Rinascere n. 1 anno 2023

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Rinascere

Bimestrale - anno 25 - n° 1 gennaio/febbraio 2023

Poste Italiane S.p.a. Spedizione in abbonamento postale - 70% dcb roma

n Rosanna Virgili

Il cilindro di Ciro

n Tiziana Pinna

Italia territorio fragile

n Bruno Pizzul

Calcio, covid e giovani

n Renzo Pegoraro e Fabrizio Mastrofini

Religioni e sviluppo umano

n Marta Cervo

Un’enciclica sulla pace

n Roberta Masella

Dalla chiesa universale

n Serena Asso

Nessuno può salvarsi da solo

n Francesca Sacchi Lodispoto

Il sinodo della chiesa italiana

n Maria Esposito e Marina Marino

Films per riflettere

n Gianni Carozza

La pace come compito

Rinascere 1

Rinascere Rinascere

N. 1 gennaio/febbraio 2023

n EDITORIALE

3

Crisi e speranza La redazione

n SOCIETÁ

4

Il rapporto Censis di Francesca Sacchi Lodispoto

9

Cambiamento climatico e transizione ecologica di Tiziana Pinna

18

Calcio, covid e giovani di Bruno Pizzul

23

Religioni e sviluppo umano di Renzo Pegoraro e Fabrizio

Mastrofini

n DOCUMENTI

12

Il cilindro di Ciro di Rosanna Virgili

n FORMAZIONE

15

La pace come compito di Gianni Carozza

n CHIESA ITALIANA

20

La parole del Sinodo di Francesca Sacchi Lodispoto

n CHIESA UNIVERSALE

17

Giornata della pace di Maria Serena Asso

25

L’enciclica sulla guerra di Marta Cervo

28

Notizie dal mondo di Roberta Masella

n CULTURA E RECENSIONI

31

Maria Esposito, Marina Marino, Giovanna Hribal e Licio Prati

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2 Sommario

Dai motivi di crisi

alla speranza

a cura della redazione

Questo primo numero del 2023 è frutto della nuova Redazione come potrete vedere dalle firme dei vari articoli. Ciascun redattore ha dato il suo contributo, secondo i suoi interessi e le sue competenze. Anche questo editoriale è frutto di un lavoro condiviso fatto on-line.

Da una prima riflessione abbiamo constatato di vivere in un drammatico momento di crisi ma anche di trasformazioni interessanti che ci interpellano: i dati del Censis, le questioni legate ai disastri ambientali e allo sfruttamento del territorio, il dopo pandemia con i suoi strascichi ancora tangibili, e la guerra che ormai dura da più di un anno con una escalation di violenza senza prospettive concrete di pace. È la fotografia di una società italiana, e non solo, fragile e complessa, in cui sembra esserci poco spazio per giovani e donne. Una società destinata al declino se non incrementa le sue nascite e non accoglie ed integra. Interessante su questo punto l’analisi di Rosanna Virgili sulla involuzione della nostra società riguardo ai diritti e alla dignità della donna e la recensione del film “Grazie Ragazzi”, che fotografa una realtà giovanile difficile ma aperta alla speranza.

Con tutta l’umanità anche la Chiesa sta vivendo un passaggio di trasformazione ed ha iniziato con il Sinodo un cammino in uscita, i cui esiti aperti sono affidati certamente allo Spirito ma anche alla capacità dei cristiani di passare da fruitori a soggetti attivi, dall’Io al Noi, come ci ricorda l’appello di Papa Francesco sulla pace.

Non solo le tante situazioni negative rischiano di paralizzare la nostra capacità di leggere i segni positivi e di congelare la speranza, è invece importante percepire questo momento di crisi come una occasione di crescita di una Chiesa e di una società che si interrogano.

Si osserva, anche nei nostri gruppi, un rinnovato bisogno di parlarsi ed ascoltarsi, un rivolgere uno sguardo più attento a donne e giovani, senza i quali è impossibile progettare una società, una politica e una convivenza più giusta, più umana e pacifica.

Affidiamo la lettura di questo numero a ciascuno di voi, pensando che possa aiutarci nello svolgere il piano di lavoro ma, soprattutto, vi invitiamo a cogliere quella piccola luce, nascosta in ogni situazione, forti della certezza che esistono alleati nel bene a cui possiamo continuamente fare riferimento, come singoli e come gruppo.

Editoriale 3

L’Italia post-populista e malinconica

a cura di Francesca Sacchi Lodispoto

Riprendiamo solo alcuni spunti dal 56° Rapporto Censis sulla società italiana e invitiamo a fare una lettura più completa su www.censis.it

Igrandi eventi della storia hanno fatto irruzione nelle microstorie delle vite individuali: il 61% degli italiani teme che possa scoppiare il terzo conflitto mondiale, il 59% il ricorso alla bomba atomica, il 58% che l’Italia entri in guerra. Con l’ingresso in una nuova età dei rischi, emerge una rinnovata domanda di prospettive di benessere e si levano autentiche istanze di equità, non più liquidabili come «populiste». Quella del 2022 non è una Italia sull’orlo di una crisi di nervi: si cerca una profilassi per l’immunizzazione dai pericoli correnti. Ma i meccanismi proiettivi, che spingevano le persone a fare sacrifici per essere migliori, adesso risultano inceppati e la società indulge alla malinconia.

L’Italia post-populista

La società italiana entra nel ciclo del post-populismo. Alle vulnerabilità economiche e sociali strutturali, di lungo periodo, si aggiungono adesso gli effetti deleteri delle quattro crisi sovrapposte dell’ultimo triennio: la pandemia perdurante, la guerra cruenta alle porte dell’Europa, l’alta inflazione, la morsa energetica. E la paura straniante di essere esposti a rischi globali incontrollabili. Da questo quadro profondamente mutato emerge una rinnovata domanda di prospettive di benessere e si levano autentiche istanze di equità che non sono più liquidabili semplicisticamente come «populiste», come fossero aspettative irrealistiche fomentate da qualche leader politico demagogico. La quasi totalità degli italiani (il 92,7%) è convinta che l’impennata dell’inflazione durerà a lungo, il 76,4% ritiene che non potrà contare su aumenti significativi delle entrate familiari, il 69,3% teme che il proprio tenore di vita si abbasserà (e la percentuale sale al 79,3% tra le persone che già detengono redditi bassi), il 64,4% sta intaccando i risparmi per fronteggiare l’inflazione. Cresce perciò la ripulsa verso privilegi oggi ritenuti odiosi… Ma non si registrano fiammate conflittuali, intense mobilitazioni collettive attraverso scioperi, manifestazioni di piazza o cortei. Si manifesta invece una ritrazione silenziosa dei cittadini perduti della Repubblica. Alle ultime elezioni il primo partito è stato quello dei non votanti, composto da astenuti, schede bianche e nulle, che ha segnato un record e una profonda cicatrice nella storia repubblicana.

Società 4

Una società «senza»: territori senza coesione sociale

La mappa delle nuove fragilità sociali contempla innanzitutto le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta: sono più di 1,9 milioni (il 7,5% del totale), cioè 5,6 milioni di persone (il 9,4% della popolazione: 1 milione di persone in più rispetto al 2019). Di queste, il 44,1% risiede nel Mezzogiorno. I giovani 18-24enni usciti precocemente dal sistema di istruzione e formazione sono il 12,7% a livello nazionale e il 16,6% nelle regioni del Sud, contro una media europea di dispersione scolastica che si ferma al 9,7%. Mediamente nei Paesi dell’Unione europea la quota di 25-34enni con il diploma è pari all’85,2%, in Italia al 76,8% e scende al 71,2% nel Mezzogiorno. È inferiore alla media europea anche la percentuale di 30-34enni laureati o in possesso di un titolo di studio terziario: il 26,8% in Italia e il 20,7% al Sud, contro una media Ue del 41,6%. Il nostro Paese detiene anche il primato europeo per il numero di Neet, i giovani che non studiano e non lavorano: il 23,1% dei 15-29enni a fronte di una media Ue del 13,1%. Ma nelle regioni del Mezzogiorno l’incidenza sale al 32,2%.

Scuola e università senza studenti

Negli ultimi cinque anni gli alunni delle scuole sono diminuiti da 8,6 milioni a 8,2 milioni: -4,7% (403.356 in meno). L’onda negativa della dinamica demografica è particolarmente evidente nella scuola dell’infanzia (-11,5% nei cinque anni) e nella scuola primaria (-8,3%). Anche nelle università nell’anno accademico 2021-22 si assiste a una brusca contrazione del numero delle immatricolazioni: -2,8% rispetto all’anno precedente (9.400 studenti in meno). In base alle previsioni demografiche, si prefigurano aule scolastiche desertificate e un bacino universitario depauperato. Già tra dieci anni la popolazione di 3-18 anni scenderà dagli attuali 8,5 milioni a 7,1 milioni, e nel 2042 potrebbe ridursi a 6,8 milioni (1,7 milioni in meno rispetto al 2022). Lo tsunami demografico investirà prima la scuola primaria e la secondaria di primo grado, con un decremento, rispetto a oggi, di quasi 900.000 persone di 6-13 anni nel 2032, per arrivare nel decennio successivo a colpire duramente la scuola secondaria di secondo grado: 726.000 ragazzi di 14-18 anni in meno rispetto al 2022. Tra vent’anni, nel 2042, la popolazione 19-24enne avrà subito un calo di quasi 760.000 persone rispetto a oggi: a parità di propensione agli studi universitari, si conterebbero 390.000 iscritti e 78.000 immatricolati in meno rispetto a oggi (e attualmente gli studenti stranieri sono appena il 5,5% degli iscritti all’università).

Società 5

Società

Sanità senza medici e infermieri

Mentre nel decennio 2010-2019 il Fondo sanitario nazionale ha registrato un incremento medio annuo dello 0,8%, passando da 105,6 a 113,8 miliardi di euro, nel 2020 è aumentato a 120,6 miliardi, con un incremento medio annuo dell’1,6% nel periodo 2020-2022 dovuto alle misure per fronteggiare l’emergenza Covid. Ma l’incidenza del finanziamento del Sistema sanitario nazionale scenderà al 6,2% del Pil nel 2024 (era il 7,3% nel 2020). Dal 2008 al 2020 il rapporto medici/abitanti in Italia è diminuito da 19,1 a 17,3 ogni 10.000 residenti, e quello relativo agli infermieri da 46,9 a 44,4 ogni 10.000 residenti. L’età media dei 103.092 medici del Ssn è di 51,3 anni, 47,3 anni quella degli infermieri. Il 28,5% dei medici ha più di 60 anni e un numero consistente si avvicina all’età del pensionamento. Si stima che, nel quinquennio 2022-2027, saranno 29.331 i pensionamenti tra i medici dipendenti del Ssn, 21.050 tra il personale infermieristico. Dei 41.707 medici di famiglia, saranno 11.865 ad andare in pensione (2.373 l’anno).

