la vocazione alla pesca, ma qualche volta, con mio cugino, ci ho provato e in quei laghetti ricordo che c’era soprattutto del pesce gatto, perciò se prendevamo all’amo una carpa voleva dire che eravamo stati bravissimi! Quale varietà poi fosse non ne avevo idea… Ora invece so che esiste la carpa regina (che può arrivare a 35 kg di peso ed è completamente squamata), la carpa specchio (supera i 38 kg ed ha squame rade ma di grosse dimensioni), la carpa cuoio (senza squame e non oltre i 20 kg), la carpa a file di squame, la fully scaled mirror (con squame grosse e sparse) e la linear carp (ad una sola fila), entrambe di peso sotto i 20 kg, ma anche la koi (in Cina è argentata, nera e verde e così la ricorda KEN HOM: “Ricordo di essere stato in un ristorante sul Lago Occidentale della bella città di Hangzhou e di aver mangiato questo famoso piatto. La carpa era bollita alla perfezione e ricoperta con una salsa davvero deliziosa, mediamente agrodolce, preparata con un brodo di pollo, zucchero cinese in cristalli, aceto nero cinese, salsa di soia scura, vino di riso di Shaoxing, zenzero fresco, prosciutto di Parma. Il sapore rustico della carpa controbilancia perfettamente la salsa”). Tutte vivono in branco in fiumi e laghi, con qualsiasi tipo di fondale (pure in quelli particolarmente sporchi), dove cercano il cibo. Il motivo per cui in Italia è scelta a fatica per essere cucinata (nonostante alcune specie molto note come la Carpa del Trasimeno, buona in porchetta, ovvero farcita con finocchio selvatico, aglio e aromi e infornata) è infatti proprio questo: il suo sapore è ritenuto troppo dolciastro e fangoso; è

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Si ha riscontro dell’allevamento di carpe fin dall’epoca romana, ma fu solo nel Medioevo che la carpa cominciò ad essere allevata nelle acque di superficie in tutta Europa. Inoltre, le carpe erano spesso allevate nei monasteri e utilizzate per il consumo nei giorni di “magro”. Fino a pochi anni or sono veniva diffusamente allevata nelle risaie e nei maceri della canapa; attualmente, la carpicoltura nazionale è prevalentemente dedicata al ripopolamento. Questa specie è anche largamente utilizzata nell’ambito della pesca sportiva, in cui si è sviluppata una vera e propria disciplina detta “carpfishing”, dedicata totalmente alla cattura dei Ciprinidi (photo © Adam Rhodes x unsplash). bene perciò, dopo averla squamata, lasciarla qualche ora in acqua e aceto, cambiandoli almeno 3-4 volte; dopodiché si può conservare 24 ore in frigo o 4 mesi in freezer. Per farle poi perdere residui di sapore indesiderato si possono utilizzare tecniche come la frittura o il carpione oppure cuocerla con ingredienti come il latte, il vino bianco (aggiunto di uva sultanina per renderla più saporita), il pomodoro (con i cardi che aumentano il nutrimento del piatto), la birra. Va bene mescolarne la polpa con uova, cipolle, carote, pangrattato, pepe e un pizzico di zucchero, farcirne una intera e cuocerla in casseruola con un po’ d’acqua, oppure usarla come ingrediente per un risotto o una pasta. Personalmente, mi è piaciuta in particolar modo la ricetta che la prevede al forno con funghi prataioli, pepe e cipolle, perché abbina

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il bosco al pesce, che è sempre una combinazione sorprendente. Se, nonostante tutto, avete ancora difficoltà al palato, consiglio di abbinare alla carpa una salsa, magari rafforzata con qualche erba o spezia, tipo una maionese a cui aggiungere curcuma o curry o, addirittura, olive o capperi. In Europa continentale, dove considerano gradevole il particolare sapore della carpa, si preferiscono tecniche e ricette meno invasive, come lo spiedo (Crap la proțap in Romania), la cottura in brodo d’ortica (Gran Bretagna) oppure in forno con panna acida ai cetriolini (Russia) o cipolle allo strutto, peperoni, pomodori e paprika (è il Pörkölt ungherese), ma anche con una farcitura saporita (cipolle all’olio di noci, paprika, cannella, noci, uova di pesce) e l’immersione in salsa di pomodoro (Repubblica Ceca).

Per un tocco di fantasia, vi suggerisco una ricetta da chef, anzi, da doppio chef. Ispirato infatti ad una ricetta di GUALTIERO MARCHESI (a sua volta ispirato ad un’opera d’arte del 1958 di PIERO MANZONI), PAOLO LOPRIORE prepara Achrome di carpa à la côque e melograno, in cui gioca sul taglio del pesce e sull’assonanza carpa/ carpaccio. Per completezza di informazioni, sappiate che esiste anche il latte di carpa: è il liquido seminale del pesce, cotto in court bouillon o alla mugnaia e servito su crostini fritti o nel ripieno delle omelette o dei bignè salati. Le formulazioni ci sono, quindi, e anche diverse. Provatele tutte e lasciate che sia il vostro palato a decidere se vuole esaltare o coprire il sapore della carpa. Giorgia Fieni

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SAPORE DI MARE

La Perla del Mare, il mondo della spiaggia incontra l’alta ristorazione a San Vincenzo di Riccardo Lagorio

Le saghe familiari nascono un po’ per caso, spesso spiccano il volo con una generazione e si completano con quella successiva o quella dopo ancora. Le dinastie della cucina italiana di rilievo che abbiamo sotto gli occhi, dai SANTINI agli IACCARINO, ne sono un esempio. Qualcosa di simile sta accadendo, ne sono certo, in Toscana. Da un’antica ma confortevole baracca costruita sulla spiaggia per rifocillare i bagnanti di San Vincenzo nel periodo estivo (1993 nasce la piccola pasticceria; 1998 inizia la creazione di piatti), la Perla del Mare è da qualche anno un ristorante

che serve raffinate preparazioni, coordinato in sala alla perfezione e dallo splendido futuro. L’indovinata ristrutturazione fatta di vetro, legno e acciaio ha saputo valorizzare quegli elementi caratteristici del luogo come la presenza sulla battigia, a braccia spalancate rivolta verso zefiro, tanto da rendere piacevole il pranzo quasi tutto l’anno a finestre aperte, e rivolta ad occaso, ideale per romantiche serate in terrazza, pieds dans l’eau. Gli interni sono abbelliti da dipinti e opere d’artigianato che ricordano elementi marini realizzate con egagropile e frutici spinti a riva dal vento e dalle risacche.

Linguine all’aglio nero e ragù ai tre crostacei (photo © laperladelmare.it).

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Nella casa sul mare il proprietario EMANUELE GIAMPIERI gioca il ruolo di caposala e la moglie DEBORAH CORSI è l’autrice delle golose preparazioni, «piatti secondo tradizione preparati senza osare troppo, ma con un tocco personale» secondo sua stessa ammissione. Ad attendere le vivande una corposa carta di oltre 270 etichette, con alcune avvincenti e inconsuete proposte. Folta la schiera di collaboratori. Sono tanti i capolavori che contraddistinguono la cucina di Deborah Corsi: nessuno richiama forzosamente aspetti cromatici seducenti, ma tutti portano nel DNA una gradevole applicazione naturale ai colori della natura; neanche uno va alla ricerca di bizzarre combinazioni di sapore ma ciascuno è frutto di logiche associazioni, maturate anno via anno. Gli esempi più calzanti stanno nei risotti: quello con ostriche, lime e mandorle; e l’altro, altrettanto goloso, di cozze, vongole, ricotta salata e ricci di mare. Il profumo ittico si muove di pari passo con i colori e la discrezione del gusto raggiunge il palato onda dopo onda. L’istinto di Deborah ha portato a sperimentare il miglior modo per interpretare la pasta: ecco le Linguine con aglio nero, peperoncino e ragù di tre crostacei. Si incrociano il mondo della spiaggia e dell’alta ristorazione quindi sin dall’apertura del menu, da quella variazione di Alici fritte, in uovo e Parmigiano Reggiano DOP o tradizionale pastella di acqua e farina, accompagnate da una maionese al prezzemolo che si vorrebbe non finisse mai.

