PINK BASKET N.07

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N.07 MARZO 2019

IN QUESTO NUMERO // FRANCESCA DOTTO: LA REGINA DELLE PLAYMAKER E DEI CONTRASTI // SERIE A1: TUTTO SUI PLAYOFF // FOCUS EUROPA // RAGUSA E CREMA REGINE DI COPPA ITALIA // LA (DIS)PARITÀ DI GENERE NELLO SPORT // LILIANA MICCIO SOGNA LA A1 CON PALERMO // WOODARD, FIRST LADY DEGLI HARLEM


MARZO 2019

in questo numero

N.07

1 EDITORIALE

Ciao Nadia!

3 inside a1

Corsa Playoff

8 speciale coppa italia Ragusa regina

11 numbers 13 Focus

(Dis)parità di genere

19 cover story

Una, due, cento Dotto

25 inside A2

Crema suprema

31 Primo piano

Miccio Bum Bum

37 altri mondi

Focus Europa

43 storie

DIRETTO DA Silvia Gottardi

REDAZIONE Silvia Gottardi,

First lady

46 MARA RISPONDE

Women friendly

47 PALLA E PSICHE

Wanna be Mvp

48 (SA)TIRO SULLA SIRENA

Lettera da Manhattan

50 IL BASKET VISTO DA UN MARZIANO

Donne e buoi

51 LA FOTO DEL MESE

Giuseppe Errico, Giulia Arturi, Alice Pedrazzi, Bibi Velluzzi, Manuel Beck, Marco Taminelli, Caterina Caparello, Paolo Seletti, Linda Ronzoni, Alice Buffoni, Mara Invernizzi

PROGETTO GRAFICO Linda Ronzoni/ Meccano Floreal

INFOGRAFICA Federica Pozzecco IMPAGINAZIONE Grazia Cupolillo/ Meccano Floreal

FOTO DI Marco Brioschi, FIBA,

Archivio FIP, Alessandro Amato, Ciamillo/Castoria, Famila Basket


editoriale

CIAO NADIA! di silvia gottardi

La cosa più bella che mi ha regalato il basket sono le amicizie. La morte, a soli 33 anni, della mia ex compagna Nadia Rovida (ex nazionale giovanile, tante stagioni in A2 e una anche in A1) è stata una pugnalata al cuore. Provo a scrivere qualcosa ma non ci riesco: tornano alla mente i tanti momenti felici passati assieme, gli occhi si riempiono di lacrime, il foglio rimane vuoto. Ho deciso perciò di pubblicare la lettera scritta per il funerale dalle sue amiche e compagne di Vittuone, perché quelle parole testimoniano esattamente chi è stata Nadia per tutti noi, e svelano la magia di un’amicizia nata sui campi da basket. Nadi, hai visto quante persone sono venute oggi a salutarti? Tu hai lasciato del bello in ognuna di loro, come hai fatto con noi. Ci siamo conosciute su un campo da basket, ci ricordiamo ancora la prima volta che sei entrata da quella porta. Abbiamo subito pensato: “Ecco, finalmente é arrivato il nostro pivot”. Diciamocelo, avevi la meccanica di tiro più brutta di tutto il panorama del basket femminile, ma segnavi e segnavi parecchio, quindi ti abbiamo lasciato fare. Siamo state una grande e bellissima famiglia, siamo state compagne di squadra, confidenti, ma prima di tutto amiche. Abbiamo vinto e perso, insieme. Abbiamo riso e pianto, insieme. E insieme siamo cresciute. Ti abbiamo sempre visto sorridente, positiva, allegra. Ti abbiamo aiutato a portare un peso che tu non ci hai mai fatto pesare. Perché tu eri leggera Nadi e con leggerezza sapevi prendere la vita. L’hai sempre fatto, fino all’ultimo. Ci hai reso tutte persone migliori e amiche migliori. Per questo e per tutto quello che abbiamo vissuto insieme volevamo dirti grazie. Grazie di essere passata nelle nostre vite e di averle rese leggere. Grazie per averci regalato Lorenzo, a lui racconteremo sempre chi sei stata tu per noi. Grazie per averci insegnato a lottare, non come chi vince sempre ma come chi non si arrende mai. Come per tutti i pick&roll che abbiamo giocato insieme, non ci serve vederti per sapere che ci sei e dove sei. Ti vogliamo bene, te ne vorremo sempre. Buon Viaggio!


LAURA SPREAFICO ALLA SUA PRIMA STAGIONE CON BRONI, È GIÀ DIVENTATA UN PUNTO DI RIFERIMENTO; 11 PT DI MEDIA IN REGULAR SEASON. BRONI DOVE VUOI ARRIVARE?


inside A1

CORSA PLAYOFF

VENEZIA CEDE IL PRIMATO ALL’ULTIMA PARTITA. AL VIA I PLAYOFF, UNA ROULETTE RUSSA CHE COME NON MAI IN QUESTA STAGIONE POTREBBE RISERVARE NOTEVOLI SORPRESE. SARÀ CORSA A TRE PER IL TITOLO?

di giuseppe errico

U

n’ultima giornata di campionato con sorpresa finale

chiude i battenti di una stagione regolare emozionante e ricca di sorprese non sempre positive (il caso Dike su tutti), ed apre la porta alla roulette russa dei playoff che come non mai in questa stagione potrebbero riservare notevoli soprese. La sorpresa finale è il capitombolo della capolista Reyer Venezia che nel derby veneto contro San Martino viene sbranata dalle lupe giallo nere che costringono le lagunari a cedere il primo posto in classifica alle cugine/ nemiche del Famila Schio che come un perfetto killer aspetta l’attimo propizio per sparare il colpo decisivo ed aggiudicarsi il favore del fattore campo nella lunga ricorsa al tricolore. Subito a ridosso delle venete bussa con forza alla porta playoff la Passalacqua Ragusa sospinta dalla vittoria in Coppa Italia. Sarà ancora una corsa a tre per il titolo: Schio, Venezia e Ragusa? La parola passa al campo mentre noi diamo uno sguardo a quello che è successo nella stagione regolare con un occhio aperto sui playoff.

Step Back Concediamocelo questo step back sull’ultimo incredibile turno di campionato dove sul parquet del Pala Lupe va in scena una partita divertentissima, un derby all’ultimo assalto tra San Martino e Reyer Venezia la decide un canestro a tre secondi dallo scadere di Tay Marshall (tredici a referto) che regala alle lupe il quarto posto in classifica e fa cadere le lagunari dal primo posto relegandole alla seconda piazza. Indigesto il legno del Pala Lupe per le oro-granata che già in Coppa Italia erano cadute malamente. Probabilmente la vittoria dello scudetto potrebbe in casa Reyer bastare a non rendere quasi fallimentare una stagione che da roster avrebbe dovuto vederle dominare senza se e senza ma una stagione che con il suicidio in EuroCup ed in Coppa Italia potrebbe diventare disastrosa. Neanche l’arrivo di Sanders in una squadra già di per sé fortissima ha cambiato per adesso le sorti di questa stagione facendo pensare che il problema magari sarebbe da ricercare altrove e non ceryo in campo. Ringrazia di tutto questo Schio che vince sul


inside A1

campo di Empoli (sconfitta indolore per le toscane che si qualificano comunque per gli spareggi playoff) tenendo a riposo Gruda e Quigley e trovando in Gemelos e Lavender ottimi terminali. Possiamo metterla come meglio volete ma alla fine della fiera Schio è sempre lì, dna da squalo assassino, fiuto del sangue degli avversari, può anche essere una stagione particolare (considerando le eliminazioni in Coppa Italia e in Europa) ma quando conta le scledensi ci sono ed hanno il vento in poppa ed il fattore campo, cosa che non guasta di certo. La vittoria di S. Martino rende inutile per Broni, ai fini della classifica, il successo di Broni su Vigarano, che perde il settimo posto e taglia Fitzgerald per motivi disciplinari. Al settimo posto si insedia il Geas che vince con Battipaglia e nella rincorsa ai quarti di finale ritrova subito

le campane, qualificate grazie alla vittoria interna di Ragusa contro Torino. Ha riposato Lucca che mantiene il sesto posto in classifica alla fine di un campionato dove ci si sarebbe aspettato di più da una formazione che ha il quarto budget dell’intera serie A e che ha sprecato lungo il cammino punti pesanti che gridano ancora vendetta.

I Numeri Qualcuno ha detto che i numeri in questo sport non sono molto importanti ma qualcosa ci raccontano. Ci dicono che nel tiro da due e dalla lunga Schio è la prima in classfica con il 54% da due ed il 38% da tre tallonata da Ragusa che chiude la stagione con il 54% da due ed il 32%da tre. Le peggiori invece da due Torino con il 39% e Vigarano con il 28% da tre. Nei rimbalzi prima la Reyer Venezia con il 39% ultima Battipa-


VENEZIA DEVE RISCATTARE UNA STAGIONE CHE NON È STATA BRILLANTE COME LE ASPETTATIVE. SARÀ ANETE STEINBERGA LA CHIAVE DEL SUCCESSO?

glia con il 29%. Nelle statistiche individuali spiccano i 20,15 punti di media della ragusana Dearica Hamby che guida la classifica dei punti realizzati seguita da Allie Quigley che in dieci partite giocate viaggia a 18,6 punti; al terzo posto Feyonda Fitzgerlard con 17.78. Prima delle italiane è Caterina Dotto decima e con sole otto partite disputate (16,33 punti), unica italiana tra le prime venti posizioni. Hamby si porta a casa anche il primato nei tiri da due: 64,96%, seguita da due scledensi, Lavender con il 64,15 e Lisec con il 60%. Nel tiro dalla lunga, nelle nove partite disputate Nicole Romeo viaggia con il 46,94% ma è Marida Orazzo in venti partite a siglare un eccellente 46,30. Nei rimbalzi totali guida la classifica Bashaara Graves (Lucca) con 10,65 di media, questa volta Hamby si deve accontentare della seconda piazza (10,4); al ter-

zo posto Simon (Battipaglia) con 9,6 di media. Nella media di minuti giocati troviamo al primo posto con 36,2 Krystall Vaughn (Lucca) a breve distanza Fitzgerald, 35,5, e Kahlia Lawrence (Torino), 34,95. I record si accumulano durante la stagione regolare, i playoff fanno la storia, diceva un vecchio saggio.

April Madness Non vogliamo scimmiottare la più im-

portante March Madness ma per i playoff italiani sarà comunque un caldo e pazzo aprile: si parte il cinque con gara uno dei quarti di finale dove la capolista e detentrice del titolo Schio se la vedrà in un turno sulla carta agevole contro la vincente dello spareggio tra Empoli e Vigarano. Le orange a dispetto di un inizio di stagione non esaltante nel corso del campionato e grazie anche all’arrivo di una giocatrice fanta-

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inside A1 smagorica come Allie Quigley hanno trovato quella quadratura del cerchio che le renderà sicuramente la squadra da battere. Coach Vincent si ritrova anche Sandrine Gruda al massimo della forma; la lunghezza del roster potrebbe fare il resto. Se avete qualche moneta per scommettere una puntatina su Schio tricolore la farei volentieri. Diverso il discorso per quella che doveva essere la più grande macchina da guerra mai vista in laguna, sponda femminile ovviamente. Diciamocelo fuori dai denti: un roster che poteva fare invidia agli Avengers, in più in corso d’opera l’arrivo di Nostra Signora dei Canestri Chicca Macchi e la stella Lara Sanders. Sinceramente più di così non so cosa ci si possa aspettare a livello di roster, eppure le brutte

te rinvigorito dall’arrivo di Nicole Romeo, un innesto eccellente e ben calcolato dal patron Passalacqua che aggiunge quel pizzico di genio e sregolatezza ad un roster collaudato e compatto. Per Lucca, come detto, non una stagione esaltante forse i tifosi si aspettavano qualcosa di più da un roster notevole e con rotazioni che altre squadre sognano: il sesto posto sta stretto ma i playoff sono arrivati e le decisioni andranno prese a bocce ferme. Uno dei quarti di finale da seguire con maggior attenzione è quello tra San Martino di Lupari e Broni, due delle formazioni che hanno fatto davvero divertire in questa stagione. Peccato che una delle due debba uscire al primo turno ma avranno sulle spalle i galloni di una stagione fantastica. Soprat-

Le Lupe e Broni ci hanno fatto davvero divertire in questa stagione, peccato che una delle due debba uscire al primo turno. figure non sono mancate, se scudetto sarà potrebbe bastare a non richiedere un cambio anche in panchina? Intanto Venezia attende la vincente dello spareggio tra Geas e Battipaglia prima di incrociare in una eventuale semifinale da brividi Ragusa che nei quarti di finale trova Lucca. Per le siciliane la vittoria in Coppa Italia ha dato ancora più entusiasmo in un ambien-

tutto Broni nei venticinque anni della propria storia mette a segno una di quelle annate che potrebbero trasformare del tutto la storia di una gran bella realtà italiana. San Martino potrebbe essere la classica mina vagante, quella che può far saltare qualsiasi ingranaggio, anche il più collaudato, ed il Pala Lupe è un fortino difficilmente valicabile.