Gli italiani e l’irrazionale

Accanto alla maggioranza ragionevole e saggia si leva un’onda di irrazionalità. È un sonno fatuo della ragione, una fuga fatale nel pensiero magico, stregonesco, sciamanico, che pretende di decifrare il senso occulto della realtà. Per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni di persone) il Covid semplicemente non esiste. Per il 10,9% il vaccino è inutile e inefficace. Per il 31,4% è un farmaco sperimentale e le persone che si vaccinano fanno da cavie. Per il 12,7% la scienza produce più danni che benefici. Si osserva una irragionevole disponibilità a credere a superstizioni premoderne, pregiudizi antiscientifici, teorie infondate e speculazioni complottiste. La teoria cospirazionistica del «gran rimpiazzamento» ha contagiato il 39,9% degli italiani, certi del pericolo della sostituzione etnica: identità e cultura nazionali spariranno a causa dell’arrivo degli immigrati, portatori di una demografia dinamica rispetto agli italiani che non fanno più figli, e tutto ciò accade per interesse e volontà di presunte opache élite globaliste. L’irrazionale ha infiltrato il tessuto sociale, sia le posizioni scettiche individuali, sia i movimenti di protesta che quest’anno hanno infiammato le piazze, e si ritaglia uno spazio non modesto nel discorso pubblico, conquistando i vertici dei trending topic nei social network, scalando le classifiche di vendita dei libri, occupando le ribalte televisive.

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Il rischio di erosione del patrimonio delle famiglie

Solo il 15,2% degli italiani ritiene che dopo la pandemia la propria situazione economica sarà migliore. Per la maggioranza (il 56,4%) resterà uguale e per un consistente 28,4% peggiorerà. La ricchezza complessiva delle famiglie è pari a 9.939 miliardi di euro. Il patrimonio in beni reali ammonta a 6.100 miliardi (il 61,4% del totale), depositi e strumenti finanziari valgono 4.806 miliardi (al netto delle passività finanziarie, pari a 967 miliardi, corrispondono al 38,6% della ricchezza totale). Ma nell’ultimo decennio (2010-2020) il conto patrimoniale degli italiani si è ridotto del 5,3% in termini reali, come esito della caduta del valore dei beni reali (-17,0%), non compensata dalla crescita delle attività finanziarie (+16,2%). Gli ultimi dieci anni segnano quindi una netta discontinuità rispetto al passato: si è interrotta la corsa verso l’alto delle attività reali che proseguiva spedita dagli anni ’80. La riduzione del patrimonio, esito della diminuzione del reddito lordo delle famiglie (-3,8% in termini reali nel decennio), mostra come si sia indebolita la capacità degli italiani di formare nuova ricchezza.

Complotto contro il lavoro: il gioco al ribasso della domanda e dell’offerta

Quasi un terzo degli occupati possiede al massimo la licenza media. Sono 6,5 milioni nella classe di età 15-64 anni, di cui 500.000 non hanno titoli di studio o al massimo hanno conseguito la licenza elementare. Anche tra i poco meno di 5 milioni di occupati di 15-34 anni quasi un milione ha conseguito al massimo la licenza media (il 19,2% del totale), 2.659.000 hanno un diploma (54,2%) e 1.304.000 sono laureati (26,6%). Considerando gli occupati con una età di 15-64 anni, la quota dei diplomati scende al 46,7% e quella dei laureati al 24,0%. Un’occupazione povera di capitale umano, una disoccupazione che coinvolge anche un numero rilevante di laureati e offerte di lavoro non orientate a inserire persone con livelli di istruzione elevati indeboliscono la motivazione a fare investimenti nel capitale umano. L’83,8% degli italiani ritiene che l’impegno e i risultati conseguiti negli studi non mettono più al riparo i giovani dal rischio di dover restare disoccupati a lungo. L’80,8% degli italiani (soprattutto i giovani: l’87,4%) non riconoscono una correlazione diretta tra l’impegno nella formazione e la garanzia di avere un lavoro stabile e adeguatamente remunerato.

I giovani alla prova della pandemia

La percezione che i gangli del potere decisionale siano in mano alle fasce anziane della popolazione è molto forte tra i giovani: è quanto emerge da un’indagine del Censis. Il 74,1% dei giovani di 18-34 anni ritiene che ci siano troppi anziani a occupare posizioni di potere nell’economia, nella società e nei media, enfatizzando una opinione comunque ampiamente condivisa da tutta

Società 7

la popolazione (65,8%). Il 54,3% dei 18-34enni (a fronte del 32,8% della popolazione complessiva) ritiene che si spendano troppe risorse pubbliche per gli anziani, anziché per i giovani. La precarietà lavorativa sperimentata nei percorsi di vita individuali influenza il clima di fiducia verso lo Stato e le istituzioni. Il 58% della popolazione italiana tende a non fidarsi del governo, ma tra i giovani adulti la percentuale sale al 66%. I Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, costituiscono una eclatante fragilità sociale del nostro Paese. Tra tutti gli Stati europei, l’Italia presenta il dato più elevato, che negli anni continua a aumentare. Nel 2020 erano 2,7 milioni, pari al 29,3% del totale della classe di età 20-34 anni: +5,1% rispetto all’anno precedente. Nel Mezzogiorno sono il 42,5%, quasi il doppio dei coetanei che vivono nelle regioni del Centro (24,9%) o nel Nord (19,9%).

Le donne alla prova della pandemia

A giugno 2021, nonostante il rimbalzo dell’economia del primo semestre, le donne occupate hanno continuato a diminuire: sono 9.448.000, alla fine del 2020 erano 9.516.000, nel 2019 erano 9.869.000. Durante la pandemia 421.000 donne hanno perso o non hanno trovato lavoro. Il tasso di attività femminile (la percentuale di donne in età lavorativa disponibili a lavorare) a metà anno è al 54,6%, si è ridotto di circa 2 punti percentuali durante la pandemia e rimane lontanissimo da quello degli uomini, pari al 72,9%. Da questo punto di vista, l’Italia si colloca all’ultimo posto tra i Paesi europei, guidati dalla Svezia, dove il tasso di attività femminile è pari all’80,3%, e siamo distanti anche da Grecia e Romania, che con il 59,3% ci precedono immediatamente nella graduatoria. La pandemia ha comportato un surplus inedito di difficoltà rispetto a quelle abituali per le donne che si sono trovate a dover gestire in casa il doppio carico figli-lavoro. Il 52,9% delle donne occupate dichiara che durante l’emergenza sanitaria si è dovuto sobbarcare un carico aggiuntivo di stress, fatica e impegno nel lavoro e nella vita familiare, per il 39,1% la situazione è rimasta la stessa del periodo pre-Covid e solo per l’8,1% è migliorata. Tra gli occupati uomini, invece, nel 39,3% dei casi stress e fatica sono peggiorati, nel 44,9% sono rimasti gli stessi e nel 15,9% sono migliorati.

I risvolti sociali positivi: la riscoperta della solidarietà

Un terzo degli italiani ha partecipato a iniziative di solidarietà legate all’emergenza sanitaria, aderendo alle raccolte di fondi per associazioni non profit, per la Protezione civile o a favore degli ospedali. Quasi un terzo di coloro che si sono attivati ha svolto in prima persona attività gratuita in associazioni di volontariato impegnate nella lotta al Covid. Il 20,7% degli italiani ritiene che la gestione dell’emergenza da parte delle istituzioni abbia prodotto buoni risultati, per il 56,3% è stata abbastanza adeguata, per il 23,0% inadeguata.

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Società

Transizione ecologica

Climate change per approfondire

Il 2022 si è rivelato un anno di eventi climatici estremi, devastanti conseguenze del riscaldamento mondiale: a livello globale è stato il quinto anno più caldo mai registrato, preceduto nell’ordine da 2016, 2020, 2019 e 2017, e mentre l’Europa ha vissuto l’estate più calda di sempre, l’andamento italiano delle temperature si attesta su un innalzamento che varia tra +0,37°C delle minime a +0,39°C delle massime cui corrispondono inverni sempre meno freddi e piovosi ed estati sempre più lunghe, secche e calde.

Secondo i monitoraggi di C3S di Copernicus1 l’anidride carbonica in atmosfera nel 2022 ha raggiunto i livelli più alti da oltre due milioni di anni.

In Italia sono stati 310 gli eventi meteo-idrogeologici estremi che hanno provocato ingenti danni e 29 morti con un incremento del +55% rispetto al 2021 (Fonte CittàClima di Legambiente) con un milione e trecentomila persone che vivono in aree definite a elevato rischio di frane e smottamenti mentre ben 6,8 milioni di italiani vivono in aree a rischio, almeno medio, di alluvione (Fonte piattaforma idroGEO dell’ISPRA).

Fenomeni naturali i cui effetti devastanti sono cresciuti a dismisura negli ultimi decenni a causa di due fattori specifici: il consumo di suolo e il cambiamento climatico, entrambi conseguenza dall’attività antropica. Se l’atmosfera si riscalda progressivamente le acque non godono di miglior salute: secondo le rilevazioni satellitari dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr, il Mediterraneo lungo le coste italiane risulta essere dai 3 ai 4°C più caldo della media storica e registrerebbe un incremento medio di livello di 1,4 mm/anno.

Innalzamenti delle temperature che influenzano la circolazione atmosferica e dunque la formazione di nubi, cicloni e anticicloni con notevoli mutazioni nelle precipitazioni: se in area mediterranea le precipitazioni annuali risultano stazionarie nel lungo termine, l’alternarsi di lunghi periodi siccitosi e la concentrazione delle piogge in alcuni brevissimi periodi dell’anno (talvolta di poche ore) sfocia nei ormai noti fenomeni alluvionali. Temperature elevate

1 Copernicus è il programma di osservazione della Terra dell’Unione Europea; il Copernicus Climate Change Service (C3S) fornisce informazioni sul clima passato, presente e futuro in Europa e nel mondo.

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Transizione ecologica

e abbassamento dell’umidità relativa poi influenzano l’evapotraspirazione di invasi e fiumi, favorendo la siccità e la salinizzazione delle falde.

Il Rapporto IPCC2 - CLIMATE CHANGE 2022 identifica quattro categorie di rischi-chiave per l’Europa qualificabili a livello grave se il l’innalzamento delle temperature raggiungesse i 2°C: rischi da ondate di calore su popolazioni e ecosistemi, rischi per le produzioni agricole, per la scarsità di risorse idriche e per maggiore frequenza e intensità di inondazioni3. E nonostante questi dati allarmanti il Cop 27, la conferenza sul clima di Sharm el-Sheikh, si è chiusa a novembre con un sostanziale nulla di fatto sui nuovi obiettivi per la riduzione delle emissioni.

2 Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) è il principale organo intergovernativo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici aperto a tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite e della WMO.

