LE ORIGINI E GLI SVILUPPI DELLA CREMAZIONE IN EUROPA

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Alma Mater Studiorum – Università di Bologna Scuola di Scienze Politiche

Corso di Laurea Magistrale in

Relazioni Internazionali (LM-52)

Tesi di laurea in Sociologia del Conflitto Le origini e gli sviluppi della cremazione in Europa

CANDIDATA

RELATORE

Dott.ssa Chiara Marra

Chiar.mo Prof. Asher Daniel Colombo

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A mia zia Rosa

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La maniera in cui un popolo si cura dei morti deriva più dalla moda che dal rispetto dei costumi o delle usanze popolari da una parte, o dalle istituzioni dall'altra... le pratiche connesse con questo aspetto della vita sociale sono affini per genere alle mode del vestire, del lusso, dell'etichetta. (A L. Kroebeer)

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Ringraziamenti

C

onfesso che mi sono divertita. Ho approcciato il tema della cremazione grazie al Prof. Asher Daniel Colombo che nel 2016 stava conducendo i suoi studi sul tema condividendoli con i suoi tesisti, gruppo di cui ho fatto parte con questa mia ricerca dal maggio 2016

al marzo 2017. È stato bello condividere spunti e risultati di sopralluoghi. Un topic a cui altrimenti forse non sarei arrivata ma che per me è stato subito familiare. Molte fonti iniziali provengono da studi di sociologia della morte tanto cari ad Antonio Cavicchia Scalamonti, una vecchia conoscenza delle mie prime letture sociologiche del 2008 ell’hu usàdelàDipa ti e toàdià“ ie zeà“o ialiàdell’U i e sit Federico II di Napoli che ha fatto scattare in me la scintilla per la sociologia quando studiavo all’U i e sit à dià “ale oà con Luca Bifulco le basi della sociologia del conflitto e di Durkheim e con Domenico Maddaloni i fondamentali dei differenziali welfare e ammiccavo per la letteratura di Guido Vitiello di cui tanto amavo i suoi spunti sul disincanto del mondo. Una cassetta dei ricordi ritrovata e riusata per misura vecchi abiti in u ’et diversa e scoprendone una nuova elasticità mentale. Quindi grazie a tutti voi! Èàstataà uestaàa heàl’o asio eàpe àsf utta eàlaà iaà e sio eàdiàge e azio eàRya àái à do eà ieià iaggià lo à ostà i à gi oà pe à l’Eu opaà so oà statià lo spunto per visitarne i 4


cimiteri, luoghi dove la globalizzazione ancora non ha uniformato tutto e crea spunti interessanti sui modi di vivere europei, ulteriore lettura per sbarcare nelle periferie cittadine e nei loro contorni. Non sono mancati incontri con persone del luogo che mi di e a o:à Pe h àstudia eàlaà e azio e?àÈà o

aleàdaà uesteàpa ti …à

La cremazione è anche legata alla mia grande e grossa famiglia materna e matrilineare. Nel 2014, una mia zia, vedova da una trenti aàd’anni, classe 1925 è stata la prima cremata della famiglia, probabilmente, di tutti i defunti presenti nel cimitero di Monteforte Irpino (AV). Emigrata stabilmente a Milano per stare vicina alle sue due figlie, sposate e senza figli, che qui lavorano per trascorrere con loro gli ultimi anni di vita. Morta a Milano si è ricorso alla cremazione per i 700 km che hanno accompagnato il suo viaggio di ritorno alla cappella di famiglia che tra le ingombranti tombe di famiglia comincia ad avere problemi di spazio e una piccola benedizione del p eteàdiàtu oàu àpo’às igottitoàdaàu à itoà o àp op ioài à ogaàalà“ud…à o àa e oà ancora pensato che potesse essere sociologico ma mi ha aiutato molto per spingere in certi passaggi audaci di questa ricerca che toccano anche il tema delle migrazioni, te aàaà eà a oà o eà uelloàdell’i te ultu aàeàdeiàsi

etis i di cui pure la famiglia

in questione da sempre si alimenta, e che quando meno te lo aspetti riserva moti di modernità assoluta. Quindi tutto torna ed è un cerchio che si chiude. E se questo fosse un film sarebbe la riflessione sulla morte con il sorriso sulle labbra di Ruth Gordon in Harold e Maude di Hal Ashby del 1976, da sempre fonte di ispirazione. Non da ultimo, dopo migliaia di chilometri sulle rotte dei cimiteri europei, un premio speciale va ai 5


pa o ià heà gi o zola oà t aà leà to

eà dià Zo g iledà eà all’ásso iazio eà á i ià delà

Monumentale che riempiono di poesie e curiosità le gite al Cimitero Monumentale di Milano che resta tra i più interessanti di questo tour insieme a Livorno: perché dopo aver visitato tanta Europa gli spunti maggiori li ho trovati qui in Italia, senza fare campanilismi. Mi rimarrà il ricordo di cimiteri grandi e includenti di tombe mai viste, non solo israeliti e acattolici ma armeni, rom, giapponesi, buddhisti, tombe islamiche volte alla Mecca con musulmani della Siria, delà Pakista ,à dell’álge iaà e turchi che popolano la nostra Europa gli uni accanto agli altri. Non è stata la classica ricerca etnografica.

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Sommario Introduzione ................................................................................................................. 9 Capitolo 1 Le dinamiche di una morte più leggera ............................................... 14 1.1 Le radici religiose europee: sfidare la morte e negare la morte. Dogmi ebraici e cristiani a confronto .................................................................................................. 15 1.2 Individualizzazione ............................................................................................ 22 1.3 Desacralizzazione ............................................................................................... 25 1.4 Medicalizzazione ................................................................................................ 28 1.5 Pompe Funebri ................................................................................................... 29 1.6 Conclusioni ......................................................................................................... 32 Capitolo 2 La cremazione negli stati europei, un’indagine esplorativa ............. 34 2.1 Una precisazione interessante: le comunità israelitiche e il loro impatto ......... 39 2.2 I primi stati cremazionisti (1876-1939).............................................................. 47 2.3 Gran Bretagna..................................................................................................... 50 2.4 Svizzera .............................................................................................................. 54 2.5 Francia ................................................................................................................ 55 2.6 Danimarca .......................................................................................................... 60 2.7 Germania ............................................................................................................ 61 2.8 Norvegia ............................................................................................................. 65 2.9 Olanda ................................................................................................................ 66 2.10 Austria ............................................................................................................. 68 2.11 Finlandia .......................................................................................................... 70 2.12 Russia .............................................................................................................. 71 2.13 Romania ........................................................................................................... 74 2.14 Alcune riflessioni ............................................................................................. 76 2.15 Appunti per una ricerca etnografica ................................................................. 82 7


Capitolo 3 La cremazione in Italia .......................................................................... 96 3.1 Gli esordi cremazionisti: Milano e la Massoneria come spinte iniziali ............. 99 3.2 2 Un breve excursus sulle città italiane ............................................................ 116 3.3 Il caso di Livorno ............................................................................................ 125 3.4 La cremazione durante il Fascismo ................................................................. 138 3.5 Il caso di Torino .............................................................................................. 140 3.6 Gli orientamenti e le evoluzioni in campo religioso ....................................... 149 3.7 Verso gli scenari contemporanei ..................................................................... 154 Conclusioni ........................................................................................................... 159 Bibliografia............................................................................................................ 163

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Introduzione

In questo lavoro di ricerca ci proponiamo di iniziare ad inquadrare in termini sociologici la pratica della cremazione in Europa. Il fenomeno, molto sfaccettato da paese a paese e ancora poco studiato, ben si inserisce all’interno del filone di ricerca dei Death Studies. Il nostro quindi sarà un lavoro iniziale. In fase sperimentale ci siamo innanzitutto posti l’obiettivo di ricostruire statisticamente l’oggetto della nostra ricerca in termini quantitativi. In appendice a questo lavoro presentiamo infatti il censimento di cremati e crematori sulla base della popolazione e dei morti per ogni paese europeo: dati ricostruiti da database esistenti ma spesso non ordinati e lacunosi: abbiamo così aggregato le fonti di alcuni lavori come l’Enciclopedia della Cremazione di Davies e Mates, della Società per la Cremazione della Gran Bretagna su dati demografici dell’ONU e dell’ Eurostat dove pure incidono parcellizzazioni territoriali come la riunificazione della Repubblica Ceca, la caduta dell’Urss, la divisione delle due Germanie e la dissoluzione della Jugoslavia. I nostri dati partono dal 1876 per arrivare al 2014. Trattandosi di una mole di dati copiosi in formato Excel, abbiamo provveduto a creare un’estensione on line di questo file che non è allegato alle pagine di questo lavoro ma disponibile su Academia.edu con il nome di European Cremation Database 1876 – 2014 consultabile al link: https://tinyurl.com/cremationdatabase

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Sul piano qualitativo, questo lavoro ha preso in esame anche diversi sopralluoghi da me compiuti in città italiane ed europee (Milano, Livorno, Pisa, Bologna, Cava de’Tirreni (SA), Amsterdam, Amburgo,

Barcellona, Copenaghen, Francoforte,

Madrid, Toledo, Siviglia). I casi più interessanti al fine della nostra ricerca rientrano tra queste pagine con una nostra documentazione fotografica. A parte casi come Milano e Livorno, molte delle città toccate non hanno una valenza in termini assoluti sulle cremazioni, ma ci aiutano a capire le differenze in termini di organizzazione cimiteriale da paese a paese, frutto di secoli di differenziali di welfare, attitudini religiose e posizione geografica. Passiamo ora al piano dell’opera. Nel capitolo 1 tratteremo la differenza sostanziale tra le narrazioni delle due civiltà religiose esistenti in Europa: Cristianesimo ed Ebraismo e come, nel tempo l’urbanizzazione ne modifichi l’apporto con il fiorire nell’Ottocento di pratiche come la medicalizzazione, l’individualizzazione e l’ascesa della borghesia. Sarà questa la base della letteratura teorica della nostra ricerca con fonti come Ariès e Vovelle oltre ad una nutrita letteratura sociologica fiorita in un corpus di opere di Antonio Cavicchia Scalamonti e i suoi collaboratori presso l’Università Federico II di Napoli. Tratteremo in particolare della diversità di approccio dell’atteggiamento ebraico e di quello cristiano.

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Tracceremo le tappe fondamentali del cambiamento dei costumi che portano alla costruzione di cimiteri e alle sepolture individuali, una storia in cui la cremazione non è che l’ultimo anello di un processo di mutamento ancora in corso. Quanto alla desacralizzazione, problematizzeremo se essa è davvero un processo di laicizzazione o qualcosa di diverso. Non mancheranno gli aspetti organizzativi e commerciali come quello delle pompe funebri. Passando alla fase operativa analizzeremo prima lo scenario europeo poi nello specifico quello italiano. Nel capitolo 2, per tanto, tratteremo un’analisi dei casi europei appoggiandoci in particolare ad un nostro inquadramento nuovo in letteratura che vede le città che hanno ereditato lo status di porti franchi e città libere che si configurano come avanzate sulla pratica della cremazione visto il loro mélange culturale (in primis la presenza ebraica) e quindi più idonee al mutamento sociale che le trasforma in hub, snodi di comunicazione, che attraverso reti di trasporto si internazionalizzano rendendo la cremazione una pratica da persone in transito. Tesi affascinante quanto problematica per la sua mobilità che tende a disintegrare la struttura di base dello Stato – nazione e della sua legislazione sulla fortuna della cremazione che rende mossa la fotografia dei dati esistenti per un identikit dei cremati. È vero anche che le cremazioni saranno tanto maggiori quanto minore è l’eredità storica dell’apparato feudale ereditato. Inoltre, la cremazione sarà molto attiva in quelle città dove c’è propensione alla finanza e all’analisi del rischio dove cioè è più sviluppato il senso delle assicurazioni private in forma di previdenza che porteranno ad uno sviluppo altresì di previdenza funeraria e 11


di autotassazione per la creazione di Società Crematorie che saranno più propense ad esistere in città dove – per dirla con Putnam – il grado di coscienza civica è maggiore e sviluppa capitale sociale. Non manca qui uno studio sulla presenza ebraica che sposa comunità di arrivo più o meno aperte alla loro presenza e in caso di esito positivo, ne amplifica la portata innovativa con il loro estro laicizzante di negazione della morte. Tracceremo poi schede analitiche sui primi paesi che giungono a creare associazioni pro-cremazione e apertura di crematori dal 1876 al 1930. Soprattutto nel caso dell’Italia, esaminato nel capitolo 3, i toni hanno un carattere militante della pratica crematoria in funzione anticlericale, massonica, radicale e anti fascista. La nostra bibliografia di riferimento al caso nazionale è soprattutto frutto della Fondazione Ariodante Fabbretti e ha un particolare focus sul periodo postRisorgimentale dal 1880 al 1920. Si tratta di fonti molto inquadrate in ottica storica e con un’ enfasi stilistica ottocentesca, a noi è toccato anche ripulirle e ricostruirle in uno stile e in ottica sociologica più fluida: resta l’enorme mole di dati e date sul lungo periodo che abbiamo cercato il più possibile di rendere organici sia in chiave cronologica che per nuclei tematici. Sarà questa l’occasione anche per trattare il tema della Massoneria in Italia, che, oggi nella storiografia non ha ancora una posizione definitiva, ma che nei primi del Novecento ha svolto un ruolo importante nella sinistra radicale e vicino all’accettazione di minoranze religiose riconoscendosi per lo più nel più moderato Rito Scozzese ma che avrà riferimenti anche al rito simbolico. L’Italia sarà un laboratorio civico per la nascita di associazioni di mutuo soccorso da cui saranno gettate le basi 12


anche per creare associazioni cremazionistiche. Il Risorgimento prima come motore propulsore e positivista, il Fascismo poi come inibitore di ulteriori spinte ma che unirà gli antifascisti in chiave antagonista saranno le basi del nostro caso di studio. Poco c’è di accademico sui trend attuali che cercheremo di ricostruire per sommi capi sulla base dell’eredità storica. Dell’Italia analizzeremo soprattutto il caso di Milano (apripista europeo), Livorno e Torino.

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La cremazione sembra una soluzione semplice e pulita, non vista di buon occhio, è vero, dai cattolici e dagli ambienti ebraici ortodossi ma sanzionata dalle religioni "di maggioranza" negli Stati Uniti. Parla al cuore degli amanti della natura e del poeta, che si compiacciono di immaginare i loro resti mortali dispersi su assolati pendii o spiagge remote. E' approvata dai razionalisti, da chi si preoccupa dell'igiene pubblica e della conservazione delle risorse naturali, e da chi vorrebbe veder la fine di tutte le assurdità che accompagnano i funerali del tipo consueto. Piace infine alle persone econome: logicamente vien fatto di pensare che la spesa sia di parecchie volte inferiore a quella necessaria per essere sotterrati. Molti hanno la vaga impressione che l'impresario di pompe funebri possa essere scavalcato, e che si possa fare a meno dell'imbalsamazione; che il crematorio provvederà a sistemare la salma in una cassa o in qualcos'altro che faccia al caso, e a consegnare il tutto alle fiamme; che l'unica spesa da pagare sarà il conto del crematorio, inferiore ai 100 dollari. (Il sistema di morte americano, Jessica Mitford)

Capitolo 1 Le dinamiche di una morte più leggera

Allo stato attuale, il fenomeno della cremazione in Europa – nei suoi frastagliati differenziali tra stati– risulta essere un processo in fieri e minoritario che fa ancora discutere. Una devianza sociale dal modello dominante o – generalizzando - una tendenza subculturale di nicchia?

È questo il simbolo di un lento ma costante

mutamento sociale? È destinato ad affermarsi? Quali sono le cause che lo stanno generando? Si tratta di un processo irreversibile? Il senso comune suggerirebbe un fenomeno di secolarizzazione che apre le porte a tanti concetti affrontati dai padri della sociologia, da Durkheim a Weber, ma, parafrasando Randall Collins, tenteremo qui un’operazione di sociologia non ovvia, un’analisi di scenario introduttiva della logica disgregatrice del modello dominante dell’inumazione 14


funeraria e del declino dei suoi effetti gotici dell’immagine della morte. Anticipiamo che la cremazione nei termini moderni in cui la concepiamo oggi, vede l’utilizzo del primo forno crematorio a Milano nel 1876. Prima di un’indagine operativa, introdurremo in questo capitolo un’analisi delle fasi del mutamento di scenario che hanno in qualche modo agevolato questa accettazione. Cominciamo la nostra analisi dunque con uno sguardo critico alle radici cristiane ed ebraiche della tradizione europea per poi concentrarci su scenari delle società tipiche dell’ascesa borghese del Sette-Ottocento, tema caro ai classici della sociologia di cui possiamo riconoscere fenomeni di individualizzazione, secolarizzazione, progresso, scoperte scientifiche che dovrebbero in qualche modo farci familiarizzare con la pratica crematoria. 1.1 Le radici religiose europee: sfidare la morte e negare la morte. Dogmi ebraici e cristiani a confronto

Con il declino delle società di età classica di Greci, Romani ed Etruschi che vedevano la cremazione come un fenomeno diffuso e purificatore, l’avvento del monoteismo e delle religioni abramitiche ne fece un tabù relegando i cadaveri alla sepoltura. Eppure a ben guardare, Ebraismo e Cristianesimo con i loro rispettivi continuum di credenze e agire sociale portano a esiti diversi. Su queste due culture si basano i narrative framework delle costruzioni del pensiero psicologico dell’Europa. 15


Seguendo l’intuizione della teoria di Franz Borkenau (in Cavicchia Scalamonti, 1984: 131-135), segnaliamo e analizziamo i due approcci di queste culture: - sfidare la morte - negare la morte L’approccio sfida alla morte che prevale nella civiltà ebraica in cui è più concreta una somiglianza mitica con l’età classica, si assume che: L'antichità classica è scomparsa mentre la civiltà ebraica è sopravvissuta in un'epoca completamene diversa e, anche se con esitazione, ha adottato le credenze di base di quest'epoca, incluso l'immortalità bensì la gloria futura ed il dominio del mondo di Israele. La soluzione del problema per l'Ebraismo, fu il trasferimento dell'immortalità dall'individuo alla comunità. La parallela soluzione Ellenica fu la celebrazione della gloria eterna dell'individuo, l'eroe che sopravvive alla morte con la sua forma.

La concezione di We Society dell’immortalità nella comunità piuttosto che nel singolo, ben si approccia con un accento sul mondo terreno e concreto piuttosto che nella credenza di un universo ultramondano e di una salvezza sperata. La salvezza è dunque già compiuta nella sopravvivenza del popolo in sé, il che dovrebbe lasciare la morte del singolo sullo sfondo e il concentrarsi nella concretezza della vita terrena per perpetuare la sopravvivenza della comunità. Questa sarà anche la chiave, la tesi forte, su cui poggia la rielaborazione del lutto 16


della Shoah. A titolo esemplificativo, un midrash del Berechit-Rabba, un’interpretazione rabbinica sulle origini del mondo, ci dice che Iddio provò a creare il mondo fallendo ventisei volte, fallendo sempre. Egli vi riuscì solo alla ventisettesima, pronunciando poi queste stupefacenti parole: Speriamo che regga! Parole straordinarie e terribili perché riportano nella coscienza ebraica il segno dell’insicurezza radicale, della costante precarietà storica. (Cavicchia Scalamonti, 1984:40) Di fronte a tale modo di vedere più che di angoscia in senso stretto, l’ebraismo risponde con un riempimento della vita terrena attraverso azioni pratiche e umane come la cultura come segnale di vita e presenza. Essa nasce proprio rimuovendo o accantonando o negando la consapevolezza della morte come strumento antimnemonico per dimenticare quello di cui gli umani sono consapevoli, cioè la coscienza della morte del singolo (Bauman 1995: 43). Una morte del singolo che nella cultura ebraica è accettata e minimizzata. In contrapposizione a questa narrazione del mito greco-ebraico della sfida alla morte, la negazione della morte cristiana raggiunge un grado di ossessione della morte, colmato soltanto dalla credenza di una vita nell’aldilà al pari del culto dell’antico Egitto. Come nota Smart (in Cavicchia Scalamonti 106: 84)il Cristianesimo ereditò dal culto zoroastriano il concetto di immortalità dell’anima da cui molti cristiani dei primi tempi concepirono la resurrezione come in un futuro prossimo. Ma quando 17


ciò non si concretizzò, divenne naturale adottare la credenza in un’anima immortale e di una vita ultramondana. Ciò quindi è stata la base di narrazioni cristiane con approcci all’al di là che sono più o meno calcati a seconda dei gradi di intensità o secolarizzazione dei vari esiti del Cristianesimo (cattolico, luterano, calvinista, ortodosso, etc). Prosegue quindi Borkenau che, la mancanza di fede nella sopravvivenza lascia un vuoto che deve essere riempito; al contrario, laddove esiste questa credenza non vi è nessun vuoto e nessuno spazio per una regressione di tipo paranoico. (in Cavicchia Scalamonti 1984:133)

Se, dunque, il cristianesimo giungesse ad un processo di secolarizzazione e ciò accostasse ad una concezione di tipo sfida alla morte, ci troveremo davanti ad un effetto revival di atteggiamenti dell’età classica, quello che effettivamente ha avuto luogo nel Rinascimento e con i Lumi (Cavicchia Scalamonti, 1984:135). Secondo questa visione, Cavicchia Scalamonti legge in Borkenau una sorta di entropia del Cristianesimo. Il suo elemento magico, la sua ossessione della morte:

ha completato finalmente il suo ciclo storico e conseguentemente ci dice anche che in questa cultura vi è stata un'oscillazione verso dei valori che sono stati caratteristici di un'epoca precedente. (Cavicchia Scalamonti: 2003:47) 18


C’è però un’obiezione: Cavicchia Scalamonti critica Borkenau segnalando la lacuna che non spiega la relazione esistente tra i tipi di società e gli orientamenti stessi (Abbruzzese, Cavicchia Scalamonti, 1992,18) e quindi non ci aiuta a comprendere se ad esempio ci sia contaminazione tra morale ebraica e morale cristiana e se cioè esistano sincretismi e livelli di interazione e scambio all’interno delle società tra queste due narrazioni. Un’interazione flessibile e di una certa elasticità che non andrebbe sottovalutata vista la stabilità resiliente delle società cristiane e la flessibilità spaziale e dei network delle comunità ebraiche più esposte al cambiamento. Effettivamente, possiamo ipotizzare che il movimento generi mutazione sociale. A tal proposito Kolkowski ci segnala che (in Cavicchia Scalamonti, 1991:81) : sacralizzare vuol dire rendere immobile (il sacro come fuga del tempo) mentre desacralizzare vuol dire privare l’oggetto, già sacralizzato, di un plus-valore che spinge a perseguire questo valore. In questa chiave, la credenza è il luogo della sacralizzazione, mentre il mutamento comporta necessariamente la desacralizzazione. Quest’ultima (privatizzazione di valore) comporta indeterminazione e conseguentemente “perdita del senso di appartenenza collettivo”, quindi anomia, nel senso di vuoto e di distanziamento (alienazione) ri-emerso. Ciò spiega anche l’estrema difficoltà di accettazione di quei simboli il cui significante rimanda ad un significato

di

“separazione”

difficilmente

sopportabile.

Mentre

l’appartenenza, l’equivalente cioè di “stare insieme” (l’esatto contrario della separazione) è alla base della credenza e ne costituisce la sua funzione 19


latente. In più (Borkenau in Cavicchia Scalamonti 1984: 129) rivela quanto un ritorno arcaico, sia in realtà un fenomeno di post-Cristianesimo con elementi di novità. Ciò è logico perché un revival del classico si sommerebbe agli apparati strutturali e funzionalistici dell’era moderna con tutti i suoi effetti a valanga dovuti al progresso tecnologico e demografico che mette in scena una realtà avanzata rispetto all’idealtipo arcaico di base.

Ogni cultura cerca una sintesi (sfida della morte e negazione della morte) ma nessuna sintesi dura per sempre, perché non esiste duratura soluzione quando

sono

presenti

simultaneamente

due

esperienze

interiori

incompatibili. Ora quando un certo tipo di sintesi fallisce, il pendolo tra i due estremi - dice Borkenau - tende a tornare al punto di partenza. Questo spiega perché quando una civiltà collassa, generalmente si muove ritornando (anche se in modo parziale) verso il diniego della morte. Questo aspetto della cultura (il diniego) è il più profondamente radicato di tutti gli archetipi dal momento che è, con tutta probabilità, cronologicamente legato alla primitiva coscienza della mortalità umana. "Il collasso di una civiltà superiore dunque comporta regolarmente un ritorno parziale verso il diniego della morte. Questo ritorno parziale a quale elementi di novità sarebbe associato? 20


Tutti coloro che negli anni ’70 e ’80 si sono occupati della morte della società moderna e contemporanea (Luis-Vincent Thomas, Michel Vovelle, Philippe Ariès, Jean Baudrillard, Jean Ziegler e Jean- Didier Urbain ) concordano su alcuni temi fondamentali (Cavicchia Scalamonti: 2003: 56) : - la scomparsa della morte dalla scena - la medicalizzazione della morte - la semplificazione dei riti funebri - l’individualizzazione - l’abbandono dei cimiteri Riteniamo che a questi fenomeni, in cui lo spettro dell’elemento della borghesia nascente e della razionalità sembra far da padrone, nel corso della nostra analisi ne vadano aggiunti altri ritenuti di primaria importanza: - l’urbanizzazione - la divisione Stato/Chiesa - una nuova pedagogia familiare - la commercializzazione funeraria Andiamo qui di seguito ad analizzarli.