TURNO PRELIMINARE

SEMIFINALI

27/03 ore 20,30 Battipaglia - Geas 60-74 27/03 ore 20,30 Empoli - Vigarano 70-69 31/03 ore 18,00 Geas - Battipaglia 31/03 ore 18,00 Vigarano - Empoli

Gara 1 martedì 16 aprile Gara 2 giovedì 18 aprile Gara 3 lunedì 22 aprile Gara 4 mercoledì 24 aprile Gara 5 sabato 27 aprile

QUARTI DI FINALE

FINALE

Gara 1 05/04 Schio - Vincente Vigarano/Empoli Gara 1 05/04 S.M. di Lupari - Broni 93 Gara 1 05/04 Venezia - Vincente tra Geas/Battipaglia Gara 1 05/04 Ragusa - Lucca Gara 2 lunedì 8 aprile Gara 3 giovedì 11 aprile

Gara 1 mercoledì 1 maggio Gara 2 venerdì 3 maggio Gara 3 martedì 7 maggio Gara 4 giovedì 9 maggio Gara 5 domenica 12 maggio


BEATRICE DEL PERO ALLA PRIMA STAGIONE IN MAGLIA BATTIPAGLIA, CHE DOMENICA DOVRÀ VINCERE A SESTO DI ALMENO 15 PUNTI PER PROSEGUIRE NEI PLAYOFF.

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speciale coppa italia

Ragusa regina di Manuel Beck Emozioni, grandi giocate, il giusto equilibrio fra sorprese e risultati da pronostico; anche spunti interessanti dalle italiane. What else? La Final Eight di Coppa Italia ci ha riconciliati con l’A1 dopo la batosta della defezione di Napoli. A San Martino di Lupari è la Passalacqua Ragusa ad alzare il trofeo, per la seconda volta in 4 anni: dopo una prima parte di stagione sotto le attese, è arrivata all’appuntamento sull’onda di 6 vittorie consecutive, nella condizione ideale per portare a casa il bottino pieno. Il collettivo di coach Recupido ha girato come un orologio, con una perfetta saldatura fra il sontuoso trio straniero Hamby-Kuster-Harmon e il reparto italiano con Consolini, Cinili, Gianolla, Soli, Formica che sanno ritagliarsi i loro spazi, da protagoniste o da utili complementi a seconda delle occasioni (di Romeo diciamo più avanti). Il premio di “mvp” se l’è preso Dearica Hamby, devastante in finale, con 26 punti e 14 rimbalzi: vittima, peraltro felice per quanto fatto in precedenza contro ogni pronostico, un Allianz Geas che dopo due imprese in rimonta non è riuscito nella terza, pur lottando per ricucire il -15 dell’intervallo, prima del nuovo strappo di Ragusa fino a +21, che ha negato un finale punto a punto dopo i due vissuti la sera prima. Memorabile infatti il sabato delle semifinali, con i k.o. delle prime due “teste di serie”, Schio e Reyer. A fermare le detentrici del Famila è stata Ragusa, con una magia di Nicole Romeo a pochi secondi dalla sirena, un’acroba-


zia nel traffico per il 70-68: coronamento perfetto di una prestazione da 22 punti per l’italo-australiana. Per le tricolori di Vincent non sono bastati 18 punti di Gruda e 17 di Quigley. Poi il miracolo del Geas su Venezia: difficile definirlo altrimenti, quello di una neopromossa (arrivata alle Final Eight per ripescaggio dopo la defezione di Napoli) ai danni di una corazzata di livello internazionale. Che era avanti di 10 punti all’inizio dell’ultimo quarto e, pur vedendosi rosicchiare tutto il vantaggio, con l’ex di turno Nicolodi (15) trascinatrice della rimonta lombarda, s’affidava a garanzie come Macchi, Sanders, Anderson nel finale in volata. E invece era Sesto S. Giovanni ad esultare (78-74), con Williams (18) a mettere il sigillo. Vani i 22 di Steinberga e i 15 di Anderson in un “crac” collettivo, apparentemente più caratteriale che tecnico-tattico. Carattere che, invece, il Geas di Zanotti - in speciale divisa blu con bande tricolori - ha dimostrato in abbondanza, ribaltando non solo la semifinale, ma anche il derby nei quarti con Broni. Le pavesi, con 23 di Milic e 14 di Spreafico, sembravano in controllo per due quarti e mezzo (anche +12), ma Sesto ha concesso appena 4 punti nell’ultimo periodo, mettendo la freccia con Barberis e Brunner in volata (58-56; Loyd top scorer con 16). Per il glorioso club alle porte di Milano uno storico ritorno a giocarsi un trofeo della massima serie, 41 anni dopo lo scudetto che chiuse l’epopea delle “invincibili” guidate da Bocchi, Sandon e Bozzolo; la figlia di quest’ultima, Arturi, capitana e regista del Geas odierno, era giustamente raggiante nel ricevere una coppa del secondo posto che vale quasi quanto una vittoria. Il pubblico di casa sperava che il ruolo di outsider-rivelazione se lo prendessero le sue Lupe. Le quali non sono andate lontane, nei quarti, a far fuori proprio Venezia, ma l’andamento è stato opposto a quello che ha esaltato il Geas l’indomani: Fila avanti 41-35 a fine terzo quarto, ma “bruciato” da un parziale di 8-20 per la Reyer nell’ultimo. Decisiva Sanders, con 20 punti e 11 rimbalzi, unica in doppia cifra per le sue, così come dall’altra parte Marshall (19), in un risicato 49-55 per l’Umana. E anche Schio s’era dovuta sudare il biglietto per la semifinale, piegando Lucca, guidata da Vaughn (17) e Gatti, solo nell’ultimo quarto (da +3 al 62-52 conclusivo) con 19 di Gruda; tenute a riposo Lavender e Quigley (comunque 24 punti dai loro rimpiazzi di lusso Lisec e Gemelos) ma non è bastato l’indomani contro Ragusa. Che aveva, in effetti, impressionato più delle altre due “big” nel suo quarto di finale con Vigarano, dominata fin dall’inizio con 22 di Kuster e 17 di Harmon (per le ferraresi 20 di Rakova). Ha vinto la migliore.


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numbers 2013-14

2014-15

2017

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Wake Forest Univ.

Student-Athlete of the year

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Ragusa

amaya was born

coppa italia 2019

Ragusa

MVP Coppa italia

South Corea vs Bichumi

35pt

Ragusa

Wake Forest vs Montana

vs Empoli

PALMARES e highlights

PUNTI

totali

40,1% Wake Forest College (2011-15)

DOPPIA DOPPIA

5,4%

24,5%

Los Angeles

Ragusa

(2018)

(2017-19)

14,6%

15,1%

KB Stars

San Antonio

South Corea (2015-16)

(2015-17)

Periodo: stag. 2017/18-Ragusa (14 volte doppia-doppia) e stagione 2018/19-Ragusa (11 volte doppia-doppia).

punti segnati rimbalzi totali

25 20 15 10

media RIMBALZI

*

Rimbalzi offensivi + difensivi su partite giocate.

11/12

Wake forest

2015

SAN ANTONIO

15/16

KB STARS

12/13

Wake forest

2016

SAN ANTONIO

17/18

ragusa EC*

13/14

Wake forest

2017

SAN ANTONIO

17/18

ragusa

14/15

Wake forest

2018

los angeles

18/19 ragusa

Eurocup.

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DILETTANTE RAFFAELLA MASCIADRI: 14 SCUDETTI, 9 COPPE ITALIA, 13 SUPERCOPPE E 1 EUROCUP. UN PASSATO IN WNBA E TANTI ANNI COME CAPITANA DELLA NAZIONALE… EPPURE IN ITALIA È UNA “DILETTANTE”.


focus

(DIS)PARITà DI GENERE “L’UNICO SPORT CHE TENDE AL CIELO” SI PROIETTA IN REALTÀ SOLO IN UNA

METÀ DI QUESTO CIELO, QUELLA AZZURRA. IN ALTRI SPORT E ALTRE NAZIONI,

INVECE, GLI STEREOTIPI SI STANNO SUPERANDO SUL CAMPO. DOBBIAMO CORRERE, PER COLMARE UN GAP CHE NON È SOLO INTERNO AL NOSTRO MOVIMENTO.

Di Alice Pedrazzi

I

talia, anno 1874: le donne sono ammesse nelle universi-

tà per la prima volta. 1891: le donne possono ricoprire impieghi pubblici. 1946: le donne conquistano il voto. 1963: le donne possono essere ammesse alla Magistratura. Italia, anno 2019: le donne sono escluse dal professionismo sportivo.

Nel nostro Paese (non solo, ma nel nostro – ahinoi – molto

più che in altri), la battaglia per l’uguaglianza di genere ha almeno tre secoli di storia. E non sembra né vinta né conclusa. Nonostante le attenzioni dell’Unione Europea che, sulla questione dell’uguaglianza uomo-donna nello sport ha spesso sollecitato e bacchettato gli Stati membri, ancora poche sono le azioni concrete di “messa a terra” di principi condivisi da tutti a parole, meno nei fatti. Molti sono gli atti che parlano e chiedono la parità di genere: partendo dal principio di uguaglianza sancito nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948),

passando dalla Carta delle Nazioni Unite, ratificata dall’Italia nel 1957, per arrivare alla Carta Olimpica del 1978 ed alla Risoluzione della UE per le Donne nello Sport, datata 2003, con la quale il Parlamento Europeo ha dichiarato che lo sport femminile è l’espressione del diritto alla parità ed alla libertà di tutte le donne di disporre del proprio corpo e ha sollecitato il mondo sportivo tutto a sopprimere la distinzione tra pratiche maschili e femminili, chiedendo alla varie Federazioni nazionali di assicurare alle atlete la stessa parità di diritti dei colleghi maschi in termini di trattamento economico, assicurativo e pensionistico. Eppure in Italia nessuna atleta può godere, oggi, dello status di professionista dello sport. Non importa se è capace di vincere 66 medaglie come Valentina Vezzali o se è, senza forse, la più forte nuotatrice della storia dello sport italiano come Federica Pellegrini: sono, siamo, tutte dilettanti. Allo sbaraglio? No, ma solo per la serietà delle atlete, per la loro determinazione e per una passione che è spesso e volentieri smisurata e,


focus certamente, sproporzionata a quello che il mondo dello sport (non il campo, sia chiaro) rende a queste atlete in termini di diritti.

rità di investimenti e sforzi, almeno – diciamo – per un quadriennio olimpico, per poi poter fare un confronto vero, anche in termini di revenue.

Volgendo lo sguardo al piccolo grande mondo della palla-

Tornando alla questione “professionista vs dilettante”, il gap

canestro nostrana, notiamo che anche quello che viene definito “l’unico sport che tende al cielo”, si proietta, in realtà, solo in una metà di questo cielo, quella azzurra, perché di (diritti) rosa, ce ne sono ben pochi. La Federazione Italiana Pallacanestro è una delle quattro Federazioni nazionali che riconosce lo sport professionistico per alcune categorie particolari di praticanti: soltanto quelli che giocano (o allenano o sono dirigenti) in squadre che militano nella massima serie nazionale. Maschile. Tutte le nostre atlete, anche quelle che giocano in A1, anche quelle che indossano con onore la canotta Azzurra, quelle che vincono scudetti a ripetizione, sono dilettanti. Burocraticamente, dilettanti. Perché, nella sostanza, di basket ci vivono. Perché per il basket rinunciano ad altre carriere e spesso e volentieri rallentano i propri studi, perché per qualche decennio

non è solo retributivo. Anzi, la questione vera è una parità di diritti ad oggi inesistente. Il punto è squisitamente giuridico e lo spiega con precisione l’Avvocato Alessandro Marzoli, presidente della Giba, l’Associazione Italiana Giocatori (e Giocatrici) di Basket: “La prima conseguenza dell’essere considerata una atleta dilettante è l’impossibilità di avere un contratto di lavoro. E questo nonostante esista, nel rapporto tra giocatrice e società, uno degli elementi che maggiormente qualifica il lavoro come subordinato: il rapporto disciplinare. La mancanza di un contratto di lavoro (e di un CCNL di categoria, ndr) fa sì che per tutte le nostre atlete il rapporto di lavoro prenda la forma spesso poco rassicurante della scrittura privata”. Che può contenere le clausole più inverosimili…”Certo – prosegue Marzoli - come le odiosissime clausole an-

Non importa se ha vinto 66 medaglie come Valentina Vezzali o se è la più forte nuotatrice della storia dello sport italiano come Federica Pellegrini: sono, siamo, tutte dilettanti. la pallacanestro è la loro attività principale. Va bene, si dirà, ma queste atlete vengono comunque retribuite per la loro attività sportiva, quindi sono delle “professioniste di fatto”: perché scandalizzarsi tanto solo per una “qualifica” formale? Perché di formale c’è poco, ma di sostanziale molto.