3 Fonte https://ipccitalia.cmcc.it/il-rapporto-ipcc-spiegato-dagli-esperti-italiani-con-i-contenuti-principali-su-europa-mediterraneo-e-italia

PER APPROFONDIRE:

https://www.isprambiente.gov.it/it

Ente pubblico di ricerca sottoposto alla vigilanza del Ministro della Transizione Ecologica (Mite)

https://www.isprambiente.gov.it/it/attivita/cambiamenti-climatici

https://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/pubblicazioni-di-pregio/ passeggiando-nellambiente

https://www.isac.cnr.it/it

Promuove e sviluppa una comprensione scientifica integrata dell’atmosfera, dell’oceano e dei loro processi, tramite un approccio multidisciplinare

https://climate.copernicus.eu/ La missione del C3S (Copernicus Climate Chenge Service) è sostenere le politiche di adattamento e mitigazione dell’Unione Europea fornendo informazioni coerenti e autorevoli sui cambiamenti climatici

https://ipccitalia.cmcc.it/ Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC, la più aggiornata e completa valutazione degli impatti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi e sulla biodiversità, a livello globale e locale, e delle conseguenze per il benessere delle persone e per il pianeta

https://www.ecmwf.int/

ECMWF è il Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine

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Italia territorio fragile

di Tiziana Pinna

Tragedie come quella verificatasi a Ischia lo scorso autunno (12 le vittime dell’alluvione di Casamicciola, 230 sfollati e 30 abitazioni distrutte) lasciano il paese, impreparato e atterrito, ad interrogarsi sul perché di questi disastri e a chi imputarne le responsabilità.

Ma che il territorio Italiano sia fragile e soggetto a rischio frane e allagamenti è noto da tempo.

Nel 1877 la legge 3917, prima legge forestale del Regno, abrogò il vincolo forestale, di cui precedentemente godevano i boschi in molte regioni, dal livello del mare fino al limite superiore della zona del castagno. Furono previste eccezioni solo per i boschi «che, per la loro specie e situazione, possono, disboscandosi o dissodandosi, dar luogo a scoscendimenti, smottamenti, interramenti, frane, valanghe e, con danno pubblico, disordinare il corso delle acque, o alterare la consistenza del suolo, oppure danneggiare le condizioni igieniche locali.» Per effetto della legge del 1877 si avviò un’incontrollata deforestazione che portò alla scomparsa di gran parte dei boschi dalla pianura, dai fondovalle e dalle parti basali delle montagne.

Nel 1910 venne pertanto promulgata la prima legge organica in materia di gestione forestale, definita Legge Luzzatti, che oltre agli aspetti repressivi, incoraggiava una gestione oculata del patrimonio forestale, migliorandone le condizioni e prevedendo rimboschimenti nei terreni abbandonati.

Ma fu nel 1923, con la “Legge Forestale” n. 3267, che vennero sancite le più importanti norme di tutela delle foreste sottoponendo a vincolo per scopi idrogeologici tutti i terreni che “con danno pubblico, possono subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime delle acque”. Inoltre prevede un particolare regime di utilizzazione nei “boschi, che per la loro specifica ubicazione difendono terreni o fabbricati dalla caduta di valanghe, dal rotolamento di sassi, ecc.”. La legislazione moderna, pur mantenendo intatto l’ormai centenario vincolo della Legge Forestale, incide direttamente sulla pianificazione territoriale con l’introduzione dei Piani di bacino, nati con la Legge n.183 del 1989, ora abrogata e sostituita dalla parte terza del Testo Unico Ambientale del 2006 (preceduta nel 1998 e nel 2000 da interventi legislativi d’emergenza, adottati a seguito delle disastrose alluvioni di Sarno in Campania e Soverato in Calabria), che ha introdotto i Piani di Assetto Idrogeologico (PAI), strumenti di pianificazione territoriale, che individuano e perimetrano le aree a rischio idrogeologico molto elevato per frane e alluvioni, a tutela dell’incolumità delle persone e la sicurezza delle infrastrutture.

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Il cilindro di Ciro

Tra le antiche rovine di Babilonia nel 1879 venne scoperto un oggetto cilindrico d’argilla risalente al sesto secolo avanti Cristo, di appena ventidue centimetri di lunghezza e otto di diametro ma preziosissimo per il contenuto della scrittura che appare incisa a caratteri cuneiformi sulla sua superficie. Il tono è certo propagandistico e commemorativo delle opere di Ciro che vengono esaltate come quelle di un liberatore pacifico che rimpatriò i deportati babilonesi, ricostruì le mura della città e ne restaurò i templi.

Il testo del cilindro è stato tradizionalmente visto dagli esegeti come una prova che avvalora la politica messianica di Ciro citata nel libro di Isaia (cf. Is 44,28) e in altri luoghi biblici, del rimpatrio del popolo ebraico dall’esilio in Babilonia, ancorché non vi si faccia alcuna menzione né dei giudei né di Gerusalemme. Ma ciò che conta è quanto sembrano ispirare le parole impresse sul cilindro cioè il rispetto dei diritti umani e civili di coloro che venivano inglobati nell’Impero di Persia:

Il mio grande esercito marciò in pace attraverso Babilonia. Ho cercato il benessere della città di Babilonia e di tutti i suoi centri cultuali. I cittadini di Babilonia, … … … anziché assegnare loro un giogo non appropriato contro il volere del Dio, ho dato sollievo alla loro stanchezza, ho fatto sciogliere i loro legacci. (24-26).

La libertà dei sottoposti babilonesi di adorare il proprio Dio si lascia interpretare come la prima affermazione dei diritti umani universali che avrebbe anticipato di almeno un millennio la Magna Charta. Leggiamo ancora:

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(e i regressi dei diritti universali e della dignità delle donne)
di

Akkad, la regione di Eshnunna, la città di Zamban, la città di Meturnu, Der, fino al limite del paese dei Gutei, (ovvero (?) nei) centri cultuali sull’altra riva del Tigri le cui dimore erano state abbandonate da tempo: ho restituito alle loro sedi gli dèi dimoranti al loro interno e (li) ho insediati nelle (loro) dimore eterne (…) Tutti gli dèi che ho fatto (ri)entrare all’interno dei loro centri cultuali (31-34).

Per il diritto di cittadinanza di tutte le divinità e la conseguente autorizzazione a rivolger loro atti di culto, il cilindro viene considerato il primo documento esplicito di tolleranza religiosa e perciò venne adottato come simbolo dell’Iran e della sua antichissima monarchia nel vicino 1971 dalla dinastia Pahlavi. Un vero peccato che oggi in Iran per i princìpi tratti da una religione, non si permetta né la libertà di religione né il rispetto dei più elementari diritti umani. Quanto vede vittime privilegiate le donne figlie dell’antica e “illuminata” Persia e discendenti di Ciro.

Pur con uno sviluppo significativamente differente un fenomeno di regressione storica e culturale è avvenuto anche in Europa e nella Chiesa specialmente a proposito delle donne. Se andiamo a leggere i passi del Nuovo Testamento troviamo, ad esempio, che le donne avevano diritto di parola vale a dire: “pregavano e profetizzavano” nelle assemblee cristiane, proprio come gli uomini. Quanto ancor oggi le donne non sono ammesse a fare: pronunciare un’omelia dal pulpito all’interno della celebrazione eucaristica. E sì che a stabilire la stessa dignità dell’uomo e della donna rispetto alla parola ispirata dallo Spirito (= la profezia) è proprio quel Paolo che intenzionalmente è stato “costruito” come un misogino! È lui che dice: “ogni donna che prega o profetizza…” (1Cor 11,5) e ancora: “Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,8). Fin dai primi secoli si impose un’interpretazione del messaggio paolino e si fece una scelta tra il materiale delle sue lettere autentiche e quelle oggi considerate pseudo-epigrafiche per togliere alle donne la pari dignità con i colleghi maschi, e persino ab-usando di un testo che oggi quasi tutti gli autori considerano un’aggiunta redazionale: “le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse”(1Cor 14,34). L’esegesi posteriore ha voluto interpretare il rapporto cui, nella Lettera agli Efesini – peraltro deuteropaolina – vengono esortate le mogli verso i loro mariti, vale a dire di essere loro “sottomesse”, come una sottomissione giuridica, etica, fisica, sociale, antropologica e psicologica delle donne sposate nei confronti dei mariti. Assurdo è lo stravolgimento di quel testo nel quale il verbo upotàssomai (che viene tradotto con “sottomettersi”) indica la postura di chi è legato all’altro in modo circolare e non verticale. La frase inizia, infatti, così: “Siate sottomessi gli uni agli altri dinanzi al Signore” (Ef 5,21): l’azione indicata dal verbo è quella di un abbraccio reciproco e non di una sottomissione gerarchica! Nei versetti seguenti l’autore utilizza la coppia unita in matrimonio come metafora della

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relazione del Cristo-sposo con la Chiesa-sposa. La “sottomissione” di quest’ultima consiste, in realtà, nell’accogliere l’atto d’amore totale del Suo Sposo il quale si consegna a lei per darle salvezza e vita eterna e: “per renderla tutta bella, senza macchia né ruga” (Ef 5,27). Ma la morale matrimoniale ecclesiastica ha voluto rendere la moglie “sottomessa”, inferiore al marito, facendo torto all’autore della Lettera agli Efesini.

Oltre al dono e al compito della predicazione le donne avevano, nei primi decenni della vita della Chiesa, anche quello del governo: basti pensare a Febe chiamata “diacono” che equivaleva al titolo delle autorità romane che si occupavano del governo (cf. Rm 13,4); e ancora più a Giunia la quale era addirittura un’apostola “insigne” divenuta cristiana prima di Paolo! (cf. Rm 16,7) Il regresso storico e culturale e la scomparsa del ministero apostolico di Giunia iniziò secoli dopo quando di lei fecero addirittura un maschio e fu chiamata: Giunio. Un mutamento di sesso che andò a supportare la dogmatica dei ministeri in seguito elaborata, dove una donna non poteva essere apostolo (peraltro questa dignità era riserva dei Vescovi “successori degli Apostoli” intesi come i Dodici).

Ma c’è un ultimo caso di regresso della dignità e dei diritti delle donne anche nelle nostre democrazie (laiche) occidentali e mi riferisco proprio alle donne che oggi sono al potere in Europa. In realtà esse non mostrano alcuna differenza dal modo di governare usato dai maschi ad esempio a proposito della guerra. Si mostrano incapaci di aprire un’altra via alla pace che non sia quella della vittoria di una parte, a mano armata. Quanto hanno fatto da sempre i governanti uomini ma quanto non fecero, invece, due donne bibliche i cui nomi sono Rut e Noemi. A una politica di esclusione e di violenza che Israele aveva sempre condotto per difendere o espandere il suo territorio, sterminando i cananei e gli altri popoli, la straniera e la betlemmita strinsero un patto di alleanza, collaborarono col loro lavoro ed il loro buonsenso al superamento di una grave crisi economica unendo e non disperdendo le forze per acquistare e vendere armi. Se Israele ebbe un futuro fu per l’intelligenza, il coraggio e la saggezza di queste due donne e non certo per le guerre continue e sciagurate condotte dai governanti maschi che portò, invece, secoli dopo, alla rovina di Gerusalemme. Da esse uscì quel virgulto di Iesse i cui tratti somatici e messianici ritroveremo nello stesso Gesù, figlio di David!

La prima ministra della Repubblica Italiana, poi, ha cancellato, addirittura, la grande conquista di Giunia, quella di avere acquisito, finalmente, l’identità di una donna nelle versioni delle Bibbie di oggi, compresa quella della CEI. Ella, infatti, si vuole far chiamare: “Il presidente”, un maschile che fa arretrare a prima del cilindro di Ciro i diritti umani e civili che la grammatica – orale e scritta – riconosce da sempre alle donne.

