Numero 40 del 25 maggio 2021
Mortacci!
Sommario l’Editoriale del Direttore/È rinascita? - pag. 4 di Aldo AVALLONE La guerra dei buoni - pag. 8 di Giovanni AIELLO Io rinascerò cervo a primavera - pag. 15 di Antonella GOLINELLI Quando era l’omosessualità a costituire un reato - pag. 19 di Giovan Giuseppe MENNELLA Luana e Cristian fratelli miei - pag. 25 di Raffaele FLAMINIO Privata proprietà - pag. 30 di Antonella BUCCINI Il verde e il grigio delle città - pag. 34 di Rosanna Marina RUSSO “Abracadabra”... Il potere è nelle parole - pag. 40 di Marianna PACE La rinascita nel mito - pag. 47 di Chiara TORTORELLI Dalle terre confiscate alla mafia il vino siciliano simbolo di rinascita - pag. 51 di Veronica D’ANGELO Spirito di rinascita alla festa del cinema - pag. 57 di Anita NAPOLITANO Bambina - pag. 60 di Lucia COLARIETI 2
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l’Editoriale del Direttore
È rinascita? Aldo AVALLONE
Da qualche giorno i dati sull’epidemia da coronavirus nel nostro Paese sembrano dare segnali promettenti. I contagi calano grazie soprattutto alla campagna vaccinale che, seppure non in linea con le previsioni del commissario Figliuolo, sta dando risultati incoraggianti in termini di minore diffusione del virus e di pressione sulle strutture ospedaliere. Il governo, sia pure con la dovuta prudenza, ha già dato il via alla ripresa di alcune attività economiche e, se nei prossimi giorni il trend continuerà a essere positivo, presto ne riapriranno altre. La Commissione europea recentemente ha rivisto al rialzo la crescita del PIL nell’anno in corso stimandola al 4,2% rispetto alla precedente previsione che la dava al 3,8. Comunque, meno della crescita di Spagna e Francia, previste rispettivamente al 5,9 e al 5,7 per cento mentre quella della Germania è data al 3,4, ma va tenuto conto che in quel Paese il 4
Pil l’anno scorso era calato molto meno rispetto alle altre nazioni europee. Insomma, finalmente si respira un’aria maggiormente ottimistica e la ripresa appare dietro l’angolo. Ma è veramente così? Il debito pubblico italiano si attesterà quest’anno intorno al 160% del PIL, un dato preoccupante che graverà sulle future generazioni. Tra febbraio 2020 e febbraio 2021 si è perso quasi un milione di posti di lavoro, come certifica l’Istat. E sono cresciuti di 700mila unità gli inattivi, coloro che non hanno lavoro e non lo cercano nemmeno. Inoltre, il 30 giugno prossimo scadrà il blocco dei licenziamenti. Il governo è al lavoro per approvare misure che ne mitighino l’impatto sociale: non c’è ancora nulla di sicuro ma si parla di allargamento della base dei fruitori degli ammortizzatori sociali e di contratti di reinserimento per chi perderà il lavoro, con sgravi fiscali che potranno raggiungere il 100%, alle imprese che assumeranno. Staremo a vedere cosa accadrà ma non dovrà essere assolutamente consentito alle imprese di sfruttare questa fase come un’occasione di ristrutturazione aziendale sulla pelle dei lavoratori. Appare ancora più urgente, perciò, la riscrittura di un nuovo Statuto dei Lavoratori che rimetta al centro del dibattito politico i diritti del lavoro e che, in particolare, tuteli le nuove categorie di “lavoratori poveri”, quelli cioè che pur avendo un’occupazione vivono al limite o addirittura al di sotto della soglia di povertà. Troppi anni di politiche improntate a scelte liberiste ci hanno condotto in questa situazione e ora occorre un cambio di rotta totale. Il governo in carica, nel quale la Lega di Salvini occupa ministeri chiave, nel mentre si riempie la bocca di parolone come “competenza” e “concorrenza” continua a fare il gioco di questo capitalismo nostrano, incapace e ingordo. Le risorse del PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, tra quelle a fondo perduto, prestiti a tasso agevolatissimo e fondo complementare, ammontano complessivamente a 235 miliardi di euro. Una massa ingente di denaro che, se usato bene, potrebbe davvero cambiare il Paese. Eppure, nella stesura definitiva, che di fatto mantiene le linee guida indicate da Conte, è stata cancellata la misura del salario minimo e alle imprese, nella buona e vecchia tradizione italiana, andranno sotto forma di incentivi circa cinquanta miliardi di euro. Nel complotto renziano per far cadere il precedente governo una delle accuse principali è stata quella della mancata condivisione delle scelte con il Parlamento. Critica ingiusta che rivela in maniera 5
chiara lo scopo strumentale in quanto il governo attuale ha dato solo poche ore alle Camere per esaminare il testo prima della trasmissione alla Commissione europea, in pratica un voto favorevole a scatola chiusa. Come si è detto l’impianto complessivo del Piano è quello del governo Conte ma con qualche significativa modifica: si riducono gli investimenti sull’ambiente, sulle infrastrutture e sulla salute. A quest’ultima, rispetto alla versione precedente, vengono sottratti circa tre miliardi e con una pandemia ancora in atto sembra una scelta quanto meno inopportuna. Come appaiono scarsi i fondi previsti per gli asili nido: 4,6 miliardi sono certamente insufficienti a raggiungere l’obiettivo europeo del 60% di copertura. Il potenziamento degli asili nido sarebbe una delle misure necessarie ad agevolare l’ingresso e la permanenza delle donne nel mondo del lavoro. Alle riforme già previste dal PNRR, come quelle della giustizia e della pubblica amministrazione (sulle quali non mancano le polemiche), si aggiunge la riforma fiscale che viene definita tra “le riforme di accompagnamento al Piano”. È ovvio che si tratterà di un passaggio fondamentale per comprendere gli indirizzi di politica fiscale che Draghi intenderà perseguire. Al momento nel testo vi sono solo generiche affermazioni sulla riduzione del cuneo fiscale sul costo del lavoro e l’impegno di una possibile riduzione dell’Irpef qualora i conti lo consentissero. Intanto c’è Salvini che preme sulla flat tax. Proprio in questi giorni ha affermato che non sarà Draghi ad attuare la riforma del fisco, spingendo per elezioni anticipate dopo l’elezione del Presidente della Repubblica, trasferendo l’attuale premier da Palazzo Chigi al Quirinale. Di fronte a scenari simili viene da chiedersi: e la sinistra? Il processo di costruzione dell’alleanza tra PD, M5S e LEU va avanti in maniera molto altalenante. A livello locale le possibili convergenze su candidati condivisi da proporre alle prossime amministrative sono saltate ovunque. Non è un buon segnale nonostante le dichiarazioni ottimiste dei vertici dei partiti. Conte si sta scontrando con grandi difficoltà nel suo processo di rifondazione del Movimento. Il Partito Democratico si è appiattito totalmente sulle posizioni di Draghi, scontando divisioni interne e una mancanza di progettualità devastante. Qualche segnale positivo è venuto dall’Assemblea di Articolo 1 il cui progetto di 6
riconfigurare l’area progressista per dare finalmente una casa a una sinistra plurale è pienamente condivisibile ma in questa fase politica rappresenta soltanto un manifesto delle buone intenzioni. Ma l’analisi del contesto, evidentemente difficile, deve rappresentare solo il punto di partenza per una effettiva e possibile rinascita del campo progressista. Per una ragione fondamentale: è necessario. Le stesse criticità evidenziate in precedenza possono diventare i punti di ripartenza: Giuseppe Conte può rifondare il Movimento 5 Stelle posizionandolo definitivamente nell’area del centrosinistra, abbandonando quel populismo tanto deleterio che lo ha caratterizzato finora. La fluidità nel PD può essere un vantaggio se il partito avrà il coraggio di liberarsi di tutte le zavorre renziane che ancora pesano in maniera rilevante nei gruppi parlamentari, di abbandonare definitivamente ogni scelta centrista e di aderire con convinzione al progetto di un’alleanza strategica con il Neo Movimento di Conte, con Leu e con tutte le forze progressiste che vorranno partecipare. Occorre uno scatto in avanti, un salto di qualità per il quale è ovvio che saranno importanti i contenuti programmatici: diritti del lavoro, welfare, riforma fiscale improntata a una vera progressività, ambiente, possono essere i punti fermi da cui ripartire. L’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sarà il banco di prova per verificare se Pd, M5S e Leu, forze determinanti dell’attuale maggioranza, saranno capaci di dare un impulso preciso verso una spesa dei fondi a disposizione indirizzata verso il sociale. Solo in questo caso si potrà guardare con vero ottimismo ai prossimi mesi in attesa di arrivare al redde rationem con la destra alla scadenza della legislatura. Vorrei concludere con un doveroso saluto ai compagni de IL MANIFESTO che il 28 aprile scorso hanno festeggiato i primi cinquant’anni di pubblicazione. Credo che nessuno tra i nostri lettori ignori cosa sia e cosa abbia rappresentato per l’informazione, la cultura, l’approfondimento politico, l’ultimo quotidiano comunista ancora in edicola. Cinquant’anni di storia del nostro Paese sono stati raccontati con uno sguardo volto a sinistra in maniera sempre critica e originale. Avanti compagni, continueremo a leggervi con affetto e partecipazione. Ad maiora. 7
Politica
La ‘guerra’ dei buoni Giovanni AIELLO
Troppo spesso ascoltiamo attraverso i media, quasi fosse un dato di natura, che il mondo è come un’arena di scontro per pochi Paesi egemoni che si contendono il controllo su territori, risorse, tecnologie e informazioni. Queste “potenze” sono 8