Partiamo dal guadagno: escludendo le cosiddette top player (ma in Italia ne contiamo, forse, cinque…), il rapporto tra lo stipendio di una giocatrice di serie A1 e quella di un suo collega maschio è di 1 a 8. Ma fa più impressione così: per una ragazza che gioca in serie A1 e guadagna 62.000 euro all’anno, c’è un suo collega maschio che ne guadagna 500.000. Questione di revenue, si dice. Già, gli sponsor sono molto più attirati e ben disposti verso lo sport al maschile, molto più popolare e visibile in tv, sui giornali, sui social. Troppo semplicistica, come spiegazione. E soprattutto molto comoda per accontentarci. Quanto e quale lavoro fanno i media per superare gli stereotipi di genere che fanno delle qualità “maschili” quali, ad esempio, forza e velocità, quelle più adatte alla pratica sportiva, mentre delle qualità cosiddette “femminili”, come grazia e delicatezza, un ostacolo a discipline di contatto e di forza, appunto? E quali e quanti investimenti fanno federazioni e società affinché lo sport femminile abbia la stessa visibilità di quella maschile? Ci vorrebbe pa-

ti-maternità, che in molti casi prevedono la risoluzione immediata dell’accordo qualora l’atleta si trovi ad affrontare una gravidanza”. Una mancanza non solo di regole, ma di civiltà, che crea disparità non solo fra donne e uomini nello sport, ma anche fra donne e donne nel mondo del lavoro, perché in tutti gli altri settori, una donna lavoratrice ha un contratto di lavoro che tutela i suoi diritti, primo fra tutti quello d’esser madre. “Per fortuna – aggiunge Marzoli - qualche piccolo grande passo in avanti è stato fatto recentemente: con la Legge di Bilancio 2018 è stato, infatti, istituito un fondo destinato a sostenere la maternità delle atlete non professioniste”. Quindi, la maternità di tutte le cestiste e, più in generale, di tutte le atlete italiane. Una norma di civiltà diventata finalmente legge, ma ancora largamente insufficiente. “Già – prosegue il presidente Giba – perché le atlete continuano a subire disparità dal punto di vista della tutela assicurativa e previdenziale, ad esempio”. Il reddito delle cestiste, infatti, non è assoggettato a contribuzione Inps né Inail, al termine delle loro carriere le ragazze non hanno diritto né al Tfr né ad accedere ad un trattamento pensionistico. Nemmeno quelle che hanno dedicato 20 o più anni all’attività sportiva agonistica, giocando nel nostro massimo campionato. Eppur qualcosa si muove. Non solo il Fondo per il sostegno alla maternità, ma altri piccoli grandi risultati che l’Associazione Giocatori sta cercando di ottenere: “E’


MAMMA KATHRIN RESS CON IL SUO PICCOLO SEBASTIAN DIVERSI ANNI FA. QUANDO L’HA AVUTO NON C’ERA ANCORA IL FONDO MATERNITÀ.

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focus

anche una questione di cultura e mentalità delle atlete stesse, che vanno coinvolte nel momento decisionale – riflette correttamente Marzoli -: nel 2013 c’era una sola giocatrice aderente alla Giba, oggi, grazie alla nostra volontà e ad alcune di loro, ne contiamo oltre ottanta: sempre più ragazze sono coinvolte attivamente nel nostro lavoro, un risultato di cui andiamo fieri. Anche informarsi, conoscere i propri diritti, avere supporto ed assistenza, sapere di poter essere rappresentate da qualcuno in maniera collettiva può fare la differenza. In questi anni, anche su forte spinta della Giba, abbiamo ottenuto la possibilità di avere fidejussioni dalle società a garanzia dei mancanti pagamenti: l’entità economica di queste fidejussioni è ancora bassa, è vero, ma anche questo è un segnale importante”. La strada però è

ancora lunga? “Sì, ma non ci fermiamo ora che il cammino è iniziato. Le nostre iniziative riguardano l’istituzione di una assicurazione sanitaria obbligatoria per le giocatrici della nostra serie A1, stiamo cercando di ottenere un accordo collettivo in tal senso e la possibilità di introdurre un fondo di fine rapporto. La proposta allo studio dell’attuale governo sul semiprofessionismo, se realizzata nel giusto modo, potrebbe essere una strada efficace da seguire”. Tra battaglie grandi e piccole, ce n’è una che balza all’occhio e sembra davvero senza spiegazione: i cosiddetti “gettoni” azzurri, ovvero la diaria che percepiscono gli atleti quando vestono la maglia della nostra nazionale maggiore. L’importo varia, comprensibilmente, a seconda del numero di presenze dell’atleta,


24 MARZO 2019 ALLIANZ STADIUM TUTTO ESAURITO PER LA SFIDA SCUDETTO TRA JUVENTUS E FIORENTINA. FINISCE 1-0 PER LE BIANCONERE.

ma varia anche, incomprensibilmente, a seconda che quell’atleta sia uomo o donna. Il gap (pare…) sia esiguo, il che, però, è semmai una aggravante e non una giustificazione. Saranno pochi euro al giorno in più a gravare sulle casse del sistema? E se non è sostenuta da ragioni di sostenibilità economica, perché esiste?

Abbiamo urgenza di risposte, perché in altri sport ed altre

nazioni, gli stereotipi si stanno superando sul campo, a suon di record e risultati: nel mese di marzo, al Wanda Metropolitano di Madrid, 60.739 spettatori hanno assistito alla sfida tra l’Atletico e il Barcellona, match chiave per la volata scudetto della Liga spagnola di calcio femminile e nel nostro italianissimo Juventus Stadium 39.000 persone hanno guardato la gara tra la Juven-

tus Women e la Fiorentina (time-out riflessivo: hanno giocato nello stesso stadio degli uomini e con lo stesso nome sulle maglie, non a caso e non per caso...); nella passata stagione, la Norvegia ha stabilito la parità di salario tra calciatori uomini e donne per per le prestazioni in Nazionale; la settimana scorsa la Federazione italiana pallavolo ha pubblicato i dati delle proprie tesserate: 248.557, tre volte i colleghi maschi, fermi a 73.792. Dobbiamo correre, per colmare un gap che non è solo interno al nostro movimento (su 162.559 atleti tesserati alla Fip, le donne sono 21.910 e le atlete giovanili 18.143), ma che subisce la concorrenza di Sport e Paesi che hanno saputo superare gli stereotipi di genere, facendo brillare di luce propria entrambe le metà del cielo.

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FRANCESCA DOTTO, 26 ANNI, È ALLA SUA SECONDA STAGIONE A SCHIO. HA VINTO DUE SCUDETTI: UNO CON LUCCA NEL 2017 E UNO A SCHIO NEL 2018.


cover story

Una, due, cento DOTTO LA REGINA DELLE PLAYMAKER E DEI CONTRASTI: SOGNAVA DI DIVENTARE PIVOT, È UNA SOLITARIA CHE SI DIVERTE IN COMPAGNIA, UNA FURIA IN CAMPO CHE

AMA GLI SCACCHI E L’ARMONIA SILENZIOSA DELLA MONTAGNA, UNA METÀ DEL RAPPORTO SIMBIOTICO CON LA GEMELLA CATERINA. “VINCENT MI STA APRENDO NUOVE VIE”

di GIULIA ARTURI

I

n campo la vediamo spesso come una furia di agonismo, e si

fatica ad immaginarla pensosa davanti ad una scacchiera, o al passo lento dei montanari, immersa nella contemplazione della natura. Ma questo è Francesca Dotto, un gioco di contrasti: un super playmaker, che sognava di diventare pivot, una che sa fare un passo indietro per “prendere la rincorsa” e superare tutti di gran carriera, una metà di un tutto che si completa con la gemella Caterina, un’istintiva in campo che studia ingegneria, una solitaria che si diverte in compagnia. Mentre gioca può sembrare imperturbabile, ma è lei l’anima della squadra che dà la carica alle compagne a suon di penetrazioni, passaggi, difesa. Non la troverete sui social a cazzeggiare, lei è solida, concreta, vera. Sentitela. Ci siamo. Fra poco iniziano i playoff. Avete superato Venezia proprio l’ultima giornata, come arrivate a questo punto della stagione? “È il momento più bello dell’anno: con i playoff quasi

inizia un’altra stagione. Per agganciare il primo posto bisognava vincere a Empoli e avere un po’ di fortuna (era necessaria la contemporanea vittoria di San Martino contro Venezia ndr). È un bene avere il fattore campo a proprio vantaggio, ma conta relativamente: in queste partite è tutta questione di testa e voglia, la chiave è arrivare preparate mentalmente”. Quest’anno la squadra è stata rivoluzionata. Avete trovato difficoltà all’inizio? In cosa siete cresciute durante la stagione? “È stato difficile trovare la giusta chimica: eravamo solo tre reduci della scorsa stagione ad avere già assimilato il sistema di gioco di coach Vincent. C’è un tempo fisiologico necessario per riuscire a conciliare nel migliore dei modi gli stili di gioco di tutte. La squadra è giovane, con poca esperienza in coppa, e all’inizio in Eurolega lo abbiamo un po’ pagato. Ma sono sempre stata convinta che bastasse pazientare e i risultati si sarebbero visti. Infatti, già dal girone di ritorno di Eurolega e di campio-


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FRANCESCA STUDIA INGEGNERIA CIVILE AMBIENTALE A PISA: “MI È SEMPRE PIACIUTA LA MATEMATICA E VOLEVO STUDIARE QUALCOSA CHE FOSSE LEGATO ALL’AMBIENTE, DI CUI HO A CUORE LE TEMATICHE”.

nato siamo cresciute tanto, anche se il nostro meglio ancora dobbiamo tirarlo fuori. L’arrivo di Allie Quigley è stato fondamentale, ci ha dato una spinta in più: sicurezza a livello realizzativo ed esperienza”. A proposito, leggende narrano di allenamenti di tiro dove Quigley si dimostra quasi infallibile. “Confermo. Mi piace anche solo fermarmi a osservare il suo modo di tirare. L’equilibrio è impressionante, le ho chiesto quale fosse il segreto: tanto, tanto allenamento. Sembra davvero una macchina”. Cosa hai scoperto nelle tue prime due stagioni di Eurolega? Ti sei divertita? “È un’esperienza bellissima: competitività e fisicità sono ai massimi livelli. Anche dal punto di vista mentale è diverso dal campionato italiano. Ricordo di averne parlato con Giulia Gatti, che mi ha aiutato molto ad affrontare l’Eurolega. Al minimo sbaglio in difesa, sai che

verrai punito dall’attacco, sistematicamente. Per questo bisogna concentrarsi sui più piccoli accorgimenti: fanno la differenza. Anche gestire tutte le trasferte e i viaggi è impegnativo. Comunque, nonostante stanchezza e imprevisti, è bello passare più tempo con le compagne. È un’esperienza di squadra che arricchisce”. Il tuo modo di giocare si è in qualche misura trasformato o adattato ad una realtà come quella di Schio dove hai delle compagne di un livello super? “Con Pierre sto lavorando molto sull’interpretazione del ruolo di playmaker. Ero abituata a correre, attaccare, difendere, sempre a mille. Ora mi sto focalizzando su alcuni aspetti della costruzione del gioco: ad esempio fare le chiamate giuste per un certo frangente di partita o capire chi sta segnando con più facilità per sfruttarne al massimo il momento. Pierre lascia molta libertà ai playmaker di interpretare e leggere il gioco, dobbiamo essere autonome in campo. Questo mi piace molto, mi


ricorda il gioco degli scacchi, con le strategie che ci sono dietro”. Sei una scacchista? “Sì, mi piace molto giocare, sin da quando ero piccola: mi affascina l’idea di prevedere le mosse dell’avversario mentre si pensa alla propria. Jackie Gemelos sa giocare, ogni tanto capita che ci sfidiamo. Anche se le carte vanno per la maggiore per questioni di tempi. E anche se è solo un passatempo, lo spirito di competizione non si affievolisce mai!”. Francesca non è l’unica a ritrovare qualcosa della pallacanestro negli scacchi. L’americano Bobby Fischer, uno dei più geniali campioni di tutti i tempi, sosteneva: “I giocatori di basket si passano la palla, fino a che non trovano un varco, un’apertura verso il canestro. Proprio come negli scacchi, come in un attacco che porta al matto”.

Sei passata da un allenatore vulcanico come Diamanti a Vincent, che è tutto controllo e aplomb: che effetto fa? “Vulcanico è un aggettivo adatto per descrivere Mirko: sempre in movimento per cercare di trasferire energia alle sue giocatrici; un modo di fare che apprezzo molto. Così come mi sono trovata benissimo con l’approccio di Pierre, mi trasmette tranquillità: entro sempre in campo con grande serenità, mai in ansia o agitata. L’ho sentito urlare credo una volta sola, si fa ascoltare senza alzare la voce e io percepisco meglio i messaggi quando mi vengono comunicati in questo modo. Sono due allenatori probabilmente con un carattere opposto, ma entrambi, seppur con metodi diversi, mi hanno trasmesso molto”. A Schio l’obiettivo è sempre quello di vincere. Come gestisci questa pressione? “Qui le aspettative sono alte, ma quest’anno mi faccio

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cover story “condizionare” meno da questo aspetto; parlarne con Pierre mi ha aiutato molto. È vero, siamo una squadra costruita per questo, ma giochiamo contro delle avversarie che si allenano tanto quanto noi, che vogliono vincere tanto quanto noi. È giusto saper riconoscere i meriti degli altri quando dimostrano di essere stati più forti. Mi sto rendendo conto che non puoi vincere se prima non accetti di poter perdere. Anche il mio modo di gestire le sconfitte è cambiato: prima le vivevo troppo male, ci rimuginavo troppo. Ho imparato ad accettare l’insuccesso e a trasformarlo in motivazione: la partita persa diventa una tappa del cammino di miglioramento”.

un altro, vorrei giocare sotto canestro, prendere un po’ di botte, portare i blocchi. Un mestiere affascinante”. Capitolo Nazionale. Che soddisfazioni ti dà indossare l’azzurro? “È una delle emozioni più belle, un sogno, sin da quando ero piccola. Un sogno condiviso con Cate, la mia gemella; viverlo con lei è un’emozione ancora più forte. Vestire la maglia azzurra insieme è davvero qualcosa di unico, di fortissimo, difficile da descrivere. Fa venire i brividi sapere che giochi per il tuo Paese”.