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La pace come compito beati gli operatori di pace

«B eati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). Insieme con quella dei misericordiosi, questa è l’unica beatitudine che non dice tanto come bisogna essere (poveri, afflitti, miti, puri di cuore), quanto cosa si deve fare. L’espressione greca significa «coloro che lavorano per la pace, che fanno pace». Non tanto, però, nel senso che si riconciliano con i propri nemici, quanto nel senso che aiutano i nemici a riconciliarsi. Si tratta di persone che amano molto la pace, tanto da non temere di compromettere la propria pace personale intervenendo nei conflitti al fine di procurare la pace tra quanti sono divisi.

Operatori di pace non è dunque sinonimo di pacifici, cioè di persone tranquille e calme che evitano il più possibile i contrasti (questi sono proclamati beati da un’altra beatitudine, quella dei miti); non è sinonimo neppure di pacifisti, se per pacifisti si intendono quelli che si schierano contro la guerra (più spesso, contro uno dei contendenti in guerra!), senza fare nulla per riconciliare tra loro i contendenti. Il termine più giusto è pacificatori.

A questa beatitudine di chi opera per la pace Gesù ha associato il nome più bello: «Saranno chiamati figli di Dio». Perché figli? Perché realizzano, come tutti i figli, la somiglianza con Dio Padre. Vi è un nesso strettissimo tra operatori di pace e paternità di Dio: sta qui la chiave di lettura di questa beatitudine. La pace è rivelatrice di Dio stesso, perché «egli è il Dio della pace» (Rm 15,12; 16,20), «egli vuole la pace per tutti» (cfr. Rm 5,11; 2Cor 5,18ss), «egli opera la pace per la salvezza di tutti» (cfr. Ef 2,14; At 10,36). E l’opera in favore della pace tra gli uomini è troppo conforme all’amore che Dio porta loro perché Dio stesso non la riconosca ammettendo questi uomini a godere, nel suo regno, dei privilegi riservati ai suoi figli: saranno chiamati figli di Dio. Poiché però gli uomini sono feriti dall’egoismo, come dice il Concilio Vaticano II, «la pace non è mai qualcosa di raggiunto una volta per tutte, ma è un edificio da costruirsi continuamente» (Gaudium et Spes 78). Non potremo mai raggiungere la pace una volta per tutte; eppure non potremo mai smettere di cercare la pace e lottare per raggiungerla. A tutti i livelli: dalla pace tra i popoli e le nazioni a quella tra i gruppi sociali, dalla pace tra le persone alla pace dentro il nostro cuore. E tutti questi livelli si intrecciano e si condizionano.

Pensiamo a come sia impossibile vivere la pace del cuore in una situazione di guerra, quando domina il timore di essere uccisi o di perdere i propri cari; e milioni di persone vivono oggi questa condizione. Pensiamo anche a come

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sia difficile vivere la pace tra le persone – tra familiari, amici, colleghi – quando non c’è la pace nel cuore. La pace nel mondo è come l’ossigeno nell’aria: se c’è per uno, c’è per tutti, e se qualcuno ne è privato, la mancanza la sentono tutti.

Nel 1979 venne assegnato il premio Nobel per la pace, inaspettatamente, a Madre Teresa di Calcutta. Prima di lei questo prestigioso premio era stato assegnato per lo più a personalità o istituzioni famose, che si erano spese su tavoli internazionali per riportare la pace tra le nazioni e i popoli. Niente di tutto questo aveva fatto Madre Teresa, una semplice suora che non avrebbe saputo organizzare trattative ad alti livelli; aveva semplicemente raccolto i più poveri tra i poveri, li aveva curati, sfamati ed amati. Che cosa c’entrava questo con la pace? Il Comitato che le assegnò il premio, lo motivò con il suo impegno per i poveri e la dignità di ogni singola persona. Questo è proprio il cuore della pace.

Quando Gesù dichiara «beati gli operatori di pace» (Mt 5,9), quindi, non pensa tanto ai potenti, a quelli che stanno nella “stanza dei bottoni” e che possono decidere le sorti dei popoli con strategie ed accordi. Gesù pensa ai semplici, a tutti noi, a quelli che possono costruire l’edificio della pace a partire dal loro cuore, dalle relazioni di ogni giorno, dall’impegno per la giustizia negli ambiti in cui vive. Chi poi riveste dei ruoli sociali e politici si assume anche una responsabilità maggiore nei confronti della pace, senza dimenticare che la pace, come dice il profeta Isaia, è «opera della giustizia» (Is 32,17) e che dunque non c’è vera pace, ma solo indifferenza, se persistono situazioni di ingiustizia.

La pace che il Signore ha portato non ha il sapore della camomilla, non è un sedativo o un sonnifero: Gesù non ha portato quella pace, così diffusa nella nostra società che assomiglia al disinteresse, che significa abitudine e assuefazione ad ogni ingiustizia. Questa è una falsa pace: è la pace dello struzzo, che mette la testa sotto la sabbia per non vedere le cose che gli dispiacciono. La pace vera non chiude gli occhi, anzi li tiene bene aperti, guarda in faccia alla realtà e si impegna a cambiarla: nella convinzione che Dio non si mette mai dalla parte dell’ingiustizia e della guerra, ma di tutti coloro che operano per la pace.

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Nessuno può salvarsi da solo

Anche quest’anno il primo gennaio si è celebrata la 56° Giornata mondiale della Pace. Fu Paolo VI ad istituire questa giornata. Nel corso degli anni tanti temi sono stati affrontati, ne ricordiamo alcuni: Ogni uomo è mio fratello; Se vuoi la pace difendi la vita; Nel rispetto dei diritti umani il segreto della pace vera; Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace…

Il tema di quest’anno, presentato da Papa Francesco l’8 dicembre, è “Nessuno si salva da solo. Ripartire dal Covid -19 per tracciare insieme sentieri di pace”. Si tratta di una esortazione a condurre una riflessione più profonda, sia come singoli che come comunità, a distanza di tre anni, di quanto la pandemia ha fatto affiorare in termini di disuguaglianze sociali, fra classi ma anche fra stati, di fragilità economiche e sanitarie, di solitudine e isolamento. Ciò che il Covid ha sicuramente insegnato è che tutti noi abbiamo bisogno gli uni degli altri, che il nostro tesoro più grande è la fratellanza umana e che solo uniti è stato possibile vincere questa enorme sfida globale. Proprio il Covid ha rimesso al centro la parola INSIEME, ridimensionando il protagonismo proprio del nostro tempo, costringendoci a riscoprire una certa umiltà, rinnovando il senso di solidarietà. In sostanza il Covid ci ha costretti a comprendere quanto solo “la pace che nasce dall’amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare crisi personali, sociali e mondiali”. E quindi, Papa Francesco, conclude spronandoci a rivisitare il tema della garanzia della salute pubblica, a promuovere azioni di pace, a prenderci cura della nostra casa comune la terra e a combattere il virus delle disuguaglianze, con politiche adeguate per immigrazione e integrazione.

Da Torino a Bari, da Treviso a Palermo, tutta l’Italia è stata attraversata da una riflessione per la pace, che ha dato origine a marce, veglie, fiaccolate, preghiere, forum, una testimonianza per la cittadinanza a cui ha partecipato anche la società civile. Fra le tante, menzioniamo l’evento organizzato ad Altamura da Pax Christi, Movimento Focolari, Caritas, Azione Cattolica e diocesi di Altamura. L’inizio del percorso è avvenuto simbolicamente in carcere, per mettere al primo posto coloro che oggi sono gli ultimi, dando poi spazio ad interventi di obiettori sia russi che ucraini e anche di non violenti palestinesi. Don Renato Sacco (Pax Christi) ha proposto una pace declinata di impegni concreti, ispirati dalle parole di Don Tonino Bello: “La pace non è un vocabolo ma un vocabolario”, del resto questo è un anno particolare, che celebrerà il centenario della nascita di Don Milani, del quale non possiamo non citare “L’obbedienza non è più una virtù”, i 60 anni della “Pacem in terris” di Giovanni XXIII (11 aprile 1963), ma anche i 50 anni appena conclusi della legge 772/72 che introduce in Italia l’obiezione di coscienza per la leva obbligatoria.

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Calcio, Covid e giovani

Egidio Barbiero del gruppo di Gradisca ha chiesto a Bruno Pizzul delle riflessioni sul mondo del calcio dopo il Covid. Pubblichiamo volentieri ciò che ha inviato Bruno Pizzul e le sue riflessioni ampie sulla società e sui giovani di oggi.

Non il solo calcio ha dovuto e deve tuttora fare i conti con il flagello del fattore C, vale a dire con la contemporanea terribile incidenza di Covid, Conflitti, Clima sulla realtà sociale tutta e quindi anche sul calcio. Lo stato di degrado, anche etico, nel quale si dibatte il calcio di vertice è fin troppo evidente, ed è ovvio che a tale stato di cose abbia contribuito anche il Covid, che tuttavia ha solo accelerato il processo di disgregazione di un fenomeno che in passato si era ritagliato una precisa identità e credibilità, non ancora contaminato all’eccesso dalla crescente prepotenza del dio denaro. Le tribolazioni da cui è afflitto l’un tempo florido, di risultati sportivi e brillantezza gestionale, calcio di vertice è crollato e una spintarella al precipizio è arrivata anche dal Covid. Mi preme tuttavia sottolineare soprattutto la disastrosa efficacia negativa con la quale la pandemia è intervenuta nell’attività giovanile. Le statistiche dicono che, alla ripresa dell’attività dopo lo stop imposto dalla necessità di evitare contatti plurimi pericolosi, si è verificato un crollo di partecipazione da parte dei giovani e giovanissimi, tanto che molte realtà hanno dovuto cessare l’attività per mancanza di aspiranti calciatori. Il dato è stato recepito con grande preoccupazione, perché è il chiaro indice di come il periodo di lock down abbia generato un infiacchimento generale e una completa schiavizzazione dei giovani e financo dei bambini alle false lusinghe della computerizzazione e dei social. Impressionante osservare il comportamento in ogni momento della giornata da parte di stuoli di persone che si estraniano dalla vita di relazione e si rifugiano sui telefonini che diventano la scansione continua e unica della loro giornata. Ovvio che la disaffezione verso la pratica del calcio a tenera età deriva anche dal modo in cui la faccenda viene gestita, con i ragazzi che non

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si divertono più perché non li si fa giocare, ma li si affligge con attività di natura fisico atletica, ora necessarie proprio perché i ragazzi da soli non si muovono più come un tempo, quando era tutto un rincorrersi, un saltar fossi, un rubar ciliegie per cui la motricità arrivava in modo continuo e naturale. Chiaro che per arginare il rischio di abbandono servirebbe una vera e coordinata azione di potenziamento della pratica sportiva giovanile in ambito scolastico, tuttora limitata alle due orette settimanali di svogliata educazione fisica. Esempi di illuminata gestione della faccenda arrivano da molti squarci di esperienza che possiamo verificare anche in posti a noi vicini. Basti pensare al quotidiano tempo pieno della Slovenia, con mattinata dedicata all’ insegnamento tradizionale e poi quattro ore in cui ci si dedica a tutte le discipline sportive, secondo scelte personali o indicazioni dei preparatori. Ma succede qualcosa di analogo in molti altri paesi, mentre da noi, tranne qualche rara eccezione, non esiste nulla di paragonabile. Colpa del Covid, senz’altro ma anche dell’incapacità di gestire in maniera efficace la pratica sportiva a livello giovanile, non tanto e non solo per creare nuovi campioni, ma per utilizzare in modo efficace il percorso di crescita morale ed educativa che può derivare dall’abitudine a concepire lo sport nella giusta maniera. Molto altro ci sarebbe da dire, mentre resta consolante la constatazione che resistono ancora come luoghi di aggregazione ludica positiva gli oratori, ancora ben frequentati, sia pure con diffusione a macchia di leopardo sul territorio nazionale.