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In alto: a sinistra, risotto ostrica, lime e mandorle. Un piatto profumato, deciso e delicato allo stesso tempo (photo © laperladelmare.it). A destra, Deborah Corsi e il marito Emanuele Giampieri con la figlia Michelle. In basso: scorfano in carbonara di peperoni (photo © laperladelmare.it). «La triglia rappresenta il nostro territorio» dichiara Deborah. Ne scaturisce una goduria nell’Omaggio all’Italia con le triglie passate al forno racchiuse tra due fette di pane croccante, farcite con ricotta e

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appoggiate su uno sformato di pomodoro completato da un omaggio alla bandiera con prezzemolo e aglio. E la Triglia alla livornese farcita col suo fegato è un’opera di pazienza volta ad eliminare le lische mantenendo

il pesce intero e farcirlo con il suo fegato accompagnato da una salsa di pomodoro fresco e una leggera all’aglio. Autodidatta e ricca di modestia, questa ancora giovane regina della cucina marinara si impone definitivamente nell’empireo dei ristoranti tricolore con la Cotoletta di rombo su crema di castagne e cipollotto glassato con olio all’acciuga. Un lavoro certosino fare affiorare le costolette del rombo e la preparazione della salsa di castagne sbollentate con latte, spellate ed emulsionate con il liquido di cottura. Cremoso finale e inusuale gusto nel piatto. Per chi proprio non ce la fa con il pesce, in carta c’è sempre qualche acquolinoso piatto di carne, come il Guanciale di manzo cotto a bassa temperatura con purea di sedano rapa. Il passaggio delle consegne non c’è ancora: Emanuele e Deborah sono nel fiore degli anni. Michelle, lei, la figliola, è appena maggiorenne ma fa già rivivere le emozioni che sua madre in cucina le sa trasmette. Così nasce una saga familiare. Riccardo Lagorio La Perla del Mare Via della Meloria 9 57027 San Vincenzo (LI) Telefono: 0565 702113 Web: laperladelmare.it

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LOCALI DI GUSTO

Hostaria in Certosa, arrivederci a primavera di Gian Omar Bison

22 ettari di isola a poche centinaia di metri d’acqua dal sestiere Castello, vicino a San Marco, e dalle isole del Lido e delle Vignole. Storicamente una delle principali vie di ingresso in laguna per arrivare al cuore di Venezia. L’isola della Certosa, sede dal XV secolo di un importante monastero di monaci certosini, da cui prende il nome, che verrà quasi completamente demolito dopo il 1810 con la soppressione degli ordini religiosi ad opera di Napoleone, è stata utilizzata per scopi militari fino alla fine degli anni ‘90, quando inizia il suo recupero urbano. Dopo essere stata data in concessione a un privato nel 2004 e dopo un lungo lavoro di

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bonifica ambientale, recupero dei manufatti e allestimento di darsena e porticciolo, ha visto sbarcare lo scorso anno la storica famiglia della ristorazione Alajmo che ha preso in gestione l’Hostaria in Certosa. Un ristorante estivo realizzato in collaborazione con ALBERTO SONINO, ex velista di classi olimpiche, celebre per le sue imprese oceaniche con GIOVANNI SOLDINI, che ha fondato la società Vento di Venezia e gestisce, in concessione, l’isola e il Venezia Certosa Marina, meta da qualche anno di velisti e diportisti che con la sua marina può ospitare fino a 300 imbarcazioni di ogni dimensione (alajmo.it).

Hostaria in Certosa Un locale dal design semplice e accattivante che richiama dettagli nautici sin dalle divise del personale. Cento coperti all’aperto, trenta al chiuso e tavoli e salottini disseminati in tutta la tenuta che si prestano al consumo di pranzi e cene ma anche cocktail bar dove sorseggiare i grandi classici ma anche le creazioni di LUCAS KELM, barman del gruppo Alajmo, potendo godere di una vista spettacolare sulla laguna. Una sorta di Yachting Club dove, oltre al servizio di ristorazione, è disponibile un servizio di take away gestito tramite una piattaforma digitale integrata sul sito Alajmo che consente di prenotare, ordinare e

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In alto: tartare di ombrina alla griglia, pepata di cozze, moscardini in tocio piccante con fagioli borlotti. In basso: Lucas Kelm, Michele Pozzani e Silvio Giavedoni. pagare con facilità, effettuando il ritiro direttamente dalla propria barca ormeggiata presso uno stallo dedicato. «Lo scorso anno con lo scoppio della pandemia — puntualizzano Raf e Max Alajmo — abbiamo considerato la proposta di Alberto Sonino come l’opportunità di radicare ancora di più la nostra presenza su Venezia e laguna. Con i locali chiusi a causa del lockdown, ci

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siamo impegnati in questo progetto e con noi il personale, per dare vita ad una proposta diversa, allestita in 50 giorni, inserita in maniera armonica nel contesto isolano, rispettosa del verde». Di qualità ma easy, slow e in linea con lo spirito di chi ha pensato all’isola come ad uno spazio flessibile, per turisti ma anche per veneziani, ricercato ma informale, non esclusivo, integrato con la realtà lagunare,

con la natura che lo circonda e comodo a Piazza San Marco, il salotto più bello del mondo dove gli Alajmo gestiscono il Caffè Quadri. «Abbiamo chiuso ad ottobre — sottolineano — e trasferito il tutto a Cortina dove abbiamo aperto un Hostaria in Cortina in versione pop up presso l’Hotel Ancora in Corso Italia. Il sei di maggio di quest’anno siamo tornati e abbiamo riaperto con qualche miglioria».

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L’interno del locale. L’apertura dell’Hostaria fa parte di un progetto di rigenerazione e bonifica urbana. Un punto di partenza, ma anche uno stimolo per capire e compenetrare ancora di più e meglio le tradizioni gastronomiche della Serenissima e per impegnarsi in coltivazioni orticole e frutticole tipiche delle isole lagunari. Perché il disegno degli Alajmo è composito e oltre a frutta e verdura si parla di miele, e pure, concessioni permettendo, di vite e di vino. «Abbiamo fatto una ricerca con LUCA RANDO, il nostro agronomo di fiducia, per scoprire più varietà di ortaggi tipici della zona. Ad esempio, di peperone abbiamo il cornetto, quello tondo, ecc… Non coltiviamo per forza il prodotto autoctono ma varietà vocate a crescere bene in queste zone e che coltiviamo seguendo il disciplinare della produzione biologica. Abbiamo dissodato e sistemato il terreno studiando le condizioni di ogni parcella e poi abbiamo costruito un sistema di irrigazione funzionale a far arrivare acqua dal pozzo ad ogni piantina». Gli ortaggi raccolti verranno lavorati e consumati in Certosa e in caso di esubero saranno utilizzati anche negli altri locali del Gruppo. Al momento, a parte i consulenti, l’orto viene seguito direttamente dal personale del locale. Dopo l’orto gli altri due progetti che saranno sviluppati riguardano le api e il vino. «Con le api stiamo andando avanti sia qua che alle Cementine, locale che gestiamo a Roncade (TV). Abbiamo già in-