“Mi piace avere la libertà di interpretare in campo: mi ricorda il gioco degli scacchi” Nel tuo percorso cestistico qual è stata la scelta più difficile che hai fatto? “La decisione più sofferta è stata quella di tornare a Lucca dopo la stagione a Venezia. Tanti mi dicevano che sarebbe stato un passo indietro per la mia carriera. Ma le considerazioni che facevo in quel momento particolare erano più ampie, sia dal punto di vista del basket, sia della mia vita, che dell’università. Per me non era certo fare un passo indietro, anzi: era un prendere la rincorsa per poi correre ancora più forte e fare un salto in avanti”. Una volta, alla domanda “qual è il regalo che desideri di più?” hai risposto: “Nessuno, l’ho già avuto alla nascita”. E alludevi naturalmente alla tua gemella Caterina. Ci vuoi spiegare meglio? “È la persona più importante della mia vita e senza di lei non sarei chi sono adesso. Ogni tanto ci soffermiamo a pensare che siamo insieme da sempre. È incredibile realizzare che siamo nate insieme, negli stessi momenti, dentro la pancia della mamma. Davvero qualcosa di speciale. Non riesco a immaginarmi senza di lei, è la mia anima gemella. Ci capiamo al volo: basta uno sguardo, non serve neanche una parola. Naturalmente abbiamo cominciato a giocare insieme: papà, ex giocatore, portava me, Cate e nostro fratello a fare due tiri al campetto. La passione è nata così, condivisa fin da subito. Già dai primi allenamenti non riuscivamo più a uscire dal campo”. È vero che avresti voluto essere un pivot? “Sì (risata). C’è un motivo: da piccola vedevo papà che era alto e io avevo i piedi grandi quindi mi dicevo ‘diventerò alta anche io, potrò giocare pivot’. Poi in realtà non sono cresciuta abbastanza e mi sono adattata. Ma sono contenta così, il playmaker è il ruolo che mi piace di più. Ma se dovessi sceglierne

Pensi che l’Italia sia alla vigilia di un salto di qualità? “È quello che ci auguriamo tutti. Sempre a proposito di sensazioni: l’ultimo raduno è stato ricchissimo di emozioni e di energie positive. Il gruppo si sta consolidando sempre di più, siamo una squadra vera e in campo si vede. Coach Crespi ci dà tanta energia, come approccio è un allenatore della categoria di Diamanti, vulcanico. Si vede che ci tiene a fare bene: è ambizioso e ci sta trasmettendo questo modo di pensare. I presupposti per ottener buoni risultati ci sono”. La tua vacanza ideale per staccare un po’ la spina e ricaricarti? “La montagna, sicuramente. Mi piace raggiungere i rifugi, dove la civiltà per qualche momento si allontana un po’. Amo le camminate, mi sento in armonia con me stessa e con il mondo. Mi piace molto stare da sola, ascoltare il silenzio, con un bel panorama in quota e semplicemente rilassarmi”. Questo aspetto del tuo carattere un po’ introverso soffre mai durante la stagione, quando il quotidiano significa vivere il gruppo e la squadra? “A dire la verità ogni tanto sì, ma riesco sempre a ritagliarmi dei momenti solo per me, quindi non ho bisogno di staccare. Poi mi trovo così bene con le compagne di squadra che il tempo condiviso è solamente un piacere”. In Eurocup lo scacco matto l’ha subito Schio: nella semifinale contro Orenburg non è riuscita nell’impresa di ribaltare il meno 6 dell’andata. Ma se abbiamo capito una cosa di Francesca è che sa trasformare le sconfitte in energia positiva. Aspettatevela ancora più combattiva per questi playoff.


IN AZZURRO HA VINTO UN ORO CON LA NAZIONALE U18 NEL 2010. HA CHIUSO LE QUALIFICAZIONI A EUROBASKET 2019 CON 9.3 PUNTI E 3.2 ASSIST DI MEDIA.

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FRANCESCA MELCHIORI AL PRIMO ANNO IN MAGLIA CREMA PORTA A CASA LA COPPA ITALIA DI A2 E IL TROFEO DI MVP.


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Crema suprema

LA PARKING GRAF CONQUISTA LA COPPA ITALIA DI A2 PER IL SECONDO ANNO DI FILA. A CAMPOBASSO TRE GARE DOMINATE DALLA SQUADRA DI SGUAIZER, ANCHE SE LA SORPRESA MONCALIERI HA LOTTATO SINO ALL’ULTIMO IN FINALE. MELCHIORI MVP.

di manuel beck

v

incere una Final Eight è umano, ripetersi è diabolico. Da

Alessandria 2018 a Campobasso 2019, è ancora la squadra di Diego Sguaizer ad alzare la Coppa Italia di A2. Nel formato a 8 squadre, con 3 partite da vincere in 3 giorni e risultati imprevedibili, spesso contro pronostico e senza un filo logico rispetto al giorno prima, due trionfi di fila sono un’impresa straordinaria. Non può essere un caso, soprattutto quando si domina come ha fatto la Parking Graf in questa edizione: scarto medio di +14 nei tre referti rosa; mai in svantaggio, tranne il 1° quarto della gara d’esordio. “Una vittoria incredibile, del collettivo. Pensavamo di calare dopo la prima giornata, invece siamo cresciuti. In questo tipo di competizioni conta arrivare in forma”, ha sintetizzato coach Sguaizer dopo il trionfo. Ed è esattamente così: le biancoblù della Bassa Padana hanno impressionato per la condizione (86 punti a referto, contro 75, in una finale giocata su ritmi forsennati, in barba alle fatiche di 120 minuti in 3 giorni) ma

anche per la capacità di vincere in modi diversi, sfruttando tutte le opzioni di un organico profondo, con una staffetta di protagoniste tra una sera e l’altra. Palermo è stata sepolta di triple (13 su 30) sotto la guida di Caccialanza e Rizzi, 15 punti a testa; contro Faenza, dominata oltre ogni aspettativa (76-59 ma Crema ha toccato il +30), ha fatto la differenza il gioco interno con la solidità di Nori (17 punti + 10 rimbalzi) e Parmesani (7+12). E in finale la squadra del presidente Manclossi ha retto l’urto dell’energia di Moncalieri, che aveva steso Campobasso e Costa, rispondendo con un volume di gioco ancora maggiore, quantità e qualità con quasi il 50% sia da 2 sia da 3; Melchiori top scorer (21 punti) davanti a Blazevic, Parmesani e Capoferri. Aggiungendo alle fin qui nominate le utili Cerri, Grassia, Iuliano, si compone un rebus insolubile per le avversarie, che contro Crema non sanno mai chi potrà ammazzarle né come. In campionato, a volte, la mancanza di una o due leader fisse può essere un limite; ma in Coppa da due anni non ce n’è per nessuno.


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COPPA // anche quest’anno fuori al primo turno le leader dei due gironi: Alpo e le padrone di casa di Campobasso, che si consolano con il successo organizzativo. Faenza e Costa a metà

Il premio di miglior giocatrice è andato a Francesca Melchiori: la guardia 25enne, a Crema da questa stagione dopo 5 campionati di A1 tra Venezia e Lucca, torna a vincere la Coppa di A2 a 6 anni da quella conquistata con Venezia, dove era approdata dopo gli inizi sotto la guida del padre Lorenzo al Cavallino Bianco (piccola società di Poasco, hinterland milanese) e il successivo periodo romano al College Italia. Suoi i 5 punti più pesanti intorno al 38’ della finale, con una penetrazione convertita in due liberi e poi una tripla, che hanno respinto Moncalieri quando si era riportata a un solo possesso di distanza.

La sorpresa La Coppa ha confermato il suo vizio di ri-

baltare le gerarchie di campionato: di nuovo fuori al primo turno le teste di serie numero 1, cioè le leader dei due gironi, Alpo e Campobasso, come Sesto S. Giovanni ed Empoli lo scorso anno. Mentre Moncalieri ha confezionato due imprese arrivando in finale da neopromossa, curiosamente come il Geas nell’analogo evento di A1. Se Crema merita un 10 e lode, il voto per l’Akronos ci va vicino. Già capace di stupire in campionato, dov’è quarta senza aver pagato nemmeno all’inizio lo scotto della matricola, la squadra di coach Terzolo s’è caricata per l’evento ideando una divisa speciale, con il disegno di un muro multicolore, simbolo della sua scalata “mattone dopo mattone”. E il muro di Moncalieri ha infranto le ambizioni di Campobasso (6963), con un break decisivo di 10-0 verso metà ultimo quarto; poi quelle di Costa Masnaga (78-71), con uno “tsunami” d’energia e scorribande a tutto campo che ha ribaltato la semifinale, da -11 a +13, fra metà 2° quarto e l’inizio dell’ultimo. In finale le torinesi hanno dovuto sempre inseguire, ma non hanno mai mollato: da -10 al 5’ dalla sirena sono arrivati a tentare con Landi la tripla del pareggio, andata sul ferro a -2’30”. Poi è finita la benzina, per la prima volta dopo tre giornate allo spasimo. Solidità sotto canestro e intensità sul perimetro: una formula già apprezzata in campionato, riproposta con ancor più efficacia qui in Coppa. Inarrestabile Grigoleit, 61 punti in 3 partite, ben spalleggiata dalla 2000 Conte nei quarti (top scorer con 19) e da Cordola nelle altre due partite (23 punti in semifinale), ma anche dalla precisione al tiro di Domizi, dal versatile atletismo di Katshitshi, dalle corse inesauribili di Berrad, e non solo. Una bella realtà già oggi, ancor

più in prospettiva se si considera le tante giovani in organico. E intanto arriva Trucco per il finale di stagione

Le semifinaliste A metà del guado, né gloria né fallimen-

to per Faenza e Costa. Le romagnole della player-coach Ballardini non hanno avuto mezze misure. Strepitose nei quarti contro Alpo, eliminando la capolista del Nord con un netto 71-57, con una combinazione micidiale fra il predominio interno di Preskienyte (8/8 da 2) e le 5 triple di Policari. Svuotate invece l’indomani contro Crema, tirando 15/67 dal campo; non male Morsiani e Franceschini, ma Ballardini non è stata la consueta “SuperSimo” dei grandi appuntamenti (6 punti con 0/5). Le brianzole di Pirola hanno convinto contro La Spezia, limitando Packovski a 6 punti e prendendo il largo dal 3° quarto con una sicurezza e una profondità che sembravano, per quasi metà partita, riproporsi l’indomani con Moncalieri. Invece dopo il +11 si è spenta la luce, e quando si è riaccesa, sul -13, era troppo tardi per rimontare, anche se due triple per il -2 sono finite sul ferro negli ultimi secondi. Ricorrenti, questi sorpassi subiti alla distanza, nelle 5 sconfitte stagionali di una B&P Autoricambi che quando le avversarie alzano al massimo l’intensità difensiva dà l’impressione di essere un po’ “leggerina” e con poche alternative al trio Vente-Rulli-Baldelli (57 punti su 71 della squadra in semifinale). Non va dimenticato che le senior sono solo 6; il resto dell’organico è classe 2001-02.

Le deluse Non tutte dietro la lavagna allo stesso modo,

ma per quanto mostrato finora in campionato, s’aspettavano di meglio le quattro eliminate al primo turno. Soprattutto le padrone di casa, per la grande attesa suscitata, in una piazza “giovane” ma già calda per il basket femminile, da una stagione di vertice assoluto. Le 3 sconfitte nelle 5 giornate precedenti la Coppa, per quanto avvenute contro avversarie d’alta classifica, erano però un campanello d’allarme per Campobasso, indice di una forma calata rispetto ai primi esaltanti mesi. Forse ha pesato più questo che la pressione di non fallire di fronte al proprio pubblico. Moncalieri ha fatto la sua tostissima prestazione, ma la miglior Magnolia l’avrebbe probabilmente battuta. Invece, davvero bene hanno giocato solo Marangoni e Porcu, 42 punti in coppia; è mancato il


FESTA CREMA DOMINA LA TRE GIORNI DI CAMPOBASSO E ALZA AL CIELO LA SUA SECONDA COPPA ITALIA DI A2, BISSANDO IL RISULTATO DI ALESSANDRIA 2018.

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focus A2 inside

ARIANNA ZAMPIERI ALPO, VINCITRICE DEGLI SCORSI PLAYOFF NORD, È TRA LE FAVORITE PER LA PROMOZIONE. ARIANNA ZAMPIERI, REDUCE DAGLI EUROPEI 3X3 È ALLA GUIDA DI UN GRUPPO BEN AFFIATATO CHE FA A MENO DELLA STRANIERA.

STEFANIE GRIGOLEIT LA TEDESCA È INARRESTABILE: CON 61PT IN 3 PARTITE GUIDA FINO ALLA FINALE LA SORPRESA MONCALIERI.