quelle uscite vincitrici dal secondo conflitto mondiale e sono le stesse che oggi compongono il Consiglio di sicurezza dell’Onu: Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Russia e Cina. Naturalmente questi paesi sono anche coinvolti, sebbene non sempre direttamente, nella maggioranza dei conflitti in corso (come si rileva bene da atlanteguerre.it), e soprattutto, fatte le debite proporzioni, sono anche quelli più pesantemente armati. Come emerge dai dati pubblicati annualmente nel report Fas (Federation American Scientist), delle quasi 15mila testate nucleari censite, oltre il 90% di queste è infatti diviso fra Usa e Russia. La Cina invece ne possiede quasi 400, Francia e Gran Bretagna rispettivamente 300 e poco più di 200. Ma a questo elenco vanno aggiunti anche Pakistan, India, Corea del Nord e Israele, che disporrebbero anch’essi di armamenti nucleari, sebbene in sostanziale violazione dei trattati internazionali. Il principio sottinteso a tutto questo sembrerebbe dunque essere la follia più assoluta. Ed infatti ‘MAD’ (in inglese ‘pazzo’), è curiosamente anche l’acronimo di ‘Mutual Assured Destruction’ (mutua distruzione assicurata), concetto alla base della deterrenza nucleare e della famigerata Guerra fredda. A parziale compensazione di questo stato di cose va detto che i paesi del Consiglio di sicurezza aderiscono al TNP (Trattato di non Proliferazione Nucleare), grazie al quale negli ultimi trent’anni le testate risultano ampiamente ridotte (nel 1986 erano quasi 70mila). Ed inoltre, se anche ciò può essere di consolazione, sarebbero meno di 2mila le testate realmente “operative” e pronte per un impiego, mentre la maggioranza sono stoccate in siti appositi. Anche l’Italia, che fa parte della Nato e aderisce ad una alleanza nucleare europea, custodirebbe delle testate nei depositi di Aviano, in Friuli Venezia Giulia, e di Ghedi, nel bresciano. Ma il nostro governo non ne ha mai ammesso ufficialmente la presenza, sebbene da un documento 9
pubblicato “per errore” nel 2019 dall’Assemblea Parlamentare della Nato (e diffuso dalla testata Business Insider Italia), sia arrivata un’involontaria conferma di queste indiscrezioni. L’esercito dei buoni - Ma questa lunga ed angosciosa premessa “atomica” non avrebbe alcuna ragione se non per preparare il terreno ad un interrogativo all’apparenza scontato: chi di noi ritiene accettabile che i rapporti internazionali, fra popoli e culture, siano basati sulla minaccia (o sul ricatto) della distruzione reciproca così come impostato dai governi? I presunti ‘buoni’ saranno mai in grado di fare qualcosa per interferire con questi disequilibri, modificandoli? Ora, a giudicare dai tesissimi brief di lavoro, dalle litigiose riunioni condominiali e di quartiere fino ai rancori sfogati sui social (attraverso il cosiddetto hate speech), verrebbe da credere che, sebbene in scala infinitamente ridotta, anche i microcosmi ripropongano esattamente le stesse dinamiche conflittuali del potere internazionale. Eppure, al netto delle scaramucce fra colleghi e vicini di casa, il panorama delle nostre attività si presenta per fortuna molto più complesso di così e ci dice che, volendo, sappiamo essere decisamente migliori di quanto non immaginiamo. Forse non è un dato abbastanza noto, ma nel mondo infatti c’è oltre 1 miliardo di persone impegnato abitualmente in attività di volontariato, sia esso formale (ossia svolto nell’ambito di organizzazioni con vocazione sociale) o anche informale. La Charities Aid Foundation (CAF), un’associazione inglese attiva da quasi cinquant’anni, pubblica un report annuale con il World Giving Index, una sorta di indice che misura la ‘bontà’ verso gli altri e che attraverso una serie di interviste registra la propensione nei vari paesi del mondo ad aiutare uno straniero, donare denaro e fare volontariato. Quanto all’Europa, circa il 15% dei cittadini è coinvolto nel volontariato, ma la situazione è molto diversificata. La tendenza a far parte di 10
una cittadinanza attiva, anche secondo dati Eurostat, aumenta proporzionalmente nei paesi a più alto livello medio di reddito ed istruzione. E dalle statistiche si scopre pure che il volontariato non ha invece relazione con l’età e tantomeno con il genere, visto che giovani o meno, uomini o donne, tutti vi sono a diverso titolo coinvolti. L’Italia infine, come emerge questa volta dal Rapporto dell’Onu sullo Stato del volontariato, può contare su circa 6 milioni di volontari che operano attraverso le 300mila e più associazioni attive nel paese. Dati incoraggianti, anche se le potenzialità del nostro paese probabilmente avrebbero consentito di fare meglio. L’Italia negata delle persone ‘per bene’ - Ed effettivamente sembra che l’Italia debba giocare sempre ad handicap la sua personale partita con la storia. Forse perché una guerra nucleare in miniatura, fatta di meschine bombe artigianali, e condotta tra gli anni di piombo e le stragi di mafia dei primi anni novanta, ci ha pian piano costretti a credere di non poter mai diventare tanto “bravi” quanto avremmo potuto, producendo la sfiducia che poi ci ha indirizzati sulla via del ‘riflusso nel privato’. Non proprio un colpo di stato, ma uno ‘struscio di stato’, come lo definì Umberto Eco. Un fenomeno spiegato in modo esemplare anche da Lucia Calzari, sorella gemella di una delle vittime della strage di Piazza della Loggia, avvenuta a Brescia nel 1974, ed essa stessa superstite di quell’attentato, la quale intervistata nel corso di una preziosa puntata della serie di inchieste tv ‘Blu Notte’, firmata dallo scrittore Carlo Lucarelli, ed intitolata proprio ‘Piazza della Loggia: il luogo della memoria’, ha chiarito quanto siano profondi e duraturi gli effetti dello shock prodotto dalla violenza su una società che si sta emancipando. «Quella strage ha mangiato la vita di tutti noi - dice la Calzari, che all’epoca aveva trentadue anni -, perché in quel 11
momento eravamo nel pieno della nostra capacità di pensare, di studiare, di lavorare e di fare. Riconosco adesso che in quel momento c’era una carica vitale eccezionale, ci sentivamo quasi immortali e onnipotenti. Avevamo raggiunto un livello, a partire dalle nostre origini, guadagnandoci gli studi, la laurea, il posto di lavoro, la sicurezza economica e avevamo una situazione affettiva che in quel momento ci sembrava più che soddisfacente. D’un colpo tutto questo si è dissolto». Insomma, i buoni fanno paura. E quanto facessero paura gli italiani “impegnati” di quel periodo emerge a pieno anche dal libro-inchiesta del 2019 ‘Colonia Italia’, scritto da Giovanni Fasasella e Mario José Cereghino per l’editore Chiarelettere, nel quale si riportano documenti inglesi recentemente desecretati (sebbene non integralmente) e conservati nell’archivio di Stato di Kew Gardens, nei pressi di Londra. Si tratta di prove inquietanti, risalenti già al gennaio del 1969 (prima della strage di Piazza Fontana), nelle quali si fa riferimento ad “altri metodi”, presumibilmente più incisivi della semplice propaganda occulta, necessari per piegare la classe dirigente italiana. Riscontri di analogo tenore raccolti nel volume rimandano poi ad un altro piano britannico del 1976 (condiviso anche con Francia, Germania e Stati Uniti) per bloccare in modo violento la politica di Aldo Moro. Ma anche le persone che 25 anni dopo erano presenti a Napoli e poi al G8 di Genova del 2001, quelle del movimento ‘No Global’ e de ‘La Sinistra l’Arcobaleno’, avevano evidentemente già suscitato sufficienti preoccupazioni, tanto da meritarsi quel trattamento, di stampo inconfondibilmente fascista, sfociato poi nell’uccisione di Carlo Giuliani, nel massacro della Diaz e nelle torture di Bolzaneto. La lezione della pandemia e del clima: ci sono risposte che non hanno bandiera - Si tratta evidentemente di storie dure. Ma proprio da queste scaturisce ancora una volta la prova certa che i buoni esistono (in Italia e nel mondo), che sono tanti 12
ed anche temuti per tutti i cambiamenti che sono in grado di determinare. Chissà quanto potrebbero essere incisivi allora se agissero unitariamente (si domanda forse un ideale multimiliardario 4.0 nel silenzio del suo studio, mentre siede sulla sua poltrona Chesterfield in pelle di bufalo color ciliegia). Potrebbero fare leva sulla rete di organizzazioni già esistente e che, ad esempio, confluisce proprio nella Giornata Internazionale del Volontariato, che si celebra ogni anno il 5 dicembre, da quando è stata istituita dall’Onu nel 1985. Senza dimenticare i presidi delle varie organizzazioni umanitarie, che già si occupano da decenni di fame nel mondo (World Food Programme), di infanzia (Save the Children), di diritti umani (Amnesty International), di ambiente (Greenpeace), di cure mediche (Emergency), di migrazioni (Sea-Watch). Abbiamo già appreso a nostre spese come la crisi climatica, o la stessa pandemia da coronavirus, non abbiano certo colpito tenendo conto di confini naturali e tantomeno politici. Sono servite e serviranno quindi sempre di più misure unitarie di contrasto, come sta accadendo per la campagna vaccinale coordinata dall’Oms, e come presto accadrà anche per i protocolli produttivi a impatto ambientale negativo (ossia più virtuoso ancora dell’impatto zero, visto che la ‘carbon neutrality’ da sola non sarà sufficiente). Per queste ragioni, qualsiasi iniziativa politica di rinascita che punti ad avere un vero impatto, dovrà poggiare d’ora in poi su una partecipazione che sia altrettanto integrata e di lungo respiro, secondo la linea già indicata ad esempio da Wikileaks e più di recente dai Fridays For Future, e tenendo bene a mente l’unica vera distinzione di campo oggi accettabile: fra chi pretende il mondo tutto per sé e chi invece si augura di dividerlo con tutti gli altri. Fra il ‘solo noi’ e il ‘tutti noi’.