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1.2 Individualizzazione Partiamo con il passaggio dalla società comunitaria alla reductium ad unum del soggetto. L’individualizzazione e dunque lo sviluppo della coscienza dell’Io come unità fondante della società e della vita quotidiana. Se l’individualizzazione è un classico dell’ascesa dei segni di riconoscimento di una nuova borghesia Ottocentesca cara a Weber, ci pare doveroso analizzare come ci sia arrivati. Diamo qui per assodata una correlazione tra individualismo e urbanizzazione (si pensi ad esempio alla Parigi del Barone Hausmann, a Londra, ma anche a Milano e Torino). Un fenomeno questo che tende a parcellizzare e nuclearizzare la famiglia: la sua socializzazione sposta l’autorità verticalizzata di tipo patriarcale al piccolo nucleo legato

alla

classe

lavoratrice

sempre

più

inquadrata

come

soggetto

dell’industrializzazione e della libera professione. La chiave strutturalista suggerisce che religione, comunità e condizionamento sociale siano alla base dei cardini delle società a impianto tradizionale caratterizzate da un basso livello di individualizzazione (Cavicchia Scalamonti, 2003:56). Invece, la tendenza all’individualismo e alla logica disgregativa della comunità indica un processo evolutivo. Se dunque come dice Durkheim, la religione non è altro che la società che adora sé stessa e che si autocompiace del suo essere, il disincanto del mondo è anche il declino della società coesa. Bisogna considerare che diversità nel grado d’individualizzazione possono coesistere in una stessa società in un’ottica di stratificazione sociale. Spesso, infatti, le élite 22


dominanti possiedono un grado d’individualizzazione notevolmente più elevato rispetto alla restante parte della popolazione (Cavicchia Scalamonti 1984:30) e rappresentano il ceto innovatore. La fede nella scienza e il declino della violenza portano a miglioramenti demografici, la morte diviene sempre meno centrale e relegata all’età anziana giustificata da un innalzamento della speranza di vita e un declino della violenza che rende la morte per vecchiaia un esito sempre più normale. Come risultato abbiamo che le società moderne sono riuscite ampiamente a contenere la dirompenza sociale della mortalità. Ma l'impatto della morte su una società non è semplicemente una questione di considerazioni demografiche quali il tasso di morte e le dimensioni del gruppo sociale. La maniera in cui la società è organizzata, le modalità con cui essa gestisce la morte come crisi e il modo in cui le pratiche d morte e le istituzioni mortuarie sono legate alla struttura sociale sono altrettanto centrali. (Blauner in Cavicchia Scalamonti, 1984: 141) Cambia cioè la rilevanza sociale del morto (Blauner in Cavicchia Scalamonti, 1984:150). Infatti se la morte in vecchiaia sarà sempre più frequente e l’anziano sarà sempre più segregato all’infuori della classe produttiva, il suo essere outgroup dalla forza lavoro, diminuisce l’intensità drammatica della sua perdita per la collettività. Da ciò il declino dell'autorità dei morti e l'aumentare della distanza sociale tra essi e i vivi 23


sono al tempo stesso condizioni e conseguenze dell'orientamento verso la gioventù, l’apertura sociale verso la recettività all'innovazione e il cambiamento sociale che caratterizza la società moderna. C’è dunque un grado di alienazione dove la mobilità e il cambiamento sociale hanno eliminato il significato degli anziani come vincolo alle «radici». (Blauer in Cavicchia Scalamonti, 1984:163-164) Ciò quindi renderebbe il mondo urbano e industrializzato più scevro da condizionamenti sociali. Allo stesso modo, invece, nella società rurali e resilienti con scarsa propensione all’innovazione, i morti continuano a avere un ruolo influente nella scrittura dei vivi, non c'è alcun periodo che segni la fine delle connessioni di un individuo con la società e l'anziano, già prima di morire comincia a ricevere parte del rispetto e autorità che sono attribuiti al mondo degli spiriti. (Blauer in Cavicchia Scalamonti, 1984:164). Eppure, teniamolo a mente, nella visione disincantata e residuale dell’anziano, non c’è forse, curiosamente, un richiamo ebraico? La negazione della morte del singolo è vista come compimento di una vita lunga e sazia. Se prima infatti, la saggezza della senilità era un privilegio per pochi come i grandi profeti del Vecchio Testamento, ora è qualcosa di comune, letto in chiave di un compimento della vita terrena. La lunghezza e la prosperità sono dei segni tangibili di aver bene operato, tale da raggiungere la benevolenza divina. (Cavicchia Scalamonti:2006, 296). Sarebbe dunque il segnale di un revival. Passiamo ora all’analisi dell’immagine del memento mori. La morte a sfondo gotico e barocco di cadaveri in putrefazione e di tutto il suo macabro repertorio di rappresentazioni si semplifica e, anzi, scompare. Il cadavere rappresenta un'altra 24


conseguenza della mortalità che ne accresce il significato dirompente e tende a produrre paura, angoscia generalizzata e disgusto. La famiglia e il gruppo di lavoro devono riprendere in qualche modo la loro vita normale, quindi il tempo dell'esposizione del cadavere deve essere limitato. In questo cambio di percezione, tra l’altro, i bambini vengono allontanati dalla visione della morte (Vovelle, 2000: 636). La soppressione del lutto è dovuta ad una inesorabile costrizione sociale: la società rifiuta di partecipare all’emozione di chi è in lutto: una maniera di rifiutare, di fatto, la presenza della morte, anche se in linea di principio se ne ammette la realtà (Ariès 1985: 684) 1.3 Desacralizzazione Cosa spinge la morte, il passaggio di non senso per eccellenza a perdere il suo elemento magico, i suoi fronzoli religiosi e spirituali? Nella società urbana e del progresso prima di tutto il rito funebre si privatizza, la sua messa in scena come abbiamo visto, smette di essere un rituale sociale comunitario. E ancor di più il rito funebre si allontana dal tempio sacro. Comincia il processo di separazione tra Stato e Chiesa e della nascita del fondamento del diritto nella società razionale. È con lo spirito della Rivoluzione francese che il cimitero abbandona la cinta urbana là dove i segni della modernizzazione lasciano spazio alla città pulsante. Gli echi dei Lumi, ad esempio, evidenziano il decreto del 23 pratile dell’anno XII (12 giugno 1804 che conferma definitivamente il divieto di seppellire nelle chiese e lo rende possibile a non meno di 35-40 metri dalla cinta urbana. In questa reductio nasce 25


però anche il concetto di individualizzazione dei cadaveri. Si vieta la sovrapposizione e le sepolture diventano individuali, a prescindere dallo status sociale. Per ragioni di economia per i poveri fu soppressa la separazione fra sepolture, eppure, la sensibilità all’igiene impose principi mai più abbandonati. L’obbligo della bara e non di sacchi di tela e casse di fortuna resta. I poveri vengono inseriti in trincee seppelliti gli uni accanto agli altri, ma mai più sovrapposti. In più nessuna fossa doveva essere aperta o riutilizzata prima che fossero passati cinque anni. (Ariès, 1985: 608) Se l’espandersi dei grandi passaggi urbani prendono il sopravvento, il corteo dei funerali che intasano il traffico cittadino sarà sempre meno tollerato. Ulteriore nota che riduce la portata delle esequie mentre gli epitaffi scompaiono dalle tombe e sempre più l’interazione simbolica dei parenti superstiti intorno al cadavere, perde morbosità sollevata dalla medicalizzazione della morte da un lato e dagli impresari funebri che si occupano di ammortizzare la burocrazia del passaggio della morte attenuandone il folclore e l’elemento magico (Ariès, 1985:636-637). Vi è quindi un disincanto del mondo. Un fenomeno che non ha eguali né nel mondo né in Occidente, è un fattore peculiare europeo, a differenza di Stati Uniti e Giappone dove il sistema di credenze persiste. (Vitiello in Cavicchia Scalamonti, 2006:69). Quanto alla pratica secolarizzante e l’urbanizzazione, l’ascesa di una certa cultura borghese, ci pare propria di una certa visione del Cristianesimo riformato e che prende il ruolo di gruppo dominante nell’immaginario collettivo. Sentori di scristianizzazione e razionalizzazione in questa cultura, appaiono già nelle scritture testamentarie a partire dal Seicento quando è la famiglia ad essere di primaria importanza per a discapito delle 26


clausole pie. (Vovelle, 2000:289-290) C’è poi un fattore più profondo che muove questo fenomeno: una nuova pedagogia famigliare. La crescita demografica, il declino della morte e la maggiore caratterizzazione del nucleo famigliare, plasma una visione del gruppo parentale più affettiva e non un semplice network di interessi strategico. È il sintomo della presenza dell’uomo libertino. Il testatore non è più puntiglioso e severo nei riguardi degli eredi ma diventa un moribondo fiducioso: il testamento laicizzato, ridotto alla disposizione dei beni terreni, esprimerebbe una fiducia, e sarebbe alla fin fine la manifestazione nuova di una certezza immutata. (Vovelle, 2000: 370-371). È Il segnale di una nuova sensibilità, una fase sentimentale figlia della pedagogia di Rosseau. Sempre Vovelle ci segnala il passaggio dalla “mia morte” (fase egoistica, se così può dirsi, dell’individualizzazione crescente dell’avventura umana) alla “tua morte” che trasferisce lo scandalo sull’essere amato, nel quadro di una famiglia più avvolgente, in cui primeggiano i rapporti affettivi. Vitiello però ci segnala tre differenti visioni di secolarizzazione. (Vitiello in Cavicchia Scalamonti: 2006, 67) - La tesi forte è l’eclissi del sacro e la scomparsa del riferimento al soprannaturale nella vita sociale - La tesi intermedia dove la religione non scompare del tutto ma si privatizza 27


- La tesi minima dove la secolarizzazione in cui gli elementi religiosi vengono trasposti all’ambito profano creando equivalenti funzionali della religione (può essere questo il caso delle grandi narrazioni dei partiti politici o di altri rituali aggregativi di profonda immedesimazione) Verificheremo questa tendenza nel corso della nostra analisi. 1.4 Medicalizzazione La gestione della morte diventa un oggetto, una pratica burocratica gestita asetticamente al di fuori della famiglia, presa in carico dalla medicina, catalizzatore tra l’altro della visione igienista e asettica della morte. Se come dice Blauner (in Cavicchia Scalamonti, 1984:158) in Occidente, sia la riduzione dei tassi di mortalità che il laicismo e la mentalità di tipo di cerimonie sono diventate significative. Nel contesto moderno questo tipo di cerimonie sono diventate degli eventi relativamente poco importanti per la vita dell'intera società; col ridursi dell'evidenza della morte, anche la percezione della realtà e l'effettivo status e potere dei morti nella società moderne sono diminuiti. (Blauer in Cavicchia Scalamonti 1984:161). Un fattore centrale in ciò è stato lo sviluppo scientifico. In più i morti non sono importanti per la vita della società, i morti come categoria collettiva non saranno molto significativi per i vivi: Il progresso della scienza che giustifica ciò, funziona contemporaneamente come comodo alibi e come forma di razionalizzazione. E ancora, la “neutralizzazione affettiva” viene operata attraverso un processo di 28


“materializzazione” in cui si vede all’opera la forza della negazione. Chi muore non è un “centro” simbolico da cui si dipartono le diramazioni costituite dai legami affettivi, bensì un agglomerato fisico tenuto insieme in equilibrio meccanico, così che quando un “pezzo” si guasta ed è ormai insostituibile, la macchina si ferma per sempre e conseguentemente va scartata. Ed è paradossale che una civiltà che ha avuto impulso da un potente “rigonfiamento dell’Io”, trasformi poi i suoi membri in pezzi assolutamente intercambiabili (Cavicchia Scalamonti, 1991: 115)

La morte viene quindi occultata dai sistemi esperti della scienza. I familiari e l’uomo comune acquisiscono un’incapacità alla gestione del thanatos, tanto familiare a tutte le culture precedenti. Ciò accentua altresì il disagio legato alla malattia grave, della ripugnanza fisica che provoca, del bisogno di nasconderla a sé e agli altri. (Ariès, 1985: 690). La morte diventa insomma un concetto fuori dall’ordinario e negativo per l’andamento rampante di una società sempre più competitiva e in crescita. 1.5 Pompe funebri L’allontanamento del cimitero dei luoghi di culto ha creato un nuovo spazio urbano, la medicalizzazione ha saputo addomesticare la morte ad un sipario scientifico lontano dalla famiglia e anche l’imprenditoria funeraria ha saputo collocarsi fra questi due

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fenomeni in forma appunto di impresa, più o meno commercializzata e quindi lucrativa, capitalistica. Questo fenomeno, nella dimensione europea ha discrepanze notevoli nei diversi modelli di welfare e che, in parte comincia a giustificarci il perché di una certa diversità nell’accettazione della cremazione. Raymond Ariès (Ariès, 1985: 554) ci offre una tipizzazione di tre modelli di gestione della morte urbana. - Il modello arcaico (Napoli): è resiliente di una cultura legata al potere religioso e all’antica solidarietà comunitaria (ad esempio attraverso le confraternite) anche se ritoccato in seguito con alcuni elementi di modernità - Il modello municipalizzato (Francia della Rivoluzione Francese e dell’Impero): è la tipologia adottata con una concezione della visione laica della morte in cui la gestione passa dalle autorità ecclesiali alla gestione pubblica in forma di monopolio in cui è lo stato o più frequentemente la municipalità delegata, detiene il monopolio o la regolamentazione della gestione funeraria. - Il modello liberale (Gran Bretagna, Stati Uniti): si tratta della libera gestione privata degli affari funebri con pompe gestite da liberi professionisti (un modello su cui si legifera in epoca vittoriana con il Metropolitan Act del 1850). In particolare, il modello anglosassone porta elementi di novità: prima di tutto la morte diventa commercializzata. Si tratta di liberi professionisti (falegnami, carpentieri e

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maestri di posta) che già dal Settecento svolgono la professione di imprenditori funebri a tempo parziale. Gli undertakers inglesi seppelliscono i morti, e i funerals directors americani, addirittura li prepareranno, li ospitano e se ne prendono cura fino all’alloggiamento nelle necropoli. In particolare, negli Stati Uniti durante la guerra di Secessione, la necessità di rimpatriare le salme britanniche dei caduti in combattimento fa sputare sui campi di battaglia un personaggio nuovo, l’imbalsamatore che entrerà sulla scena al fianco della pratica della cremazione, pratiche che rendono la morte logisticamente trasportabile alla maniera di un bagaglio a mano abbattendone costi e burocrazia. Nel frattempo, prosegue Ariès, l’Inghilterra ha conosciuto una rivoluzione più complessa. Nel decennio 1840-50 Londra conta 1.025 undertakers, di cui 275 a pieno tempo. Sono molti, anzi troppi, dicono i loro avversari, per una città che registra una media di soli 114 morti al giorno. Nel quadro del grande dibattito di metà secolo, comitati di uomini di Chiesa, di “ecclesiologisti”, denunciano aspramente le invenzioni dei tecnici della morte, ai loro occhi di dubbio gusto ma la Chiesa ammette anche una certa incapacità di riappropriarsi di rituali sacri spiazzati dalla nuova logica dell’urbanizzazione.

1.6 Conclusioni Abbiamo qui tracciato le varie dinamiche della sempre crescente leggerezza della 31


morte sotto la lente dell’Europa imborghesita a partire dall’età dei Lumi. Abbiamo distinto inizialmente i processi di negazione e sfida della morte di ebraismo e cristianesimo e abbiamo visto come essi si applicano e svaniscono alla prova dell’urbanizzazione. È la città la dimensione più fertile al mutamento sociale. L’individualizzazione pone l’uomo su un territorio di autocoscienza del sé che aliena l’elemento magico. La società cresce rapidamente e in maniera competitiva. La grande visione della morte folkloristica scompare: attraverso la costrizione sociale di città-macchina e società produttive, la dimensione del “tempo è denaro” diventa il mantra con cui la famiglia delega ad agenzie sociali la cura del morto: la medicina e le pompe funebri. Sistemi esperti che occultano la visione voyeuristica e materiale di cadaveri che tra l’altro, attraverso le evoluzioni demografiche, diventano sempre più indirizzate alle fasce d’età più anziane e quindi fuori dalla forza lavoro e inutili alla società produttiva in eterna competizione. Se la morte dell’anziano non è più quella del patriarca o della matrona che regola gli equilibri della grande unione famigliare, è anche vero che l’informalità del gruppo dei parenti stretti si afferma in una visione più romantica e affettiva piuttosto che frutto di strategie di attivazione di alleanze strategiche dei matrimoni che rende i testamenti svincolati da clausole pie e interessati alla salvaguardia della famiglia superstite. In tutto questo vi è una commercializzazione della morte. L’esempio maggiore lo abbiamo trovato nell’imprenditoria delle botteghe delle pompe funebri, o per lo 32


meno in una parte di esse: in quelle cioè volte ad un sistema privato e imprenditoriale (modello anglosassone) e laicizzato e regolato da municipalizzate (modello francese). Questi ci sembrano gli elementi di base funzionali ai fini della comprensione della fase operativa che segue per meglio comprendere la presenza, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, del fenomeno della cremazione che lentamente si muove in Europa con salti in avanti e battute d’arresto, apologeti e oppositori.

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Capitolo 2 La cremazione negli stati europei, un’indagine esplorativa Fino alla fine della sua vita Sabina continuerà a ricevere lettere da quel triste corrispondente di campagna. Molte rimarranno chiuse perché il paese al quale provengono la interessa sempre meno. Il vecchio è morto e Sabina si è t asfe itaài àCalifo ia.à“e p eàpiùàaào ide te,àse p eàpiùàlo ta oàdallaàBoe ia.àVe deà e eàiàsuoià uad iàeàl’á e i aà le piace. Ma solo in superficie è un mondo estraneo. Lì sotto non né un nonno né uno zio. Ha paura di farsi rinchiudere in una bara e di farsi calare nella terra americana. Per questo un giorno ha scritto un testamento nel quale ha stabilito che il suo corpo morto dovrà essere cremato e le ceneri disperse. Tereza e Tom šàso oà o tiàsottoàilàseg oàdellaà pesa tezza.àLeià uoleà o i eàsottoàilàseg oàdellaàlegge ezza.à“a àpiùàlegge aàdell’a ia.à“e o doàPa e ide,à àilà passaggio dal negativo al positivo. Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’Essere Ho letto una volta che gli antichi saggi credevano che nel corpo ci fosse un ossicino minuscolo, indistruttibile, posto all’est e it àdellaàspi aàdo sale.à“ià hia aàluz in ebraico, e non si decompone dopo la morte né brucia nel fuoco. Da lì, daà uell’ossi i o, l’uo oà e à i eatoàalà o e toàdellaà esu ezio eàdeià o ti.àCosìàpe àu à e toàpe iodoàhoàfattoàu à pi oloàgio o:à e a oàdiài do i a eà ualeàfosseàilàluzàdelleàpe so eà heà o os e o.àVoglioàdi e,à ualeàfosseàl’ulti aà cosa che sarebbe rimasta di loro, impossibile da distruggere e dalla quale sarebbero stati ricreati. Ovviamente ho e atoàa heàilà io,à aà essu aàpa teàsoddisfa e aàtutteàleà o dizio i.àállo aàhoàs essoàdià e a lo.àL’hoàdi hia atoà dispe soàfi h àl’hoà istoà elà o tileàdellaàs uola.à“u itoà uell’ideaàsià à is egliataài à eàeà o àleià àso toàilàpe sie o,à folleàeàdol e,à heàfo seàilà ioàluzà o àsiàt o aàde t oàdià e,à e sìài àu ’alt aàpe so a. (David Grossman, Che tu sia per me il coltello) Nelle mani dell'industria, la cremazione è diventata solo un altro mezzo per spillare quattrini, principalmente attraverso la vendita di nicchie e urne più la "manutenzione perpetua". I cementary men fanno il possibile per impedire che dalle ceneri si disponga in altro modo; uno mi ha detto lamentosamente: "Se tutti volessero portar via le ceneri e disperderle o seppellirle privatamente, ben presto saremmo sul lastrico". I crematori, in concorrenza fra lor per guadagnarsi la benevolenza degli impresari di pompe funebri, dai quali dipendono per avere lavoro, naturalmente gli danno man forte. (Jessica Mitford, Il sistema di morte americano)

In questo capitolo introduciamo la fase operativa del nostro progetto di ricerca con una fase esplorativa di tipo qualitativo per una mappatura storiografica basata sui modelli di welfare. Tratteremo la dimensione europea del fenomeno cremazionista dalla sua prima apparizione nell’Europa dell’Ottocento. L’esordio di questo fenomeno vedrà come protagonista l’Italia e più precisamente il Cimitero Monumentale di Milano dove, dopo

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la costruzione del primo forno crematorio nel 1876, avverrà la cremazione del banchiere svizzero di fede protestante Alberto Keller. All’Italia, dedicheremo un capitolo a parte visto che si tratta di un caso particolare denso di conflittualità interna tra forze laicizzanti e Chiesa Cattolica Romana, lobbying di minoranze religiose (ebrei, valdesi, protestanti) e driving forces come quello della Massoneria, in particolare del Rito Scozzese. Quanto resta di tutto questo anche nello scenario europeo? Che ruolo ha l’Italia nella propagazione delle idee cremazioniste o quanto meno, in che misura gli attori che hanno caratterizzato la sua comparsa sono attivi anche all’estero? Partendo dal principio, possiamo individuare come gli esiti della Rivoluzione Francese abbiano sancito la sepoltura dei cadaveri in tombe individuali, a prescindere dall’estrazione sociale del soggetto. Siamo agli albori dell’Ottocento, ma dopo circa sessant’anni, il positivismo comincerà a lamentare il feticismo della tomba (Ariès: 1985, 638-639) e quindi a guardare oltre considerando la cremazione una distruzione del corpo più igienica, economica e ugualitaria soprattutto nelle realtà metropolitane dove la differenza delle sepolture tra ricchi e poveri diventa più evidente. Scattando una prima fotografia alla realtà europea delle cremazioni la sua mappatura ci rivela che tra il 1876 e il 1899 è l’Europa Occidentale ad essere la culla di questo fenomeno. Come evidenzia la mappa (Colombo 2017) la costruzione dei crematori avrà una distribuzione non sempre scontata. A prevalere è un reticolato di città a forte urbanizzazione. Anticipiamo che in Italia la spinta cremazionista avrà come motore propulsore la Massoneria che sfrutterà il suo ruolo continuando la sua cospirazione 35


messa in atto per la realizzazione dell’Unità d’Italia, quindi, avrà una sua forte peculiarità nazionale. Eppure, generalizzando, dell’Italia possiamo far tesoro con alcune dinamiche esportabili altrove. La cremazione infatti si estende nelle città portuali (Livorno, Venezia, Genova) e nelle città commerciali e finanziarie come Milano e Torino nonché in realtà connaturate dalla presenza di israeliti (più numerosa al nord piuttosto che al sud Italia, dove il fenomeno cremazionista è del tutto assente). È quindi lo Stato nazione nella sua unitarietà o sono gli andamenti delle singole città e agglomerati a incentivare o meno la presenza del fenomeno? Sul piano operativo, ciò ci indica che, non lo stato nazione con le sue macro strutture di leggi e di welfare, ma gli sfondi microsociologici delle singole città e dei loro potenziali contiene o meno traiettorie inclini ad accogliere il fenomeno cremazionista. Ci troviamo di fronte quindi ad una problematizzazione di tipo multidimensionale. Per ricostruire le dinamiche di ogni nazione da un punto di vista qualitativo, ci serviremo soprattutto del prezioso contributo dell’Enciclopedia of Cremation (Davies, Mates: 2005).

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Da questo primo cerchio concentrico possiamo notare diversi fenomeni.

Crematoria in European cities, 1876-1899 Source: History of Cremation in European Cities Database, Google maps: https://www.google.com/maps(Colombo: 2017)

1. La cremazione si diffonde principalmente dove il vecchio regime delle società feudali è nitidamente estinto (e ciò, vedremo, non è solo un altro modo di chiamare

l’urbanizzazione

dato

che

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incide

significativamente

anche


sull’abolizione di gilde e divieti che agevolano la società ebraica insediata a divenire ceto innovatore)

Le città portuali come Livorno (prima in Europa per la cremazione) Amburgo, Londra e Copenaghen (con il cimitero di Bisperjerg), Goteborg, Stoccolma diventano molto propense alla cremazione. Tra queste città in particolare spiccano quelle con lo stato di “città libere” e “città imperiali libere”, si tratta di porti franchi caratterizzati da spinte laicizzanti e lontananza dal clero e dagli obblighi feudali. In più, la vicinanza ai porti favorisce una spinta alla globalizzazione e all’incontro con altre nazioni e culture ma anche perché sarà molto comune l’installazione dei forni crematori a bordo dei transatlantici (Conti F., Isastia A.M., Tarozzi F.,1998:81) e la propensione dei lavoratori vicina a questo rito funebre. 3. Città finanziarie come Basilea, Londra, Milano e Zurigo hanno sistemi welfaristici molto inclini alla cultura delle assicurazioni private. Ciò torna utile in molte nazioni in cui la creazione di società cremazioniste ha base volontaria fondata sull’associazionismo dei singoli soci legati da un vincolo di “previdenza funeraria”, il versamento di una quota una tantum per assicurarsi in vita un risparmio forzoso volto a versare fondi per il proprio funerale e a mantenere in vita la pratica cremazionista, sia essa di tipo associazionistico puro o su base commerciale come in Gran Bretagna.

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2.1 Una precisazione interessante: le comunità israelitiche e il loro impatto

Prima di addentrarci più proficuamente all’interno dell’analisi empirica della cremazione, ci sembra utile riportare alcune dinamiche proprie delle comunità ebraiche sparse in Europa che contribuiscono ad avvalorare alcune nostre traiettorie di analisi: ciò perché, insediandoli nella nostra mappa come variabile spia, notiamo dove avvengono mutazioni sociali e assetti positivi al fenomeno della nostra ricerca (apertura commerciale, ambienti liberali, laicizzazione). Una precisazione da fare sul piano semantico è che per ebrei non indichiamo esattamente una cultura religiosa (che anzi appare desacralizzata), ma in senso più ampio un gruppo sociale con una sua gamma valoriale che, come si vedrà diventa un amalgama ad un certo tipo di società in cui sono inseriti (ad esempio di apertura all’analisi del rischio o ad un certo tipo di mestieri), è insomma un’unità di capitale sociale variegato e con esiti non standardizzati in quanto, l’interazione territoriale permette o meno la diffusione del loro raggio d’azione. Non è quindi l’ebreo in quanto tale, ma la recidività di un territorio con la sua gamma di variabili a rendere possibile alcuni significati. Gli ebrei, qui presi come variabile esterna, ci aiutano a comprendere meglio le varie casistiche territoriali, frammentate, il tutto ai fini di un’analisi ecologica tra comunità di accoglienza con il suo welfare e le sue dinamiche e variabile esterna. In particolare gli ebrei ottocenteschi, avranno in Europa Occidentale dinamiche interessanti a seguito della fine del feudalesimo e quindi della fine dei ghetti. Ciò li rende una minoranza aperta alle culture maggioritarie, spesso caratterizzati da un’ 39


inclinazione al commercio e all’innovazione che li rende divulgatori di nuove pratiche, appunto come quella della cremazione: sono una sorta di globalizzatori, dotati di mobilità territoriale e fortune altalenanti, saranno un motore propulsore per agevolare circolazioni di idee su scala internazionale. La loro presenza diventa più individualistica, la religione diventa un fatto privato e l’essere ebreo moderno è percepito come un tratto della personalità. Gli andamenti delle varie comunità restano talvolta ciclici e altalenanti, mai rettilinei, ma l’interessante saggio di storia economica di Jacques Attali, Gli Ebrei, Il Mondo, Il Denaro (2003) ci rivela scenari utili per il nostro percorso, che tenteremo di ricostruire in un’ottica pre-1939, quando lo spettro dell’Olocausto investirà nella visione della cremazione il suo triste presagio e rovesciando molte sue ideologie e intenti (anche se gli autori della nostra letteratura di riferimento cercheranno di evitare di sopperire a questo cataclisma che appare come un’interferenza nell’immaginario della cremazione così come venne concepita per ideologia politica e tecnologie ai suoi albori). Teniamo dunque a mente qualche appunto, anche se alcuni riferimenti risalgono a tempi differenti alla nostra ricerca, diventano un tratto strutturale di alcune nostre realtà prese in esame:  L’Italia o meglio, gli stati italiani preunitari, hanno diviso le comunità ebraiche in due forme politiche, esistono le città feudali che accolgono gli ebrei come prestatori e artigiani e li chiudono di notte nei ghetti; le altre, le città mercantili, li ricevono in quanto agenti del grande commercio e li lasciano vivere in tutta 40


libertà (Attali, 2003:258) Ciò avrà però ricadute sulla linea di partenza delle diverse realtà con l’abolizione degli obblighi feudali (1789) creando così una partenza differenziata. La Toscana, è in particolare l’unica regione italiana dove il Papato non esercita una presenza eccessiva, su tutte spicca la città di Livorno: dichiarata porto franco nel 1548 (i Medici ne vogliono fare la rivale di Ancona), rimane ospitale per gli ebrei. Possono esercitarvi tutti i mestieri, e perfino occupare impieghi pubblici. Privilegio supremo: la città garantisce loro l’immunità di fronte all’Inquisizione per le trasgressioni passate; in altre parole, i conversos livornesi conservano il diritto di ridiventare ebrei senza essere considerati “relapsi”. Da ogni parte, ci si viene quindi a stabilire in questa rara città d’Europa senza ghetto: mentre nel 1600 vi risiede un centinaio di ebrei, sono tremila nel 1689 e cinquemila alla fine del secolo. Si considerano ben presto un’élite ebraica, così come faranno più tardi gli ebrei tedeschi. Nel 1600, un medico, Moise Cordovero, è anche un importante banchiere. Alcuni creano imprese di tessitura della seta, di soffieria del vetro, di artigianato del corallo. Commerciano con Algeri, Tunisi, l’India e il Brasile – da dove importano, nel 1632, il primo caffè in Italia. I loro stampatori pubblicano tutti i libri di preghiere usati in Africa del nord sono considerevoli. Dopo Amsterdam, Livorno diventa il secondo grande centro dell’attività commerciale, della stampa e della vita intellettuale ebraica. E’ importante notare come, la spinta degli ebrei come ceto innovatore abbia già in tempi remoti spinte laicizzanti e contrapposizioni interne, è il caso, quello dei sefarditi 41