RIPARTE IL CAMPIONATO // ultime 6 giornate. Bologna e Valdarno in ascesa al Sud, Milano e Carugate tallonano B.C. Bolzano per i playoff Nord. Gran lotta per evitare le retrocessioni dirette

reparto ali-lunghe, con Zelnyte, Ciavarella e Bove a totalizzare 10 punti con 4/20 al tiro. Nonostante questo, le molisane di coach Sabatelli se la sono giocata spalla a spalla fino al break fatale nell’ultimo quarto. Peggio è andata, almeno nelle proporzioni della sconfitta, all’altra “numero 1” del tabellone, Alpo: anche le veronesi, probabilmente, non sono arrivate al loro meglio, senza Zanella, con Dell’Olio e Galbiati reduci da una partita saltata (peraltro nessuna delle due ha sfigurato). Sempre a inseguire Faenza, sono affondate nel 3° quarto, con un parziale di 2-16 che le ha spedite anche a -22. Zampieri ha fatto il suo (15 punti e 8 rimbalzi) ma la vera Alpo non s’è vista. Succede. Le altre due hanno sofferto un organico risicato. La Spezia si è presentata senza Cadoni, coinvolta in un incidente stradale; e per una squadra già piuttosto “corta”, fare a meno di una pedina del quintetto pesa il doppio. In più, come detto, Packovski è stata ben lontana dalle sue medie e in attacco è mancata almeno una spalla per l’ispirata Templari (21 punti). Quella delle liguri, terze a 2 punti dalla vetta, resta comunque una stagione eccellente. Palermo s’è schiantata contro le triple e i ritmi superiori di Crema: quasi una nemesi per lo scorso anno, quando demolì Costa con una prova balistica leggendaria di Miccio, 10/15 da 3 per 44 punti. Stavolta la fromboliera dell’Andros si è fermata a 12 e la squadra ha tirato 2/17 dall’arco; non sono bastati i 15 punti di Russo né i 13 rimbalzi di Vandenberg. In campionato le siciliane stanno utilizzando da mesi la stessa rotazione ridottissima senza pagare dazio; anzi, sono a un passo dalla vetta. Ma questa Coppa (evento) ha premiato caratteristiche che Coppa (coach Santino) non poteva mettere in campo. E il girone Nord ha stampato un 4-1 nei confronti diretti col Sud.

L’ambiente Tante iniziative di contorno, un entusiasmo

Da notare che la finale di A2 ha goduto della vetrina televisiva mancata a quella di A1, trasmessa solo in streaming…

Il campionato riparte così Ultime 6 giornate di stagione

regolare tutte da vivere. Nel girone Nord, marzo ha rilanciato Alpo al comando solitario dopo il big match vinto su Crema (58-55) e il passo falso di Costa a Udine. Saldi i piazzamenti dal 4° al 6° posto per Moncalieri, Castelnuovo e la stessa Udine, che però ha perso un paio d’occasioni abbordabili per capeggiare questo gruppetto. La settima piazza di Vicenza non pare a rischio. Per i playoff, Milano e Carugate insidiano ancora il B.C. Bolzano, che ha Ress ferma ai box per infortunio. Vivissima la lotta-salvezza, con Varese autrice di due imprese e appaiata alla Pall. Bolzano: entrambe con 4 lunghezze da rimontare sulla zona-playout, occupata da S. Martino, Marghera, Ponzano e Albino in un fazzoletto di 2 punti. Al Sud la frenata di Campobasso, battuta da Bologna e Faenza, ha ricompattato la classifica al vertice: molisane raggiunte da Palermo (bel colpo a Faenza), con il team felsineo e Spezia a -2. In grande ascesa proprio Bologna, che dopo aver risolto le tensioni interne post-esonero revocato a coach Giroldi sta macinando vittorie, compresa quella su Ballardini e socie, scese al 5° posto. Per i playoff, continua la scalata di Valdarno, con un tris di vittorie-thrilling su Selargius, Civitanova (attuali duellanti per l’8° posto-playoff) e la rivale per la sesta piazza (con un pensierino alla quinta), Umbertide. Per la salvezza diretta, ma non ancora tagliate fuori dai playoff, ci sono Cagliari e la Nico. Verso i playout le due romane; lotta tra Savona e Orvieto per evitare la retrocessione immediata ma non s’arrende Forlì, rilanciata dagli innesti di Aleotti e Lolli Ceroni.

persino commovente nella cerimonia d’inaugurazione al PalaVazzieri, con Valentina Vignali madrina, nella doppia veste di donna di spettacolo e giocatrice di A2 all’Athena Roma. Spalti pieni per il quarto di finale della squadra di casa, e se questo era prevedibile, non lo erano le numerose presenze anche nelle serate successive, senza più Campobasso: buono il colpo d’occhio offerto dalle tribune alle telecamere di Sportitalia.

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LILIANA MICCIO ALA, CLASSE 1989, ORIGINARIA DI MINORI (SA), AL SECONDO ANNO IN MAGLIA PALERMO.


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MICCIO BUM BUM

LILIANA MICCIO HA LASCIATO CASA A 13 ANNI PER INSEGUIRE IL DESIDERIO DI UNA CARRIERA NELLA PALLACANESTRO. ORA, A QUASI 30, INSEGUE ANCORA IL SOGNO DELLA A1, PERCHÉ: “HO SEMPRE SOGNATO DI ARRIVARCI COL MIO CLUB, ATTRAVERSO LA PROMOZIONE CONQUISTATA SUL CAMPO”

Di Francesco Velluzzi

L

iliana ha un compagno fedele: Naty. “Uno splendido Bea-

gle, l’ho preso quando sono andata ad Alcamo e da lì è sempre stato con me. Quando vado in trasferta ci pensa il dog sitter. Ma Naty è la mia vita”. La svolta della vita di Liliana Miccio che il 30 maggio toccherà il traguardo dei 30 anni. Una stella del campionato di A2, la macchina da punti dell’Androsbasket Palermo che il veterano della panchina Santino Coppa sogna di riportare in A1. Liliana in A1 non ci ha mai giocato. Non certo per demeriti, o per scarse capacità. Un’ala di 1,79 con il senso del canestro che ha lei farebbe comodo a tanti club. Ma questa bella ragazza nata a Cava de Tirreni e cresciuta nello splendore di Minori sulla costiera amalfitana ha un concetto chiaro e da quel punto non si è mai mossa: “Io la A1 la desidero, ma ho sempre sognato di arrivarci col mio club, con quello in cui gioco, attraverso la promozione conquistata sul campo. Credo nella forza del gruppo, nella sua compattezza, nel gioco di squadra, fondamentale per arrivare non solo a un risultato, a un obiettivo, ma anche

a un semplice tiro pulito e ben fatto. Vede, questa di Palermo è una grande occasione, siamo una buona squadra, ma siamo praticamente in sei, e non so se arriveremo alla fase decisiva al top per giocarcela. Per ora reggiamo il confronto con Campobasso (attrezzatissima e con tante rotazioni), Bologna, le squadre di vertice, ma siamo poche. Io devo sempre giocare 40 minuti e qualche volta vorrei giocarne di meno. Non per mancanza di volontà, ma perché qualche minuto in panchina va fatto”.

PERCORSO Liliana Miccio, dall’alto dei suoi 29 anni, ma

soprattutto di tutti quelli passati fuori di casa, da quando, a 13 anni, ha deciso di lasciare Minori per inseguire il desiderio di una carriera nella pallacanestro che ama, parla da veterana. Conosce la A2 come poche, ha sempre giocato in questo campionato. E ha fatto tanta gavetta di cui non si pente affatto: “Siamo cinque figli in casa, quattro sorelle e un fratello. Nessuno gioca o ha mai giocato a basket. Neppure papà e mamma.


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Abbiamo sempre vissuto a Minori. LÏ io ho iniziato a praticare la pallacanestro. Un giorno mi vide Angela Somma che lavorava per il basket di Salerno. Quante ore di pullman per gli allenamenti. Andai a Battipaglia. Ci sono rimasta fino ai 19 anni, a 17 ero in prima squadra in A2. Col solito percorso: giovanili e allenamenti e qualche partita con le grandi. Ho preso il diploma di ragioniera. Ma a 19 anni ho sentito il bisogno di lasciare Battipaglia, volevo andare via, non volevo fare la B. La prima esperienza è stata ad Alcamo, ovviamente in A2.

LĂŹ ho preso il mio beagle. Ci sono rimasta una stagione, poi sono approdata a Cagliari dove ho vissuto una bella esperienza e mi resta ancora la splendida amicizia con Sabrina Pacilio con la quale ho giocato alla Virtus. Quindi mi sono riavvicinata alle mie zone. Napoli, naturalmente in A2. Un anno e poi ecco Salerno dove ho ritrovato Angela Somma. Poi il salto al Nord: Ferrara. tre anni pieni vissuti meravigliosamente. Con la speranza della promozione dei gruppi bellissimi, ricordi e amicizie indimenticabili in una cittĂ stupenda.


VETERANA LILLI È UNA GRANDE VETERANA DELL’A2, QUEST’ANNO VIAGGIA A 15,5 PT DI MEDIA.

D’accordo, non c’è il mio adorato mare, ma Ferrara è unica. Ho perso delle finali di coppa Italia di A2, una col Geas, l’altra con Broni che quell’anno non perse una sola partita. Gli ultimi due anni a Ferrara sono stati i migliori. Quando abbiamo capito che il presidente Pietro Fasanti voleva chiudere è stata una batosta, una botta tremenda. Di punto in bianco, ci è caduta questa tegola addosso. I sogni cancellati, restano i ricordi. Le amicizie. Perché è vero che amo Minori, che adoro la mia famiglia, ma passerei le vacanze ad andare a tro-

vare un’amica, poi l’altra. In questi anni fuori di casa la cosa più bella è che ho costruito delle belle amicizie e i rapporti tra le persone sono importanti”.

PALERMO Dopo Ferrara, Lilli ha valutato. Le offerte non

mancavano per una giocatrice che col canestro ha un rapporto importante... “Sì c’era anche la A1, ma è arrivata l’opportunità di Palermo. L’ho colta. Quando ho saputo che a guidare la squadra arrivava Santino Coppa avevo un senso di paura, quasi di terrore. Conosce-

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primo piano vo la fama di allenatore tosto, duro in palestra. Mi sono detta “E io che ci faccio qui?”. Mai fidarsi senza provare. Con Santino è stato subito un bel feeling, a prima vista. Mi ha dato tanta fiducia. E’ un allenatore tosto, ma a me quelli così piacciono. E’ uno senza peli sulla lingua, è stato amore subito... L’unica cosa è che mi fa giocare sempre 40 minuti!”. Lilli sorride, ma non si stanca di stare in palestra, vivo tutto con molta professionalità. Senza sgarrare durante la settimana. Poi quando la partita è finita, si esce, si va in giro, ci si diverte. Ma la settimana la vivo preparandomi al meglio per la partita che verrà. Sono al secondo anno a Palermo e mi trovo molto bene. Sono passata dalla tranquillità di Ferrara al caos di una città grande importante. Abito in zona porto con la mia compagna Francesca Russo. Sarebbe bello riuscire a centrare la promozione”.

RECORD Lilli gioca da ala pura e non disdegna di anda-

re al tiro frequentemente. “Ho sempre giocato da tre. È vero, tiro, ma cerco di arrivarci attraverso il gioco

Naty. Sono felice con poco, mi basta fare qualche viaggio per trovare le persone care”. Un lato debole di Lilli, appassionata di serie televisive (da Criminal Minds e Grey’s Anatomy) c’è: “Sono golosa. Amo tante cose e in ogni città in cui sono stata mi sono appassionata a dei piatti tipici. Me la cavo pure in cucina e Francesca Russo lo sa. Faccio una buona cheese cake, degli ottimi spaghetti alle vongole, i primi piatti sono il mio forte. Vengo da un posto di mare. Ma a Ferrara sono impazzita per tigelle e alcuni ravioli, di Cagliari non ho un ricordo gastronomico particolare anche se tante cose erano ottime. Col tempo mi sono appassionata al sushi. Resto golosa di gelato, soprattutto quello alla nocciola. E a Palermo gioco in casa, anzi devo stare molto attenta. Qui è tutto super e le tentazioni sono enormi. Mi sono abituata a mangiare una pizza fatta con delle farine particolare e ora per me c’è solo quello. Palermo mi sorprende, è bello girarla, scoprire ogni giorno la sua storia”. Anche con i tacchi, un vezzo che Lillli qualche volta si concede... “Porto il 41 delle scarpe col tac-

Se sono in giornata tiro tanto, ma cerco di arrivarci attraverso il gioco di squadra. Il tiro è l’atto finale, bisogna arrivarci nelle condizioni migliori. di squadra, il tiro è l’atto finale, ma devi arrivarci nelle condizioni migliori. Da noi deve crescere l’autostima. Questo sì. Ci proviamo. Salire dalla A2 sarebbe il massimo, perché sarei comunque protagonista. Ecco perché ho fatto questa scelta. In A1 comandano le straniere, l’attenzione in campo è giustamente catalizzata su di loro”. Lilli si è sempre ispirata a Chicca Macchi: “Una giocatrice completa, con grandi qualità tecniche, ha tutto”. È una partita da Macchi Lilli l’ha fatta nella scorsa stagione ad Alessandria nei quarti di coppa Italia, contro Costa Masnaga. Resta il più bel ricordo della carriera: “Sì, 44 punti in una gara con 10 triple, come potrei scordarlo. Non potrò mai dimenticarla quella partita lì. Costa Masnaga ci aveva battute in campionato, volevamo vendicare quella sconfitta. Mi rendo conto di aver fatto una cosa pazzesca. Stupendo. Peccato non sia servita a vincere la coppa perché sulla nostra strada abbiamo trovato Crema (che poi ha vinto) e pure adesso a Campobasso siamo incappate in Crema che, poi, ha rivinto”.