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Politica
Io rinascerò cervo a primavera Antonella GOLINELLI
Abbiamo consegnato il faldone alla mitica Europa. Pare se ne sia venuti a capo e il nostro governo abbia compilato tutti i campi necessari all'accesso ai fondi del Recovery plan. 15
Poca o nessuna discussione alle Camere, causa precedentemente di scandalo e caduta di un governo, alcune contestazioni sul metodo, sporadiche parole sul contenuto e via andare. Oh! Poi ci sono gli ottimisti, quelli preda di esaltazione, non si sa se vera o presunta, che elogiano estasiati il lavoro fatto (basato sul precedente, ma questo ci guardiamo ben dal dirlo) e pronosticano la rinascita del paese. Ohi, io andrei piano a parlare di rinascita. A parte il fatto che implica la morte e noi morti non siamo ancora. Siamo agonizzanti, questo sì. Per una vera e reale rinascita di questo disgraziato paese di fondi ne occorrerebbero almeno il triplo (computo fatto a spanna) tutti a fondo perduto tra l'altro. Ma noi vedremo di accontentarci. Mettiamola così: se riuscissimo a mettere in moto sul serio la rete ferroviaria sarebbe già un gran bel successo. Se riuscissimo a mettere in piedi fabbriche che producano autobus non dico elettrici ma almeno ibridi saremmo dei signori. Se poi riuscissimo a creare e far dialogare sistemi informatici tali da poter espletare parecchie funzioni da casa, in maniera logica e semplice, saremmo al paradiso. Ma questo non è rinascere signori (e signore ovviamente). Questo è semplicemente arrivare più o meno a livello degli altri. Significa molto più modestamente mettersi a lavorare per recuperare dando contemporaneamente una boccata d'ossigeno al lavoro, o meglio ai lavoratori. L'asfittica industria italiana dovrà darsi da fare in proprio per produrre, creare lavoro e ricchezza distribuita. Il paradigma del lavoro precario e sfruttato quale pietra miliare non funziona più. Non che abbia mai funzionato in effetti, ma lorsignori ce 16
l'hanno sempre propagandata così. Sbagliando fino ad arrivare al punto di non essere più in grado di produrre alcunché. Abbiamo dovuto importare di tutto avendo inseguito il sogno di delocalizzare e affidare la produzione agli stati asiatici a bassissimo costo del lavoro. Ve lo ricordate il mantra? Dobbiamo competere con la Cina. Ma cosa vuoi competere con la Cina! Era solo un modo per pagare poco e niente i dipendenti e portare le produzioni altrove. Le poche rimaste non usano dispositivi di protezione e producono morti. Che brave persone. Comunque, alla fine della fiera, la Cina produce per tutti e ha una crescita esponenzialmente spaventosa e noi qui a tenere il lumino. Più in piccolo questo ragionamento vale per altri stati, tutti più o meno canaglie. Ma c'è chi si incarica del rinascimento, non preoccupatevi. Quindi io non parlerei di rinascita ma di rianimazione. Vediamo se riusciamo a mettere in piedi una terapia intensiva che produca effetti tali da risollevare la nazione. Chissà se l'abbiamo capito che non possiamo tutti essere camerieri e baristi. Va bene il turismo, vanno bene il mare, la montagna, la collina però non può essere il cardine di una nazione. I luoghi di cultura hanno diritto ad operatori competenti e remunerati. Ci sono sapete. Si comincia finalmente a parlare di turismo slow, che rispetto a tutta l'Italia in 3 giorni è decisamente un altro andare. Non arrivo ad augurarmi un grand tour di stampo ottocentesco di svariati mesi ma sono passi avanti. Almeno si ricomincerà a 17
volare in termini civili e non da carro bestiame. Anyway, speriamo bene. Se va tutto come deve andare a luglio arriveranno i primi denari. Spero vivamente che nel frattempo un po' di riforme serie vengano incardinate in modo tale da non potersi sfilare con pretestuosi cavilli. Certo guardarsi attorno e vedere scandali e scandaletti pompati ad arte non fa ben sperare. C'è chi non riesce a rassegnarsi alla normalizzazione. Purtroppo, in giro ci sono parecchi cascami di una stagione ormai (spero) passata, avanzi di poteri logori e frotte di servi sciocchi. Ecco, credo che per rianimarci sia necessaria la messa riposo di tutti questi. A proposito di messa a riposo: per rinascere, come dicono gli entusiasti, occorre che decidano di dare riposo (non eterno, parlo di quiescenza) a quelli di una certa età. Spero l'abbiamo capito che il concetto berlusconiano “più la gente resta al lavoro più posti si creano” fosse una sciocchezza sesquipedale. Per rinascere in effetti questo bisogna fare: buttare tutte le sciocchezze. Una volta messo in moto il macchinario lo facciamo andare senza tante ciance adatte solo all'arricchimento di qualcuno. Siamo seri per una volta. Nani, ballerine e pagliacci a fare altro. 18
Diritti
Quando era l’omosessualità a costituire un reato Giovan Giuseppe MENNELLA
Nel novembre 2020 la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge Zan, così chiamato dal cognome del proponente, un parlamentare del PD. Il 19
provvedimento si è bloccato al Senato dopo che la Lega e le altre forze politiche del Centrodestra, Forza Italia e Fratelli d’Italia, lo hanno definito non prioritario, non consentendo così l’avvio della discussione in Commissione Giustizia. Se la proposta divenisse legge, sarebbe previsto anche il carcere per chi commettesse atti di discriminazione fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità. Il 28 aprile di quest’anno il testo è stato incardinato in Commissione Giustizia al Senato e la calendarizzazione è passata con 13 voti favorevoli e 11 contrari. Nella formulazione del disegno di legge, per sesso si intende sesso biologico o anagrafico; per genere, qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse alla sessualità; per orientamento sessuale, l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso o di entrambi i sessi; per identità di genere, l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione. Tra le innovazioni della proposta sarebbe prevista la sanzione della reclusione fino a 18 mesi o la multa fino a 6000 euro per chi commettesse atti di discriminazione fondati “sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere o sulla disabilità”; la reclusione da 6 mesi a 4 anni per chi istiga a commettere o commette violenza per gli stessi motivi; la reclusione da 6 mesi a 4 anni per chi partecipa o aiuta organizzazioni aventi tra i loro scopi l’incitamento alla discriminazione o alle violenze per gli stessi motivi. Poi sarebbe previsto aumento della pena fino alla metà per qualsiasi atto commesso per le finalità di 20
discriminazione o di odio, con sospensione condizionale della pena in caso di prestazione di lavoro da parte del condannato in favore delle associazioni di tutela delle vittime di reato, una sorta di ravvedimento operoso. Ovviamente, il nocciolo della questione e delle polemiche politiche e ideologiche che si sono accese e si accenderanno sul disegno di legge Zan, risiede nella previsione, adottata per la prima volta nel nostro Paese, di concreti strumenti di diritto penale repressivi di comportamenti omofobi. La storia dell’evoluzione dei costumi e del diritto ci insegna che nelle varie epoche e nei vari Paesi, l’atteggiamento nei confronti dell’omosessualità è stato ondivago, tendendo anzi quasi sempre alla repressione del comportamento omosessuale e non di quello omofobo, configurandosi quindi il disegno di legge Zan come una assoluta novità, almeno per l’Italia, tendente a far corrispondere l’ordinamento giuridico all’evoluzione dei costumi e dei comportamenti. L’atteggiamento delle società e degli ordinamenti, nelle varie epoche e nei vari Paesi, ha seguito una curva, piuttosto che una linea retta. L’omosessualità era ed è ancora oggi sanzionata socialmente e penalmente in epoche storiche e in Nazioni in cui prevale la tradizione di religioni positive monoteiste e scarsa è la presenza di comportamenti sociali innovativi rispetto alla tradizione patriarcale e repressiva della civiltà contadina. Nell’Occidente europeo e nordamericano forte era stata la tradizione repressiva dell’omosessualità, dovuta all’insegnamento del Cristianesimo, con un allentamento prodottosi solo in seguito alla secolarizzazione sempre più marcata di quelle società. Viceversa, in Oriente e nei Paesi musulmani, dove è ancora forte la presa della famiglia tradizionale, oltre che delle religioni positive, e dove non è ancora molto 21
avanzata, almeno in alcuni strati sociali, la secolarizzazione della società, sono ancora diffusi, né tantomeno sanzionati, tradizioni e comportamenti omofobi. Nel mondo classico antico il concetto di omosessualità non era neanche conosciuto, ma si valutavano solo i comportamenti erotici del maschio, che potevano essere indifferentemente attivi o passivi, a seconda dell’età o della posizione culturale o sociale, senza che alcuno di essi venisse per ciò stesso sanzionato socialmente e penalmente. Poiché le donne, soprattutto nel mondo greco e romano, contavano meno ed erano assai meno in vista, non sussisteva una marcata attenzione sui loro comportamenti sessuali, a meno che non si trattasse dell’adulterio. Un caso emblematico, avvenuto nell’Occidente europeo alla metà del Secolo XX, dimostra come in un passato non troppo remoto e in Paesi considerati moderni, non si sanzionavano di certo i comportamenti omofobi, ma, al contrario, era la stessa omosessualità in quanto tale ad essere colpita pesantemente, fino a esiti che potevano risultare tragici. Un caso di questo genere accadde in Gran Bretagna nel 1952 ad Alan Turing, logico matematico, scienziato e decifratore del codice tedesco Enigma, nonché considerato l’inventore del cervello elettronico. Gli accadde di denunciare alla Polizia un furto in casa propria, ammettendo lui stesso candidamente che chi gli aveva sottratto gli oggetti era un suo amante. Alle autorità non parve vero di poter perseguire nello stesso tempo due reati, il furto e il “comportamento pubblicamente indecente” configurato dal rapporto omosessuale. Fu condannato e costretto a scegliere tra il carcere e la castrazione chimica. Scelse la seconda opzione e fu sottoposto a massicci trattamenti di ormoni per curare quella che in quell’epoca, neanche tanto lontana, era considerata una “devianza”. 22