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dividuato il posto dove mettere le arnie per arrivare a produrre un miele nostro. Per il vino, considerate le stesse analisi del terreno fatte per l’orto, stiamo cercando di capire dove mettere a dimora l’impianto. Quello che ci ha colpito è l’idea riscontrata e ancora piuttosto diffusa, che non si possa fare orticoltura e frutticoltura in laguna. E invece c’è una grande varietà di frutta e verdura che sul terreno lagunare cresce benissimo e pensiamo che lo stesso sia anche per la vite. Esempi ne abbiamo e sono esempi di successo». Non solo Hostaria L’isola è pubblica e Vento di Venezia, dopo aver approntato la darsena, ha progettato tutta la parte di accoglienza, compreso l’hotel che già c’era e sarà restaurato il prossimo anno. Si stanno inoltre restaurando le vecchie case che sono strutture che c’erano una volta in isola e saranno rivestite in legno. «Dal progetto Hostaria si svilupperà al piano terra dell’hotel un corner con i nostri ingredienti e un take away per le barche per i turisti» proseguono. «Inoltre, nella parte vecchia dell’isola, affacciata su Sant’Andrea, la parte ancora wild dell’isola, è prevista la piscina con acqua filtrata della laguna per la quale ci occuperemo della parte di somministrazione di cibi e bevande. Gli investimenti sono di Vento di Venezia, noi ne prendiamo la ge-

stione. Accenderemo i diversi spazi e locali come delle piccole luci che si attiveranno a seconda delle stagioni. Dall’Hostaria al corner dell’hotel al chiosco». Proprio il lato nord dell’isola inizia col canale che divide la Certosa dall’isola delle Vignole e prosegue sul canale che la divide dall’isola di Sant’Andrea. «È la parte in cui i veneziani giovani vengono col barchino e per questo abbiamo allestito il nostro chiosco dove proporremo delle cose molto semplici, non potendo fare una cottura vera e propria, accompagnata dalle nostre birre che stiamo sviluppando insieme a TEO MUSSO di Baladin. Abbiamo pensato anche ad una lattina che si apre e funziona come bicchiere. A fianco avvieremo una struttura di servizi per le barche, non solo bagni ma anche ghiaccio e lavandini per pulire il pesce o simili. Non abbiamo ancora una data definita di apertura di questa struttura che è comunque terminata». La cucina è guidata da SILVIO GIAVEDONI, storico collaboratore di Massimiliano Alajmo, e offre piatti a base di ingredienti locali come la tartare di ricciola con maionese di soia alla tartara, i tagliolini alla busara di scampi o il trancio di ombrina alla griglia, crema di barbabietola rossa, bieta e fagiolini dell’orto. Gian Omar Bison Nota Photo © Alajmo.

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MSC – Marine Stewardship Council e Chef in Camicia insieme per salvaguardare gli oceani contro la pesca eccessiva: torna “Ricette per l’Oceano” volume 2 Torna l’appuntamento con il ricettario di MSC-Marine Stewardship Council, organizzazione non profit che lavora per promuovere la sostenibilità ittica attraverso il suo Standard per la pesca sostenibile. Nel 2021 la prima edizione del ricettario ha riscosso un grande successo grazie alle ricette di dieci chef provenienti da altrettanti Paesi del mondo che raccontavano le tradizioni della cucina internazionale. Nel 2022 il ricettario “Ricette per l’Oceano” volume 2 si arricchisce della collaborazione di Chef in Camicia, giovane media agency che racconta il mondo del food con una community che conta circa 4.000.000 di persone attive suddivise tra i diversi canali, e che si unisce all’organizzazione internazionale per ribadire il fondamentale ruolo dei consumatori nel promuovere una pesca sostenibile che evita lo sfruttamento delle risorse e protegge gli ecosistemi marini. La protagonista assoluta di questa seconda edizione del ricettario – disponibile gratuitamente dal 31 gennaio sul sito di MSC, www.msc.org/it – è la cucina italiana degli Chef in Camicia, che hanno creato dieci ricette mettendo al centro l’importanza di scegliere prodotti ittici sostenibili, riconoscibili dal marchio blu sulla confezione che garantisce la provenienza da attività di pesca che rispettano gli stock ittici e gli ecosistemi marini. Spaghetti quadrati al pesto di peperoni e alici (in foto), Merluzzo su tagliatelle di carote viola e cipolle rosse, Nasello in sfoglia di patate, e ancora Baccalà in umido crema di patate capperi fritti, Lasagne con gamberetti e radicchio e Burger con salmone croccante sono alcune delle ricette proposte dagli chef, tutte a base di pesce certificato MSC. «È fondamentale capire che quando scegliamo pesce pescato sostenibilmente stiamo lanciando un messaggio chiaro: abbiamo a cuore la salute degli oceani e vogliamo prendercene cura. Questo messaggio arriva in modo capillare a tutta la filiera ed è capace di promuovere un approvvigionamento sostenibile» afferma LUCA (LELLO) PALOMBA, fondatore di Chef in Camicia insieme ad ANDREA NAVONE e NICOLÒ ZAMBELLO. FRANCESCA OPPIA, Program Director di MSC Italia, aggiunge: «Il nostro ricettario ha l’obiettivo di ricordare ai consumatori che devono prestare molta attenzione a quello che portano in tavola e che è fondamentale che quando fanno la spesa richiedano pesci e crostacei di provenienza sostenibile, riconoscibili dal marchio blu sulla confezione. Le scelte giuste che facciamo oggi ci consentiranno di continuare a consumare le nostre specie preferite anche in futuro». La pesca sostenibile è fondamentale non solo dal punto di vista ambientale, ma anche da quello socio-economico, in quanto il pesce costituisce un importante apporto proteico per oltre 3 miliardi di persone nel mondo e rappresenta la fonte di sussistenza per 260 milioni di persone coinvolte lungo tutta la filiera ittica. «Peschiamo con uno sguardo sul futuro, perché il sappiamo che il mare non è solo nostro, ma di tutti» afferma LUCIO DALLA BELLA, pescatore socio OP Bivalvia Veneto, la prima attività di pesca certificata MSC in Italia e in Mediterraneo. «Vogliamo che in futuro i nostri figli abbiano la possibilità di pescare; per far sì che un domani ci siano ancora risorse per tutti, gestiamo oggi la pesca nel miglior modo possibile».

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Osteria 22: quando il Garda diventa gourmet di Luca del Grammastro

Gli Italiani hanno riscoperto il fascino dei laghi e dei luoghi vicino casa: è uno degli effetti della pandemia da Covid-19 che, a partire dall’estate 2020, ha trasformato il turismo di prossimità in un trend e permesso a migliaia di persone di scoprire meraviglie e delizie tipiche senza fare troppi chilometri e andare per forza fuori confine. Certo, il lago di Garda non ha bisogno di presentazioni e rappresenta sempre un’occasione incredibile per godere di una vista unica insieme alle prelibatezze autoctone della cucina locale, che sapranno soddisfare anche i palati più esigenti. I prodotti offerti derivano dalla fusione di tradizioni diverse,

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provenienti dalle province lombarde e dalla cucina veneta, dove prevalgono prodotti semplici e genuini. Il pesce di lago resta il protagonista, da gustare in pranzi e cene a “filo d’acqua”. Le proposte aumentano durante la stagione della pesca, grazie al pescato fresco offerto dai pescatori che si tramandano lavoro e passione da generazioni. Tra i pesci tipici di acqua dolce troverete nei menù della maggior parte dei locali affacciati in posizione privilegiata sul lago la trota, il lavarello, l’agone, il salmerino, ecc… preparati in svariate sfumature. Scegliete l’Osteria 22, a Garda, se all’ottimo pesce fresco di lago

vorrete abbinare location, servizio impeccabile, in un ambiente da cartolina, caldo, familiare non formale. Gestita con passione da anni dai giovani MARCO e MATTIA, ispirati dall’antica tradizione culinaria italiana, all’Osteria 22 tutti i piatti vengono preparati con grande attenzione e gusto, all’insegna del motto “tradizione e artigianalità”: «tutto è fatto in casa e al momento» precisano i due gestori. L’Osteria 22 ha sviluppato la sua idea di “mangiare in casa” per cui decide ingredienti, preparazioni e gusti da proporre al cliente che, con fiducia, si fa guidare in un percorso gastronomico che cambia ogni giorno.

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A sinistra: il Lago di Garda visto dal monte Brione (photo © xbrchx – stock.adobe.com). A destra: crostone di pane casereccio, foie gras, carpaccio di trota marinata e salsa verde.

