I QUADERNI DEL SAN PIETRO A MAJELLA II-2021
Conservatorio di Musica “San Pietro a Majella” di Napoli
I Quaderni del San Pietro a Majella
II - 2021
a cura di Paologiovanni Maione
3
I Quaderni del San Pietro a Majella II/2021
Progetto e direzione scientifica Antonio Caroccia Paologiovanni Maione
ISBN 978-88-98528-11-0
Comitato di redazione de I Quaderni del San Pietro a Majella
Conservatorio di musica “San Pietro a Majella”
Carmine Santaniello Direttore del Conservatorio
Via San Pietro a Majella, 35 I - 80138 Napoli (NA)
Marta Columbro docente di Storia della musica
Tel. (+39) 081/544.92.55 Fax (+39) 081/ 297.778
Cesare Corsi docente di Bibliografia e biblioteconomia musicale
direttore@sanpietroamajella.it
Tiziana Grande docente di Bibliografia e biblioteconomia musicale
Edizioni San Pietro a Majella
Marina Marino docente di Storia della musica
© Conservatorio di musica “San Pietro a Majella” di Napoli
Paologiovanni Maione docente di Storia della musica
Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere tradotta, ristampata o riprodotta, in tutto o in parte, con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, fotocopie, film, diapositive o altro senza autorizzazione degli aventi diritto.
Domenico Sapio docente di Poesia per musica e drammaturgia musicale
Printed in Italy
Daniela Tortora docente di Musicologia sistematica In copertina Autore ignoto (scuola italiana, XVIII secolo), Salterio. Museo Storico-Musicale del Conservatorio di San Pietro a Majella. OA 556992 - Repertorio 2010, 5.43. La rivista scientifica «I Quaderni del San Pietro a Majella» è una pubblicazione periodica senza fini di lucro a cura del Conservatorio San Pietro a Majella. La redazione di questo numero è stata chiusa il 31 luglio 2021.
www.sanpietroamajella.it
SOMMARIO
Introduzione a cura di Paologiovanni Maione
7
Saggi ANTHONY DELDONNA Music at the court of Maria Carolina and Ferdinando IV in the late eighteenth century
9
RAFFAELE MELLACE La famiglia Palomba: novant’anni di storia dell’opera tra Leo e Rossini
45
PATRIZIA VEROLI «È la macchina da presa che deve danzare»: Busby Berkeley tra coreografia e regia negli anni ’30
57
ATTILIO CANTORE Castelnuovo-Tedesco al 2. Festival Internazionale di Musica di Venezia: un Quintetto di successo, fra dubbi e seccature
69
Tesi COSIMO ABBATE La Suite Militare in Gustav Holst
85
GIUSEPPE VASTARELLA I 24 Caprichos di Mario Castelnuovo-Tedesco: rapporto con i Caprichos di Goya e il legame tra opera e vissuto
91
ALBA BRUNDO Benjamin Britten, Osian Ellis e la Suite op. 83 per arpa sola
109
5
Note d’archivio MAURIZIO REA La Cappella Reale di Napoli e i suoi musici (prima parte)
123
CESARE CORSI “Mon cher Maître”. Lettere e documenti riguardanti Mercadante nella collezione Rodriguez della biblioteca del Conservatorio
209
CHIARA MACOR Le origini del Museo Storico Musicale del Conservatorio San Pietro a Majella
227
LORENZO CORRADO L’archivio di Napoleone Cesi. Un primo profilo artistico attraverso documenti inediti
243
Recensioni Non guardare nei miei Lieder! Mahler compositore orchestratore interprete (Nicola De Rosa)
271
Storia della musica e dello spettacolo a Napoli. Il Seicento (Maria Venuso)
273
The Pianist’s Guide to Historic Improvisation (Guglielmo Esposito)
275
Il giovane Brahms. Lettere e ricordi (Cinzia Dichiara)
277
INTRODUZIONE Il secondo numero dei «I Quaderni del San Pietro a Majella» nasce con il chiaro intento di allargare sempre più i domini d’indagine affidandosi a studiosi affermati e a giovani ricercatori, così come annunciato nel programma editoriale inaugurato lo scorso anno, in grado di dare il proprio contributo in ambiti disparati. Ancora una volta si confrontano metodologie e approcci destinati a stimolare il lettore conducendolo in affascinanti percorsi di ricerca che in quest’occasione considerano un arco cronologico abbastanza ampio. Dal Cinquecento al Novecento vengono indagati, con modalità originali, vari aspetti del fenomeno musicale e in molti casi la lettura interdisciplinare e la ricostruzione di vicende e fenomeni, attraverso fonti indirette di grande importanza, permettono un avvincente accostamento a materie dissimili. La prima sezione si apre con due tributi alla tradizione musicale napoletana settecentesca, il primo indaga la famiglia dei poeti per musica Palomba mentre il secondo sonda il repertorio strumentale della seconda metà del secolo. Raffaele Mellace con abile maestria disegna lo scenario in cui si muovono Antonio e Giuseppe Palomba in un lasso di tempo molto vasto che va dal 1735 al 1825 rivelando mode e forme che sovrintendono la scrittura di questi abili artigiani della commedia musicale tra luci e ombre, successi e compatimenti, tradizione e innovazione. Anthony R. DelDonna in quest’occasione continua la sua investigazione sulla letteratura strumentale, dopo gli esiti raccolti nel bel volume Instrumental Music in Late Eighteenth-Century Naples: Politics, Patronage and Artistic Culture (Cambridge University Press, 2020), l’autore accompagna il lettore a scoprire l’uso di questo genere presso il palazzo reale al tempo di Ferdinando IV e Maria Carolina d’Asburgo-Lorena tra diletto privato e reservate esibizioni. I contributi successivi sono incentrati sul Novecento e se Attilio Cantore riscrive le interessanti vicende legate alla composizione e all’esecuzione del Quintetto di Castelnuovo-Tedesco destinato al secondo Festival Internazionale di Musica di Venezia, Patrizia Veroli si avventura in un ambito assai intrigante rappresentato dal musical esplorato tra “coreografia” e “regia” con rara sensibilità e con occhio vigile a sondare gli aspetti organizzativi nonché quelli scaturiti dal dibattito intorno al genere. La sezione sulle tesi presentate dai nostri allievi, a conclusione dei loro percorsi triennali e biennali, è tutta sul Novecento. A Gustav Holst è votato l’intervento di Cosimo Abbate che tra cenni biografici, tesi a lumeggiare questo autore poco conosciuto in Italia se non per la partitura The Planets, e un’approfondita disamina delle composizioni per banda militare, dà un inedito spaccato del patrimonio musicale ispirato a questo organico nel corso del secolo breve. Alba Brundo dal suo canto dissoda il patrimonio musicale per arpa di Benjamin Britten ricostruendo modalità compositive e delineando il tessuto sociale nel quale fiorisce: elemento assai intrigante è il rapporto che il musicista instaura con l’arpista Osian Ellis.
7
Suggestiva è la condotta del lavoro di Giuseppe Vastarella che in un approccio trasversale si occupa dei 24 Caprichos di Mario Castelnuovo-Tedesco confrontandoli con l’omonima opera ispiratrice di Goya. Particolarmente ricca è l’ultima sezione che si apre con la prima parte di un impegnativo lavoro di ricerca condotto da Maurizio Rea sui Mandatorum custoditi presso l’Archivio di Stato di Napoli. Lo studioso espone, pertanto, un materiale ricco di informazioni, anche inedite, sulla Cappella Reale di Napoli in Età Moderna e nel prossimo numero ritornerà a scrivere su questo pregevole fondo commentandone il portato storico-scientifico. Della collezione donata da Francesco Rodriguez, discendente della figlia di Mercadante Ismalia, alla Biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Majella si occupa Cesare Corsi che realizza un approfondito studio della recente acquisizione e correda il suo saggio con una ricca e inedita appendice documentaria. Sul Museo del San Pietro a Majella e sulle sue vicende è incentrato il dettagliato articolo di Chiara Macor che con rara sensibilità percorre l’accidentata vita di un luogo ancora alla ricerca di una sua collocazione o destinato a vivere in un’accezione completamente eccentrica all’interno di un contenitore la cui natura non è univoca, è luogo di formazione e all’istesso tempo spazio museale diffuso. Dell’Archivio privato di Napoleone Cesi parla Lorenzo Corrado nel suo saggio che restituisce la fisionomia di questo fondo che raffigura appieno il mondo in cui visse il figlio del grande Beniamino. Come viene fatto notare Napoleone è «poco più giovane di Martucci» e «poco più anziano dei compositori» della “generazione dell’Ottanta” per cui diviene complesso collocarlo storicamente ma non iniziare a indagare un autore alla ricerca di una sua dimensione. Chiude il «Quaderno» una rubrica di recensioni librarie incentrata su alcune novità editoriali. Non resta che ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile questo numero, benché i rigori del tempo, con slancio e generosità: amici, colleghi e studenti hanno, con il loro contributo e la loro disponibilità, impreziosito il volume che si spera possa essere accolto favorevolmente. La mia gratitudine va altresì al presidente Luigi Carbone e al direttore Carmine Santaniello che hanno sostenuto quest’impresa con grande generosità. Un ringraziamento speciale va all’amico e collega Antonio Caroccia che mi ha affiancato con entusiasmo e supportato nell’allestimento del volume. Napoli, 31 luglio 2021 Paologiovanni Maione
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SAGGI ____________________________________________________________________
Anthony R. DelDonna MUSIC AT THE COURT OF MARIA CAROLINA AND FERDINANDO IV IN THE LATE EIGHTEENTH CENTURY
The last twenty-five years of the eighteenth century in Naples witnessed a profound transformation of the nation.1 At the center of this process of innovation, change, and upheaval was Queen Maria Carolina, the consort to King Ferdinand IV.2 Thanks to the 1
Scholarly literature on the Kingdom of Naples has grown significantly in recent years; a select bibliography with a broad purview includes Storia del Mezzogiorno, a cura di Giuseppe Galasso and Rosario Romeo, 15 voll., Naples: Edizioni del Sole, 1991; Storia del Regno di Napoli, a cura di Giuseppe Galasso, 6 voll., Turin, UTET, 2006. For recent sources in English, see TOMMASO ASTARITA, Between Salt Water and Holy Water: A History of Southern Italy, New York: W.W. Norton & Co., 2006; Naples in the Eighteenth Century: The Birth and Death of a Nation State, a cura di Girolamo Imbruglia, Cambridge, Cambridge University Press, 2000; SANDRO CASTRONUOVO, I cinque Borbone. La dinastia napoletana dal 1734 al 1860, Naples, L’Altrastampa, 2000; ELVIRA CHIOSI, Lo spirito del secolo. Politica e religione a Napoli dell’età dell’illuminismo, Naples, Giannini, 1992; GIUSEPPE NUZZO, A Napoli nel tardo Settecento: La parabola della neutralità, Naples, Morano, 1990; FRANCO VALSECCHI, Il riformismo borbonico in Italia, Rome, Bonacci, 1990; GIUSEPPE NUZZO, La monarchia delle Due Sicilie tra Ancien Régime e rivoluzione, Naples, A. Berisio, 1962. Earlier sources include HAROLD ACTON, I Borboni di Napoli, Milan, Martello, 1962; and MICHELANGELO SCHIPA, Nel regno di Ferdinando IV di Borbone, Florence, Vallecchi editore, 1938. 2 There is a large body of sources on Maria Carolina, both historical and contemporary, that continues to grow. For recent works, see essays Io, la regina. Maria Carolina d’Asburgo-Lorena tra politica, fede, arte e cultura, «Quaderni 33», a cura di Giulio Sodano and Giulio Brevetti, Palermo, Mediterranea - ricerche storiche 2016; The Diary of Queen Maria Carolina of Naples, 1781-1785: New Evidence of Queenship at Court, a cura di Cinzia Recca, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2017; CINZIA RECCA, Maria Carolina and Marie Antoinette: Sisters and Queens in the Mirror of Jacobin Public Opinion, «Royal Studies Journal 1», 2014, pp. 17-36; CINZIA RECCA, Queenship and Family Dynamics through the Correspondence of Queen Maria Carolina of Naples, in Mediterranean Queenship: Negotiating the Role of the Queen in the Medieval and Early Modern Eras, a cura di Elena Woodacre, New York, Palgrave Macmillan, 2013, pp. 265-286; All’ombra della corte. Donne e potere nella Napoli borbonica (1734-1860), a cura di Mirella Mafrici, Naples, Friderciana Editrice Universitaria, 2010; Un anno di lettere coniugali. Da Caserta, il carteggio inedito di Ferdinando IV e Maria Carolina, a cura di Nadia Verdile, Caserta, Edizioni spring, 2008; ALLISON J. I. GOUDIE, The Sovereignty of the Royal Portrait in Revolutionary and Napoleonic Europe: Five Case Studies Surrounding Maria Carolina, Queen of Naples, DPhil diss., University of Oxford, 2014; RAFFAELLA DEL PUGLIA, La regina di Napoli. Il regno di Maria Carolina dal Vesuvio alla Sicilia, Pavia, Editoriale Viscontea, 1989; RAFFAELE AJELLO, I filosofi e la regina: il governo delle Due Sicilie da Tanucci a Caracciolo (1776-1786), «Rivista Storica Italiana 13», 1991, pp. 398-454, 657-738; GIOVANNI ASTUTO, Dalle riforme alle rivoluzioni: Maria Carolina d’Asburgo: una regina austriaca nel Regno di Napoli e di Sicilia, «Quaderni del Dipartimento di Studi Politici 1», 2007, pp. 27-51; LUCIA TRESOLDI, La biblioteca privata di Maria Carolina d’Austria regina di Napoli. Cenni storici, Rome, Bulzoni, 1972; EGON CAESAR CORTI, Ich, eine Tochter Maria Theresias. Ein Lebensbild der Königin Marie Karoline 9
ANTHONY R. DELDONNA
influence in her upbringing of her mother, Empress Maria Theresa, Maria Carolina was not to be a mere spouse or observer; rather, she was destined to be the catalyst and driving force for sweeping change within the Kingdom of Naples. Her significant role in and impact on the Neapolitan state (and on Europe) remain the basis for continued scholarly inquiry, and her historiographic portrait has been extensive, notably critical, and even, on occasion, excessively harsh.3 Her centralization and consolidation of power at court overturned prevailing political, social, and cultural policies that had been in place since the founding of the independent Kingdom of Naples by her fatherin-law, Charles III, in 1734. The continuous upheaval occasioned by her undermining of the throne of her husband, who was largely unfit to rule, initiated the headlong process that culminated in the Republican Revolution of 1798, the Restoration and violent reprisals of 1799, and the subsequent French invasion in the early nineteenth century. As a result, she has been portrayed by antagonistic contemporaries and critical historians as imperious, inexorable, inept, shortsighted, morphine-addled, indiscreet, lacking diplomatic skill, and a promiscuous, sexually insatiable predator.4 Yet actually, Maria Carolina displayed along with her efforts to intrude in to the realm of power politics an astute sense of contemporary taste and proved to be a skilled arbiter of and meditator within the visual arts, dance, and above all, music, having a lasting and transformative influence on late eighteenth century Neapolitan culture. It is the last area, music, which von Neapel, Munich, Bruckmann, 1950. Historical sources include: CARMINE LANCELLOTTI, Elogio di Maria Carolina, Arciduchessa d’Austria, Regina del Regno delle Due Sicilie, Naples, Tipografia Flautina, 1829; JOSEPH ALEXANDER VON HELFERT, Königin Karolina von Neapel und Sicilien im Kampfe gegen die französische Weltherrschaft (1790-1814), Vienna, W. Braumüller, 1878; JOSEPH ALEXANDER VON HELFERT, Maria Karolina von Oesterreich, Königin von Neapel und Sicilien. Anklagen und Vertheidigung, Vienna, G. P. Faesy, 1884; ALFRED VON REUMONT, Maria Carolina, regina delle Due Sicilie e i suoi tempi, Florence, Coi tipi di M. Cellini e C., 1878; AMALIA BORDIGA AMADEI, Maria Carolina d’Austria e il regno delle Due Sicilie, Naples, Cooperative editrice libraria, 1920; MARY CATHERINE BEARNE, A Sister of Marie Antoinette: The Life-Story of Maria Carolina, Queen of Naples, London, T. Fisher Unwin, 1907; Correspondance inédite de Marie-Caroline de Naples et de Sicilie avec le Marquis de Gallo, vol. 1, 1785-1805, a cura di Maurice-Henri Weil, Naples, Émile-Paul, 1911; MICHELANGELO SCHIPA, Come Maria Carolina venne a regnare in Napoli, Rome, Tipografia della R. Accademia nazionale dei Lincei, proprietà del dott. Pio Befani, 1922. 3 Among notable historical and contemporary sources highly critical of Maria Carolina, see PIETRO COLLETTA, Storia del Reame di Napoli al 1737 sino al 1825 Florence, Felice Le Monnier, 1856; VINCENZO CUOCO, Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, a cura di Antonino De Francesco, Naples, Piero Lacaita editore, 1998; FRANCESCO LOMONACO, Rapporto al cittadino Carnot. Dall’illusione alla denuncia: la rivoluzione napoletana del 1799, a cura di Giovanni Libertazzi, Venosa: Edizioni osanna, 1990; GIUSEPPE GORANI, Mémoires secrets et critiques des cours, des gouvernements et des moeurs des principaux états d’Italie, Paris, Buisson, 1793; BENEDETTO CROCE, La rivoluzione napoletana del 1799. Biografie, racconti, ricerche, Bari, Laterza, 1968. 4 No less a historian than Benedetto Croce declared, in reaction to the growing rehabilitation of Maria Carolina, «Come si possa giustificare una donna che, oltre le scorrettezze e le turpitudini della vita privata, è stata colta in una serie di menzogne flagranti e di violazione d’impegni solenni presi […] io non riesco ad intendere.» («How one can justify a woman who, beyond the improprieties and turpitude of her private life, was caught in a series of flagrant lies and the violation of sacred vows undertaken … I cannot understand».) Cited in Un austriaca alla Corte napoletana: Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, in Mafrici, All’ombra della corte, a cura di Mirella Mafrici, p. 51. 10
MUSIC AT THE COURT OF MARIA CAROLINA AND FERDINANDO IV
serves as the basis for the present inquiry. Although the history of eighteenth-century music in Naples has been widely studied and documented (above all the varied forms of contemporary stage drama),5 lesser attention has been given to the roles of instrumental and vocal music within the private, often personal and intimate spheres of the lives of Maria Carolina and Ferdinando IV. Yet, their cultivation of music remained nevertheless intertwined with the more public and official social as well as political responsibilities of aristocratic life and court obligations of their era. The findings reveal a more nuanced, mature, and carefully calibrated portrait of Maria Carolina, one in which music (as well as the visual arts and related areas) served to urge a broad reorientation and alignment with her native Austro-German culture. The making of a Queen Maria Carolina’s formative years in Vienna provided the basis for her shrewd cultural sensibilities even prior to the role of queen consort in Naples. Her interest in the humanities reflected the powerful interests of her mother the Austrian Empress Maria Theresa. In letters of preparation for Maria Carolina written in 1767, her mother stresses that she, «continue with strictness your studies in music, painting, history, geography, Latin and every type of [educational] endeavor».6 The placement of music at the initiation of this list underlined an ongoing devotion to the discipline. During her youth in Austria, Maria Carolina had been a harpsichord student of Georg Christoph Wagenseil (1715–1777) and Josef Antonín Štĕpán (1726–1797), both keyboard virtuosi and composers in Vienna.7 Her devotion to music was later echoed by her brother Joseph II upon his formal visit to the Kingdom of Naples in 1769, the year following her nuptials to Ferdinand. In a broad summary to their mother Maria Theresa in the aftermath of his sojourn in the kingdom, the Habsburg sovereign reflected, 5
Storia della musica e dello spettacolo a Napoli, a cura di Francesco Cotticelli and Paologiovanni Maione, 2 voll., Napoli, Turchini edizioni, 2009; FRANCESCO COTTICELLI and PAOLOGIOVANNI MAIONE, Onesto divertimento ed allegria de’ popoli. Materiali per una storia dello spettacolo a Napoli nel primo Settecento, Milano, Ricordi, 1996; ID., Le istituzioni musicali a Napoli durante il viceregno austriaco (1707-1734). Materiali inediti sulla Real Cappella ed il Teatro di S. Bartolomeo, Napoli, Luciano editore, 1993. 6 Consigli matrimoniali alle figlie sovrane, di Maria Teresa d’Austria, a cura di Arsenio Frugoni, Florence, Passigli Editore, 2000, p. 62: «Continuerete con esattezza i vostri esercizi nella musica, nella pittura, nella storia, nella geografia, nel latino e in ogni specie di lavoro». 7 Wagenseil was a highly influential figure in Viennese musical circles as a composer, pedagogue, and keyboardist for almost half of the eighteenth century. For a basic introduction see DANIEL HEARTZ, Haydn, Mozart, and the Viennese School 1740-1780, New York: W.W. Norton and Co., 1995); see also JOHN KUCABA and BERTIL H. VAN BOER, “Georg Christoph Wagenseil,” Grove Music Online, 2001, <https://doi.org/10.1093/gmo/9781561592630.article.29767> (last consultation 24 february 2021). Štĕpán, a native of Bohemia, fled his native country for Vienna, becoming a keyboard and composition student of Wagenseil. In 1766, he was appointed “Klaviermeister” to Maria Carolina, and presumably his tutelage lasted until her departure for Italy. For a brief overview of his career and associated bibliography, see HOWARD PICTON, “Josef Antonín Štĕpán,” Grove Music Online, 2001, <https://doi.org/10.1093/gmo/9781561592630.article.26687> (last consultation 24 february 2021). 11
ANTHONY R. DELDONNA
La esortai a dedicarvisi, lei me lo promise. La musica, cioè il canto, visto che praticamente non suona più il cembalo, è uno dei suoi svaghi principali. Ha un maestro di canto che mi è parso molto bravo e che in poco tempo ha formato la sua voce, rendendola irriconoscibile; e si può dire che canti più che discretamente, e legga anche bene la musica. Le dimostrai l’utilità dell’esercitarsi al cembalo e sopratutto all’accompagnamento, e di impegnarvisi.8
The aforementioned teacher was Pasquale Cafaro (1715/16-1787), whose career Maria Carolina promoted through his subsequent appointment as maestro di cappella to the Cappella Reale, (even bypassing the traditional public concorso) and through continued patronage of his stage works.9 Yet these citations exist only as fleeting snapshots of a much broader cultural orientation toward music, on her part which can be deduced through an investigation of an array of contemporary materials. These heterogenous materials span her personal diaries (albeit incomplete), contemporary correspondence of court officials, the letters of Norbert Hadrava, the memoir of the composer Adalbert Gyrowetz, eighteenth-century periodicals such as the Gazzetta Universale and Notizie del Mondo as well as surviving archival sources. To complement the aforementioned documentary data, the Library of the Conservatory of Naples (San Pietro a Majella) possesses a notable body of music in varied genres (vocal and especially instrumental) that can be associated directly with the preferences and activities of Maria Carolina and Ferdinand. These sources, both documentary and musical, offer a more complete portrait of the artistic patronage of the sovereigns and the valued position of music during their reign, the so-called Golden Age of Naples. Music for the Court Indications of a growing premium placed on performances of music (including theater and dance) within the more intimate environs of court emerged almost immediately after the arrival of Maria Carolina as documented in the letters of Prime Minister Bernardo Tanucci. It was in the royal apartments (or in similar areas of the other palaces, whether Caserta, Portici, Carditello, or Capodimonte) that Maria Carolina and Ferdinand often held elaborate feste (also referred to as gran gala, conversazioni or salons). Tanucci increasingly seized upon the escalating expenses and dutifully communicated 8
Cortelazzara. Relazione a Maria Teresa sui Reali di Napoli, a cura di Elisabeth Garms-Comides, Naples, Franco di Mauro Editore, 1992, p. 47. «I urged her to devote herself [more productively]; she promised to do so. Music, in particular the voice, in light of the reality that she hardly plays the harpsichord anymore, has been one of her primary entertainments. She has a voice teacher, who seems to me to be very talented and in little time has developed her voice, making it almost unrecognizable; one can say that she sings quite well, and that she reads music well. I explained to her the importance of practicing the harpsichord and above all performing collaboratively, and engaging herself in these activities». 9 HANNS-BERTOLD DIETZ, Instrumental Music at the Court of Ferdinand IV Naples and Sicily and the works of Vincenzo Orgitano, «International Journal of Musicology 1», 1992, pp. 99-126; ID., A Chronology of Maestri and Organisti at the Cappella Reale in Naples, 1745-1800, «Journal of the American Musicological Society 25», 1972, pp. 379-406. 12
MUSIC AT THE COURT OF MARIA CAROLINA AND FERDINANDO IV