* Bruno Pizzul è nato a Udine nel 1938, la sua carriera di calciatore fu interrotta per un infortunio; si è laureato in giurisprudenza e prima di entrare in RAI nel 1959 ha insegnato materie letterarie alle scuole superiori. Tutti noi conosciamo Bruno Pizzul e la sua caratteristica voce per come sapeva raccontare le telecronache delle partite di calcio tanto da essere ormai entrato nella storia del giornalismo sportivo italiano. Tra le sue attività non disdegna di prestarsi ad eventi per beneficienza soprattutto nella sua Cormons (GO) la propria terra natale.

“Non è solo un gioco” è un’analisi socio-antropologica delle tante sfaccettature che caratterizzano il gioco del calcio e del suo rapporto in continua evoluzione con l’individuo e con le comunità. Nel testo, i concetti base dell’antropologia – i riti di passaggio, il fatto sociale totale, la corporeità, il social drama, la communitas, il capitale sociale – vengono spiegati attraverso il calcio in maniera rigorosa ma con un approccio accessibile a tutti.

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Dieci parole per camminare insieme

a cura di Francesca Sacchi Lodispoto

È a disposizione sul sito della Conferenza Episcopale Italiana (www.chiesacattolica.it) la sintesi nazionale della fase diocesana del Sinodo.

Nella Chiesa italiana continua il cammino sinodale con la proposta dei cantieri di Betania. Sappiamo che molte persone di Rinascita Cristiana hanno partecipato e continuano a partecipare a questo cammino nelle proprie diocesi. Il Movimento Rinascita Cristiana è particolarmente interessato e coinvolto al primo dei cantieri di Betania: il cantiere della strada e del villaggio con particolare attenzione a chi è fuori degli abituali circuiti parrocchiali ed ecclesiali. Della sintesi vogliamo ricordare i dieci nuclei più indicati: non si tratta di categorie astratte ma di modalità con cui è stata raccolta l’esperienza del camminare insieme.

L’ascoltare e il sentirsi ascoltati sono certamente la grande riscoperta del processo sinodale e il suo primo inestimabile frutto, insieme al discernimento… Un ascolto autentico è già annuncio della buona notizia del Vangelo, perché è un modo per riconoscere il valore dell’altro, il suo essere prezioso. L’ascolto è allora tutt’uno con la missione affidata alla Chiesa ed è principio e stile di un’assunzione di responsabilità per il mondo e per la storia.

Ascoltare

Accogliere

La consultazione sinodale ha messo in luce l’importanza di vivere la prossimità nella pluralità delle situazioni di vita e di condizioni che abitano un territorio: le persone costituiscono la vera ricchezza delle comunità, ciascuna con il suo valore unico e infinito. L’accoglienza è un cammino di conversione per dare forma nella reciprocità a una comunità fraterna e inclusiva che sa accompagnare e valorizzare tutti. Questa consapevolezza consente di superare la distinzione “dentro”/“fuori”. Vivere l’accoglienza significa armonizzare il desiderio di una “Chiesa in uscita” con quello di una “Chiesa che sa far entrare”, a partire dalla celebrazione dell’Eucaristia.

Relazioni

Le persone vengono prima delle cose da fare e dei ruoli: questo principio è risuonato più volte nella consultazione sinodale, insieme al ricono-

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scimento di quanto venga spesso disatteso. La cura delle relazioni chiede di non lasciarsi ingabbiare da ruoli e funzioni e di non utilizzarli come recinti in cui chiudersi. Ognuno nella comunità ecclesiale ha bisogno di imparare a vivere relazioni più attente all’altro, soprattutto quando si svolge un ministero e un servizio: i sacerdoti, per primi, sono chiamati a essere “maestri di relazione”, capaci di stare e camminare con gli altri. Le relazioni hanno bisogno di tempo e di cura costante: sono un bene fragile che necessita di energie individuali, di sinergie comunitarie.

La Parola di Dio è riconosciuta come chiave per tornare a essere credibili ed è forte il desiderio di una sua conoscenza più approfondita attraverso modalità quali Lectio Divina, Liturgia della Parola, formazione biblica. La celebrazione eucaristica è e rimane “fonte e culmine” della vita cristiana e, per la maggioranza delle persone, è l’unico momento di partecipazione alla comunità. Tuttavia, si registrano una distanza tra la comunicazione della Parola e la vita, una scarsa cura delle celebrazioni e un basso coinvolgimento emotivo ed esistenziale.

Celebrare

Comunicazione e linguaggi sono due parole chiave che emergono. Non basta un’operazione di maquillage: la conversione del linguaggio richiede di tornare a contattare il cuore pulsante dell’esperienza della fede all’interno della concretezza della vita degli uomini e delle donne di oggi. Dalla Chiesa e nella Chiesa si attende un linguaggio chiaro, coraggioso e competente sulle questioni del nostro tempo, attento a scegliere termini che esprimano rispetto e non siano giudicanti, senza concessioni alla superficialità.

Comunicazione

Condividere

Nelle narrazioni sinodali si percepisce un forte desiderio di riconoscimento del valore della corresponsabilità, che si sviluppa dove le persone si sentono valorizzate. La corresponsabilità appare come il vero antidoto alla dicotomia presbitero-laico. La Chiesa appare troppo “pretocentrica” e questo deresponsabilizza, diventando un alibi per deleghe o rifiuti da parte dei laici, relegati spesso a un ruolo meramente esecutivo e funzionale, anziché di soggetti protagonisti, costruttori di un “noi”. Ma non per questo esenti dal rischio di sviluppare forme di clericalismo nella gestione dei piccoli spazi di potere loro affidati.

La Chiesa vive la fede immersa nell’oggi, confrontandosi quotidianamente con il mondo del lavoro, della scuola e della formazione, gli ambienti sociali e culturali, gli aspetti cruciali della globalizzazione. Grazie a

Dialogo

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questo confronto, si è consapevoli che la fede non è più il punto di riferimento centrale per la vita di tante persone: per molti il Vangelo non serve a vivere. La cura della casa comune, il dialogo intergenerazionale, l’incontro tra diverse culture, la crisi della famiglia, la giustizia, la politica, l’economia, gli stili di vita, la pace e il disarmo. La comunità cristiana è chiamata a dire la sua, ma spesso appare afona, chiusa, giudicante, frammentata e poco competente. Sentirsi o non sentirsi a casa costituisce il criterio del giudizio dei singoli sulla Chiesa. Casa è uno spazio accogliente, che non devi meritarti, luogo di libertà e non di costrizione. Per molti la parrocchia, il gruppo, il movimento sono contesti di vero incontro, di amicizia e di condivisione. Chi si percepisce fuori dalla comunità cristiana spesso osserva invece dinamiche più simili a quelle di un contesto settario o di un “fan club”. Ci si sente estranei di fronte ad aree di specializzazione pastorale, che facilmente si traducono in ambiti di potere. Più che una casa, la comunità viene pensata come un centro erogazione servizi, più o meno organizzato, di cui si fatica a cogliere il senso. Perciò è urgente ripensare lo stile e le priorità della casa. Se accogliere e accompagnare diventano preminenti, tutto deve essere reso più essenziale, a cominciare da strutture e aspetti burocratici.

Una comunità cristiana che vuole camminare insieme è chiamata a interrogarsi sulla propria capacità di stare a fianco delle persone nel corso della loro vita, e di accompagnarle a vivere in autenticità la propria umanità e la propria fede in rapporto alle diverse età e situazioni. È qui chiamata in causa l’azione formativa delle comunità, ma anche quanto esse siano in grado di offrirsi come punto di riferimento per le traiettorie di vita sempre più complesse degli uomini e delle donne di oggi. L’accompagnamento della vita delle persone è ben più ampio della formazione, perché riguarda lo stare a fianco, il sostenere, così da dare alle persone la possibilità di coltivare la propria coscienza credente, di accrescere le proprie risorse relazionali, cognitive, affettive, spirituali, attraverso esperienze condivise.

Per dare forma e concretezza al processo sinodale è stato proposto un metodo di ascolto delineato secondo i principi della conversazione spirituale. Non è stata l’unica strada percorsa; accanto ai piccoli gruppi sinodali, sono stati realizzati anche incontri e confronti assembleari, colloqui con singole persone; somministrazione di questionari, realizzazione di documenti da parte di alcuni gruppi. La varietà dei metodi e degli strumenti rappresenta una ricchezza, ma a condizione che si salvaguardi la coerenza dei mezzi con il fine, che è promuovere le relazioni e la costruzione di legami.

Metodo

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Casa Passaggi di vita

Il ruolo delle religioni nello sviluppo umano

Il 10 gennaio 2023 la dichiarazione di intenti su un uso etico dell’intelligenza artificiale – la “Rome Call for AI Ethics”, promossa nel 2020 dalla Pontificia Accademia per la Vita – è stata firmata da un rappresentante del mondo ebraico e da un rappresentante del mondo musulmano. Alla cerimonia – in realtà un vero e proprio convegno, compresa l’udienza con papa Francesco – erano presenti i primi firmatari del 2020: il presidente di Microsoft Brad Smith, il vicepresidente mondiale di IBM Dario Gil e il capo economista Maximo Torero Cullen per la FAO. Nello scenario suggestivo della Casina Pio IV, quasi in cima al Colle Vaticano, sono arrivati esponenti religiosi musulmani, ebrei, cattolici ed esponenti di primissimo piano dell’industria tecnologicamente più avanzata oggi al mondo, per sottolineare un unico messaggio: l’importanza di una tecnologia al servizio di tutta l’umanità. Per il benessere, per il miglioramento, non per il controllo o la sopraffazione. Un’iniziativa in linea con quell’esigenza di fraternità universale che non è solo l’annuncio utopico di Fratelli tutti, ma la realizzazione concreta, una via possibile per tutta l’umanità. Anzi, l’unica via possibile oggi di fronte alle sfide inedite del futuro.

Lo sceicco Shaykh Abdallah Bin Bayyah, presidente del Forum per la Pace di Abu Dhabi e presidente del Consiglio emiratino per la Sharia Fatwa, ha detto chiaramente, nel suo intervento, che “i comandamenti e le leggi ispirate alla religione, nel loro promuovere il benessere, devono assicurare che lo sviluppo tecnologico sia guidato da princìpi etici che tutelino la dignità umana e, soprattutto, la vita nel suo insieme”. Sulla stessa linea, le frasi del Rabbino capo Eliezer Simha Weisz, del Consiglio del Gran Rabbinato di Israele, sull’importanza di una tecnologia guidata dalla sapienza umana, strumento e non fine, e dunque da utilizzare a favore, sempre, del bene comune e sotto il controllo umano.