VITA La numero 12 di Palermo ha una vita regolare, tran-

quilli senza grilli particolari. “Quel numero l’ho preso per caso, poi mi ha perseguitata. E lo tengo”. Lilli gioca da tanti anni, ma non è diventata ricca come Cristiano Ronaldo... “Con i guadagni mi sono regalata uno scooter al quale tengo tantissimo. Il mio SH della Piaggio che tengo a Minori. Guai a chi me lo tocca (“A Palermo giro con una punto bianca”). E poi l’’inseparabile cane

co, quando devo vestirmi in un certo modo lo faccio, la moda è bella sì, anche se prediligo le cose sportive, di certe scarpe porto il 42 e mezzo. A 30 anni in certe cose ho ancora lo spirito di una ventenne. Prendo la vita come viene”. Pensando tanto al basket e al tiro...

A1 CON PALERMO “La mia specialità è quella. Se sono in

giornata tiro tanto perché sento che va bene. Di basket in televisione e dal vivo ne guardò poco. Però ho un debole per Doncic, credo che oggi sia il giocatore più forte in prospettiva. Ho amato Le Bron James e ho pure rischiato di vederlo quando è venuto in costiera amalfitana. Ma preferisco la pallacanestro che gioco e vivo io. Da un po’ mi sono messa anche ad allenare dei bambini del mini basket e ho un bel rapporto con loro. Stessa cosa faccio d’estate a Minori dove curo un piccolo camp. I bambini mi piacciono tanto. Ho pure dei nipoti ai quali sono, ovviamente, legatissima. Minori a volte mi manca, anche se mi sono abituata ad andarci a Natale, Pasqua è un po’ d’estate. Poi sento il bisogno di ripartire”. Verso quel sogno che a quasi 30 anni si chiama ancora serie A-1. Liliana Miccio vuole raggiungerla con le sue forze. Ci proverà con le sue forze, quella delle compagne e la carica agonistica di Santino Coppa. “Uno che ti dà fiducia. Uno capace di tirare fuori il meglio da ciascuna di noi”. Palermo sogna, i tifosi del Palamangano pure. E pazienza se la coppa Italia per la Miccio resta un tabù. Prima o poi dovrà fare il grande salto.


TIRATRICE IL SUO CARRIER HIGH L’HA STABILITO LA SCORSA STAGIONE IN COPPA ITALIA: 44PT CON 10 TRIPLE.

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MVP EKATERINBURG, CAMPIONE IN CARICA, ANCORA FAVORITO IN EUROLEGA. QUI AL TIRO LA BELGA EMMA MEESSEMAN, MVP DELLE F4 2018.


altri mondi

FOCUS EUROPA

RUSH FINALE PER LE COMPETIZIONI EUROPEE. EUROLEGA, EUROCUP E UNA SPRUZZATA DI EUROBASKET NELL’ANALISI AFFIDATA A PAUL NIELSEN. GIORNALISTA INGLESE, CON PENNA GRAFFIANTE, ANCHE NEI GIUDIZI SU ZANDALASINI, SOTTANA E LE SQUADRE ITALIANE...

Di Marco Taminelli

N

on si può non partire dalla competizione regina. In arri-

vo ad Aprile le F4 di Sopron dove si affrontano Ekaterinburg (campione in carica), Kursk, Praga e Sopron. Tempo di analisi e pronostici per la massima competizione continentale. “Ekaterinburg credo sia, ancora, la chiara favorita della competizione, ed è una sorta direi di dejà vu rispetto alla scorsa stagione. Le russe non avranno in questa edizione una fuoriclasse come Maya Moore, ma hanno aggiunto la qualità di Courtney Vandersloot e Kayla McBryde. Sono una squadra profonda, con la miglior frontline tra le partecipanti, dove tutte possono segnare e fare un gran lavoro a rimbalzo. In pratica tutte le giocatrici possono essere protagoniste, con l’ambizione di diventare potenziali MVP. Le connazionali della Dynamo Kursk potrebbero rappresentare la prima minaccia per l’UMMC. Hanno battuto le rivali recentemente nel campionato russo, una vittoria che può valere molto in termini di consapevolezza per la truppa di coach Lucas Mondelo. Grande allenatore

che può essere un importante valore aggiunto, soprattutto quando si tratta di vincere gare che arrivano punto a punto nel finale. Attenzione ovviamente al talento di Breanna Stewart ma occhio anche a Sonja Petrovic, che sta salendo di colpi proprio nel finale di stagione. Sopron e Praga sono le due underdog che cercheranno la sorpresa. Le ungheresi hanno Candice Dupree ed Yvonne Turner sempre pronte a colpire nei momenti chiave delle sfide, le ceche vantano altrettante potenziali match winner con Alyssa Thomas e Valeriane Ayayi”. Eurolega che ha riservato solo delusioni in casa italiana: Schio, dopo una profonda rivoluzione, ha mancato il traguardo dei quarti di finale. Le venete poi hanno strappato un posto nelle prime 4 in Eurocup rimontando Cukurova, ma non sono riuscite a qualificarsi per la finale. “È uno dei classici casi in cui puoi vedere il bicchiere mezzo pieno, oppure mezzo vuoto. Schio ha cambiato


altri mondi completamente pelle ad inizio stagione, quindi erano preventivabili degli scossoni. Ma sicuramente non il terribile 0-7 iniziale. Troppi errori e poca aggressività, visibile anche nei dati statistici. Ad esempio quasi sempre il Famila è stato travolto a rimbalzo. Bella la reazione invece in Eurocup con la rimonta vincente su Cukurova. Con Nadezhda è stata una sfida equilibrata ed interessante: Schio secondo me aveva tutte le possibilità di ribaltare il risultato dell’andata e strappare il successo finale. Purtroppo, ancora una volta, non è stato in grado di lavorare duro sulle piccole cose, invece che basarsi solo sulle qualità balistiche di una realizzatrice, peraltro straordinaria, come Allie Quigley”. Se l’Italia piange la Turchia, sicuramente, non ride. Ancora una delusione per il Fenerbahce, per la seconda volta consecutiva fuori dalle F4 nonostante i tanti investimenti. “Molti appassionati, leggendomi, sono convinti che io non ami il Fenerbahce. In realtà si sbagliano davvero. Ho un grande rispetto per questo club, considero Birsel Vardarli Demirmen una sorta di eroina. Nessuno ha investito così tanto tentando di vincere un’Eurolega,

assolutamente di poter dare un contributo molto positivo alla causa. Un autentico schiaffo per una giocatrice della sua qualità che non merita, nel modo più assoluto, questo trattamento. Diversa la situazione per “Zandi”. Non credo fosse la situazione tecnica adatta alle sue caratteristiche. L’ho ricordato subito nelle mie dichiarazioni su Twitter all’annuncio del suo ingaggio in maglia gialloblù. Non è semplicemente il contesto giusto per farle esprimere al meglio il suo talento, anche se spero ovviamente che le cose possano cambiare nel prossimo futuro. Lei ha reagito alla grande impegnandosi allo spasimo, ma credo abbia bisogno di una squadra meno irregimentata per esprimere il suo gioco. Più libero e più adatto a squadre che possono lasciarla andare a briglia sciolta, sfruttando la sua creatività ed il suo enorme potenziale legato ad una produzione offensiva da giocatrice di grandissimo livello”. Poca fortuna anche per Venezia in Coppa, brucia l’eliminazione contro Montpellier dopo aver sprecato ben 19 punti di vantaggio accumulati nella sfida di andata. “Parlavo proprio della Reyer prima della sfida con

Sottana credo sia incredibilmente sottostimata dallo staff tecnico del Fener. Un autentico schiaffo per una giocatrice della sua qualità che non merita, nel modo più assoluto, questo trattamento. senza peraltro riuscirci. C’è un problema a monte io credo, penso stiano facendo dei passi indietro invece che avanti. Hanno preso molte decisioni discutibili ad inizio stagione, fattori che ho rilevato prima dell’inizio del torneo. Semplicemente roster, coaching staff e dirigenti non sono abbastanza competitivi per arrivare al traguardo che si sono prefissati. Si può discutere di questo, ci mancherebbe, ma hanno fallito ancora una volta le F4, e questo resta un fatto innegabile”.

Riga per le qualificazioni in Eurolega. Nonostante la qualità del roster credo ci possano essere problemi di chimica. Posso aver sbagliato, oppure averci visto giusto, ma una cosa visibile nelle loro gare è che, spesso, quando ci sono delle difficoltà faticano a venirne fuori. Un peccato perché credo che Venezia abbia organizzazione e spinta per provare a salire di livello nelle competizioni internazionali. E credo che davvero possano farcela”.

Situazione Fenerbahce che ci interessa da vicino vista la presenza di Cecilia Zandalasini e Giorgia Sottana nella squadra di Istanbul. Al netto delle reciproche differenze, stagione sino ad ora più ombre che luci in maglia gialloblù per entrambe. Quali le possibili evoluzioni? “Anche in questo caso cercherò di essere molto chiaro e diretto. Posso sicuramente comprendere le loro motivazioni per firmare con il Fenerbahce. Squadra ricchissima che offre ottimi contratti, occasioni onestamente irrinunciabili per ogni giocatrice. A questo aggiungi l’opportunità di giocarsi i massimi traguardi con un club prestigioso. Sottana credo sia incredibilmente sottostimata dallo staff tecnico. E’ stata messa ai margini delle rotazioni, nonostante sia in grado

Ora una nostra curiosità, da dove nasce la tua grande passione per il basket femminile internazionale? Il Regno Unito viene considerato ai margini della grande pallacanestro, sia maschile che femminile. “La cosa divertente è che la mia grande passione, per il basket internazionale femminile, è nata proprio in Italia. Certo mi è sempre piaciuta la pallacanestro femminile ma la “scintilla”, che ha fatto diventare questo interesse qualcosa di travolgente, ha inizio con il torneo FIBA U16 disputato a Napoli nel 2009. La dedizione, la voglia, il coraggio di queste giovanissime atlete mi contagiò, da allora sono un pretoriano del basket femminile. Credo che possa piacere o meno ma soprattutto merita maggior rispetto, e credito, da parte di tanti appassionati. Ho incontrato infatti mol-


SCHIO OUT NON RIESCE LA SECONDA IMPRESA CONSECUTIVA AL FAMILA CHE ESCE DALL’EUROCUP CONTRO IL NADEZHDA. NON BRILLA JACKI GEMELOS.


altri mondi

FLOP IL FENER ANCORA FUORI DALLE F4. NELLA FOTO ZANDA SFIDA BREANNA STEWART, STELLA DI KURSK E MVP DELLA STAGIONE REGOLARE DI EUROLEGA.

to scetticismo attorno al basket in rosa, che invece è ricchissimo di storie e ragazze straordinarie, ormai il “women’s basketball” è nel mio DNA”. Non potevamo non chiudere con l’analisi ed i pronostici per Eurobasket 2019. Quali a tuo parere le favorite e le prospettive per l’Italia. “Credo potrà essere un torneo davvero epico. Tante le incognite e, come ogni rassegna iridata, avrà una grande dose di imprevedibilità rispetto ai pronostici della vigilia. Pochissime squadre sono riuscite a realizzare due successi consecutivi in queste competizioni, ed è curioso come tre delle grandi favorite si trovino tutte nel gruppo 3, Belgio, Russia e Serbia. Quindi l’interesse e l’asticella del torneo sarà già altissima sin dal principio, ed è molto difficile avventurarsi realmente in un vaticinio oltre il primo turno. Per l’Italia ci sarà una grande opportunità. La squadra ha avuto qualche passaggio a vuoto durante le qualificazioni ma la squadra ed il gruppo hanno dimostrato di esserci sempre. Coach Marco Crespi ha fatto un eccellente

lavoro ed ora può concentrarsi su come fare il meglio in questo Europeo dove l’equilibrio sarà massimo. Se le azzurre giocheranno con poca cattiveria e qualità rischiano di essere le fanaline di coda del loro gruppo (con Ungheria, Turchia e Slovenia, ndr), al contrario con una grande applicazione ed un gioco eccellente saranno a mio parere protagoniste e possono anche mirare a vincere il loro girone. La chiave, come ovvio, saranno Sottana e Zandalasini, ma come ricordavo l’Italia è un gruppo forte. E quindi tutto il cosiddetto “supporting cast” dovrà fare un passo avanti. L’ascesa di Andrè potrebbe essere il regalo, la ciliegina sulla torta per dare anche un’ulteriore dimensione futuribile alla squadra da qui al 2023 o 2025, penso anche alle giovani promesse Panzera e Gilli ad esempio. Quando penso alla nazionale italiana mi viene sempre in mente comunque Raffaella Masciadri. Sarà davvero strano non vederla al via in questo torneo, tassello da sempre importante dentro e fuori il parquet. Difficile rimpiazzare una leggenda come lei, dovranno essere le altre grandi leader a prenderne in mano il testimone”.