them to Charles III to share his concerns. For example, he writes in 1775, that «the king did not hold the Council of War, [it was replaced] by a particular cantata, and instrumental music in the apartment of the queen».10 In a similar manner in the following year, he notes, «the king was unable, given his preoccupation in the feste and various entertainments given for the royal relatives, to hold any State Council».11 Even richer sources of information about the feste, specifically instrumental and vocal music performances at court as well as prevailing tastes come from two historical sources: the surviving personal diaries of Maria Carolina, spanning the brief period of 1781–1785, and the letters of the Austrian diplomat and cultural mediator Norbert Hadrava.12 Despite their incomplete span and formulaic arrangement, Maria Carolina’s diaries offer revealing insights into her daily life, whether political, social, or personal. They make references to her complex schedule of state affairs (councils, celebrations, official visits, etc.), a deep engagement with her advisors, and many aspects of aristocratic private life. It is evident that she gradually assumed a leading role in the administration of the kingdom, frequently meeting with the king’s counsellors while he pursued a rather carefree lifestyle. To accommodate Ferdinand’s daytime schedule (often marked by forays into the countryside to hunt or fish), meetings were reconvened in his presence in the evening to ratify decisions made earlier in the day. The diaries also make copious reference to the presence and frequency of music from day to day. These mentions take on different forms, documenting the queen’s attendance at the theatre (for opera performances and diverse feste), her personal music making, and what can be described as exclusive soirees or concerts. These last often occurred in the private apartments of the royal palaces, the same locations used for official, state-sanctioned events (such as the aforementioned feste), thereby underlining the important role of music. Despite the formulaic nature of the diary entries, it is evident that Maria Carolina viewed attendance at operas as a form of official social duty. The vast majority of the related diary reflections offered terse value judgements on the quality of performance. For example, she records on December 15, 1781: «I went to the theatre – saw the
10
Lettere di Bernardo Tanucci a Carlo III di Borbone (1759-1776), a cura di Rosa Mincuzzi, Rome, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, 1969, p. 964, letter dated May 16, 1775, «Il re non ha tenuto il Consiglio di Guerra per una certa cantata, e suoni che si fecero nel quarto della regina». 11 Ivi, 1028, letter dated April 30, 1776, «Non ha potuto il re, occupato nelle feste e divertimenti varj dati alli reali parenti tener alcun Consiglio di Stato». 12 The complete body of Maria Carolina’s diaries has not survived. Cinzia Recca has recently transcribed those from the period of 1781-1785, revealing a wealth of information about the daily life and activities of the queen. See The Diary of Queen Maria Carolina of Naples, a cura di Cinzia Recca. I have also consulted Recca’s publication of the diaries in their original French: see Sentimenti e politica. Il diario inedito della regina Maria Carolina di Napoli (1781-1785), a cura di Cinzia Recca, Milan, Franco Angeli, 2014. The letters of Hadrava are translated from German into Italian, see GIULIA GIALDRONI, La musica a Napoli alla fine del XVIII secolo nelle lettere di Norbert Hadrava, «Fonti musicali italiane 1», 1996, pp. 75-143. 13
ANTHONY R. DELDONNA
comedy at the Florentines’ Theater [Teatro de’ Fiorentini] which bored me to death».13 It is also clear that she rarely remained for a complete theatrical performance. A subsequent entry on October 5, 1782, again from the Fiorentini, notes: «we went to the new performance of a comic opera at the Florentines – the theatre was full – it bored me so much – after the second act we returned home».14 Similarly, it was not unusual for Maria Carolina to attend more than one performance at different theaters in the same evening. She records on January 9, 1783, that «We went to the Fondo Theatre where the new comic opera – entitled L’Astrologo – was a composition of all imaginable horrors – [then] went to the San Carlo theatre with Lady Gravina and Marsico».15 Her evaluations of these dutiful evenings may illustrate her more exacting and demanding musical taste. In contrast, her diaries demonstrate that personal music making was a preferred, perhaps even essential element of the household and private quarters. There are abundant indications, often on a daily basis: for example, «in the afternoon I played harpsichord for a while».16 Maria Carolina scrupulously notes her continued formal study, recounting «played harpsichord with the teacher»,17 as well as her diligence, noting the day after that she «played harpsichord – applied myself».18 Although there is an ebb and flow at times of these notations in the diaries, their mere inclusion, framed by allusions to larger issues of state, is significant. There are, in addition, periods of great musical activity, which coincided with soirees. In November 1782, Maria Carolina records playing the harpsichord on thirteen separate days, as well as theatrical attendance on five separate occasions, an impressive total given her considerable official responsibilities. The queen also mentions separate musical performances: on October 26, 1782, she notes that she «played the harpsichord – then there was music in the king’s apartment – a famous violinist called Bugano – in the service of Turin – he played excellently».19 The violinist in question was actually Gaetano Pugnani, and his skills evidently made a significant impression on the queen. In the following two weeks 13
The Diary of Queen Maria Carolina of Naples (hereafter, Recca, ed., Diary), a cura di Recca, p. 125. See Sentimenti e politica, a cura di Recca, p. 90, «je suis allé au théâtre - voire la comédie chez Théâtre Florentin qui m’enuya mortellement». 14 Diary cit., p. 135; Sentimenti e politica cit., p. 105, «nous allâmes à la nouvelle représentation de l’opéra comique aux florentins - le théâtre étiot plein - je m’y enuois bien - après le 2 acte nous retournâmes au logis». 15 Diary cit., p. 168; Sentimenti e politica cit., pp. 140-141, «on alla au théâtre du Fondo où la nouvelle opéra boufa - intitulé l’astrologo - et un composé de toutes les horreurs imaginables … allois au théâtre St. Charles avec la dame Gravina et Marsico». 16 Diary cit., p. 150, entry dated November 13, 1782; Sentimenti e politica cit., p. 122, «joué un peu du clavesin». 17 Diary cit., p. 149, entry dated November 8, 1782; Sentimenti e politica cit., p. 120, «m’appliquer jouer du clavesin - avec le maître». The teacher was probably Vincenzo Orgitano; see DIETZ, Instrumental Music at the Court of Ferdinand IV cit., pp. 99-126. 18 Diary cit., p. 149, entry dated November 9, 1782; Sentimenti e politica cit., p. 120: «jouer du clavesin - m’appliquer». 19 Diary cit., pp. 115-116, entry dated October 26, 1782; Sentimenti e politica cit., pp. 115-116: «jouer du clavesin … puis il y eut musique dans l’apartement du Roi - un fameux violon appellee Bügano service de Turin - y joua exelenment bien». 14
MUSIC AT THE COURT OF MARIA CAROLINA AND FERDINANDO IV
(November 2–11, 1782), Pugnani performed three more times in the royal apartments, culminating in the queen noting the active participation of her daughters: «I sent down Theresa and Luisa – the first played the harpsichord in the presence of Bugano».20 As the diaries attest, Maria Carolina was conscientious in providing music lessons for her daughters, and they were frequent companions at the local theaters. The queen did not hesitate to showcase their talents in the presence of her inner circle of advisors, members of the diplomatic corps, or visiting dignitaries. She notes on January 5, 1783, «the two eldest [Maria Teresa and Maria Luisa] played the harpsichord in the presence of Migliano – Gravina – Lamberg».21 This was certainly not a singular occurrence, as she writes on June 8, 1783, «Lamberg brought to me Baron Didier who listened to Theresa play the harpsichord».22 These evenings sometimes took on a more formal context, as noted in a later entry: «I had a little concert where there were Baron Darmfeld – Belmonte – Gravina – Marsico – Sambuca and Lamberg – my daughter played the harpsichord».23 While there are regular references to Maria Teresa and Maria Luisa in the diaries, there is only a single occasion on which Maria Carolina mentions the participation of her son in performance: «heard the harpsichord played – my son who accompanied – then Theresa played».24 For his part, Ferdinand participated in these formal and informal performances too. Among the first entries in the extant diaries, Maria Carolina records: «heard the king playing the lira».25 Later on, she notes, «listened to Theresa play the harpsichord and the King play the lira».26 Ferdinand’s growing interest in music did not subside as a further entry recounts, «after lunch the King went to Posillipo by sea to play music».27 It is also evident that Ferdinand appreciated the queen’s skills, with one entry noting:
Diary cit., p. 150, entry dated November 11, 1782; Sentimenti e politica cit., p. 121: «puis j’ai fait descendre Thérèse avec Louise - la première joua du clavesin avant Bugnano». 21 Diary cit., p. 167, entry dated January 5, 178; Sentimenti e politica cit., p. 139. There is a discrepancy here between Recca’s English translation and the original in French, which reads «les deux aînnée jouèrent du clavesin en présence de Migliano - Gravina et Lamberg». The Prince of Migliano, Francesco Loffredo, was a gentleman of the King’s Chamber. Don Filippo Orsini, Duke of Gravina (1742-1824) was a general in the Neapolitan army. Anton Franz de Paula Graf Lamberg-Sprinzenstein (1740-1822) was an Austrian diplomat and close confidant of the queen, who served as Austrian ambassador to Naples in the period 1778-1784. 22 Diary cit., p. 204, entry dated June 8, 1783; Sentimenti e politica cit., p. 183: «Lamberg me porta la barone Didier qui entendit jouer ma Thérèse du clavecin». 23 Diary cit., p. 262, entry dated March 8, 1784; Sentimenti e politica cit., p. 253: «j’eus une petite musique où le baron Darmfeld - Belmonte - Gravina - Marsico - Sambuca - et Lamberg assistèrent ma fille joua du clavesin». 24 Diary cit., p. 342, entry dated March 26, 1785; Sentimenti e politica cit., p. 345: «puis entendre jouer du clavesin - mon fils acompagna - puis Thérèse joua». 25 Diary cit., p. 117, entry dated November 15, 1781; Sentimenti e politica cit., p. 77: «jouer la lire au Roi». 26 Diary cit., p. 228, entry dated Octobe 9, 1783; Sentimenti e politica cit., p. 212: «puis entre jouer le clavesin de Thérèse et la lire du Roi». 27 Diary cit., p. 285, entry dated June 27, 1784; Sentimenti e politica cit., p. 281: «le Roi fut l’aprèsdiner à Pausilipo par merr à faire musique». 20
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«played music against my will – the king – ordered me».28 And the royal couple would occasionally perform a duet: Maria Carolina notes several times that she «played music with the king until the evening».29 Such occasions were recounted by one chronicler, who noted: «Her Royal Majesty sang last night and the king sang likewise in these most intimate little academies, which they enjoy holding».30 There are also external sources of information that verify the intense private music-making and patronage of the sovereigns. Giovanni Paisiello, who in this period served as maestro di cappella to Catherine II in St. Petersburg remained acutely aware of these developments. In a series of exchanges with the scholar and official Ferdinando Galiani, Paisiello scrupulously enquires about the tastes of Ferdinand and Maria Carolina. To that end, it is evident from the letters that Galiani was in a position of not only influence but also intimacy with Ferdinand and Maria Carolina. For example, Paisiello writes: «I have had the pleasure of learning that the other music sent by me to Their Royal Highnesses was enjoyed, but I beg you, Lord Minister, to let me know with greater specificity such and what will be preferential to them, and if there will be performances of those already sent by me».31 It is also evident that Paisiello valued the musical formation of Maria Carolina, noting in the same letter that she is «a person who is knowledgeable and expert in music».32 The composer received the desired response from Galiani in a letter posted from Naples on June 26, 1781. The scholar claimed, «His Majesty played in his chambers and has sung all the scores that you have provided to him». 33 There is, of course, the question of the specific music that was performed; nevertheless, Paisiello had sent both vocal and instrumental pieces to the sovereigns for their performance and at court. The participation and interest of Ferdinand in music making should not be overestimated. It had been advocated by Maria Carolina (given her educational orientation and certainly that of the Habsburgs) as a manner of cultivating a more refined public image of the sovereign, whose preference for speaking Neapolitan, coarse manners, and ephemeral pursuits were well known in diplomatic and official circles as well as among the general public.
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Diary cit., p. 161, entry dated December 17, 1782; Sentimenti e politica cit., p. 131: «faire par force une musique - le Roi - qui me l’avoit ordonné». 29 Diary cit., p. 160, entry dated December 16, 1782; Sentimenti e politica cit., p. 131: «puis faire avec le Roi musique jusqu’au soir». There are further references throughout the diary to Ferdinand’s interest in music, especially his performance of the lira organizzata. 30 ANNA MARIA RAO, Corte e Paese: il Regno di Napoli dal 1734 al 1806, in All’ombra della corte, a cura di Mafrici, p. 24: «Infatti la M.S. cantò la sera e cantò anco il Re nelle privatissime accademiole, che sogliono tenere». 31 SALVATORE PANAREO, Paisiello in Russia. Dalle sue lettere a Galiani, Trani, Vecchi e Co, 1910, p. 22, letter dated May 5, 1781, «Ho avuto molto piacere di sentire che l’altra musica da me spedita AA. LL. MM. abbia piaciuta, ma la priego, signor Consigliere, di farmi sapere con più distinzione come e quale gli sia più piaciuta, se faranno rappresentare qualcuna di queste da me spedite». 32 Ivi, p. 24. «una persona che l’è molto intendente ed esperta nella musica». 33 FOLCHINO SCHIZZI, Della vita e degli studi di Giovanni Paisiello, Milan: Gaspare Truffi e Comp, 1833, p. 90, «Sua Maestà ha fatto suonare in camera, ed ha cantata tutti gli spartiti che gli avete umiliati». 16
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The select entries from Maria Carolina diaries and correspondence of Galiani and Paisiello cited above only hint at the reality of a larger intense engagement, cultivation, and patronage of diverse genres (vocal and instrumental34) by both local and foreign musicians within the context of the Neapolitan court. A correlative source of information illuminating the rapport of the royal couple with local musical practices is found in the letters of Norbert Hadrava, which overlap with Maria Carolina’s personal diaries.35 Hadrava was the secretary for the Austrian ambassador to the Neapolitan kingdom in the last quarter of the eighteenth century, roughly 1776–1799.36 His unprecedented access to the court and his political station were augmented by his broad talents as a cultural mediator. He was a talented pianist and composer and a savvy aesthetician who had a keen ear for both instrumental and vocal music. His diplomatic training provided him with the necessary social skills to curry favor with the Neapolitan court, especially given his shared nationality with Maria Carolina. In particular, Hadrava possessed an astute instinct for cultivating ties at court, and he became a significant sponsor of foreign musicians and music during his time in Naples. His epistles, spanning the period 1783–1799, not only record the details of the court engagement with music, but also provide keen insights into aesthetic tastes and even musical knowledge of the sovereigns. Of particular interest are his numerous reflections upon local music culture, while also demonstrating Hadrava’s close relationship with Maria Carolina and Ferdinand, as well as his regular presence and participation at court events. Perhaps equally important, his cultural agenda and advocacy for Austro-Germanic composers and their music stand out transparently. Hadrava was a formidable and vocal advocate for northern musicians in Naples, taking up the cause for Dittersdorf, Pleyel, Sterkel, Gyrowetz, and Haydn above all, to name only a few. Regarding this last point, Hadrava’s letters also mention a continuous succession of Austro-Germanic artists, often instrumentalists, for whom he arranged performances in the rarefied setting of the Bourbon court. For example, he recounts the details of the concerts by the clarinettist Raymund Griesbacher and the pianist Johann Sterkel, repeatedly underlining that the king and queen were deeply engaged in these soirees. It is evident that Hadrava knew intimately and wished to gratify the musical tastes of the queen; yet his efforts were also directed toward developing Ferdinand’s artistic
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CESARE FERTONANI, Musica strumentale a Napoli durante il Settecento, in Storia della musica e dello spettacolo a Napoli, a cura di Francesco Cotticelli and Paologiovanni Maione, 2 voll., Napoli, Turchini edizioni, 2009, II, pp. 925-963; see also GUIDO OLIVIERI, The ‘fiery genius’: the contribution of Neapolitan virtuosi to the spread of the string sonata 1684-1736, PhD diss., University of California, Santa Barbara, 2005; Hanns-Bertold Dietz, Instrumental Music at the Court of Ferdinand IV Naples and Sicily and the Works of Vincenzo Orgitano, «International Journal of Musicology» 1, 1992, pp. 99-126; ANTHONY R. DELDONNA, Instrumental Music in Late Eighteenth-Century Naples: Politics, Patronage, and Artistic Culture, Cambridge, Cambridge University Press, 2020. 35 GIALDRONI, La musica a Napoli cit., pp. 75-143. 36 He had been secretary to Gottfried van Swieten in Berlin (1774-1779) before coming to Naples. He was also active as a reviewer and contributor to the Magazin der Musik, founded by Carl Friedrich Cramer (1752-1807). 17
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sensibilities and knowledge.37 Indeed, he notes that the king was so enamoured with the playing of Griesbacher that he presented the clarinettist with the opportunity of a permanent position in Naples.38 In a subsequent letter, Hadrava notes the presence and performance at court of the oboist Friedrich Ram and the violinist Carl Cannabich, whose artistry was «rewarded with much benevolence by His Majesty the King».39 Regarding the Cappella Reale and other musicians in the employ of the Neapolitan court, Hadrava’s assessments range from critical to withering. For example, he reserves particular invective for the court violinists (among other individuals and ensembles) and their attempted performance of unnamed Haydn symphonies. The juxtaposition of his praise for Austro-German musicians such as Griesbacher, Ram, and Cannabich form a strategic counterpoint. They reflect Hadrava’s professed nationalistic agenda while also highlighting his value as cultural mediator to the royal court. Indeed, he claims that «the more understanding in music that the king acquires, the less he is satisfied with those [court] violinists».40 In a further boastful moment, Hadrava notes, «I could cite many examples in order to demonstrate that the king knows how to appreciate real musical talent and recognizes the value of music».41 Finally, it should be noted within the letters that Hadrava also stresses that his continued close ties to court promoted broader connections to other significant figures in the Neapolitan diplomatic milieu – in particular, Sir William Hamilton and his second wife, Emma, who, like the court, held frequent musical gatherings and shared an interest in repertoire for the fortepiano. As a pianist and composer himself, Hadrava gravitated toward this repertory, and it also led to his association with the maker Johann Stein; he ultimately became Stein’s agent in Naples.42 The preference for keyboard genres also reflected a point of common interest with the Queen as is evident in her personal diaries. Among the more interesting details is continued reference to works (mainly sonatas) for four hands. Hadrava was quick to note Ferdinand’s keen interest upon learning of this genre because «at 37
See DIETZ, Instrumental Music at the Court of Ferdinand IV cit., pp. 99-126; HARRY R. EDWALL, Ferdinand IV and Haydn’s Concertos for the ‘Lira Organizzata’, «Musical Quarterly» 48, 1962, pp. 190-203. 38 GIALDRONI, La musica a Napoli cit., p. 89. Hadrava states, «the bearer of this letter is Griesbacher, an excellent clarinetist, who renders honor to our nation. During his sojourn here, he achieved everywhere the most unconditional applause of all the learned and dilettantes» («Il latore di questa lettera è il signor Griesbacher, un eccellente clarinettista, che fa onore alla nostra nazione. Durante il suo soggiorno qui si è guadagnato ovunque il più incondizionato plauso di tutti i conoscitori e gli appassionati.») 39 Ivi, p. 113, «Il signor Ram ed il giovane signor Cannabich hanno avuto l’onore di farsi ascoltare dalla corte, il primo all’oboe, il secondo al violino; entrambi sono stati compensati con molta benevolenza da Sua Maestà il re.» 40 Ivi, p. 114, «ma tante più conoscenze il re acquisiva nella musica, tanto meno lo soddisfacevano quei violinisti.» 41 Ivi, p. 115, «Potrei addurre molte prove per dimostrare che Sua Maestà il re sa apprezzare i veri talenti musicali e riconosce il valore della musica.» 42 JOHN RICE, Stein’s ‘Favorite Instrument’: A Vis-à-Vis Piano-Harpsichord in Naples, «Journal of the American Musical Instrument Society» 21, 1995, pp. 30-64. 18
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court they are not yet familiar with the fashion of seeing four hands on the keyboard».43 The instrument used for these performances was made by Stein. Hadrava recounts that he was able to procure, «a short time before his [Sterkel’s] arrival, a fortepiano made by Stein, on which he [Sterkel] was able to be heard and to perform with true admiration, while otherwise he would have attained little distinction for his sonatas on his wretched little clavichord, to whose sound Italian ears are not well accustomed». 44 In fact, Hadrava’s efforts on behalf of Stein also extended to the royal family. He notes that he arranged the purchase of two instruments by the Viennese maker, one for the queen and the other for her eldest daughter, Maria Teresa, whose performance at the keyboard, as we have seen, is often mentioned by Maria Carolina in her diaries. In addition, Hadrava notes that Maria Carolina possessed a large piano of British provenance. Hadrava’s central role as musical arbiter, sponsor and interlocutor cannot be underestimated within the exclusive sphere of court life. The musical life of Maria Carolina and Ferdinand’s court is also documented in contemporary periodicals, the Gazzetta Universale and Notizie del Mondo. These sources reveal an almost unending series of occasions presenting music (vocal and instrumental) and dance within the privacy of the varied royal palaces. These sources also demonstrate that the royal couple were ardent patrons of the Accademia de’ Cavalieri and also attended events within the private residences of the large contingent of foreign dignitaries that formed the diplomatic corps of the capital city. This last point is frequently acknowledged and an early entry from the Gazzetta Universale underlines the emergent rapport between diplomacy and the arts, recounting «Abbiamo qui molti qualificati Signori Inglesi, ed altri distinti forestieri, fra quali il Principe di Rhoano Chabot. La nostra Accademia, o Assemblea, è per i forestieri una maraviglia, mentre altrove non si trova un divertimento così nobile, magnifico, e piacevole».45 Given the importance of projecting images of sovereignty, there is no question that the crown sought to present the most exclusive and artistically important events through their direct sponsorship. For example, the Gazzetta narrates, Sabato scorsa le MM. LL. si divertirono a Posilipo con una sontuosa Accademia di musica, alla quale fu invitato tutto il Corpo Diplomatico, primaria Nobiltà, e vi suonò un concerto di violino il celebre Sig. Nardini. Indi fu imbandita una lauta cena, e sotto i Regj balconi una Serenata molto brillante ove cantarono la Sig. Balducci prima Donna del R. Teatro, e il Sig. Millico.46
The rarefied space of the royal casino in the exclusive area of Posillipo is expanded to the include the diplomatic elite at an academy featuring both instrumental and vocal 43
GIALDRONI, La musica a Napoli cit., p. 92, «a corte non si conosceva ancora la foggia di vedere quattro mani su un pianoforte». 44 Ivi, p. 95, «poco prima del suo arrivo, un fortepiano dello Stein, sul quale egli ha potuto farsi ascoltare ed anche suonare con vero piacere, mentre altrimenti avrebbe ottenuto poco onore con le sue sonate sul suo meschino clavicordo, al quale le orecchie italiane non sono abituate». 45 Gazzetta Universale, Napoli 29 dicembre 1776, p. 37. 46 Ivi, Napoli 2 agosto 1780, p. 534. 19
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performances offering the celebrated violinist Nardini and personnel from the San Carlo theater, namely the prima donna Marina Balducci and famed castrato Giuseppe Millico. The royal court also established close ties to the traditional festivals (religious or secular) of the city through its sponsorship of music. For example, the Gazzetta notes, Sabato si eseguì la solenne festa alla Madonna di Piè di Grotta, dove il dopo pranzo si portarono i nostri Sovrani in forma pubblica. La sera poi le MM. LL. passarono alla fiera, ove vi fu una strepitosa musica fatta a spese di quella Corte, alla quale suonarono diversi bravi dilettanti e si contarono fino a 60. Strumenti.47