Creatività, armonia dei sapori, materie prime di grande qualità sono gli ingredienti di ogni piatto, impreziositi dal tocco magico del giovane chef STEFANO BALLABIO e dal suo collaboratore LUCA VITERITTI, in una mescolanza di prodotti che combina la passione con idee fresche, ripercorrendo la storia e le tradizioni venete. Di assoluto livello sono le paste fresche ripiene di zucca, pesce, ecc… che fanno dell’Osteria 22 il punto di riferimento su tutto il lago per questa specifica proposta in tutte le sue combinazioni. Oltre ad affidarsi alla generosità del lago, in carta non mancano prodotti ittici provenienti dai principali mercati dell’Alto Adriatico

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accompagnati da un’agiata carta di bollicine e da ingredienti vegetali a km 0. Un prodotto che non manca mai è la polenta gialla, preparata solo con farina di mais. Questo piatto semplice ma nutriente, è ancora oggi una delle ricette più ricercate soprattutto nel periodo invernale. Viene condita con stufati di selvaggina quali cervo, capretto, coniglio, con brasato o spezzatino con funghi. Un ultimo peccato di gola con cui salutarsi e concludere degnamente il pasto sono i San Vigilini, biscotti di pasta frolla con l’uvetta tipici del Garda da assaporare coi distillati artigianali. Da non lasciarsi sfuggire sono le degustazioni dei vini del lago,

Bardolino, Custoza, Valpolicella, Lugana, ecc…, con una scelta di piccole realtà regionali eccellenti. La combinazione perfetta tra natura e buona cucina, la ricetta per una domenica in famiglia o tra amici, un luogo dove si può accarezzare il lago che riserva tramonti mozzafiato. Una proposta gastronomica che, insieme al panorama, vale decisamente il viaggio! Dott. Luca del Grammastro Controllo Qualità e Sicurezza Alimentare Osteria 22 Via San Bernardo 2 37016 Garda (VR) Telefono: 045 4573244

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LA PAGINA SCIENTIFICA

Da rifiuti a risorsa Grazie ai progetti marGnet e Maelstrom, coordinati dal CNR-Ismar di Venezia, attraverso la raccolta di dati sulla distribuzione dei rifiuti marini sarà possibile mettere a punto nuovi ed efficaci protocolli e tecnologie per la rimozione e innovativi metodi di recupero. Un tema rilevante, a cui si fa riferimento anche nel PNRR

Photo © Nariman Mosharrafa x unsplash

di Fantina Madricardo

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Circa l’80% di tutti i rifiuti marini è rappresentato da oggetti di plastica. Ogni anno una quantità variabile dai 4 a 12 milioni di tonnellate di plastica finisce negli oceani e solo una percentuale pari all’1% rimane in superficie. Il resto in parte finisce sulle coste, in parte si frammenta e/o viene ingerito dagli organismi, ma la maggior parte finisce sui fondali. Affrontare un problema complesso come questo richiede un approccio necessariamente multidisciplinare, volto a sviluppare soluzioni per la loro mappatura, recupero e possibile riciclaggio. Il progetto marGnet (Mapping and recycling of marine litter and ghost nets on the sea-floor), finanziato dal Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca attraverso l’Agenzia europea per le piccole e media imprese (EASME/EMEF) ha previsto tutta una serie di attività volte a raccogliere dati scientifici in merito alla distribuzione dei rifiuti plastici, promuovendo i migliori protocolli e nuove tecnologie di

rimozione e soluzioni innovative per il riciclo, senza trascurare gli aspetti legislativi e il coinvolgimento di tutte le categorie interessate, in particolar modo quella dei pescatori. Capofila di questo progetto europeo, che si è concluso a dicembre 2020, è stato l’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Venezia, afferente al Dipartimento scienze del sistema terra e tecnologie per l’ambiente, che ha coordinato le attività progettuali in collaborazione con un partenariato costituito da Blue World Institute (LussinoCroazia), Sintol (Torino), Laguna Project (Venezia) e TechneProjects (Padova). Le attività, iniziate nel 2019 su due siti pilota situati nell’Adriatico settentrionale — la Laguna di Venezia in Italia e l’arcipelago di Cherso e Lussino in Croazia — sono state articolate in una serie di azioni mirate a monitorare e quantificare i rifiuti marini presenti sui fondali mediante lo sviluppo di modelli di predizione di zone di accumulo e

mappatura acustica combinata a indagini subacquee. Per poi procedere, ove possibile, al recupero dei materiali e allo sviluppo di soluzioni innovative per un loro riciclo di tipo chimico. Uno dei principali risultati di questo progetto è stata infatti la progettazione e la realizzazione di un prototipo completamente portatile in grado di trasformare a un costo ragionevole le componenti plastiche dei rifiuti marini in carburante per imbarcazioni, attraverso l’utilizzo del processo di pirolisi a bassa temperatura, ossia un processo chimico che decompone i materiali mediante calore e in assenza di agenti ossidanti. Il grande vantaggio di questo processo è dato dalla possibilità di utilizzare il rifiuto marino recuperato dai fondali senza necessità di particolari pretrattamenti, che di fatto minano la sostenibilità economica delle soluzioni di riciclaggio di tipo meccanico tentate finora a livello internazionale. Il prototipo è stato completato da Sintol alla fine del 2019 e i test effettuati su


campioni rappresentativi di rifiuti marini provenienti dalla Laguna di Venezia hanno evidenziato come la resa in carburante è stata in genere superiore al 50% in peso. In particolare, attraverso questo processo sono state prodotte tre tipologie di carburante: carburante leggero di alta qualità, che può anche essere efficacemente utilizzato come materia prima per la produzione di nuovi polimeri vergini; gasolio marino, che è il principale carburante target del progetto; olio combustibile intermedio. Le analisi condotte sulle emissioni di gas prodotte durante il processo di pirolisi non hanno identificato la presenza di alcuna sostanza inquinante. Per quanto riguarda il gasolio marino prodotto, è stata altresì verificata la sua corrispondenza con gli standard tecnici ISO 8217 per i carburanti marini, che garantiscono il rispetto delle normative in termini di prestazioni del motore delle imbarcazioni e di protezione ambientale. Attraverso questo progetto sono state poste le basi per la definizione di una filiera ecosostenibile per la gestione dei rifiuti marini, in grado di superare gli ostacoli normativi

che ancora ostacolano sul territorio nazionale la realizzazione di impianti industriali di pirolisi alimentati con rifiuti marini. E di arrivare in tal modo a chiudere il ciclo del recupero per questo tipo di materiali. A partire dal gennaio del 2021 fino alla fine del 2024, il progetto H2020 Maelstrom (Smart technology for MArinE Litter SusTainable RemOval and Management), finanziato dall’UE, ha raccolto l’eredità di marGnet ampliandola e sviluppandola, riunendo tutti gli attori principali necessari per affrontare il problema dei rifiuti marini nei suoi diversi aspetti. Sono coinvolti centri di ricerca, aziende che si occupano di riciclo, scienziati marini ed esperti di robotica, per sfruttare l’integrazione di tecnologie complementari per la rimozione e la gestione sostenibile di rifiuti marini in diversi ecosistemi costieri europei. Il progetto modellerà, produrrà e integrerà tecnologie scalabili, replicabili e automatiche co-alimentate da energia rinnovabile e da un carburante di seconda generazione (generato grazie al prototipo realizzato in marGnet) per identificare, rimuovere, separare e riciclare tutti i tipi di rifiuti marini in preziose materie prime.

