Birra Nostra Magazine 3_20

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MATERIE PRIME

di Mirka Tolini

LA COLTIVAZIONE DEL LUPPOLO NELLA STORIA Un esempio da seguire

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e qualcuno pensa che la coltivazione del luppolo sia una moda passeggera figlia di coltivatori alternativi dovrà rivedere il suo punto di vista. Il nome di Alfonso Magiera ai più dirà molto poco, ma è suo un documento che risale al 1875 dal titolo “Della coltivazione del luppolo”, letto e consegnato a tutti agli agricoltori del Comizio Agrario di Modena e da lui redatto in qualità di Segretario dello stesso. Nel documento parla di una «coltivazione per me anche più insueta (della barbarbietola n.d.r), dappoichè mai l’abbia praticamente sperimentata, e solo due volta abbia visti campi segnati dalle

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verdeggianti linee di Luppolo, coperti dai ricchi suoi pergolati, ornati delle sue ardite piramidi, guglie, obelischi e fantastici padiglioni». Una coltivazione che lui stesso definisce «nuova per questa provincia» ma che a suo dire come già la barbabietola aveva fatto, poteva dare vita «ad una industria fino ad ora non tentata fra noi (...) per aumentare il benessere della agricoltura». Nel presentare i suoi studi agli agricoltori del Consorzio, Magiera si presenta come «uno studente novizzo» che si è accostato adulto allo studio di questa coltivazione facendo suoi gli studi del bolognese Carlo Berti-Pichat, citato non in qualità

di deputato del Regno d’Italia e fresco Senatore ma piuttosto di agronomo e agricoltore ai cui studi si rifece anche «il primo che introdusse nella nostra provincia la coltivazione del Luppolo padre della birra (..) Raimondo Montecuccoli che ne fece ben riuscito esperimento ne prediletti contorni di Marano». Gli studi di Magiera partono dall’osservazione del territorio «lungo le siepi, attorno alle macchie, sul ciglio dei fossati e dei burroni, singolarmente nei fondi di terreno leggiero e permeabili nel sottosuolo, cresce spontaneo il Luppolo selvatico e tanto prospera nel nostro clima che, crescendo pronto, s’avvitic-

ottobre 2020


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