Of particular interest and importance in the prior citation is the clear patronage of instrumental music, verified by Hadrava (and others), yet often overlooked in past research. The ongoing sponsorship of instrumental music appears regularly in the narratives of the Gazzetta and Notizie del Mondo. For example, even during their holidays, the Notizie del Mondo makes a point of specifying that «Le MM. LL. vi prendono il divertimento della pesca, e nella la sera vi fanno rappresentare delle Tragedie, e Commedie Francesi, e di concerti di musica».48 The phrase “concerti di musica” reflects the specific inclusion of instrumental music performance for court events. The patronage of the sovereigns is also extended to their direct participation in such events. Among the most fascinating and revealing notices of the Gazzetta records, Nel di 15. Sua Maestà si portò a spasso nelle sue Galeotte e nobil seguito a Margellina, ove ricevè un pranzo inviatogli dall’Ambasciator Marocchino consistente in 8. piatti caldi, cioè un pilao, una minestra con varj legumi, carne di castrato, e bove in umido ecc. La M. S. degnosi assaggiare il tutto, che era cucinato all’Orientale, e dopo costeggiò la bellissima riviera di Posilipo nel tempo che dentro i Regi legai suonavano bellissimi concerti di lira, accompagnati dall’Orchestra di Corte, il che formava un’armonia maravigliosa.49
The tranquil imagery of the Neapolitan sovereigns on board their royal vessel as they receive the gift of a traditional Moroccan service from that ambassador is completed by their actual performance on board featuring the concertos for lira organizzata with the Cappella Reale as the accompanying ensemble. This citation underlines not simply the importance of instrumental music and its role within the contemporary diplomacy, but also the significant position of music-making within the personal lives of Ferdinand and Maria Carolina themselves. The high-profile sponsorship of instrumental music by the royal court undoubtedly resonated outward to the Neapolitan nobility and diplomatic corps as documented by the Gazzetta and Notizie del Mondo. For example, the Marchese di Corleto was praised for organizing «un lauto pranzo con scelta e numerosa orchestra». In the same notice, 47
Ivi, Napoli 10 settembre 1781, p. 610. Notizie del Mondo, Napoli 5 giugno 1782, p. 390. 49 Gazzetta Universale, Napoli 19 agosto 1782, p. 570. 48
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the Princess of Belmonte is also cited for hosting an «magnifico trattenimento in musica».50 It is also noteworthy that many members of the international community also sponsored performances of instrumental repertory, which Ferdinand and Maria Carolina attended (often verified by the queen’s diaries). Perhaps the most prominent diplomatic and cultural figure of late eighteenth-century Naples was the aforementioned Sir William Hamilton, the English ambassador. Hamilton retained unprecedent, intimate access to the crown and his influence reverberated throughout the political, cultural, and intellectual circles of the city. One account narrates «Venerdì il giorno comparvero al gran corso al Ponte alla Maddalena, e la sera in Casa, del Ministro Inglese Hamilton, ove parimente vi fu Accademia di musica, e fece il concerto di Violino il celebre Sig. Burgos che trovasi qui di passaggio».51 Emma Hamilton also noted the King was often accompanied by musicians for his regular trips to his lodge in Posillipo. Among the frequent references to social events there, Hamilton notes, On Sunday he [Ferdinand] dined at Paysilipo [sic], and he always comes every Sunday before the casino in his boat to look at me. We had a small diplomatic party, and we was sailing in our boot [sic], the K. directly came up, put his boot [sic] of musick next us, and made all the French horns and the wole [sic] band play.52
Albeit humorous given Emma Hamilton’s almost illiterate spelling the recollection underlines the ubiquitous presence of music and musicians within the quotidian routines of the King. As noted earlier, the royal couple also participated often in events sponsored by the Accademia de’ Cavalieri.53 These occasions often mixed music (vocal and instrumental), dance, and games of chance. While performances of vocal genres were often explicitly referenced and detailed, instrumental music was referred to with the general phrase concerti di musica. Based on contemporary accounts, the latter occurred often within the range of entertainments. For example, the Notizie del Mondo announces that «ricominciarono nell' Accademia dei Cavalieri nei giorni destinati i balli, ed i concerti di musica».54 An explicit connection between the sovereigns, music and this institution is noted in early 1780 as «Principiata la Quaresima mercoledì sera le LL. AA. RR. intervennero alla conversazione della Nobile Accademia che fu oltremodo numerosa. Anche giovedì sera onorarono la medesima, e vi fu musica».55 This organization as 50
Ivi, Napoli 17 giugno 1783, p. 414. Ivi, Napoli 7 marzo 1780, p. 197. 52 The Collection of Autograph Letters and Historical Documents: The Hamilton and Nelson Papers, a cura di Alfred Morrison, vol. 1, Printed for Private Publication, p. 117. 53 LUCIO TUFANO, Accademie musicali a Napoli nella seconda metà del Settecento: sedi, spazii, e funzioni, in «Quaderni dell’archivio storico», Naples, Istituto Banco di Napoli, 2005-2006, pp. 113178; ID., Musica, ballo e gioco a Napoli nella seconda metà del Settecento: l’Accademia dei Cavalieri e la Conversazione degli Amici, in Spazi e tempi nel gioco del Settecento, a cura di Beatrice Alfonzetti and Roberta Turchi, Rome, Edizioni di Storia e Letteratura, 2011, pp. 378-399. 54 Notizie del Mondo, Napoli 2 ottobre 1781, p. 660. 55 Gazzetta Universale, Napoli 15 febbraio 1780, p. 150. 51
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well as the Accademia degli Amici grew in prominence during the reign of Ferdinand and Maria Carolina, occupying a significant place within local artistic life, especially in the patronage of instrumental genres. For example, the Gazzetta documents «Nel dì 16. essendo incominciata la Novena del S. Natale, si sono chiusi i Teatri fino alla sera de' 26, ma in luogo dei medesimi restano aperte tutte le sere le due Accademie dei Cavalieri, e degli Amici, ove si danno dei magnifici concerti».56 While noting the traditional closure of the theaters for the Christmas season, the notice underlines the quality of instrumental concerts organized by both academies for their constituencies. The premium placed on instrumental and vocal genres, not to mention the direct participation of the sovereigns in performance of this repertoire naturally raises questions about surviving repertoire, especially that performed within the exclusive circles of the royal court. Although Hadrava asserted that the King and Queen maintained a large library of music,57 both vocal and instrumental, there is no surviving source documenting their collection. Rather, a general sense of their music collection can be derived from two surviving sources: the Indice di tutti i libri, e spartiti di Musica che conservansi nell’Archivio del R[eal] Conservatorio della Pietà de’ Torchini and the present-day holdings of the Conservatory Library of Naples, San Pietro a Majella. The Indice bears the handwritten date of 180158 and its printed contents record the sources that were consigned to the newly formed royal archive, which was coordinated in the same time period as the consolidation of the remaining conservatories.59 The entries, which range from the dramatic stage to instrumental and theoretical treatises, are carefully organized and indicate the items donated by Maria Carolina from her personal library (using the abbreviation S. M. or Sua Maestà). The vast majority of these gifts (approximately 170 items), as has been noted elsewhere, were dramatic and sacred
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Ivi, 19 dicembre 1786, p. 832. GIALDRONI, La musica a Napoli cit., pp. 75-143. 58 Indice di tutti i libri, e spartiti di Musica che conservansi nell’Archivio del R[eal] Conservatorio della Pietà de’ Torchini [sic], Napoli, 1801. I am grateful to my colleague Prof. Cesare Corsi, Director of the Conservatory Library, for sharing the contents of this document. 59 For information regarding the creation of the royal archive, see SAVERIO MATTEI, Per la biblioteca musica fondata nel Conservatorio della Pietà con Reale approvazione. Memoria del consigliere Saverio Mattei, Naples, 1795. On Mattei, see PAOLO FABBRI, Saverio Mattei e la ‘musica filosofica, «Analecta musicologica» 30, 1998, pp. 611-629; ID., Saverio Mattei: un profilo bio-bibliografico, in Napoli e il teatro musicale in Europa tra Sette e Ottocento. Studi in onore di Friedrich Lippmann, a cura di Bianca Maria Antolini and Wolfgang Witzenmann Florence, Olschki editore, 1993, pp. 121144. Sigismondo’s account of his part in the creation of the archive can be read (in English) in GIUSEPPE SIGISMONDO, Apotheosis of Music in the Kingdom of Naples, a cura di Claudio Bacciagaluppi, Giulia Giovani, and Raffaele Mellace, trans. Beatrice Scaldini, with an introduction by ROSA CAFIERO, Rome, Società editrice di musicologia, 2016, pp. 63-88; see also ROSA CAFIERO, Una biblioteca per la biblioteca: la collezione musicale di Giuseppe Sigismondo, in Napoli e il teatro musicale, a cura di Antolini and Witzenmann, pp. 299-367; MAURO AMATO, La biblioteca del conservatorio ‘San Pietro a Majella’ di Napoli: dal nucleo originale alle donazioni di fondi privati ottocenteschi, in Francesco Florimo e l’Ottocento musicale, a cura di Rosa Cafiero and Marina Marino, 2 voll., Reggio Calabria, Jason editrice, 1999, II, pp.645-699. 57
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works.60 Maria Carolina’s participation is verified in a royal dispatch dated May 10, 1798, which notes «Concerning the Real Teatro di San Carlo, as Her Majesty granted to donate the scores of previously performed operas and sacred oratorios humbly presented to her by previous impresarios, as well as other [scores] to be performed in the future».61 While the Indice reveals expected names within the queen’s personal library – such as Paisiello, Cimarosa, Guglielmi, and Cafaro – there is a notable quantity of music by Austrian and German composers. The latter include both the expected (Hasse, Gluck, and Gassmann) and those generally not associated with Italian dramatic works – especially Franz Sterkel, and Ignaz Pleyel, among others primarily recognized for instrumental genres. The Indice also shows that Maria Carolina contributed instrumental compositions, albeit of significantly lower quantity. Nevertheless, the choices reveal the tastes, preferences, and interests of the queen, demonstrating that they were not exclusively “Neapolitan.” Table 1.1 shows that Maria Carolina’s bequests included only one collection of instrumental music by a Neapolitan: Giovanni Paisiello. This volume, as noted on its title page, represented instrumental works that the composer had prepared for his Russian patron during his years in St. Petersburg and were referenced in the prior noted correspondence with Ferdinando Galiani.62 The remaining compositions include works by the northerners Schuster, C.P.E. Bach, and Franz Xaver Richter, as well as the Italians Gaetano Pugnani63 and Giovanni Battista Sammartini. Table 1.1: Instrumental music donated to the royal archive by Queen Maria Carolina Composer Anonymous Anonymous Bach, Carl Philipp Emanuel Paisiello, Giovanni
Pugnani, Gaetano Richter, Franz Xaver
Title Balli inglesi Marcie diverse Sei sonata di Cembalo Raccolta di vari Rondò e Capricci per Piano Forte con accompagnamento di violino, composta espressamente per S.A.I. la Gran Duchessa di tutte le Russie Trii per due violini e basso Concerto per Cembalo
60
See ANNA MONDOLFI BOSSARELLI, Gluck e i contemporanei attraverso i manoscritti donati da Maria Carolina alla città di Napoli, «Chigiana. Rassegna annuale di studi musicologi» 9-10, 1975, pp. 585-592 61 Cited in SIGISMONDO, Apotheosis of Music cit., p. 82. 62 Paisiello spent the period 1776-1784 at the court of Catherine the Great in St. Petersburg, composing not only operas but also a significant body of compositions for the keyboard. See NICOLETA PARASCHIVESCU, Die Partimenti Giovanni Paisiellos. Wege zu einem praxisbezogenen Verständis, Basel, Scwabe, 2019; JNO LELAND HUNT, The Life and Keyboard Works of Giovanni Paisiello (1740-1816), PhD diss., University of Michigan, 1973; Id., The Keyboard Works of Giovanni Paisiello, «Musical Quarterly» 61, 1975, pp. 212-232. 63 Pugnani had performed a series of highly successful concerts for the queen at the Palazzo Reale in October 1782, which undoubtedly led to the commission of his opera Adone e Venere for the Teatro di San Carlo in 1784. Maria Carolina was generous in arranging for commissions from the royal theater for visiting musicians, especially those with shared German or Austrian heritage. See Teatro di San Carlo di Napoli. Cronologia degli spettacoli 1737-1799, a cura di Paologiovanni Maione and Francesca Seller, 1, Naples, Altrastampa Edizioni, 2005. 23
ANTHONY R. DELDONNA
Rose, Bernardo Sammartini, Giovanni Battista Schuster, Giuseppe Vento, Mattia
Raccolta di Contraddanza Inglesi Sei sonata di cembalo Sonata di cembalo col violino Sonate di Cembalo con accompagnamento di Violino, o Flauto
The dearth of instrumental music donated to the official archive immediately raises questions, however, this is not entirely surprising. The volumes of dramatic and sacred works were not practical; rather, they were deluxe editions with ornate covers and stylish bindings expressly prepared for the queen and with the object of long-term preservation. Instead the donations noted in Table 1.1 reveal the intimate, personal preferences of the Queen for keyboard genres (especially as a practitioner) and social dances. The latter pieces were undoubtedly favorites from either the intimate gatherings in her personal apartment or perhaps music encountered at the elaborate feste di ballo held regularly in the royal Teatro di San Carlo. In regard to the keyboard genres, it is highly likely that these works represent music performed regularly by the queen herself and her daughters Maria Teresa and Maria Luisa as often referenced in her diary entries. Regarding the sole composition requiring an accompanying ensemble (the Richter concerto), this too should not be surprising. Given that the Cappella Reale served as the resident ensemble of the royal court and its various abodes, any works for ensemble, especially instrumental genres, would in all likelihood been part of an additional, private collection maintained by the King and Queen, to which Hadrava had referenced in his accounts of performances at court. Nevertheless, the holdings of the Conservatory Library64 offer a much broader and inclusive selection of instrumental genres, which correlated to existing (and previously cited) documentary evidence point toward the artistic environment, patronage and soirees hosted by and associated with the Neapolitan sovereigns. These sources notably include sinfonias, concertos, sonatas (solo and duo), quartets, and quintets, among other genres. The musicians represented in the instrumental music holdings are equally quite diverse. There is a noteworthy quantity of works by local luminaries (including but not limited to Paisiello, Cimarosa, Guglielmi and others often those closely associated with opera) and an equal if not greater representation of the Austro-German composers favored by Maria Carolina including Joseph Schuster, Leopold Koželuch, Johann Gottlieb Naumann, Franz Anton Hoffmeister, Franz Alexander Poessinger, Václav Pichl, Ferdinand Franzl, and others. An assertion can therefore be made that the repertoire found in the Conservatory of Naples Library represents a more accurate portrait of instrumental music cultivation in late eighteenth-century Naples than the few items provided in the Indice. Finally, it is also important to recognize the transformed role of the Cappella Reale during the reign of Ferdinand and Maria Carolina. Hanns-Bertold Dietz has asserted in his research that the Cappella Reale supplied the personnel for the broad range of private performances at court (and in the different palaces), including vocal genres (often
64
See www.opac.sbn.it, which is the most accurate source of contemporary information; Catalogo delle opere musicali del Conservatorio di Musica San Pietro a Majella, a cura di Guido Gasperini and Franca Gallo, Parma, 1934; reprint Bologna: Arnaldo Forni editore, 1988. 24
MUSIC AT THE COURT OF MARIA CAROLINA AND FERDINANDO IV
dramatic forms), feste di ballo, and of course instrumental music.65 He has also provided an outline of the musicians, focusing primarily on the primi and secondi maestri who were engaged in the Cappella Reale. Recent research has revealed a more complete accounting of musicians who served in this ensemble, allowing a more accurate understanding of instrumentation and potential repertoire, as well as speculation about the standards of musicianship within the group. The quality of musicianship has been a topic of interest to scholars and a recurring source of debate, given the well-known critical reflections left by individuals (often non-Italians) such as Charles Burney and those cited earlier by Hadrava.66 Table 1.2 presents an outline of the members of the Cappella Reale and the associated instrumentation (as well as their related affiliations) in the critical years of 1776–1785.67 65
See DIETZ, Instrumental Music at the Court of Ferdinand IV cit., pp. 99-126; EDWALL, Ferdinand IV and Haydn’s Concertos for the ‘Lira Organizzata’ cit., pp. 190-203. 66 See CHARLES BURNEY, The Present State of Music in France and Italy, 2nd edn., London, Becket & Company, 1773; facsimile edition New York, Broude, 1969, pp. 159-196. 67 Table 1.2 derives from both published and unpublished archival documents from the Neapolitan archives. The identities of the membership of the Cappella Reale in the period 1776-1785 can be found in GIULIA DI DATO - TERESA MAUTONE - MARIA MELCHIONNE - CARMELA PETRARCA, Notizie dallo Spirito Santo: la vita musicale a Napoli nelle carte bancarie (1776-1785), in Domenico Cimarosa: un ‘napoletano’ in Europa, a cura di Paologiovanni Maione and Marta Columbro, 2, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2004, pp. 709-711. Through consultation of related sources, the specific roles of each member (voice and specific instrument) are supplied, as well as affiliations with other select groups – e.g., the Tesoro della Cappella di San Gennaro, San Domenico Maggiore, and San Gregorio Armeno. Correlative sources include, Archivio di Stato di Napoli, Fondo Casa Reale Antica, fascii nos. 965-970, 1269, 1517; MARTA COLUMBRO - PAOLOGIOVANNI MAIONE, La Cappella musicale del Tesoro di San Gennaro di Napoli tra Sei e Settecento, Naples, Turchini edizioni, 2008; HANNS-BERTHOLD DIETZ, A Chronology of Maestri and Organisti at the Cappella Reale in Naples, 1745-1800, «Journal of the American Musicological Society» 25, 1972, pp. 379-406; ULISSE PROTAGIURLEO, Breve storia del Teatro di Corte e della musica a Napoli nei secoli XVII-XVIII, in Il Teatro di Corte del Palazzo Reale di Napoli, a cura di Felice De Filippis and Ulisse Prota-Giurleo (Naples, L’Arte Tipografica, 1952), pp. 19-146; ID., I teatri di Napoli nel secolo XVII, a cura di Ermanno Bellucci and Giorgio Mancini, 3 voll., Naples, Il quartiere, 2002; SALVATORE DI GIACOMO, I quattro antichi conservatorii di musica a Napoli, 2 voll., Naples, Remo Sandron Press, 1924; BENEDETTO CROCE, I teatri di Napoli, Naples, Pierro, 1891; ANTHONY R. DELDONNA, Behind the Scenes, in Fonti d’archivio per la storia della musica e dello spettacolo a Napoli tra XVI e XVIII secolo, Napoli, Editoriale Scientifica, 2001, pp. 427-448; MICHAEL ROBINSON, A Late 18th-century Account Book of the San Carlo Theatre, Naples, «Early Music» 18/1, 1990, pp. 73-82; also DELDONNA, Production Practices at the Teatro di San Carlo, Naples, in the Late 18th Century, «Early Music» 30/3, 2002, pp. 429-45; ID., Eighteenth-Century Politics and Patronage: Musical Practices Before and After the Republican Revolution of Naples, «Eighteenth-Century Music» 4, 2007, pp. 211-250. See also FRANCESCO COTTICELLI - PAOLOGIOVANNI MAIONE, Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale della Napoli di primo Settecento: 1732-1733, «Studi Pergolesiani» 5, 2006, pp. 21-54; PAOLOGIOVANNI MAIONE, Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale della Napoli di primo Settecento, «Studi Pergolesiani» 4, 2000, pp. 1-129; ID., Il mondo musicale seicentesco e le sue istituzioni: la Cappella Reale di Napoli (1650-1700), in Francesco Cavalli. La circolazione dell’opera veneziana nel Seicento, a cura di Dinko Fabris, Naples, Turchini Edizioni, 2006), pp. 309341; DINKO FABRIS - GRUPPO DI LAVORO “NAPOLI”, Dal medioevo al decennio napoleonico e oltre: metamorfosi e continuità nella tradizione napoletana, in Produzione, circolazione e consumo. 25
ANTHONY R. DELDONNA
Table 1.2 Abbreviations CSG Cappella del Tesoro di San Gennaro SDM Cappella di San Domenico Maggiore SGA Monastero di San Gregorio Armeno TdF Teatro dei Fiorentini TdFo Teatro del Fondo TdSC Teatro di San Carlo Name Agresta, Francesco
Instrument Soprano
Antonacci, Pietro
Violin
Aprile, Giuseppe Barbieri, Santi
Soprano Contralto
Bergantino, Giovanni Battista Burlò, Pietro
Violin
Cafaro, Pasquale Cammerino, Carlo
Organ Violin
Cardillo, Costantino
Trumpet
Compagnoni, Vincenzo Consorti, Vincenzo Corbisieri, Francesco de Magistris, Giuseppe Di Donato, Francesco
Violin
Contrabass
Affiliations (until 1799) CSG SDM CSG (1751, 1753–1754, 1771, 1773, 1777–1787) TdSC (1775–1786)
Misc.
CSG
Mentioned by Mozarts Dates of activity are 1757–1758 (CSG) Alternate spelling Santolo Alternate spelling Brigantini (dated to 1767)
CSG (1767) TdSC (1775–1779, 1780a) CSG (1744, 1751, 1753– 1758, 1767) CSG (1767–1771, 1773, 1777–1788) SDM (1777) TdSC (1750, 1775–1786) CSG (1768–1770, 1777– 1797) TdSC (1780–1786) CSG (1770)
Soprano Organ Organ
SDM (1760)
Tenor
CSG (1778, 1779, 1781, 1783) SDM (1777) CSG (1754–1759, 1767– 1768, 1770–1771, 1777– 1787)
Di Donato, Geronimo Oboe
Alternate spelling Compagnone
SGA (1778) Alternate spelling De Donato Maestro di Oboe Sant’Onofrio (1778– 1785)
Consuetudine e quotidianità della polifonia sacra nelle chiese monastiche e parrocchiali dal tardo medioevo alla fine degli Antichi Regimi, a cura di David Bryant and Elena Quaranta, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 227-281; ANGELA FIORE, La Cappella di Santa Cecilia dei Musici di Palazzo di Napoli: nuove acquisizioni dall’Archivio del Conservatorio della Solitaria, «Fonti musicale italiane» 17, 2012, pp. 25-44 26
MUSIC AT THE COURT OF MARIA CAROLINA AND FERDINANDO IV
TdSC (1749–1750, 1775– 1786) Ferrari, Francesco Ferrari, Litterio
Voice Tenor
Forni, Michele Franchi, Gaetano
Voice Violin
Francescone, Domenico Giuliani, Pasquale
Cello Trumpet
CSG (1759) SDM (1777) CSG (1750, 1767) TdSC (1775–1780b) CSG (1778, 1779, 1780) TdSC (1775–1786) CSG (1758–1759, 1767, 1769,c 1770, 1778, 1781, 1788, 1789, 1795–1799)
Guarino, Gennaro
Michele is also listed. Guarino listed as violinist at TdSC 1749–1750
Guerra, Giuseppe
Soprano
Guglietti, Domenico Grimaldi, Nicola Labanchi, Giuseppe
Bass Tenor Oboe
La Barbiera, Baldassare Lecce, Francesco
Trumpet
Lizio, Ferdinando Lorello, Onofrio
Oboe; bassoon Trumpet
Luca, Innocenzo
Contrabass
Maccozzi, Leopoldo Magri, Francesco Majorano, Gaetano Marchetti, Giuseppe Montoro, Antonio Moresco, Antonio Neisparchen, Francesco Gottlieb Orgitano, Paolo Pagliarulo, Giuseppe Pepe, Filippo Piano, Gennaro
Alternate spellings Girolamo and De Donato
Violin
Bass Soprano Vice-maestro; organ Violin Violin Timpani Organ Violin Violin Trumpet
CSG (1768, 1770–1771, 1778, 1779, 1796) CSG (1778, 1779) Based on 1806 roster Alternate spelling “Lambanchi”
CSG (1751, 1754, 1756, 1757, 1771, 1773, 1777– 1799, 1806) SDM (1777) TdSC (1749–1750, 1775– 1777) CSG (1776,d 1777, 1778, 1782, 1786) TdSC (1775–1786) Uncertain: could be Vincenzo de Luca
d. 1783 Priest TdSC (1775–1780e) CSG (1778–1799) TdSC (1775–1786) TdSC (1775–1779) CSG (1777,f 1778, 1780) TdSC (1775–1779) CSG (1768, 1771) CSG (1773, 1777, 1778) TdSC (1749–1750) 27
ANTHONY R. DELDONNA
Piccigallo, Antonio Piccinni, Francesco Prota, Giuseppe
Soprano Violin Oboe
CSG (1781) CSG CSG (1778, 1779, 1780) TdSC (1778–1786)
Pumpo, Pasquale Raimondi, Giovanni Recuperi, Domenico Ricupero, Francesco
Contrabass Violin
TdSC (1775–1786) TdFo (1785)
Bassoon; oboe
Sabatini, Gioacchino Salernitano, Gaetano Santacroce, Nicola
Violin Violin Cello
TdSC (1775–1786) CSG (1767–1768, 1770– 1771, 1777–1799) SDM (1777) TdSC (1749) CSG (1790) TdFo (1785)
Santi, Pietro Tedeschi, Giovanni Tolve, Francesco Ugolino, Vito Valente, Gennaro Valerio, Giuseppe
Contralto Contralto Tenor Salterio; lute Violin Tenor
Listed, 1744 Maestro di oboe Santa Maria di Loreto, 1778– 1780 Primo violino
“Amadori” CSG (1777, 1778) TdSC (1775–1786) CSG (1777,g 1778, 1780)
a
Listed as a pensioner for the Teatro di San Carlo. Archivio di Stato di Napoli, Fondo Casa Reale Antica. b Listed as a pensioner. Archivio di Stato di Napoli, Fondo Casa Reale Antica. c Noted as “sounatore di strumenti a fiato” (player of wind instruments). d COLUMBRO and MAIONE, La Cappella musicale del Tesoro di San Gennaro di Napoli, p. 369: petition to be admitted as tromba straordinario. e Listed as a pensioner for the Teatro di San Carlo. Archivio di Stato di Napoli, Fondo Casa Reale Antica. f COLUMBRO and MAIONE, La Cappella musicale del Tesoro di San Gennaro di Napoli, p. 375. g COLUMBRO and MAIONE, La Cappella musicale del Tesoro di San Gennaro di Napoli, p. 374.