I risultati ottenuti costituiranno un passo importante verso la neutralità climatica entro il 2050 e il disaccoppiamento della crescita economica dall’uso delle risorse, come previsto dal Green Deal europeo. La rilevanza delle nuove tecnologie sviluppate in marGnet e Maelstrom per il riciclo della marine litter è testimoniata anche dall’esplicito riferimento nel PNRR che, tra le linee guida contenute in uno dei decreti emessi dal Ministero della transizione ecologica, destina 150 milioni di euro alla “realizzazione di nuovi impianti per il riciclo dei rifiuti plastici (attraverso riciclo meccanico, chimico, “Plastic Hubs”) compresi i rifiuti di plastica in mare (Marine litter)”. Anche alla luce di un recente articolo che analizza in maniera sistematica tutte le soluzioni disponibili per far fronte al problema dei rifiuti marini, uscito su NATURE SUSTAINABILITY, si può dire che il CNR stia coordinando uno tra i progetti più all’avanguardia su questo tema. Fantina Madricardo Nota Fonte: Istituto di scienze marine, almanacco.cnr.it

Sostituire la farina di pesce con proteine ottenute dal metano Se il metano è un potente gas climalterante, nonostante sia meno abbondante rispetto all’anidride carbonica, il suo potenziale di riscaldamento è fino a 25 volte superiore. Negli ultimi due secoli la sua concentrazione atmosferica è cresciuta di più del doppio rispetto a quella della CO2. Per provare a mitigare gli effetti negativi prodotti dalle emissioni di metano, i ricercatori dell’Università di Stanford hanno messo a punto un processo innovativo che potrebbe consentire di trasformarlo in risorsa alimentare. Si tratta di un sistema di bioreattori all’interno dei quali si trovano popolazioni batteriche metanotrofe; questi batteri, alimentati con metano, ossigeno e altri nutrienti, sono naturalmente in grado di trasformare il metano in biomassa ricca di proteine, già approvata per essere inclusa nei mangimi. Questa nuova alternativa potrebbe trovare impiego soprattutto in acquacoltura, un settore in cui questi additivi metanotrofi, grazie al loro buon profilo di amminoacidi, potrebbero sostituire completamente l’uso della farina di pesce nei mangimi (fonte: www.alimenti-salute.it). Nota 1. SAHAR H. EL ABBADI, EVAN D. SHERWIN, ADAM R. BRANDT, STEPHEN P. LUBY, CRAIG S. CRIDDLE (2022), Displacing fishmeal with protein derived from stranded methane, www.nature.com, doi.org/10.1038/ s41893-021-00796-2

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PACKAGING

Economia circolare: il packaging fa sul serio

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inalmente si apre il sipario sulle vaschette in plastica per alimenti: era ora, un po’ di visibilità per un imballaggio fondamentale per garantire l’approvvigionamento e la sicurezza degli alimenti e non in ultimo la riduzione dello spreco alimentare. Dal 26 al 29 ottobre scorso 2021 si è svolta a Rimini la nuova edizione di Ecomondo e in particolare, all’interno dello stand del CONAI, si è tenuta la prima tavola rotonda sul “riciclo delle vaschette in plastica per alimenti: un progetto virtuoso per l’ambiente e la sostenibilità”. Il fatto straordinario è che per la prima volta erano presenti tutti i principali attori della filiera: i produttori di vaschette in plastica, la GDO, l’industria chimica, il mondo accademico ed ovviamente il Corepla.

Il riciclo delle vaschette in plastica per alimenti: un progetto virtuoso per l’ambiente e la sostenibilità

niare una nuova definizione, semmai un “imballaggio a tempo determinato”, che non merita ovviamente di finire la sua vita in una discarica, o peggio che mai nell’ambiente, ma di rinascere ad una nuova vita, attraverso il riciclo: basta che una volta finito il suo compito venga correttamente conferito nell’apposito contenitore della raccolta differenziata. Valorizzare questa tipologia d’imballaggio, valorizzarne il fine vita, è uno dei compiti fondamentali di PRO FOOD: un’organizzazione che riunisce i principali produttori italiani di vaschette, 14 aziende, 30 stabilimenti di produzione, più di 3.000 addetti, oltre un miliardo di euro di fatturato, il 30% del quale destinato all’export.

Fabrizio Bernini, Gruppo Happy

È stato un evento importante perché finalmente abbiamo parlato di vaschette in plastica per alimenti, da sempre considerate “figlie di un Dio minore”, soprattutto se paragonate alle più “ricercate” bottiglie in PET: infatti se ne parla pochissimo, quando invece hanno un ruolo fondamentale nella conservazione degli alimenti. Se pensiamo a quel lungo percorso che inizia all’interno dell’industria alimentare, dove vengono

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confezionate, per raggiungere in seguito i banchi della Grande Distribuzione e, successivamente, le nostre case e lì rimanere ancora alcuni giorni per garantire la conservazione e la freschezza degli alimenti, offrendo così nuove opportunità di consumo, beh, direi che questo sia un compito insostituibile per un contenitore e chiamarlo imballaggio usa e getta è veramente riduttivo. Suggeriamo pertanto di co-

L’obiettivo e l’impegno delle aziende di PRO FOOD, con il coinvolgimento ed il supporto del COREPLA e di tutta la filiera, è quello di promuovere e valorizzare questa tipologia d’imballaggio ed il suo fine vita

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Focus vaschette RXPS – VPET obiettivo:

Riciclabilità e Circolarità Il miglioramento della sostenibilità delle vaschette in plastica passa attraverso il loro corretto smaltimento, il riciclo ed il successivo utilizzo di materia prima seconda (MPS) al loro interno. Le nuove vaschette R-XPS e V-PET rappresentano, pertanto, un risultato di straordinaria importanza, accolto con entusiasmo dalla GDO, che oggi, realtà come COOP ITALIA, stanno già utilizzando all’interno dei loro punti vendita, contro ogni tentativo di criminalizzazione dell’imballaggio in plastica da parte di quei detrattori che evidentemente non hanno chiare le conseguenze generate dalla sostituzione di questi contenitori con improbabili alternative, o addirittura inesistenti. Esiste invece una sola strada che porta alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica, che è quella del rispetto di uno dei principi base IL PESCE, 1/22

dell’ecodesign: ridurre e semplificare l’imballaggio, nel rispetto della sua funzionalità e della sicurezza alimentare e del suo fine vita, in quanto dovrà essere riciclato per ottenere una MPS da riutilizzare all’interno di nuovi imballaggi. Tuttavia, come ci ricorda sempre l’ing. FURIANO del Corepla «bisogna incentivare la domanda» riferendosi all’utilizzo di materia prima seconda. Verissimo, ma per ottenere questo risultato bisogna fare in modo che le vaschette in plastica continuino ad essere utilizzate, raccolte e riciclate, nell’interesse di tutti, in primis dei consumatori, per i ben noti vantaggi e garanzie che offrono, ma anche per l’intera filiera: l’industria alimentare, la GDO, compreso naturalmente il nostro settore. Solo così potremo contare sui volumi necessari per attrarre investimenti in ricerca,

“Ridurre e semplificare l’imballaggio, nel rispetto della sua funzionalità e della sicurezza alimentare” tecnologie ed impianti per migliorare continuamente la selezione del rifiuto e la qualità della materia prima seconda riducendo i costi.

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Obiettivo primario: riduzione dell’impatto ambientale del contenitore Ci sono soltanto due possibili conclusioni: se il risultato conferma le ipotesi, allora hai appena fatto una misura; se il risultato è contrario alle ipotesi, allora hai fatto una scoperta (Enrico Fermi 1901-1954) Il Life Cycle Assessment (LCA) è una metodologia analitica e sistematica che valuta l’impronta ambientale di un prodotto o di un servizio, lungo il suo intero ciclo di vita. Il calcolo spazia infatti dalle fasi di estrazione delle materie prime costituenti il prodotto (Upstream), alla sua produzione (Corestream), la sua distribuzione ed uso, fino alla sua dismissione finale (Downstream), restituendo i valori di impatto ambientali associati all’intero ciclo di vita secondo determinate categorie. Una di queste è l’aumento dell’effetto serra antropogenico, il “Global Warming Potential” misurato sulla base della quantità di emissioni di CO2eq. in atmosfera, generate dai consumi di energia e materia dentro il ciclo vitale di un prodotto o di un servizio.

GLOBAL WARMING POTENTIAL (GWP – kg CO2 eq/kg PS)

La riduzione del Global Warming Potential (GWP) Il grafico a torta rappresenta il valore medio d’impatto nella fase di produzione delle vaschette in plastica, in termini percentuali di GWP. Risulta evidente come la fase di Upstream (impatto delle materie prime) sia di gran lunga più impattante della fase Corestream (impatto della produzione delle vaschette). Agire direttamente nella fase Upstream è la scelta più logica e funzionale per ridurre il GWP. Il grafico a barre indica chiaramente come l’utilizzo di PS da riciclo post-consumo (R-PS) riduca drasticamente il GWP del 54%.