Mons. Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha ricordato, su questo tema, il primo colloquio che ha avuto, nel 2019, con il presidente di Microsoft, Brad Smith, a Richmond, nella sede principale della multinazionale. In quel tempo Smith sottolineava l’importanza di una collaborazione tra umanisti e ingegneri perché l’avanzamento tecnologico ha bisogno di una visione etica. Ha bisogno di un supporto dal punto di vista della riflessione umanistica. Altrimenti avremo sì una tecnologia di altissimo livello, ma senza anima.

Religioni ed etica 23 Religioni ed etica

Religioni ed etica

La parola chiave è anima

La Pontificia Accademia per la Vita ritraduce in visione umanistica. E ha ispirato la Rome Call for AI Ethics firmata il 28 febbraio 2020 a Roma, al termine dell’Assemblea della Pontificia Accademia per la Vita di quell’anno, dedicata proprio all’intelligenza artificiale. L’etica, nell’intelligenza artificiale, nella visione della Rome Call, deve promuovere un’antropologia digitale, con tre coordinate fondamentali: l’etica, l’educazione e il diritto. I primi firmatari sono stati Microsoft, IBM, FAO e governo italiano. Nei due anni seguenti, nonostante la pandemia e il blocco delle attività, la Pontificia Accademia per la Vita ha continuato a lavorare attraverso la Fondazione Renaissance, per allargare la platea dei firmatari. Anzi, per essere esatti: Renaissance. Perché siamo dentro un “rinascimento” scientifico che, attraverso le tecnologie collegate all’intelligenza artificiale, può portare tutta l’umanità verso un progresso condiviso oppure farla sprofondare in una barbarie tecnologica fatta di controllo, ipersorveglianza, aumento delle disparità. In questo senso, le religioni hanno un ruolo fondamentale a favore dell’umano, dei diritti umani, della libertà, della vita. Come ha detto papa Francesco: “Sono lieto di sapere che volete coinvolgere anche le altre grandi religioni mondiali e gli uomini e le donne di buona volontà affinché l’algoretica, ossia la riflessione etica sull’uso degli algoritmi, sia sempre più presente, oltre che nel dibattito pubblico, anche nello sviluppo delle soluzioni tecniche. Ogni persona, infatti, deve poter godere di uno sviluppo umano e solidale, senza che nessuno sia escluso”. Ed ha attualizzato l’importanza di una visione etica nei processi decisionali guidati da algoritmi, notando come “non è accettabile che la decisione sulla vita e il destino di un essere umano vanga affidata ad un algoritmo. La Rome Call può essere un utile strumento per un dialogo comune tra tutti, al fine di favorire uno sviluppo umano delle nuove tecnologie”. “Vi invito a proseguire con audacia e discernimento, alla ricerca delle vie che conducono a un coinvolgimento sempre più ampio di tutti coloro che hanno a cuore il bene della famiglia umana. Invoco su di voi la benedizione di Dio: Dio benedica tutti, perché il vostro cammino possa svolgersi con serenità e pace, in spirito di collaborazione”. Resta impressa un’immagine sbalorditiva: esponenti religiosi, imprenditori, scienziati, tutti insieme, una platea multiculturale convergente su un unico obiettivo: l’umanità, la casa comune.

“La firma congiunta della Rome Call da parte delle tre religioni abramitiche – un evento unico per il suo impatto sociale e culturale”, ha concluso mons. Vincenzo Paglia “aumenterà la consapevolezza globale dell’urgenza di approcci etici all’AI in settori quali l’istruzione, la salute, l’uguaglianza sociale e la legge”. Lo stesso Presidente della Pontificia Accademia per la Vita ha poi anticipato che si sta lavorando per la firma del documento da parte delle religioni orientali, prevista in Giappone nel corso di quest’anno.

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Il piccolo, grande libro di Papa Francesco

Mentre si legge “l’enciclica” sulla guerra in Ucraina ritornano alla mente le parole accorate di Papa Francesco udite tante volte durante gli Angelus e commuove il ricordo delle sue lacrime per gli orrori della guerra, tanto da far pensare ad un senso di impotenza di fronte ad essi e alla cattiveria dell’uomo… In realtà in tutta l’enciclica si parla della pace, infatti Francesco soprattutto dal febbraio del 2022 ha sistematicamente affrontato il tema sviscerandolo in modo semplice e profondo nei suoi risvolti umani, psicologici, sociali, economici, politici ed etici, oltre che teologici. E lo ha fatto sempre, in tutte le occasioni di incontro con le persone, fossero i fedeli in Piazza S. Pietro, i convocati alle udienze, i giornalisti che lo intervistavano, i religiosi di ogni confessione durante gli incontri ecumenici ed interconfessionali nel corso dei suoi viaggi, i lavoratori, i giovani all’evento “Economy of Francesco … Francesco con l’aiuto del giornalista Francesco Antonio Grana (del Fatto Quotidiano) ha voluto raccogliere in un piccolo libro i suoi appelli alla pace, scritti come una sorta di diario di guerra, perché si trasformino in un diario di pace, nella speranza che non vi sia assuefazione e che nessuno dia per scontata questa guerra di Ucraina, come le altre nel mondo, ma anzi che vi sia un generale sollevamento degli animi e della coscienza di tutte le persone di buona volontà per superare questa grave crisi di umanità.

Nell’introduzione si evidenzia come Bergoglio abbia evitato che il conflitto in Ucraina si trasformasse in una guerra santa, in particolare con il mondo ortodosso russo, mantenendo sempre aperto il dialogo con il Patriarcato ortodosso di Mosca, anzi intensificandolo, nonostante le posizioni diametralmente opposte tra lui e Kirill.

All’incontro interreligioso di preghiera per la pace organizzato dalla comunità di S.Egidio ha infatti partecipato il metropolita presidente del Dipartimento degli affari esteri del Patriarcato di Mosca, Antonij Volokolamsk (25 ottobre 2022), dove si è affermato che la pace è nel cuore delle Religioni, nelle loro Scritture e nel loro messaggio, è un dono che va accolto e coltivato nel cuore di uomini e donne, e che va rimesso al centro della visione del futuro come obiettivo principale del nostro agire personale, sociale e politico a tutti i livelli, disinnescando i conflitti con l’arma del dialogo.

Alla fine della Seconda guerra mondiale, quando si decise di non costruire più armi atomiche e si dette fiducia alle Nazioni Unite, il mondo si risollevò economicamente e moralmente; nonostante le divergenze culturali e le differenze ideologiche fu chiaro quanto fosse necessario costruire assieme piutto-

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sto che distruggere: prevalse quello che Francesco definisce “lo schema di pace”. Oggi invece si assiste al prevalere dello “schema di guerra”, dello spirito di Caino: in Ucraina vi è il diretto e aggressivo intervento di una “superpotenza” contro un paese fratello, per annientarlo. L’insensatezza della guerra oltre a provocare la morte di tantissime persone genera povertà, la violenza colpisce soprattutto le persone indifese e più deboli, e vi è tanta sofferenza, fisica e morale.

La globalizzazione dell’indifferenza

Dalle pagine di questo diario Francesco invita ogni uomo, soprattutto se si professa cristiano, a non voltarsi da un’altra parte, a non cadere nella globalizzazione dell’indifferenza, che ci rende tutti responsabili senza nome e senza volto (come l’Innominato dei Promessi Sposi di Manzoni), e ad annunciare invece che Dio è il Dio della pace, dell’amore e della speranza, che ci vuole tutti fratelli. Gli orrori di ogni guerra invece offendono il nome di Dio, in particolare se viene abusato per giustificare tale orribile scempio: non è lecito dunque parlare né di guerra giusta né tantomeno di guerra santa! Se vogliamo che il mondo cambi direzione deve cambiare il nostro cuore, e la pace è opera della giustizia (Gaudium et spes,78): è necessario desiderare che si realizzi la profezia di pace di Isaia, cioè che un popolo non alzi più la mano su un altro popolo, che le spade diventino aratri e le lance falci.

Video messaggio in occasione della veglia ecumenica di Pentecoste, 4 giugno 2022: “la pace inizia nelle famiglie, nei rapporti interpersonali, nei rapporti tra cristiani con membri di altre religioni…la pace comincia nell’amore per il nemico, per chi non la pensa come me…ma da soli non possiamo farcela, solo lo Spirito santo ci dà la forza, il coraggio e la determinazione per lavorare instancabilmente per la pace che solo Lui può dare: l’amore è una forza più potente dell’odio, ed è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”(Rm 5,5).

Messaggio ai partecipanti alla Conferenza europea dei giovani (6 luglio 2022): in Ucraina, che non è UE, ma è l’Europa, si combatte una guerra assurda che, aggiungendosi ai numerosi conflitti in atto nel mondo, rende ancora più urgente un Patto Educativo che educhi tutti alla fraternità… Qualcuno ha detto che, se il mondo fosse governato dalle donne, non ci sarebbero tante guerre, perché coloro che hanno la missione di dare la vita non possono fare scelte di morte. Allo stesso modo, se il mondo fosse governato dai giovani, non ci sarebbero tante guerre: coloro che hanno tutta la vita davanti non la vogliono spezzare e buttare via, ma la vogliono vivere in pienezza!

Dagli incontri con le autorità, la società civile, i religiosi, il corpo diplomatico e i membri del Muslim Council of elders durante il viaggio in Bahrein: …

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non c’è comprensione se si insiste nell’imporre i propri modelli e visioni dispotiche, imperialiste, nazionaliste e populiste, se non ci si interessa alla cultura dell’altro, se non si presta ascolto al grido della gente comune e alla voce dei poveri, se non si smette di distinguere in modo manicheo chi è buono e chi è cattivo: perché in un mondo globalizzato si va avanti solo remando insieme, mentre navigando da soli si va alla deriva.

Nel Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune si auspica un fecondo incontro tra Occidente e Oriente, credenti insieme per respingere il “pensiero isolante“ che si focalizza solo sui propri interessi e non su quelli comuni dell’umanità.

Dalla dichiarazione del regno del Baharein: quando si predicano odio, violenza e discordia si dissacra il nome di Dio, non basta dire che una religione è pacifica, occorre condannare e isolare i violenti che ne abusano il nome, né è sufficiente prendere le distanze dall’intolleranza e dall’estremismo, ma bisogna agire in senso contrario, interrompendo il sostegno economico e politico ai movimenti terroristici, condannandoli in tutte le sue forme e manifestazioni, anche il terrorismo ideologico. L’uomo religioso, uomo di pace, non asseconda “alleanze contro qualcuno”, ma vie d’incontro con tutti, perseguendo la sola strada della fraternità, del dialogo, della pace: perciò è necessario promuovere iniziative perché il cammino delle grandi religioni sia coscienza di pace per il mondo!

Dal viaggio in Kazakistan, settembre 2022: Dio è pace, e conduce alla pace, ma gli uomini si impegnino a promuovere gli unici mezzi benedetti dal cielo: l’incontro, il dialogo, le trattative pazienti, come un impegno educativo costante. Oltre a vivere nella propria vita la preghiera e la fratellanza, non può professare vera adesione al creatore chi non ama le sue creature. Per questo va posta attenzione oltre alla stessa pace, opera della giustizia e non mera assenza di guerra, alla donna, che dà cura e vita al mondo, perciò le vanno affidati responsabilità e ruoli adeguati alla sua dignità, e ai giovani, che più di tutti invocano la pace, e i cui sogni e speranze oggi rischiano di non avere futuro: bisogna dare ai giovani opportunità di istruzione, non armi di distruzione! Bisogna costruire un mondo pensato per loro!