As revealed in Table 1.2, this group was well constituted – including fifteen violinists, two cellists, three contrabassists, five oboists, two bassoonists, five trumpeters, one timpanist, one player of the salterio and lute, and four organists. The ensemble was rounded out by vocalists, in light of its performance of sacred music, dramatic works (and perhaps other related music), including nine castrati (six sopranos and three contraltos), five tenors, and two basses.68 The large number of violinists included individuals who were expected to play the viola (typically two to four), following eighteenthcentury performance practice.69 It was also customary for an oboist to perform on the It is highly unlikely that luminaries such as Majorano (the famed “Caffarelli,” who died in 1783) and Tedeschi (whose stage name was Amadori) were active, performing members of the ensemble. Rather, these payments represent in essence their pension, which was not uncommon in Naples. 69 For general information about performance and production practices in Naples, see DELDONNA, Behind the Scenes cit., pp. 427-448; ID., Production Practices at the Teatro di San Carlo, Naples, in the Late 18th Century, «Early Music» 30/3, 2002, pp. 429-445; ROBINSON, A Late 18th-century Account Book of the San Carlo Theatre, Naples cit., pp. 73-82. 68
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MUSIC AT THE COURT OF MARIA CAROLINA AND FERDINANDO IV
flute, while the two bassoonists could cover any parts written for the clarinet. This duality or “doubling” was the norm for the brass musicians, too, who moved from trumpet to horn. Only at the end of the century does the surviving repertory present separate parts for winds and brass. In the same manner, the musician listed as salterio in all likelihood helped to bolster the continuo line, performing on the lute and/or theorbo as needed. The inclusion of a percussionist, Francesco Neisparchen, also bolsters the suggestion that the ensemble performed large instrumental and vocal genres. The roster also includes the primi and secondi maestri, who were the traditional leaders of the ensemble – including Pasquale Cafaro, Marchitti, de Magistris, and Orgitano. The Art of the Keyboard In view of the large body of surviving keyboard works representing diverse genres and the correlative supporting evidence about its performance,70 this area of inquiry offers an excellent point of departure for a musical discussion. Hadrava’s explicit references to the novelty of piano sonatas for four hands performed at court do not identify the specific composers, yet this genre is well represented in the collection of the Conservatory Library. In particular, the sonatas of Leopold Koželuch 71 and Ignaz Pleyel are notably present. While there is no evidence of Koželuch visiting Naples, his works were widely performed and circulated beyond Vienna. Koželuch’s Sonata a quattro mani per Piano Forte survives in two manuscript copies (bearing consecutive collocation numbers) and completely uniform in content.72 This particular sonata in F major dates from the early 1780s (either 1781 or 1784), therefore contemporary to Hadrava’s presence at court and representing at the very least new music, if not a new vogue as asserted by the diplomat. It should also be noted that there is a later, even more direct connection to the Neapolitan court in the person of Maria Teresa di Borbone, who became Empress of the Holy Roman Empire and second wife of Franz II. Koželuch A select bibliography focused on the keyboard in Naples includes FRANCESCO NOCERINO, ‘Oh che armonico fracasso’: strumenti musicali per Cimarosa, in Domenico Cimarosa. Un “napoletano” in Europa cit., I, pp. 261-269; ID., Strumenti musicali a Napoli al tempo di Piccinni, in Il tempo di Niccolò Piccinni. Percorsi di un musicista del Settecento, a cura di Clara Gelao e Michèle Sajous D’Oria, Bari, Mario Adda Editore, 2000, pp. 57-62; ID., Organi, clavicembali, spinette, tiorbini … Strumenti a tastiera del periodo napoletano di Domenico Scarlatti, in Domenico Scarlatti. Musica e storia, a cura di Dinko Fabris e Paologiovanni Maione, Napoli, Turchini Edizioni, 2010, pp. 41-56; ID., Arte cembalaria a Napoli: documenti e notizie su costruttori e strumenti napoletani, in Ricerche sul ’600 Napoletano. Saggi e documenti 1996-1997, a cura di Silvia Cassani, Napoli, Electa Napoli, 1998, pp. 85-109; ID., Napoli centro di produzione cembalaria alla luce delle recenti ricerche archivistiche, in Fonti d’archivio per la storia della musica cit., pp. 205-226. 71 For an introduction to his life, reputation, and piano sonatas, see CHRISTOPHER HOGWOOD, The Keyboard Sonatas of Leopold Koželuch, «Early Music» 40, 2012, pp. 621-637; ID., Leopold Koželuch: Complete Sonatas for Keyboard Nos. 1-50, 4 voll., Kassel: Bärenreiter, 2012-2015. Of the early biographical accounts, Gerber’s is especially laudatory: see ERNEST LUDWIG GERBER, Historisch-biographisches Lexikon der Tonkünstler, 2 voll., Leipzig, Breitkopf, 1790-1792. 72 LEOPOLD KOŽELUCH, Sonata a quattro mani per Piano Forte, shelf-mark MS 4179 and shelf-mark 4180. 70
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served as teacher to the children of the empress – in particular, Marie Louise, the granddaughter of Maria Carolina and future wife of Napoleon Bonaparte. As noted earlier, Maria Teresa was an active performer and as John Rice has documented in his research, she avidly collected music and Koželuch’s works were no exception. It would not be impossible to speculate that the longstanding cultural and artistic ties between Vienna and Naples were the basis for the collection and early cultivation of the composer’s music by the Bourbon court, later manifesting itself in the close association between the composer and the Empress of Vienna.73 Regardless, the sonata is a modest work comprised of three movements marked respectively Adagio, Allegro, and Rondo (Allegro). The initial Adagio in triple meter (3/4) presents a lyrical, yet terse introduction to the piece, spanning a mere twenty measures of music, while outlining a harmonic movement from the tonic (F) to the dominant (C). The concluding half-cadence undoubtedly provides momentum for the succeeding Allegro. Nevertheless, the roles of each performer in the Adagio are clearly delineated as soloist and accompaniment. In particular, the solo part offers a rising triadic theme (or Triadic Ascent schema), immediately followed by an elegant stepwise idea, marked by modest embellishments (primarily appoggiature). The accompaniment doubles the initial gesture at a third below before offering a typical broken-chord figuration in contrast. (See Musical Example #1a and b; mm. 1-4).
Musical Example #1a; mm. 1-4
Musical Example #1b; mm. 1-4
These melodic motives remain primary in the brief movement, whose overall shape takes the form of successive musical periods. The linear, gently embellished style of the Adagio (undoubtedly inspired by Galant idioms) gives way to a more chordal, denser melodic content in the expanded Allegro that follows. The idiomatic writing displayed in the Allegro alternates the initial rising chordal gesture (suggesting a transposed Do-Re-Mi schema on the third degree of tonic) in the primary part with a RICE, Empress Marie Therese cit., pp. 44-47. Koželuch’s keyboard music is present in large quantities in the Conservatory Library. 73
30
MUSIC AT THE COURT OF MARIA CAROLINA AND FERDINANDO IV
cascading line characterized by subtle appoggiatura with meticulous articulations (legato and détaché) underlined by variety in the rhythmic patterns. The lucid formal plan of the Allegro is a modest ternary design and Koželuch exploits the full range of the contemporary fortepiano from C2 to C6.74 The harmonic underpinnings offer features typical of the late eighteenth century keyboard sonata, characteristic to those of musicians from the Austria and Germany. It reveals a predilection for statements of thematic material often distinguished by sequential secondary dominant relationships, extending as far as the tonality of E major. There are also moments showing recourse to the mediant and sub-mediant areas as well as sudden modal contrasts, yet always with tonicaffirming closings. The concluding Rondo retains the tonic key F major, asserting an overall tonal unity for the sonata, and presents a five-part formal plan (e.g. A-B-A-CA). The longest of the three movements, the Rondo displays the most fully realized thematic material. The initial A strain spans the first twenty bars, dividing into two, symmetrical phrases of 8 + 12. The last four measures of the second phrase form a cadential extension that provides a seamless transition to the B strain and the new tonality of C (or dominant key; See Example 2; mm. 1-20; Piano I).
Musical Example # 2; mm. 1-20; Piano I
74
See KATALIN KOMLÓS, Fortepianos and Their Music: Germany, Austria, and England, 1760-1800, Oxford, Clarendon Press, 1995. 31
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The new theme and tonality offer a slightly expanded moment of contrast before the reprise of the A. The succeeding C strain is the most harmonically ambitious section of the Rondo, lingering on the secondary dominant tonality of D with several brief shadings of the parallel minor before an eventual half-cadence on A. With the twin goals of harmonic instability and thematic contrast achieved in the C strain, there is an abrupt, immediate return to the tonic and the final reprise of the A material with a brief Coda to conclude. Of the three movements, the Rondo is the most stylistically mature. Namely, its presentation of fully-realized melodic material underscored by a harmonically ambitious tonal plan as well as balanced formal components point toward an advanced realization of the keyboard sonata. It is also a sonata that reflects the continuing development of the instrument itself, one possible of diverse shadings of volume, a variety of articulations and spanning a compass of C2 to F6 (as especially evident in the Rondo). An even more progressive style than that of Koželuch’s approach to the keyboard sonata for four-hands emerges in the music of his contemporary Ignaz Pleyel, a frequent visitor to the Kingdom of Naples. While there is some disagreement regarding the timing of Pleyel’s initial visits (whether 1777 or 1778),75 it seems that by the 1780s, Hadrava’s efforts had played a crucial role in the composer’s success in the capital city and his access to the royal court.76 A full accounting of works composed during Pleyel’s sojourns to Naples is not possible (despite the monumental achievement of Rita Benton’s thematic catalogue77), but there is a considerable body of his solo and ensemble music in manuscript in the Conservatory of Naples Library. In particular, Pleyel’s music for piano is well represented as well as a variety of chamber and orchestral genres. The large number of copies both in manuscript and in printed form corroborate a contemporary review in the Magazin der Musik from one of his Italian tours, which noted, «He composed various beautiful sonatas which are in great demand here».78 Among the compositions represented in the Conservatory Library are several sonatas for four hands, establishing connections to Hadrava’s assertion about the popularity of this genre within the court soirees. Despite its designation «pour le Clavecin ou Forte-Piano,» the Sonate a 4. Mains represents an advanced composition positing
In his dissertation on Pleyel’s string quartets, Zsako claims that «Pleyel went first to Naples where he stayed for several months during 1777 and 1778», basing this on contemporary sources. See JULIUS ZSAKO, The String Quartets of Ignace J. Pleyel, PhD diss., Columbia University, 1975, p. 26; see also JIESOON KIM, Ignaz Pleyel and His Early String Quartets in Vienna, PhD diss., University of North Carolina, 1996. 76 A report in the Magazin der Musik from 1786 notes, «A short while ago we had the pleasure here of seeing and learning to know Herr Pleyel, Haydn’s admirable student. He is a young, spirited and very talented composer, besides being very modest and agreeable». As quoted in RITA BENTON, Ignace Pleyel: A Thematic Catalogue of His Compositions, New York, Pendragon Press, 1977, ix. See also GERBER, Historisch-biographisches Lexikon cit., vol. 1, cols. 160-161. 77 BENTON, Ignace Pleyel cit. 78 «Magazin der Musik» 2, 1786?, p. 1378. Cited in KOMLÓS, Fortepianos and Their Music cit., p. 111. 75
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MUSIC AT THE COURT OF MARIA CAROLINA AND FERDINANDO IV
the suggestion that it may date from the end of the eighteenth century. 79 In contrast to the Koželuch, Pleyel’s sonata offers a pair of movements (an Allegro succeeded by a Rondo), yet also displaying the idea of tonal unity with each conceived in the key of A major. Despite the aforementioned standard option of instrument, the initial movement is tailor-made for the contemporary fortepiano. The primary thematic material is announced in an eloquent eight-measure introductory phrase for the first pianist alone. This phrase marked piano (with a reiterated dolce) divides into symmetrical halves, each with careful articulations (alternating staccato and legato) with light touches of embellishment (See Musical Example 3; mm. 1-8).
Musical Example # 3; mm. 1-8; Piano I
The brief transition leads to a secondary melodic idea expanding the harmonic compass to E major, while also offering a notable stylistic contrast. Throughout the introductory section (or exposition), there is scrupulous attention given to the expressive resources of the instrument – in particular, the balance of thick, chordal textures (primarily in the second piano), contrasting with deft passages of finger work, including running sixteenth notes (in different configurations) and a variety of broken scale passages, whether in thirds (as at the outset of the movement), octaves, or as part of rising and descending stepwise figurations. There is also an evident attention placed on proper technique in both parts as the hands move in both parallel and contrary motion. Pleyel also exploits the full range of the fortepiano, whose combined compass spans A2 to E6. The formal parameters and dimensions posit a (very) modest sonata structure with a fleeting development section. This quality may indeed suggest an earlier compositional date than the one forwarded by prior scholars. Nevertheless, the concluding Rondo bears many similarities to the work by Koželuch. Like his counterpart, Pleyel conceives this movement in the five-part scheme (A-B-A-C-A) with an ongoing playful interplay between each piano. Each strain offers a balanced, symmetrical melody. The transparent harmonic outline, however, emphasizes modal contrasts between the 79
IGNAZ PLEYEL, Une Sonate e 4. Mains pour le Clavecin ou Forte-Piano, shelf-mark 7411. This work is found in the Benton catalog along with its numerous locations in diverse libraries throughout Europe. The Conservatory Library also possesses several pieces for piano four hands, which may be arrangements of Pleyel’s violin works. 33
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strains. In particular, juxtaposing the tonic A major (for the initial A) with e minor (B section) followed by the reprise (A major) and a minor for the extended C portion of the form. The Rondo also presents as many idiomatic qualities as the Allegro: formal clarity, nuanced performance-practice markings (dynamics, articulations, embellishments, etc.), and buoyant rhythms indicative of the genre. This last point is also of importance given the well-known tastes and passion for contemporary social dances in the capital city. The large body of Pleyel’s works in the Conservatory Library attest to his stature at the court of Ferdinand and Maria Carolina. Indeed, Hadrava recounted in a letter from 1786 that, [Pleyel] experienced the specific grace and satisfaction that His Majesty the King, having invited him two days before his departure from Naples to a private musical soiree, [Pleyel] listened and also played with great expression and appeal three of the Nocturnes of his own composition with the complete instrumental accompaniment. At the end of the music, the King stated to Pleyel, in the presence of Sir William Hamilton, the English minister, and others, a most worthy compliment, that the music contained dynamism and much expression, and that he played the music more joyfully than all the others for these two reasons.80
This citation, albeit recounted from the perspective and aligned artistic leanings of Hadrava, nonetheless underline Pleyel’s stature as well as the King’s burgeoning knowledge of music and its associated aesthetics. One can likewise deduce the elevated stature of the musical gatherings sponsored by the court as well as genres such as the keyboard sonatas for four hands presented above. As noted earlier, the Conservatory Library also contains a noteworthy collection of chamber music, notably string quartets, quintets and modest concertos. Among the more interesting works associated with the cultivation of music at court belongs the works of Adalbert Gyrowetz. A Bohemian by birth, Gyrowetz arrived in Italy in the fall of 1786 to serve as secretary to Prince Ruspoli in Rome.81 His travels and musical activities over the following year, in his own words, «contributed to a great longing in Gyrowetz to go to Naples in order to complete his training in music and to acquire a
80
GIALDRONI, La musica a Napoli cit., p. 108: «inoltre egli ha avuto la particolare grazia e soddisfazione che Sua Maestà il re, dopo averlo invitato due giorni prima della sua partenza al suo incontro musicale privato, ha fatto ascoltare e ha suonato con molta espressione e piacere tre dei notturni da lui scritti con accompagnamento completo dei restanti strumenti. Al termine della musica il re ha fatto al Pleyel, in presenza del ministro inglese cavalier Hamilton e degli altri, una giusta lode, dicendo che la sua musica conteneva molto spirito ed era assai toccante, e che egli suonava la sua musica più volentieri di tutte le altre per quelle due ragioni.» 81 The details of Gyrowetz’s life are presented in his Selbst-Biographie, published in Vienna near the end of his life (1848), which he wrote in the third person. It was reissued as Lebenslaüfe deutscher Musiker, a cura di Alfred Einstein, Leipzig, Siegel, 1915 and has been the basis for study by numerous scholars. The present translations are taken from RENEE ANNE ILLA, The Autobiography of Adalbert Gyrowetz: A Translation and Edition, PhD diss., Kent State University, 2000; ERWIN DOERNBERG, Adalbert Gyrowetz, «Music and Letters» 44, 1963, pp. 21-30; WILLIAM HETTRICK, The Autobiography of Adalbert Gyrowetz (1763-1850), «Studien zur Musikwissenschaft» 40, 1991, pp. 41-74. 34
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complete knowledge of counterpoint and of strict composition».82 Given his nationality, Gyrowetz was drawn into the Austro-German circles of the capital city. He recounts an invitation to concerts that «were arranged at the home of the Austrian Ambassador, Baron Thugut, by the Legationsrat Hadrava».83 His connections in these circles provided an opportunity to offer his first set of quartets (composed in Rome) for purchase by subscription, which he claimed gave him financial security.84 He also gave violin lessons and performed chamber music (primarily quartets) on a daily basis, together with private patrons or in the diplomatic circles of Naples.85 It was these quartet performances «through which his name and his works became more known and liked».86 However, the crucial factor for Gyrowetz in establishing himself in Naples was his access to Giovanni Paisiello87 and Hadrava. He specifies that it was through Hadrava, to whom he had originally presented his letters of introduction, that he obtained the commission for the six serenades for lira organizzata for Ferdinand IV. In turn, «His Majesty expressed the desire to become acquainted with the composer personally and also to hear the symphonies he had already composed».88 This statement leaves little doubt that Hadrava (and perhaps Paisiello) was advocating on Gyrowetz’s behalf. It also underlines the continued cultivation of instrumental genres at artistic events associated with the sovereigns. The performance that transpired (Gyrowetz does not state how long it took to arrange) was held at the Reggia di Caserta, and «Gyrowetz himself conducted with the violin and Paisiello as first Court Kapellmeister, sat at the fortepiano».89 It was during the intermission of this concert that Gyrowetz was introduced, by request, to the most important patron and sponsor of music in Naples, Queen Maria Carolina. This interaction was highly favorable for the composer, and evidently, he was given a thorough and wide-ranging interview by the queen.
82
Ivi, p. 28. Ivi, p. 35. 84 Ivi, p. 37. 85 Gyrowetz mentions German and Italian private patrons as well as English Ambassador Hamilton and Russian Ambassador Skavronsky; the latter was evidently especially passionate about quartet playing. See Ivi, pp. 37-41. 86 Ivi, p. 39. 87 Gyrowetz recounts how he was quickly accepted by local musicians, above all Paisiello. In particular, he mentions that he learned from the composer «the manner in which and way in which a Kapellmeister had to proceed with rehearsals and in general with upcoming music performances». Ivi, p. 30. 88 Ivi, p. 44. 89 Ibidem. The question arises of which symphonies were actually performed at this event. By his own statements, Gyrowetz had composed his earliest symphonies while serving as secretary to Count von Fünfkirchen in the early 1780s. Although his symphonies started to appear in print by 1786 through Imbault in Paris, they had circulated earlier in manuscript form. Nevertheless, the lack of further evidence renders the question impossible to answer. See Adalbert Gyrowetz (1763-1850): Four Symphonies, a cura di John A. Rice, New York: Garland Publishing, Inc, 1983, pp. xi-xxxi. 83
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Although his studies with Nicola Sala focused on counterpoint (and it is evident that they were grounded in the partimento90 method), Gyrowetz’s most lasting contributions were to instrumental music. As a result, his chief compositions were the six serenades and another set of six string quartets composed in Naples, the latter published in Paris in 1788–1789 as Op. 2.91 Three of these quartets are held in the Conservatory of Naples Library in manuscript form and may be the autograph copies.92 These works not only attest to the thriving cultivation and performance of instrumental music in Naples at this time, but also given Gyrowetz’s ties to Paisiello, Hadrava and Sala may have been performed within the exclusive circles heretofore documented. The Quartet in D major (published as Op. 2; No. 3) is conceived in three movements (as are the others): an initial Allegro moderato, an Andante con Variazioni and a concluding Rondo. The breadth of musical expression in this quartet underlines Gyrowetz’s skill in this genre. The movements are marked by melodic and harmonic ingenuity, idiomatic writing for each part and an impressive range of expression. For example, the initial gesture of the Allegro moderato introduces a repeated syncopated figure (began with the anacrusis) that leads to a bold, rising scale figure. It is immediately juxtaposed with a contrasting lyrical line; both ideas nevertheless underline the tonic sonority (See Musical Example #4; mm. 1-4; 8-10).
Musical Example # 4; mm. 1-10; Violin I
The initial idea takes the shape of a repeated melodic and rhythmic motive throughout the movement. It also serves as the basis for the secondary subject in the dominant A in the unfolding of the sonata concept. As is customary with this repertoire, the development section is modest (albeit recalling the opening rhythmic motive), exploring the sub-dominant and dominant areas, before a perfunctory reprise of the exposition material. The Andante con Variazioni offers a contrapuntal tour de force through its ingenuity of ideas and techniques. The principal theme (offered in the first violin part) in Bb major and set in triple meter spans twenty-four measures divided into three Gyrowetz recounts in detail how Sala taught him, beginning “with the scale,” suggesting a foundation upon the rule of the octave from partimento theory. See ILLA, The Autobiography of Adalbert Gyrowetz cit., p. 71. 91 For the details of their publication in Paris by Imbault (as well as Gyrowetz’s impressions of that city), see Ivi, pp. 55-65. The printed versions of the quartets written in Naples and subsequently published by Imbault include performance practice markings. It is therefore reasonable to assert that the addition of these indications may have reflected the work of the composer. 92 They are cataloged respectively as Op. 2, No. 3 (shelf-mark MS 2976); Op. 2, No. 4 (shelf-mark MS 2973), and Op. 2, No. 5 (shelf-mark MS 2988). 90
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symmetrical phrases. Its contour is marked by small intervals and steps colored by the occasional altered passing tone. Rather than successive and increasingly embellished melodic variations, Gyrowetz focuses on melodic and rhythmic motives within the themes that are spun out in a series of deceptively sophisticated variations. For example, he concentrates on the initial triadic gesture associated with the theme as its returns in different permutations for Variations 2, 3, and 4. In contrast, the stepwise idea of phrase 2 in the theme also returns at different moments embedded within virtually all of the five variations. There is also frequent recourse to rhythmic augmentation and diminution of these ideas within the subsequent variations. The harmonic plan of the theme (Bb-F with some shading of minor) is also playfully expanded at one point reaching Eb major as the basis for Variation 4. Although the first part takes the lead in this movement, the other members of the ensemble play more than mere accompaniment, often contributing essential lines to the musical discourse. The close-knit organization, depth, and substance of this movement point undoubtedly to Gyrowetz’s studies in counterpoint with Nicola Sala. The concluding Rondo movement returns to the tonic sonority and offers a playful, yet perfunctory five-part outline (similar to those found in the Koželuch and Pleyel duo sonatas). There is, nevertheless, a clear mastery of style and material demonstrated in the Rondo. Of the compositions listed in Table 1.1 donated by Maria Carolina to the newlyestablished royal archive, a copy of the Concerto per Cembalo in C major by Franz Xaver Richter (1709-89) currently resides in the Conservatory Library.93 The potential connection to Naples, beyond mere taste, could have been in the person of Pleyel, who served as Richter’s assistant in Strasbourg beginning in 1783 and succeeded him in 1789. Scored for the solo harpsichord and a modest chamber accompaniment of two violins, viola, bass, and pairs of flutes and horns, the concerto is among the very few examples of printed music in the collection, bearing a publication date of 1785. Richter’s concerto is comprised of two movements, an Allegro and Allegro assai, both anchored in the tonic key. The expansive initial ritornello of the Allegro spans twentyfive bars, offering a light-hearted thematic idea, offered by the soloist and first violin in unison. The theme is treated sequentially as it moves swiftly away from the tonic to explore closely related tonalities to prepare for the unfolding of the dialogue between the soloist and tutti ensemble. The ensuing interaction is more indicative of Galant procedures, the rapid exchanges between solo and tutti often lasting only a handful of bars. Nevertheless, the solo part presents a range of idiomatic figurations including flowing scale passages, broken chords and arpeggiated sonorities. There are moments of contrapuntal density, largely to underline changes of harmony often to minor tonalities as well as imitative exchanges suggesting fugal techniques. Interspersed through the discourse, there are brief solos for the violin and flute, while the remaining ensemble steadfastly provides the harmonic undergirding and accompaniment. Melodic embellishment remains modest throughout the Allegro instead opting for the prior noted idiomatic features. The ensuing Allegro assai retains many of these features. Namely, it opens with a broad ritornello thematic statement, once again joined by the first violin. 93
FRANZ XAVER RICHTER, Concerto per Cembalo, shelf-mark 8039. 37
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Yet in this movement, the keyboard takes a more pronounced role through long solo passages in which the ensemble functions as a simple accompaniment. Richter retains most of the compositional techniques present in the initial movement, especially the sequential treatment of the thematic material as it winds through diverse harmonic areas. Despite its modest dimensions and complimentary scoring, the Richter succeeds in balancing the progressive elements of the Italian lyrical style with a clear grounding in Northern aesthetics of counterpoint, albeit more Galant than Pre-Classical. Nevertheless, the status of this composition as one of the few donated by the Queen, does provide subtle insights into her musical tastes and associated aesthetic leanings. This concerto also provides a clear compliment to the Schuster duo sonata (for violin and harpsichord) also listed on Table 1.1, a piece for which the Queen had expressed her esteem.94 Finally, it should be noted there was no lack of keyboard virtuosi within the personnel of the Cappella Reale, for whom this piece (given its technical requirements, not to mention the required ensemble forces) would have been easily rendered. Although the present discussion of music-making at the court of Ferdinand and Maria Carolina has focused on the music, in particular instrumental genres, of the Queen’s compatriots (undoubtedly reflecting her personal tastes and broad cultural agenda), there is a notable body of works by Neapolitan musicians in the Conservatory Library. At the outset of this essay, the reflection of Joseph II (after his official visit to the capital city in 1769) underlined Maria Carolina’s artistic growth, especially as a vocalist. It is evident that the Queen applied herself to music (as well on the harpsichord as verified in her personal diaries), especially through her studies with Pasquale Cafaro. An opportunity to gauge Maria Carolina’s talents may be derived from a surviving arrangement of the aria “Dall’amore e dal timore” from Il marchese villano95 by her teacher, whose dedication to the sovereign (see Figure 1) suggests that the piece was intended for personal performance.96
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For a discussion of the Schuster, see DELDONNA, Instrumental Music in Late Eighteenth-Century Naples cit., pp. 156-161. 95 The attribution to Pietro Chiari’s Il Marchese Villano remains somewhat puzzling as the verses set by Cafaro do not derive from that libretto. Chiari’s dramma giocoso was the basis for later adaptations, most notably as Il Matrimonio inaspettato, set by Giovanni Paisiello in 1779. Maria Carolina does mention attending a performance of this opera in her diaries, yet the poetic verses utilized as the basis for Cafaro’s setting remain unique to it. 96 PASQUALE CAFARO, Aria per Vespina/nel secondo atto dell’Opera intitolata/il Marchese Villano/per/S.M. La Regina/Cafaro 1776, I-Nc: shelf-mark Rari 1.9.22. 38
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Figure 1: Pasquale Cafaro, Il marchese villano, «Dall’amore e dal timore».