Finchè, nel 1954, ormai completamente destabilizzato, si uccise, a 41 anni, pare mordendo una mela intrisa di cianuro. Leggenda vuole che il simbolo della mela morsicata della Apple sia stato immaginato come omaggio a colui che è considerato l’inventore del calcolatore elettronico e precursore dei computer. Ma forse è appunto solo una leggenda. Negli anni trascorsi da quel 1954 si è alimentata un’altra leggenda, cioè che si sia trattato di un omicidio o, quantomeno, di un suicidio indotto. Sarebbe stato ucciso perché sapeva troppo sui segreti militari della decrittazione dei codici. Qualunque sia stata la vera causa della sua morte, resta il fatto della condanna per omosessualità, inflitta in Gran Bretagna nel XX secolo a un grande scienziato che contribuì più di ogni altro alla vittoria degli Alleati nella Seconda Guerra Mondiale e che sarebbe dovuto essere omaggiato con il titolo di eroe. Oggi, per l’evoluzione dei costumi il vento è cambiato, tanto che non solo l’omosessualità non è più un reato (e secondo l’OMS non era più una malattia dal 1990) ma anche in un Paese come l’Italia che non ha brillato per modernità della politica e delle autorità ecclesiastiche, c’è all’ordine del giorno, meglio tardi che mai, la possibilità di far diventare legge un progetto per la punizione dei comportamenti omofobi. Ovviamente, almeno in questo campo, ci si augura che interessi meschini e vedute retrive non ritardino oltre ogni tempo massimo la trasformazione in legge di questo progetto, come purtroppo avviene ancora per altri provvedimenti sacrosanti, tra tutti il riconoscimento della cittadinanza ai ragazzi e ragazze figli di immigrati nati e cresciuti in Italia e di cultura italiana. 23
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Lavoro
Luana e Cristian fratelli miei Raffaele FLAMINIO
Luana D’Orazio di 22 anni di Prato e Cristian Martinelli di 49 anni di Busto Arsizio sono due esseri umani stroncati dalla morte, quella morte che sopraggiunge crudele, mentre si compie il proprio dovere incardinato nel diritto Costituzionale e Umano del Lavoro. Un diritto che rappresenta la legittima aspirazione di ogni individuo normale che attraverso il lavoro traccia le sue coordinate vitali, costituite di poche ma importantissime cose. Lavorare per essere degni e visibili, lavorare per un giusto reddito che consenta una crescita sociale, lavorare per coronare un successo che altrimenti non consentirebbe l’autonomia e l’autodeterminazione. E 25
invece una mattina ti alzi dal letto, saluti le persone che ti sono care con un bacio o una carezza ignorando che quella sarà l’ultima volta. Un’ultima volta che ti dà il dolore profondo della fine, un’ultima volta consapevole che stai morendo per mano di una macchina che intreccia i fili degli stessi indumenti che indossi e che con il tuo lavoro farai indossare ad altri come te o di una lastra di cemento che edificherà una casa, che è la stessa per cui hai contratto un mutuo di trent’anni e che con il tuo lavoro la tua competenza stai tirando su per donarla a un altro come te. Mi vengono i brividi immaginando gli ultimi attimi vigili prima di morire di lavoro di quella mia sorellina e di quel mio fratello che come me volevamo vivere per realizzare un sogno. È triste morire per l’incuria e l’incompetenza di un altro, è triste morire per le leggi che ci sono e non vengono osservate, è triste morire perché i controlli sono pochi e tutti lo sanno. È triste che una banconota da pochi euro, sia scambiata per una vita, che poi è la stessa vita, per cui l’incurante l’allunga o la prende cercando di conservare la sua di vita, infischiandosene di quella delle sue sorelle e dei suoi fratelli. Sono già centottantacinque volte che dall’inizio dell’anno, al netto del Covid, assistiamo alla solita litania al pentimento e del mai più. Il 2008 è stato l’anno del Testo Unico per la Salute e la Sicurezza sui luoghi di Lavoro; il Parlamento della Repubblica ed il successivo sigillo del Presidente della Repubblica emanano il Decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81 in data quindici maggio 2008. Il nuovo Testo Unico ha il pregio e la lungimiranza di contenere tutte le disposizioni comunitarie e tutte le normative nazionali in materia di salute e sicurezza. Un passo avanti epocale che comunque è costato al nostro Paese, nel frattempo, una procedura d’infrazione e una condanna per il mancato recepimento delle disposizioni comunitarie. 26
La normativa identifica nel Datore di Lavoro o in suo delegato, il responsabile della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, la funzione della valutazione del rischio è per il Datore di Lavoro non delegabile. Egli ha l’obbligo di valutare tutti i rischi presenti e ipotizzabili nella filiera produttiva, sia di carattere fisico che psichico, deve eliminare se è possibile o mitigare quanto più è possibile ogni tipo di rischio, sia quelli concernenti macchine e attrezzature, che quelli rivenienti da agenti chimici indotti dalle produzioni, che quelli presenti in natura (Radon, Amianto, rischio biologico riveniente da virus e batteri) ripetitività delle procedure produttive, rischi di carattere muscoloscheletrico, rischi visivi. Insomma tutto quello che è possibile immaginare e prevedere, finanche ciò che comporterebbe una ristrutturazione aziendale e un piano d’esodi, oggi anche il lavoro agile (smart working), nel testo sono contenute istruzioni e obblighi anche dagli spogliatoi e fino alle mense, tutto ciò che impatta e potrebbe impattare con l’essere umano, compresi i rischi da interferenze ovvero l’impatto e il pericolo generato dalla presenza di utenza o di aziende in appalto o sub appalto che operano temporaneamente in un’altra organizzazione. Si tratta di una disciplina ferrea che deve essere organizzata e presidiata a partire dai lavoratori fino alle medie e alte gerarchie aziendali che hanno l’obbligo di sorvegliare e denunciare al datore di lavoro, qualunque difformità o inefficienza. Tutto deve essere riportato dettagliatamente in un documento detto Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) il quale deve essere conosciuto da tutti gli addetti di ordine e grado. Il sistema di relazioni è incardinato sulla presenza di una specifica unità denominata Servizio di Prevenzione e Protezione con a capo il Responsabile 27
del servizio denominato RSPP, i RLS ovvero Rappresentanti per la Sicurezza dei Lavoratori eletti a suffragio universale e a scrutino segreto ogni quattro anni ed il Medico Competente. Tutte queste figure devono collaborare ed essere formate insieme ai lavoratori su tutti rischi presenti e ipotizzabili al fine di acquisire competenza e professionalità per la salvaguardia della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Gli organi di vigilanza, a cui sono inviati tutti gli elementi conoscitivi in materia e che hanno potere d’ispezione e sanzionatorio sono: Aziende Sanitarie Locali, Ispettorato del Lavoro, Inail, Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, Regioni, Ispels, Ministero del lavoro e quello delle attività produttive. Ai Rappresentanti per la Sicurezza dei Lavoratori è garantita l’autonomia di richiedere documenti sensibili, ispezionare i luoghi di lavoro, interagire con il Servizio prevenzione e Protezione di richiedere l’intervento degli organi di vigilanza. Il Testo Unico 81/08 dunque prevede tutto, ma proprio tutto affinché sia garantita la prevenzione e la tutela della Salute e Sicurezza sui luoghi di Lavoro. Eppure, mentre scrivevo il 6 maggio 2021 a Pagazzano in Lombardia è morto un altro fratello di 49 anni, schiacciato da un carico. È inverosimile e inaccettabile. Nonostante quanto se pur sinteticamente descritto, si continua a morire per incuria, stanchezza, inosservanza di norme, per mancati controlli, per frode. Oggi in Italia sono presenti solo 3.300 ispettori Asl e poche centinaia di ispettori del lavoro. 28
Le più copiose e complete banche dati di Inail e Inps non sono in rete, in pratica non comunicano. La riforma degli ispettorati varata un paio di anni fa è fallimentare per le ragioni sopra descritte. La formazione è carente e il tessuto aziendale italiano è costituito da piccolissime aziende che per stare sul mercato risparmiano su tutto ma non sulla vita delle persone. La sicurezza non è percepita come un investimento ma come un costo e tante organizzazioni aziendali hanno più a che fare con il caporalato che con la Salute e la Sicurezza. I contratti collettivi, la legge sulla rappresentanza, le paghe, gli orari, gli intervalli, le ferie, le malattie sono tutte materie complementari e necessarie per garantire un lavoro sicuro e dignitoso. La materia trattata investe il concetto di responsabilità sociale che vige per i singoli e per le organizzazioni complesse come quelle produttive a cui nessuno può derogare. Non voglio elencare i numeri che tutti volente o nolente conosciamo e che in questi giorni rimbalzano dovunque, ma aprire uno spiraglio di umanità su un mondo che è troppo asservito al danaro e alla sottomissione, alla paura di perdere il lavoro fino ad ignorare il rischio di perdere la vita.