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GLOBETROTTER NATA NEL 1959 A WICHITA, KANSAS, LYNETTE WOODARD È STATA LA PRIMA DONNA A FAR PARTE DEGLI HARLEM GLOBETROTTERS NEL 1985.


storie

FIRST LADY

PRIMA DONNA A FAR PARTE DEGLI HARLEM GLOBETROTTERS, LYNETTE WOODARD HA CONQUISTATO L’ORO OLIMPICO A LOS ANGELES 1984, HA GIOCATO IN ITALIA A SCHIO E PRIOLO E DAL 2004-2005 È NELLA NAISMITH MEMORIAL BASKETBALL HALL OF FAME E NELLA WOMEN’S BASKETBALL HALL OF FAME

Di Caterina Caparello

“E

ra divertente far parte dei Globetrotters, viaggiava-

no in tutto il mondo, erano conosciuti come gli ambasciatori del bene perché rendevano felici un sacco di persone e, soprattutto, le facevano sorridere. Inoltre, praticavano un modo diverso e creativo di giocare a basketball. Per questo li ho amati tantissimo nella mia vita”. Diretta, semplice, senza fronzoli e carica di emozioni, è stata così la risposta che Lynette Woodard ha dato, durante un’intervista per gli Hoophall Awards nel 2017, alla domanda “Perché ti sei unita ai Globetrotters?”.

Nel 1985, gli Harlem Globetrotters - la squadra che gira per il mondo fondendo atletismo e comicità per mostrare proprio un lato diverso della pallacanestro - iniziarono a cercare una giocatrice di basket per aggiungerla al loro roster organizzando un vero e proprio contest cui si presentarono in 50. Tra loro c’era anche Lynette Woodard che, fresca della sua medaglia d’oro alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984, pensò di provare a

realizzare il sogno della sua infanzia: giocare nei Globetrotters.

Da bambina Woodard, infatti, imparò a giocare a basket allenandosi a fare canestro con un calzino imbottito e ammirando il cugino Hubert “Geese” Ausbie, che dal 1964 al 1985 militava proprio nei Globetrotters. Dopo le selezioni, il nome di Lynette da vincitrice fu annunciato da un altoparlante, come ricorda lei stessa nel suo primo video girato da parte integrante della squadra: “Quando dissero il mio nome non ci volevo credere. Ero nervosa e anche stanca, perché la selezione si basava su tiri, corsa, salti e tante altre attività. Quando hanno pronunciato il mio nome io non ho sentito, infatti mi sono guardata intorno applaudendo la fortunata. A quel punto mi sono resa conto che, invece, stavano tutti applaudendo me. Ero io la vincitrice, ero io la prima donna a giocare negli Harlem Globetrotters. È stato incredibile, è stato il sogno che è diventato realtà”, aveva spiegato la 26enne proprio nell’85 con gli occhi


storie

GUARDIA TIRATRICE DETIENE IL RECORD DI PUNTI SEGNATI NELLA STORIA DELL’NCAA FEMMINILE CON 3.649 PUNTI E 26.3 PUNTI DI MEDIA MESSI A SEGNO CON LA MAGLIA DI KANSAS UNIVERSITY.

increduli, un sorriso a trentadue denti e la voce sicura di se stessa. Lynette giocherà negli Harlem Globetrotters per due anni consecutivi, saranno anni in cui girerà il mondo, incontrerà persone, fan e dove imparerà come la pallacanestro sia un amore da tenersi stretto: “I Globetrotters mi sono rimasti nel cuore, specie perché mi hanno anche insegnato a camminare con le mie gambe”.

Nata il 12 agosto 1959 a Wichita, in Kansas, Lynette Woodard

iniziò a giocare con il fratello e i suoi amici sognando di diventare una grade giocatrice di pallacanestro. Riuscì ad ottenere una borsa di studio all’Università del Kansas dove, militando nelle Kansas Jayhawks e vincendo tre Big Eight Championship dal 1977 al 1981, non solo segnò il maggior numero di punti nella storia del basket femminile dell’NCAA (3.649 punti e 26.3 punti di media), ma conseguì anche il diploma di laurea in relazioni umane. Basket e istruzione, Lynette si divise quindi tra due importanti pilastri insegnando come lo sport sia fondamentale nella vita di una persona e come la scuola si trovi alla base di ogni progetto: “Lau-

rearmi mi ha dato l’opportunità di avere una visione di insieme, mi ha migliorato come donna, rendendomi in grado di poter fare tutto allo stesso modo degli uomini, e come essere umano che deve avere la possibilità di poter fare un lavoro soddisfacente a prescindere dallo sport”. Dopo la laurea, ottenuta tra un’Olimpiade e l’altra, l’Università ritirò il suo numero di maglia, divenendo il primo studente a ricevere un onore di questo calibro. Nel 1981, mentre le sue compagne durante la off-season praticavano altri sport quali softball e pallavolo, Lynette decise che era il momento di viaggiare oltreoceano, raggiungendo l’Italia ed entrando a far parte della famiglia Schio (all’epoca Ufo), dal 1981 al 1983, e poi nel team di Priolo, dal 1987 al 1989 con cui conquistò lo scudetto: “Presi la decisione di seguire i miei sogni e le opportunità che si presentavano davanti a me. Volevo vivere e visitare posti nuovi, parlare lingue diverse e conoscere le altre culture. Tutto ciò era avvalorato dalla mia voglia di continuare a giocare e l’unico modo era spostarsi. Le cose hanno girato bene, c’erano porte che si chiudevano ma anche porte che si apriva-


no come quella per l’Italia e il Giappone. Sono felice di aver giocato in questi posti. Io volevo vedere il mondo. Per me è stato più bello perché il mondo è bello, lo rifarei ancora e ancora. Ho incontrato coach fondamentali, ho imparato diversi stili di gioco e ho vissuto con compagne di squadra che mi hanno sempre dato tutto, mi ispirandomi a dare e fare di più”. Il giornalista Paolo Terragin scriverà sul suo libro, “Il basket femminile a Schio 1973-1999”, “La Ufo Schio ingaggia Lynette Woodard, cestista di livello mondiale proveniente da Wichita, Kansas”, mentre il giornale La Stampa, attraverso la penna di Guglielmo Troina, scriverà in occasione della vittoria scudetto del 1989: “Il salto di qualità per il Priolo è arrivato con l’ingaggio di due formidabili giocatrici americane di colore, Regina Street e Lynette Woodard, due incontenibili mitragliatrici. Ma proprio le quattro partite della finale scudetto (al meglio dei cinque incontri) hanno dimostrato che l’Enichem non è solo Woodard, unica donna ad avere giocato nei mitici Globe-Trotters”.

Giocare all’estero fu per Woodard un’emozione unica che le in-

segnò a cavarsela da sola, lontana dagli affetti più cari, temprando la sua forza e rendendola nota a coach Pat Summitt – ex cestista e grande allenatrice, venuta a mancare nel 2016, che ottenne con la squadra delle

Nel 1985 divenne la prima donna a giocare con gli Harlem Globetrotters e la sua carriera cestistica, iniziata nel cortile di casa in compagnia del fratello e di quel calzino imbottito da centrare nel canestro, ebbe una fortissima ascesa. Con gli Harlem, Lynette Woodard tornò ad esibirsi in Italia e La Stampa titolò così il suo primato: “Ora gli Harlem hanno una Lei”, senza sapere che da lì a poco avrebbe giocato a Priolo. Nel 1989 fu inserita nella National High School Hall of Fame, mentre nel 1990 fu ingaggiata in Giappone dalle Daiwa Securities, dove rimase fino al 1993, e nello stesso anno entrò anche nella Kansas Sports Hall of Fame, prima donna ad avere questo onore. Proprio in Giappone, conobbe una compagna di squadra che praticava la professione di agente di cambio, decise allora, una volta tornata negli Stati Uniti e messa fine alla carriera agonistica, di intraprendere anche lei l’attività finanziaria alla Borsa di New York. In quegli anni, l’esperienza lavorativa di Woodard non durò molto, poiché l’anno dopo la nascita della Wnba, nel 1997, venne immediatamente ingaggiata dalle neonate Cleveland Rockers, mentre nel 1998 fu scelta nel draft dalle Detroit Shock – conosciute oggi come le Dallas Wings – che divenne la sua ultima squadra prima del ritiro nel 1999. Durante l’off-season non andò in Europa, poiché scelse di rimanere in America per la-

Era divertente far parte dei Globetrotters, erano conosciuti come ambasciatori del bene perché rendevano felici un sacco di persone e, soprattutto, le facevano sorridere. Tennessee Lady Volunteers il record di 1098 vittorie – che la selezionò per partecipare alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984: “Indossare la maglia della nazionale è un’emozione indescrivibile. Tu rappresenti la tua nazione, rappresenti la tua casa e lotti per il bene comune. Senti dentro di te di poter fare qualcosa di grande e unico per te stessa e, soprattutto, per il tuo Paese. Giocare con la maglia della Nazionale mi ha dato anche la possibilità di scontrarmi con le giocatrici più forti degli altri paesi”. L’esperienza all’estero fu per Lynette il vero biglietto da visita e l’occasione per poter essere conosciuta e ammirata, poiché ancora non esisteva la lega professionistica riservata alle donne: la Wnba sarebbe infatti nata il 24 aprile 1996.

L’oro a Los Angeles non fu l’unica soddisfazione “patriottica” di

Woodard: con la maglia a stelle e strisce, conquistò oro (Malesia 1990) e argento (Brasile 1983) ai Mondiali, oro (Caracas 1993) e bronzo (L’Avana 1991) ai Giochi Panamericani, oro alle Universiadi di Città del Messico 1979 e l’oro ai Goodwill Games di Seattle 1990.

vorare come consulente finanziario. Nel 1999, Sports Illustrated la inserì tra le 100 più grandi atlete. Appese le scarpette al chiodo, Woodard si divise tra il lavoro in borsa e la nuova carriera da assistant coach: dal 1999 al 2004, infatti, fu al fianco di Marian Washington e delle sue Kansas Jayhawks, per poi passare tutto il 2004 come head coach. Sempre nel 2004 Lynette fu prima inserita nella Naismith Memorial Basketball Hall of Fame, uno dei massimi riconoscimenti della pallacanestro internazionale, per poi entrare ufficialmente, nel 2005, nella Women’s Basketball Hall of Fame. “Io ho avuto la possibilità di vivere il mio sogno: giocare a pallacanestro. Finalmente, dal 1996, le donne hanno l’opportunità di giocare negli Stati Uniti e di dimostrare quanto valgono” ha detto durante la premiazione del 2004. Lynette Woodard avrà abbandonato la palla a spicchi ma non la panchina, infatti dal 2017 è l’head coach delle Winthrop Eagles, squadra che milita nell’NCAA femminile: “Non bisogna mai arrendersi, si deve lottare, sudare e avere coraggio per raggiungere i propri sogni, perché prima o poi arrivano”.

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mara risponde

WOMEN FRIENDLY di mara invernizzi Perché nella pallacanestro femminile non si valuta l’ipotesi di modificare l’altezza del canestro in modo da agevolare le atlete nelle loro prestazioni fisiche cosi come accade in altri sport? Luca Curti (Giussano) L’argomento riguardante la possibile modifica, ovvero la riduzione, dell’altezza del canestro nella pallacanestro femminile è stato più volte motivo di dibattito e confronto da parte di atleti, tecnici, tifosi e addetti ai lavori. Molti sono i sostenitori che vorrebbero diminuire l’altezza dell’anello di circa 20 cm e quindi passare dall’attuale 3,05 m a un certamente più raggiungibile 2,85 m promuovendo così le prestazioni fisiche e atletiche delle nostre giocatrici che potrebbero rendere lo spettacolo della pallacanestro in “rosa” di certo più accattivante e scenografico. Esistono infatti molteplici esempi in ambito sportivo femminile che dimostrano come sono state già adottate regole che favoriscono questo tipo di aspetto, troviamo infatti nella pallavolo una rete più bassa, nel golf una distanza delle buche più prossima e nel tennis una durata della partite (nei tornei del Grande Slam) inferiore per le donne. Sono state fatte in passato, in occasione di alcune manifestazioni importanti come la Coppa Italia Femminile, sperimentazioni in tal senso; le partite venivano giocate con i canestri abbassati, e di certo non sono mancate occasioni di schiacciate, alley-oop e rimbalzi spettacolari. Il pubblico è apparso di certo più coinvolto ed entusiasta, cosi come le giocatrici stesse. Purtroppo ogni volta che si è discusso in merito a un ipotetico cambiamento si concludeva il tutto velocemente senza poter davvero valutare i pro e i contro per dei motivi pratici legati ai costi che si sarebbero dovuti affrontare per regolamentare l’attrezzo, in questo caso il canestro, in molti, troppi campi. Inoltre la decisione dovrebbe essere presa a livello internazionale e quindi coinvolgere le federazioni di pallacanestro, le leghe e la FIBA per unificare tutto il movimento mondiale di pallacanestro femminile verso un futuro magari meno paritario con quello maschile ma di certo più divertente e spettacolare.

