L'Espresso 31

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Editoriale

Lirio Abbate

Il silenzio di Meloni sui camerati sotto accusa

M

azzetta nera è una storia di corruzione che parte dalla Fiera di Milano e arriva a Fratelli d’Italia. L’inchiesta di copertina di questa settimana, firmata da Paolo Biondani e Carlo Tecce, svela il contesto lombardo in cui sarebbero state divise tangenti che hanno coinvolto uomini del partito di Giorgia Meloni, estranea all’inchiesta, e sono vicini a Ignazio La Russa, che non è indagato. Una storia che ci fa pensare a trent’anni fa, all’arresto da cui partì a Milano quella che poi abbiamo chiamato Tangentopoli. Gli scandali che all’epoca demolirono l’ordine politico italiano portarono a una nuova generazione nella vita pubblica e tra loro c’era Giorgia Meloni, che all’età di 15 anni scelse di entrare a far parte del ramo giovanile del Movimento Sociale Italiano.

La leader di FdI si è sempre proclamata per la legalità. Ma tace sulle inchieste che coinvolgono suoi uomini. È una questione innanzitutto politica che riguarda la sua credibilità davanti agli elettori

Il protagonista di questi giorni è un camerata che dal 2017 al 2021 è stato il capo ufficio acquisti della Fiera di Milano accusato di incassare mazzette, come ammettono tre diversi imprenditori. Tangenti nere, divise tra un gruppo di amici con cui ha fatto politica. Assieme hanno organizzato affari, dall’Italia all’Albania, assieme sono finiti nei guai. Nel fascicolo processuale compaiono i nomi di persone che sono collegati o fanno parte del partito che guida la coalizione di destra che marcia su Roma con i sondaggi in poppa. Di solito nelle indagini si segue la traccia del denaro qui, invece, la fiamma tricolore missina del partito. «Fratelli d’Italia ha sempre fatto della legalità la sua bandiera: se ne facciano tutti una ragione», ripete spesso Giorgia Meloni. Però i fatti dimostrano il contrario, o almeno, i fatti più gravi in cui sono coinvolti gli uomini di Fratelli d’Italia: il voto di scambio politico mafioso alla vigilia delle amministrative a Palermo; la sindaca di Terracina coinvolta in una inchiesta di corruzione e costretta a dimettersi; l’eurodeputato Carlo Fidanza accusato sempre di corruzione. Su questi fatti si registra solo

un silenzio assordante di Meloni. La legalità che intende la leader della destra non fa certo il paio con i reati contestati ai suoi uomini. Certo, si è innocenti fino a terzo grado di giudizio, ma politicamente parlando, e qui di politica stiamo discutendo, quando hanno un rilievo sociale e pubblico, queste storie vanno evidenziate e non vanno certo nella direzione di rispetto delle regole e della società che Meloni e i suoi camerati professano. Abbiamo iniziato ad esaminare il programma elettorale di Fratelli d’Italia, lo spiega nelle pagine successive Loredana Lipperini, la quale fa notare che Meloni ha messo la famiglia - non tutte - al primo punto, e non c’è nessun aiuto alle coppie Lgbtqi+. Non affronta il vero nodo della questione. Per lei le donne devono rimanere a casa e se lavorano guadagnano meno degli uomini. L’ex procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero De Raho, lancia sulle pagine de L’Espresso un appello: i partiti scelgano candidati al di sopra di ogni sospetto. E sottolinea un passaggio che condividiamo: «Bisogna che i candidati siano assolutamente trasparenti e immuni da rapporti con gli ambienti criminali. I nostri parlamentari non dovranno essere nemmeno sfiorati dal sospetto di illegali relazioni. Il Paese vuole persone affidabili per preparazione ed etica; non è sufficiente non aver riportato condanne penali. Il profilo della responsabilità penale è proprio della giustizia; per il Parlamento occorrono persone credibili per il profilo professionale e, al tempo stesso, per Q quello morale». © RIPRODUZIONE RISERVATA

7 agosto 2022

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