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Donne
Privata proprietà Antonella BUCCINI
Comprare un’auto nuova è meglio che comprarne una usata. E fin qui non fa una piega. Oddio c’è anche chi sostiene che un’auto usata dia più vantaggi da diversi punti di vista. Ma la metafora in questo caso non reggerebbe. Dunque, l’acquirente accorto anche di un’auto nuova potrebbe non accontentarsi e magari decide di farsi un giro, così, giusto per capire. Dopo potrebbe anche rinunciarvi perché non ne apprezza, che so, la tenuta di strada, oppure, entusiasta, sente di non poterne più fare 30
a meno. Ecco negli anni ’60, neanche tanto tempo fa, alle giovani da marito (così si definivano entro i 25 anni, dopo, zitelle, senza appello) succedeva qualcosa di analogo. La verginità era un po’ come un certificato di garanzia. Nuova di zecca, chilometri: zero. Punto. Si profilava però un rischio doppio. Il fidanzato avrebbe potuto richiedere un giro di prova. La prova d’amore, un modo romantico spesso solo per carpire il premio in palio. La proposta andava valutata attentamente. Si presupponeva in questo caso un rigurgito di discernimento nella giovanetta inesperta. Se avesse accettato poteva indurre il fidanzato nella inequivocabile convinzione che fosse una poco di buono. Come ha ceduto a me (si parlava di cedimento all’epoca o forse cessione come per i diritti, mah!) potrebbe farlo con chiunque, avrebbe pensato furbo l’aspirante. Era possibile però anche che il ragazzo apprezzasse il dono incondizionato con sprezzo del pericolo della giovane innamorata. Scelta complicata dunque. Nell’ipotesi benevola sarebbe seguito il matrimonio che avrebbe tranquillizzato tutte le parti per l’articolo ormai fuori mercato. In chiesa, con un abito bianco, a quel punto un po’ abusivo (la verginità era bella che andata) la sposa, proprio all’incipit della cerimonia, magari per evitare equivoci, sarebbe transitata dal padre al marito, con una certa commozione, nei pressi dell’altare, trasferimento di proprietà con acclusa garanzia. I tempi sono cambiati? 31
Certo. Eppure, in questi giorni i giornali hanno raccontato di un padre che si è visto negare a Roma la sepoltura della figlia, prematuramente scomparsa, nella cappella di famiglia. La motivazione? Paradossale. In pratica, in base ad una legge del 1921 il diritto alla tumulazione spetta al concessionario, al coniuge, ai figli maschi e alle loro mogli, alle figlie femmine nubili. Se sono sposate no. E questa giovane donna lo era. E quindi anche le sue spoglie spettano al coniuge. Annoverare il fatto tra le discriminazioni di genere forse è fuorviante. Qui eccelle lo zelo ottuso nell’applicazione di una norma aberrante in conflitto evidente con tutto l’attuale ordinamento in materia. Ciò però che svuota il paradosso, da archiviare tra le perversioni burocratiche, non è il dato normativo ma quello culturale molto più affine a questa nefandezza. Non è forse il vanto di un titolo di proprietà che emerge ancora, senza bisogno di carte bollate, nei femminicidi? E l’arietta che spira e sa di “ragazza facile” “se l’è cercata” “ma quando ha denunciato, quando?” “un no è quasi sempre un si”. Il corpo della donna, ancora oggi, senza padroni vacilla, è poco credibile, non ha autonomia né autorevolezza e se vittima ne deve dare conto, sempre. 32
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Urbanistica
Il verde e il grigio delle città Rosanna Marina RUSSO
Difficile capire cosa esattamente sia oggi una città visto il processo ormai in corso da tempo di inarrestabile perdita di identità. Perché l’idea di città moderna, creata secondo criteri di ordine, pulizia, buon governo, in realtà si è arresa, davanti alle trasformazioni così volubili e difficili da descrivere, davanti a una degradazione che non è conseguenza solo di una crisi generale, ma nasce come frutto di incapacità della città a divenire plasticamente funzionale ai rapporti sociali e ad adattarsi alle contingenze di turno. E ce ne sono di contingenze, come quella pandemica che 34
stiamo vivendo e altre, come l’immigrazione, che si sono irrobustite per colpa di luoghi e strutture totalmente inefficaci. Ciò che abbiamo saputo fare è stato fissare solo linguisticamente queste trasformazioni, perché come afferma Indovina: “la lingua che la città parla si fa diversa”. Ma se questi agglomerati possono declinare una grammatica linguistica diversa perché si sono modificati fino ad assumere forme molto complesse, ora devono rinascere, mutando la sintassi degli spazi, proponendo alternative più funzionali, nel senso di quel diritto alla città di cui parlava Henri Lefebvre: bellezza, varietà, fruibilità, sicurezza, capacità di stupire e sostenibilità.
Perché se è vero che i cambiamenti sono scritti nel codice genetico delle città, è altrettanto vero che se non prendono la direzione giusta, tutto il nostro sistema organizzativo può implodere. Nel 2050 il 75% degli abitanti del pianeta vivrà nelle città, il 20% in più di adesso. L’esodo previsto è pari all’1% annuo dei 7 miliardi e 600 milioni di persone che oggi abitano la Terra e che lascerà le campagne o i piccoli centri. Se questo è il futuro prossimo, va conosciuta fino in fondo la domanda degli abitanti nella sua espressione dicotomica bisogni/desideri. “D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda” (Calvino). Solo in questo modo si potranno orientare le scelte, programmare gli interventi, trasformare la città, progettare o riprogettare gli spazi, quelli grigi e quelli verdi, il godimento di cose belle, la conservazione della memoria e dei legami con il passato e la trasmissione di un patrimonio materiale e ideale alle future generazioni. Le persone non stanno in città per vivere, ci stanno per convivere. Ma, in concreto, cosa si può fare? 35
Forse è meglio qualche esempio già attuato. Uno nostrano: Modena. Ha iniziato creando nel 2005 Il Laboratorio della città nel quale in fase teorica c’è stato un approfondimento dei temi della qualità urbana e delle attese dei cittadini, soprattutto in relazione alla fruizione degli spazi collettivi, e la redazione tecnica e giuridica dello strumento di piano da porre a fondamento stesso del progetto. E, dopo Modena, tutti i capoluoghi di provincia emiliano-romagnoli hanno aderito a questo processo. Sono stati organizzati 10 “laboratori aperti” delle città per promuovere la partecipazione e la condivisione dei cittadini alle scelte degli obiettivi. L’obiettivo primario è stato definito nella riqualificazione dei centri storici. Sono stati redatti piani in cui, in dettaglio, ogni città ha indicato gli spazi individuati per il riuso: ex chiese, chiostri, aree industriali dismesse e la somma necessaria per attuare la programmazione. Chi ha pagato? La Regione. Fondi Por- Fesr 2014-2020 (asse 6). E come ha potuto la Regione sovvenzionare questi progetti per un totale di 14 milioni? In realtà questo asse 6 dà attuazione all’Agenda urbana europea che riconosce alle città un ruolo centrale allo snodo territoriale e prevede azioni di qualificazione del patrimonio culturale e lo sviluppo di tutti i fattori che possono favorire la partecipazione dei cittadini alle scelte strategiche della città, soprattutto attraverso l’uso delle nuove tecnologie. Come dire: avere idee, conoscere le possibilità di concretizzarle e mettere in pratica. Ma ritorniamo a Modena. Ebbene grazie a quei Fondi ha aperto nel 2016 la riqualificazione dell’ex centrale AEM, edificio di archeologia industriale del 1912, situato in un’area adiacente al centro storico. Sono state ricavate due aree coworking, due Labspace, una sala conferenze, una galleria polivalente di 545 metri quadri e uno spazio ristorazione. L’edificio è stato inaugurato nel gennaio 2018. Oggi è un luo36
go di ricerca, innovazione, sperimentazione per la cultura, lo spettacolo e la creatività; è un’area in cui si fa impresa e si sviluppano nuovi prodotti; è un punto di incontro tra professionisti, start up e istituzioni; è un luogo aperto ai cittadini in cui si svolgono mostre, performance, iniziative di divulgazione, festival, manifestazioni. Nel periodo di lockdown è stato utilizzato per attività formative online.
So di essere entrata troppo nel dettaglio, ma continuavo a pensare alla mia Bagnoli e all’area ex Italsider. Una “carta sporca e nisciuno se ne importa”. Sì, in Campania qualche riutilizzo di beni confiscati alla camorra c’è stato, e qualche chiostro è stato restaurato e sono state realizzate persino opere architettoniche fantastiche come la stazione di Afragola di Zaha Hadid, ma una progettazione, frutto di una visione unica per rigenerare le città campane con la partecipazione attiva dei cittadini neanche l’ombra. Si può obiettare che Napoli non è una città media come Modena e che questo sposta tutti gli equilibri regionali. Può darsi. È innegabile che le città metropolitane come Napoli (14 in Italia) necessitino non solo di rigenerazione dei centri storici, ma anche di veri e propri interventi ricostruttivi nelle periferie, quelle certe, periurbane, e quelle di fatto che sono all’interno della città, come capita appunto a Napoli. Ma è altresì innegabile che qualcosa vada pensata. Spostiamoci per un attimo al nord e al centro Europa. Strano a dirsi, con triste ironia, sono molto più avanti.
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Difatti, avendo superato molte delle nostre problematiche con gestioni più accorte, ora si dedicano a progettare interi ecoquartieri con interventi ad hoc di edilizia, creando con la partecipazione degli abitanti che li popoleranno anche una nuova economia urbana, basata sulla circolarità, il riuso e la sostenibilità. Solo un esempio di sostenibilità per non sbavare troppo: i condomìni sono ora progettati con fontane/macchinette che garantiscono l’acqua potabile dell’acquedotto regolando la temperatura e dosando la gasatura desiderata. Il costo può essere ripartito con tessere ricaricabili individuali. Si risparmiano costi, fatica e bottiglie di plastica. Un sogno per il Sud Europa. E per chi è nel sud del sud, in una specie di Matrioska di sud, un infinito miraggio. E il verde? Voglio bypassare il resto d’Europa, perché il paragone è impietoso: da noi il verde è sempre più grigio. Almeno al sud Italia. Il parco della Reggia di Caserta e poi La Favorita a Palermo. Null’altro. E le città della mia regione, quelle campane, sempre più “inguaiate”. La Campania, dopo la Lombardia e il Veneto, è la regione col maggior consumo di suolo con una perdita importante di superficie a copertura vegetale. Nessun Piano del verde è presente nei cinque capoluoghi di provincia.