(ebrei della Spagna) di apparire più emancipati rispetto agli ebrei del rabbinato romano (uno dei più antichi dopo Gerusalemme e più vicino a una certa ortodossia): nel 1492, papa Alessandro VI accoglie nei suoi Stati alcuni esuli di Spagna e del Portogallo, soprattutto banchieri che potevano pagare molto cara la loro licenza. (…) Gli ebrei venuti dalla Spagna vi giungono con i loro riti; si sentono così profondamente differenti dai loro correligionari insediati lì talvolta da più di quindici secoli, che non si mescolano a loro; alcune vecchie comunità, per difendersi, allontanano i nuovi arrivati. In capo a vent’anni, tuttavia, l’integrazione si realizza: nel 1524, gli ebrei di Roma, stabilitisi da tempi antichissimi, accettano infine di dividere la direzione delle comunità con i recenti rifugiati dalla Spagna, dalla Francia e dalla Germania.  Presso gli Asburgo – che, dopo l’elezione all’Impero di Carlo V nel 1519, regnano sull’Austria, la Germania, le Fiandre, la Spagna e una parte dell’Italia – gli ebrei sono appena tollerati. Vi sono ammessi solo come prestatori su garanzia, tranne in Boemia e in Moravia dove hanno anche accesso nell’artigianato. I principi li utilizzano pure per riscuotere le imposte rendendoli prestatori involontari e forzati, e ancora odiati per i servizi resi. (Attali, 2003:263)  Nel 1641 a Praga, Ferdinando III concede agli ebrei il diritto di commerciare come ringraziamento per aver partecipato alla difesa della città contro gli svedesi (Attali: 2003,267) A Praga la comunità è molto più numerosa e libera che altrove in Europa Centrale. Vi si contano artigiani, mercanti, medici, yeshivot. È anche la prima 42


città situata a nord delle Alpi in cui sono stampati, a partire dal 1526, dei libri in ebraico. Questo sviluppo generale della stampa in Europa implica un’altra conseguenza inattesa: leggendo direttamente i Vangeli, alcuni cristiani rimettono in discussione la pertinenza della lettura che ne fa la Chiesa; fa la sua comparsa un’altra etica cristiana, che implica un rapporto del tutto diverso col denaro, più vicino al punto di vista ebraico. (Attali, 2003:263)  Altona, porto franco sull’Elba (che nell’Ottocento sarà inglobata in Amburgo) è sotto sovranità danese, molto più tollerante che non le città circostanti. Alcuni ebrei, askenaziti e portoghesi, vi sono insediati da secoli. La città di Hansa, capitale della comunità della regione, è la sede del tribunale rabbinico delle località circostanti. (…) Verso il 1615, Jacob Warburg proprietario di una piccola azienda familiare di prestito su garanzia ed ex capo della piccola comunità ebraica del vescovado di Paderborn, fa qui sistemare nella sua dimora di Altona una sinagoga.(Attali: 2003,333)  Ad Amburgo, città tedesca che è contigua ad Altona, la situazione è ben differente: il Senato della città tollera soltanto 25 sefarditi, come contropartita della considerevole imposta di 1.000 marchi – e con il divieto, inoltre, di praticare la loro religione, perfino in privato. Fra loro, un mercante di spezie, un importatore di prodotti dal Brasile, un agente di cambio un importatore di zucchero. La situazione sembra poi allentarsi nell’Impero. Alcuni mercanti ebrei cominciano ad accumulare un po’ di risparmio, a investire, confidando nell’avvenire. Eppure due città così diverse finiranno per unirsi e fondersi: 43


Altona diventa tedesca e viene inglobata in Amburgo. Nel 1865, uno dei Warburg, Samuel, viene eletto deputato dello Shleswig – Holstein al Parlamento danese, da cui dipende la città di Altona. Quando nel 1866, la città diventa tedesca, Samuel Warburg diviene il primo ebreo deputato al Parlamento di uno stato tedesco (Attali: 2003, 333)  Guglielmo III d’Orange-Nassau, stadhoulder d’Olanda dal 1672, diventa re d’Inghilterra. Il potere delle due superpotenze marittime si fonde. Al momento si contano ancora non più di seicento ebrei in Inghilterra. I più sono mercanti; alcuni esercitano il monopolio del commercio del corallo; altri sono banchieri come Joseph Salvador e Samson Gideon, diventato consigliere del cancelliere dello Scacchiere. Nel 1690, dodici ebrei, venuti pure loro da Amsterdam, sono ammessi alla borsa di Londra e vi portano l’esperienza olandese; trattano ben presto un quarto del totale dei prestiti governativi dell’epoca. Artigiani o banchieri, alcuni ebrei askenaziti pure provenienti da Amsterdam, costruiscono la loro prima sinagoga. Un po’ dopo, Giorgio II propone al parlamento di concedere la nazionalità britannica a tutti gli ebrei residenti nel paese da almeno tre anni. Le ragioni che avanza chiariscono bene il ruolo che giocano: “In gran parte sono ebrei stranieri; è importante incitarli a spendere i loro redditi nel regno […]. Se gli ebrei hanno gli stessi diritti civili degli altri sudditi, si legheranno al paese. Infine, i loro legami con i principali banchieri d’Europa saranno un grande vantaggio in caso di guerra, poiché faciliteranno i prestiti del governo.”. Ritrova così il fondamento stesso dell’altruismo ebraico: niente è positivo per loro se 44


non lo è per i loro ospiti. Il pragmatismo inglese, nutrito dagli argomenti avanzati mezzo secolo prima da Manasseh beh Israel, trionfa quindi su tre secoli di ostracismo: gli inglesi hanno bisogno degli ebrei di cui conoscono il ruolo avuto nei Paesi Bassi. (Attali, 2003:276).  Nel 1783, il trattato di Versailles ritira all’Olanda il commercio dell’Oceano Indiano; la Compagnia olandese delle Indie orientali non distribuisce più dividendi e numerosi azionisti si ritrovano poveri. Molti ebrei di Amsterdam (ve ne sono ancora 20mila, ossia il 10% della popolazione) partono quindi per l’Inghilterra, dove svilupperanno il commercio dei valori. (Attali, 2003: 309). Da qui, l’ebraismo inglese sarà interamente rivolto alla sistemazione delle finanze pubbliche. (Attali, 2003: 311) Su questi due punti si affermano importanti dinamiche che vedranno l’Inghilterra come uno dei paesi più flessibili alla pratica cremazionista per savoir faire liberale ma anche di una rigorosa regolamentazione su base privatistica. Insomma, uno dopo l’altro, i sistemi postfeudali e gli imperi dispotici crollano che crollano portano alla disfatta delle caste e le gilde si dissolvono. Le Chiese vedono diminuire la loro influenza. Le comunità perdono la loro giustificazione difensiva. Per molti, il senso stesso dell’ebraismo – struttura di sopravvivenza, quadro protettore e referente consolatore – tende a cancellarsi. Ognuno vuole affermarsi come cittadino libero, indipendente, laico: vivere e lavorare in mezzo agli altri, nella nuova economia di massa, e non più nell’artigianato confinato nei ghetti. (Attali, 2016: 324) 45


Alcune dinamiche cittadine che incontreremo, hanno radici profonde, alcune città apripista della cremazione saranno profondamente legate al loro dna commerciale e finanziario, attraverso i secoli che mette le città su diversi punti di partenza rispetto al fenomeno, che, appare meno scontato delle normali griglie strutturaliste che immagineremo. Per gli ebrei, anche dove non sono largamente accettati esistono scorciatoie, a Vienna – dove la cremazione è diffusa - il cui sindaco Karl Lueger è apertamente antisemita, la popolazione ebraica raggiunge i 150mila individui nel 1900. In questa società ostile, l’unico modo per essere accettati è divenire celebri. A Vienna e a Praga, la vita diventa tollerabile per gli intellettuali ebrei. Vi vivono Kafka, Freud, Webern, Schloenberg, Mahler, Klimt e molti altri. Il teatro, in particolare, è quasi interamente ebraico. Interpretare, mettere in scena, darsi allo spettacolo, quello che gli ebrei fanno da molto tempo tra loro nei ghetti, è ora aperto a tutti. (Attali, 2003:385). Allo stesso modo però esiste un’ Europa in cui tra e ebrei e territori non si riesce a dare uno spill over di innovazione e integrazione, è il caso dell’Europa dell’est. Se nel 1804, un nuovo zar di Russia, Alessandro I – sul trono dal 1800, e che ha al momento sul suo suolo quasi la metà di tutto il popolo ebraico, recuperata con una parte della Polonia, della Lituania e dell’Ucraina -, parla di integrarli, spingendoli, attraverso l’agricoltura e l’artigianato, a uscire dai ghetti. Ma questo desiderio resterà praticamente lettera morta: i russi rifiutano di conceder loro delle terre e di accettarli nelle gilde, così come gli ebrei rifiutano di abbandonare 46


la solidarietà comunitaria che garantisce la loro sicurezza. (Attali: 327). Questo anche alla luce del diffondersi delle idee del materialismo storico di Marx e Engels. (Tartari, 1996:125) 2.2 I primi stati cremazionisti (1876-1939) Sulla base del precedente paragrafo, abbiamo appreso qualcosa sia della comunità ebraica sia degli stati che li ospitano. Vediamo ora, come, gli stati si configurano tra i primi ad introdurre la tecnologia della cremazione tra le pratiche funerarie. È doveroso suddividere la periodizzazione degli stati precursori segnando come confine l’Olocausto, non soltanto per il suo valore simbolico sulla pratica della cremazione, ma anche sui suoi codici culturali intrinseci: morte ironica, morte laica e spesso vicina ad una cultura anarchica, radical-socialista e ugualitaria spesso figlia del progresso e dell’igiene sarà trasformata da Hitler in un fosco presagio che spesso ne rallenterà l’accettazione e la messa in opera per una sorta di repulsione psicologica dei tempi a venire. Una narrazione totalizzante che rovescia contenuti simbolici che quindi, la letteratura di riferimento, cerca sempre di scansare. Questa analisi introduttiva non avrà solo casi eclatanti, alcuni si riveleranno col tempo fallimentare altri si svilupperanno. È interessante notare come la fase di creazione di associazionismo di piccoli gruppi alla causa crematoria ha un indice temporale di propagazione abbastanza contiguo mentre i tempi di messa in atto saranno più dilatati. Qui, vedremo che importanti differenze saranno date dal continuum di vicinanza ad un certo tipo di confessione religiosa: luterani e calvinisti contro cattolici e ortodossi, ma 47


anche di propensione organizzativa verso modelli sociali di previdenza privata o raccolta fondi, appoggio municipalizzato o meno e ancora, la cremazione sviluppa anche andamenti logistici interessanti fatti anche di crematori posizionati su snodi di viabilità strategica che permette alle ceneri di viaggiare ed essere conservate altrove. A queste variabili si aggiungono gli stress test della storia del Novecento: crisi economiche dovute agli andamenti negativi delle guerre mondiali oltre che a conflitti delle singole nazioni (dittature, Guerra Fredda, etc) che creano processi di divergenza anche molto marcati. Ecco dunque una griglia con quelli che furono i primi stati a dotarsi di associazioni per la cremazione e la legalizzazione dei crematori.

ANNO FONDAZIONE SOCIETA’ CREMATORIA

ANNO DI INAUGURAZIONE

STATO

1876 1874 1877 1880 1886 1886 1899 1874 1899 1875 1890 1927 1928

1876 1885 1889 1889 1893 1893 1907 1914 1918 1922 1926 1927 1928

Italia Gran Bretagna Svizzera Francia Danimarca Germania Norvegia Olanda Cecoslovacchia Austria Finlandia Russia Romania International Cremation Federation (ICF)

1937

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Questo dato iniziale può sicuramente disattendere ciò che il senso comune suggerirebbe e anche le statistiche degli ultimi anni collocano la pratica crematoria su nazioni ben diverse. Confrontando i dati dell’International Cremation Statistics of The Cremation Society Of Great Britain (2013), Colombo (2017:1) nota come attualmente in Gran Bretagna, Repubblica Ceca, Slovenia, Svizzera e nei dell’Europa Settentrionale come la Danimarca (ma non nei paesi scandinavi), i tassi di cremazione sono i più alti con una percentuale di quattro quinti della popolazione, una persona su due sceglie la cremazione invece in Olanda, Lussemburgo, Belgio e Portogallo mentre la percentuale scende a 1 su 3 in paesi come l’Austria, la Finlandia, la Russia, la Norvegia ma anche in paesi mediterranei come la Spagna e la Francia. Tra i paesi in cui la cremazione scende intorno al 20% sul totale dei morti scende nientemeno che l’Italia, paese che combattivamente promosse la cremazione, insieme con la Serbia, l’Irlanda e la Romania che pure fu uno dei primi paesi ad avere un crematorio. Come sono stati possibili tali rovesciamenti? E’ il compito a cui cercheremo di dare una risposta nel corso della nostra ricerca. Se in Italia fu soprattutto un’élite protestante, israelita e anticlericale a volte legata alla Massoneria ad aprire le fila del movimento cremazionista, cosa succede nella Gran Bretagna che ha una base cristiano-protestante maggioritaria, ebrei profondamente naturalizzati e scarso contatto con il mondo cattolico e quindi una Massoneria (di cui ne è la culla) molto meno militante su posizioni contrarie alla Chiesa di Roma visto

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che una percezione di “complotto massonico” sarà strettamente correlata ad un effetto anticattolico e materialista? (Laqueur, 2008:67) 2.3 Gran Bretagna La pratica cremazionista in Gran Bretagna comincia nel 1885, ma è già nel 1874 che la Cremation Society of Great Britain (CSGB) viene fondata e comincia a raccogliere volontari e proseliti per diffondere l’etica di questo fenomeno. Nel 1854 un chirurgo inglese, Charles Cobb, pubblica il suo Burning the Dead or Urn Sepolture e nel 1874 il vescovo anglicano, Fraser, dichiara che per Dio non è più difficile resuscitare delle ceneri che della polvere d’ossa. Nuovi forni sono messi in funzione a Manchester nel 1888, poi in Scozia nel 1895. Le incinerazioni, che in questi anni si contano ancora non più che in decine, nel 912 superano il migliaio. La pratica, pur rimanendo statisticamente limitatissima, è dunque già qualcosa di più di una semplice curiosità…Quindi, a partire dagli anni Venti, la cremazione viene occupando in Inghilterra, e poi nell’Europa riformata, il posto considerevole che è oggi suo. (Vovelle 2010: 587) La pratica della cremazione non desta dunque scalpore negli ambienti anglicani, anzi, Frederick George Marshall (1899–1971) nel 1932 promuove il primo Book of Remembrance nel 1932 che viene introdotto nel crematorio di Surrey. (Davies, Mates, 2005:92) e già nel 1919 la famiglia reale comincia a usufruire di questa pratica, il primo caso fu la Duchessa di Connaught, nuora della regina Vittoria, al crematorio di Golden Green. 50


Come in Italia, è una pratica presa in considerazione per distruggere i cadaveri causati dalle epidemie di colera (Davies, Mates 2005 :113) ma, non c’è una posizione dominante della Massoneria che quindi sembra acquisire una matrice preponderante a contatto con il caso specifico del Risorgimento italiano. Piuttosto, ciò che caratterizza la Gran Bretagna è la presenza delle funeral companies, agenzie funebri private i cui servizi diventavano massivamente più diffusi a partire dagli anni '30 a scapito delle pompose pompe funebri dell'epoca vittoriana. (Davies, Mates, 2005:93) Le società pioneristiche dei primi anni, si accollano anche le spese di costruzione dei primi crematori (Davies, Mates: 2005,101). Il dato interessante è che queste compagnie figurano anche come agenzie per il trasporto delle ceneri all'estero. È il caso ad esempio del 1882, quando un giocatore di cricket viene cremato e le sue ceneri sono spedite in Australia. (Davies, Mates 2005:136). Ciò ci offre un dato interessantissimo quindi: i crematori diventano una sorta di hub, i crematori non sono residenziali, ma sono dei vettori aperti all’esportazione, anche transnazionale delle ceneri, è normale quindi, che tendano a svilupparsi in prossimità di vie di comunicazione naturali (fiumi, mari, oceani) ma anche industriali è il caso delle città attraversate da grandi snodi di comunicazione, porti ma anche strade ferrate e ferrovie. È l’esordio del fenomeno della banalizzazione dei trasporti. Non si cremano solo i morti di una determinata città, ma possono essere una base per ceneri da esportare in altri luoghi del paese e all'estero. Le città dotate di crematori avranno quindi una posizione strategica. Ma è anche vero che 51


possono falsare alcuni dati quantitativi: i cremati in Inghilterra potrebbero anche avere altre nazionalità. Cremazione quindi è anche una sorta di "bagaglio a mano della morte". Ciò può dare man forte alla banalizzazione dei trasporti per il rimpatrio delle salme (tema caro tra l’altro alle compagnie assicurative del ramo vita) ma anche per il trasporto di urne cinerarie di famiglie migranti o addirittura in fuga o come nel caso della diaspora ebraica. In proposito dirà Ferdinando Coletti ordinario di farmacia dell’università di Padova a proposito del ruolo delle urne cinerarie: Questi preziosi avanzi seguirebbero gli emigranti nelle lontane peregrinazioni, e farebbero loro credere di non perdere la patria tutta intera. Inoltre anche il popolo avrebbe una genealogia, ed è incomprensibile che la genealogia nel popolo sarebbe un grande elemento di rigenerazione morale Il legame con le ceneri, dunque, anche come strumento di affermazione di un’identità individuale e collettiva, come tentativo di riappropriazione, specialmente per i ceti subalterni, di una dimensione storica, di un senso di continuità con il passato che fino a quel momento era loro sempre mancato. (Conti F., Isastia A.M., Tarozzi F., 1998:7) Ma ritorniamo più propriamente al caso inglese. Sul fronte assicurativo della c.d. previdenza funeraria bisognerà aspettare la fine della Seconda Guerra Mondiale per porre le basi ad un interessante tassello di welfare già presente dal 1933, si tratterà di 52


polizze che vanno incontro al ceto medio promosse dal governo Laburista dal 1948 per alleviare i costi funerari delle famiglie meno abbienti. (Davies, Mates 2005:139). La cremazione, incrementatasi negli anni della guerra, aggiunge alla sua pratica una nuova narrazione negli anni della ricostruzione postbellica: meno spazio per i cimiteri avrebbe rappresentato nuovo spazio per la nascita di nuove realtà produttive, abitazioni e agricoltura (Davies, Mates, 2005:139). Un modello eccezionale? Non secondo, il parere di Vovelle che vede la portata di questo fenomeno nettamente inferiore al caso di commercializzazione presente negli USA. Secondo il suo parere: Nel 1930 la cremazione riguarda meno dell’1 per cento dei morti, e ancora alla vigilia della seconda guerra mondiale meno del 3 per cento. All’indomani del conflitto, la pratica si diffonde massicciamente, raggiungendo e poi oltrepassando la soglia del 20 per ceto negli anni Cinquanta, toccando il 34 per cento nel 1960, il 57 per cento nel 1974. Un’autentica rivoluzione è avvenuta nel costume, molto meno nota, perché meno esposta alla luce dei riflettori, dei fenomeni americani. Ma nel dossier del “tabù della morte” si tratta sicuramente di un elemento essenziale. Ciò è tanto più vero, in quanto il modello inglese in questo campo non è eccezionale. (Vovelle, 2000: 628-629)

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2.4 Svizzera

(Colombo:2017) Anche se la Svizzera è la patria di Alberto Keller, il primo cremato d’Europa, le sorti del dibattito sulla cremazione in Svizzera sono accese, soprattutto nei cantoni cattolici. In maniera molto naturale, quindi, l’evidente propensione per la cremazione avverrà nelle comunità protestanti, prime fra tutte la città di Zurigo. Pratica di gran lungo ostacolata, si rivela figlia di una legislazione funeraria non uniforme sul territorio nazionale, ogni cantone ha infatti una sua legislazione. A St.Gallen, due referendum, uno nel 1892 e l’altro nel 1899 bloccarono la costruzione di un forno crematorio cittadino. Nella Svizzera 54


centrale c’è tanta opposizione che il movimento cremazionista deve difendere le sue ragioni di fronte alla Corte Suprema della Svizzera Federale. Ad oggi, l’apertura c’è stata, soprattutto con l’ammorbidimento della posizione cattolica. Le ceneri possono essere anche disperse o conservate a casa oltre che nei cimiteri e attualmente, nelle città il tasso di cremazioni raggiunge il 70-80%. In particolare, dal 1986 ci sono anche parametri di legge che limitano l’inquinamento dell’aria dovuto alle emissioni dei crematori. 2.5 Francia La Francia, i cui ideali rivoluzionari ispirarono l'ondata di tanta ideologia sulla cremazione dei cadaveri, risulta avere il suo mentore già nel XVII secolo quando Theophraste Renaudot (1586–1653), si schiera per la cremazione dei corpi già in una conferenza a Parigi nel 1642. In realtà durante la Rivoluzione Francese, alcuni corpi furono cremati ma non si provvede a dotare la cremazione di ufficialità legislativa. Qualche anno dopo, nel 1804, Napoleone emana l'editto di Saint Claude che sancisce la costruzione dei cimiteri fuori dalle mura cittadine. In questa disposizione non si parla di cremazione, ma egli esprime la volontà di far bruciare il suo cadavere. Sull'Isola di Sant'Elena, le sue volontà vengono disattese (Davies, Mates 2005:196). Negli anni Settanta dell'Ottocento, la cremazione e la lotta per la sua affermazione sfiora le tematiche igieniste sulla scia dell'epidemia di colera del 55


1870 e del 1871. Jules Guerin pubblica un articolo su La Gazette Medicale de Paris in cui affermava l'utilità della cremazione sia per una questione igienica sia per preservare il consumo di suolo ad attività dai cimiteri creandone realtà produttive per i vivi. L'opposizione cattolica si faceva sentire, ma intanto i legami con la realtà italiana cominciavano a tessere un network sia per i congressi nella città di Torino sia per la cremazione di corpi nel crematorio del Cimitero Monumentale di Milano. Su questa base il 20 ottobre 1880, è fondata la Société pour la Propagation de la Crémation a Parigi. All'assemblea generale del dicembre 1881, i soci arrivavano a 420 includendo anche 36 donne. Tra gli associati celebri c'è anche Alfred Nobel (residente a Parigi) e politici come il capo del governo Léon Gambetta, Edouard Herriot (Partito RadicalSocialista) e il presidente della Repubblica Casimir Perier. (Davies, Mates 2005:197). In favore della cremazione si schiera anche Frédéric Passy e all'inaugurazione del forno crematorio impiantato nel 1889 al Cimitero Père Lachaise. Nel primo anno di collaudo, fu cremato un bambino di 11 anni seguito da 48 persone che avevano scelto la cremazione e 749 tra cadaveri ed embrioni presi dagli ospedali.

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È bene notare che tra il 1889 e il 1934 al Père-Lachaise furono cremati ben 219 337 corpi, solo il 10% di essi aveva scelto di farlo su base volontaria, si tratta di cadaveri provenienti da ospedali e università. Dopo Parigi aprirono altri crematori: Rouen (1899), Reims (1903), Marsiglia (1907) e Lione (1914). Nonostante gli sforzi, nel 1913, a Parigi i membri della società della cremazione sono appena 1.000 e l'avvento della Prima Guerra Mondiale ne riduce ancora di più il numero. Eppure con l'annessione alla Francia della città di Strasburgo e dell'Alsazia apportando con la loro cultura, un'influenza germanica simile ai range di Basilea (città con un grande snodo ferroviario al confine tra Svizzera, Alsazia e Germania). A Strasburgo infatti, si contano 2500 iscritti alla società crematoria della città e nel 1922 sarà installato un nuovo forno. Eppure, nel 1929, solo lo 0,2% sceglieva la cremazione sul totale dei morti. Prima del 1945, molti liberi pensatori si riconoscevano nella Massoneria, ciò, seppur con lo scetticismo della Chiesa cattolica, non faceva di loro degli anticlericali, più aperti invece all'accettazione di tutti i credo religiosi. Strasbourgo e Lione crearono insieme la Fédération Française de Crémation e nel 1936 i membri cresce da 2863 a 3797; c’è anche un nuovo impulso per la creazione di altre società ad Annecy, Chambéry, Marsiglia, Nantes, Rennes, Tolosa, Tolone e Nizza segnano l'apertura della Francia meridionale verso questo rito. 57


Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’occupazione nazista disperse e rallenta il processo di sensibilizzazione alla cremazione. La sede della Società crematoria di Strasburgo viene bombardata, la scarsità di approvvigionamenti per mettere in funzione i crematori ne blocca le attività al punto che, fino al 1946, l’attività di incenerimento continua solo a Parigi. Molti membri di spicco delle Società crematorie furono vittime del nazismo: nel 1942 il segretario della Società di Nantes viene deportato nel 1942 e il Presidente della Società di Nizza viene fucilato nel 1943 ancora, tra i prigionieri di guerra della Germania, ci sono i presidenti della società di Strasburgo e di Rennes. La Gestapo pone una taglia sulla testa di Robert Falbisaner, già Presidente della Società Cremazionista di Strasburgo e prominente esponente della Resistenza francese durante l’occupazione (sfuggito ai tedeschi, muore serenamente nel 1956). Finita la guerra il movimento cremazionista comincia ad avere riluttanze e malgrado la proposta di Robert Hazeman di costruire un crematorio in tutte le città con più di 100.000 abitanti, gli ambienti cattolici si irrigidiscono così come i municipi che preferirono spostare investimenti pubblici in altri settori. Anche la stampa appare anticremazionista, una tendenza generale degli ambienti cristiani che si attenua solo con il riconoscimento della cremazione da parte del Vaticano nel 1963. Il vero e proprio sviluppo cremazionista francese si ha negli anni ’70: viene costruito un nuovo crematorio a Tolosa (1971), tra il 1972 e il 1974 vedono la luce nove nuove società e sei progetti di costruzione, in due anni i soci 58


aumentano di 2000 unità, un risultato ottenuto anche grazie allo spostamento della Presidenza delle Società di cremazioni nella città di Grenoble. Sono anni di rivoluzione culturale e ciò rende il clima più favorevole anche all’inclusione delle donne tra gli iscritti. Resta però un dato strutturale. La maggior parte dei crematori sono costruiti in Francia orientale, più prossima al contesto metropolitano di Parigi, all’influenza italiana da sud e da quella tedesca di cui anche l’Alsazia è stata figlia (sia con Strasburgo che con Mulhouse, città molto vicina alla città svizzera di Basilea pro-cremazionista) che vede la costruzione di un crematorio nel 1978, nonché di una certa presenza ebraica soprattutto nelle aree meridionali. Resta sguarnita l’area atlantica dove i costi di trasporto per la cremazione diventano impegnativi. Tra gli anni ’80-’90 c’è il vero e proprio incremento dei crematori e del loro uso, questo perché si passa da una gestione municipale a una gestione partecipata, prima con la ditta private delle Pompes Funebrès Générales (PFG), su questa linea, negli anni ’90 il chiaro trend denota una messa in secondo piano della militanza delle Società crematorie (che rappresentano l’11% della gestione) e uno spiccato dominio privato delle PFC in oligopolio con un restante 25% gestito da altre imprese private (non senza scontri e conflitti). Ai comuni non resta che la costruzione dei crematori nei pubblici cimiteri. Negli anni ’90 la città con il più alto numero di cremazioni è Mulhouse (40%), Lille con un crematorio aperto nel 1982 raggiunge presto un 30% e Lens raggiunge il 12% in due anni. Eppure, come dato complessivo al 2002 la 59


cremazione in Francia raggiunge il 19%. Dopo il 2003, anche le città della Riviera subiscono un incremento e raggiungono il 50% mentre cala il dato di Mulhouse e Parigi intorno al 20% (Davies, Mates, 2005:198-205) 2.6 Danimarca A seguito dell’ondata di colera degli anni Cinquanta dell’Ottocento, portano, nel 1881, alla creazione dell’Associazione per la Cremazione in Danimarca seppure con un forte ostruzionismo ecclesiastico. A Frederiksberg si costruisce il primo crematorio che diventa operativo nel 1886. I membri dell’associazione cremazionista investono una quota pro-capite particolarmente alta di 5000 corone (circa 670 euro). Ma in questo periodo la cremazione in Danimarca è ancora illegale e rende difficile anche il trasporto di ceneri. La legittimazione arriva nel 1893. Nel 1913 il Comune di Copenaghen acquisisce il crematorio del cimitero di Bispebjerg che si sostituisce a quello di Nylandsvej. Solo nel 1975 la cremazione avrà pari dignità della sepoltura. Nel 2002, i crematori sono 32 e coprono 42.539 cremazioni, il 72,4% dei morti. (Davies: 2010, 162-164) 2.7. Germania In Germania, agli albori non esiste una regolamentazione uniforme a livello legale. In particolar modo c’è una scissione tra mancata accettazione dei cattolici al rito della cremazione (che rifiutano di concedere sacramenti anche a chi ne supporta la causa e si iscrive ad una società crematoria) e presa in carico da parte del clero protestante. Le prime città a muoversi verso l’accettazione sono i 60


pastori della città anseatica di Amburgo, Boden e Würtenberg. Ciò malgrado pubblicazioni e manifestazioni prendono piede soprattutto tra medici e architetti. Il primo crematorio si costruisce nel 1918 a Gotha ma già nel 1886 che nasce la società crematoria Verbandder Vereine deutscher Sprache für die Reform des Bestattungswesens und facultative Feuerbestattung (Associazione delle organizzazioni di lingua tedesca per la Riforma dei Funerali e della Cremazione). Da questo impulso, sorsero crematori a Heidelberg (1891) e Amburgo (1892). La Germania, è chiaramente la nazione che più di tutto si trova a dover far fronte alla correlazione tra memoria dell’Olocausto e simbolismo dei forni crematori. Un fattore questo che, a differenza del Regno Unito porta nel boom della ricostruzione degli anni ’50 ad un forte arresto di questa pratica. (Davies, Mates: 2005, 217) Ma andiamo con ordine. Come rilevato da Colombo (2017) la situazione dei cremati in base alle città e alla percentuale dei protestanti appare come segue:

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All’aumentare della densità della percentuale dei protestanti sulla popolazione aumentano i cremati e non mancano alcuni outliers interessanti. La città con il picco di cremati in assoluto è Zwickau, antico polo commerciale della Sassonia e città libera imperiale dal XIII secolo, fatto che dunque la rende crocevia culturale tra i collegamenti marittimi e la vicinanza alla Boemia, dato che le permette di avere un alto numero di cremati. La segue Chemnitz, la Manchester della Sassonia, un altro importante polo della Sassonia che negli anni della ricostruzione rappresenta una città simbolo del Socialismo. Anomalia curiosa è il caso di Mülhausen in Alsazia (oggi la francese Mulhouse e altro caso di città libera imperiale), non è una città marittima ma è un crocevia per raggiungere Strasburgo, Basilea e Friburgo attraverso le reti ferroviarie, i protestanti non sono tantissimi, ma le cremazioni raggiungono un picco interessante. Città notoria 62


per l’Affaire Dreyfus subisce anche la vicinanza culturale di città come Basilea e la presenza ebraica ebbe una sua peculiarità. Se l’accesso degli ebrei alla finanza e al commercio viene a lungo osteggiato in Alsazia (Attali, 2003:239) è vero che gli ebrei – la città ne conta intorno ai 25mila – nei primi del 1900 saranno impiegati soprattutto come operai industriali legati soprattutto al settore delle automobili. Vale la pena citare André Citroën: è il figlio di una immigrata della Polonia e di Lévì Citroën dirige le Imprese automobilistiche e Mars nel 1906, prima di fondare la sua società di ingranaggi nel 1912 su brevetto polacco. La guerra, come si vedrà, cambierà il suo destino. André Citroën costruisce nel 1919 la prima fabbrica europea di produzione di automobili in serie. Grande mecenate ebreo, aiuta lo sviluppo dell’ORT in Francia, un’istituzione sociale destinata a formare giovani ebrei al lavoro industriale. Fallirà nel 1935 cedendo la sua impresa a Michelin, suo principale creditore, appena dopo il lancio della “piccola vettura”, la Traction, qualche mese prima della sua morte nel 1935. (Attali, 2003:438) Tra le città tedesche merita di essere citata anche Dresda, il suo crematorio sarà il primo tempio a discostarsi a livello architettonico dallo stile delle chiese gotiche e dall’imponenza classicheggiante della Grecia Antica. Nasce così il suo crematorio in stile Bauhaus marcando l’ottica funzionalista della sua Scuola che si lega fortemente alla Repubblica di Weimar e che interrompe le attività con l’avvento del Nazismo. Si noti anche che a Dresda la pratica dell’incenerimento dei corpi comincia già a partire dagli anni ’70 dell’Ottocento mentre il Land di Sassonia ne legalizza la pratica nel 1906 fino alla costruzione del crematorio di Dresda nel 1911: si tratta indubbiamente di una città tra le più prolifiche per questa pratica e del suo spirito socialista, i fatti del 63


Nazismo ne rovesciano i simboli e Dresda sarà uno dei simboli dei bombardamenti anglo americani dove morirono inceneriti fra fiamme e gas 35.000 civili. (Davies, Mates, 2005: 168-169) Negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, la pratica crematoria si arresta, ciò sarà dovuto sia ad una rielaborazione del lutto in chiave comunitaria per il Nazismo sia per lo spirito di ricostruzione post guerra che sarà meno flamboyant di come avverrà per le potenze vincitrici e dove, l’acuirsi dei nuovi equilibri della Guerra Fredda rallenteranno il processo di sviluppo urbano della Germania in senso capitalistico, il che renderà più rarefatta la cremazione che si incrementerà solo a partire dagli anni ’90 pur mantenendo l’antica divisione tra città protestanti e cattoliche: nel 1995 ad esempio, il 71% della popolazione del Braunschweig protestante si farà cremare contro il 26 della cattolica Augsburg. Come sempre conferma il primato il Land del Thüringen con Gera (95% di cremati), Jena (90 %) e Gotha (90%). (Davies, Mates: 2005, 218). Questa diversità culturale è una sorta di ritorno all’Ottocento, quando, prima del potere centralizzato del Nazismo, ogni Land poteva avere libertà di legiferare in materia. Il nazismo infatti unificò le disposizioni per la cremazione – dentro e fuori i campi di sterminio – dopo il 1940 prima con gli oppositori politici poi con gli ebrei, la cremazione sostituisce le fosse comuni. È in particolare la Topf & Söhne di Erfurt a studiare mezzi di cremazione più tecnologici che riducessero le emissioni (Davies, Mates: 2005, 323-324).

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2.8 Norvegia Agli inizi del Novecento, il 30% dei funerali prevede una cremazione, un dato che resta stagnante fino agli anni '80 del Novecento. La Norwegian Humanist Association che svolge cerimonie per atei e laici celebra ogni anno 350 cerimonie di cremazione, meno dell'1 del totale dei cremati, ma sicuramente, il 90% di questo campione si fa cremare. Nel 1899 nasce la Società per la Cremazione norvegese (Norsk Kremasjons Forening) e la Società per incinerazione norvegese (Norsk Ligbrændingsforening). Agli inizi del Novecento, il 30% dei funerali prevedeva una cremazione, un dato che resta stagnante fino agli anni '80 del Novecento. La città di Oslo (Christiania nel 1924) importa dall'estero l'idea della cremazione soprattutto attraverso le vicine città tedesche e della Gran Bretagna. Il movimento si diffonde soprattutto tra le élite con dibattiti sull'igiene e l'architettura che la classe media quasi ignora, tanto che la cremazione tocca il 30% dei defunti senza particolari cambiamenti per circa un secolo. Le società per la cremazione lavorano soprattutto per rimuovere ostacoli legali alla costruzione dei forni non senza ostruzionismo da parte della chiesa. Tanto che solo nel 1997 si arriva ad una legge che prevede la legalità della dispersione delle ceneri. Ad ogni modo a muoversi per la costruzione dei forni furono in primis la città Bergen nel 1907 con fondi pubblici, poi Gløersen (1909), seguono costruzioni a Trondheim (1919), Drammen(1927), Kristiansund, Bergen, Tønsberg e Vestvågøy (all 1939),

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Borre (1940)e Stavanger (1941). Dopo la seconda guerra mondiale, si riprese a costruire nel 1953 nelle città diSteinkjer, Tinn, Larvik, Ålesund, Halden, Tromsø, Narvik, Skedsmo, Odda, Sandefjord, Asker, Sarpsborg, Oslo (il terzo), Trondheim (il secondo), Borre, Fredrikstad, Askim, Bærum, Haugesund, Verdal, Ringerike, Kongsvinger,Gjøvik, Røros e Bodø. In Norvegia i crematori sono generalmente caratterizzati da decorazioni artistiche (una delle peculiarità per incentivare la loro creazione già negli anni '20) e piazzati in giardini paesaggistici con posti per le urne cinerarie all'interno di colombari. Oggi la cremazione è accettata in Norvegia per la sua razionalità senza particolari problemi teologici e con una vocazione ambientalista. Tuttavia è un tema che appassiona poco i giovani e i membri della società crematoria non supera le 6.000 unità. Nel 2002 i cremati sono il 32%. (Davies, Mates 2005 :329-331) 2.9 Olanda Negli ambienti liberali e massonici, si edifica nel 1874 l'Associazione Olandese per l'introduzione della cremazione nei Paesi Bassi (De Vereeniging tot Invoering der Lijkenverbrandingin Nederland) poi trasformata in "Facultatieve". Fino al 1915 si susseguono azioni di propaganda mosse da argomentazioni igieniche fino alla creazione del primo crematorio nel 1929. Si muovono opposizioni sulla resurrezione dell'anima e su come comportarsi nel caso di omicidi al fine di non cancellare prove. Il primo crematorio è costruito a Velsen nel 1913.Nel 1919 nasce un’ Associazione di lavoratori per la cremazione (Arbeiders Vereeniging voor Lijkverbranding – AVVL) al fine di rendere la pratica più accessibile 66


anche alle possibilità economiche della classe media. Eppure, bisognerà aspettare fino al 1991 affinché sepoltura e interramento avranno lo stesso valore legale, nonostante la legge del 1955. A Praga nel 1899 nasce la società per la cremazione ad opera del poeta J.V.Sladek e il direttore del Teatro Nazionale Jaroslav Kvapil. La prima cremazione è possibile nel 1919 nella città di Liberec. L'ostilità della chiesa cattolica non è tanto forte da non lasciar presenziare esequie ai preti, ma presto, proprio dopo il 1918, la Chiesa Cecoslovacca si organizza in una sua propria confessione. La cremazione rimane molto popolare anche dopo la Rivoluzione del 1989 e la legge disciplina la conservazione delle urne in tombe, colombari, dispersione in appositi spazi riconoscibili dalla famiglia, o liberamente disperse oppure conservate a casa (una pratica questa poco diffusa) (Davies, 2005: 157-158). È da notare che oggi, la Repubblica Ceca è il paese europeo con più atei d’Europa dopo i paesi scandinavi.

2.10 Austria L’Austria fonda la sua associazione pro-cremazione, la Die Flamme, nel 1875 sfruttando una propaganda pubblicitaria inizialmente coinvolgendo solo un ristretto circolo di adepti. A dieci anni dalla fondazione, ne fanno parte 461 membri mentre nel 1905, a trent’anni dalla fondazione i membri erano ancora soltanto 583. Due fattori decisivi contro la cremazione sono, come di norma, la Chiesa Cattolica e le alte spese di trasporto all’estero per farsi cremare (visto che fino al 1922 non ci saranno crematori in Austria). 67


Nel 1925 nasce una nuova dinamica, la creazione del Volks-Feuerbestattungsverein in Österreich, un movimento cremazionista basato su una logica assicurativa volto a creare una polizza di previdenza funeraria legata alla compagnia di assicurazioni sulla vita della compagnia ‘Phönix in Vienna’. L’Austria è un caso interessante in quanto le relazioni tra classi sociali interagiscono con le autorità statali in accordo o in conflitto (così come lo sarà per il caso italiano). Se l’eredità dell’Impero Austro-Ungarico lascia un corpus di leggi uniformi, inizialmente porta ad una forte divergenza giuridica il poter costruire un forno crematorio. Ma per quanto riguarda la causa igienica, le ondate di colera e le epidemie che assediano le città resero possibile l’incenerimento dei corpi infetti così come dei morti in guerra. Nel 1907 il consorzio della Gemeinde Wien-Städtische Leichenbestattung riunisce 80 imprese di pompe funebri operanti a Vienna che insieme costruirono il primo crematorio nel 1922 ma sono nel 1951 il commercio delle imprese funebri viene completamente integrato nelle leggi dell’Amministrazione locale. In particolare, la crescita della città di Vienna che tra il 1890 e il 1892 ingloba nuove annessioni di territori limitrofi e con essi altri 23 cimiteri, incentive la legalizzazione della cremazione. È in particolare la fine della prima Guerra Mondiale ad abbattere i maggiori ostacoli alla cremazione. In particolare la Chiesa Cattolica addita i cremazionisti come componenti della massoneria, nega loro l’unzione estrema e i funerali. Ma nel novembre 1961 il direttore della società di cremazione dei lavoratori Die Flamme, tale Franz Michelfeit, indirizza una moratoria a Papa Giovanni XXIII per un ripensamento 68


della questione sulla base di richiesta della Federazione Internazionale per la cremazione. Effettivamente, il Papa corregge nel 1963 la posizione cattolica verso l’accettazione tale che l’arcivescovo di Vienna, il Cardinale Franz König divenne il simbolo della conciliazione. Per quanto riguarda la mappatura dei crematori, i primi furono costruiti a Steyr (1927), Linz (1929), Salisburgo (1931) e a Graz (1932). Nel dopoguerra ne abbiamo traccia a Villach (1953), un secondo crematorio a Vienna (1966) e due nel 1975 rispettivamente a Knittelfeld e St Pölten. E’ interessante anche l’accettazione dei territori generalmente più conservatori di questa pratica come nel caso delle provincie del Tirolo, con la costruzione del crematorio di Innsbruck (199899) e Vorarberg (1998), qui la pratica è abbracciata grazie alle argomentazioni favorevoli

all’ambientalismo

e

alla

riduzione

dell’inquinamento

nonché

all’economicità. In generale, nelle ultime decadi c’è stata un’accettazione della cremazione anche nelle aree rurali che hanno progressivamente ridotto la dimensione dei cimiteri. La pratica si è sviluppata soprattutto tra i non credenti e più in generale è accettata anche dagli ambienti ecclesiastici in maniera dignitosa. (Davies, Mates 2005:70-79)

2.11 Finlandia La Finlandia agli albori del suo percorso per l’affermarsi della cremazione non è il classico stato scandinavo e progressista come viene dipinto dalla manualistica del costruttivismo welfaristico contemporaneo. La Finlandia dell’Ottocento subisce la vicinanza e l’influenza della Russia (pur preservando la sua identità occidentale con la 69


chiesa luterana) e attraversa l’eredità del suo essere stata parte della Svezia per settecento anni. Ad ogni modo, nella prima fase del Novecento, la Finlandia resta al giogo di un periodo conservatorista e stagnante. La cremazione appare soprattutto un fenomeno d’élite appartenente ai ceti alti di madrelingua svedese. Le prime idee cremazioniste cominciano a circolare negli anni ’80 dell’Ottocento e le prime concessioni dovute ad una pressione meno forte del governo russo concedono terreno a partire dal 1905 quando fu concessa la libertà di espressione e di libera associazione dei cittadini. Eppure con la russificazione del 1907 furono introdotte limitazioni all’introduzione della cremazione, un’idea che si allontanò ulteriormente con i costi delle materie prime dovute alla prima Guerra Mondiale. Bisognerà aspettare il 1927 affinché il primo crematorio venga inaugurato. Negli anni Trenta però si arresta un processo di assimilazione della cremazione da parte di congregazioni religiose che ne avevano programmato la realizzazione dopo un rigetto iniziale, ma la Seconda Guerra Mondiale ne rallenta la progettualizzazione. Negli anni Sessanta la chiesa decise che fosse un proprio compito stabilirne la costruzione così come accadde nel caso del crematorio di Esbo. Secondo le statistiche, nel 2000 la cremazione in termini assoluti raggiunge il 25% sul totale e il 75% di questa fetta si concentra nella città di Helsinki. È anche vero che in Finlandia vivono 50mila cristiani-ortodossi, popolazione secondo cui la cremazione è ben lungi dall’essere accettata. (Davies, Mates 2005:184-186)

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2.12 Russia E veniamo al baluardo ideologico della Russia, che come abbiamo visto ha inibito la Finlandia. Le ancore ideologiche che ne frenarono l’impeto furono la chiesa ortodossa e l’ostilità dello Zar. Dopo la Rivoluzione russa del 1917, alla cremazione tocca una sorte migliore grazie alla strada spianata da Lenin legalizzandone l’uso. I leader bolscevichi ne diffondono l’uso anche per compattare le epidemie causate dalla guerra civile. Il primo esperimento ufficiale di costruzione di un crematorio avviene a Leningrado, ad ogni modo, il progetto viene rimandato per mancanza di fondi ma l’anno dopo l’attività di incenerimento venne officiata anche se dopo alcuni mesi e 379 cremazioni all’attivo, furono costretti a chiudere per mancanza di fondi. Di questi corpi, solo 16 vengono dati alle fiamme sotto il desiderio degli estinti, a conferma dell’impopolarità di questa pratica. Viene quindi lanciata una propaganda del governo massiva, sono aperte esposizioni a Leningrado e Mosca mostrando i vantaggi dell’incenerimento dei cadaveri introducendo processi tecnologici innovativi così come per i trattori, le automobili e l’elettrificazione. Si apre in questo periodo –siamo nel 1927 – il primo crematorio di Mosca nel monastero confiscato di Donskoi, anno questo della creazione della società crematoria ORRIK e prima della seconda guerra mondiale si aprirà un altro crematorio a Cracovia. Gli anni 1929–33 sono quelli della collettivizzazione dell’agricoltura e della distruzione di chiese, cosa che agevola la costruzione dei crematori. I primi dati statistici sulle cremazioni russe risalgono agli anni Trenta con un costante aumento: si va dagli 8379 cremati del 1931 ai 12000 del 1938, tra i cremati celebri ci 71


sono lo scienziato Feliks Dzerzhinsky (1927), il Ministro della Difesa Marshall Malinovsky (1967) e l’astronauta Yuri Gagarin (1967), le cui ceneri vengono custodite al Cremlino. La crescita delle città russe che superano il milione di abitanti agevola la costruzione di crematori accanto agli insediamenti urbani anche se nel 1973 su 3 milioni di morti ogni anno, solo il 22% risulta cremato salendo però al 40% dei cremati negli anni Ottanta. Con la caduta del muro di Berlino e il collasso dell’URSS nel 1991, la libertà di religione spinge le persone a scegliere del proprio corpo. Nelle repubbliche sovietiche (CSI) vengono aperti nuovi crematori e la Russia più interessata dal fenomeno resta quella più popolata e occidentale che comprende Mosca e San Pietroburgo dove, su un dato nazionale del 35% il 57% dei cadaveri di Mosca risulta cremato insieme con il 63% di quelli di San Pietroburgo. Storicamente la Chiesa Ortodossa si è posta in funzione anti cremazionista in contrasto soprattutto con l’ideologia bolscevica. Nella militanza di partito che vedeva Lenin come il suo capo carismatico, si scelse di non incenerirlo bensì di imbalsamarlo per preservarne la forza simbolica così come viene fatto per Stalin. Più la distruzione delle chiese aumenta, più aumentano i crematori: se c’è tolleranza per la cultura ortodossa nel secondo dopoguerra appena dopo la morte di Stalin, così non sarà negli anni di Kruscev (anni ’50-’60). Ma in Ucraina, a Kiev l’estensione della pratica crematoria viene vista come una repulsione figlia di un sentimento anti-russo (anche per i non credenti) nonché della reminiscenza ai campi di sterminio.

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Ad ogni modo, negli anni ’70 con Brezhnev le cerimonie funebri vengono introdotte nei crematori e dagli anni ’80 la cremazione diventò la scelta più economica per la maggior parte della popolazione. Negli anni di Gorbacev, si ha invece un revival dell’ortodossia e della pratica del seppellimento specialmente come marcatore di status e che quindi rimaneva solo a vantaggio dei ricchi. Ma se il Comunismo russo delle grandi narrazioni ideologiche dovrebbe essere uno dei baluardi del progressismo verso la cremazione perché il dato appare ingessato? Le concezioni di Marx e di Engels non favorisce certo lo sviluppo della cremazione soprattutto per la classe lavoratrice. Il marxismo diffida dal materialismo naturalista definendolo borghese. Questo però non si traduce in lotta, nemmeno ponendosi in conflitto con la religione. Il materialismo storico non conduce infatti una lotta diretta contro la religione perché la considera un suo avversario, ma ritiene di comprenderla da un punto di vista più elevato e di spiegarla come un fenomeno storico in determinate forme sociali. È dunque convinto di operarne una critica più radicale ed esprimere la previsione che essa scomparirà con l’avvento di una nuova forma sociale. (Tartari: 1996: 124-125)

2.13 Romania La Romania ha il merito di essere stata una nazione pioneristica dell’ideologia cremazionista nell’Europa sud Orientale sostituendosi alla lacuna dei paesi come Yugoslavia, Bulgaria, Ungheria e Grecia. Inaugurato nel 1928 con l’iniziativa della Società cremazionista “Cenusa”, il crematorio di Bucarest nel 1935 raggiunge uno 73


0,19% di morti cremati. Posizionandosi dietro la Francia (0,2%) e il Lussemburgo (0,64%). Nei confronti di Cenusa – che applica ai loro soci una contribuzione in base allo stato sociale – c’è però uno scontro morale, quasi come se gli individui comprino il consenso dei loro soci in quanto la modalità delle quote associative non sono viste di buon occhio oppure si crede che si trattasse di un ente caritatevole che offre i suoi servizi gratuitamente. In realtà i fondi dei soci altro non sono che coperture per le spese di mantenimento. Il problema più grande è invece quello di raccogliere nuovi iscritti. Dopo 14 anni dalla sua creazione Cenusa raccoglie 1.000 iscritti essendo riconosciuta come organizzazione umanitaria che si occupa della pratica cremazionista escluse le spese per l’officio della liturgia e dei canoni cimiteriali. La cremazione resta ad ogni modo la pratica più economica, anche per i non iscritti alla società. Per molti anni, la Romania rimane l’unico paese dell’Europa orientale ad avere un crematorio funzionante. Il successivo sarà quello di Debrecen, città protestante dell’Ungheria, dove, i lavori di costruzione inizieranno nel 1936 ma l’inaugurazione avverrà solo nel 1951. La vera mancanza di enfasi al progetto crematorio è l’assenza delle autorità municipali per popolarizzarne la pratica. A differenza di quanto avverrà in Ungheria e Yugoslavia, la Società per la cremazione in Romania si accolla la costruzione del forno crematorio senza fondi pubblici.

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Presto, la larga pressione religiosa si dimostra un ostacolo come pure il periodo tra le due guerre per quanto riguarda il reperimento dei fondi necessari. Per sovvenzionarsi, la Cenusa decide così di cremare resti anatomici provenienti da ospedali e cremazioni amministrative che venivano ben pagate al fine di mantenere il bilancio delle casse dell’associazione. Nel 1934 la Società comincia anche a stampare un suo giornale, Flacâra Sacra (Fiamma Sacra). Ma la Seconda Guerra Mondiale causa molti problemi: con i bombardamenti il crematorio venne danneggiato. Con la ricostruzione rimaneva tanto da fare, sia per il suo ammodernamento tecnologico, sia per un cambiamento di mentalità della Chiesa Ortodossa che rimane largamente ostile preferendo la sepoltura. Nel 1945 le cremazioni passarono a 600 rispetto alle 225 dell’anno precedente. Ma la divisione dell’Europa in due blocchi, congela lo scambio di informazioni provenienti dai paesi dell’Est. La Romania perse così il network della International Cremation Federation almeno fino agli anni Ottanta del Novecento a cui si aggiungono gli ostacoli del regime di Caesescu. Nel 1999 ad esempio, furono effettuate 1172 cremazioni di cui solo il 12% a Bucarest. Ovvero, la Romania perse il suo primato cremazionista nell’Europa Orientale. La Bulgaria inaugura il suo primo crematorio nel 2001. La Slovenia e l’Ungheria sono oggi i paesi apripista della cremazione in Europa Orientale. (Davies, Mates:2005, 164165) 2.14 Alcune riflessioni Cosa ci insegna questo primo quadro? A detta di Vovelle: 75


A partire dal 1960 prende forma una mappa, nettamente strutturata, dell’Europa “cremazionista”: con la Gran Bretagna, troviamo i paesi scandinavi (Norvegia, 20 per cento; Svezia 26 per cento; Danimarca, 30 per cento) e l’Europa Centrale (Svizzera, 24 per cento, Repubblica federale tedesca 12 per cento, Cecoslovacchia, 24 per cento), nucleo dell’Europa settentrionale riformata intorno al quale si delinea una serie di profili di transizione (Paesi Bassi, 4 per cento, Austria 6 per cento, Finlandia, 4 per cento) alla frontiera dei paesi cattolici del rifiuto. La chiesa cattolica del tempo ha nel frattempo mutato atteggiamento, ammettendo la cremazione dopo il Concilio Vaticano II; ma le abitudini sono rimaste. Ai lentissimi progressi riscontrabili nell’universo cattolico (0,44 per cento dei francesi nel 1974) si contrappongono avanzate spettacolari là dove lo sfondo era acquisito: nel 1974 il 45 per cento di cremazioni nella Repubblica democratica tedesca, il 41 per cento in Svezia, il 40 per cento in Cecoslovacchia e il 37 per cento in Svizzera attestano che le cose sono cambiate molto velocemente, e non soltanto in Inghilterra. Malgrado le differenze essenziali, tra i sistemi anglosassoni rimane, grazie alla loro organizzazione liberale, una sostanziale complicità. Senza voler entrare nella complessità dei differenti modelli continentali, è indispensabile domandarsi in quale misura la commercializzazione all’americana del viaggio della morte abbia conquistato la Vecchia Europa. (Vovelle, 2000:628) Certo, se si legge Il Sistema di Morte Americano in cui Jessica Mitford nel 1964 rappresenta un’etnografia del tutto commerciale delle strategie di marketing degli 76


imprenditori funerari, la sua hybris ci appare quasi come un’ironia nera, un manuale da venditore ben lontano dagli strutturalismi e dalle tensioni tutte europee. Fatto sta che lo sdoganamento simbolico della pesantezza funeraria sembra essere proprio dell’intransigenza calvinista e in modo assai più sfumato luterani e anglicani – a sdrammatizzare la cerimonia dei funerali, accertandone il principio ma limitandone la portata e paradossalmente, come si vedrà a proposito delle tombe, la tabula rasa voluta dalla Riforma avrà talvolta l’effetto di favorire una penetrazione all’interno del rituale funerario di preoccupazioni tutte terrene. (Vovelle, 2000: 289) E ancora J.Mitford e l’intellighentia americana hanno proposto una riforma dei funerali che li semplificherebbe sopprimendo in pari tempo le sopravvivenze tradizionali con le loro degenerazioni e gli speculatori che le hanno sfruttate. Ci s’ispira, non ai riti religiosi di un tempo, ma al modello inglese d’oggi, la versione più radicale della morte capovolta: estendere l’uso della cremazione, ridurre la cerimonia sociale a un Memorial Service. Al Memorial service gli amici e i parenti del defunto si riuniscono, in assenza del suo corpo, per pronunciare il suo elogio, confortare la famiglia, abbandonarsi a qualche considerazione filosofica e, se se ne offre l’opportunità, recitare qualche preghiera. (Ariès, 2000: 710) . A livello di struttura demografica possiamo comunque notare un generale innalzamento della speranza di vita che presto o tardi porta a ridimensionare il ruolo della morte come centrale. Esistono però disuguaglianze clamorose: con 43 anni, nel 1910 l’Italiano riceve alla nascita dodici anni di speranza di vita in meno rispetto allo svedese, ma tredici in più rispetto al russo (un tasso, quest’ultimo, ch’è quello della 77