DUNK UNA SCHIACCIATA DI BRITTNEY GRINER AI TEMPI DEL COLLEGE


WANNA BE MVP Di ALICE BUFFONI - STAFF PSICOSPORT

Quando pensi di non aver niente da perdere arriva la grande prestazione. Il giorno prima avevate 38 di febbre, ma oggi siete stoicamente in panchina, con la vista un po’ annebbiata, avvolte negli asciugamani di tutte le compagne. Provate caldo, freddo, caldo e poi vi tocca entrare in campo. E’ lì che accade il miracolo: recuperate palloni, prendete rimbalzi, la palla esce dalle vostre mani con una precisione mai vista: Mvp e Career High. A scanso di equivoci e per non evocare l’antidoping su tutti i campi a partire da domenica prossima, possiamo assicurare che non è merito degli antibiotici. Ammalarsi non è necessario, chiudete le finestre, rimettetevi la felpa e continuate a leggere. Capiamo piuttosto cosa succede in questi casi nella testa di un giocatore: la stessa dinamica infatti si presenta anche in caso di infortunio, per esempio una scavigliata in settimana, un risentimento muscolare. Non avere aspettative di risultato aiuta a scendere in campo concentrati su una cosa soltanto: la nostra prestazione, ovvero fare al meglio ciò che possiamo nonostante non siamo al top della forma. In termini tecnici significa mantenere il focus sul compito e non sul risultato, annullando di fatto la pressione. E come la psicologia dello sport ci insegna, anche se la nostra migliore prestazione non sempre coincide con la vittoria, è un ottimo presupposto per ottenerla. Questo fenomeno non coinvolge solo gli individui, ma può interessare un’intera squadra. E’ il caso per esempio di quelle formazioni considerate da tutti outsider, che sfoderano prestazioni sontuose e magari da neopromosse conquistano la finale di Coppa Italia. Vi ricorda qualcosa? Esattamente: Moncalieri. In serie ha eliminato Campobasso, Costa Masnaga e ha tenuto sulle spine Crema. Nelle interviste all’intervallo di ogni match, Samira Berrad e Ilenia Cordola hanno espresso lo stesso pensiero: è la nostra prima Coppa Italia, vogliamo godercela, dare tutto, metterci passione e intensità. Il focus delle ragazze era sul Qui ed Ora, su ogni singola azione, su ogni singolo possesso, per trarre il massimo da una situazione nuova ed esaltante che la maggior parte di loro non aveva mai vissuto. Il risultato era una posta in palio secondaria. Posto che si gioca sempre per vincere e che sarebbe meglio non scavigliarsi mai, esistono diverse tecniche di mental training per allenare gli atleti a stare sul momento e a mantenere il focus attentivo sui compiti tecnici, escludendo dalla mente le aspettative di risultato. Cosa che inoltre consente di gestire le energie fisiche e mentali al meglio per non arrivare poco lucidi nei minuti finali. So…Keep calm and call a Sport Psychologist!

Questa rubrica è tenuta da Psicosport, una realtà che utilizza la Positive Psychology con atleti e allenatori, dai settori giovanili all’alto livello agonistico, per rispondere alle principali criticità che si incontrano sul campo di gara e di allenamento, per migliorare performance individuali e ottimizzare il rendimento di squadra.


(sa)tiro sulla sirena

LETTERA DA MANHATTAN di paolo seletti

Caro Pink Basket, sono una giocatrice italiana che fa l’NCAA, e dopo aver letto il pezzo di Alice Pedrazzi sull’ultimo numero volevo raccontarvi tutta la verità, ma solo mantenendo l’anonimato. Le cose che escono nelle interviste sono fake news che ci obbligano a dire gli hacker russi, se no minacciano di farci mailbombing con le foto del cane di Chiara Ferragni e quelle del nero di whatsapp e forse anche con quelle del nero di whatsapp con il cane della Ferragni, che poi ti bloccano la crescita. Ecco come è andata davvero la mia stagione.

L’ARRIVO Sapendo che l’America è pronta ad accogliere i migranti con efficienza ed integrazione, come l’Italia, abbiamo provato ad arrivare in nave, su tre barconi salpati dal porto di Palos, la Nina Zilli, la Pimpa e la Claudio Santamaria. Ma arrivati a tiro delle coste USA ci hanno lasciato sei giorni alla deriva in mare aperto, mentre sulla spiaggia a farsi i selfie c’era il loro presidente, quello che sembra Umberto Smaila con il gatto con gli stivali sdraiato in testa. Allora abbiamo inviato una delegazione per cercare una soluzione politica, ma il presidente, come i nativi ai tempi di Colombo, ci ha accolti col linguaggio tribale e universale della fratellanza Seminole: dalla spiaggia ci faceva il gesto dell’ombrello e si dava delle gran pacche sulle natiche al vento, che simpatico, ridevamo tutti. Però qualcosa deve essere andato storto, perché non ci han fatto sbarcare. A quel punto abbiamo tentato dal Messico, ed era così pieno di muratori albanesi che sembrava Bergamo, ma invece di un condominio stavano tirando su un muro bianco tipo la barriera di Game of Thrones. Mentre cercavo la maniglia hanno sparato dei colpi in aria, come si fa da noi, per festeggiare. Col bazooka. Alla fine siamo state paracadutate per via aerea su una zona sperduta del Nevada. Non capisco, quando siamo atterrate c’era una sorta di centro accoglienza, tale Area 51, che poi io conosco solo l’Area dei 3 secondi. Comunque hanno strane usanze ‘sti Yankees e le mie compagne non le ho più riviste da allora, ma ho visto su quel loro social, mi pare Wikileaks, che una si è fidanzata col tipo di “the shape of water” e sembra che a un’altra siano spuntate 4 braccia. Comode per andare a rimbalzo mentre ci si scaccola. Che fortuna.

LA LINGUA Pensavo di essermi preparata benissimo alla Cepu, e invece quando sono arrivata all’antiterrorismo e mi han chiesto se ero cristiana o musulmana ho risposto “tciù gùst is mei che uán”. Non so cosa hanno capito, ma secondo me agli americani non piace tanto il Maxibon, perché il primo provino l’ho fatto a Guantanamo College, una squadra con la divisa arancione, e con gli allenatori sempre incazzati. Però sono scappata perché ti facevano elettrostimolazione muscolare col taser, e ci si allenava solo un’ora al giorno, che manco in Serie C, e gli appartamenti erano umidi e senza finestre, una merda insomma.

IL PUBBLICO A vedere le nostre partite ci sono 7000 spettatori. Anche a vedere le mie partite in Italia ci sono stati 7000 spettatori, o meglio, 7000 presenze (3000 per la questura). Se conti mia madre in ogni partita per 16 anni fai circa 1000. Mio padre solo quando era sobrio sono altre 10, la nonna cieca, il nonno fino al giorno in cui all’intervallo, sul 22-18, ha preso una cicuta per soffrire meno, il cane Ugo, che anche se guaiva la partita la guardava


tutta ed era il più competente della famiglia, ecco, se li sommi fa 5000 presenze. Le altre 2000 sono andata e ritorno contro Broni.

IL CIBO Ogni giorno in America un bisonte si sveglia e sa che dovrà correre più forte di due fette di pane al sesamo per non diventare un double-cheese-cheddar-fried-choco-buffalo-wings. Ogni mattina in America una giocatrice si sveglia e sa che dovrà correre per non diventare Platinette. È interessante invece il loro concetto di pasta, funziona bene come kukident gusto cemento a presa rapida: quando la mia compagna di stanza ha immerso gli spaghetti in infusione nell’acqua fredda per far rilassare le fibre mi è scattata la violenza e ho iniziato a insultarla come Joe Bastianich, e così ho capito che la sua lingua è universale: nessuno capisce un cazzo, nè di qua nè di là dall’Oceano.

LA SPARAPALLONI Per fare allenamento di tiro ogni squadra da noi in Italia ha un assistente ciccione. Di solito l’assistente ciccione allena sei squadre e ha la gotta, quindi tra un tiro e l’altro puoi anche esercitarti nel peeling acrobatico, utile per vincere Italia’s got talent. Da loro invece c’è la sparapalloni, una sorta di mitragliatrice Gatling, residuato bellico della guerra di secessione, caricata a palle misura 6, che spara a 400 colpi al minuto sul tiratore inerme alla velocità delle punizioni di Oliver Hatton, quindi mentre ti alzi per il primo tiro vieni colpita nello stomaco dal secondo pallone che ti taglia il fiato e ti piega in avanti per vomitare e vieni finito alla testa dal terzo pallone mentre ti vomiti in tasca senza fiato. Ogni sessione di tiro è come andare da Mike Tyson e dirgli che ti sei fatto sua sorella. Anche l’allenatore di Mila e Shiro, quello così incazzato che al confronto Santino Coppa sembra il Tenerone di Gianfranco D’Angelo, quando ha visto il mio allenamento di tiro ha chiamato il telefono Rosa.

LE TRASFERTE Alla prima trasferta in America dopo mezz’ora dalla partenza ho iniziato a prepararmi la fasciatura e a cambiarmi le scarpe. Abituata ai viaggi Piumazzo-Cavezzo, o Assago-Parabiago, quando siamo arrivati, dopo aver attraversato la Route66 come in Easy Rider in 4 giorni ininterrotti di viaggio su carri Conestoga, arrivata nello Utah avevo due tonni cotti a bassa temperatura al posto dei piedi, profumavo di selvaggina in stato di avanzata decomposizione e mi ero fusa col sedile al punto che ho giocato leggermente reclinata e con il supporto per la cervicale.

IL GIOCO FISICO Qui sono tutte leggermente più muscolari di noi italiane. Alla presentazione della prima gara mi hanno dato un cinque e mi hanno mischiato i metacarpi tanto che per rimetterli assieme hanno chiamato quello che inventa i puzzle della Clementoni. Entro in quintetto e mi difendeva la figlia di Chuck Norris e Marilyn Manson. Come dite? Se l’ho capito dallo sguardo? No, dai baffi e dal dalla 44 magnum nello stivale. Quando mi ha fatto bodycheck ho compilato il cid per la constatazione amichevole, e avrei sicuramente vinto la causa se fossi riuscita a ritrovare a tentoni i bulbi oculari.... E se venire qui nonostante tutto ciò rimane un affare, beh, forse dovremmo pensare a quello che possiamo tentare per fare l’Italia great again!

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DOnne e buoi Di Linda Ronzoni

Signora Presidentessa, signori segretari, torno su Marte dopo aver passato cinque anni sulla Terra in qualità di ispettrice per monitorare le caratteristiche della vita su altri pianeti. Dopo attenti studi posso dire che la Terra si colloca all’ottavo posto, su nove pianeti, nella classifica gender gap del sistema solare. Persino Giove, famoso nell’universo per i suoi abitanti estremamente maschilisti, si è classificato meglio della Terra. I terrestri sono più su solo dei nettuniani ma per un unico motivo: gli abitanti di Nettuno si sono estinti da due secoli. Inutile dire che Marte è al primo posto nella classifica. Perché voi possiate avere un’idea del livello di arretratezza culturale della Terra ho trascritto alcune delle frasi che più di frequente ho sentito o letto in questi cinque anni di permanenza. Prima di essere donna devi essere femmina / Tutte quelle che giocano a calcio sono lesbiche, quelle che giocano a basket sono maschiacci / Sei un po’ nervosa so io di cosa hai bisogno / Ma hai le tue cose? / Avete voluto la parità, allora adesso sollevalo tu quel mobile / I figli hanno bisogno soprattutto della mamma / Alle donne piace fare shopping / Donne e buoi dei paesi tuoi / Le donne sono multitasking / L’uomo va a caccia la donna è l’angelo del focolare / La matematica non è una roba da femmine / Donna nana, tutta tana / Il cervello delle donne non è analitico / Le femmine sono più mature dei maschi della loro età / Le donne sono romantiche / Con quella gonna dai te la sei un po’ cercata / Le donne sono più adatte a fare figli che a fare soldi / Piangi per niente / Siete sempre invidiose delle colleghe / Ma hai le ovaie al posto del cervello? / Tua figlia è deliziosa con quel vestitino rosa / Noi donne non sappiamo fare squadra / Ste donne sono tutte pettegole / Le bambine fanno dei bei temi a scuola / Per essere arrivata lì chissà a quanti l’ha data / Ogni donna ha bisogno di un uomo che la protegga / Facciamo che tu eri la principessa e io ti venivo a salvare / Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna / Le donne se tradiscono è sempre per amore / Donna al volante pericolo costante / Se non fa figli una donna non è completa / Non sporcarti come un maschiaccio. Signora Presidentessa, signori segretari, vi vedo increduli ma vi assicuro che le cose stanno proprio così: esiste addirittura un libro che si intitola Gli uomini vengono da Marte le donne da Venere. Inutilmente ho provato a spiegare all’autore che gli uomini che aveva in mente lui su Marte proprio non esistono, che potevo garantirglielo. Sono pieni di credenze e superstizioni questi terrestri ma c’è da calcolare che sono indietro anni luce rispetto a noi. E ora scusatemi ma vado a preparare i bagagli per tornare sulla Terra, sarà un lungo viaggio, 57.590.630 chilometri, duemila anni indietro nel passato.


la foto del mese

MAJO VERA

REPUBLICA DE LA BOCA BUENOS AIRES I PREMI PER I VINCITORI SONO OFFERTI DA RUCKER PARK MILANO. WWW.RUCKERPARKMILANO.COM

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