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Tantomeno a Napoli dove non è stato effettuato neanche il censimento delle specie vegetali presenti sul territorio, chiesto da Legambiente, dove non si mettono a dimora nuovi alberi per ogni bimbo nato nel Comune, che è obbligo di legge per i comuni con più di 15.000 abitanti, dove ci si trova, col suo misero 6, molto al di sotto della media nazionale come numero di alberi ogni cento abitanti e dove all’interno del suo 9,57% di densità di verde non si individua una preponderante tipologia di verde attrezzato. Ciò vuol dire che l’amministrazione non è affatto green e la liberazione dal traffico di alcune zone della città, come il lungomare, non è il frutto di una ecovisione, ma ricerca di ecorisonanza. La rigenerazione di una metropoli deve passare attraverso non uno svuotamento di alberi in intere zone, ma una implementazione di verde. Perché questo non solo migliora l’aspetto estetico delle città, non solo ha una funzione ricreativa e sociale, ma riveste un ruolo importantissimo nella mitigazione degli inquinanti atmosferici, molto più che qualche sporadica isola pedonale. L’intenzione di essere sindaco green è solo una intenzione se mancano sempre risorse per la manutenzione, la gestione, la sicurezza delle aree verdi pubbliche e se queste spesso vengono abbandonate o chiuse. Il bilancio di un’amministrazione è lo specchio di una scelta, risponde a bisogni e desideri, rende fattibile una rinascita. Che non ci può essere senza un equilibrio cromatico tra il verde e il grigio, senza comprendere la necessità di dover perseguire “un solo sistema”,
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Società
“Abracadabra”... il potere è nelle parole Marianna PACE
Oggi l’interscambio umano, a causa anche della pandemia in corso, è prevalentemente imbottigliato nel virtuale, un virtuale che a volte diviene maschera o specchio ponendo in evidenzia ancor più il modo in cui ciascuno di noi entra in dialogo con l’altro da sé. Tra i fenomeni in esponenziale incremento in questo periodo c’è quello del dilagare di contenuti d’odio online, sulle piattaforme social in particolare. È evidente che si tratta di un tema di drammatica attualità, in quanto le costanti 40
recenti vicende di cronaca “in rete” ci impongono di riflettere sulla complessità di tale fenomeno che alla violenza verbale spesso si accompagna a forme di manipolazione e violenza psicologia. Sull’“incitamento all’odio”, o come più generalmente viene definito hate speech, ci si può riferire alle riflessioni dottrinali e giurisprudenziali elaborate tanto a livello nazionale che internazionale; in sintesi, e semplificando, tale espressione indica una comunicazione sia verbale che non verbale che esprime odio e intolleranza e, al contempo, incita all’avversione e alla paura, istillando pregiudizio, verso una persona o un gruppo di persone appartenenti ad una stessa etnia, orientamento sessuale, politico, religioso o disabilità. Tale forma di comunicazione alimenta ignoranza, intolleranza, razzismo e violenza, come dimostrato dai numerosi casi citati in un documento presentato al Comitato ONU per l’eliminazione della discriminazione razziale già nel 2017. L’ambiente digitale, in particolare quello dei social network, ha un potere di diffusione “delle idee” molto più capillare rispetto ai media tradizionali nonché una notevole capacità di persistenza e di divulgazione. Inoltre, l’incontrollato uso di espressioni d’odio online, come è stato autorevolmente osservato, sovente si traduce in violenza reale off-line. A ben vedere, infatti, gli abusi raramente rimangono confinati al mondo digitale, traducendosi spesso in offese verbali, stalking e violenze fisiche, ma soprattutto perché tali condotte, nascendo e circolando in rete, si moltiplicano esponenzialmente. E non è un caso, soprattutto se si considerano i recenti studi sul profilo psicologico degli “haters”. Un cenno ai predittori psicologici degli “haters” - Alcuni recenti studi avrebbero identificato quelli che si possono definire i predittori psicologici di coloro che assumono un atteggiamento denigratorio, i cosiddetti “haters”. Tali studi hanno con41
siderato i seguenti elementi: la presenza di personalità patologiche (cd. triade oscura: narcisismo, psicopatia e machiavellismo), il livello di frustrazione, di invidia e la soddisfazione nella vita. Più in particolare, gli studi hanno confrontato le caratteristiche di persone che hanno pubblicato commenti di odio su Internet nei confronti di atleti polacchi durante i Giochi Olimpici invernali a Pyeongchang del 2018. Dopo l’identificazione, tali utenti sono stati sottoposti ad un’indagine psicologica attraverso la compilazione di una serie di questionari. I risultati hanno evidenziato che i punteggi più alti nei tratti psicopatici come nei livelli di invidia erano predittori significativi della pubblicazione di commenti di odio online. Per le altre scale non si sono registrate differenze sensibili. Si tratta insomma dei primi studi diretti a ricostruire un background psicologico degli “haters” online: le ricerche future potranno dirci di più rispetto ad un fenomeno sempre più diffuso, le cui contromisure sono ancora poco efficaci.
E il diritto come si pone rispetto a tal fenomeno? - Già nella Convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio (1948) ritroviamo un obbligo per gli Stati di punire non solo gli atti concreti di genocidio ma anche l’incitamento a commetterlo. Nella stessa direzione anche la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (1965), in virtù della quale gli Stati devono condannare ogni propaganda ed ogni organizzazione che s’ispiri a concetti e a teorie basate sulla superiorità di una razza o di un gruppo di individui di un certo colore o di una certa origine etnica, o che pretendano di giustificare o di incoraggiare ogni forma di odio e discriminazione razziale. Ancora, il Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici del 16 dicembre 1966 prevede restrizioni alla libertà d’espressione a condizione che siano espressamente stabilite 42
dalla legge e necessarie al rispetto dei diritti o della reputazione altrui o alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, della sanità o della morale pubbliche e, inoltre, richiede agli Stati di vietare nell’ordinamento interno ogni propaganda a favore della guerra e qualsiasi appello all’odio nazionale, razziale o religioso che costituisca incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza. Sul piano degli strumenti giuridici regionali, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (1953) proibisce le discriminazioni fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione. Nella stessa direzione, ma estendendone la portata, si muove la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000) che vieta qualsiasi discriminazione fondata su sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale. Il sistema giuridico italiano ha previsto la possibilità di perseguire penalmente gli autori di tali condotte d’odio a seguito di querela delle persone offese da detti reati; tuttavia, una reazione successiva e repressiva nei confronti di tali condotte rischia di rivelarsi inefficace, perché difficilmente riesce ad essere tempestiva: si pensi a quanti di questi fatti vengono effettivamente denunciati; le autorità pubbliche e la magistratura dispongono di risorse insufficienti per perseguire un fenomeno così massiccio; infine, nell’ambiente online, vi sono problemi legati all’individuazione
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del locus commissi delicti (il luogo di provenienza di tali messaggi) con tutte le relative conseguenze in tema di legge applicabile e giurisdizione. A ben vedere, una reazione meramente successiva e repressiva nei confronti di tali condotte rischia di rivelarsi inefficace; oltretutto difficilmente una tale reazione riesce ad essere tempestiva. In effetti, i discorsi di odio online, richiedono, nei limiti del possibile, interventi di tipo preventivo, e ciò a maggior ragione ove si consideri il disarmante grado di diffusione ormai raggiunto da tale fenomeno, che non rende più possibile pensare di affrontarlo con le sole misure repressive (come ad esempio quelle di natura penale). Piuttosto è sempre più necessario articolare una risposta che operi anche sul piano sociale e culturale. Un ruolo determinante dovrebbe essere svolto anche dagli attori privati (veri e propri operatori economici) che gestiscono le piattaforme virtuali ed i social network che sempre più sono veicolo dei discorsi di odio. Ciò richiede la predisposizione di un adeguato sistema di controllo sulla pubblicazione online da parte dei singoli utenti, che operi tanto ex post che ex ante secondo regole di massima trasparenza. L’obiettivo “minimo” dovrebbe essere, dunque, quello di poter garantire tempi certi di reazione nei confronti di quei contenuti segnalati come lesivi e discriminatori. In questo senso, potrebbe applicarsi all’hate speech lo stesso sistema di monitoraggio che Facebook ha recentemente introdotto contro le “fake news”, ad esempio, affidandolo ad associazioni ed ONG impegnate nella lotta alle discriminazioni e nella promozione della tutela dei diritti umani. In ogni caso, accanto a sistemi di autoregolamentazione predisposti dai media e social network, si presenta comunque necessario prevedere in via legislativa una responsabilità in capo ai soggetti che operano sulla rete e a coloro che gestiscono tali 44
siti, in modo da obbligare questi ultimi a predisporre un controllo di quanto pubblicato online dagli utenti.
Conclusioni - In un contesto così frastagliato ed eterogeneo, come quello descritto, è necessario riaffermare l’importanza della preminenza dell’autorità pubblica nell’individuazione di standard uniformi e organici e soprattutto preventivi. Un’azione che deve mirare anche all’instaurazione di un’effettiva democrazia digitale, che garantisca il rispetto dei diritti umani online, la vigilanza sulla neutralità della rete, la costruzione di una libera identità, al fine di promuovere un utilizzo della rete volto all’utilità sociale e alla garanzia dei diritti di ognuno. Insomma si rende necessario oggigiorno uno sforzo maggiore volto ad educare le persone all’utilizzo della rete, come spazio non di polarizzazione, bensì di libera espressione e circolazione delle conoscenze, e che possa fungere da supporto per i processi decisionali e per il progresso democratico della società stessa, sempre più proiettata verso, e nella, rete. La prevenzione ed il contrasto ai discorsi d’odio online non possono prescindere, quindi, da un incisivo programma di sensibilizzazione degli utenti, attraverso iniziative di formazione da porre in essere, innanzitutto, negli istituti scolastici e di alta formazione, nell’ottica dell’educazione permanente alla cittadinanza digitale per una coscienza civica piena, consapevole e responsabile non solo nella logica di una “netiquette” ma anche al fine di prevenire la nascita stessa dei sentimenti d’odio, contrari ai principi costituzionali ed internazionali di solidarietà, tolleranza e di rispetto della dignità umana.