Francia settecentesca). Dal 1800 al 1914 le popolazioni guadagnano più o meno una dozzina di anni di vita. È molto? È poco? Se si pensa al ristagno pressoché totale nei secoli classici, è un guadagno enorme. (Vovelle, 2010:455). Cosa varia in particolar modo? Sempre secondo Vovelle (ibidem)  I gruppi d’età al decesso

 Il declino della violenza e della malattia

 La crescita dei suicidi (contrapposta alla decrescita degli omicidi)

 Il Capitalismo industriale e l’urbanizzazione

 La medicalizzazione

Vale la pena citare la sua analisi in merito sulla rivoluzione demografica che caratterizza l’Otto-Novecento:

La fine del Settecento aveva annunciato la tendenza, e preparato questo arretramento, ormai senza ritorno, della crisi della mortalità di vecchio stile. Non solo, ma nei paesi più avvantaggiati dell’Europa occidentale la mortalità aveva concretamente cominciato a calare. È però l’Ottocento che dà a questa sorta l’effettiva ampiezza di un fenomeno generale e continuo: dal decennio 1800-1810 alla vigilia della prima guerra mondiale, la morte perde incontestabilmente posizioni. Non certo al ritmo che il mutamento avrà nel Novecento grazie ai progressi decisivi nella lotta contro la malattia, ma piuttosto fino almeno al decennio 1880-90, misuratamente, a sbalzi, in 78


maniera ineguale. Prima dei progressi risolutivi, le crisi si fanno “larvate”. Là dove i conteggi precocemente definiti permettono di confrontare i tassi di mortalità per mille individui al principio dell’ottocento e alla vigilia del 1914, il bilancio è tuttavia nettissimo. In Francia si è passati dal 26-27 per mille intorno al 1800 a poco più di 19 per mille: un bilancio non brillantissimo se paragonato a quello dell’Inghilterra, dove nello stesso periodo la mortalità cade dal 23 al 15 per mille, o a quando, dove, nello stesso periodo la mortalità cade dal 23 al 15 per mille, o a quello per mille, o a quello dell’insieme dei paesi scandinavi, la cui mortalità, già bassa nel 1800 – intorno al 24 per mille – al principio del Novecento si situerà tra il 12 e il 16 per mille. I paesi in cui una contabilità precoce permette di seguire in tal modo la tendenza sono anche – si osserverà – i più avanzati in questa battaglia; ciò che rischia di alterare il quadro complessivo. Ma nel decennio 1840-50, quando le statistiche utilizzabili si moltiplicano un po’ dappertutto, il bilancio si conferma e s’arricchisce; circa il 27 per mille nei territori della Germania attuale tra il 1840 e il 1850, il 16 per mille nel Reich alla vigilia della guerra; nello stesso arco di tempo, in Belgio si passa dal 26 a meno del 13 per mille, e in Olanda dal 24 a meno del 14, risultati comparabili a quello della Svizzera, che scende dal 23 al 14 per mille. Il Piemonte, in cui intorno al 1830 si muore ancora molto – il 32 per mille – al principio del nuovo secolo raggiungerà un tasso vicino a quello francese (il 20 per mille). Rimanendo al livello della constatazione descrittiva, dietro la secchezza 79


delle cifre si delinea una duplice modulazione, nello spazio e nel tempo. Senza ancora disaggregare gli insiemi nazionali, per distinguervi città da campagne, è evidente che per questo concerne questa rivoluzione della mortalità esiste più di un’Europa. C’è l’Europa nord-atlantica – le isole britanniche e la Scandinavia, poi la Fiandra e i Paesi Bassi – che ha dato il la, partendo precocemente, e ottenendo i risultati finali più favorevoli. Un tratto che ritroviamo d’altronde in certuni dei paesi della diaspora anglosassone, la Nuova Zelanda e l’Australia, che al principio del Novecento si situano appena sopra il 10 per mille: un record mondiale. Se la Francia indubbiamente s’integra in questo insieme, non è senza un legger ritaro in partenza, e soprattutto all’arrivo, poiché la sua struttura demografica di già più ‘vecchia’ la blocca, al principio del nostro secolo, a poco meno del 20 per mille. Ma ritorno a quest’Europa nord-occidentale presa con larghezza, che dalla Finlandia raggiunge il Piemonte passando per la Germania e la Svizzera, si profila il gruppo dei paesi orientali e meridionali, toccati tardi dal movimento, e i cui tassi di mortalità di partenza (alle date più remote per le quali riusciamo a determinarli) sono ancora elevatissimi. Con il suo 23 per mille al principio del Novecento, la Boemia rappresenta un’area di transizione. Ma l’Ungheria – 32 per mille alla fine dell’Ottocento, 24 alla vigilia della guerra – appartiene al modello dell’Europa orientale, il cui riferimento è la Russia: ancora il 40 per mille, per quel tanto che possiamo giudicare, a metà Ottocento, il 34 per mille alla 80


fine del secolo, oltre il 28 nel 1914. Un arretramento indubbiamente spettacolare, ma decisamente tardivo, e perciò stesso, malgrado tutto, limitato. In una cornice differente, questo modello si ritrova nell’Europa meridionale delle penisole mediterranee. Tra il 1870 e il 1890 la Spagna sfiorava ancora una mortalità del 30 per mille, e non passa dal 24 al 22 per mille che nei primi decenni del nostro secolo. La penisola italiana rivela la sua ambiguità: dell’Italia settentrionale all’Italia centrale, ma soprattutto al Mezzogiorno, si passa da un profilo “alla francese” ad un profilo alla spagnola il Sud scende moderatamente dal 31 al 29 per mille nell’ultimo quarto del secolo). Lo spettacolare progresso della penisola tra il 1870 e il 1914 (la mortalità cade dal 30 al 19 per mille) è il risultato complessivo di fisionomie regionali differenziatissime (e anche, lo vedremo, di una vittoria sulla malaria). (Vovelle, 2000:451-452) 2.15 Appunti per una ricerca etnografica Almeno in questa sede, la nostra ricerca non pretende di avere un carattere qualitativo di tipo etnografico con interviste e dati strutturati magari con l’ausilio di interviste. La scelta di questo argomento ha però reso interessanti e utili alcuni sopralluoghi in cimiteri di grandi città europee per sondarne l’approccio. Tratteremo qui anche con l’ausilio di nostro materiale fotografico, alcuni aspetti peculiari e diversificati che è possibile trovare nei cimiteri europei. Qui ne sfruttiamo anche la presenza di stati con uno sviluppo cremazionistico non ancora affrontato. Ci 81


occupiamo in questa sede dei cimiteri di Bisperjerg a Copenaghen, Olsdorf ad Amburgo, il De Neuwe Oster e il Zorgvlied ad Amsterdam, Almudena e il British Cementary a Madrid e Mont Juïc a Barcellona. Per fornire un indirizzamento a chi voglia apprestarsi ad uno studio di questo tipo, si segnala che non sempre è facile ed esaustivo setacciare i cimiteri a caccia di urne cinerarie: a volte la loro presenza è conclamata in quanto viene riservata loro una parte specifica del cimitero, altre meno visto che le ceneri possono essere disperse o conservate fuori dai cimiteri oppure, possono essere custodite in tombe di famiglia o in forme sepolcrali apparentemente tradizionali. Questo perché in molti paesi il grado di accettazione della cremazione non ha sembianze di una militanza e quindi non viene ostentata. Altra precisazione: a differenza dell’Italia dove le strutture cimiteriali sembrano sempre imporre un’ossessiva separazione tra sepolture cattoliche e acattoliche e li dove le comunità sono organizzate cimiteri israelitici, all’estero, la contiguità di sepolture di diversa matrice religiosa vengono affiancate l’una accanto all’altra creando un mélange cimiteriale di cristiani, atei, buddhisti, musulmani, ebrei, rom, armeni ma anche massoni e militanti comunisti: l’unicità dell’individuo e della sua identità vengono incisi sulla propria lapide attraverso simboli identitari confinati al proprio spazio, si va dalle urne cinerarie ai compassi massonici o a scritte in alfabeti orientali oppure ancora più semplicemente a simboli meno definiti e identitari (salici piangenti, colombe). Spesso poi, anche l’idea di cimitero si evolve a seconda dei luoghi: in Italia come nell’Europa mediterranea sono luoghi cementificati adibiti a culto dei morti, ma altrove non è così. In Europa continentale somigliano a boschi con 82


tombe sparse, aree pic nic, piste ciclabili e visite guidate al patrimonio botanico di questi luoghi definiti semplicemente “parchi” con tanto di panchine e caffetterie. Per la cremazione, il caso di Copenaghen è edificante n chiave multiculturale. È uno dei cimiteri europei con più urne cinerarie di persone giapponesi. Il parco-cimitero di Bisperjerg che in primavera si riempie di mandorli in fiore ne è un caso particolarmente felice. Come è possibile questo fenomeno? Il Giappone è il paese al mondo con più cremati (il 99%) e anche uno dove questo rito è tra i più costosi al mondo. Non è da escludere che gli immigrati giapponesi preferiscano essere sepolti nel paese ospitante qual è la Danimarca perché qui la cremazione è più economica anche se fa riflettere il grado di naturalizzazione abbia il valore simbolico di farsi seppellire in una terra così lontana dal proprio paese d’origine. Il rito cremazionista giapponese è una lunga e minuziosa sorta di rituale del thé chiamata Nokanshi e si compone di diversi passaggi di piegatura di vesti e lavaggio del corpo. A titolo esemplificativo si può vedere il film The Departures di Yojiro Takita (2009). Un cimitero questo che è più che altro un giardino botanico, dove le sepolture spuntano non in continuità, concedendo molto spazio ai vivi con prati sgombri per pic nic e spazio per piste ciclabili. Luoghi orientati per lo più alla flora e alla fauna selvatica tra querce secolari, scoiattoli, marmotte e animali selvatici. Luoghi dove i classici fiori posti sulle tombe sembrano quasi del tutto assenti.

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A quanto pare, ad Amburgo le cremazioni odierne sono arrivate al 90% e gli spazi cimiteriali stanno chiudendo i battenti. È questo il fenomeno della gentrification che ai cimiteri sostituisce più redditizi centri commerciali e case popolari. Il cimitero 84


monumentale di Olhsdorf con sepolture permanenti, il cimitero più grande d’Europa, per rendere l’idea al suo interno ci sono 30 fermate del bus di navetta, è quindi una fotografia invecchiata, ma qui troviamo il monumento cinerario seguente e il relativo forno crematorio che gli sta di fronte:

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Ad Amsterdam, ritorna l’ondata migratoria asiatica, stavolta in forma più discreta con urne inserite in colombari accanto a quelle della popolazione locale.

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Non mancano ad Amsterdam altre presenze migranti: si tratta di tombe di rom che, storicamente preferiscono il rito della cremazione.

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E qui il crematorio di Zorgwiled(Amsterdam) sobborghi cittadini.

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posto in lungo fiume nei


La Spag a di ostra u a diversa sfaccettatura, archiviate le capitali dell’europa centro-settentrionale e i suoi siti da giardini botanci, Madrid affonda nel ce e to delle lapidi u po’ co e i Italia . Qui il crematorio di Almudena è posizionato quasi in un luogo appartato, ma i cremati non sono pochi, anche stra ieri co origi i ger a ofo e.Si tratta del ci itero più gra de dell’Europa Mediterranea, con 5 milioni di defunti in una città di circa 3 milioni di abitanti.

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In quanto all’eredità della dittatura di Franco, a differenza del Nazismo e del Fascismo, l’idea delle vittime di Guerra non viene associate alla cremazione. Ciò permette alla cremazione a Madrid di un rapido e costante incremento a partire dal 1973, anno di inaugurazione. (Davies: 2010, 383).

A Madrid però non mancano organizzazioni come un piccolo british cementary. Qui i cremati non mancano e tra questi, per scelta o matrimoni misti, appaiono anche cremati cristiani ortodossi. Assente è invece la percezione della cremazione presso gli israeliti.

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Dià tutt’alt oà ge e eà à ilà pi oloà eà elloà te azzoà delà gia di oà deglià a o ià dià Barcellona: si tratta di un quadrato di terra che affacccia sul mare dove ad ogni cremato seppellito corrisponde una piantina aromatica in un cimitero in collina sul Monte dei Giudei a pochi passi dal villaggio olimpico.

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Capitolo 3 La cremazione in Italia

Dopo aver affrontato l’analisi di scenario sulla cremazione europea, andiamo con questo capitolo, nello specifico del case study italiano. Ciò ci darà la possibilità di inquadrare da vicino il framework del tema della cremazione in uno stato nazione e quindi di scendere più nello specifico di dinamiche cittadine e della sua composizione demografica di ceto, religione e sesso, non solo, ma di porci in una casistica particolare in termini di conflitto sociale. In particolare l’Italia vedrà il contrapporsi della forza progressista e laica della Massoneria da un lato e della Chiesa Cattolica Romana dall’altro, avremo poi modo di attraversare la storicizzazione del Fascismo che pure acquisisce un valore militante per i sostenitori anarchici, radicali, socialisti ed ebrei che vi si contrappongono.

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Non manca in Italia il nostro fil rouge di correlazione tra vie di comunicazioni (città portuali e snodi ferroviari) e cremazione così come quella densità sociale della vita urbana che ne fa sviluppare la pratica. Allo stato dell’arte, per quanto riguarda le ricerche accademiche sulla cremazione in Italia, si fa riferimento in particolare alla Fondazione Ariodante Fabbretti che dal 1992 ha riunito un’interessante corpus di opere sul tema soprattutto con ricerche storicoetnografiche nelle città italiane: questa metodologia fa cogliere soprattutto gli iter amministrativi e le interazioni tra cittadini e Municipi con uno studio sulla burocrazia e i dibattiti locali. L’indagine sul territorio nazionale viene affidata a Gerardo Padulo che riesce ad acquisire complessi documentari conservati presso l’Archivio centrale dello Stato e, sul piano locale, la documentazione degli archivi comunali e della Società della Cremazione di alcune situazioni rilevanti per il movimento cremazionista (Lodi, Cremona, Mantova, Pavia). Daniela Di Girolamo gli si affianca per quanto riguarda la Società di Cremazione in Liguria e Antonio Dieni per la ricerca relativa ai fondi dell’Archivio del Comune di Torino. Negli anni successivi, per le indagini su scala locale entrano altri ricercatori: Monica Casini (Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma), Rossella Ropa (Piacenza, Ferrara, Ravenna, Padova, Udine, Venezia, Verona), Mirtide Gavelli (Forlì), Silvia Mascagni (Pisa, Livorno), Catia Sonetti (Livorno), Maura Tesei (Roma), Franco Bozzi (Perugia e Spoleto), Gianluca Corradi (Firenze), Daniele Pasquinucci (Siena), Pietro Graglia (Arezzo), Luciano Bruschi (Pistoia), Sara Sinigaglia (Milano), Marco Novarino (Milano, Lugano, Torino), Walter Tucci (Torino, 97


Bra, Novara). Nell’Archivio Segreto Vaticano e in quello del Sant’Ufficio è stato impegnato Federico Musso. (De Luna in Conti F., Isastia A.M., Tarozzi F.,1998: VII) In questa bibliografia risulta particolarmente studiato il fenomeno crematorio degli albori, dalle sue origini al 1920, a questo elenco ci pare giusto aggiungere anche il valido contributo i Marcella Filippa che con La Morte Contesa nel 2001 si è occupata di cremazioni nell’Italia fascista. Poco c’è invece sul fenomeno dal secondo dopoguerra in poi. Come ci è già capitato di segnalare, la prima cremazione italiana è quella della salma di Alberto Keller a Milano avvenuta nel 1876. Vari riferimenti della letteratura però segnalano che la prima cremazione dei tempi moderni si fa risalire al 1822 e riguarda la morte del poeta Percy Bysshe Shelley, poeta giovane e dalla vita travagliata, nonché marito in seconde nozze di Mary Shelley, autrice di Frankenstein. Shelley, in esilio in Italia dal 1818, abita a Lerici nelle Cinque Terre, parte a bordo di una feluca per raggiungere la Toscana, ma a seguito di un naufragio, il suo corpo rinviene senza vita a largo delle coste di Viareggio. Grazie all’interessamento del suo amico Lord George Byron, il corpo di Shelley viene arso su pire alla maniera degli incenerimenti funebri dell’età classica e qui in particolar modo con un rito rievocativo delle scritture omeriche reso ancora più evocativo sullo scenario italico del Grand Tour. La struttura ideata per l’incenerimento, che prevede anche una struttura in acciaio, viene ideata a Livorno da Edward Trelawny. Per la verità, il cadavere di Shelley non fu il primo incenerimento, bensì quello del suo compagno di viaggio Edward Williams le cui ceneri furono arse il giorno precedente. Eppure, la morte a 30 anni del poeta romantico 98


che dedico la sua vita all’idealismo e all’anticonformismo rimase nella storia. (Davies, Mates: 2005, 374-375). Shelley, protestante inglese sarà poi sepolto a al fianco della tomba di John Keats nel cimitero acattolico di Roma. Si tratta di un episodio isolato, quasi fortuito e privo per molto tempo di alcun seguito, la morte di un libertino, artista, in quanto tale un’anomalia. Passeranno 25 anni prima della cremazione di Alberto Keller con alle spalle una struttura associativa e il fondamento scientifico di un crematorio ufficialmente riconosciuto. 3.1. Gli esordi cremazionisti: Milano e la Massoneria come spinte iniziali. Nel 1876, il Cimitero Monumentale di Milano è il teatro della prima cremazione (ufficiale) della storia d’Italia e d’Europa, per la verità il caso italiano anticipa anche gli Stati Uniti, dove la prima cremazione, quella del Barone de Palm che avverrà in Pennsylvania nel dicembre dello stesso anno (Prothero, 2001:15) . Un’avanguardia, quindi. È in realtà il traguardo di un sistema di lobbying cremazionista ben più datato. La salma di Alberto Keller, giace imbalsamata da due anni e il suo incenerimento è accompagnato da una grande propaganda abilmente canalizzata per la presentazione della nascente Società Crematoria di Milano. Ma andiamo con ordine in una ricostruzione dove si notano molti elementi interessanti. Il 22 gennaio 1874, muore a Milano l’industriale e commerciante di sete Alberto Keller. Affiliato alla massoneria, svizzero di origini nobili e di credo protestante. Fin dal 1872, con una lettera indirizzata a Giovanni Polli, manifesta il desiderio che le 99


spoglie mortali vengano cremate (Conti, Isastia, Tarozzi, 1998: 18) stanziando una somma di diecimila lire per sovvenzionare sperimentazioni tecnologiche per dare un crematorio al cimitero comunale di Milano. Aggiunge altresì che chiunque manifesti dopo di lui la volontà di essere cremato, contribuisca a versare una quota associativa affinché le spese di mantenimento del crematorio possano essere sostenibili. Al momento della morte di Keller nel 1874, né il Municipio e il Ministero dell’Interno concedono l’ autorizzazione: il Codice Sanitario Nazionale non è ancora promulgato e la cremazione non è ancora legalizzata. Così, in attesa dell’autorizzazione governativa, il corpo di Keller venne provvisoriamente imbalsamato e definitivamente ubicato nell’ala acattolica del Cimitero Monumentale di Milano.

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Polli intanto, con l’ausilio di Clericetti, riprese gli esperimenti su cadaveri animali per mettere finalmente appunto un procedimento che consentisse di effettuare le cremazioni con tutte le garanzie igieniche tecniche ed economiche. Si noti che, in 101


quegli anni, imbalsamazione e cremazione sembrano alquanto simili per gli uomini di scienza: nella cremazione non avviene alcuna distruzione ma si crea un’ascesi minerale del corpo. Il risultato di cremazione e imbalsamazione sembra equivalente in quanto producono disidratazione. Nel 1872, sono due futuri apostoli della cremazione, Gorini e Bertani (quest’ultimo fonda nel 1904 il Partito Radicale). Essi effettuano, presenti anche Lemmi e Campanella l’imbalsamazione della salma di Mazzini. Né pare casuale che uno degli ultimi scritti dello stesso Gorini, inventore del forno crematorio che porta il suo nome, sia l’accorata difesa di Motta che aveva elaborato un processo di metallizzazione dei corpi. Accanto alle fascinazioni alchemiche, la cremazione viene difesa da quanti sostengono la scienza e il progresso. Nella loro azione si coglie il riflesso potente dei principi del materialismo naturalistico diffusi nelle élite intellettuali del periodo: gran parte degli accademici, degli ingegneri e dei medici diventeranno convinti cremazionisti. La materia, inorganica ed eterna, diventa la sostanza necessaria a giustificare l’esistenza dell’universo. (Tartari, 1996:122) Il 26 maggio 1874 la periodica “assemblea costituente” delle logge massoniche del Grande Oriente d’Italia (GOI) approvano un ordine del giorno che impegna le logge stesse a promuovere la cremazione. Nel corso del 1875 una modifica del regolamento sanitario nazionale rende possibile, sia pure in casi eccezionali, l’esercizio della cremazione. Infine, a due anni esatti dalla morte, il 22 gennaio 1876, a Milano, la salma di Alberto Keller viene cremata nel corso di un’imponente cerimonia. Keller è un uomo molto conosciuto in città per le sue attività filantropiche. Per le sue esequie intervengono vari oratori, fra i quali il pastore evangelico Paira che tiene un discorso 102


in francese, sottolineando gli aspetti positivi della cremazione dal punto di vista religioso. (Comba, Vigilante, Mana: 1998, 191). Secondo quando ci riferisce Felice Dell’Acqua, Paira parlò della cremazione in rapporto colla religione, dimostrando come questa non è attaccata alle forme transitorie dei funerali, e non potea ripugnare quella forma inusitata che nella rapida dissoluzione del corpo gli offriva l’immagine della fugace esistenza della materia, e nella fiamma struggitrice poteva vedere il simbolo dell’anima che sciogliendosi dal corpo si slancia verso il cielo purificata e immortale. (Filippa: 2001, 83) Si noti che, la Massoneria, terminato il suo ciclo entropico per la profusione del Risorgimento Italiano in favore di una cospirazione per l’Unità d’Italia, per restare in auge si appiglia a nuove battaglie, questa volta, affermando i principi di laicità e scienza sulla società di cui fa parte anche l’implementazione della cremazione. È da notare che la Massoneria in Italia assumerà toni anticlericali nei confronti della Chiesa Cattolica Romana pur tollerando in generale tutte le religioni pur ribadendo una laicizzazione della società. In particolare, la Massoneria, si scinde in due macrotipologie: quella di rito simbolico dal laicismo più radicale e quella di rito scozzese che ammette tutte le religioni e le considera eguali. In particolare si noti che nel protestantesimo italiano fra fine Ottocento e primo Novecento, Teofilo Gay, valdese di nascita, prima pastore metodista e poi attivo nella sua comunità originaria, si è fatto iniziare nel 1877 dal supremo Consiglio di Torino. La Chiesa metodista episcopale in Italia, emanazione della Chiesa episcopale americana, favoriva 103


sistematicamente l’iniziazione di tutti i suoi pastori, quindi il suo caso non deve essere isolato. (Tartari: 1996, 203). In occasione della cremazione di Keller, viene creata a Milano la prima Società per la cremazione italiana sfruttando l’onda propagandistica delle esequie dell’industriale svizzero: la maggior parte dei primi soci – circa 300 nel 1881, 705 nel 1893 - sono di sesso maschile, sono in particolare membri che si rispecchiano in un’ideologia democratico-radicale. Le cremazioni passano dalle 8 del 1877 alle 66 della media annuale degli anni Novanta. La Massoneria è presente al vertice della Società di Milano. Infatti sia il presidente, il medico Malachia De Cristoforis (fratello del garibaldino Carlo), che il segretario, Gaetano Pini, impegnato nella lotta contro il rachitismo ne furono membri (Della Peruta in Conti, Isastia, Tarozzi: 1998, XIV). Per avere un’idea dei primi apprezzamenti della pratica crematoria, riportiamo qui le parole di Cesare Goldman, il promotore della costruzione del Tempio crematorio di Torino: Nel settembre del 1881 era morto il mio unico fratello. Era quello il primo lutto che, me vivente, colpiva la mia famiglia. Al dolore che ne provai si aggiunse in me una vera angoscia pensando allo strazio che il corpo del mio fratello avrebbe dovuto subire prima di essere, per anni ed anni, distrutto dalla lenta corruzione della terra […]. Per calmare la mia disperazione mi recai un giorno ad assistere ad una cremazione nel cimitero di Milano, dove già era sorto, per iniziativa di Alberto Keller, il primo crematorio in Italia. L’impressione che 104


provai assistendo alla austera cerimonia fu delle più confortanti, e mai dimenticherò il senso di sollievo che sorse in me quando, a cerimonia ultimata, vidi le bianche ceneri, chiare, nitide, pulite, quasi direi divinizzate rimanere quale ultima traccia dell’Estinto, mentre il fuoco purificatore aveva, in breve ora, restituito alla natura tutta la parte meno attraente del cadavere sottraendo le venerate spoglie all’ingiuria delle infezioni atroci. Fui allora veramente arso dal desiderio di estendere a Torino – mia patria di elezione – la civile funzione dell’incenerimento delle salme e, approvato dal nostro rapporto con Gaetano Pini e con Malachia De Cristoforis che furono veramente i valorosi precursori della civile iniziativa per l’Italia. (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998, 5-6) Per quanto riguarda il rapporto tra cremazione e politica, la questione appare alquanto accesa: è il 1888 quando il Governo Crispi (il primo governo di Sinistra dell’Italia Unita) a promulgare il codice di leggi che promuove la cremazione. Ma nella storiografia, è curioso notare che c’è la convinzione di accreditare l’idea che la cremazione abbia potuto diffondersi in Italia solo dopo l’ascesa al potere della Sinistra. Con ciò tentando di dare fin da subito una connotazione ideologica progressista e rivoluzionaria a una pratica che per la sua natura intrinseca non poteva evidentemente trovare sostegno nelle vecchie classi dirigenti di stampo moderato e conservatore. (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998,19). Infatti, già nel 1877, Giovanni Nicotera, adatta un primo provvedimento in favore della cremazione: attribuisce non più al ministro ma al prefetto, la facoltà di autorizzare la cremazione accelerando così l’iter burocratico. Ma la retrodatazione dei meriti di Nicotera e della Sinistra operata da Pini e De Cristoforis 105


appare rivelatrice del preciso intendimento dei promotori della cremazione, specialmente il gruppo originario lombardo, di dare un’etichetta politica progressista a un movimento che altrove avrebbe raccolto consensi anche in ambienti gerarchicamente liberali e in gruppi sociali e professionali non sempre orientati in senso democratico e radicale. Sempre molto netta e decisa sarebbe stata invece la connotazione laica dei cremazionisti, con punte qua e là di viscerale anticlericalismo, che si sarebbero accentuate negli anni a venire con la condanna ufficiale da parte della Chiesa del nuovo metodo di distruzione dei cadaveri. Ma anche l’impegno per la laicizzazione della società italiana nello scorcio conclusivo dell’Ottocento e all’inizio del Novecento non fu appannaggio esclusivo delle forze di sinistra e trovò anzi convinti sostenitori in parecchi esponenti del mondo liberale che per le loro posizioni in campo economico e politico potevano sicuramente essere definiti conservatori. (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998,20) Il giorno stesso della cremazione di Keller, nelle strade di Milano circola un manifesto in cui si incoraggia la volgarizzazione della riforma. L’8 febbraio successivo un’assemblea di circa duecento persone, per discutere e approvare lo Statuto che segnò la costituzione ufficiale della nuova società. Questo associazionismo, è sulla carta, aperto alla partecipazione delle donne, ma strutturalmente, la loro presenza sarà sempre minoritaria: su un elenco di 190 soci promotori dell’associazione milanese le donne risultavano essere appena 28 per 14 di esse erano legate a vincoli parentali condividendo o accettando scelte del partner o della tradizione famigliare. Motivo per cui, nel movimento cremazionista milanese non ci sono figure femminili ai vertici. 106


Per quanto riguarda la quota associativa, anche su base rateale, la tariffa rispecchia matrice essenzialmente borghese, pressoché chiusa, almeno in questa fase, alla partecipazione dei gruppi sociali più bassi. C’è dunque una consapevolezza di essere un movimento di nicchia, di una ristretta élite di idee che fronteggiava pregiudizi e credenze delle masse (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998, 26-28). È da notare che, in particolare, l’esaurimento degli ideali risorgimentali, il nascente nazionalismo, un atteggiamento più morbido delle istituzioni statali nei confronti della Chiesa, l’estensione del suffragio sono in Italia elementi che tendono a marginalizzare le élites cremazioniste, la cui influenza scema gradatamente all’interno dell’apparato pubblico e della rappresentanza parlamentare. Ma più ancora una nuova concezione della scienza e della natura, attraverso più evolute epistemologie, sconfessa la possibilità di una visione ottimistica e lineare dell’evoluzione. Nella sensibilità estetica nascono infine nuove inquietudini che fanno apparire il mondo pieno di incertezze e di contraddizioni insolubili. (Tartari, 1996:125)

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In quest’ottica, anche una certa idea di abolire in toto i cimiteri, viene accantonata verso una più conciliante visione dei cimiteri laicizzati. È così che quindi le idee del senatore Morelli (Della Peruta in Comba, Isastia, Tarozzi: XIII) vengono ammorbidite e si accetta l’idea di inglobare i templi crematori nei cimiteri.