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COMITATO TECNICO SCIENTIFICO MARCA

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STORIA E CULTURA

Il pesce nella gastronomia dell’antica Roma di Giovanni Ballarini

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A destra: mosaico d’epoca romana con scena di pesca (photo © www.osteriadacarmela.it). A sinistra: mosaico del II secolo d.C. proveniente dalla Villa dei Numisi, villa romana sita nell’area verde della vasta Tenuta di Tormarancia, sull’Appia Antica. Ritrovato negli scavi del 1817-1820, oggi decora Musei Vaticani (photo © Giorgio Morara – stock.adobe.com).

A Roma antica l’acqua non è un lusso Durante il periodo repubblicano l’élite romana diviene sempre più propensa a spendere risorse per scopi stravaganti e, dal II secolo a.C., sono emanate leggi contro il lusso, le Leges sumptuariae, che prendono di mira abiti e gioielleria femminile, banchetti, funerali e le abitazioni private fuori della norma, ma non si fa menzione dell’acqua, pur se enormi quantità ne sono portate agli abitanti di Roma anche da luoghi lontani. L’acqua non fa parte del luxus e della luxuria romana, anche se un primo segno di critica contro l’uso eccessivo d’acqua si incontra in un testo di MARCO TERENZIO VARRONE (116 a.C.-27 a.C.), in quanto i ricchi Romani ne usano ingenti quantità nei loro horti usufruendo di un permesso dell’imperatore. Grandi quantità ne vengono usate anche nelle thermae: acqua calda e fredda e tante altre amenità e che iniziano a essere costruite dal II secolo a.C., mentre prima i Romani solo raramente frequentano i balnea, locali bui e freddi. Indirettamente l’acqua entra nel lusso dei Romani quando nei due secoli prima della nostra era scoprono il pesce e ne fanno uno status symbol gastronomico.

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Niente pesce sulla tavola dei primi Romani Nel VIII secolo a.C. le civiltà greche e medio-orientali sono al loro apice. Al centro della penisola italica, non lontano dalle sponde del Tirreno, fra storia e leggenda nasce Roma, un piccolo villaggio di agricoltoripastori che nel giro di pochi anni, con le bisacce piene di focacce (puls) di cereali (orzo, miglio e farro, mentre il grano arriverà più tardi) e formaggio di capre e pecore, iniziano la lunga marcia che li porterà a dominare il mondo allora noto. Un’alimentazione vegetale tra i primi Romani è tanto diffusa che il commediografo TITO MACCIO PLAUTO ironizza, dicendo che per loro i cuochi non sanno portare altro che prati conditi sui piatti e prendono i commensali per buoi. L’unica carne utilizzata è quella di maiale, per la ricchezza di ghiande ed altri vegetali adatti all’ingrasso di questi animali e perché le altre specie animali sono allevate per la produzione di latte, lana, lavoro nei campi e trasporto. Al massimo si usa come alimento qualche giovane maschio bovino od ovicaprino che non avrebbe mai prodotto latte e questo avviene solo in speciali occasioni e soprattutto come vittime sacrificali in cerimonie religiose.

In un’economia di sussistenza basata sulla pastorizia e sull’agricoltura, i prodotti della pesca, in quantità per altro assai esigua, provengono esclusivamente da acque dolci, diversamente dalle antiche popolazioni rivierasche del bacino del Mediterraneo che apprezzano i prodotti della pesca, come è testimoniato dal poema didattico Halieutica tradizionalmente attribuito a PUBLIO OVIDIO NASONE (43 a.C.-17 d.C.), uno dei più accurati documenti sui pesci e sulla pesca giunti dall’antichità ai giorni nostri. I Romani scoprono il pesce dalla Grecia Con la costruzione della via Appia, Regina viarum, da parte di APPIO CLAUDIO CIECO console nel 307 e nel 296 a.C., Roma si unisce alla Campania, raggiunge Brindisi e inizia ad aprirsi alle civiltà greche e, tramite queste, a quelle orientali, con una maggiore varietà ed un arricchimento alimentare, scoprendo la gastronomia. In Grecia la cultura gastronomica dei prodotti ittici ha una tradizione ben radicata già al tempo della commedia antica, dove sono ricordate le acciughe sotto sale, le anguille e altre specie di pesci maggiormente diffusi nel Mediterraneo.

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Allevamento ittico d’epoca romana in Galizia (photo © Guillermo – stock.adobe.com). Intorno al 330 a.C. ARCHESTRATO DI GELA compone Hedypatheia, lette-

ralmente “Poema del buongustaio”, nel quale racconta dei suoi viaggi alla ricerca delle migliori vivande e dei vini più pregiati, trattando del pane, della selvaggina, della produzione e conservazione del vino, soffermandosi soprattutto sui pesci, dei quali indica le specie più rinomate, le qualità migliori, i luoghi di provenienza e le stagioni di pesca. Dalle pagine di Archestrato traspaiono una raffinatezza ed un gusto per la convivialità che non

hanno nulla a che vedere coi ghiottoni delle epoche successive. Importante è l’esempio dei consigli gastronomici fondati sulla triade costituita da specie ittica, luogo di pesca, stagione di cattura. Archestrato non manca di dare indicazioni sul modo di cottura dei pesci, descrivendo anche quella al cartoccio, simile a quella dei giorni nostri, con l’aggiunta di origano prima della cottura, usanza a tutt’oggi viva in Grecia. La cucina dei prodotti della pesca nell’antica Grecia è al tempo stesso semplice e raffinata, ma nel periodo

L’acquacoltura nell’antica Roma non si svolge soltanto nelle piscinae, vasche costruite artificialmente, ma anche nei fiumi e nei laghi naturali sono immesse uova raccolte nel mare e così il fiume Velino, il lago Sabatino, ora lago di Bracciano, il lago di Bolsena e il lago Cimino, ora lago di Vico, generano spigole, orate, anguille e tutte le altre specie di pesci che tollerano l’ambiente lacustre

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ellenistico, che dalle imprese di ALESSANDRO MAGNO (334 a.C.) arriva fino all’inizio della nostra era, il gusto per le preparazioni semplici viene presto soppiantato da una gastronomia nella quale vi è per una elaborata ed artificiosa ricerca dei sapori raffinati e i prodotti della pesca acquisiscono un sempre maggior gradimento, e si elevano a status symbol delle classi sociali più abbienti. È con questa gastronomia che Roma viene a contatto e, già al tempo di MARCO TERENZIO VARRONE, i Romani più facoltosi, causa il progressivo depauperamento dei mari, nelle loro ville cominciano a costruire i vivaria, piscinae per l’allevamento e la stabulazione dei pesci di mare, mentre i prezzi dei pesci raggiungono livelli da capogiro e ben distinta è la suddivisione di pesci di specie pregiate e di specie di minor valore. Come dice CAIO PLINIO SECONDO, noto come PLINIO IL VECCHIO (23-79 d.C.) nella Naturalis Historia (IX, 53 [104]) “…ormai certo tra tutte le entità naturali il mare è il più

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MILANESE snc dal 1953 produce e commercializza una vastissima gamma di attrezzature per l’acquacoltura, che esporta in ben 40 paesi di tutto il mondo. Inoltre progetta e costruisce su misura sistemi di automazione per l’allevamento del pesce