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Cultura
La rinascita nel mito Chiara TORTORELLI
Siamo abituati a un tempo lineare e nel tempo lineare c’è vita e poi morte, uno strappo insanabile che non promette ricomposizione. Nel tempo circolare invece non esiste morte che non contenga in se stessa il germe della vita e della rinascita. Il tempo circolare è ben rappresentato in natura dalle stagioni e dalla fioritura, ogni albero fiorisce, matura, ingiallisce le sue foglie e poi nel freddo della stagione invernale le perde per poter a primavera rifiorire. Il tempo circolare conosce oltre la nascita e la morte la rinascita, ed è ben rappresentato dai miti antichi. 47
Uno dei più significativi nel mondo greco è quello di Demetra e di Kore. Demetra, dea delle messi e grande Madre, aveva una figlia che amava moltissimo, Kore, bellissima, dalle lunghe chiome e dall’animo innocente. Demetra, gelosa di questa figlia così bella, la proteggeva da tutto e Kore, che in greco significa “fanciulla”, viveva ignara. Un giorno la vede Ade, signore degli Inferi e se ne innamora, la vuole per sé e decide di rapirla tramutandosi in fiore di narciso. La giovane Kore attratta dal fiore si avvicina e viene risucchiata da Ade che la rapisce e la porta nel buio dell’Oltretomba. Kore è costretta così a confrontarsi con le ombre e dopo il primo devastante dolore per essere stata separata dalla madre amatissima, mangia i semi di melograno che rappresentano nel mito i semi del “risveglio” e da fanciulla ignara diviene donna consapevole. Frattanto la madre non si rassegna, piange e si rifiuta di far fiorire di nuovo le messi così la terra diventa un luogo inospitale. Mercurio che simboleggia in questa metafora lo psicopompo cioè il ponte di collegamento tra regno dei vivi e Oltretomba, per cercare di trovare una soluzione che soddisfi tutti va da Zeus e lo convince a riportare Kore in vita. Il Padre degli dei decide che Kore per sei mesi vivrà con la madre sulla terra e per i restanti sei mesi nel mondo dei morti con Ade. Kore, fanciulla risvegliata e “rinata” diventa così Persefone, colei che porta la luce nel buio. La metafora della rinascita è conservata tra le righe in molti miti anche più antichi come nel mito egizio di Iside e Osiride. 48
Anche qui c’è l’eterna lotta tra luce e ombra. Osiride viene ucciso dal fratello Seth, dio della guerra, ma Iside la compagna che non si rassegna alla sua morte, lo nasconde e cerca di rianimarlo. Di nuovo Seth che rappresenta il caos primordiale contrapposto a Osiride, l’ordine cosmico, lo trova e fa a pezzi Osiride, disperdendo le parti del suo corpo in modo che non si possano più unificare. Ma Iside neanche ora si arrende e insieme alla sorella Nefti, dea dell’Oltretomba, ricompone il corpo e lo mummifica in modo che possa rinascere. Così Osiride diventa dio dell’Oltretomba e vi regna con Iside per l’eternità. Il mito di Osiride ritorna nelle varie culture, nel mondo greco viene traslato nel mito di Dioniso Zagreo che nella tradizione orfica è il figlio di Persefone. Zagreo, figlio di Persefone e Zeus, era molto amato dal padre che voleva che regnasse sull’intero universo. Ma i Titani venuti a conoscenza dei progetti di Zeus informarono Era, che come sempre gelosa, ordinò loro di uccidere il bambino. I Titani cercarono di sedurre Zagreo in vari modi, con dei giochi, una trottola, una palla, uno specchio ma Zagreo fiutando il pericolo cercò di fuggire trasformandosi in toro, ma i Titani lo catturarono, facendolo a pezzi e divorandolo. Atena salvò il cuore del ragazzo e lo portò a Zeus, che lo inghiottì e lo rese immortale. Le ossa di Zagreo furono sepolte a Delfi e frattanto i Titani furono uccisi e dalle loro ceneri nacquero gli uomini. I miti sembrano raccontarci in modo potente non solo l’esperienza del tempo circolare, ma la natura profonda della rinascita. Nel mito di Zagreo, ad esempio, ma anche in quello di Demetra e Persefone e di Iside e Osiride sembra inevitabilmente connessa all’esperienza umana la dicotomia, luce e ombra, giorno e notte, bene e male, vita e morte, mondo dei vivi e Oltretomba. 49
Un’alternanza perenne che racchiude un po’ l’equazione della creazione e a cui è vano e limitante opporsi o diventare vittime ignare dell’apparente dicotomia. Noi uomini siamo sospesi secondo il mito orfico in quella che è definita la colpa umana ereditaria che si tramanda di padre in figlio, divisi tra la natura violenta dei Titani e la natura divina di Zagreo. Il mito vive in ciascuno di noi e rappresenta forze psichiche che albergano nel profondo di noi stessi a cui possiamo dare voce perché ci aiutino a comprendere. Abbiamo bisogno di Mercurio psicopompo che poi è Caronte il traghettatore, perché ci aiuti ad attraversare le nostre ombre psichiche, i luoghi oscuri della paura, dell’insicurezza e della necessità illusoria della prevaricazione, per portare alla luce la verità di Persefone e incontrare il fanciullo divino Dioniso Zagreo, Osiride ricomposto, colui che solo attraverso il cuore (di Zagreo rimane solo il cuore, e Iside riporta in vita Osiride grazie alla potenza del suo amore) può rinascere. La rinascita non è infatti un’esperienza della mente ma del cuore e accade quando c’è fiducia, un processo simile alla resa amorosa. La mente si ferma sul processo dicotomico che cerca di spiegare, si aggrappa a ciò che sembra bene e male e acuisce le separazioni… Il cuore ricompone, torna bambino alla meraviglia dell’esperienza fondamentale così com’è. In chiave escatologica l’anima si ricongiunge al divino tramite il rituale purificatorio, il Purgatorio dantesco. Dante dopo la discesa negli Inferi, e la salita sulla montagna del Purgatorio arriva al Paradiso, al cuore dell’Empireo. La rinascita è quindi esperienza d’Amore, di “ricomposizione” delle varie parti di sé e di pacificazione con l’altro da sé. Il fiume ritorna al grande oceano e a lui si ricongiunge senza più limiti. “E quindi uscimmo a riveder le stelle”. 50
Impresa etica
Dalle terre confiscate alla mafia il vino siciliano simbolo di rinascita Veronica D’ANGELO
“Centopassi” è il nome di un famoso film sulla vita e l’omicidio di Peppino Impastato, giornalista siciliano ucciso dalla mafia nel maggio del 1978. Erano esattamente il numero di passi che dividevano la casa della famiglia Impastato da quella del boss mafioso Gaetano Badalamenti. L’anno dopo l’uscita del film, nel 2001, un gruppo di giovani siciliani selezionati tramite un bando pubblico per il riutilizzo dei beni confiscati alla criminalità orga51
nizzata, fonda su impulso di “Libera”, l’associazione di Don Luigi Ciotti, la prima cooperativa di “Libera Terra”. Ad essa ne seguiranno altre, in Sicilia, che saranno chiamate complessivamente a gestire centinaia di ettari di terreno appartenuti ai boss del clan di Corleone, di cui 70 ettari di vigneto. Qualche anno più tardi, nel 2007, dalla coltivazione di quei vigneti nascono i vini di Centopassi, “anima vitivinicola delle cooperative Libera Terra”, nome che evoca l’impegno a favore della legalità, il valore della memoria e la voglia di riscatto morale e sociale. Siamo nell’Alto Belice corleonese, alle spalle di Palermo, una zona costituita da colline e montagne, calcaree e arenarie, che arrivano fino a mille metri sul livello del mare, particolarmente adatta alla produzione di vini di qualità grazie alle escursioni termiche, alla ventilazione e alla composizione del terreno. Sin dall’inizio l’azienda vinicola, grazie al coordinamento del Consorzio Libera Terra Mediterraneo, decide di puntare sull’unicità del territorio, privilegiando e impiantando i vitigni autoctoni siciliani, dai più conosciuti Grillo e Nero d’Avola a Catarratto e Perricone, e di coltivare in biologico, per rispettare quanto più possibile l’ambiente. Anche i nomi dei vini e le etichette riflettono questa scelta di valorizzazione della storia e dei terreni. I primi vini prodotti in questi vigneti sono stati il “Placido Rizzotto IGT” bianco e rosso, due blend dedicati al sindacalista corleonese rapito e ucciso dalla mafia. Gli ultimi, invece, due “Giato D.O.C. Sicilia” nati nel 2016, derivano il nome dall’antico quartiere che circondava il meraviglioso teatro greco sul Monte Jato, che domina dall’alto i vigneti Centopassi.
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Con il tempo, l’azienda ha puntato sempre più sulla qualità, su vini prodotti da uve monovarietali e da vigne o zone più vocate che hanno dato origine a veri e propri “cru”, confluiti in otto etichette specifiche che si sono affermate sul mercato conquistando il favore di clienti ed esperti. Nel 2009, infatti, Centopassi viene inserita nelle pubblicazioni di settore più importanti, come la guida di Slow Food e il Gambero Rosso. Grillo e Catarratto vengono premiati per vari anni alla manifestazione “Radici del Sud”, il Catarratto 2018 “Terre di Giabbascio” ha ricevuto il massimo riconoscimento del “Gambero rosso”, i Tre bicchieri, e la sua versione più moderna, “R14” - una riserva che matura in botte per diciotto mesi e in acciaio per ventidue - i cinque grappoli della guida “Bibenda” 2020 nonché i premi “Grande esordio” e il Sole de “I Vini di Veronelli” 2020. 53
Intervisto Vito Rappa, responsabile dell’area vino per il Consorzio Libera Terra Mediterraneo, per capire meglio la filosofia e la chiave del successo di questa realtà. Mi parla con passione di vini dalla personalità netta e di grande bevibilità, “lontani dagli stereotipi comuni sul vino siciliano”, freschi, eleganti e lineari. Vini “privi di ogni sovrastruttura, surmaturazione in vigna o concentrazione in cantina”, per garantire la massima espressività del frutto e trasmettere l’essenza dei territori in cui crescono le uve, in grado di esaltare le specificità dei suoli, dei microclimi e dei vitigni da cui provengono. Come un padre orgoglioso dei suoi figli, Rappa mi descrive un Grillo minerale e fruttato, un profondo Catarratto e un fresco e dinamico Nero d’Avola. E sottolinea che Centopassi, fiore all’occhiello di Libera Terra che ad oggi produce quasi mezzo milione di bottiglie l’anno, è riuscita a stare sul mercato puntando proprio sulla qualità dei suoi vini, più che sul valore etico-sociale dei terreni da cui provengono. Se il fine ultimo del riutilizzo di questi beni confiscati è di “restituire dignità, valore e bellezza a territori stupendi ma difficili”, dice Vito, l’obiettivo principale è di creare aziende sane, che promuovano “un sistema economico virtuoso e sostenibile, basato sì sulla legalità e la giustizia sociale, ma anche sulla capacità di stare sul mercato”. Non c’è retorica nelle sue parole, si percepisce che il valore di questi vini è proprio nella assoluta “normalità” di una sana gestione aziendale, in grado di dare lavoro e generare indotto positivo, di coniugare l’attenzione all’ambiente e le esigenze commerciali. Gli chiedo se c’è un vino più rappresentativo di Centopassi e mi parla del valore affettivo di Portella della Ginestra, una piccola vigna di un ettaro e mezzo impiantata nel 2011, che sorge a pochi chilometri dal memoriale della strage del 54
1947. Quel primo maggio un manipolo di mafiosi sparò contro una folla di contadini durante la Festa dei Lavoratori. Qui le viti di Nerello mascalese e Nocera sono allevate ad alberello su una pietraia, esposta a nord a quasi mille metri di altezza, da cui si può scorgere il mare del Golfo di Castellammare. Posso solo immaginare la bellezza mozzafiato del paesaggio. E mi piace pensare al vino rosso intenso prodotto da queste uve come il simbolo perfetto di riscatto di una terra bellissima, capace di dare ottimi frutti nonostante le condizioni di difficoltà.