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A Milano, il Tempio Crematorio si trova nel Monumentale alle spalle del sontuoso famedio e dell’ossario, in un cimitero dalla borghesia opulenta fatto di statue bronzee

e marmoree di personalità di spicco, il tempio crematoio si compone di colombari stretti e discreti, quasi delle tessere di un mosaico, che nel loro insieme e nell’essere distaccate dalle altre tombe e vincoli familiari, hanno un’immagine militante, tutti lì riuniti acquisiscono il ruolo di testimonials per chi vorrà intraprendere la cremazione. Una via che sembra più equa e igienica. Eppure l’ostruzionismo sarà spesso forte. Tra le grandi occasioni mancate, la cremazione di Garibaldi, che espresse la volontà testamentaria di essere arso (non cremato) nell’isola di Caprera clamorosamente disattesa per l’opposizione della famiglia. Un problema questo, che la leadership cremazionista avrebbe riproposto più volte negli anni a venire, consapevole che l’incenerimento della salma del generale, come si poteva leggere in un documento del comitato centrale della Lega del dicembre 109


1882, avrebbe potuto “esercitare influenza grandissima sul movimento delle opinioni morali del popolo nostro” (Conti, Isastia, Tarozzi:1998,54). Dopo inter parlamentari interrotti, il governo di Sinistra di Crispi approntò nel 1888 il testo sulla riforma sanitaria del Regno d’Italia che vedeva di fatto la legalizzazione della cremazione. Ciò fu una conquista malgrado la scomunica nel 1886 da parte della Chiesa Cattolica ai cremati e ai movimenti connessi. Questo indebolisce alcuni soci che non disattendono le volontà dei loro congiunti o che si defilano. Si radicalizza dunque il rapporto antagonista tra Chiesa e cremazione, altrimenti declinato come tradizione e progresso, credenze e anticlericalismo di forze radicali e massoneria. Il surclassamento del divieto religione appare interessante. Come osserva Dino Mengozzi, si nota sullo sfondo una convergenza intorno a una piattaforma rivendicativa che punta all’introduzione nella legislazione dello Stato di principi laici, a partire dalla legislazione, all’istruzione e a aspetti di costume quali battesimi, matrimoni e funerali civili, esercitando pressioni, in materia d’interramenti, affinché avvenissero senza tener conto di differenze religiose. Questa matrice anticlericale ma sostanzialmente deistica evolveva negli anni ’70 sotto la spinta dell’internazionalismo verso posizioni antimetafisiche e atee miranti a porre fine all’influenza della religione sulla società e sullo Stato. Garibaldi, presidente della Società italiana del libero pensiero, è il tramite dell’evoluzione della democrazia risorgimentale verso posizioni di contestazione della religiosità mazziniana. Il distacco si ha dopo la morte di Mazzini, nel 1872, quando nel movimento repubblicano andarono accentuandosi il laicismo e tendenze positivistiche, laiche e anticlericali. (Mengozzi, 2000:98) 110


Ad ogni modo, la legge sanitaria crispina, approva la concessione gratuita da parte dei comuni delle aree per adibire i crematoi all’interno dei cimiteri, luoghi in cui è possibile custodire le urne cinerarie in colombari o in templi appartenenti ad enti morali riconosciuti dallo Stato. Il regolamento della polizia mortuaria del 11 gennaio 1891 fissa i parametri per il nulla osta alla cremazione con l’autorizzazione dell’ufficio dello stato civile del luogo del decesso, la presentazione di un certificato medico escludente il sospetto di delitto, ed un estratto di disposizione testamentaria lasciata dal defunto (o, in sua mancanza, una domanda dei parenti più prossimi). (Della Peruta in Conti, Isastia, Tarozzi: XV) in più con il periodo di osservazione dei cadaveri dalle 24 alle 48 ore è reso obbligatorio per scongiurare l’eventualità della morte apparente, che in quel periodo era una narrazione molto frequente tra le credenze della comune morale. (Tartari, 1996:119). L’unica incongruenza che ancora si può obbiettare, è di natura medico-legale. Secondo Ferdinando Coletti (Professore Ordinario di Farmacia presso l’Università di Padova). Egli sostiene che la quasi totale distruzione dei cadaveri mediante la cremazione, avrebbe di fatto impedito tutte quelle indagini medico-legali necessarie ai fini investigativi che venivano reputate utili per accertamenti dilazionati nel tempo successivo al decesso. E questa può essere un’obiezione decisiva per le argomentazioni della cremazione (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998, 8). Contro questa lecita obiezione si legifera con il successivo regolamento mortuario del 1892, prescrivendo in caso di cremazione di una dichiarazione del medico curante congiunta a quella del medico necroscopo, per sgombrare ogni residua perplessità. 111


Sullo sfondo, le condizioni igieniche in Italia appaiono ancora retrograde dal punto di vista dell’igiene a confronto con altre realtà europee. C’è una netta divisione tra il nord e il sud del paese, ma anche l’industrializzazione del nord non aiuta a sanare certe criticità. Per avere un quadro della situazione, Della Peruta nota che (in Conti, Isastia, Tarozzi:1998,XI) la mortalità resta elevata fino al 1886, quando inizia a migliorare timidamente. Nel 1851 muoiono 30,5 morti per ogni 1,000 abitanti, il quoziente fu di 31,06 nel 1862, di 29,84 nel 1870, di 30,57 nel 1880, per scendere poi a 26,32 nel 1890 e a 22,25 nel 1903: le performance peggiori sul declino si attestano soprattutto al Sud. In generale, a morire sono soprattutto i bambini fino ai 5 anni che rappresentano il 48,8% dei morti complessivi nel triennio 1863-65, percentuale che resta stabile fino al 1890. Un’inchiesta governativa del 1885-86 sancisce che questi deficit sono dovuti soprattutto ad una scarsa qualità della medicalizzazione: persiste ancora un carattere ascientifico in molte pratiche mediche e si riscontra un’arretratezza delle strutture ospedaliere e assistenziali e soprattutto la condizione primitiva del paese in fatto di infrastrutture igieniche. Lontano dalle élite cittadine, il lavoro di sensibilizzazione appare lungo. Emerge infatti che, con la circolare del 14 luglio 1910 la Direzione generale della sanità pubblica interroga i prefetti del Regno sulle pratiche della cremazione adottate. In 37 province su 69 emerge che il principio cremazionista è completamente sconosciuto: si tratta di tutte quelle del Mezzogiorno e delle isole con l’eccezione di Napoli, mentre all’opposto nel centro-nord la diffusione è abbastanza capillare, in quanto mancano associazioni o impianti crematori municipali solo in alcune province dell’area lombardo veneta 112


(Sondrio, Belluno, Rovigo e Treviso), dell’Emilia-Romagna e delle Marche (Parma, Reggio-Emilia, Pesaro e Macerata), della Toscana (Massa, Lucca e Grosseto). In alcune di queste città sono state attive in passato società o comitati, che però avevano cessato di esistere, mentre in altre erano tuttora presenti dei sodalizi più o meno numerosi che non erano tuttavia riusciti ad edificare alcun impianto crematorio (è il caso di Vicenza, Piacenza, Forlì, Ancona e Napoli). Undici associazioni infine avevano ottenuto il riconoscimento giuridico (Arezzo, Bologna, Genova, Livorno, Milano, Napoli, Novara, Pavia, Pisa, Torino e Venezia), e due, quella di Alessandria e Bergamo, lo avevano chiesto e mai ottenuto. (Conti, Isastia,Tarozzi: 1998,82). Per avere un’idea geografica della cremazione, riportiamo qui le associazioni aderenti alla federazione italiana per la cremazione e il numero degli iscritti (1907) (Conti, Isastia,Tarozzi: 1998, 76) in base alla popolazione residente nelle città in esame sui dati del censimento del 1901. Associazioni

Iscritti

Tasso di iscritti sulla popolazione totale residente (per 1.000 ab)

Asti

52

2,8

Bergamo

53

1,2

Bologna

750

6,0

Ferrara

90

2,5

Firenze

436

2,7

Genova

304

1,9

Mantova

93

3,1

Modena

123

4,3

Monza

70

2,5

Novara

149

5,5

113


Pistoia

200

9,6

Torino

525

1,8

Venezia

130

0,8

Scendendo nei particolarismi dei dati amministrativi, ci è possibile censire in molti casi le professioni dei cremati. In una prospettiva alla Durkheim, la divisione funzionale dei lavoratori ci permette di evidenziare i gradi di penetrazione negli ambienti urbanizzati dove, la differenziazione delle società permette lo sviluppo di nuove professioni e il cambiamento. In questo quadro, la formula vincente della cremazione dovrebbe avvenire tanto più se aumentano le classi meno abbienti alla pratica cremazionista. Il quadro appare per la verità ancora elitario, per quanto, molti commercianti e piccoli liberi professionisti si avvicinano a questo rito come pure bohémiens e salariati dello stato di estrazione alto-borghese. Tra il 1876 e il 1910 dunque in particolare troviamo tre grandi raggruppamenti procremazione:  possidenti e benestanti costituiscono il 22,4% del totale

 gli impiegati, gli insegnanti e i pensionati il 16,1%

 commercianti, negozianti ed esercenti il 12,4%.

A questa larga base possiamo aggiungere alcuni casi minori, il 7,5% di professionisti, il 2,9% di professioni minori (farmacisti, geometri, ragionieri, periti, dentisti, veterinari, levatrici, pubblicisti e commercialisti), il 2,3% di funzionari e burocrati, il

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2,7% di imprenditori e banchieri e il 4,4% di militari, per lo più ufficiali di grano relativamente elevato. Da questa indagine risulta che è la fascia medio alta della gerarchia sociale a detenere l’ideologia cremazionista con una prevalenza di impiegati pubblici e detentori di rendita. Il restante 30% si ripartiva fra un 8% di artigiani, un 4,2% di operai e lavoratori manuali, un 4,4% di addetti a servizi tipicamente urbani, quali i domestici in genere, le lavandaie, i birocciai, i fiaccherai, i portalettere, i facchini, i cuochi, i fattorini, eccetera. Molto nutrito, il 7,8% del totale, era anche il gruppo dei senza professione, nel quale si sono inseriti i bambini, ma anche e soprattutto le massaie, le casalinghe, le attendenti in casa, i civili e i ricoverati. Studenti e artisti, rispettivamente con l’1,5 e l’1,6 per cento, costituivano un nucleo relativamente esiguo ma capace di rendere testimonianza del discreto successo che la cremazione. Non mancano alcuni sacerdoti: a Bologna, Firenze e Livorno si trattava di pastori evangelici; negli altri due, entrambi registrati a Milano, i cremati erano preti cattolici, anche se per uno di essi si usava la duplice significativa definizione di “sacerdote e fisico”. Dai numeri non c’è insomma particolare defezione dal mainstream delle posizioni centrali della Chiesa di Roma, anche se d’altra parte minoranze come quella protestante ed ebraica abbracciarono i riti cremazionisti anche per avvalersi di posizioni progressiste in contrasto con la tradizione cattolica. Clamoroso è soprattutto il caso ebraico che pure si distacca da una certa tradizione conservatrice sposando ventate di ebraismo riformato proveniente dagli Stati Uniti. (Conti, Isastia,Tarozzi: 1998,92) Infatti, a differenza di quanto 115


avviene in Europa, nel 1892 la Conferenza centrale dei rabbini americani, aderendo alle tendenze dei riformisti, autorizza per i correligionari la pratica dell’incenerimento (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998, 31). Per quanto riguarda più da vicino le cifre sull’appartenenza religiosa (Conti, Isastia,Tarozzi: 1998,94) i dati non hanno rigore scientifico visto che gli autori ci segnalano solo l’appartenenza per 1457 nomi con sproporzioni numeriche tra una realtà e l’altra. Ad ogni modo se scopriamo che l’89,1% dei cremati è di fede cattolica, il sincretismo italiano fa si che in questo panel ci sia anche un nutrito 5,7% di ebrei e un 5,2% di protestanti. Cifre significative visto che la loro presenza in Italia non è che minima. In particolare su base regionale le minoranze religiose appaiono in Liguria, dove i protestanti raggiungevano addirittura il 18,8% e gli ebrei il 5,9% (la Liguria diverrà una zona portuale strategica con l’avvento dell’Unità d’Italia che fa declinare Livorno come città di libero scambio), eppure in Liguria l’unica città a dotarsi di un crematorio prima del Novecento fu Sanremo (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998,47); in Veneto, dove i primi si attestavano al 10,3% e i secondi al 10,9%. Gli ebrei in Emilia raggiungono il 7% e in Friuli il 6,1%, mentre la quota dei protestanti tocca un livello ragguardevole in Umbria (7,5%). Anche in Piemonte e in Lombardia, rispettivamente con il 5,5% e il 5,7%, i membri delle comunità evangeliche sopravanzavano gli israeliti, che costituiscono il 3,7 % e il 2,3% del totale. Purtroppo, appare decisamente il dato riguardante la Toscana, poiché la mancanza di riferimenti relativi a Firenze e Livorno, dove le due minoranze religiose avevano insediamenti cospicui, fa si che la componente cattolica risulti di gran lungo più elevata in ambito nazionale con un poco 116


realistico 97,4% dei cremati. Ma avremo modo di approfondire più avanti il caso toscano che soprattutto con Livorno rappresenta un’anomalia, non solo italiana ma europea. 3.2 Un breve excursus sulle città italiane. In questo paragrafo, lungi dall’essere esaustivi dalle casistiche specifiche, tracciamo in linea generale alcune informazioni di base sull’andamento della cultura cremazionistica nelle diverse città italiane, prima di concentrarci su casi specifici a noi più congeniali ed interessanti. Partendo da Milano come motore caso leader del movimento, tra i followers notiamo che a differenza dell’élite laica e progressista meneghina, certe frange aristocratiche e la possidenza terriera, schierati politicamente su posizioni più conservatrici sceglievano la cremazione come una spinta verso una modernizzazione della società che prevale su quella della laicizzazione come nel caso di Lodi, Cremona e Udine. (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998,36) A Torino nel 1881 il finanziere e politico israelita Cesare Goldmann promuove un comitato per la concessione di un terreno comunale da adibire ad ara crematoria. L’iniziativa è accolta l’anno successivo con il riconoscimento in ente morale della associazione. Viene nominato presidente il senatore Ariodante Fabretti. Entro la fine del 1900 i cremati sono 227. Si tratta di una delle associazioni più influenti a livello nazionale, avvallata anche dalla presenza di tre logge massoniche cittadine e la

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presenza di lasciti cospicui da parte dei soci. Presto la propagazione della cremazione raggiunge anche Novara (1892), Asti (1883) e Intra (1894). Bologna, che nei primi del Novecento è la città con più soci è una città che riesce ad apportare un allargamento della base sociale degli iscritti sotto la correlazione tra l’associazionismo popolare di matrice laica e matrice democratica-socialista aperta soprattutto al ceto operaio. Per questa esigenza, la quota associativa può avere per gli operai una forma di pagamento rateale dilazionato fino a cinque anni, ovvero, deve essere pagata una quota di 30 lire anche in piani rate fino a 30 o 60 mesi. (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998,41). Eppure, l’onda bolognese di associazionismo cremazionista non sempre viene accolta in regione: c’è una netta differenza tra Emilia e Romagna (quest’ultima più conservatrice) e non mancano fallimenti anche a Carpi, Parma e Reggio Emilia (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998,42). Questo fenomeno non è legato alla ruralità. Si nota infatti che sebbene la cremazione riesce ad attecchire anche in qualche centro agricolo della Padania di maggiori dimensioni, indifferenti saranno il mondo socialista e repubblicano che conducono la prima costruzione di organi di civicness (sindacati, partiti, associazioni mutualistiche). (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998,95). Per questi partiti l’ostacolo non sta tanto nel disincanto del mondo in senso classico, quanto in quello di smaterializzare la loro religione sostitutiva affidata alla politica che nel moto crematorio non avrebbe trovato, per così dire, un mantra filosofico (Mengozzi, 2000: 113). La cremazione, nota ancora Mengozzi rischia di annullare la pedagogia della morte che secondo i socialisti - : rischiava di ridurre l’apparato funebre, riducendosi a sfida puramente anticlericale. La Chiesa l’aveva vietata nel 1886 per 118


ragioni che paradossalmente potevano essere condivise da molti socialisti. La messa in mora di tutto il simbolismo legato alla morte avrebbe nuociuto non meno alla “morte rossa”. Ma l’intima “necessità” del simbolismo funebre risiedeva probabilmente nell’autofondazione dell’ideologia materialista, che tronava nella morte quell’aspetto metafisico di cui era sprovvista in quanto ideologia secolare. La morte rappresentava l’esperienza provata dalla non mondanità assoluta dell’esistenza e costituiva un’esperienza metafisica, che faceva uscire l’ideologia della pura materialità, ma restando nell’orizzonte della storia. (Mengozzi: 2000,117-118) In Veneto, un importante polo delle idee cremazioniste sarà Padova e non potrebbe essere altrimenti visto che nel 1857 Ferdinando Coletti, titolare della cattedra di farmacia dell’Università di Padova è il primo sostenitore della cremazione (Sonetti:2007,11). È il simbolo di un’avanguardia che in Veneto raccoglie un discreto successo e costituisce una delle aggregazioni più tangibili del laicismo di matrice liberale in contrasto alla crescente egemonia delle organizzazioni cattoliche. Anche a Venezia, dal 1882 sarà fondata un’associazione pro-cremazione. (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998,44). La Liguria, anche essendo geograficamente vicina alla Provenza entro la fine dell’Ottocento vede spuntare solo un crematorio. Si tratta della città di Sanremo. (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998,47) Un dato anomalo se pensiamo alla vocazione portuale di questa regione e alla presenza fitta di ebrei e protestanti (di cui anni prima fece parte anche il poeta Shelley). Eppure il fermento c’è, a Genova il garibaldino ed esploratore Luigi Maria D’Albertis costituirà un’associazione nel 1897 e nel 1903 sarà inaugurato 119


il crematorio. Nell’associazione confluiranno vari esponenti dei circoli mazziniani. Secondo i dati riportati dall’Enciclopedia della cremazione, nei tempi attuali Genova gode di un’associazione con 15.000 soci e un buon tasso di partecipazione femminile (ben il 37%). Le cremazioni sono aumentate dalle 380 del 1985 alle 1938 del 1995. (Davies, Mates: 2005, 158, 216-217). Un laboratorio interessante è la Toscana soprattutto da un punto di vista gestionale. Qui molti crematori passano dalla gestione associativa a comunale, la partecipazione popolare si allarga e addirittura a Livorno ci si accolla la cremazione degli indigenti. Vediamo qualche traccia. A Firenze la loggia massonica Michelangelo (rito scozzese) richiama anche la comunità ebraica e la componente femminile è significativa. L’associazione garantisce la gratuità dell’operazione per i propri “ascritti” ed esigeva dal 1890 il pagamento di 100 lire per i non soci. A Livorno l’associazione raggiunge circa 200 soci e nel giugno 1885 inaugura il tempio crematorio presso il cimitero La Cigna, il bilancio dei primi nove anni fu l’incenerimento di 141 cadaveri, 120 uomini e 21 donne. Dal 1893 si decise di cedere impianto dall’associazione al municipio con l’impegno da parte del Comune di Livorno di accollarsi l’onere di cremare gratuitamente tutti i membri effettivi dell’associazione esistenti a quella data, di esigere una tassa di 40 lire per i nuovi soci e di 50 lire per i non iscritti su richiesta del consigliere socialista Ezio Foraboschi e in più, il comune si impegnò a mantenere la prassi introdotta dal sodalizio labronico di effettuare la 120


cremazione gratuita dei cittadini indigenti che non potevano permettersi spese per la sepoltura. Un elemento nuovo nella nostra lettura che non fa che allargare la cremazione ai ceti più bassi della società. Anche a Pisa nel 1897 il crematoio innalzato nel 1882 passò sotto l’amministrazione comunale per iniziativa di un comitato guidato da Apollonio Apolloni e Giuseppe Collodi. Una soluzione diversa a Siena dove la spesa per la costruzione del tempio crematorio, inaugurato nell’ottobre 1896, venne infatti sostenuta per metà dal Comune, che si riservò la proprietà dell’impianto e ne concesse l’esercizio all’associazione. (Conti, Isastia, Tarozzi : 1998, 48-50). La costante presenza di una presa in carico da parte delle amministrazioni comunali cosa rappresenta? È un fattore positivo perché diventa una prassi acquisita o il declino di una certa capacità del capitale sociale dell’associazionismo che viene meno? All’inizio del Novecento, in 15 città i templi crematori appartengono alle amministrazioni municipali: il valore di questa operazione è ambivalente:  è positivo constatare che l’incenerimento dei cadaveri è di fatto parificato all’inumazione e considerato come uno dei servizi essenziali che il governo locale deve fornire alla cittadinanza.  il passaggio all’esercizio municipale che vede un passaggio di testimone dell’associazionismo cremazionista, può essere interpretato come una sconfitta

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o quantomeno un ripiegamento, segno che non si è raggiunta la stabilità organizzativa necessaria per sostenere l’onerosa attività.

 L’ingresso sulla scena dei comuni comporta poi il rischio di attività di proselitismo effettuato delle associazioni, che in certa misura è determinato dalla percezione del rito crematorio, come pratica entrata nella routine e sottoposta al pari di altri servizi urbani, alle lentezze e alle vischiosità della burocrazia municipale. Esiste anche una federazione nazionale: nel 1906 nasce la Federazione italiana per la Cremazione con sede a Torino. Essa decise di includere fra gli enti federati anche quei municipi che avevano assunto in prima persona la gestione del servizio di cremazione, nel 1909 gli impianti in funzione in Italia risultavano essere 31 e 6.404 le cremazioni complessivamente eseguite a partire dal 1876. (Sonetti, 2007:14). Questa Federazione ammette anche il principio di reciprocità per la cremazione dei soci di altre città consorziate. Nel nord e nel centro Italia, la cremazione ha i suoi risvolti, ma cosa ne è dell’Italia meridionale? L’agitazione culturale non manca nelle città portuali, ma è soprattutto la mancanza di un inquadramento burocratico rapido e di un vertice a segnarne l’immobilismo sul piano pratico. Il sud è quello che fino a ieri era Regno delle Due Sicilie che ha vissuto l’annessione al regno unitario anche in maniera più passiva e con meno tracce di anticlericalismo. Un’occasione mancata (o una mancata elaborazione del lutto) se si pensa al fatto che la questione igienica sarebbe di impellente attualità: 122


l’ondata di colera del 1884-85 ha rapido diffondersi di malattie gastro interinali che uccide 8 mila vittime a Napoli e 3 mila a Palermo meno dei 120 mila morti degli anni 1865-68 che ne fecero 160 mila e delle malattie precedentemente debellate come vaiolo, morbillo e tifo. Non ci sono crematori al sud, Napoli fu tra i pochi cimiteri a dar vita a un’associazione e impiantare un tempio crematorio nel cimitero di Poggioreale. Una “società anonima cooperativa per la cremazione dei cadaveri” viene infatti costituita nel 1888 e raccolse in breve l’adesione di oltre 500 persone, fra le quali figurano molti esponenti della locale comunità medica e scientifica. Ottenuta nel maggio 1892 l’erezione in ente morale, indizio implicito anche di una certa solidità patrimoniale che nel frattempo è raggiunta, si adopera inutilmente per strappare al comune la concessione per un’ara crematoria. Ma l’immobilismo burocratico la fa da padrone né valsero a sbloccarne l’iter i numerosi ricorsi presentati anche al consiglio di Stato. Scendono così gli iscritti, nel 1907 siamo a quota 273. Costretta a chiedere ospitalità per le sue riunioni ad altre associazioni, l’ “anonima cooperativa” napoletana si limita ad un’opera di proselitismo e di diffusione degli ideali cremazionisti. Si pensi che a Napoli il crematorio vedrà finalmente luce, ma solo nel secolo successivo, addirittura nel 2016. (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998, 53) A Taranto, un comitato promotore interclassista sociale raccolse tra il 1891 e il 1892 ben 279 proseliti in pochi giorni. In Sicilia, solo Messina prese posizioni sul tema con il favore dell’amministrazione ma non si arriva a risultati concreti. (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998, 53) 123


Non dimentichiamo poi che questo excursus non è che un puntellamento dei casi più noti di cremazione, ma lo scenario italiano, invaso nell’Ottocento dall’obbligatorietà delle sepolture individuali voluto dall’editto di Saint Claude ai tempi di Napoleone trova ancora criticità emergenziali notevoli. Trasferiti fuori dalle città, i cimiteri sono da quasi un secolo direttamente passati sotto il controllo pubblico. Certo, in molti casi la sorveglianza dei luoghi è malferma e distratta; le tombe sono maltenute, specialmente nei villaggi e nelle zone arretrate, le prescrizioni sanitarie non sono sufficienti e, a volte, non vengono eseguite. Come risulta dall’inchiesta Bertani, nel 1885 vi sono ancora in Italia 815 comuni senza un regolare cimitero: c’è ancora l’uso di fosse comuni e 258 cimiteri si trovano ancora all’interno del centro abitato. (Conti, Isastia, Tarozzi: 1998,116). Dopo questo sommario excursus cerchiamo di inquadrare da vicino le realtà più significative.

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Cremati ogni 1.000 morti per alcune città italiane (Colombo:2017)

Come evidenzia il grafico qui riportato delle percentuali di cremazione, è inderogabilmente Livorno a detenere un significativo primato, una sicura anomalia italiana che cerchiamo in questa sede di analizzare meglio, per questo lavoro ci sarà utile la monografia dedicata alla città di Catia Sonetti, Una Morte Irriverente (2007) che risulta una fonte molto esaustiva malgrado la lacuna dovuta alla perdita dell’archivio della società per la cremazione nell’alluvione del 1966. (Sonetti, 2007:28) Seconda città è Milano che abbiamo analizzato già in apertura e che quindi preferiamo sostituire all’analisi della città di Torino per la sua influenza e i suoi gruppi di potere interni. 3.3 Il caso di Livorno Arriviamo con Livorno ad uno dei casi principe della nostra ricerca. Livorno ha l’eredità di citta libera portuale e in fatto di cremazione alle élite sostituisce soprattutto il proletariato urbano. Di sicuro è una città nota per il suo estro sovversivo che contrappone anarchici e antifascisti a grandi borghesi e industriali oltre ad essere una città dalla presenza multietnica particolare (come nel caso degli ebrei naturalizzati che vedremo più avanti) e spicca soprattutto per il grande coinvolgimento femminile. A livello bibliografico Livorno è una fonte interessante perché permette di spianarci la strada sul piano storico attraversando le guerre mondiali e giungendo fino al tardo Novecento.