Milanese snc

Viale I Maggio, n. 3 – 33032 Bertiolo (UD) Tel. +39 0432 917224 – Fax +39 0432 917034 – E-mail: milanese@milaneseitalia.com – Web: www. milaneseitalia.com


deleterio per la gastronomia, per le tante preparazioni, per i tanti piatti, per i tanti sapori di pesci il cui prezzo viene stabilito in relazione al rischio corso da coloro che vanno a pescarli” (…iam quidem ex tota rerum natura damnosissimum ventri mare est tot modis, tot mensis, tot piscium saporibus, quis pretia capientium periculo fiunt). Pesci pregiati della gastronomia romana I Romani, quando scoprono la cucina, e soprattutto la gastronomia del pesce, iniziano a distinguere quello pregiato, ma non dispregiano quello scadente, la minutaglia che PLINIO IL VECCHIO definisce utile a nient’altro e che è trasformata in garum, la più celebre salsa romana di pesce fermentato, con un’infinità di erbe aromatiche e che in cucina accompagna piatti di pesce, selvaggina, carne di maiale, frattaglie, verdure. Un pesce pregiato è lo scaro o pesce pappagallo del Mediterraneo (Spa-

risoma cretense), tanto che alcuni branchi dai mari della Grecia sono trasferiti per popolare il mare Tirreno (PLINIO IL VECCHIO, Naturalis Historia IX, 29, 62). Ricercatissime sono le triglie (Mullidae), che non si riesce ad allevare o mantenere nelle piscine e per i buongustai romani avere sempre a disposizione triglie fresche diventa un problema. Per i pesci si arriva presto ad individuare le migliori zone di pesca e tra questi vi è la corvina (Sciaena umbra) dei mari egiziani, lo zeo, detto anche faber (pesce San Pietro), di Cadice, la salpa (Salpa salpa) nelle acque di Ebuso (Ibiza), il rombo (Psetta maxima) del mare di Ravenna, la murena (Muraena helena) dei mari della Sicilia e l’elope (pesce spada o storione?) del mare di Rodi, mentre i Romani quando arrivano in Aquitania preferiscono il salmone di fiume a tutte le specie marine. Primo fra tutti GAIO SERGIO ORATA, che riesce ad allevare le ostriche vicino a Napoli nelle acque di Baia,

non per il piacere della sua tavola ma per i lauti guadagni che riesce ad ottenere, coltivandole sempre nelle vicinanze di Napoli nel Lago Lucrino, anche se qui non sono delle migliori. I pesci arrivano vivi trasportati in navi adatte che hanno una vasca in comunicazione con l’acqua di mare e sono mantenuti in peschiere (piscinas) che sono il fiore all’occhiello delle ville romane. Il pesce dei poeti romani Dal I secolo a.C. in avanti a Roma il pesce diviene il cibo simbolo della ricchezza ed è celebrato dai poeti. QUINTO ORAZIO FLACCO (65 a.C.-8 a.C.), grande intenditore di cucina e di specialità di mare, in particolare molluschi, testimonia che la cucina romana ha raggiunto il suo apice e dichiara di preferire le ostriche del Lucrino, i ricci del Miseno ed i pettini di Taranto (Sermones II, 4) e nell’ottava satira del Libro II dà un dettagliato compendio della migliore cucina di pesce della Roma antica

Baelo Claudia, un’antica città di pescatori nota come la città del Garum, nella provincia di Cadice, ad una ventina di chilometri da Tarifa, città che affaccia sullo Stretto di Gibilterra. Quello della Spagna era, secondo Plinio il Vecchio, il Garum migliore perché, essendo un prodotto di origine greca, la Spagna è stata dominata dai Fenici e dai Cartaginesi che non usavano tutti i pesci ma alcuni in particolare, come gli sgombri (photo © neftali – stock.adobe.com).

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Il “Catalogo di pesci su sfondo nero” è un mosaico rinvenuto a Pompei nella Casa del Fauno e oggi conservato a Napoli all’interno del Museo Archeologico Nazionale. con il quadro seguente: Distesa su un vassoio è servita una murena tra le canocchie e il padrone di casa ne fa una dettagliata descrizione iniziando con il dire che la murena è stata pescata gravida, perché dopo il parto la carne è meno buona, la salsa è composta da olio d’oliva di prima spremitura dei frantoi di Venafro, il garum è spagnolo e quindi della migliore qualità, il vino locale di cinque anni è stato aggiunto durante la cottura perché a fine cottura sarebbe stato adatto il vino di Chio, il pepe

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è bianco, qualche goccia di aceto è di vino di Metimna. La cottura è avvenuta assieme ruchette verdi ed elenio amaro e infine sono stati aggiunti ricci non lavati, perché gli umori che rilasciano i frutti di mare sono migliori della salamoia. DECIMO GIULIO GIOVENALE (50-60 d.C. – 127 d.C.) nelle sue satire narra di una canocchia con contorno di asparagi, gamberetti con le uova, triglie che arrivano dalla Corsica o da Taormina e si lamenta che il mare è ormai esaurito, mentre la

gola infuria, con una pesca che non permette al pesce del Tirreno di riprodursi. In un Mediterraneo dove c’è sempre meno pesce questo diventa pregiato e di conseguenza appannaggio esclusivo dei ricchi che lo comprano a prezzi coi quali in provincia si possono acquistare campi e in Puglia addirittura latifondi. Acquacoltura nell’antica Roma La progressiva scarsità di pesci di pregio e il loro alto prezzo porta i Romani a costruire allevamenti co-

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struendo delle piscinae, un’attività che si sviluppa nell’Impero Romano, tra il I e III secolo d.C. con lo scopo anche di compiere ripopolamenti delle coste tirreniche, diffondere specie pregiate al di fuori delle loro aree di origine, rendere le catture più facili ed il trasporto più breve verso le mense dei patrizi. I Romani lungo le coste costruiscono moltissimi impianti come porti, stagni marittimi, peschiere e cave dove si allevano murene, orate, anguille, triglie e persino lo scaro (pesce pappagallo) portato a Roma in grandi quantità. Le piscinae di acqua salata sono simbolo di ricchezza, costose da costruire, mantenere e gestire e sono utilizzate per guadagnare. L’acquacoltura nell’antica Roma non si svolge soltanto nelle vasche (piscinae) costruite artificialmente, ma anche nei fiumi e nei laghi naturali sono immesse uova raccolte nel mare e così il fiume Velino, il lago Sabatino, ora noto come lago di Bracciano, il lago di Bolsena e il lago Cimino, ora conosciuto come lago di Vico, ospitano, producono e generano spigole, orate, anguille e tutte le altre specie di pesci che tollerano l’acqua lacustre. I Romani intuiscono l’importanza di mantenere l’acqua in costante movimento per favorire la sua ossigenazione e mettono in atto accorgimenti idraulici collegando le piscinae al mare tramite cunicoli sotterranei, costruendo dighe per sfruttare il ricircolo delle maree e si dice che LUCULLO fa scavare un tunnel sotto una montagna per collegare direttamente i suoi allevamenti con il mare. Il primo allevatore di murene è CAIO IRRO che, in occasione dei trionfi di Cesare, fornisce ben 6.000 esemplari. Le murene, animali solitamente innocui, il cui morso, per quanto tossico, non mette in pericolo di vita, sono di gran lunga la specie favorita, tanto che gli impianti per il loro allevamento hanno il nome di murenai, vasche con ripari che ricreano l’ambiente marino naturale e dove, per la voracità delle murene, queste non sono messe a contatto con altri pesci.

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Sulle murene esiste la leggenda che i proprietari di vivaria le nutrano dando loro in pasto gli schiavi ribelli e questo in base alla testimonianza di LUCIO ANNEO SENECA (4 a.C. – 65 d.C.), che nel “De Clementia” stigmatizza il comportamento di VEDIO POLLIONE ritenendolo uomo meritevole di crepare mille volte, sia che gettasse i propri servi in pasto alle murene, per renderle più succulente, sia che le nutrisse in tal modo, solo per il semplice gusto di farlo. Pesci da compagnia e come medicina Nel mondo antico molti popoli hanno una stretta relazione tra animali marini e divinità. I pesci sono trattati come animali domestici e sotto molti aspetti sono considerati simili agli uomini dando loro nomi, venendo ornati con gioielli, curati in caso di malattia e pianti se giunti a morte. A Roma, MARZIALE, in un epigramma, racconta che come animali domestici le murene sono solite nuotare incontro al loro padrone e le triglie, udendone il nome, emergono dall’acqua. PLINIO osserva (Naturalis Historia 10, 193) che i pesci escono fuori dall’acqua uno ad uno, udendo il richiamo del padrone. Il rapporto con i pesci è così stretto che alcune famiglie facoltose assumono il loro cognomina dai nomi dei pesci che allevano nelle piscine delle loro ville e per la gens dei Licinii il cognome Murena potrebbe essere legato all’allevamento di murene, mentre GAIO SERGIO ORATA, come riporta MACROBIO (Saturnalia 3, 15, 3), avrebbe mutuato il soprannome dal pesce, l’orata, di cui era ghiotto. Da ultimo si può ricordare che gli antichi Romani, come altri popoli, usano pesci ed molluschi anche per curare diverse malattie: con la cenere dei murici si cura la parotite, con il fegato dei delfini la malaria e il garum è considerato un medicamento utile per guarire le ustioni, le ulcere, i morsi dei cani e soprattutto dei coccodrilli, la dissenteria, i dolori delle orecchie e la scabbia degli ovini. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma


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CURIOSITÀ

Quando il cibo diventa poesia

Maruzzella, la canzone della lumachina di mare di Nunzia Manicardi

“Maruzzella, Maruzzè…” Il successo per la bella canzone napoletana, composta nel 1954 da RENATO CAROSONE su testo del poeta e paroliere ENZO BONAGURA, giunse immediato e duraturo, veicolato proprio da quel termine, maruzzella, così suggestivo che non soltanto i conterranei dei due autori campani seppero cogliere e tenere per sempre nel cuore. Fu un successo che, con quella lenta melodia a ritmo di beguine, le sonorità mediterranee e mediorientali e le struggenti parole, si discostò nettamente dai precedenti ottenuti da Carosone con il suo caratteristico stile scanzonato, leggero e dissa-

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crante ma che è rimasto ugualmente legato in modo indissolubile al suo nome. Maruzzella era innanzitutto il diminutivo di Marisa. Il compositore si sarebbe ispirato alla propria moglie (che però si chiamava ITALIA LEVIDI), a cui è dedicato il brano che voleva evidentemente evocare anche qualche cosa di più e di diverso. Nel dialetto napoletano la maruzza è la lumaca di mare e il diminutivo/ vezzeggiativo maruzzella indica le lumachine, le chioccioline, e, per via della forma del guscio, anche una piccola ciocca di capelli altrettanto attorcigliata ma, in senso traslato, indica pure un bambino incontrol-

labile, inafferrabile e una giovane capricciosa, come starebbe a denotare la sua capigliatura tutta riccioli. Più in generale: un carattere, un temperamento sfuggente. Nel brano di Carosone e Bonagura maruzzella viene dunque a racchiudere in sé un duplice, profondo significato: inafferrabile come il mare e come un amore di cui non si potrà mai avere assoluta certezza e che proprio per questo tormenta e incatena l’anima facendola palpitare ancora di più. Questo infatti è il significato della canzone, che diventa il penetrante, struggente grido di passione di un uomo disperatamente votato ad una

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donna sfuggente come le onde del mare; un inno così incisivo e penetrante, seppur sommesso, che riesce a farsi capire da chiunque, anche da chi non comprenda il dialetto napoletano in cui il testo è scritto. Basta ascoltare il celebre ritornello per rendersene conto: “Maruzzella, Maruzzè t’e’ miso dint’a ll’uocchie ’o mare e m’e’ miso mpietto a me’nu dispiacere. Stu core mme faje sbattere cchiù forte ’e ll’onne quanno ’o cielo è scuro: primma mme dice sì, po’ doce doce mme faje mur” (“Maruzzella, Maruzzè, ti sei messa dentro agli occhi il mare e hai messo in petto a me un dispiacere. Questo cuore mi fai sbattere più forte dell’onda quando il cielo è scuro: prima mi dici sì, poi dolce dolce mi fai morir”). La canzone, dopo Renato Carosone, fu interpretata con immutato successo da CLAUDIO VILLA, il “reuccio” della canzone romana e italiana, diventando in breve uno dei classici della nostra tradizione canora non soltanto napoletana ma anche nazionale. Nel 1956 diede il titolo al film “Maruzzella” diretto da LUIGI CAPUANO e interpretato da attori molto amati dal pubblico, MARISA ALLASIO e MASSIMO SERATO, e dallo stesso Carosone. Si trattava di un “musicarello”, un sottogenere cinematografico italiano nato negli anni ‘50 che raggiunse l’apice negli anni ‘60 e che può essere considerato come l’antesignano dei successivi videoclip musicali, essendo basato su una canzone di successo (o che si aveva l’intenzione di lanciare sul mercato discografico) insieme con il suo interprete, intorno ai quali si costruiva una storia d’amore dalla consistenza di solito labile. Il titolo della canzone quasi sempre costituiva poi anche il titolo del film, come appunto nel caso di “Maruzzella”. Successivamente, il brano è stato utilizzato in altri film, di ben altro spessore: • in “Nella città d’inferno” (del 1959, per la regia di RENATO CASTELLANI, uno dei più apprezzati registi e sceneggiatori del neorea-

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Musicarello è il nome dato negli ambienti romani ad un sottogenere cinematografico italiano che iniziò negli anni Cinquanta ed ebbe il suo apice di produzione negli anni Sessanta. La prima e fondamentale caratteristica di questo filone è supportare un cantante di fama e il suo nuovo album discografico. Alla base del musicarello infatti c’è sempre una canzone di successo, o destinata, nelle speranze dei produttori, ad averlo, che dà il titolo al film stesso. Secondo il critico STEFANO DELLA CASA il nome “musicarello” farebbe il verso al più celebre Carosello, sottolineandone così l’aspetto pubblicitario. Nelle pellicole sono presenti quasi sempre la vita da spiaggia e tenere caste storie d’amore, coadiuvate dalla voglia di divertirsi e ballare (in alto, una delle locandine della trasposizione cinematografica della canzone con la splendida Marisa Allasio e il cantante Renato Carosone).

lismo italiano) nell’interpretazione di Anna Magnani che, oltre ad essere una straordinaria attrice, era anche un’ottima cantante; • nella colonna sonora del film “Mean Streets” (del 1973, con la regia del grande Martin Scorsese); • nel bellissimo docufilm su Napoli dal titolo “Passione” diretto da JOHN TURTURRO, in cui è stata cantata da GENNARO COSMO PARLATO. Tanti sono stati gli artisti che hanno interpretato “Maruzzella” dandole, ciascuno a proprio modo, una sfumatura diversa ma sempre ugualmente affascinante: SERGIO BRUNI, NICOLA ARIGLIANO, LUCIANO TAJOLI, MARIO TREVI, GIGI D’ALESSIO, SAL DA VINCI, LINA SASTRI, GIUNI RUSSO, RENZO ARBORE, CARLO PASCUCCI, SIMONA MOLINARI, ALFIO LOMBARDI e L’ORCHESTRA ALL’ITALIANA. Nel 1959 ne è stata incisa perfino una versione in lingua finlandese, cantata da SEIJA KARPIOMAA (Scandia, KS-287) con testo di SAUKKI, che è stata in seguito inserita nell'album “Novgorodin ruusu” del 2000 (Fazer Records, 8573-80895-2).

Un’altra cover, incisa da UMBERTO e la CASAMATTA ORCHESTRA, è apparsa nell’album “Volare” (Karusell, KALP 1001) pubblicato in Svezia, Stati Uniti d’America e Brasile. “Maruzzella” è tuttora una delle composizioni musicali più conosciute e cantate al mondo. Niente male per la nostra lumachina di mare, tanto apprezzata e apprezzabile non solo a livello musicale ma anche come prelibatezza gastronomica. E questo fin dai tempi più remoti. Sappiamo infatti, grazie al ritrovamento di gusci perfettamente puliti, che le maruzzelle erano consumate già durante la Preistoria. Questo consumo non si è mai interrotto: gli antichi Greci le consideravano un cibo afrodisiaco e come tale lo degustavano, mentre l’usanza di utilizzarle come alimento vero e proprio sembra si debba far risalire ai Romani, che poi l’avrebbero trasmessa ai Galli e, attraverso loro, alla cucina francese, dove Les Escargots à la Bourguignonne (a partire dal 1814, quando venne creata la ricetta) sono uno dei piatti più famosi e celebrati. Nunzia Manicardi

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