The soliloquy is set for a soprano (the humble mezzo-carattere archetype of Vespina) and chamber ensemble accompaniment including violins I/II, viola, bass, oboes I/II and horns I/II. This scoring could have been readily fulfilled by the Cappella Reale for any potential representation. Cafaro’s aria is carefully calibrated to the skills of his patron. The declamatory initial vocal gestures, marked Larghetto, posit a melancholy tone for the soliloquy, one of longing and desire, underlined in the lilting appoggiature of the violins. Yet the style of the vocal line, mostly absent the embellishments of the violins, provide a clear indication that this performance was intended for a skilled practitioner, yet not a professional. It is only at the ensuing change of tempo to Allegro (and meter to common time) that the vocal line truly takes center stage, engaging in both delicate passage works and flowing runs of fioriture (the latter meticulously doubled in the violins), vaulting up to a D6 to conclude the dramatic first strophe of poetry (See Musical Example #5). This alternation of declamatory and virtuosic passages prevails throughout the balance of the aria, whose overall structure is a broad, repeated binary outline. There are also fleeting moments when the voice is completely uncovered, rising above the instrumental accompaniment. The aria is nevertheless clearly weighted toward broader, more declamatory phrases allowing a range of expression (and of course reflecting the abilities of the dedicatee). Yet the range of technical and expressive resources presented in this piece indicate that it was conceived for a mezzo39
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soprano of noteworthy musical abilities grounded in a thorough training. The singular existence of this type of item remains puzzling in light of the longstanding patronage and direct engagement with music, consistently demonstrated by the sovereigns in the late eighteenth century.97
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A second manuscript residing in the Conservatory Library contains a range of arias from contemporary operas performed in Naples including those of Cafaro, Paisiello, Sacchini, Insanguine, Rutini, Gluck, and Schuster. The largest number of the aforementioned are attributed to Cafaro. All of the selections are arranged for soprano and the same instrumental accompaniment as the Cafaro, «Dall’amore e dal timore» suggesting their preparation for the Cappella Reale. In addition, each of selections contained in the manuscript reflect operas donated by the Queen to the newly established royal archive. Finally, the meticulous juxtaposition of Neapolitan and Austro-German composers, above all the Queen’s favorites Gluck and Schuster, suggest that this collection formed part of the musical repertory for her personal performance. See COMPOSIZIONI VOCALI PROFANE, I-Nc, shalfmark Arie 41. 40
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Musical Example # 5; «Dall’amore e dal timore», mm. 22-38.
Conclusion The historiographic portrait of the reign of Ferdinand and Maria Carolina, as noted at the outset of this essay, has recounted in painstaking detail the disastrous events leading to the demise of the Kingdom. Too often lost within this narrative is their clear commitment as cultural stewards, who not only sponsored, but also often occupied leadership roles in the artistic life of the city. Indeed, their actions were not limited to the ceremonial, often ritualistic appearances at the royal Teatro di San Carlo. Rather, their impact was more accurately embodied by a broad subscription to the humanities, in which music played a principal role. The patronage of music manifested itself in multiple, often intertwined public and private roles of diplomacy, sovereignty and also personal interests. This essay has demonstrated that the royal couple were astute, engaged patrons and skilled practitioners themselves. More importantly, it has revealed the intense cultivation of music, whether instrumental or vocal forms, within the private, often personal and intimate spheres of the lives of Maria Carolina and Ferdinando IV. It has also confirmed the clear preferences and predilections of the Queen for the music and musicians of her native Austria, despite the presence of figures of significant artistic importance within her direct employ and court circles. Nevertheless, this brief snapshot (primarily lingering upon instrumental genres) underlines the richness of Neapolitan artistic life in the late eighteenth century, one often guided by the tastes, vision, and participation of the sovereigns themselves.
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Raffaele Mellace LA FAMIGLIA PALOMBA: NOVANT’ANNI DI STORIA DELL’OPERA TRA LEO E ROSSINI Novant’anni di storia dell’opera Novant’anni esatti (1735-1825) della storia dell’opera, a Napoli e ben oltre, sono segnati in termini significativi da un tandem di librettisti, zio e nipote: Antonio e Giuseppe Palomba. Un intervallo considerevolissimo sul piano storico: nel 1735 Carlo ha fondato da appena un anno la dinastia, nel 1825 muore dopo un regno lunghissimo e travagliato il figlio Ferdinando; non meno che su quello musicale: nel 1735 a Napoli sono in cartellone Sarro, Leo e Pergolesi, nel 1825 Mercadante, Rossini e Donizetti. L’attività di questi prolifici, talentuosi ma anche controversi drammaturghi copre in due segmenti diseguali, rispettivamente di trenta e sessant’anni, quasi un secolo di profonde trasformazioni dello spettacolo operistico, trasformazioni cui i due commediografi non fecero mancare il proprio contributo, in grado di ripercuotersi, per il tramite della collaborazione con uno stuolo di operisti di ogni calibro, non esclusi i maggiori, ai quattro angoli d’Europa. Le pagine che seguono si ripropongono di mettere nuovamente a fuoco quella pratica cruciale dell’industria culturale rappresentata dal mestiere del librettista, la cui continuità risulterà forse sorprendente, nel contesto dei mutamenti non proprio irrilevanti delle circostanze storiche e culturali. Antonio e l’affermazione nazionale della commedia musicale L’ambiente in cui prese avvio la carriera di poeta drammatico di Antonio Palomba, classe 1705 e membro del ceto forense («notaro», lo chiamano le fonti), è la curia del collega commediografo, di poco più anziano, Pietro Trinchera, la cui frequentazione in ambito professionale nella seconda metà degli anni Trenta del Settecento si sviluppò, se non in un vero e proprio sodalizio artistico, in una collaborazione stretta che testimonia l’ampia fiducia di Trinchera nelle qualità di Palomba.1 Il primissimo agone in cui quest’ultimo poté dar prova del suo talento dovrebbe essere il famigerato teatro della Pace o del Vico della Lava, sala di quart’ordine sorvegliata dalla polizia e spesso e volentieri chiusa per motivi d’ordine pubblico. Se lì Palomba debuttò plausibilmente con Lo creduto infedele nell’inverno 1735, con musica del bitontino Nicola Logroscino, fu soprattutto a fine anni Quaranta che vi si spese tanto come autore (tre commedie – La mogliere traduta, Lo chiacchiarone e Li dispiette d’ammore – soltanto nel 1747/48), quanto come «concertatore», cioè responsabile dell’allestimento scenico di commedie proprie e altrui.2 A quell’altezza la fama di Palomba è saldamente acquisita, 1
Cfr. GIANNI CICALI, Strategie drammaturgiche di un contemporaneo di Goldoni. Pietro Trinchera (1702-1755), «Problemi di critica goldoniana» 8, 2002, pp. 133-201: 142. 2 Cfr. STEFANO CAPONE, L’opera comica napoletana (1709-1749). Teorie, autori, libretti e documenti di un genere del teatro italiano, Napoli, Liguori, 2011, p. 81. 45
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tanto che Trinchera, già probabilmente all’origine del coinvolgimento del collega nell’avventura al Teatro della Pace, assunta allora l’impresa della sala maggiore del Teatro dei Fiorentini, gli affida l’apertura della stagione di carnevale 1748 con L’amore in maschera, musica di Niccolò Jommelli.3 In entrambe le sale, così come in una terza frequentata regolarmente, quella del Teatro Nuovo sopra Toledo, Palomba dovette spiccare per qualità di uomo di teatro a tutto tondo, in veste di autore, concertatore e revisore di titoli altrui. Glielo riconobbe lo stesso Trinchera, che nella prefazione al proprio Tutore nnammorato (Teatro della Pace, carnevale 1749), scommetteva sulla buona riuscita dello spettacolo, sia per la qualità della musica, sia «pe lo concierto de lo Sio Donn’Antonio Palomba, che ogge non ave lo paro». Analogo apprezzamento avrebbe espresso nel 1762, in occasione dell’allestimento della Donna di tutti i caratteri ai Fiorentini, Carlo Fabozzi.4 Della consapevolezza con cui Palomba si cimentava nell’adattare lavori altrui fa fede la circospetta prefazione fatta stampare in testa al Nuovo Don Chisciotte che allestì nell’autunno 1748 ai Fiorentini, con musica del defunto Leonardo Leo e del vivente Pietro Gomes, sulla base del Fantastico dello scomparso Gennarantonio Federico: Essendoci stato addossato il carico di dirigere la presente Commedia, ultimo parto del lepidissimo ingegno del fu Gennaro Antonio Federici […] Noi, per mancanza del di lei Autore, abbiamo accettato l’impegno; avendo avuto però il riguardo di non alterarla punto, se non se in quello, a cui siamo stati astretti dalla pura necessità […] ciò si è dovuto fare per incontrare il genio del Publico, cui tanto alletta nelle sceniche Rappresentazioni non meno la novità degli avvenimenti, che la brevità dell’azzione: ed anco per esserci stato d’uopo adattarla all’abilità de’ presenti Cantanti totalmente diversi da quelli, che la prima volta la rappresentarono.5
Nel corso di trent’anni il teatro di Palomba presidiò stabilmente i palcoscenici napoletani, dai quali fu assente sembrerebbe soltanto un anno per decennio, benché il drammaturgo, per ragioni non ancora accertate, fosse stato costretto, nella seconda metà degli anni Cinquanta, a lasciare Napoli, dove gli «si permise» di fare rientro soltanto nel 1763, ormai sotto re Ferdinando.6 E tuttavia, assai significativamente, i suoi lavori non smisero mai di andare in scena, affidati alle cure di persone di fiducia come Carlo Fabozzi,7 che nella già citata prefazione alla Donna di tutti i caratteri accenna alle Edizione critica a cura di Paologiovanni Maione, nell’ambito del progetto “Opera buffa. Napoli 1707-1750” promosso dalla Fondazione Pietà dei Turchini: <http://www.operabuffaturchini.it/operabuffa/libretti/AmoreInMaschera1748-0.jsp> (ultima consultazione 5 aprile 2021). 4 Cfr. CICALI, Strategie drammaturgiche cit., p. 143 e ID., Attori e ruoli nell’opera buffa italiana del Settecento, Firenze, Le Lettere, 2005, p. 103. 5 Il Nuovo D. Chisciotte, Napoli, Domenico Langiano, p. 6, esemplare nella Biblioteca di questo Conservatorio, segnatura Rari 8.19/11; cfr. anche l’edizione critica a cura di Paologiovanni Maione: <http://www.operabuffaturchini.it/operabuffa/libretti/Chisciotte-0.jsp> (ultima consultazione 6 aprile 2021). 6 Cfr. PIETRO NAPOLI SIGNORELLI, Vicende della coltura nelle Due Sicilie, dalla venuta delle colonie straniere fino a’ nostri giorni, Napoli, Orsini, 1810, VI, pp. 324 seg. 7 Cfr. PIETRO MARTORANA, Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori del dialetto napoletano, Napoli, Chiurazzi, 1874, p. 320. 3
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modalità di questo rocambolesco sistema produttivo: «il celebre Sig. D. Antonio Palomba», che «da molto tempo si ritrova assente da questa Città», nel trasmettere la sua commedia «ultimamente in Napoli per porsi in musica e rappresentarsi […] nel presente Autunno non ha dubitato, per mezzo di sue lettere inviatemi, raccomandarne a me la direzione, sul riflesso dell’antica amicizia che passa tra di noi».8 Il rientro a Napoli del drammaturgo sessantenne segnò l’inizio di un’ultima, nuova fase, una «terza maniera», per dirla con Napoli Signorelli,9 che vide l’entrata in scena del nipote Giuseppe, cooptato nella stesura di nuovi drammi, così che le carriere di zio e nipote s’intrecciano e sovrappongono nello stesso lustro, portando a una certa confusione nell’attribuzione di alcuni lavori (ad esempio, proprio della Donna di tutti i caratteri), tanto più che, erroneamente, Antonio era stato dato per morto nell’epidemia del 1764, quando invece sopravvisse fino al 1769 e scrisse fino al 1766, cimentandosi nei suoi ultimi lavori: Lo sposo di tre e marito di nessuna (Nuovo, autunno 1763), La giocatrice bizzarra (Nuovo, primavera 1764) e Le quattro malmaritate (Nuovo, carnevale 1766). Palomba contribuì alla fase cruciale dell’affermazione, nazionale e poi internazionale, della commedia musicale, proponendo un modello drammaturgico destinato a rapida fortuna, in grado di incidere sullo stesso Goldoni, che realizzò il prototipo dei propri drammi giocosi, La scuola moderna o sia La maestra di buon gusto (Venezia, S. Moisè, autunno 1748), rielaborando un titolo, allora fresco di stampa e di scene, di Palomba e Cocchi: La maestra (Nuovo, primavera 1747).10 Non meno fortunato fu L’Orazio, che Palomba aveva scritto per il Teatro Nuovo, con la musica di Pietro Auletta, già nel 1737:11 variamente rivisto e sotto titoli diversi12 il dramma approdò a Venezia nel 1743, per mettersi in viaggio per l’Europa intera con musica di differenti autori, e approdare nel 1752 a Parigi, ormai intitolato Il maestro di musica; come tale venne infine pubblicato nel Novecento all’interno degli opera omnia pergolesiani. Il teatro di Antonia Palomba fu in particolare decisivo nell’avviamento alla carriera di più generazioni di operisti formatisi a Napoli, che con suoi testi debuttarono o perlomeno vissero alcune tra le prime, cruciali esperienze sceniche, come testimonia la tabella sottostante (l’asterisco segnala i debutti scenici assoluti):
Cit. in ALESSANDRO LATTANZI, La genesi di un pasticcio: «Madama l’umorista» di Pietro Guglielmi e Giovanni Paisiello, in Paisiello e la cultura europea del suo tempo, a cura di Francesco Paolo Russo, Lucca, LIM, 2007, pp. 201-229: 203. 9 NAPOLI SIGNORELLI, Vicende della coltura cit., p. 326. 10 Cfr. ANNA LAURA BELLINA, «La Maestra» esaminata, in ANTONIO PALOMBA - GIOACCHINO COCCHI, La Maestra, ed. facsimile della partitura, Milano, Ricordi, 1987, pp. IX-LXIV. 11 Disponibile in edizione critica a cura di Pasquale Ruotolo: <http://www.operabuffaturchini.it/operabuffa/libretti/Orazio-0.jsp> (ultima consultazione 5 aprile 2021). 12 Persino Trinchera lo rielaborò col titolo di Il corrivo (Fiorentini, 1751), così come l’anno dopo adattò di Palomba, sempre per i Fiorentini, La moglie gelosa come Il pazzo per amore (cfr. GIANNI CICALI, voce Trinchera, Pietro, Saverio nel Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2019, XCVI, consultabile anche in rete al link <https://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-trinchera_%28Dizionario-Biografico%29/>, (ultima consultazione 5 aprile 2021). 8
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Nicola Logroscino (n. 1698) Niccolò Jommelli (n. 1714) Gioacchino Cocchi (n. 1715?) David Perez (n. 1711) Antonio Palella (n. 1692) Girolamo Abos (n. 1715) Michelangelo Valentini (n. 1720) Antonio Corbisiero (n. 1720) Tommaso Traetta (n. 1733) Giovanni Paisiello (n. 1740) Domenico Cimarosa (n. 1749)
Lo creduto infedele* L’errore amoroso* La Matilde* I travestimenti amorosi13
Pace 1735 Nuovo 1737 Fiorentini 1739 Giardino Pal. Reale / Nuovo 1740 L’Origille* Nuovo 1740 Le due zingare simili* Nuovo 1742 Il Demetrio* Nuovo 1745 Monsieur Petitone* Nuovo 1749 La Costanza Fiorentini 1752 Il Ciarlone Bologna, Marsigli-Rossi 1764 La donna di tutti i caratteri Nuovo 1775
In generale, particolarmente stretto fu il rapporto con Niccolò Piccinni, che tra il 1754 e il 1766 intonò una decina di lavori di Palomba, tra cui un titolo notevole, per complessità di scrittura e popolarità, come La scaltra letterata (Nuovo, inverno 1758);14 ma nove ne intonò Logroscino tra il 1735 e il 1760, sei Cocchi (1739-50) e cinque Latilla (1747-74). Palomba fece in tempo a collaborare in extremis anche con Leonardo Leo, cui fornì i libretti del Giramondo (Firenze, Cocomero, autunno 1743, poi ben accolto a Parigi col titolo di I viaggiatori) e della Fedeltà odiata (Fiorentini, primavera 1744), per contribuire alla citata ripresa postuma del Nuovo Don Chisciotte, ai Fiorentini nell’autunno 1748. Per altro verso, il teatro di Palomba risultò determinante nella vicenda di Tommaso Traetta, poiché fu il fiasco incassato con La fante furba, al Teatro Nuovo nell’autunno 1756, a orientare una carriera che da allora in poi si sarebbe sviluppata interamente fuori Napoli.15 Contemporanei e posteri si espressero generalmente in termini ambivalenti nei confronti dell’opera di Antonio Palomba. Da un lato ne hanno censurato i limiti, in termini di incongruenza dell’invenzione drammatica e di approssimazione della veste linguistica; dall’altro ne hanno di norma riconosciuto l’indiscutibile vivacità dell’azione, cui 13
Disponibile in edizione critica a cura di Pasquale Ruotolo: <http://www.operabuffaturchini.it/operabuffa/libretti/Travestimenti1740-0.jsp> (ultima consultazione 5 aprile 2021). La commedia venne prima rappresentata il 10 luglio nel Giardino di Palazzo Reale in un «un teatro in mezzo delle frescure con molti giochi di acque», per l’onomastico della regina, alla presenza dei sovrani, ripresa colà il 17 e 31 luglio, e in autunno al Teatro Nuovo (cfr. AUSILIA MAGAUDDA – DANILO COSTANTINI, Musica e spettacolo nel Regno di Napoli attraverso lo spoglio della «Gazzetta» (1675-1768), Roma, ISMEZ, 2009, Appendice, pp. 607 seg.). 14 Cfr. RENATO DI BENEDETTO et alii, Libretti d’opera buffa napoletana negli anni 1750-1770: questioni metriche e formali, in Storia della musica e dello spettacolo a Napoli. Il Settecento, a cura di Francesco Cotticelli e Paologiovanni Maione, Napoli, Edizioni Turchini, 2009, II, pp. 555-592: 560562. Entro il 1772, attenendosi soltanto ai libretti superstiti e registrati in Sartori, il dramma venne ascoltato a Firenze, Milano, Mantova, Bergamo, Novara, Cadice e Lisbona (cfr. CLAUDIO SARTORI, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, Cuneo, Bertola & Locatelli, 1992, V, p. 136). 15 Cfr. LORENZO MATTEI, voce Traetta (Trajetta), Tommaso Michele Francesco Saverio nel Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2019, XCVI, pp. 552-556: 552, consultabile anche in rete al link <https://www.treccani.it/enciclopedia/tommaso-michele-francesco-saverio-traetta_%28Dizionario-Biografico%29/> (ultima consultazione 2 aprile 2021). 48
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in fin dei conti viene fatto risalire un successo nel complesso meritato. Una sintesi calibrata di queste posizioni si può rinvenire, a quasi mezzo secolo dalla scomparsa del drammaturgo, in questo giudizio di Pietro Napoli Signorelli, peraltro altrove assai più critico: Più artificioso e più vario del Trinchera […] La sua locuzione non è né sì salsa come quella del Trinchera, né sì pura e graziosa come quella del Federico; ma egli pose tutto lo studio a rendere l’azione rapida e popolare colla copia de’ colpi teatrali ancorché inverisimili, onde seppe chiamare il concorso.16
Riprende da vicino queste osservazioni Pietro Martorana, che sentenzia secco come Palomba «fece molto male al teatro inettendo sulle scene delle opere che somigliavano alle farse atellane, e questo ci fa credere che perciò fosse stato perseguitato e fuggiasco da Napoli».17 Non diversamente lo giudicava mezzo secolo più tardi Francesco Florimo,18 che, pur non amandolo, apprezzava la singolare varietà di fonti, novellistiche e romanzesche, cui Palomba aveva fatto ricorso, sortendo, nei suoi ultimi titoli, tra cui Lo sposo di tre e marito di nessuna, La donna di tutti i caratteri e Il curioso del suo proprio danno, una spiccata originalità. Nell’ultimo titolo citato (Nuovo, carnevale 1758) aveva attinto a Cervantes, così come nell’Origille si era rivolto al Furioso.19 Con perfetta reciprocità rispetto a quanto accaduto con la Maestra, sarà invece Goldoni la fonte di una serie di titoli: La ricca locandiera (Roma, Teatro Capranica, 1759), La donna di tutti i caratteri, La giocatrice bizzarra e Il finto medico, tutti in scena al Teatro Nuovo nel corso del 1764. Testimone della voracità onnivora di Palomba è poi la citazione d’una canzone cinquecentesca in napoletano, O bella, o bella de le maiorane, che si fa strada nella Gismonda in scena ai Fiorentini nella primavera 1750.20
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NAPOLI SIGNORELLI, Vicende della coltura cit., p. 323. Di Napoli Signorelli cfr. anche la Storia critica de’ teatri antichi e moderni, Napoli, Vincenzo Orsino, 1813, X/2, pp. 121-122. 17 MARTORANA, Notizie biografiche cit., pp. 320 sg. 18 FRANCESCO FLORIMO, Cenno storico sulla scuola musicale di Napoli, Napoli, Rocco, 1871, II, p. 2198. 19 Su questo titolo, scritto per il Teatro Nuovo, inverno 1740, musica di Antonio Palella, cfr. GERHARD ALLROGGEN, Piccinni’s Origille, in Analecta musicologia XV, Studien zur italienisch-deutschen Musikgeschichte X, a cura di Friedrich Lippmann in collaborazione con Volker Scherliess e Wolfgang Witzenmann, Köln, Volk Verlag, 1975, pp. 258-297. Con l’Origille s’inaugurò la sala palermitana del Teatro di S. Lucia nel 1742: cfr. ANNA TEDESCO, Aspetti della vita musicale nella Palermo del Settecento, in Il Settecento e il suo doppio: rococò e neoclassicismo, stili e tendenze europee nella Sicilia dei vicerè, a cura di Mariny Guttilla, Palermo, Kalos, 2008, pp. 391-401: 399. 20 Cfr. CAPONE, L’opera comica napoletana cit., p. 134 seg. Per contro, il Vocabolario napolitanotoscano di Raffaele D’Ambra (Napoli, Chiurazzi, 1873) prende esempi da ben dodici commedie di Antonio Palomba. La Gismonda è disponibile in edizione critica a cura di Marina Cotrufo: <http://www.operabuffaturchini.it/operabuffa/libretti/Gismonda1750-0.jsp> (ultima consultazione 5 aprile 2021). 49
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La formidabile carriera internazionale di Giuseppe, auspici operisti e interpreti d’eccezione Senza soluzione di continuità rispetto a quella dello zio è la carriera del nipote Giuseppe, che attorno al 1763-64 intraprende l’apprendistato di librettista assistendo il congiunto negli ultimi lavori, alcuni dei quali presero a circolare già col nome di Giuseppe: caso esemplare è l’ammirata Donna di tutti i caratteri, che Pietro Alessandro Guglielmi presentò ai Fiorentini nel 1763 sotto il nome di Antonio ma che oltre mezzo secolo più tardi, nel 1818, figurava nel cartellone del San Benedetto di Venezia col titolo rivisto di Donna di più caratteri, la paternità di Giuseppe e la musica di Pietro Carlo Guglielmi. I primi titoli autonomi di Giuseppe andranno riferiti al 1765. Uno di questi, Il corsaro algerino, in scena ai Fiorentini con musica di Gennaro Astaritta, esprime bene la continuità con la tradizione della librettistica napoletana nel cui solco s’inserisce naturalmente l’attività del giovane librettista. Recita infatti così l’avvertenza dello Stampatore al lettore: La presente comedia si rappresentò nel Teatro nuovo nell’anno 1726, ora comparisce per la seconda volta su questo de’ Fiorentini. Speriamo che incontri lo stesso compatimento d’allora. La troverai per altro varia dalla prima edizione, ma ciò è addivenuto per moderarla al buon gusto moderno; che per ciò si è dovuto cambiare l’idioma napoletano in toscano, per maggiormente adattarla all’abilità degli presenti attori. Il tutto si è fatto accomodare dal Signor D. Giuseppe Palomba Napoletano, e tutte quelle cose accomodate dal medesimo si distingueranno col seguente segno*.21