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Cominciamo dalla sua storia. Il fondatore, Federico Wassmuth, massone, è un commerciante di origini tedesche appartenente alla comunità valdese e costituisce nel 1882 il primo nucleo dell'Associazione per la cremazione dei cadaveri. Per avere un’idea del bilancio dei cremati basti sapere che gli iscritti passano dai 199 della fondazione ai 3.207 del 1911, dei quali ben 409 erano donne, mentre i cremati, fra il 1885 e il 1918, sono 1.099. Gli uni e gli altri, in larghissima maggioranza, appartengono alle classi popolari e politicamente erano schierati all’estrema sinistra. È possibile individuare un carattere dominante in tutta la storia labronica, questo sta sicuramente nella turbolenza dei suoi cittadini. Una città tenuta particolarmente d’occhio dalle forze dell’ordine per una presenza massiccia di “sovversivi”, che si faranno sentire per i moti del caro pane del 1898, per le dimostrazioni per Francesco Ferrer, per lo sciopero contro il caroviveri a cui seguiranno negli anni del Fascismo scritte sui muri, lancio di volantini, esposizione delle bandiere del movimento operario alle manifestazioni di protesta vere e proprie come quella organizzata dai disoccupati nel 1930 contro il locale ufficio di collocamento.(Sonetti:2007,30). Operai, calzolai, falegnami, venditori ambulanti, barbieri, muratori, commessi, manovali, barbieri, muratori, commessi, manovali, carrettieri, imbianchini, marinai, spazzini, ferrovieri e stagnini rappresentano (in ordine di grandezza la componente dominante dei cremati a Livorno, tutti appartenenti a ceti popolari a cui fanno seguito bottai, camerieri, vetrai, pescivendoli, ortolani, stallieri, acquaioli, cenciai, scalpellini, carrai, fattorini, lattaioli, arsellai, lavandaie e cocchieri. (Sonetti, 2007,137) Tra questi, 126


i facchini e i falegnami accanto a massoni e insegnanti saranno i più frequenti tra gli iscritti alla Società di cremazione (Sonetti, 2007,32). Cosa rilevare poi dello status di città portuale? La presenza in città di tanti piccoli cimiteri nazionali ci da un’idea delle presenze che si sono aggirate in città: c’è un cimitero per i greci, uno per gli ebrei uno per gli inglesi e per gli olandesi-alemanni (Sonetti:2007,139). Inoltre, su questa mescolanza di popoli e civiltà, la storia ci dà una lezione particolare, che rappresenta una chiave di volta nell’assetto cittadino. E cioè: già nel XV secolo, Livorno è una città slegata dal feudalesimo e si incammina verso un primato di polo commerciale nel Mediterraneo. Leopoldo II favorisce l’insediamento degli ebrei (esuli sefarditi della Spagna e del Portogallo), concedendo loro la nazionalità toscana e il diritto alla libera circolazione. I livornesi, quindi, avevano una storia, usi e costumi diversi dalla comunità ebraiche locali: si sentono prima di tutto italiani, di cultura e di lingua (Gianturco, Zaccai:2004,31). Questo sarà il germe verso la loro laicizzazione, influente e compatta sarà poi la comunità di ebrei livornesi a Tunisi: li ritroviamo con Vittorio Emanuele II che in accordo con la Reggenza di Tunisi concede a loro, italiani a tutti gli effetti, di essere soggetti solo alla propria giurisdizione consolare con il diritto di viaggiare liberamente e svolgere attività commerciali e industriali con garanzie contro la concorrenza e del beneficio dell’extraterritorialità per le loro imprese. (Gianturco, Zaccai: 2004, 34) Questa presenza ebraico-livornese a Tunisi ci torna utile perché questo gruppo connotato da uno spirito di élite appare strettamente legato ai moti risorgimentali e agli eventi che successivamente portarono all’Unità d’Italia. Qui 127


vi troviamo soprattutto liberi professionisti, commercianti e intellettuali, legati a Giuseppe Mazzini. Tra questi patrimoni c’erano gli animatori del comitato della Giovine Italia; un comitato di esuli che operava per sostenere dalla Tunisia le lotte per l’unità d’Italia. La comunità livornese, inoltre, ebbe un ruolo determinante, all’interno della collettività italiana, per il mantenimento dell’identità nazionale. (Gianturco, Zaccai: 2004,31). Si tratta di una presenza caratterizzante, ciò vale sia per la presenza degli ebrei livornesi nei registri di cremazione in città sia per i legami con Tunisi. Con un notevole salto temporale, possiamo ritrovare, ad esempio, il sindaco di Napoli esponente del Partito Comunista Italiano Maurizio Valenzi, ebreo livornese a Tunisi che, sepolto a Napoli è stato cremato nel 2009.1 Andiamo ora ad approfondire queste non poche premesse e gradatamente andiamo anche a progredire con le datazioni fino al Fascismo e alla problematizzazione della cremazione in quegli anni. Analizziamo quindi dal principio tutte queste varie componenti. La figura della presidenza di Federico Wassmuth è complessa. Le sue origini tedesche sono alquanto articolate: la famiglia tedesca, della Baviera, emigrò a Schaffhausen in Svizzera al tempo delle guerre di religione e un ramo della medesima si trasferì da lì in Italia, prima a Napoli, dove aprì un'attività commerciale, e poi dalla città partenopea a Livorno. Possiede una fabbrica di pipe e fonda una Società di soccorso per gli Svizzeri

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http://napoli.repubblica.it/dettaglio/napolitano-omaggio-a-maurizio-ma-il-pd-dimentica-il-sindaco-rosso/1661277

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e un'assicurazione elvetica. Molte fonti lo collegano alla loggia Garibaldi e Avvenire e al gruppo dirigente nazionale della massoneria (di rito inglese) (Sonetti, 2007:38). Come mai la scelta di Livorno per Wassmuth? In un’intervista di Catia Sonetti a sua figlia Margherita, si parla di caso fortuito e giusto tempismo: giunge a Livorno in quanto città libera poco prima dell’Unità d’Italia che farà perdere a Livorno uno status privilegiato, ecco le sue parole: Diciamo che la mia famiglia era venuta giù per questioni commerciali. Cioè erano quelle famiglie grandi che mandavano un figlio di qua, uno di là, a curare gli interessi della famiglia. A quei tempi Livorno era un porto importante e poi una zona libera, dove si poteva per l'appunto commerciare senza grossi problemi, senza grandi spese (...). E diciamo che Livorno era una zona molto importante dal punto di vista commerciale. Fino a quando l'Italia non è diventata un regno unito, e sono state levate queste franchigie, francamente Livorno era uno dei porti più importanti del Mediterraneo. Poi è cominciato a decadere, perché a parità di costi, allora Genova diventava più interessante. I miei avevano una ditta di trasporti, e avevano un'agenzia marittima, e poi hanno fondato delle compagnie di assicurazioni. Quello che però è importante analizzare è il suo legame con la Massoneria di tipo simbolico e non scozzese: a Livorno non era una novità visto che si tratta della città con più logge massoniche d’Italia. La posizione di Wassmuth canalizza quindi i dibattiti sull’igiene e la nascita delle prime società di mutuo soccorso. Quanto alla 129


massoneria, le prime logge risalgono agli inizi del Settecento, (1729 o 1734, non c’è certezza sulla datazione della prima loggia massonica). Il fatto che si trattasse del rito simbolico non deve stupirci visto che il gruppo degli inglesi è presente a Livorno, fu quindi naturale organizzare le regole della massoneria inglese a tre gradi. Indubbio appare anche il ruolo dell’ebreo Joseph Attias . D’altro canto però, anche la Baviera offre spunti interessanti e si ricollega ad una tradizione massonica più democratica e quindi, a seguito degli ideali giacobini della Rivoluzione Francese, più facilmente posizionabile verso idee radicaliste. (Sonetti, 2007:37) A Livorno quindi, nelle file della Massoneria, che abitualmente è restia ad una presenza popolare, vede qui concretizzarsi la presenza di massoni di classi sociali non elitarie (Sonetti, 2007:45). Non a caso poi, per quanto riguarda le cremazioni, nel 1906 la quota di iscrizioni di 3 lire viene abbassata a 1 lira, per allargare il numero dei soci, che già ammontavano a 1.170 uomini e 152 donne. (Sonetti: 2007,80). Per quanto riguarda gli ebrei, secondo le fonti di Sonetti, è di 22 defunti presenti nel cimitero israelitico della città, eppure, almeno dalle sue stime ve ne sarebbero altri 41 risalendo alle origini dei cognomi. Di questi, solo 6 sono donne. Questi dati si concentrano soprattutto nell’Italia liberale. Il dato può comunque essere dubbio visto il loro forte grado di assimilazione (Sonetti: 2007,143-144). Gli ebrei nel Settecento rappresentano il 15% della popolazione. Secondo gli studi condotti da Michele Luzzati, dalla prima guerra mondiale in poi comincia a diffondersi nella città la figura dell’operaio ebreo, facendo sì che la comunità ebraica livornese fosse ancor più ancorata alla composizione sociale specifica della città. Il processo di integrazione 130


degli ebrei nella città, anche dal punto di vista della compattezza sociale, li rende protagonisti e partecipi attivi del movimento risorgimentale prima, dell’ideologia liberale poi, fino all’adesione di istanze fortemente anticlericali e laiche, tra cui la cremazione. Essa infatti aveva il valore di una scelta paradigmatica che, come ripartiamo, non è stato però possibile verificare da un punto di vista quantitativo. (Filippa: 2001,75). Quanto ai colori politici della città possiamo notare che, per i primi anni di questa ricerca la massoneria fu una componente trasversale a tutti gli schieramenti, fu il vero e proprio gruppo egemone. All’inizio il potere amministrativo è in mano ad esponenti crispini, per poi passare nelle mani dei rappresentanti della borghesia radicale nel 1894. Questa è un’esperienza breve perché il comando ritornò in mano al partito liberalmonarchico. A partire dal 1903 le diverse giunte comunali dovettero comunque tener conto dell’opposizione dei consiglieri socialisti entrati con alcuni rappresentanti nel Consiglio. Intanto compare anche una Camera del lavoro sindacale, minoritaria ma agguerrita con una radicalizzazione del conflitto sociale sul tema della guerra e la comparsa sulla scena dei comunisti. (Sonetti, 2007:33) I socialisti vinceranno le elezioni del 7 novembre del 1920, con Umberto Mondolfima nel 1922 sarà scacciato dal Fascismo. Bisognerà attendere il 19 luglio del 1944 per aspettare la liberazione della città. (Sonetti: 2007,29-30)

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C’è da dire che il Fascio in città è coltivato dalla ricca borghesia, mentre il proletariato non abbandona il dissenso. Negli anni del ventennio le manifestazioni di opposizione al regime non mancano, c’è consistente partecipazione alla guerra di Spagna sul fronte repubblicano ed è capillare l’organizzazione della raccolta fondi per il soccorso rosso, l’organizzazione clandestina nel partito comunista che, stroncata da una parte, risorge con un altro gruppo di militanti da quell’altra, fino alla organizzazione degli scioperi del ’43, particolarmente diffusi nelle fabbriche della città e della provincia, dimostrano che i fascisti non riuscirono mai ad egemonizzare fino in fondo la componente operaia e popolare. (Sonetti, 2007,31). Con la fine della guerra, il Partito comunista, vince le elezioni. Ma negli anni del Fascismo, la So.crem resta il luogo di ritrovo di una irriducibile militanza laica che attraverso il rito dell’incenerimento dei cadaveri e le connesse pratiche funerarie riesce ad esprimere un “antifascismo esistenziale”. Catia Sonetti documenta che nel periodo 1919-1945 la percentuale dei cremati rispetto al numero dei defunti è del 5,90 % a fronte dell’1,41% del periodo 1885-1918. In più nel 1928, su venti membri del consiglio d’amministrazione della Socrem, tredici venivano definiti nei rapporti della polizia politica ‘repubblicani e massoni’ e tre ‘socialisti’. (Conti in Sonetti: 2007,15). A ben vedere poi, un nostro sopralluogo a Livorno rivela quanta militanza ci sia nella contrapposizione dei cimiteri: alla Cigna, sulle lapidi dei defunti appaiono falce e martello, sciarpe garibaldine e simboli massonici ma anche lapidi commemorative delle vittime del nazifascismo (una presenza così esplicita appare un unicum di tutti i cimiteri da noi visitati). Il tutto all’insegna della compostezza greca e di alcune statue 132


commemorative sobrie e candide in contrapposizione ad altri cimiteri cittadini, in particolare al cimitero della Purificazione che ospita le tombe della famiglia Ciano e Fabbricotti (una ricca famiglia di imprenditori marmisti legata al Fascismo), un cimitero dove campeggia un’enfasi della morte fatta di pianto, dolore, aquile e simboli militari. La scelta cremazionista si rafforza dunque del suo connotato antagonista. Si apre così dunque un nuovo capitolo di questa pratica. Come vedremo a breve analizzando il periodo fascista, la pratica della cremazione viene si osteggiata dalla comunione tra Fascismo e Patti Lateranensi ma rimase una pratica legale abbracciata sia da antifascisti che da ebrei e il numero delle donne che scelgono la cremazione aumenta sensibilmente. Le città internazionali degli esuli antifascisti sono tra l’altro, Parigi, Lugano, Buenos Aires, Marsiglia, Basilea, Lione, Londra, Zurigo, New York, Londra. È bene tenerlo a mente per verificarne gli andamenti crematori. (Filippa: 2001,132) Riportiamo dunque delle immagini da Livorno dal cimitero La Cigna.

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E in contrasto, immagini dal cimitero della Purificazione di Livorno di matrice più conservatrice, fascista e altoborghese.

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3.4 La cremazione durante il Fascismo In particolare, i dati evidenti del Fascismo sono lo scioglimento delle logge massoniche che porta in sonno la loro attività, il potente sodalizio tra Mussolini e la Chiesa (soprattutto dopo i patti lateranenzi), l’impossibilità propagandistica della cremazione dovuta alla soppressione della libertà di stampa e l’emanazione di leggi razziali che di fatto porterà alla messa in fuori legge dei lasciti degli israeliti al finanziamento delle attività crematorie (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998,214). Seppure tra difficoltà, il quadro iniziale lascia una resilienza forte nel movimento crematorio. Nei primi del Novecento il boom dei cremati si ha nel 1920. Il successivo ridimensionamento non tocca le percentuali femminili. Si arriva a circa 500/600 ogni anno. Nel 1929 (anno dei Patti Lateranenzi) il totale delle cremazioni eseguite in Italia dalle origini arriva a sfiorare le 11.000 unità. La firma del Concordato del 1929 segna una stretta legislativa alla concessione della cremazione, tuttavia le associazioni proseguono la loro attività riuscendo anche nell’ottobre 1936 ad organizzare a Torino il congresso nazionale della Federazione italiana per la cremazione, ricordiamoci poi che in un periodo di forte conflitto, una città antifascista come Livorno nel periodo 1919-1945 passa ad un 5,90 % di cremati a fronte dell’1,41% del periodo 18851918.(Conti in Sonetti:2007,15) Il totale dei cremati tra il 1919 e il 1945 è di 3156 in cui ben il 20% dei cremati risulta essere stato impegnato in attività direttamente riconducibili alla vita portuale della città oltre a questo dato circa 1400 vengono dichiarati con professioni che si possono inserire nella categoria del proletariato urbano. (Sonetti:2007,73). 140


Questi fatti hanno conferma anche sulla scena torinese, dove la pratica cremazionista attecchisce tra gli operai delle grandi fabbriche (Filippa:2001,98) Questo sarà indice di un forte segnale di resistenza, in particolare perché la legislazione fascista tende a complicare l’autorizzazione alla cremazione dei ceti medi in quanto, a differenza dell’inumazione, il testo unico del 1934 prevede che oltre alla presenza dell’estratto legale di disposizione testamentaria, bisogna allegare una sorta di accertamento ermeneutico da parte dell’ufficiale di Stato civile, per assicurarsi che sia chiara la volontà. Ciò significa che i due riti non sono equiparati né sul piano legale né su quello dei costi amministrativi: per l’inumazione si tratta di espletare una semplice pratica burocratica, per la cremazione occorre seguire un percorso lungo e costoso, visibilmente scoraggiante. A ciò si aggiunge il Regolamento del 1942 in cui il rito della cremazione è fortemente osteggiato. (Filippa, 2007:65). Tutto ciò parte dalla base della regressione dei Patti Lateranenzi al monopolio della chiesa in materia di morte. Per il Fascismo ciò sarà anche una legittimazione per espellere la dottrina atea e materialista che aveva connotato l’atteggiamento Risorgimentale. (Filippa:2001,64). Mussolini intanto ingloba nella sua propaganda la lotta per l’igiene rovesciandone il suo significato simbolico, quello che era il positivismo dell’era crispina diviene strumento di superiorità razziale e viene elevata a scienza dell’economia nazionale. (Filippa: 2001,62). Intanto alle logge massoniche subirono profondi attacchi soprattutto nei confronti dei massoni fiorentini e delle sedi di Torino, Pistoia, Lucca, Livorno, Siena, Bari, Ancona e Venezia che vengono saccheggiate e distrutte. (Filippa:2001,105). Ciò però, a partire dal 1942 farà da collante per compattare le fila del Partito d’azione in 141


cui si riconoscono molti sostenitori del movimento cremazionista, per la loro formazione laica, aderiscono o hanno aderito alla massoneria. (Filippa:2001,110). Per quanto riguarda gli ebrei, alcuni suicidi eclatanti sceglieranno la cremazione: è il caso del giornalista Emilio Foà a Torino all’indomani della promulgazione delle leggi razziali (Filippa:2001,94), stessa sorte tocca al radical-socialista e massone Angelo Fortunato Formaggini, editore modenese. All’età di sessant’anni si getta nel vuoto dalla Torre Ghirlandina di Modena il 29 novembre 1938 , verrà cremata il 1 dicembre dello stesso anno nella forma strettamente privata imposta dal Regime, alla presenza della moglie e di pochi amici malgrado la notizia avesse fatto scalpore (Filippa, 2001:92). In questi anni, l’appartenenza delle donne a società crematorie sale al 38%, solo il 23,5% è cattolica ( Filippa, 2001:93). A Torino, il 1938 è anche l’anno in cui in segno di scherno al partito fascista, i soci della So.crem scelgono di contraddistinguersi con assembleare un distintivo sociale da portare all’occhiello con un gagliardetto su sfondo a smalto verde, “ottemperando a un desiderio della maggioranza dei soci” (Filippa, 2001:92). 3.5 Il caso di Torino Se finora abbiamo cercato di procedere in ordine cronologico, sondiamo qui alcune variabili a cerchio concentrici. Torino, altro caso principe della storiografia della cremazione, è concentrata sullo studio degli anni 1880-1920, ma ci permette di sondare

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ulteriormente il fenomeno delle minoranze religiose che con il fascismo saranno meno tollerate, ebrei ma anche protestanti e valdesi. Si noti che Torino risulta essere un polo aggregativo di persone residenti anche fuori dalla città. Vi è una presenza di soci nella zona di Pinerolo e naturalmente delle valli valdesi. Non mancano in ogni caso presenze anche da zone assolutamente decentrate come il cunense ed addirittura le valli cuneensi. Delle 1423 cremazioni da noi prese in considerazione 130 sono su residenti fuori città: 92 in provincia di Torino, 15 in quella di Cuneo, una decina nel biellese – che continua a gravitare evidentemente su Torino nonostante la presenza di una società e di un’ara crematoria a Novara – e altrettanti nell’astigiano e nell’alessandrino, anche qui nonostante la presenza della struttura di Asti. (Comba,Nonnis Vigilante, Mina: 55,1998). Tra i soci l’80% è costituito da cattolici, il 7,8% da protestanti, il 9,6% da israeliti e una minoranza ancor più piccola da persone che si dichiarano atei o liberi pensatori, per quanto riguarda le donne: oltre il 12,7% di esse risulta protestante, l’11,3% israelita a fronte di un 73% di cattoliche; per i maschi le rispettive appartenenze risultano del 6,5%, 9,1%, 82,7%!, ancora più interessante e per certi versi sorprendente è verificare il rapporto tra uomini e donne all’interno delle singole appartenenze: tra i cattolici l’82% dei cremati sono uomini, il 18% donne, tra gli ebrei uomini sono il 76%, le donne il 24%; tra i protestanti il rapporto percentuale è di 67 a 33. (Comba, Nonnis Vigilante, Mina: 30,1998). 143


Caratterizziamo più da vicino queste presenze: i protestanti, per lo più di origine svizzera, giungono a Torino nel Settecento come commercianti. Vi sono anche i valdesi che predicano in prima e in italiano che espande il numero di convertiti, sempre più coinvolto in un evangelismo anticlericali o dall’impegno organizzativo delle missioni inglesi e americane. (Comba, Nonnis Vigilante, Mina:31,1998). La presenza ebraica comincia a nutrire un atteggiamento morbido nei confronti della cremazione (teoricamente vietata dall’ebraismo ortodosso), grazie alle tendenze riformiste che influenzano i rabbini americani. Quindi a differenza del Concistoro rabbinico di Torino del 1885 che contempla il rito dell’interramento, la Conferenza centrale dei rabbini americani del 1892 ammette la cremazione ed infatti a Torino, la prima cremazione ebraica documentata avviene nel 1893. Nel 1916 ben 10 delle 60 cremazioni compiute a Torino sono di ebrei; nel 1922 ben 12 su 60! (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998,31-32), quanto alla base sociale, le cremazioni ebraiche aumentano a mano a mano che la pratica si estende ai ceti proletari della popolazione. C’è qualche ebreo che lavora nella finanza ma la maggior parte commercianti inseriti in una rete diffusa (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998,33). Un dato significativo è la scelta di donne che si fanno cremare anche oltre la scelta dei propri coniugi. Un’emancipazione di mogli in contrasto con la posizione del capofamiglia sono scelte di israelite ed espressione di un ambiente intellettuale ultraelitario. Un caso emblematico per tutti: Nina Stella Lombroso De Benedetti, moglie di Cesare Lombroso. (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998,54). 144


Tra i protestanti invece non mancano nomi riconoscibili dell’imprenditoria cittadina: i Caffarel, i Talmone, i Rostan, i Leumann, i Peyrot per citare i più noti (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998,33). Nella Torino industriale, a differenza di Milano (città con cui Torino gode di una tutorship particolare), l’élite urbana, decisamente poco rappresentativa della struttura sociale complessiva. Tra il 1906 e il 1910 la categoria degli impiegati rappresenta il 26%, nel successivo 1911-1915 sale al 29%; tra il 1916 e il 1920 raggiunge il 32%. La quota percentuale di libere professioni e professioni minori, assestata rispettivamente sul 5,7 e 3,4% nel quinquennio 1906-1910, passa a quello successivo rispettivamente al 3,5% al 8,5% invertendo, e non solo, la reciproca rilevanza rispetto all’insieme. professioni: medici, ingegneri, avvocati, chimici, giornalisti, pubblicisti poi mano a mano compare qualche geometra, ragioniere, agente di cambio; vale la pena di notare che le uniche tra donne – tra le poche che siano ascritte all’interno di una condizione professionale – inserite in questa fascia sono tutte levatrici; nella peraltro poco consistente categoria degli artigiani colpisce la frequenza di mestieri in qualche modo legati alla carta stampata; dai tipografi ai compositori ai legatori. (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998,33-34). Non manca una correlazione interessante, tra i cremati molte unità sono frutto di morti suicide, 58 su 1423, di cui 51 uomini e 7 donne, di età e di estrazione sociale la più varia…una variabile questa che alimenta l’ingerenza ecclesiastica di questa pratica in

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una città che poi è un faro di Risorgimento e Massoneria. (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998,34). Curiosamente, alla So.crem afferiscono anche associazioni e categorie professionali: i primi sono i membri della Società monte decessi tra impiegati ferroviari, nel 1896; l’anno successivo è la volta della Fratellanza artigiana; nel 1900 si iscrivono la Associazione generale degli operai e la Società di mutuo soccorso tra militari in congedo. Le adesioni più numerose si hanno tuttavia dopo la metà del primo decennio del secolo: parecchie società di mutuo soccorso che aggregano categorie abbastanza particolari di lavoratori: i tipografi, i fonditori di caratteri, gli operai pittori, i decoratori, i parrucchieri, i dazieri. Nel 1905 aderisce la Federazione lavoratori dello Stato, poi mano a mano l’Associazione generale degli impiegati e quella degli impiegati civili di Torino; ancora associazioni e cooperative di consumo tra ferrovieri. Nel 1905 si iscrive anche la Federazione socialista “affinché i compagni iscritti alle singole sezioni possano divenire soci di questa società”; ma nel 1908, dunque a tre anni di distanza, le ricevute per l’iscrizione ritirate dalla federazione di Corso Siccardi sono appena 26. E a dieci anni di distanza dalla iscrizione la Associazione generale degli operai – nonostante una propaganda abbastanza serrata – è riuscita a portare appena una ottantina di soci, incluse con ogni probabilità i network familiari (soprattutto nella sfera ebraica). La prevalenza delle associazioni di categoria del pubblico impiego – in forte crescita numerica proprio in questi anni e non solo nel caso torinese - e di settori altamente professionalizzanti, ma di impronta ancora tipicamente artigianale, del lavoro manuale è inequivocabile. Con il 1914-1915 la fase di iscrizione da parte di un 146


pur ristretto, quantitativamente e qualitativamente, panorama associazionistico può dirsi in ogni caso conclusa. (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998,50). Per quanto riguarda l’appartenenza alla massoneria gli affiliati raggiungono il 44,7% sul totale dei soci maschi, la mediazione della loggia non esaurisce affatto i suoi effetti nella fase di gestazione organizzativa o nei primi anni di vita della società. Tra i soci massoni e non: tra gli affiliati i professionisti 50%, gli impiegati il 18%, i commercianti 11%. Tra i profani i professionisti minori che costituiscono il 16%, gli impiegati il 23,3%, i commercianti il 6,9%, gli artigiani – inesistenti o quasi tra gli affiliati – sfiorano il 10%. (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998,51). Per quanto riguarda i verticismi, il caso di Torino risulta significativo per il suo ruolo ingegneristico – fondativo e di coordinamento – del movimento massonico italiano da cui prende origine il Grande Oriente Italiano e dove nascono molti politici nazionali di spicco dei primi governi con un orientamento sempre spostato a Sinistra, a Torino ancora si aggiravano nell’ambiente massonico personaggi della schiera cavouriana come Govean e Buscalioni (il primo attivo come drammaturgo, il secondo dedicatosi a complessi disegni di politica internazionale.) Tuttavia la grande maggioranza dei massoni italiani attivi politicamente si collocava nella Sinistra, o addirittura nell’Estrema. E non può essere indifferente per loro il fatto che, dal 25 marzo 1876 al 9 febbraio 1891, i presidenti del consiglio furono tre massoni: Depretis, Cairoli, Crispi; il primo dei quali iniziato nella loggia Dante Alighieri di Torino e ancora investito di cariche istituzionali.