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BENEDETTO XVI, UN PAPA CHE HA SORPRESO a cura di Roberta Masella

Il 31dicembre 2022 non ha segnato soltanto la fine dell’anno, è stato anche il giorno della scomparsa del papa emerito Benedetto XVI. Un pontificato breve, intenso e “sorprendente” nella sua conclusione, su cui si sono esercitati teologi, storici, vaticanisti e di cui P.Sequeri ha scritto “misteriosa la consegna, non meno misterioso il congedo: lo Spirito di Dio sa quello che fa”(Avvenire, 6 Gennaio 2023).

Di Benedetto XVI tutti hanno messo in rilievo la mitezza del carattere, l’umiltà, la statura di grande e fine teologo donato al ministero petrino. È inutile ripetere quel che è stato autorevolmente detto. Ripensando alle sue encicliche “Deus caritas est” “Spe salvi” e al materiale preparato per la “Lumen fidei” possiamo dire che ha condotto il popolo di Dio a riflettere sulla centralità delle virtù teologali, partendo tuttavia dal messaggio fondamentale per il cristiano: “Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui“ (1 GV 4,16).

Anche alla luce di questo limpido pensiero introduttivo dell’enciclica dispiacciono i retroscena intempestivi che hanno fatto da corollario alla sua morte. “Io sono di Benedetto” “Io sono di Francesco” verrebbe da dire con Paolo (1 Cor 1,10-13) e ancora “l’uomo vecchio” che continua a contrastare la vita “dell’uomo nuovo”. Non possiamo negare che le diversità di carattere, di obiettivi, di formazione influenzino i nostri orientamenti umani e che questi orientamenti si riflettano sulla dimensione umana della Chiesa dando vita a posizioni che possono sembrare di maggiore o minore apertura ai problemi del mondo circostante. Noi cristiani, e non solo noi laici, dovremmo essere più convinti che il Papa è colui che tempo dopo tempo lo Spirito Santo chiama ad esercitare il ministero di unità per tutta la Chiesa. Ogni Papa lo fa con la sua personalità e i suoi carismi e soprattutto con la grazia di Dio.

SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ

DEI CRISTIANI (18-25 GENNAIO 2023)

La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ha rappresentato ancora una volta il cuore dell’impegno ecumenico della Chiesa, preceduta, il 17 gennaio, dalla giornata di dialogo con gli ebrei. Ogni anno la scelta del tema e del materiale utilizzato nelle liturgie è affidata a un gruppo diverso; per quest’anno 2023 il sussidio è stato preparato da un gruppo locale degli Stati Uniti d’America, convocato dal Consiglio delle Chiese del Minnesota: “Imparate a fare il bene, cercate la giustizia”(Is1,17). Come si dice nella presentazione del sussidio, il Minnesota ha patito alcune delle peggiori discriminazioni razziali della nazione, il che ha creato diseguaglianze, ingiustizie e fratture relazionali tra le comunità; le letture delle Scritture, i temi, la musica e la celebrazione ecumenica hanno ruotato intorno a questo tema. Nelle celebrazioni eucaristiche suggerite sono stati utilizzati due simboli: l’acqua a rappresentare il battesimo e la nuova vita e le pietre che rappresentano la nostra vita personale. Forse pochi di noi hanno potuto partecipare a

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celebrazioni che hanno seguito questi percorsi, ma le celebrazioni eucaristiche dell’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani ci hanno messo in comunione con tutti i credenti che, nelle altre parti del mondo, hanno pregato per costruire l’unità della Chiesa di Cristo.

DOMENICA DELLA PAROLA DI DIO (22 gennaio 2023)

Nella terza domenica del tempo ordinario la Chiesa celebra la domenica dedicata alla Scrittura; la data cade a ridosso della giornata del dialogo tra cattolici e ebrei e della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il segretario generale della Cei, Mons. Giuseppe Baturi, l’ha inserita nel cammino sinodale della Chiesa italiana ricordando come il tema dell’ascolto sia sempre presente in questo cammino e come la fede si alimenta dall’ascolto della parola di Cristo.

Nella costituzione conciliare “Sacrosantorum Concilium” si dice che “Cristo è sempre presente nella sua Chiesa…è presente nella sua parola, giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura (n.7)”. La liturgia della parola, nella Messa, è il momento in cui, attraverso la lettura dei testi biblici, Cristo si fa presente e ci parla. Nell’omelia della Messa, celebrata per l’occasione nella Basilica di San Pietro, Papa Francesco ha ribadito che la “Parola di Dio è per tutti” e che “l’annuncio della Parola deve diventare la principale urgenza della comunità ecclesiale, come fu per Gesù”. E ancora “Impariamo da Gesù a mettere la Parola al centro, ad allargare i confini, ad aprirci alla gente”.

Chiesa in uscita sempre, Chiesa che ha come missione quella di cercare “chi è perduto, chi è oppresso e sfiduciato, per portare loro la consolazione della Parola, l’annuncio dirompente che Dio trasforma la vita”

IL PAPA IN AFRICA

Dal 31 gennaio al 5 febbraio 2023 ha avuto luogo il viaggio di Papa Francesco in due zone dell’Africa al centro di feroci conflitti. Il viaggio in Congo e in Sud-Sudan, da tempo progettato, ha incontrato difficoltà di diversa natura nella sua attuazione, ma finalmente si è realizzato.

Con stupore, bisogna dire, abbiamo constatato che un viaggio così atteso, così importante, ha di fatto trovato uno spazio marginale sia sulla stampa nazionale che in televisione.

Certo il viaggio si è rivelato subito “scomodo” nei temi che Papa Francesco ha affrontato e nelle situazioni che ha denunciato: neocolonialismo, sfruttamento indiscriminato delle risorse del suolo africano a vantaggio di “terzi”, ricorso a violenze armate massacri

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e stupri per avidità di denaro, migrazioni povertà patimenti che ne sono la conseguenza.

Già sul volo di andata, sorvolando il Sahara, il Papa ha sottolineato la tragedia che quotidianamente interessa questo deserto, luogo di speranza e di morte nello stesso tempo.

La Repubblica democratica del Congo soffre per lo sfruttamento delle sue risorse naturali ad opera di paesi neocolonialisti e per la feroce guerra intestina che da questa situazione si è generata nell’est del paese. Dalla fine degli anni novanta la guerra ha prodotto quattro milioni di morti.

Il Papa non solo ha ripetutamente denunciato questa situazione, ma a Kinsasa si è messo in ascolto, un ascolto doloroso, di tutte le violenze che sono state raccontate dai testimoni: violenze inenarrabili, simbolo di una brutalità animalesca espressa anche dal machete deposto sotto il crocifisso. La Chiesa in uscita di Francesco verso le periferie del mondo ha significato abbracciare tanta umanità dolente “per portare la vicinanza, l’affetto e la consolazione di tutta la Chiesa, e a imparare dal vostro esempio di pazienza, di coraggio e di lotta”

Di fronte a tanto male il Papa ha rivolto, soprattutto ai giovani, una esortazione: “Vincete il male con il bene”

In Sud-Sudan la visita si è svolta insieme con l’Arcivescovo anglicano di Canterbury e il moderatore generale della Chiesa di Scozia: immagine plastica di un processo ecumenico di pace in un paese dilaniato da guerre anche tribali e confessionali. “Vengo come pellegrino di riconciliazione” ha detto il Papa, per accompagnare un cammino di pace “tortuoso ma non più rimandabile. Non sono giunto qui da solo, perché nella pace, come nella vita, si cammina insieme”.

IL Sud-Sudan è un paese sfigurato dalla guerra civile e dalla fame fin dall’inizio della sua indipendenza (2011); guerre intestine e calamità naturali hanno costretto in fuga milioni di persone che si ammassano nei campi profughi. Così “in un mondo segnato da divisioni e conflitti, questo paese ospita oggi un pellegrinaggio ecumenico di pace “come occasione per ricominciare.

La preghiera ecumenica è stato il momento culminante di questa visita condivisa tra cristiani per dar vita a un processo di pace che il Papa ha messo nelle mani dei giovani e delle donne ; come pure di grande coinvolgimento è stato l’incontro, nella Cattedrale di Santa Teresa a Juba, dedicato ai fedeli cattolici che rappresentano il 52 per cento della popolazione sud-sudanese, in maggioranza di fede cristiana, e che hanno resistito ai tentativi di islamizzazione promossi dal governo di Kartoum dopo l’indipendenza dal Sudan.

Un viaggio ecumenico per la pace. Sul viaggio di ritorno il Papa non ha mancato di lanciare un ulteriore appello: “Il mondo è in guerra, fermiamoci” e fermiamo la vendita delle armi che “è la peste più grande del mondo”.

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Due films da vedere per riflettere

Dal12 gennaio nelle nostre sale cinematografiche viene proiettato il nuovo film del regista Riccardo Milano: Grazie ragazzi. La sceneggiatura trae ispirazione dal film francese di Emmanuel Courcol, Un trionphe, Un anno con Godot, presentato a Cannes nel 2020, che riprende liberamente una storia vera, accaduta in Svezia nel 1985.

Il protagonista è Antonio (Antonio Albanese), un attore fallito, che per sbarcare il lunario è costretto a doppiare film porno. Senza ormai aspettative, gli viene proposto da un collega (Maurizio Bentivoglio) un laboratorio teatrale nel carcere di Velletri. Antonio, titubante, accetta e quando scopre il talento di alcuni detenuti riacquista l’entusiasmo perduto. Decide così di mettere in scena in teatro l’opera beckettiana: Aspettando Godot e cerca di vincere le resistenze della direttrice del carcere (Sonia Bergamasco), affinchè dia un’opportunità ai ragazzi. Inizia così una straordinaria avventura umana, perché nel penitenziario la vita di Antonio si intreccia con quella di cinque personaggi vissuti sempre ai margini della società. Uno di questi è Aziz, partito bambino da Tripoli e giunto in Italia su un barcone, detenuto per aver reagito violentemente all’ennesimo insulto razzista.

Il film non vuole mostrarci particolari della vita in prigione. Il carcere infatti è una cornice che ci mostra l’uomo, le sue fragilità ed i suoi molteplici sentimenti. Temi difficili e drammi sociali sono proposti con semplicità e leggerezza, con ironia e tenerezza, perché arrivino al grande pubblico. L’atmosfera delle scene, incalzanti e coinvolgenti, è sempre serena e solo verso la fine lo spettatore avverte un po’ di tensione, quando i ragazzi decidono di tradire la fiducia di Antonio per inseguire quello che è un sogno: la libertà. Ma è irrecuperabile solo colui che non ha mai potuto dimostrare il contrario! Antonio attraverso il teatro ha consentito a sé stesso ed ai suoi ragazzi di riflettere sul senso dell’attesa e soprattutto sul senso della vita. Arte e cultura hanno tra-

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sformato tutti i protagonisti, donando libertà spirituale. Attraverso il suo potere salvifico, il teatro ha rimarginato ferite e ridonato speranze in un futuro che sembrava impossibile. (M.E.)