Modello del dramma è infatti Lo corzaro, commedia ppe mmusica dedicata al nipote dell’allora viceré Michele d’Althann, andata effettivamente in scena nell’autunno 1726 al Teatro Nuovo, costruito appena due anni prima, con musica dell’oscuro Angelo Antonio Troiano, come si è desunto da una polizza di pagamento, dato che il libretto tace sulla paternità della musica.22 È sufficiente un sommario confronto tra gli incipit dei due drammi per riscontrare le diverse esigenze a quarant’anni di distanza. Se infatti nel 1726 Selimmo, sedicente capo corzaro algerino, sbarcava a Ischia in compagnia del fido Carababà accontentandosi d’un avvio in recitativo semplice («Già simmo ad Isca; priesto fa trasire | nnante, che schiara juorno | sti corzare llà ddinto a chella grotta»), nel 1765 occorrerà un concertato in piena regola come introduzione: un terzetto («Vi ringrazio, o fresche aurette») che coinvolge la prima buffa Zoraida ed è complicato dal plurilinguismo che vede esprimersi contestualmente in toscano Selimmo e Zoraida, e in napoletano Carababà. Un piccolo sondaggio in tal senso potrà già fornire qualche elemento sulle potenzialità del drammaturgo in erba nel muoversi con una certa abilità Si cita dall’esemplare della princeps (Napoli, Bernardo Lanciano, 1765) custodito presso la Music Division della Library of Congress, collocazione ML48 [S377], disponibile online al link <https://www.loc.gov/item/2010664717/> (ultima consultazione 2 aprile 2021). 22 Il testo è pubblicato in edizione critica a cura di Ferdinando De Rosa: <http://www.operabuffaturchini.it/operabuffa/libretti/Corzaro26-0.jsp> (ultima consultazione 2 aprile 2021). Sul Corzaro del 1726 si esprime entusiasticamente il Vocabolario napoletano lessigrafico e storico, Napoli, Dalla Stamperia Reale, 1845, I, p. 379. 21
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sul crinale tra continuità del genere e aggiornamento rispetto a gusti del pubblico ed evoluzione drammaturgico-morfologica. Avviata nel decennio che segnerà il dilagare dell’opera buffa su scala internazionale, la carriera di Giuseppe Palomba si estende per sei decenni interi, configurandosi come una delle più longeve e feraci dell’intera storia dell’opera. S’arresterà infatti soltanto con L’ombra notturna, musica di Carlo Assenzio, in scena al Teatro Nuovo nell’inverno 1825, quando la sala sarà ormai centenaria. Se non è possibile allo stato azzardare il numero esatto dei lavori usciti dalla penna di Giuseppe Palomba, numero che potrebbe attestarsi attorno ai 150, l’autore stesso nel 1813 si ascriveva «dugento e nove libri».23 La produzione, che si concentra sui palcoscenici dei Fiorentini e del Nuovo condivisi con lo zio, cui si aggiunge il Teatro del Fondo, vive d’un ritmo frenetico tra il 1779 dell’inaugurazione del Teatro del Fondo e il 1816 della trasformazione istituzionale dello Stato in Regno delle Due Sicilie: quasi quattro decenni in cui raggiunge fino a otto titoli all’anno. Si riducono invece comprensibilmente a una manciata i drammi realizzati dall’anziano drammaturgo nell’ultimo decennio. Al pari dello zio, Giuseppe si concentrò sul versante comico, benché vadano segnalate alcune sparute ma notevoli eccezioni: due drammi sacri con parti in napoletano, L’apparizione di san Michele Arcangelo nel Monte Gargano e Il ravvedimento del figliuol prodigo, entrambi proposti al Teatro S. Carlino nelle Quaresime rispettivamente 1788 e 1790; il dramma serio Admeto, in scena al Fondo nella primavera 1794 con musica di Pietro Alessandro Guglielmi; i drammi “semiseri” Paolo e Virginia, che Pietro Carlo Guglielmi intonò ai Fiorentini nel carnevale 1816, ma si vide ancora al Teatro alla Scala nel 1830, e l’Adelaide ravveduta, 1807, quest’ultima rimasta plausibilmente nel cassetto per i rivolgimenti politico-istituzionali di quel frangente (Ferdinando IV era stato appena destituito da Giuseppe Bonaparte), ma trasmessa dalla partitura del dilettante marchese Pietro Cuffari custodita nella biblioteca di questo Conservatorio.24 Accanto alla tipologia dominante della commedia per musica, variamente denominata, due generi meritano senz’altro attenzione. Da un lato la farsa, di cui Napoli Signorelli indica come esempio particolarmente fortunato Lo scavamento (Fiorentini, 1810, musica di Silvestro Palma), al quale si potranno aggiungere Gli sposi per accidenti collocati a conclusione dei Finti nobili (Fiorentini, carnevale 1780, Cimarosa), titolo in cui compare un Robinsone, che anticipa nell’onomastica il più celebre Conte del Matrimonio segreto, e L’inganno felice (Fondo, inverno 1798, musica di Paisiello); dall’altro lato il genere, indicato come “melodramma” nella Poetessa errante (Nuovo, 1822, musica di Giuseppe Mosca), corrispondente a uno spettacolo misto di canto e prosa, influenzato dal Cit. in PAMELA PARENTI, L’opera buffa a Napoli. Le commedie musicali di Giuseppe Palomba e i teatri napoletani (1765-1825), Roma, Artemide, 2009, p. 44. 24 I-Nc 64.120 olim 34.5.3. La partitura è disponibile online al link <http://www.internetculturale.it/jmms/iccuviewer/iccu.jsp?teca=MagTeca+-+ICCU&id=oai:www.internetculturale.sbn.it/Teca:20:NT0000:IT\\ICCU\\MSM\\0155067> (ultima consultazione 3 aprile 2021). Su questo titolo cfr. PAOLA DE SIMONE, Amore a dispetto e in gioco: fra ‘eros’ e ‘risus’, le tecniche del comico nei libretti di Giuseppe Palomba per i teatri di Napoli, in Commedia e musica al tramonto dell’Ancien Régime: Cimarosa, Paisiello e i maestri europei, a cura di Antonio Caroccia, Avellino, il Cimarosa, 2017, pp. 331-376: 349-376; alle pp. 356-376 ne viene pubblicato per intero il libretto. 23
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teatro francese. A questo filone, cui Giuseppe dedicò molte energie nella fase declinante della carriera, si rifanno la già citata Adelaide ravveduta, L’audacia delusa (Fiorentini, 1813, Luigi Mosca: nella prefazione Palomba attribuisce alla ritardata composizione della musica la scelta di mantenere alcune sezioni in prosa), La diligenza a Joignì (Fiorentini, 1813, Giuseppe Mosca) e tutti e tre gli ultimi titoli di Palomba: la citata Poetessa errante, La caccia di Enrico IV (Fondo, 1822, Pietro Raimondi) e L’ombra notturna (1825), concepiti tutti per il grande buffo Carlo Casaccia (‘Casacciello’).25 Decisivo per la riuscita dei drammi di Giuseppe fu sicuramente, come già per quelli dello zio, l’apporto degli interpreti, in particolare dei bassi buffi al cui talento istrionico era regolarmente destinata almeno una parte in napoletano, ma anche di buffe di grande talento, come Anna Benvenuti e Celeste Coltellini. Se Antonio Palomba aveva collaborato strettamente con il leggendario Antonio Catalano perlomeno dalla Fedeltà odiata, ai Fiorentini con musica di Leo nella primavera 1744, nella quale scrisse per lui la parte di Nastasio, maestro di casa di Don Tristano, e se il Gioacchino Corrado di pergolesiana memoria era stato il protagonista, Valerio, dell’Errore amoroso, sempre di Antonio, che aveva segnato il debutto di Jommelli nel 1737,26 Giuseppe fu legato a filo doppio con una delle più cospicue dinastie attoriali napoletane, quella dei Casaccia (Giuseppe, Antonio e Carlo), né meno stretta fu la collaborazione con un quarto, formidabile basso buffo, Gennaro Luzio. Tre titoli, tutti sulle assi dei Fiorentini, saranno probabilmente sufficienti a indicare come questo tenace sodalizio accompagni e illustri l’intera carriera di Giuseppe Palomba: Il fanatico per gli antichi romani (primavera 1777, musica di Cimarosa), che vide insieme Giuseppe e Antonio Casaccia;27 Le Su questo genere cfr. PAOLOGIOVANNI MAIONE, Pulcinella in musica nell’Ottocento napoletano, in Quante storie per Pulcinella / Combien d’histoires pour Polichinelle, a cura di Franco Carmelo Greco, Napoli, ESI, 1988, pp. 143-186; ID., L’opera buffa con Pulcinella in età borbonica, in Pulcinella: una maschera tra gli specchi, a cura di Franco Carmelo Greco, Napoli, ESI, 1990, pp. 391426; ID., La drammaturgia minore di Andrea Leone Tottola: recupero di una identità teatrale partenopea, in Festival Belliniano 1992, Catania, Teatro Bellini, 1992, pp. 51-63; ID., Adelaide e Comingio: vicissitudini di un’idea teatrale, in L’officina del teatro europeo, a cura di Alessandro Grilli e Anita Simon, 2 voll., Pisa, Edizioni Plus, 2001, II (Il teatro musicale), pp. 13-31; ARNOLD JACOBSHAGEN, The origins of the recitativi in prosa in Neapolitan opera, «Acta musicologica» LXXIV/2, 2002, pp. 107-128; MARCO MARICA, La prima versione dell’“Adelson e Salvini” e la tradizione napoletana dell’opera buffa ‘alla francese’, in Vincenzo Bellini nel secondo centenario della nascita, a cura di Graziella Seminara e Anna Tedesco, 2 tt., Firenze, Olschki, 2004, I, pp. 77-95 e PAMELA PARENTI, Un moderno ‘cliché’: la prosa nel teatro comico musicale a Napoli nel periodo francese del primo Ottocento, <https://www.italianisti.it/pubblicazioni/atti-di-congresso/moderno-e-modernita-la-letteratura-italiana/Parenti%20Pamela.pdf> (ultima consultazione 3 aprile 2021). 26 Edizione critica a cura di Paologiovanni Maione <http://www.operabuffaturchini.it/operabuffa/libretti/ErroreAmoroso-0.jsp> (consultato da ultimo il 5 aprile 2021). L’aria di Fiammetta «L’accorto uccellatore» (III.2) s’intrufola ancora nel Mondo alla roversa di Goldoni e Galuppi in scena a Barcellona nel 1752: cfr. MICHELE GEREMIA, Il mondo alla roversa o sia le donne che comandano di C. Goldoni - B. Galuppi: introduzione storica ed edizione critica, I Tradizione e fortuna dell’opera. diss. Università degli studi di Padova, XXVII ciclo, 2015, p. 56. 27 La collaborazione di quest’ultimo con Antonio Palomba era stata evidenziata già da Napoli Signorelli: lo storico attribuisce alla «verità inimitabile» del basso buffo il successo dello Sposo di tre e marito di nessuna: cfr. NAPOLI SIGNORELLI, Vicende della coltura cit., p. 326. 25
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astuzie femminili (1794, Cimarosa), in cui il più giovane Carlo Casaccia, che aveva preso a collaborare con Palomba sin dalle Astuzie villane (Fiorentini, 1786, musica di P.A. Guglielmi), è affiancato dal collega Giovanni Codecasa; infine La gazzetta, in scena nell’autunno 1816 con musica di Gioachino Rossini, unica opera rossiniana a contemplare il dialetto per la parte chiave di Don Pomponio Storione, concepita per Carlo Casaccia in completa autonomia rispetto alla fonte del dramma.28 Quattro anni prima, nel 1812, Gennaro Luzio era stato il Capitan Marcantonio nei Vampiri (musica dell’allievo di Paisiello Silvestro Palma): il titolo, dal sapore romantico, non dovrà trarre in inganno, poiché l’intera faccenda, incentrata su un travestimento truffaldino, si mantiene nel collaudatissimo ambito comico, tenendosi alla larga dall’incipiente gusto nordico dell’orrido. Assai più che non quella dello zio, la produzione di Palomba conobbe uno straordinario successo internazionale, oltre che in virtù della sua longevità, grazie soprattutto alle collaborazioni con Domenico Cimarosa e Giovanni Paisiello. A Cimarosa, conosciuto probabilmente nel 1775 per la riscrittura della Donna di tutti i caratteri dello zio, Giuseppe fornì ben undici drammi, tra cui Il fanatico per gli antichi romani e L’Armida immaginaria (Fiorentini, 1777), I finti nobili, che per terz’atto ha la farsa Li sposi per accidenti (Fiorentini, carnevale 1780),29 Il falegname (Fiorentini 1780; dal 15 luglio 1789 al 14 gennaio 1790 in scena a Vienna rivisto da Da Ponte e Salieri),30 La ballerina amante (Fiorentini, 1782) e Chi dell’altrui si veste presto si spoglia (Fiorentini, 1783). Nell’agosto 1794 Palomba trasse dalla farsa di Cimarosa Amor rende sagace (Vienna 1793, libretto di Giovanni Bertati) la commedia per musica in due atti Le astuzie femminili, che reimpiega una porzione consistente del testo e della musica originari. I due baroni di Rocca Azzurra, scritti per il Teatro Valle di Roma nel 1783, prima della revisione per Napoli (Teatro del Fondo, 1793) si guadagnarono l’attenzione di Wolfgang Amadé Mozart, che nell’agosto 1789 scrisse per una ripresa viennese l’aria sostitutiva «Alma grande e nobil core» K 578, destinata al soprano Louise Villeneuve, futura prima Dorabella di Così fan tutte, qui interprete della parte di Madama Laura. Cinque i drammi scritti da Palomba per Paisiello tra il 1785 e il 1798: La grotta di Trofonio (Fiorentini, autunno 1785), riscrittura del recentissimo dramma di Giambattista Casti e Antonio Salieri dato a Vienna,31 Le gare generose (Fiorentini, primavera 1786), L’amor contrastato, cioè La molinara (Fiorentini, autunno 1788), tra i capolavori di Paisiello, rimasto in scena fino al 1828, i fortunati Zingari in fiera (Fondo, 1789) e il già citato Inganno felice. Da quest’ultimo titolo Giuseppe Maria Foppa Cfr. FABIO ROSSI, «Quel ch’è padre, non è padre…». Lingua e stile dei libretti rossiniani, Roma, Bonacci, 2005, p. 230 seg.; su questo titolo cfr. anche il recentissimo DANIELE CARNINI, Dall’‘età rossiniana’ all’‘età di Rossini’: La gazzetta (ovvero La conquista della kamčatka), «Il Saggiatore musicale» 27/2, 2020, in corso di stampa. 29 Edizione in PARENTI, L’opera buffa cit., pp. 155-176. 30 Cfr. OTTO MICHTNER, Das alte Burgtheater als Opernbühne, Wien, Verlag der österreichischen Akademie der Wissenschaften, 1970, p. 500. 31 Cfr. FRANCESCO BLANCHETTI, Avventure di Trofonio fra Salieri e Paisiello, in Antonio Salieri (1750-1825) e il teatro musicale a Vienna. Convenzioni, innovazioni, contaminazioni stilistiche, a cura di Rudolph Angermüller ed Elena Biggi Parodi, Lucca, LIM, 2012, pp. 273-302. 28
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avrebbe tratto il libretto omonimo che un Rossini neppure ventenne avrebbe messo in scena nel carnevale 1812 al San Moisè di Venezia. Tre titoli isolati spiccano poi per il successo riscosso: innanzitutto La quakera spiritosa di Pietro Alessandro Guglielmi32 (Fiorentini, primavera 1783), di ambientazione nordamericana, come le già citate Gare generose, ispirate ad Amiti e Ontario di Raniero de’ Calzabigi;33 per una produzione a Eszterháza nel giugno 1787 Haydn, che tra il 1783 e il 1790 allestì sette opere su libretto di Palomba (quattro di Cimarosa, due di Paisiello e una di Guglielmi), scrisse l’aria sostitutiva «Vada adagio, signorina», Hob. XXIVb:12, mentre nel 1790 l’opera fu rimaneggiata a Vienna da Lorenzo Da Ponte con musica aggiuntiva di otto compositori, tra cui Paisiello, Cimarosa, Haydn e Mozart. Nel 1798 andarono invece in scena ai Fiorentini, con musica di Valentino Fioravanti, le metateatrali Cantatrici villane, che Napoleone vide a Schönbrunn nel 1809, Goethe allestì a Weimar nel 1813 e attraversarono l’Europa anche in traduzione francese, tedesca e russa. L’ultimo decennio di carriera del drammaturgo, plausibilmente già settantenne, si aprì nel segno della collaborazione con Rossini per la citata Gazzetta (1816), libretto che Palomba trasse dall’Avviso al pubblico di Gaetano Rossi per Giuseppe Mosca (1814), a sua volta basato sul Matrimonio per concorso di Goldoni (1763): un titolo, quest’ultimo, coevo agli esordi del commediografo napoletano. Sembra così realizzarsi una sorta di cortocircuito tra i Palomba, zio e nipote, e Goldoni, che dalla Maestra alla Gazzetta, passando attraverso i già citati titoli di Antonio e l’ugualmente goldoniana Locandiera di spirito di Giuseppe (Nuovo, autunno 1768, musica di Piccinni), si trasforma da imitatore a imitato. Tra i musicisti, infine, cui Giuseppe Palomba offrì i propri versi compare, insospettabilmente, anche l’autore della Fuga in maschera in scena al Teatro Nuovo nel carnevale 1800 con Carlo Casaccia nella parte di Nardullo: un Gaspare Spontini ancora per un biennio sul suolo patrio, prima di spiccare il volo per i trionfi europei. Sin dalle prime fasi – lo testimonia l’ostilità manifestatagli da Luigi Serio, revisore regio delle opere teatrali: uno scontro risalente al gennaio 1785 per un dramma destinato al Nuovo è riferito da Croce34 – la produzione di Giuseppe Palomba è stata guardata con sospetto e sufficienza, se non con aperta avversione. A suo carico sono stati addebitati scarsa originalità, abuso di espedienti come i travestimenti, carenze nella concezione drammaturgica e nella versificazione, sia in lingua sia in dialetto, senza peraltro che gli siano stati accordati le attenuanti e i meriti generalmente riconosciuti allo zio. Inutile ricordare come Da Ponte non esitasse a includere il suo nome nell’elenco dei «ciabattini teatrali» che nulla gli avrebbero potuto insegnare. 35 Una 32
Guglielmi, che già aveva intonato quattro titoli di Antonio, ne musicò tra il 1776 e il 1794 almeno 14 titoli di Giuseppe. 33 Cfr. PIERPAOLO POLZONETTI, Quacqueri pistoleri: rappresentazione del personaggio americano nell’opera buffa tra esoticismo e rivoluzione, in Le arti della scena e l’esotismo in età moderna, a cura di Francesco Cotticelli e Paologiovanni Maione, Napoli, Turchini Edizioni, 2006, pp. 365-579 e ID., Italian Opera in the Age of the American Revolution, Cambridge, Cambridge University Press, 2011. 34 BENEDETTO CROCE, I teatri di Napoli, Napoli, Pierro, 1891, p. 596. 35 LORENZO DA PONTE, Memorie, I, parte I, New York, Gray & Bunce, 1829, p. 24 54
LA FAMIGLIA PALOMBA
valutazione oggi più distaccata ed equilibrata dovrebbe probabilmente tenere in maggior conto le qualità di Palomba nel modulare i propri testi rispetto alle condizioni date, la capacità di far risaltare le doti sceniche dei numerosi, eccellenti interpreti con cui collaborò tanto a lungo, offrendo al contempo a musicisti di più generazioni meccanismi buffi che si sarebbero rivelati infallibilmente efficaci. La padronanza del mestiere da parte di Palomba è ben esemplificata da un lavoro tardo come La gazzetta per Rossini, in cui fu necessario integrare ampie porzioni di pezzi musicali preesistenti, di cui Palomba seppe abilmente riprendere il testo originario.36 Lo studio della produzione drammatica dei Palomba è insomma una storia ancora tutta da scrivere. Se meritoria è la pubblicazione in edizione critica dei testi di Antonio Palomba a cura della Fondazione Pietà de’ Turchini nell’ambito del citato progetto “Opera Buffa. Napoli 17071750”, che ha attualmente al suo attivo 11 titoli,37 l’unico lavoro monografico, relativo peraltro al solo Giuseppe, è il libro di Pamela Parenti, cui andranno aggiunti i saggi che si occupano, spesso tangenzialmente, di testi singoli, che sono stati citati in nota. 38 È altamente auspicabile che all’ampia e articolata produzione drammatica dei Palomba, che tanta fortuna ha incontrato sui palcoscenici d’Europa per un secolo intero, venga Cfr. PHILIP GOSSETT – FABRIZIO SCIPIONI, Prefazione a GIUSEPPE PALOMBA – GIOACHINO ROSSINI, La gazzetta, ed. critica a cura di Philip Gossett e Fabrizio Scipioni, Pesaro, Fondazione Rossini, 2002, pp. XXI-LVI: XXVII. 37 <http://www.operabuffaturchini.it/operabuffa/indice_a.jsp> (Edizione critica a cura di Paologiovanni Maione <http://www.operabuffaturchini.it/operabuffa/libretti/ErroreAmoroso-0.jsp> (ultima 5 aprile 2021). 38 A quelli già citati si aggiungano STEFAN KUNZE, Per una descrizione tipologica della Introduzione nell’Opera buffa del Settecento e particolarmente nei Drammi giocosi di Carlo Goldoni e Baldassarre Galuppi, in Galuppiana 1985. Studi e ricerche, a cura di Maria Teresa Muraro e Franco Rossi, Firenze, Olschki, pp. 165-177: 175; GERARDO TOCCHINI, Libretti napoletani, libretti tosco-romani: nascita della commedia per musica goldoniana, in Studi musicali 26, 1997, pp. 377-415; MARY HUNTER, The Culture of Opera Buffa in Mozart’s Vienna, Princeton, Princeton University Press, 1999; PAOLO FABBRI, La farsa mutò in commedia: per una storia di «Le astuzie femminili», in Domenico Cimarosa: un ‘napoletano’ in Europa, a cura di Marta Columbro e Paologiovanni Maione, Lucca, LIM, 2004, pp. 211-224; ALFRED NOE, Geschichte der italienischen Literatur in Österreich, Teil 1: Von den Anfängen bis 1797, Wien, Böhlau, 2011; INGRID SCHRAFFL, Opera Buffa und Spielkultur. Eine spieltheoretische Untersuchung am Beispiel des venezianischen Repertoires des späten 18. Jahrhunderts, Wien, Böhlau, 2014, “Wiener Musikwissenschaftliche Beiträge” 25, che discute esempi da diversi libretti di Giuseppe Palomba, soprattutto con musica di Luigi Caruso; diversi saggi contenuti nel già citato Commedia e musica al tramonto dell’Ancien Régime, in particolare LORENZO MATTEI, «Con più lieti canti»: il coro nell’opera buffa, pp. 43-78, LUCIO TUFANO, La stagione operistica 1781-1782 al Teatro dei Fiorentini di Napoli: meccanismi gestionali e occasioni creativi, pp. 431-454, e FRANCESCA SELLER, La nuova organizzazione dell’opera buffa al Teatro de’ Fiorentini di Napoli (1813), pp. 455-476; PAOLOGIOVANNI MAIONE, Intermezzi al tramonto nella Napoli di Carlo?, in Entremets e Intermezzi: lo spettacolo nello spettacolo nel Rinascimento e nel Barocco, a cura di Gaetano Pitarresi, Reggio Calabria, Edizioni del Conservatorio di Musica “F. Cilea”, 2020, pp. 231-254. Per un compendio della bibliografia sui Palomba fino al 2014 mi permetto di rimandare alla mia voce Palomba, Antonio (la cui seconda parte è dedicata a Giuseppe Palomba) nel Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2014, LXXX, pp. 627-631, consultabile anche in rete al link <https://www.treccani.it/enciclopedia/antonio-palomba_>(DizionarioBiografico, ultima consultazione 28 marzo 2021). 36
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RAFFAELE MELLACE
riservata un’attenzione che superi la sufficienza con cui questa è stata storicamente considerata, così da mettere a frutto gli accurati strumenti analitici elaborati negli scorsi decenni dagli studi sulla librettistica. Il campo è vasto, più che sufficiente per molti ricercatori. D’altra parte, se «Nel cor più non mi sento»39 ha saputo ispirare Paisiello, e tramite lui Beethoven, Paganini (ma anche Vanhal, Sor, Giuliani, Legnani, Bottesini e gli altri), trasformandosi in un vero e proprio tormentone che ha attraversato i decenni, un qualche merito andrà pur attribuito ai versi, come questi, di Giuseppe Palomba: Mi stuzzichi, mi mastichi, mi pungichi, mi pizzichi. Che cosa è questa, ohimè?