Una circostanza di tal genere, unitamente alle posizione

ministeriali di altri massoni, non mancherà certamente d’influire sull’attivismo 147


dimostrato negli anni seguenti dalle logge torinesi, che a loro volta riprenderanno a moltiplicarsi. Ma questa culla culturale ha origine anni prima. (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998,192). L’impulso viene dagli sviluppi della seconda guerra di indipendenza iniziata il 26 aprile 1859. L’8 ottobre 1859 si tiene a Torino la riunione istitutiva della loggia Ausonia, i cui fondatori sin dall’inizio si proposero di “riunirsi alla gran famiglia massonica”, svolgendo a tal fine “diligenti ricerche di altri fratelli organizzati e dell’esistenza di un Grande Oriente Italiano”. Il 20 dicembre dello stesso anno i fratelli dell’Ausonia decidono di erigere la loro stessa loggia in Grande Oriente Italiano. Dopo due anni, il 26 dicembre 1861, si riunisce, sempre a Torino, la “Prima Costituente Massonica Italiana”, vi saranno rappresentate logge di Torino, Mondovi, Genova, Firenze, Pisa, Livorno, Macerata, Ascoli, Cagliari, Messina, Il Cairo, Alessandria d’Egitto, inoltre una loggia clandestina di Roma: si sarà realizzato così un evidente parallelismo fra il processo di unificazione dell’Italia e quello della massoneria italiana. Ne risulta che il primo intento pedagogico della risolta massoneria italiana è l’insegnamento dell’Unità come premessa di qualsiasi progresso e di qualsiasi azione filantropica. Già un mese dopo l’inizio della guerra contro l’Austria, il 20 maggio, l’anziano patriota eletto a capo dell’ausonia, Livio Zambeccari, aveva scritto una lettera a Camillo Cavour, citando come referente La Farina e proponendo di formare un corpo di volontari per la lotta allo straniero; ma il ministro annotava a margine: “Non occorre”. Senonché, dopo aver dato le dimissioni nella notte fra l’11 e il 12 luglio, a conclusione del tempestoso colloquio di Monzambano con il re, Cavour, libero ormai 148


dagli impegni di governo, può riprendere, come un tempo, a “cospirare”. Forse nell’incontro del 6 ottobre, a Leri, fra Cavour e La Farina, oltre che della ricostruzione della Società Nazionale, si è parlato anche di un diverso modo per utilizzare Zambeccari? Fatto sta che due giorni dopo ha luogo la riunione istitutiva dell’Ausonia. In seguito, nel Grande Oriente Italiano confluiranno man mano vari sostenitori e collaboratori di Cavour, fra cui Felice Govean, Constantino Nigra, Pier Carlo Boggio e lo stesso La Farina, mentre la rete cospirativa della Società Nazionale, resa ormai superflua nel 1860 dai progressi dell’unificazione, verrà utilizzata ai fini dell’Ausonia, e Filippo Delpino, Gran Maestro pro tempore, pronuncia un discorso piuttosto abile, in cui gli ideali patriottici vengono raccordati alle finalità tradizionali della filantropia e della pedagogia massonica. (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998,181-182). Torino, Roma, Napoli e Palermo costituiranno il nucleo scozzesi diretto da Alessandro de Milbitz, David Levi e Timoteo Riboli particolarmente ostile ai tentativi romani per la riunificazione del rito, e desideroso di essere riconosciuto a li vello internazionale, come l’unica autorità massonica legale in Italia. Nel 1875 ottiene di essere inviato come tale al Congresso internazionale (“Convento”) scozzese di Losanna, il che costituisce un’importante convalida delle sue pretese. (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998,190) Nella massoneria italiana di rito scozzese, lo scopo sarà lo sviluppo massimo della filantropia. 2. La massoneria italiana professa come condizione essenziale della filantropia i principi di Indipendenza ed unità delle singole Nazioni, e fraternità delle 149


medesime; tolleranza di qualunque religione, e uguaglianza assoluta dei culti; progresso morale e materiale delle masse (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998,186) Per quanto riguarda la fondazione della So.crem di Torino, la sua promozione Cesare Goldmann, israelita, triestino di nascita, giunto a Torino nel 1876 a 18 anni come rappresentante del Cotonificio Cantoni. Le difficoltà economiche in cui versa la sua famiglia aguzzano evidentemente il suo ingegno e il suo dinamismo imprenditoriale inducendolo nell’arco di pochi anni ad assumere svariate rappresentanze anche di ditte straniere in primo luogo austriache e tedesche. Affiliato alla loggia torinese Pietro Micca – Ausonia va moltiplicando proprio nei primi anni Ottanta il suo impegno sia nelle iniziative di filantropia laica sia nell’associazionismo politico di stampo democratico. Si accede all’associazione per quota associativa, dove ogni socio alla propria morte potrà essere cremato gratuitamente (Comba, Vigilante, Mana: 1998, 19) e come a Livorno, i morti indigenti possono essere cremati a spese del Municipio (Comba, Vigilante, Mana: 1998, 24). Sarà nominato presidente Ariodante Fabbretti. Maestro venerabile della loggia Dante Alighieri, e spirito di tradizione laica del processo risorgimentale e del mondo del libero pensiero. Perugino di nascita, mazziniano, aveva fatto parte – diventandone segretario – dell’Assemblea costituente della Repubblica Romana. Giunto esule a Torino aveva continuato tra mille difficoltà i suoi studi di archeologia e sugli antichi idiomi italici; nel 1858 era stato nominato assistente presso il Museo Egizio e delle 150


Antichità di cui aveva poi assunto la direzione dal 1872. Chiamato infatti nel 1860 ad occupare la neo costituita cattedra di Archeologia dell’Università di Torino Fabretti aveva deciso di stabilirsi definitivamente nella città subalpina, pur sinistra democratica per l’elezione in Parlamento, ed eletto nella XIII legislatura. (Comba, Vigilante, Mana: 1998, 10). 3.6 Gli orientamenti e le evoluzioni in campo religioso In questo nucleo tematico, cerchiamo ora di vedere dall’Ottocento ad oggi come è cambiata dal punto di vista della giurisprudenza religiosa, la percezione della cremazione. Cominciamo dalla Chiesa Cattolica Romana. Come abbiamo detto, nel 1886 la cremazione risulta vietata dal diritto canonico (si tratta in particolare di un decreto del 15 dicembre). Ancora, nel 1917 il Codex Iuris Canonici riporta che “ I corpi dei fedeli defunti devono essere seppelliti, ed è riprovata la cremazione (c.1203)”. In questo divieto perde significato ogni contatto, testamento o atto con ciò una persona esprime la volontà che il proprio corpo sia cremato. Per tanto a chi trasgredisce tale proibizione viene rifiutata la sepoltura ecclesiastica. Il 19 giugno 1926 viene emanata un’ulteriore istituzione da parte del Santo Officio che correla l’anticlericalismo alla cremazione in cui si ammonisce che chi non tiene presente la resurrezione e l’esistenza dell’aldilà sceglie la strada della filosofia materialistica e professa più o meno esplicitamente il materialismo o il panteismo, come significato di estrema ostilità alla fede cristiana.

151


Va da sé che quindi orientamenti di un certo tipo politico e una vicinanza massonica vengono condannati con la scomunica che nega quindi i sacramenti. La vicinanza tra Fascismo e Chiesa Cattolica non fa che confermare tale visione anche se le leggi crispine che approvano tale rito dal 1888 hanno ancora legittimità in quanto negli anni della dittatura, la cremazione è osteggiata ma non vietata. Per una visione cattolica sempre riprovevole verso tale rito, la vera svolta si avrà solo il 5 luglio 1963 con i segnali di apertura del Concilio Vaticano II nel De cadaverum crematione: piam et constantem: si esprime tolleranza nei confronti di questo rito non più visto come simbolo anticlericale anche se da praticare in vie eccezionali e facendo così dell’inumazione sempre la pratica più consona. Si legge in proposito: Di fatto l’abbruciamento del cadavere, come non tocca l’anima, e non impedisce all’onnipotenza divina di ricostruire il corpo, così non contiene, in sé e per sé, l’oggettiva negazione di quei dogmi. Non si tratta, quindi di cosa intrinsecamente cattiva o di per sé contraria alla religione cristiana. E ciò fu sempre sentito dalla Chiesa, come risulta di fatto che, in date circostanze, e cioè quando risultava che la cremazione dei cadaveri era chiesto con animo onesto e per gravi cause, specialmente di ordine pubblico, essa soleva permettere la cremazione. Il grande cambiamento sarà dato dalla possibilità di officiare con i sacramenti i funerali dei cremati. 152


Perché il cambiamento di percezione della Chiesa non vede più come una sfida “al senso cristiano della vita e della morte” la cremazione, “ e si può presumere che la cosa avvenga per motivi onesti, alieni da scopi antidogmatici ed anticristiani”. Finita dunque la guerra, finisce la minaccia della cremazione in forma antagonista dei liberi pensatori e usciti dalla fase pioneristica, si può cominciare ad aprire spiragli verso una cremazione più sobria e meno militante sul piano simbolico. Ciò renderebbe più morbida l’accettazione anche nella sfera dei cattolici. Nel XXI secolo si torna a legiferare in materia ribadendo le posizioni del 1963 ma condannando la dispersione delle ceneri e la trasformazione di tali in oggetti, gioielli e diamanti che da esse si possono ricavare facendo del defunto un feticismo di merci commerciali. Un documento importante sarà dunque l’Ad resurgendum cum Christi del 25 ottobre 2016 di Papa Francesco Bergoglio in cui però si ribadisce che “la chiesa continua a preferire la sepoltura dei corpi rispetto alla cremazione poiché con essa si mostra una maggiore stima verso i defunti.” Ciò completa quello che è stato lasciato scritto nel 2011 con la Conferenza episcopale italiana rito delle esequie dove si conclude che la dispersione o la conservazione in casa delle ceneri debbano considerarsi segno di una scelta compiuta per ragioni contrarie alla fede cristiana e che pertanto

comportino

la

privazione

delle

esequie

ecclesiastiche.

Ma

già

precedentemente nel 2002 con Papa Giovanni Paolo II il direttorio sulla pietà popolare e liturgia afferma al n.254 “Si esortino i fedeli a non conservare in casa le ceneri di familiari, ma a dare ad esse consueta sepoltura” segno che il rito della dispersione delle ceneri conserva ancora un residuo del suo etichettamento di vilipendio di cadavere dei 153


tempi passati . Sulla dispersione delle ceneri, i vescovi francesi e statunitensi si sono espressi negativamente già dal 1997 nei documenti Points de rèpere en pastorale des funérailles e Reflection on the body, Cremation and Catholich Funeral Rites 2 Per quanto riguarda gli altri culti, l’Ebraismo si muove su una geometria variabile. Quello ortodosso rifiuterà tale pratica, si pensi ad esempio al racconto talmudico del luz, un osso sacro di ogni salma da cui ogni corpo resusciterà. La posizione degli ebrei italiani è sincretica, alcune comunità israelitiche (più vicine alla posizione del Rabbinato romano) sono ortodosse, ma altri, come i sefarditi laici di città come Livorno ci abituano ad una versione ebraica più riformata e quindi vicina alla way of life degli ebrei americani. Una svolta di modernizzazione molto forte se si pensa che alla voce Cremazione

dell’Enciclopedia

Judaica

richiamandosi

all’Antico

Testamento

(Deuteronomio 21, 23, Genesi 3, 19, Levitico 20,14, e 21, 9), nei quali viene ribadito che la pratica della cremazione era una sorta di umiliazione inflitta ai criminali. Per dirla con Emmanuel Levìnas, l’eclissi del magico, la de-folklorizzazione della religione e dei suoi simboli bigotti è un’elevatura alla purezza, una desacralizzazione che non vuol dire disincanto, ma ritorno dal sacro al santo nell’Ebraismo post cristiano: Mi sono sempre domandato se la santità, cioè la separazione e la purezza, l’essenza senza commistione che si può chiamare Spirito e che anima il Giudaismo – o a cui il Giudaismo aspira – può dimorare in un mondo che non sia desacralizzato. Mi sono domandato – ed è questo il vero problema – se il mondo

repubblica.it/vaticano/2016/10/21/news/vaticano_cremazione-150273438/

2

154


è abbastanza desacralizzato per accogliere una simile purezza. Il sacro è infatti la penombra in cui fiorisce quella magia che al Giudaismo fa orrore. (Levinas: 1985, 86). Per quanto riguarda l’universo protestante, il tema della cremazione non determina particolari controversie di carattere teologico in particolare per i pastori evangelici. Motivo per cui nei paesi a maggioranza protestante in cui la Massoneria è diffusa, non troviamo particolari speculazioni in chiave conflittuale su cui indagare. Sullo scenario italiano, si noti il netto appoggio delle comunità evangeliche verso la cremazione già a partire dal 1898. Contraria a esso rimaneva la chiesa ortodossa, senza però giungere a drastiche censure. Sul rifiuto della Chiesa Cattolica all’ufficializzazione dei riti, si noti qualche presenza di pastori protestanti viene segnalata nel corso dei funerali “sovversivi”. Sarà anche occasione di proselitismo, infatti, negli anni Cinquanta, quando vige ancora il divieto di officiare funerali cattolici nei confronti dei comunisti, in alcune comunità abruzzesi, intorno alla cittadina di Vasto, giovani pastori valdesi accettarono di seguire il feretro e di effettuare il rito religioso. Proprio allora molti militanti comunisti, insieme alle loro famiglie, aderiscono alla chiesa valdese, creando nelle comunità di appartenenza un’ulteriore divisione fra comunisti e non, così come fra cattolici e valdesi, che si esplicitava anche nell’occupazione degli spazi del paese… (Filippa, 2001:77-84).

155


3.7 Verso gli scenari contemporanei La letteratura accademica ha dedicato ancora poco spazio al mondo della cremazione, forse perché la sua spinta anarchica, la sua narrazione in direzione opposta e contraria non è più militante anche a fronte della fine delle grandi narrazioni. Ma setacciando le fondi possiamo trovare qualche direttiva. Le cremazioni eseguite ogni anno in Italia sono state in media 5-6.000 negli anni ’50, 7-8.000 negli anni Sessanta, e superano le mille unità nel 1970 oltrepassando la quota di 3.000 nel 1986. In quest’anno le città dove si ebbe il maggior numero di cremazioni furono nell’ordine Milano, Torino, Genova (le più industrializzate del Paese), seguite da Livorno, Bologna, Savona e Firenze. A Roma in quest’anno sono eseguite solo 82 cremazioni. Nel 1987, la cremazione è equiparata all’inumazione ed è diventata un servizio pubblico gratuito a carico dei Comuni. Ciò ha dato un forte impulso al movimento cremazionista, ma quasi solo nell’Italia centro-settentrionale (infatti nel 1998 le uniche società attive nel Sud erano quelle di Matera, Catania, Torre del Greco e Cagliari, unica fra queste città dove esiste anche un’area crematoria). L’incidenza delle cremazioni eseguita in Italia rispetto al totale dei deceduti è passata dallo 0,7% del 1988 al 7,4 % del 2003, quando ormai nelle grandi città del nord un cittadino su tre sceglie questo tipo di sistema di sepoltura. (Sonetti, 2007:16) Ma cosa resta della tradizione eversiva del movimento? C’è ancora un’eredità o è ormai il semplice frutto di una scelta personale? È utile in questo senso sondare i dati che nel 1994 la So.crem di Torino raccoglie attraverso la somministrazione di un questionario. 156


Certo c’è uno stretto rapporto fra tale scelta personale e un network parentale intragenerazionale. Sono quasi scomparse però le ideologie politiche in senso stretto e la valenza eversiva perde d’intensità come l’anticlericalismo. A livello soggettivo, troviamo esponenti di diverse correnti politiche, di essi solo il 25% si dichiara ateo, mentre gli altri si professano credenti di essi quasi tutti sono cattolici. Un’azione della contemporaneità nei confronti dello sviluppo di tale rito sarà la battaglia per rendere possibile la dispersione delle ceneri. Il presidente torinese Bruno Segre dal 1958 al 1998 è stato un antifascista partigiano a fianco della I Divisione di Giustizia e Libertà e militante nel Partito d’azione e poi socialista è stato impegnato per anni nella battaglia per l’autorizzazione in Italia della dispersione delle ceneri e in particolare a favore dell’abolizione dell’articolo 411 del Codice penale che vietava tale atto come vilipendio di cadavere. L’autorizzazione alla dispersione sarà legge il 7 marzo 2001. Tornando all’indagine del 1994 la maggior parte degli intervistati si dichiara favorevole sia alla dispersione delle ceneri che alla donazione degli organi con una lieve preferenza per la seconda mentre la prima appare più appannaggio di un retaggio culturale più per così dire bohemien. Temi come l’igiene e lo spazio per i vivi scompaiono dalle tematiche come pure la paura della morte apparente, resta invece forte l’orrore per la decomposizione del

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cadavere e si ha un nuovo sguardo verso la tutela ambientale che fa percepire la cremazione con un impatto più ridotto sull’inquinamento. La maggior parte delle persone iscritte alla So.crem di Torino nel 1994 che partecipa a questa indagine ha più di sessant’anni, pochi i quarantenni e solo tre individui tra i diciannove e i venti quattro anni. Ciò a conferma della scarsa cultura previdenziale sulla morte e del disinteressamento dei giovani. Si tratta di un’interruzione nella trasmissione tra generazioni? Di un disinteressamento dei temi legati alla morte? O di una strategia comunicativa che andrebbe ampliata a target più ampli non facendo del tema della cremazione una sensibilizzazione all’argomento a cui avvicinarsi solo negli ultimi anni di vita? Ciò anche nella strategia di sostenibilità delle So.crem stesse per avere al suo interno capitale umano più duraturo in termini di battaglie, divulgazione e proselitismo. Per far seguito a questi dati, il ricercatore non troverà al momento altre fonti accademiche, segnaliamo però che al di là del monitoraggio della stampa che riporta ora dibattiti in consiglio comunale, sconti politici sul tema, fenomeni nimby al sud in nome di un presunto inquinamento dei fumi dei forni crematori e routinarie inaugurazioni di nuovi forni al nord Italia, oltre che a segnalazione di nuove trovate commerciali per la cremazione. Il più delle volte si tratta di fonti poco interessanti su un valore quantistico, con qualche spunto sulle obiezioni di questa o quella fazione politica.

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Ma una fonte più attendibile da prendere in considerazione è la SEFIT (Federazione dei servizi funerari italiani) che ogni anno pubblica un rapporto sulla cremazione in Italia con interessanti dati censiti per regione. L’ultimo rapporto in nostro possesso è quello del 2012 pubblicato nella circolare 1/8/2013 p.n 3812/Ag Federutility Sefit che segnala un’incidenza sull’aumento di impianti di cremazione e della presenza della crisi economica. Secondo questo rapporto, nel 2012, le cremazioni sono cresciute del 15% rispetto all'anno precedente con un aumento di 13.300 unità. In quest'anno il tasso di cremazione generale italiano sale al 16,62%. Di questo dato, il 25,7% riguarda cremazioni in Lombardia,13,7% in Piemonte e 12,3 % in Veneto. Le regioni in forte crescita con questa pratica sono invece, la Sardegna con un + 63,9%, l'Emilia Romagna a + 32,8%, e l'Umbria con + 31,7%. In numero assoluto, le città con maggior numero di cremazioni sono: Roma (9.078), Milano (8.238), Genova (5.895), Livorno (4.815), Mantova (3.950) e Torino (3.706). La Lombardia, è la regione dove si crema di più con 26.191 cremazioni, seguite da Piemonte (13.968) e Veneto (12.541). La Lombardia è anche la regione più popolosa d’Italia, nonché quella con più crematori. Ovviamente, più è vicino il crematorio al proprio luogo di residenza, più aumentano i feretri cremati. Ancora, per il 2017 riusciamo a riportare il numero di crematori e di associazioni per la cremazione (So.crem) esistenti. 159


Regione Numero crematori attivi So.crem in regione Piemonte 11 3 Lombardia 13 9 Valle d’Aosta 1 0 Trentino Alto Adige 1 1 Friuli Venezia Giulia 3 1 Liguria 3 2 Veneto 7 4 Totale Nord Italia 39 19 Toscana 7 9 Marche 2 1 Emilia-Romagna 10 4 Umbria 1 1 Lazio 2 1 Molise 0 1 Abruzzo 0 0 Totale Centro Italia 22 17 Puglia 1 0 Campania 3 0 Calabria 1 1 Basilicata 0 1 Sicilia 2 4 Sardegna 4 1 Totale Italia Meridionale e Isole 11 7 Fonte: www.cremazione.it – Federazione Italiana per la Cremazione, dati 2017.

La lunga tradizione e le battaglie per l’affermazione sua affermazione dimostrano che la storia conta. Siamo partiti dalle differenze funzionali delle città che hanno ereditato la loro storia più o meno influenzata dal feudalesimo e dal cattolicesimo o dal liberalismo approdando poi all’accettazione o lotta di Massoneria e Fascismo. Ma in tutto ciò di fondo ci sarebbe da inquadrare il capitale sociale della civic-ness, così come l’ha intesa Robert Putnam nella sua indagine La Tradizione Civica Nelle Regioni Italiane (1993), dove le regioni con più presenza liberale sono più inclini a organizzazioni di mutuo aiuto e più vaccinate al comune agire come succede in Lombardia e la Toscana, mentre il Sud più atavico è incastrato in un familiarismo amorale che, anche in presenza di organizzazioni collettive, tende a sopprimerne gli

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intenti. Si tratta, è vero di una generalizzazione ma che sicuramente andrebbe meglio indagata. Si segnala altresì che la SEFIT, tra i punti ancora da sviluppare mette in luce che, oltre alla lontananza dai crematori (che dovrebbe avere una distanza massima di 30 km), evidenzia un problema dovuto alla frammentazione temporale della cerimonia funebre, dovuta alla serialità degli interventi (partenza da un anonimo servizio mortuario ospedaliero, funzione religiosa in Chiesa, ritualità nell’addio al crematorio, attesa delle ceneri, consegna delle ceneri e affido, dispersione o sepoltura) e ad una carenza strutturale dei cimiteri con sistemi di memoralizzazione propri della sepoltura di urne cinerarie. A questi problemi di ordine pratico si aggiunge una cornice legislativa affidata alle strutture periferiche, non uniformi sul territorio ma frutto di norme sempre più originate da regolamenti regionali e comunali che creano disparità territoriali accentuandone le caratteristiche di partenza. (Fogli, D, 2007).

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Conclusioni

All’interno del nostro percorso di ricerca ci siamo addentrati attraverso un percorso variegato e multidirezionale che porta a in molteplici direzioni. Quello che lasciamo è una sorta di scena aperta per spianare la strada a future ricerche ed approfondimenti. Cosa genera la crescita del fenomeno della cremazione? In alcuni casi si tratta di una modernizzazione della religione (protestanti, evangelici, valdesi), in altri di laicizzazione come per gli ebrei che nella lotta all’antisemitismo finiscono per generare un sostituto funzionale della religione e una nuova coesione e in altri ancora di conflitto sociale nei confronti dei Cattolici o del Fascismo. Non sono compartimenti stagni, si mescolano, si influenzano, si sovrappongono. Ciò avviene a volte in maniera vorticosa, si tratta di presenze transitorie, che i dati quantistici non sempre riescono a incasellare alla perfezione perché la mobilità sul territorio sia locale che transnazionale muove numeri che altrimenti risulterebbero più o meno alti di ciò che sono e il numero di cremati non corrisponde sempre con certezza a defunti in quell’anno. In ciò si aggiunge l’impronta storico-ecologica delle città portuali e dell’apertura commerciale che genera andamenti liberali che fanno propria una certa cultura di welfare. Certo la strada di questo tema per essere studiata è ancora lunga. L’eredità che lasciamo alle future ricerche è l’appendice del nostro Database sulle cremazioni che può fungere da traccia per gli stati nazione (anche se abbiamo visto quanto incide lo story telling di ogni singola città). Tra le piste da seguire lanciamo qualche altro seme. 162


Per quanto riguarda la religione, l’aderenza ad un credo, il deismo e l’ateismo sono ben affrontati

nella

ricerca

con

dati

Eurostat

presente

in

questo

sito

http://www.humanreligions.info/europe.html . E’ altresì interessante seguire l’evoluzione della privatizzazione dei cimiteri, fenomeno che negli USA è la norma ma che in Europa ha qualche traccia in Spagna, Gran Bretagna e Germania ma secondo Jean Neveu, presidente EFFS il cimitero in Europa sarà

destinato

ad

essere

pubblico.

(

si

veda

in

proposito

http://www.oltremagazine.com/site/index.html?id_articolo=953) Altra interessante differenza con gli Stati Uniti è il fatto che, se in Europa la religione di nascita resta tale e ci si limita a pesarla in una scala di intensità tra l’osservanza ortodossa all’ateismo, in America il marketing religioso è diffuso ed è facile passare dal Cristianesimo ad una conversione al Buddhismo per esempio. Basti notare il sincretismo che si rileva all’interno della letteratura di Prothero nella sua storia americana sulla cremazione, soprattutto a partire dagli anni ’70 del Novecento quando sulla scia della cultura hippie e di un reincanto del mondo tra religioni orientali e sette la cremazione si diffonde (si pensi ad esempio al caso della cremazione di John Lennon). Per uno sguardo sul mondo si guardino i dati della Pharos International, il giornale della British Cremation Society. Ne riportiamo a titolo esemplificativo i dati 2014 sulla cremazione che vedono il Giappone al primo posto per la percentuale dei cremati e in netto vantaggio gli stati propensi ai traffici marittimi con un dato europeo tra i più frastagliati e diversificati. 163


164


165


Per quanto riguarda gli Usa i dati del 2006 in nostro possesso, fanno salire il tasso di cremazione al 33.52% con una prevalenza nelle regioni che affacciano sul Pacifico

Tra questi, molti stati superano di gran lunga il 50% dei cremati: Nevada (68,2%) seguito da Washington, Hawaii, Oregon, Arizona, Montana, Colorado, Maine, Alaska, Vermont, New Hampshire, Florida e California mentre stati come New York, New Jersey, Virginia e North Caroline scendono in fondo alla classifica con un tasso intorno al 27-25 %.

166


Ma ancora più proficuo è il caso del Canada dove la cremazione supera il 65% con in testa la regione della British Columbia con un 77% di cremazioni e in coda il Quebec al 42% (Wikipedia). E qui, sui grandi numeri sarebbe interessante tenere d’occhio una certa sociologia delle migrazioni e i loro impatti sul welfare e i mutamenti sociali e il tasso di assimilazione.

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Bibliografia

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Conclusioni

4min
pages 159-162

3.7 Verso gli scenari contemporanei

6min
pages 154-158

Bibliografia

4min
pages 163-170

3.3 Il caso di Livorno

11min
pages 125-137

3.6 Gli orientamenti e le evoluzioni in campo religioso

6min
pages 149-153

3.5 Il caso di Torino

11min
pages 140-148

3.2 2 Un breve excursus sulle città italiane

10min
pages 116-124

3.1 Gli esordi cremazionisti: Milano e la Massoneria come spinte iniziali

17min
pages 99-115

Capitolo 3 La cremazione in Italia

3min
pages 96-98

2.14 Alcune riflessioni

7min
pages 76-81

2.15 Appunti per una ricerca etnografica

4min
pages 82-95

2.13 Romania

2min
pages 74-75

2.12 Russia

3min
pages 71-73

2.10 Austria

2min
pages 68-69

2.11 Finlandia

1min
page 70

2.7 Germania

4min
pages 61-64

2.6 Danimarca

1min
page 60

2.5 Francia

5min
pages 55-59

Capitolo 2 La cremazione negli stati europei, un’indagine esplorativa

6min
pages 34-38

2.1 Una precisazione interessante: le comunità israelitiche e il loro impatto

10min
pages 39-46

2.4 Svizzera

0
page 54

2.3 Gran Bretagna

4min
pages 50-53

2.2 I primi stati cremazionisti (1876-1939

3min
pages 47-49

1.6 Conclusioni

1min
pages 32-33

1.3 Desacralizzazione

3min
pages 25-27

Introduzione

5min
pages 9-13

1.5 Pompe Funebri

3min
pages 29-31

Capitolo 1 Le dinamiche di una morte più leggera

1min
page 14

1.4 Medicalizzazione

1min
page 28

1.2 Individualizzazione

3min
pages 22-24

1 Le radici religiose europee: sfidare la morte e negare la morte. Dogmi ebraici e

5min
pages 1-8

cristiani a confronto

6min
pages 15-21
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