LA LETTERA

Una domenica pomeriggio con il gruppo “diffuso” (viviamo in diverse città d’Italia) abbiamo visto insieme, su una piattaforma di riunioni virtuali, “La Lettera”, documentario sul potere dell’umanità di fermare la crisi ecologica. Il film racconta la storia dei viaggi a Roma di diversi leader, impegnati in prima linea nella cura della casa comune, per parlare con Papa Francesco della Lettera Enciclica Laudato si’. Il dialogo esclusivo con il Papa, raccontato nel film, offre approfondimenti sulla storia personale di Papa Francesco e scorci inediti sul suo insediamento. I protagonisti sono un leader indigeno dell’Amazzonia, un rifugiato e studente del Senegal, una giovane attivista indiana e due scienziati statunitensi (marito e moglie), in rappresentanza delle voci spesso inascoltate nella conversazione globale sul nostro pianeta. Con una lettera che parte dal Vaticano e raggiunge ognuno di loro comincia un viaggio nel proprio vissuto fino a ritornare in Vaticano dove Papa Francesco intavola con loro un dialogo in un clima d’intima confidenza e profondo ascolto. Questi leader, insieme, attraverso l’incontro con il Papa e tra loro hanno trovato una nuova speranza per la nostra casa comune. Il card. Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, appare nel film e offre una prospettiva unica per comprendere le antiche radici francescane del messaggio della Laudato si’. La data scelta per la presentazione del film segna anche l’ingresso ufficiale della Santa Sede nello storico accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. Insieme al film, questi sforzi rappresentano l’impegno sempre più ambizioso e attivo dei cattolici sulle questioni ecologiche. Questa azione è in linea con i ripetuti allarmi del principale organismo scientifico mondiale sul clima, il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite, che ha pubblicato il suo ultimo rapporto nel febbraio 2022 affermando che le mezze misure non sono più un’opzione.

“La Lettera” è un film da vedere in famiglia, nelle comunità, nelle scuole perché il messaggio che riceve ciascuno dei protagonisti è diretto ad ogni abitante del pianeta e ci permette di prendere coscienza che tutti possiamo fare la nostra piccola o grande parte per curare, come dice papa Francesco nella Laudato Si’, la nostra casa comune. Il film è disponibile sulla piattaforma YouTube. (M.M.)

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Christoph

Theobald, Il popolo ebbe sete.

Lettera sul futuro del cristianesimo, Edizioni

Dehoniane

- Euro 13,00

Nei giorni della pandemia, trasformando l’isolamento forzato in occasione di riflessione, il francese gesuita Theobald, figura di spicco nel panorama della teologia contemporanea, riflette su inquietudini, dubbi e paure suscitati da guerre e pandemie. Il paesaggio desertico dell’altopiano francese, che lo ospita, evoca in lui “una vita che resiste alla morte con tenacia e che diffonde una bellezza discreta e una pace silenziosa”. E nasce l’idea di condividere le sue riflessioni con amici, simpatizzanti, cristiani ed altri, con i quali ha condiviso, in tempo di pandemia, il dover vivere “con mancanze di ogni genere che ci hanno subitamente messo di fronte alla dimensione più profonda delle nostre esistenze: la sete o il desiderio di essere, intimamente legati alla nostra mortalità”. Nel suo insegnamento e nei suoi scritti l’autore è attento al travaglio del tempo presente che spesso racchiudiamo nel termine ‘crisi’, allorché avvertiamo qualcosa che mette in pericolo, in modo drammatico, la nostra sopravvivenza; sopravvivenza individuale e collettiva, sociale e plane-

taria; e fa sorgere interrogativi sul nostro rapportarci con gli altri, persone e popoli, e con il pianeta e spinge alla ricerca di risorse e suscita il desiderio di un futuro mondo nuovo. Come può essere placata, se possibile, questa sete di un mondo diverso? L’autore propone ai suoi amici un percorso per osservare e comprendere il nostro tempo, e questa sete, con la metafora biblica di Mosè e dell’antico Israele in viaggio, nel deserto, verso la terra promessa. Quando il popolo ebbe sete e Mosè trasformò la roccia arida in sorgente d’acqua. Una proposta forte ed un invito coinvolgente questa lettera di Theobald agli amici. Una lettera tutta da… sorseggiare. Può aiutare credenti e non credenti, società civile e comunità ecclesiali, a ripensarsi e a non preoccuparsi tanto di cercare risorse (vedi in francese resource) per placare… la sete. La domanda da porsi, è: come divenire sorgenti (source). E la Chiesa e il cristianesimo? Non preoccuparsi per il fatto di essere… in minoranza! L’invito per i singoli e per la chiesa come istituzione è a camminare e a vivere insieme all’umanità, con speranza gioiosa la dimensione messianica dell’esperienza cristiana. Riscoprendosi, con Gesù il Messia e come Paolo, l’apostolo delle genti, sorgente d’acqua viva. Preparando anche persone (rabdomanti) che sappiano trovare l’acqua anche nel deserto più arido per la sete dell’umanità.

Recensioni

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Michela Murgia, God save the Queer, Einaudi stile libero - Euro 14,50

La riflessione teologica che Michela Murgia svolge in questo breve saggio ci riguarda in quanto movimento ecclesiale, con il suo specifico carisma: abbiamo sempre rivendicato infatti il nostro stare sui confini, la nostra volontà di rivolgerci a un mondo inquieto, incapace di accontentarsi di formule e di certezze precostituite e cercato di valorizzare differenze e contraddizioni anche all’interno dei nostri gruppi. Spesso invece, dopo la fioritura degli anni 70, i movimenti ecclesiali hanno privilegiato la loro compattezza interna e l’allineamento alla gerarchia, magari con qualche successo in termini numerici, ma perdendo il contatto con la realtà di una società complessa e sempre più indifferente a tematiche religiose e soprattutto cristiane. Dunque God save the Queer ci riguarda, perché al di là di possibili critiche e perplessità, non possiamo non condividere con l’autrice la convinzione che “la rivelazione non sarà compiuta fino a che ad ogni singola persona non sarà offerta la possibilità di sentirsi addosso lo sguardo generativo di Dio mentre dichiara che quello che vede è cosa

buona”. E insieme ad essa la consapevolezza della storicità di una rivelazione che è quella di un Dio incarnato, con tutto “lo scandalo e la follia” che questa incarnazione comporta.

Partendo da una posizione femminista che rifiuta etichette anche da parte di quel femminismo che si è attestato su posizioni rivendicative e identitarie, la Murgia allarga il suo sguardo alla condizione di chi non si riconosca in nessun genere sessualmente classificato e fa proprio il rifiuto di inserire le persone in categorie predefinite, sintetizzando nel termine “queer” questa scelta, che spesso non è un capriccio, né, tanto meno, una depravazione morale. Il termine, che comincia ad essere utilizzato negli anni ‘60, può essere tradotto con “eccentrico, bizzarro” ma anche “sghembo” e il suo uso ha innescato fin dall’inizio polemiche e lotte, ma è entrato nel dibattito pubblico solo negli anni ‘90 e diventato sempre più di uso comune senza però una riflessione adeguata. Dunque la domanda di Michela Murgia: “si può essere credenti, femministe e queer nello stesso tempo?” va presa sul serio, anche se non è semplice e mette a nudo contraddizioni e ipocrisie. Eppure, scrive l’autrice “per queste domande e le loro risposte passa con fatica il vivere quotidiano di milioni di persone che soffrono l’emarginazione nella Chiesa a cui sentono di appartenere”. Perché questo è il punto: non si tratta di avere atteggiamenti più o meno comprensivi e bene-

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voli verso possibili “devianze” ma di accogliere la fluidità della condizione umana all’interno del Cristianesimo storicamente strutturato. E neppure di elaborare una sorta di cristianesimo “pret a porter” adattando e annacquando il messaggio di un Dio che d’altra parte “ sembra avere un certo gusto della contraddizione”. Si tratta invece di impegnarsi per una comprensione più autentica della condizione umana e in modo specifico della sua dimensione religiosa e soprattutto cristiana, ricordando che siamo sempre chiamati ad essere il sale della terra “ma se il sale diventa scipito, con che cosa si salerà?”

Giovanna Hribal

Paolo Benanti, La condizione tecno-umana.

Domande di senso nell’era della tecnologia, Edizioni

Dehoniane

- Euro 18,00

Che cosa significa essere umani in un’epoca di complessità e cambiamento? Come si può gestire lo sviluppo tecnologico? E quali sono i limiti da non superare nel momento in cui la tecnica viene utilizzata per interventi non solamente esterni, ma anche interni all’uomo? Paolo Benanti si propone di fornire una comprensione filosofica e teologica della tecnologia, mettendone in luce tutte le dimensioni etiche e interrogan-

dosi sulla possibilità di liberarsi dalle categorie tradizionali di “umano” e “naturale” per abbracciare una nuova relazione con il mondo che si potrebbe definire “tecno-umana”. Ampio ed esaustivo per chi vuol approfondire. In appendice, uno sguardo sintetico su Dottrina Sociale della Chiesa e tecnologia. Paolo Benanti, si è specializzato nel rapporto tra teologia morale, bioingegneria e neuroscienze. Nel 2018 è selezionato dal Ministero dello Sviluppo economico come membro di un gruppo di trenta esperti per elaborare la strategia nazionale sull’intelligenza artificiale; nel 2021 è nominato membro della Pontificia Accademia per la Vita. In Rinascita Cristiana ha guidato la riflessione su fake News e pensiero critico. Licio Prati

Segnaliamo il n. 4142, gennaiofebbraio 2023 della rivista La Civiltà cattolica

Il numero contiene interessanti articoli utili allo svolgimento del nostro piano di lavoro e all’approfondimento di alcuni temi trattati in questo numero di Rinascere. Segnaliamo in particolare l’articolo del biblista Roland Meynet sulla bibbia e le donne; un approfondimento sulla Repubblica democratica del Congo e il Sud Sudan e un approfondimento sulla catastrofe climatica

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Dal Messaggio di Papa Francesco per la Quaresima 2023 sul tema “Ascesi quaresimale, itinerario sinodale”

(www.chiesacattolica.it)

Il cammino ascetico quaresimale e, similmente, quello sinodale, hanno entrambi come meta una trasfigurazione, personale ed ecclesiale. Una trasformazione che, in ambedue i casi, trova il suo modello in quella di Gesù e si opera per la grazia del suo mistero pasquale.

Rinascere

Periodico bimestrale di informazione e di collegamento del Movimento Rinascita Cristiana

Via della Traspontina, 15 – 00193 Roma – Tel. 06.95948665 - segreteria@rinascitacristiana.org

Direttore Responsabile: Francesca Tittoni

Comitato di Redazione: Maria Serena Asso, Egidio Barbiero, Saverio Castaldo, Marta Cervo, Maria Esposito, Marina Marino, Roberta Masella, Tiziana Pinna

Stampa: La Moderna s.r.l. – Via Enrico Fermi 13/17 – 00012 Guidonia (Roma) – Tel 0774.354314

Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 00573/98 del 14/12/1998

Finito di stampare nel mese di febbraio 2023

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