Se riferiamo quest’ultima domanda alla poesia drammatica di Antonio e Giuseppe Palomba, è auspicabile che un’indagine seria e approfondita possa, in un futuro non troppo lontano, offrire risposte utili ad apprezzare un fenomeno storico che, con le sue luci e le sue ombre, resta di indubbio rilievo e interesse.
Tratta notoriamente dall’Amor contrastato (La molinara, Fiorentini, autunno 1788), la “canzonetta” compariva, trapiantata di peso, già nell’Impostore punito (II.7) con musica di Pietro Alessandro Guglielmi, nella primavera 1789 al Teatro Zagnoni di Bologna; il libretto della princeps è disponibile online al link <https://www.google.it/books/edition/L_impostore_punito_dramma_giocoso_per_mu/V7oXSkPHOggC?hl=it&gbpv=1&dq=%22impostore+punito%22&pg=PP1&printsec=frontcover> (ultima consultazione 3 aprile 2021). Della persistente vitalità della Molinara, anche presso le generazioni di interpreti più giovani, è testimone la recente produzione, fresca, brillante ed elegante, registrata in lingua lettone il 24 aprile 2019 all’Operastudio “Figaro” dell’Accademia Lettone di Musica presso la Sala Grande della Società Lettone di Riga e disponibile al link <https://www.youtube.com/watch?v=jnK2yFUqlcc> (ultima consultazione 3 aprile 2021). 39
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Patrizia Veroli «È LA MACCHINA DA PRESA CHE DEVE DANZARE»:1 BUSBY BERKELEY TRA COREOGRAFIA E REGIA NEGLI ANNI ’30 Coreografo? Regista? Come definire Busby Berkeley, il più reputato, imitato e famoso dance director della cosiddetta “epoca classica” del musical di Hollywood? Quando, negli anni ’60, i prestigiosi «Cahiers du Cinéma» gli chiesero se fosse d’accordo nell’essere ritenuto un regista anziché un coreografo, lui rispose: Credo che nella vostra mente il termine coreografo sia associato al balletto come lo si faceva alcuni anni fa. A New York ci chiamavamo dance directors e la parola coreografo apparve solo quando Agnes De Mille cominciò a dirigere balletti e spettacoli. Oggi tutti sono coreografi. Ma è certo che quello che conta per me sono molto meno le danze e i passi propriamente detti, che quello che ci si fa colle risorse del cinema.2
Gene Kelly, il danzatore e coreografo che intuì molto presto che il cinema offriva possibilità straordinarie alla danza, si è posto il problema di come filmarla ed ha firmato e co-firmato alcune regie di portata innovativa,3 per quanto riguarda il ruolo innovatore di Berkeley nell’ambito del musical ebbe a dire: Berkeley ha mostrato quello che si può fare colla macchina da presa […], è lui che ha eliminato l’arco di proscenio […] nel musical cinematografico. Molti se ne attribuiscono il merito, ma è stato lui che l’ha realizzato. E se qualcuno vuole imparare quello che si può fare colla macchina da presa, deve mettersi a studiare ogni sua sequenza. Perché lui le ha fatte tutte.4
Un coreografo come Jack Cole, tra i più reputati maestri di danza jazz, non si fece scrupoli nell’affermare: Busby Berkeley non aveva alcun coinvolgimento con la danza. Non so perché, quando si parla dei suoi film, si parla di danza. Era interessato solo a catturare colla macchina da presa dei disegni e a fare lunghe carrellate, peraltro assai bene. Aveva la pazienza di costruire una lunga ripresa dall’alto, e poi di metterla in prova davvero e di continuare a provarla fino a quando era esattamente come lui la voleva. Non guardava mai a quello che le girls facevano. Gli interessavano solo i segni della macchina da presa in rapporto alle battute musicali. Creava solo carta da parati.5 Berkeley in PATRICK BRION – RENÉ GILSON, A Style of Spectacle. Interview with Busby Berkeley, «Cahiers du Cinéma in English» 2, 1966, p. 28. 2 Ivi, p. 35. 3 I film più famosi coreografati e co-diretti da Kelly sono On the Town (1949) e Singin’ in the Rain (1952). 4 Kelly nel documentario That’s Dancing, 1985, cit. in LARRY BILLMAN, Film Choreographers and Dance Directors. An Illustrated Biographical Encyclopedia with a History and Filmographies, 1893 through 1995, Jefferson -NC and London, McFarland & Company, Inc., 1997, p. 233. 5 Cit. in JEROME DELAMATER, Interview with Jack Cole, in ID., Dance in the Hollywood Musical, Ann Arbor, UMI Research Press, 1981, p. 196. 1
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PATRIZIA VEROLI
Berkeley è rimasto famoso soprattutto per le sequenze filmate in cui in cui un notevole numero di girls e talora anche di boys, inquadrati “a piombo” da un’altezza elevata, compongono forme astratte, caleidoscopiche, in movimento: ed è sicuramente ciò a cui alludeva Cole quando faceva riferimento ai «segni della macchina da presa in rapporto alle battute musicali». L’equiparazione di quelle immagini a niente più che «carte da parati», cioè a carte stampate con morfologie decorative, risente tuttavia di un duplice inganno: da una parte mostra un chiaro malanimo rispetto a una personalità come Berkeley, il cui lavoro ha non solo influenzato il cinema musicale dei propri tempi,6 ma non ha cessato di assediare il pensiero dei cineasti fino a epoca recente. Basti pensare alle palesi citazioni berkeleyane presenti in The Big Lebowsky dei Fratelli Coen (Il grande Lebowski, Working Title Films, 1998), laddove il protagonista sogna di volare dentro il “corridoio” formato dalle gambe allargate delle girls disposte una davanti all’altra. L’invenzione assolutamente osé di Berkeley era stata quella di spostare la macchina da presa tra le gambe aperte delle ragazze, che configurano una “V” rovesciata, fino a prendere un primo piano dei volti della coppia di protagonisti stesi bocconi a terra: si guardi alle battute finali del numero «I’m Young and Healthy» in 42nd Street.7 La variazione ancora più audace dei Fratelli Coen è quella di far volare il protagonista tra le gambe delle girls in posizione supina, mentre guarda beatamente verso l’alto. L’altro inganno in cui cadeva Jack Cole riguarda la natura stessa del cinema, che non offre che testi audiovisivi, i quali richiedono allo spettatore una partecipazione immaginativa, associativa e àptica per poter intuire l’esistenza dello spazio là dove lo spazio non è percorribile e assaporabile col proprio corpo. Vero è che lo spazio creato da Berkeley nei suoi numeri caleidoscopici è fortemente appiattito, e ricalca quello del fotogramma. E non è un caso che in più d’uno dei numeri musicali in cui si avvalse di questo tipo di figurazioni Berkeley abbia riprodotto proprio il funzionamento dell’obiettivo fotografico, colle lamelle circolarmente disposte attorno al foro centrale. Si guardi ad es. «What a perfect combination», in The Kid From Spain (Goldwyn/United Artists, 1932).8 L’obiettivo fotografico non è del resto esemplato sul funzionamento dell’occhio umano? Se un gran numero di film musicali è per sua struttura autoriflessivo, perché riprende in molti modi la struttura dei generi di teatro musicale da cui proviene, si può affermare che Berkeley ha creato numeri autoriflessivi per eccellenza, poiché riprendono, metaforizzandolo, il funzionamento stesso della macchina da presa e dell’occhio sia del fotografo sia dello spettatore. Rispetto a coreografi come Jack Cole, la cui tecnica di danza è stata trasmessa da ballerini che si sono fatti poi strada nella commedia musicale a teatro e al cinema, Berkeley ha legato il proprio nome alla fattura spettacolare di numeri che hanno giocato programmaticamente un ruolo autonomo rispetto al plot. Il gusto per questo tipo di musical, dal formato equiparabile alla rivista, è andato molto scemando dopo gli anni 6
Uno per tutti Hermes Pan nel numero finale di gruppo, «The Piccolino», in Top Hat (Cappello a cilindro, RKO, 1936). 7 <https://www.youtube.com/watch?v=mSvQtAnh_CI> (ultima consultazione 7 febbraio 2021). 8 <https://www.youtube.com/watch?v=dCCB1KEhRz8&t=103s> (ultima consultazione 7 febbraio 2021). 58
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’40, quando si affermò un tipo di musical cosiddetto “integrato”, in cui i numeri di canto e ballo erano incardinati in modo da far parte del plot. Anche dopo il ’40, tuttavia, Berkeley sarebbe ancora riuscito a mettere a segno qualche numero straordinario, come «The Lady in the Tutti-frutti Hat», in cui le girl giocano con gigantesche banane (in The Gang’s All Here, in Italia circolato come Banana Split, Fox, 1943),9 nonché i cosiddetti numeri “della fontana” e “del fumo” in Million Dollar Mermaid (La ninfa degli antipodi, MGM, 1952), in cui si produceva in virtuosismi strabilianti la diva “acquatica” di quegli anni, Esther Williams. Sicuramente, come lui stesso non ebbe problemi ad ammettere, Berkeley non aveva mai praticato le tecniche di danza della sua epoca: in anni in cui jazz e balletto dominavano colle loro tecniche e i loro virtuosismi sia Broadway che il musical hollywoodiano, è stato facile espellere Berkeley dal mondo della danza. Il fenomeno Berkeley è in effetti complesso. Il suo stile di movimento di per sé stesso non è particolarmente innovativo, e lo si constata in quei numeri che si svolgono su una scena e che sono ripresi per lo più frontalmente. Tuttavia la sua capacità di ragionare in termini di ritmo – sia della danza sia dell’immagine – è spesso sorprendente. E quando Berkeley realizza forme caleidoscopiche (riprendendo le chorus lines da un’altezza atta a trasformarne i corpi in forme astratte), i movimenti che costruisce e prescrive si svolgono con ritmi che si pongono in vari rapporti rispetto alla musica, e sono pensati e assemblati esclusivamente per la macchina da presa, implicando capacità registiche e coreografiche. È infatti con i cosiddetti “top shot”, le angolazioni a piombo della ripresa, che del resto inizia a realizzare sin dal suo primo film, Whopee! (Goldwyn/United Artists, 1930), che Berkeley creò un tipo di danza che non è possibile mettere in scena in teatro. Berkeley ha avuto del coreografo la capacità di costruire i movimenti delle girls, sagomandoli dal punto di vista spaziale e ritmico, ed ha avuto del regista la capacità di concettualizzare le modalità drammaturgiche e tecnologiche del numero nello spazio-tempo del film. Nei suoi numeri caleidoscopici, il movimento dell’interprete si de-espressivizza e il gesto tende al geroglifico. Berkeley ha ripreso, sviluppato e trasfigurato una componente cruciale della commedia musicale di Broadway, la chorus line, che negli anni ’30 era alquanto in declino. C’è riuscito esaltando la qualità ritmica dei corpi, delle linee, del tempo della danza e del tempo musicale, della ripresa filmica e del montaggio. Per questo si può dire che in un certo senso sia stata proprio la sua macchina da presa a danzare, come lui voleva. Da Broadway al cinema Quando nel 1930 arrivò a Hollywood, Berkeley aveva già lavorato come dance director a Broadway dal 1925 al 1930. Molti dei numeri cinematografici per cui è rimasto famoso costituiscono proprio il risultato della sua riflessione sui meccanismi spettacolari della commedia musicale americana, e sull’ideologia etnica e di genere che la caratterizzava. A Hollywood vigeva la segregazione razziale: gli africano americani erano scritturati solo in ruoli che li rappresentavano come idioti, irresponsabili, servili 9
<https://www.youtube.com/watch?v=TLsTUN1wVrc> (ultima consultazione 7 febbraio 2021). Berkeley si era ispirato ovviamente al famoso, succinto gonnellino colle banane, indossato da Josephine Baker nella leggendaria Revue Nègre del 1925. 59
PATRIZIA VEROLI
o violenti. La “Berkeley girl” è “bianca”:10 solo una volta il regista utilizzerà ragazze africano americane, e in un rango servile, rappresentandole mentre sventagliano, pettinano e cospargono di olii le girls (il tutto mentre Eddie Cantor canta il chorus del song in blackface).11 Le impiega anche in una brevissima chorus line, senza inclusione di “bianche”. Gruppi di ragazze “bianche” e “nere” si giustappongono ma non si mescolano. Usando le potenzialità del cinema, Berkeley porterà certi effetti teatrali ad estremi fino ad allora mai toccati e tuttora emblematici. Alcuni elementi del suo stile, che diventeranno per antonomasia suoi,12 si erano già visti in teatro per opera di altri dance director e registi. Così, ad esempio, i profili illuminati al neon dei violini bianchi che sessanta chorines fanno mostra di suonare nel numero «The Shadow Waltz» di Gold Diggers of 1933 (La danza delle luci, Warner Bros., 1933) riprendevano gli effetti che già negli anni ’10 si erano realizzati applicando il radio ai costumi delle girl. Berkeley, del resto, usò spesso gli strumenti musicali nei suoi numeri: ad es. in «The words are in my heart», un numero di Gold Diggers of 1935 (Donne di lusso, Warner Bros., 1935), cinquantasei ragazze siedono alla tastiera di pianoforti bianchi. Già a fine 800 si erano viste parate di girls ognuna delle quali era trasformata dal costume in uno strumento musicale e, per venire a più recenti spettacoli di Broadway, nelle Ziegfeld Follies del 1927 il dance director Sammy Lee aveva posto venti girls alla tastiera di venti pianoforti dorati. Anche l’uso di praticabili e di strutture di enorme formato era invalso da tempo in teatro: si guardi alla struttura di scale curvilinee da cui scendono le chorines suonando il violino in “«The Shadow Waltz» (Gold Diggers of 1933): anche nel cinema si era giocato, fin dagli inizi del musical, sui contrasti di grandezza. Così nel film a due colori, King of Jazz (Il re del jazz, Universal, 1930), la Rhapsody in Blue di George Gershwin viene eseguita da più pianisti alla tastiera di un enorme pianoforte dentro cui, su una piattaforma, è tutta l’orchestra di Paul Whiteman (all’epoca noto come “re del jazz”). A un certo punto essa si solleva dall’interno della cassa. Berkeley ha una speciale predilezione per il giocare sulle differenze di formato. I suoi spazi si pongono spesso al di fuori di ogni riferimento realistico, e definiscono un tempo non meno fantasmatico:13 lo provano i suoi stessi caleidoscopi, che minimizzano la taglia dei corpi e delle loro Utilizzo questo aggettivo (e il suo opposto, “nero”) solo per comodità e tra virgolette per sottolinearne la problematicità semantica. Di fatto su di esso è stato costruito negli Stati Uniti tutto un sistema di pensiero discriminante rispetto alla popolazione africano americana. Sulle connotazioni sociali di questa terminologia e le sue implicazioni nella musica jazz, vedi STEFANO ZENNI, Che razza di musica. Jazz, blues e le trappole del colore, Torino, EDT, pp. 3-30. 11 L’uso del blackface proveniva dal minstrel show, una forma di spettacolo itinerante che ha dominato gli Stati Uniti fin dall’800. In esso furono i “bianchi” a tingersi inizialmente il volto di nero per prendere in giro i “neri”. Dopo la guerra civile e la fine della schiavitù, gli africano americani entrarono nel circuito teatrale e si tinsero anch’essi il volto di nero, parodiando la parodia di sé stessi. Il blackface, ripreso dal vaudeville, si è trasmesso nel cinema, dove è stato adottato fino agli anni ’50. 12 MARTIN RUBIN, Showstoppers. Busby Berkeley and the Tradition of Spectacle, New York, Columbia University Press, 1993, pp. 9-26. 13 Non a caso è stato messo in relazione col surrealismo (JEROME DELAMATER, Busby Berkeley. An American Surrealist, «Wide Angle» 1, primavera 1976, pp. 30-37). 10
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parti. Prima di lui inquadrature dall’alto delle chorus girls che danzano sul palcoscenico si erano realizzate a Hollywood. Ma il modo in cui le configurazioni di chorines possono trasformarsi se inquadrate da considerevole altezza o con un’angolazione a piombo della ripresa porta a effetti visivi di altro tipo, producono slittamenti verso una dimensione altra, propriamente di sogno, di reverie. Berkeley amava le trasformazioni a vista, altro elemento che appartiene al teatro musicale americano (ed anche a quello europeo, in particolare italiano) fin dalla fine dell’800. Potendo gestire proprio lo sguardo dello spettatore, Il cinema gli consente la realizzazione di effetti impensabili in teatro: così, ad esempio, in 42nd Street (Quarantaduesima Strada, Warner Bros., 1933), il primo film in cui collabora con la Warner Bros., si vede Ruby Keeler danzare il tip-tap a figura intera finché la macchina da presa, arretrando, non mostra che si trova in verità sul tettuccio di un taxi. La trasformazione più clamorosa di questo film si ha però sul finale, quando le girls salgono sui gradini di una scalinata e si girano verso lo spettatore nascondendosi man mano del tutto dietro il poster che hanno portato con sé, ognuno dei quali raffigura un grattacielo di diversa grandezza. In questo modo le differenze di profondità tipiche della scala si eliminano e a comparire è il tipico paesaggio newyorchese, bloccato in una prospettiva (stampata) bidimensionale, con i palazzi riprodotti in formati diversi a seconda della distanza.14 Forse nessun coreografo americano, al pari di Berkeley, ha risentito del topos della macchina, che, come è noto, ha costituito uno dei leit motiv delle avanguardie moderniste a partire dai futuristi. Nella loro mancanza di conoscenza delle pratiche di movimento, i futuristi italiani non erano stati capaci di proporre uno stile di danza propriamente futurista: il Manifesto della danza di Marinetti (1917) rimase una enunciazione.15 Il topos della macchina è stato centrale quant’altri mai nella società sia americana sia europea dei primissimi decenni del 900, giacché era innestato sulle ricerche che, mirando alla massima efficienza dell’impiego del corpo nel lavoro, aveva portato all’utilizzo industriale, da parte di Henry Ford, della catena di montaggio parodiata da Charlie Chaplin nel film muto da lui stesso prodotto Modern Times (Tempi moderni, 1936). La razionalizzazione del movimento, mirante alla minima dispersione delle energie e per quanto possibile alla riduzione della fatica, era stato un obiettivo di scienziati, analisti del lavoro e della guerra sin dall’800, e aveva avuto il suo banco di prova nella Prima guerra mondiale. Non a caso Angelo Mosso, uno dei maggiori sostenitori della necessità della ginnastica in Italia, aveva scritto: «la catastrofe di Sedan rappresenta nella storia il trionfo delle gambe tedesche».16 Grazie alla cronofotografia di Per una approfondita descrizione e interpretazione di questa scena, vedi PATRIZIA VEROLI – GIANVINAY, “42nd Street” (1933). Un musical cinematografico tra danza, musica e politica, «CoSMo. Comparative Studies in Modernism» 16 (monografico: Gli sponsali controversi. Musica e danza nel convito delle arti), 2020, p. 68. <https://www.ojs.unito.it/index.php/COSMO/article/view/4623> (ultima consultazione 2 febbraio 2021) 15 Cfr. PATRIZIA VEROLI, The Futurist Aesthetics and Dance, in International Futurism in Art and Literature, a cura di Gunther Berghaus, Berlin–New York, Walter De Gruyter, 2000, pp. 422-448. 16 Cit. in ANSON RABINBACH, Human Motor. Energy, Fatigue, and the Origins of Modernity, s.l., Basic Books, Inc., 1990, p. 224. Fin dai primi dell’800 la Germania aveva impostato e resa obbligatoria la ginnastica. 14
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Muybridge e Marey, le analisi del movimento umano avevano portato alla considerazione dell’importanza del ritmo, come fattore che collega tempo e spazio e decide dell’efficienza non solo delle azioni quotidiane, ma anche del lavoro, oltre che della danza. Negli anni ’10 e ’20 il ritmo fu al centro di nuove pratiche di movimento a fini sia d’arte che di allenamento corporeo e non meraviglia che gruppi di ballerine come le Tiller Girls, addestrate dall’inglese John Tiller, furono viste dal grande sociologo e teorico del cinema tedesco, Siegfried Kracauer, come le perfette rappresentanti d’un lato delle teorie di efficienza tayloriste e dall’altro della possibilità di uno spazio utopico in cui l’individualismo venisse abbandonato a favore dell’unità e della coesione del gruppo.17 Le Tiller Girls erano state del resto una attrazione delle Ziegfeld Follies del ’22, uno spettacolo che ebbe più successo di tutti i precedenti della serie (ed anche dei successivi), totalizzando 67 settimane di repliche a New York e ben 40 on the road.18 Non è possibile che Berkeley non fosse rimasto colpito dalla straordinaria precisione di questo gruppo di danzatrici, la cui rigorosa disciplina mirava a trasformare quanto più possibile il movimento tridimensionale del corpo in una segnaletica tutta visiva. Esse esplicitavano anche quel riferimento ai plotoni militareschi e alle parate che costituiscono una delle fonti figurative di Berkeley, il quale, attivo come sottotenente dell’esercito americano in Francia durante la Prima guerra mondiale, era stato incaricato di inquadrare e far marciare sei batterie di soldati, 1200 uomini in totale. Lo aveva fatto impostando un ritmo specifico per ogni batteria e richiedendo ai soldati di fare il conto in silenzio. I vari gruppi erano stati disposti in modo da formare in marcia diverse figure geometriche.19 Più volte questa componente del suo stile si ritroverà nei numeri per il cinema, come in «Yes Yes My Baby Said Yes Yes», di Palmy Days (Il re dei chiromanti, Goldwyn/United Artists, 1931) e in «All’s Fair in Love and War» di Gold Diggers of 1937 (Amore in otto lezioni, First National Pictures, 1936). File di girls in marcia che si compongono e si scompongono, duplicandosi, triplicandosi, formando linee, cerchi o triangoli: anche questo si faceva in teatro da decenni, ma è certo che il cinema ha offerto a Berkeley la possibilità di realizzare modi speciali con cui dar vita ai suoi squadroni femminili danzanti, proprio per la possibilità di creare continuamente spazi non realistici.