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Cultura
Spirito di rinascita alla festa del cinema Anita NAPOLITANO
La notte del cinema italiano del 2021 è stata sicuramente un passaggio che ne ha segnato la rinascita e il film che ha trionfato ai David di Donatello è un quadro impressionista: “Volevo Nascondermi” di Giorgio Diritti, che è in sala dal 13 maggio 2021 e racconta la storia di Antonio Ligabue. La cerimonia del David di Donatello edizione numero 66, ha portato con sé uno spirito di speranza, di festa e soprattutto di rinascita per gli artisti e addetti ai lavori. 57
I candidati sono stati di nuovo presenti in sala dopo la cerimonia dello scorso anno avvenuta in collegamento. Il cinema italiano c’è, con tutte le sue incertezze e con tutta la voglia di raccontare storie senza tempo e di infinita bellezza. La cerimonia è entrata nel vivo con l’ingresso sul palco del Ministro della Cultura Dario Franceschini per un messaggio all’Arte molto importante: il Ministro afferma: “…che questa traversata nel deserto sta finendo” e sostiene che investire nella Cultura e nella filiera del Cinema e dell’audiovisivo non è soltanto un’operazione socialmente e culturalmente importante ma è anche una grande operazione industriale che produrrà effetti importanti per l’intero Paese, partendo da progetti che faranno rinascere Cinecittà. Durante la serata si sono susseguiti momenti che hanno trasmesso al pubblico pura commozione: sicuramente in primis l’omaggio al Maestro Ennio Morricone scomparso lo scorso 6 luglio, in cui la sua Orchestra Roma Sinfonietta, diretta dal figlio Andrea Morricone, ha proposto dall’Opera di Roma le musiche di “Nuovo Cinema Paradiso”. Poi, la figlia dello sceneggiatore Mattia Torre che ha ritirato il premio per il padre che non c’è più, che per la sua naturalezza e innocenza ha ricevuto una standing ovation. Altro momento vivo, quello in cui Sophia Loren ha ricevuto il premio come miglior attrice protagonista per la “Vita davanti a sé”, che con voce commossa ha detto: “è difficile credere che la prima volta che ho ricevuto un David è stato più di sessanta anni fa, ma stasera sembra la prima volta, l’emozione è la stessa, la gioia ancora di più, condivido questo premio con tutto il cast e specialmente il protago58
nista con me, un bambino, un giovane attore di grandissimo talento che in questo film è davvero magico. E infine ringrazio il regista, mio figlio Edoardo. Il suo cuore, la sua passione hanno dato anima a questo film e questo personaggio”. I film che hanno ricevuto maggiori candidature oltre a “Volevo Nascondermi”, “Miss Marx” e “Favolacce”: film che purtroppo non hanno goduto molto della sala cinema, ma sicuramente film di grande qualità. Inoltre, sono da segnalare “Le sorelle Macaluso” di Emma Dante e “I Predatori” di Pietro Castellitto. Ma senza dubbio il film con più riconoscimenti è stato “Volevo Nascondermi” di Giorgio Diritti. Sicuramente, la storia solitaria di Antonio Ligabue è stata al centro della serata, che dalla Berlinale del 2020 ha raccolto critiche positive. Tra i premi, oltre al miglior film, ci sono da ricordare quello di Miglior Attore Protagonista ad Elio Germano e quello della miglior regia per Giorgio Diritti che mentre ringraziava ha rivolto un pensiero al suo protagonista definendo Ligabue un grande uomo, capace di esprimere se stesso attraverso l’Arte, appunto un vero Artista. Dunque, con la speranza che la Festa del Cinema abbia segnato davvero il momento della Rinascita dell’Arte e della Cultura, sostenuto da un ministro ottimista, presente e si spera attivo. Intanto godiamo della visione del buon cinema italiano, augurando al Mondo della Creatività: Arte, Cinema, Cultura, Buona Rinascita!
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Racconto
Bambina Lucia COLARIETI
“I sogni sono i ricordi che l’anima ha del corpo” (J. Saramago – “Il Vangelo secondo Gesù Cristo”) “Il vangelo secondo Gesù Cristo”, “Il vangelo secondo Gesù Cristo”,
La bambina giaceva silenziosa nella culla dopo tanto piangere, inerme e tenera girava lo sguardo su Maria che si affacciava alle sponde. La donna sentì stringersi il cuore nel vederla, avrebbe tanto voluto darle di più. La prese tra le braccia, ma la bimba le aveva ormai dimenticate, cercò di stringerla a sé, ma la piccola non sapeva più come abbandonarsi su un seno caldo e accogliente. Nella mente della 60
donna il tempo passato era confuso, sentiva di essere stata assente ma i motivi le erano vaghi, rifiutava quasi di ricordare una qualche ragione più importante di dare cure a quella creatura. Un’oscura oppressione le invadeva il cuore mentre cercava di ritrovare gesti di affetto, di ricostruire il dialogo interrotto ma, come una bambola, il corpicino non reagiva alle carezze e ai baci. I giorni perduti la assillavano, si consolava pensando di poter recuperare, progettando giochi e passeggiate, immaginando mattine e pomeriggi, e notti ricche di attenzione, di contatto, di ascolto …
il suono della sveglia la colse in quel desiderio di
redenzione, nel territorio di mezzo tra la veglia e il sonno l’immagine di quella piccola triste non l’abbandonava. Si alzò dal letto e aprì la finestra, entrarono raggi di sole luccicanti ma la piccola era lì, a chiederle aiuto. Maria non si soffermò a pensare, la sua attività frenetica iniziava già dalle prime ore del mattino, non poteva permettersi di perdere tempo. Il programma della giornata era ininterrotto, fino a sera, doveva occuparsi della sua famiglia. Davanti allo specchio, nei pochi minuti che dedicava a se stessa giusto per provvedere al minimo indispensabile, la sua mente correva ai mille impegni da svolgere ma, nell’alzare lo sguardo incontrò gli occhi della piccola che la imploravano. Stamattina devo concentrarmi meglio, pensò Maria, e subito uscì nel corridoio per dirigersi nella stanza dei bambini e svegliarli. Le toccava quell’ingrato compito di tirarli giù dal letto, incitarli a fare presto e, dopo aver preparato le merende, controllato le cartelle e fornito cappotti e sciarpe, spedirli a prendere lo scuolabus che li aspettava. Era solo l’inizio, seguiva la predisposizione del pranzo, il veloce riordino delle stanze, qualche lavatrice da stendere, raccogliere o far partire. A quel punto, già stanca, Maria prese l’auto e, sfidando il folle traffico cittadino, raggiunse il posto di lavoro. Era entrata piena di belle 61
speranze in quell’azienda ma aveva dovuto riporre ambizioni e speranze per rassegnarsi ad un compito banale e ripetitivo. Alla fine delle otto ore si sentiva svuotata e non aveva neanche voglia di tornare a casa, la aspettavano altre ore di lavoro. Nei primi tempi aveva mantenuto le abitudini della sua gioventù, la palestra, il parrucchiere, le amiche, ma poi il tempo a disposizione era diventato sempre meno, era mamma e moglie senza tempo per il resto. Quella sera si sentiva ancora più stanca, forse perché prima di rientrare era anche passata dai suoi genitori per vedere se avessero bisogno di qualcosa. Il pensiero dei compiti dei figli e della cena e del resto della casa da riassettare le risultava davvero pesante. Come sempre, fece appello al suo senso del dovere e navigò dritta verso l’ora di coricarsi provvedendo a tutto quello che serviva. Nella casa ormai silenziosa, mentre tutti già dormivano, dopo aver rimboccato le coperte ai bambini, controllato l’acqua alle piante, chiuso tutte le finestre, aver raccolto i giocattoli dal corridoio e aver scritto la nota della spesa, Maria entrò nel bagno per prepararsi ad andare a dormire. Sotto la luce sullo specchio il suo viso appariva ancora più scavato e pallido, i capelli raccolti alla meglio e la mancanza di un filo di trucco accentuavano l’immagine di trascuratezza, lei si osservò con un po’ di pietà per se stessa e, mentre lo faceva, il suo sguardo, nello specchio, incrociò quello della bimba. La guardava, lì di fronte a lei, occhi negli occhi e una richiesta urgente: prenditi cura di me. Il pensiero, in quel momento le si affacciò alla mente con chiarezza, lo sguardo triste era il suo. Quando era successo che aveva abbandonato la cura di se? Il suo cuore si intenerì fino alle lacrime e mentre comprendeva chi aveva bisogno del suo affetto lo sguardo nello specchio iniziò a sorridere!
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