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Non è un caso che le formazioni soprattutto circolari di ragazze che compiono gli stessi movimenti ritmicamente sarebbero state promosse dalle dittature di tutta Europa (cfr. PATRIZIA VEROLI, Docile Bodies and War Machines. The Metamorphosis of Dalcroze Rhythmic Gymnastics in Italy from the Liberal Era through Fascism, «The Annual of CESH. European Committee for Sport History», 2004, pp. 29-55). 18 RICHARD ZIEGFELD - PAULETTE ZIEGFELD, The Ziegfeld Touch. The Life and Times of Florenz Ziegfeld, Jr., introduzione di Patricia Ziegfeld Stephenson, Harry N. Abrams, Inc., 1993, p. 102-103. Una routine delle Tiller Girls, in un costume esemplato sulla divisa militare, è oggi visibile in un numero del film Half Shot at Sunrise, del 1930 (<https://www.youtube.com/watch?v=Mldt0Vcvl60> ultima consultazione 5 febbraio 2021) 19 Berkeley si era anche fatto assegnare a un corpo militare aereo (JEFFREY SPIVAK, Buzz. The Life and Art of Busby Berkeley, Lexington, The University Press of Kentucky, 2011, pp. 22-23). Le vedute aeree gli avevano certamente fatto capire come dall’alto la plasticità del corpo diventasse segno, lezione che gli tornerà utile a Hollywood per i suoi caleidoscopi. 62
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Durante il suo lavoro in teatro Berkeley aveva mostrato quello che era il principale dei suoi talenti, e che nel cinema avrebbe poi esaltato a dismisura: il senso del ritmo. Così come altri dance directors, da Sammy Lee a Le Roy Prinz e Seymour Felix, aveva cercato di emanciparsi dalle regole di Ned Wayburn, che a fine anni ’20 si erano trasformate ormai in convenzioni scontate. Wayburn era stato un gigante nel campo delle chorus lines, stabilendo le coordinate visive, corporee, drammaturgiche e di tecnica di danza necessarie per realizzare queste formazioni con gli effetti visivi più attraenti.20 Berkeley mirò a un qualcosa di inedito, ad esempio introducendovi senso dello humor. Così, ad esempio, nella commedia musicale Street Singer le girls stanno accucciate per ben sei chorus, dall’entrata in scena fino alla fine, e questa posizione va contro la prescrizione di Wayburn secondo cui l’entrata e l’exit step dovevano essere diversi dai movimenti fatti al centro della scena. In altri numeri Berkeley aggiunse alla chorus line una pony (così Wayburn aveva classificato le ragazze di corporatura più piccola, a cui erano riservati esercizi acrobatici e danza di precisione), che commetteva errori deliberati, in un atteggiamento che rompeva la riga.21 Oppure aveva creato “endurance lines”: le girls correvano a perdifiato allacciate l’una all’altra o saltavano con ritmi che non coincidevano, complicando la visualità. Commentando i numeri della commedia musicale Present Arms (1928), John Martin, che avrebbe svolto un ruolo cruciale nella teorizzazione e divulgazione della danza moderna americana, notava che nelle sue configurazioni Berkeley «[esplorava] la struttura ritmica del jazz in una misura mai tentata prima».22 In molti casi alle danzatrici è richiesto di eseguire ritmi in senso contrario e in un numero anche di eseguire simultaneamente due ritmi, l’uno contrario all’altro e anche contrario alla musica. Nelle Earl Carroll Vanities ci sono difficoltà simili, come contare 5 invece che 4, e poi 3 invece che 4, con un terzo ritmo da aggiungere colle braccia, dopo che gli altri due sono stati incorporati.23
Berkeley sfrutterà questa sua abilità nel cinema fin dal suo arrivo a Hollywood. Utilizzerà infatti il doppio ritmo nel numero “Stetson”, di Whopee!: le Goldwin Girls eseguono ripetutamente coi piedi un veloce offbeat time-step,24 mentre colle braccia muovono lentamente i cappelli da cowboy (i cosiddetti stetson) sottolineando la quarta e BARBARA STRATYNER, Ned Wayburn and the Dance Routine. From Vaudeville to the “Ziegfeld Follies”, Albuquerque, NM, Society of Dance History Scholars, 1996. 21 ROBERT MOULTON, Choreography in Musical Comedy and Revue on the New York Stage from 1925 through 1950, Ph.D. thesis, Minneapolis, University of Minnesota, 1958, pp. 47-49. Le girls erano divise a seconda dell’altezza e della corporatura in “show girls”, le più appariscenti; “chickens”, le cui evoluzioni danzate incorniciavano i solisti sulla scena, e, appunto, “ponies”. 22 ALLISON ROBBINS, Let’s Face the Music and Dance. Hollywood Musicals and the Mediatization of Broadway 1933-1939, Ph.D. thesis, Charlottesville, University of Virginia, 2010, p. 135. A Hollywood Berkeley farà ancora qualche gioco di questo tipo: ad es. in «Who’s Your Little Who-Zis» (Night World, 1932), alcune girls della chorus line sono distratte e, mentre le altre cantano, parlano tra loro. 23 Ivi, pp. 135-136. 24 La struttura del passo è in MARK KNOWLES, The Tap Dance Dictionary, Jefferson, NC and London, McFarland & Company, Inc., 2012, p. 218. 20
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l’ottava battuta di ogni frase di 8.25 Nello stesso film, in «Song of the Setting Sun», la frase di danza non asseconda il metro della musica e appare sincopata.26 La fabbrica dei numeri musicali alla Warner Bros. (1933-39) Dopo alcune esperienze in altri Studios, nel ’33 Berkeley fu scritturato dalla Warner Bros. ed è questo Studio, dove lavorò ininterrottamente per sei anni, che gli dette le possibilità realizzare pienamente le sue idee coreografiche e registiche.27 È qui che realizzò pienamente le sue idee. Berkeley aveva capito bene che, a differenza che in teatro, dove l’occhio dello spettatore è libero di andare dove vuole, nel cinema è l’occhio della cinepresa a guidarlo. Già alla Goldwyn aveva rifiutato di usare le quattro cineprese con cui si riprendeva la danza. Una sola macchina da presa gli era sufficiente: la sua idea era programmare la ripresa in modo talmente preciso, da fare i tagli direttamente mentre filmava.28 Divenne questo il suo stile di lavoro. Era cruciale razionalizzare il lavoro di ripresa, e rendere inesorabile la precisione necessaria al suo stile spettacolare. Berkeley ideò una struttura di palcoscenici concentrici rotanti (brevettata nel 1932), che, una volta realizzati, resero possibile che circoli concentrici di danzatori si spostassero ognuno a un ritmo diverso da quello dell’altro, senza le imprecisioni che sarebbero state inevitabili qualora a muoversi avessero dovuto essere dei corpi umani.29 Buzz, così veniva chiamato alla Warner, ideò anche una monorotaia su cui il dolly poteva spostarsi orizzontalmente e verticalmente, senza bisogno che diversi operatori azionassero il braccio mobile della cinepresa.30 Elevava normalmente il dolly fino a circa diciotto metri da terra, ma ottenne anche di potere, se necessario, forare il soffitto dello studio dove realizzava i numeri.31 Rendendo la macchina da presa così straordinariamente flessibile, poté creare per la danza gli inventivi e metamorfici spazi che Gene Kelly avrebbe lodato. Alla Warner Berkeley poté avvalersi con una certa continuità della coppia Harry Warren-Al Dubin (compositore-songster), del pianista accompagnatore Malcom Beelby e dell’arrangiatore Ray Heindorf, tutti e tre cruciali alla riuscita dei suoi numeri musicali in termini di ritmo. L’ingegnere del suono George Groves e il compositore 25
ALLISON ROBBINS, Busby Berkeley, Broken Rhythms and Dance Direction on the Stage and Screen, «Studies in Musical Theatre» 7/1, 2013, p. 80. 26 Robbins ne ha trascritto le battute (ROBBINS, Let’s Face the Music and Dance cit., p. 137). 27 Per la Warner Berkeley costruì numeri musicali nei film: 42nd Street, Gold Diggers of 1933 e Footlight Parade, tutti del 1933; Fashion of 1934, Wonder Bar e Dames nel 1934; Gold Diggers of 1935, In Caliente, Bright Lights, I Live for Love e Stars over Broadway nel 1936; Stage Struck, Gold Diggers of 1937, The Singing Marine e Varsity Show nel 1937; Hollywood Hotel, Gold Diggers in Paris e Garden of the Moon nel ’38. 28 «In tutta la mia esperienza nel cinema, non ho mai dovuto filmare due volte la stessa scena. Mi sono trovato ad aggiungere una scena, o a riscriverla, e l’ho quindi filmata nella nuova riscrittura, ma non l’ho mai filmata due volte. Il segreto del mio lavoro è nella preparazione, e questo costituisce i nove decimi della battaglia» (da un’intervista del 1969, cit. in DELAMATER, Dance cit., p. 30). 29 SPIVAK, Buzz cit., riproduzione, s.n.p. 30 Ivi, p. 71. 31 Berkeley in BRION – GILSON, A Style of Spectacle cit., p. 35. 64
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Warren hanno ricordato lunghi incontri in fase di produzione, in cui Berkeley «schizzava col gesso ogni collocazione della macchina da presa su una lavagna e informava lo staff del numero di battute che gli era necessario e di quanta pellicola avrebbe consumato per quella particolare ripresa».32 Buzz usava schizzare i movimenti della macchina da presa su una lavagna: ad ogni intersezione delle linee poneva un gancio, su cui appendeva delle bamboline a indicare dove si sarebbero trovate le girls durante la ripresa. Berkeley ripercorreva tutto il numero con Heindorf, il quale si annotava i movimenti delle ragazze, a cui avrebbe cercato di adattare la musica. Il suo lavoro era abbastanza rapido, e sembra che in genere nel giro di una notte Heindorf riuscisse a produrre una orchestrazione del song in cui ogni chorus era in una certa misura diverso dall’altro.33 Gli arrangiamenti di Heindorf furono una componente vitale dell’estetica di Berkeley perché servivano a controbilanciare la qualità ripetitiva dei numeri, in cui la struttura del chorus si rigenera continuamente: in «I Only Have Eyes for You» e in «Dames» (Dames) questo accade per ben undici volte, e in «The Words Are in My Heart» (Gold Diggers of 1935) si verifica nove volte. Frequenti cambiamenti di chiave creavano varietà nel mentre assicurano quella memorizzazione del song che nel suo effetto ipnotico si innesta in modo quasi inesorabile, proprio come una filastrocca, nella mente degli spettatori.34 Compositore, orchestratore, paroliere e regista-coreografo lavoravano per un unico fine: le rime del testo, i ritmi musicali e quelli visivi dovevano incastrarsi in modo perfetto. Essi esaltavano le modalità del song stesso, come tipo di composizione musicale. Ha scritto Gianfranco Vinay a proposito dei song di Warren per 42nd Street: La rima a tutti i costi fa parte di un meccanismo in cui la ripetizione è il principio fondamentale: ripetizione tematica, ritmica, ed anche e soprattutto ripetizione come fondamento della struttura formale. La formula AABA in frasi regolari […] è uno schema pressoché fisso.35
Per quanto riguarda l’intreccio tra ritmo sonoro e immagine visiva, Gerald Mast ha notato: Il numero di Berkeley perfettamente sviluppato è un circolo perfetto. Comincia con una chiara dichiarazione visiva, si sviluppa in un’altra nel secondo chorus, e poi ancora in un terzo. Entra in un centro di forma libera (dal quarto, diciamo, fino all’ottavo chorus) e poi, nell’ultimo, ritorna passo dopo passo alla esatta immagine visiva, posizione della macchina da presa, e alle esatte frasi musicali dell’apertura.36
ROBBINS, Let’s Face the Music and Dance cit., p. 120. «Quei numeri poi venivano assemblati abbastanza in fretta. In un certo senso si creavano da soli, erano ben fatti», ha ricordato Groves (ROBBINS, Let’s Face the Music and Dance cit., p. 110). 34 VEROLI – VINAY, “42nd Street”, cit., pp. 60-64. 35 Ivi, p. 61. 36 GERALD MAST, Can’t Help Singin’. The American Musical on Stage and Screen, Woodstock, NY, The Overlook Press, 1987, p. 128. 32 33
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Effetti orchestrali come il mickey-mousing, colle sue rime sonore e visive, fanno credere che sia l’immagine a generare la musica e non il contrario, come invece accadeva.37 La parte musicale era in genere pre-registrata, né sarebbe stato possibile utilizzare un’orchestra che eseguisse in diretta la musica, mentre la macchina da presa si spostava continuamente o addirittura si trovava a vari metri da terra. Così come la parte danzata dei numeri di Berkeley non poteva e non può tuttora essere realizzata in teatro, altrettanto era impossibile l’uso regolare dell’orchestra. Era proprio la pre-registrazione ad assicurare la sincronizzazione perfetta: inquadrature e riprese erano pianificate e temporizzate molto prima che di fatto avvenissero. Per certi numeri musicali, tuttavia, si preferì ritornare alla registrazione standard. Le routine che non dipendevano da un beat rigoroso, come le sequenze di nuoto sincronizzato in «By a Waterfall», furono filmate senza musica. Per quel numero Berkeley dava i comandi al megafono per tenere le nuotatrici, circa un centinaio, assieme. In «Lullaby of Broadway» (Gold Diggers of 1935), i danzatori di tip-tap, essendo in così gran numero, producevano un suono talmente forte che si sovrapponeva al playback: fu necessario pertanto registrare live, disponendo l’orchestra in un angolo della vasta sala e i microfoni all’altezza dei danzatori.38 La potenza sonora dei gruppi di boys e girls, che si contrappongono in questo numero come veri e propri squadroni diversificati per genere, contribuisce a creare una drammaticità mai più raggiunta da Berkeley, e forse consonante coi tempi, politicamente segnati dalle minacciose parate naziste. Le sequenze di passi si rispondono in un serrato dialogo che il montaggio veloce rende più propriamente una lotta forsennata, o una guerra danzata a braccia sollevate. Inquadrature del primo piano delle gambe e dei piedi che battono il suolo sembrano la messa a fuoco di armi infallibili, mentre la ripresa dal basso dei corpi interi, sempre con angolazione obliqua, mostra i contendenti ora riuniti per genere, ora no, ed allineati in file che riempiono tutto lo spazio disponibile.39 Ma che rapporto aveva Berkeley coi suoi danzatori? Lui ha raccontato: Prima di provare le grandi routine musicali, chiedevo alle girls di disporsi attorno a una lavagna e, come in una classe, chiedevo loro di sedersi e di guardarmi. mentre spiegavo i movimenti tramite un diagramma. Questo catturava sempre il loro interesse: spiegare quello che si proponeva una routine, dove si sarebbe trovata la macchina da presa, dove ROBBINS, Let’s Face the Music and Dance cit., p. 115. Per i mutamenti di chiave ed il “mickeymousing” di «By the Waterfall» (Footlight Parade), vedi ivi, pp. 113 e 114. L’adattamento teatrale, tentato anche di recente, dei numeri di Berkeley (ad es. in 42nd Street, tra i musical cinematografici più famosi di tutta la storia del cinema) si è rivelato problematico anche per la parte musicale, giacché certi bilanciamenti di suoni strumentali erano creati dagli ingegneri del suono della Warner. La loro improbabilità nel mondo reale era parallela alla fantasmaticità della componente visiva. 38 «I danzatori non avevano le placche metalliche sotto le scarpe […], indossavano scarpe colla suola di legno per fare rumore, ma il suono era profondo, riverberante, quasi fragoroso, il che lo rende, credo, molto più eccitante, perché si sentiva la potenza di tutti quei passi che in scena andavano a ritmo» (G. Groves, cit. in ROBBINS, Let’s Face the Music and Dance cit., pp. 88). 39 Questa parte del numero è in <https://www.youtube.com/watch?v=tTgcMzRdmBY> (ultima consultazione 5 febbraio 2021). 37
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«È LA MACCHINA DA PRESA CHE DEVE DANZARE» sarebbero state loro. In genere facevo sempre anche uno schizzo dello shot finale. Questa procedura era particolarmente utile quando filmavo dall’alto pattern complicati.40
C’è da credere che le danzatrici (e i danzatori, quando coinvolti) avevano ben poca autonomia e possibilità di autodeterminazione. In questo senso bisogna ammettere che Berkeley nei suoi numeri musicali è andato il più vicino possibile a realizzare quella marionettizzazione del movimento a cui hanno puntato le avanguardie moderniste. Le rime e i ritmi visivi di Berkeley non cessano di stupire, perché manipolano la percezione del tempo vissuto dall’osservatore, come certi giochi ottici dell’Ottocento. Alla dimensione di godimento tutta privata e all’esperienza plurisensoriale di quelli, Berkeley ha invece sostituito una dimensione eminentemente visiva e di massa, che anche per questo si è caricata degli echi drammatici della società del suo tempo.
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Cit. in DELAMATER, Dance in the Hollywood Musical cit., p. 30. 67
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Attilio Cantore CASTELNUOVO-TEDESCO AL 2. FESTIVAL INTERNAZIONALE DI MUSICA DI VENEZIA: UN QUINTETTO DI SUCCESSO, FRA DUBBI E SECCATURE Il Festival Internazionale di Musica di Venezia, prima fra le manifestazioni musicali nate durante il ventennio fascista,1 è fin dalla sua fondazione una delle realtà artistiche italiane più prestigiose. Orientando la ricerca sul piano dei rapporti fra i singoli compositori e gli organizzatori, è possibile rilevare aspetti particolarmente interessanti non solo sulla gestazione dei lavori presentati ma, più in generale, in riferimento al temperamento artistico dei singoli autori. In tal senso, tesaureggiare il patrimonio documentale custodito presso l’Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia si impone come primo punto all’ordine del giorno. Proprio a partire dalle cosiddette ‘scatole nere’ dell’ASAC,2 il presente contributo ripercorre le tappe dell’organizzazione del 2. Festival Internazionale di Musica – all’epoca diretto da Adriano Lualdi, coadiuvato da Alfredo Casella e Mario Labroca – e in particolare della partecipazione di Mario Castelnuovo-Tedesco (1895-1968). L’11 settembre 1932 il compositore fiorentino, insieme al Quartetto Poltronieri, presenta il suo nuovissimo Quintetto in fa maggiore al Teatro La Fenice. La première veneziana è un successo ma non risulta essere esente da alcuni contrattempi, fra dubbi e seccature, come chiaramente emerge dalla corrispondenza intrattenuta fra il compositore, Lualdi e la Segreteria del Festival. Un particolare inedito che va a incastonarsi all’interno degli studi su Castelnuovo-Tedesco promossi con costanza e fervida passione dalla nipote Diana.3 Tra gli eroici fulgori dell’anno decimo Il 1932 è un anno mirabile nella storia d’Italia. Nel decennale della ‘marcia su Roma’, tutto sembra ormai confermare fieramente i vaticini di una nuova epoca, annunciata con 1
Il debutto del Festival veneziano risale al 1930. Seguono, in ordine cronologico, quello del Maggio Musicale Fiorentino (1933), della Sagra musicale umbra (1937), del Teatro delle Novità di Bergamo (1937) e della Settimana musicale senese (1939). Le ‘Scatole nere’ del Fondo Storico dell’ASAC sono una serie di fascicoli che raccolgono i documenti relativi alle prime Biennali (1894-1944). 2
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Vorrei ringraziare Diana Castelnuovo-Tedesco per il suo indispensabile supporto offerto a musicisti e musicologi impegnati nello studio e nella valorizzazione del repertorio del suo illustre nonno. Negli anni mi sono occupato di Mario Castelnuovo-Tedesco a più livelli: inizialmente, in qualità di produttore esecutivo, curando una incisione discografica con il pianista Alfonso Soldano (Divine Art, 2017), per poi incentrare la mia tesi magistrale, sotto la guida di Cesare Fertonani, sul repertorio pianistico del compositore fiorentino (Università degli Studi di Milano, 2019); inoltre, ho avuto modo di approfondire differenti aspetti della carriera artistica di Castelnuovo-Tedesco in convegni (SIDM 2018, Saggiatore Musicale 2018), conferenze (Sala Accademica del Conservatorio “Santa Cecilia”, Roma 2018; Conservatorio “Barga”, Teramo 2018; Luglio Musicale Trapanese, 2018) e altre occasioni divulgative. 69
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magniloquenza retorica dai riti della propaganda fascista,4 mentre il sogno di progresso della tecnica e delle arti si fa via via più palpabile, naturale prosecuzione di una premessa inscalfibile di gloria. Alla velocità dell’ultimo gioiello automobilistico, la FIAT 508 Balilla presentata a Milano il 12 aprile, il pensiero di ognuno sembra girare attorno a un unico motivo turbinante, a un solo tic ideologico: l’affermazione trionfale di una nuova era nel segno del superiore ingegno italico. Così, mentre gli ultimi lavori per la sistemazione urbanistica della Città Eterna suggellano un ‘prodigio sistino’ con l’approntamento del Foro Mussolini (oggi Foro Italico), a Venezia ci si attrezza infaticabilmente per fare della Biennale la più invidiabile vetrina internazionale delle moderne fucine artistiche del regno, sotto lo sguardo vigile e benedicente del Duce. Il 13 gennaio 1930 un Regio Decreto trasforma la Biennale in un Ente Autonomo, con personalità giuridica. La blasonata istituzione veneziana viene così svincolata dal controllo municipale e posta direttamente sotto quello del governo, con un board di cinque membri selezionati rigorosamente ‘dall’alto’.5 A presiedere il nuovo assetto, Mussolini sceglie Giuseppe Volpi conte di Misurata.6 Veneziano di nascita, industriale, massone ed esponente politico, già governatore della Tripolitania (1922-1925), ministro delle Finanze (1925-1928) e futuro presidente di Confindustria. Durante l’era Volpi (1930-1943), il legame fra l’élite capitalista, il regime fascista e i circoli culturali veneziani diviene strettissimo. Dal punto di vista della programmazione artistica, il ventaglio delle proposte culturali si allarga considerevolmente, con uno sguardo rivolto anche a ciò che di buono viene prodotto oltralpe – secondo un canone di pluralismo estetico –, mirando però principalmente a definire, in qualche maniera, un linguaggio artistico ‘nazionale’, assecondando i propositi del regime.7 Ecco perché, «confidando nel ritorno di immagine presso l’opinione pubblica italiana e straniera, il fascismo accettò volentieri la creazione di questi eventi».8 «Il compito di promuovere l’idea di un’arte italiana compatta, e pronta a sostenere il confronto con le altre nazioni, divenne centrale dal momento in cui la Biennale fu la ‘regina’ delle esposizioni di regime».9 Sono anni frementi in cui vengono inaugurate celebri esposizioni, alcune delle quali svolgono ancora oggi un ruolo di primissimo piano nel panorama culturale mondiale. Al 1930 risale la prima edizione del Festival Internazionale di Musica Contemporanea, il
Cfr. LAURA MALVANO, Fascismo e la politica dell’immagine, Torino, Bollati Boringheri, 1988. Cfr. ENZO DI MARTINO, La Biennale di Venezia 1895-1995. Cento anni di arte e cultura, Milano, Mondadori, 1995, ROMOLO BAZZONI, 60 anni della Biennale di Venezia, Venezia, Lombroso, 1962. 4 5
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Cfr. SERGIO ROMANO, Giuseppe Volpi: industria e finanza tra Giolitti e Mussolini, Milano, Bompiani, 1979, in particolare il capitolo Il mito di Venezia, pp. 195-202, ROLAND SARTI, Giuseppe Volpi, in Uomini e volti del fascismo, a cura di Fernando Cordova, Roma, Bulzoni, 1980, pp. 523-546. 7
Cfr. MARLA SUSAN STONE, The Patron State. Culture and Politics in Fascist Italy, Princeton, Princeton University, 1998.
FIAMMA NICOLODI, Novecento in musica. Protagonisti, correnti, opere. I primi cinquant’anni, Milano, il Saggiatore, 2018, p. 148. 9 MASSIMO DE SABBATA, Tra diplomazia e arte: le Biennali di Antonio Maraini (1928-1942), Udine, Forum, 2006, p. 80. 8
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cui fuoco finalmente divampa dopo aver «covato sotto le ceneri»,10 dai tempi del terzo festival della Società Internazionale di Musica Contemporanea (Venezia 1925). A distanza di due anni viene inaugurata la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica all’Excelsior Palace Hotel del Lido (6-21 agosto 1932), primo festival di cinema al mondo.11 Non bisogna dimenticare poi il Congresso Internazionale d’Arte Contemporanea (30 aprile - 3 maggio1932), il Festival Internazionale del Teatro (1934), il Convegno Fascista dell’Arte (23-24 ottobre 1932) e le due edizioni dei Convegni di Poesia per il Premio del Gondoliere (1932 e 1934). Se da un lato il conte Volpi intreccia istituzionalmente le sillabe del proprio eccellentissimo nome al ‘corredo’ della nuova storia della Biennale, in sede organizzativa il vero demiurgo della politica culturale durante il quindicennio 1928-1943 è lo scultore e critico d’arte Antonio Maraini (18861963), già organizzatore e allestitore di mostre prestigiose e nel 1927 nominato Segretario generale dell’Esposizione veneziana.12 Tra diplomazia e arte, con Maraini la propaganda assume rilievo sempre maggiore, basandosi sull’assioma secondo cui «oltre al fatto spirituale, un’esposizione deve essere un fatto commerciale».13 In buona sostanza, «exhibitions are propaganda».14 E su questo politicizzato scacchiere artistico un ruolo decisivo lo giocano i rapporti con la Stampa nazionale e internazionale, tenuti dal conte Elio Zorzi, fautore di un accuratissimo e capillare piano di comunicazione. La stampa quotidiana era utilizzata per tenere al corrente il pubblico sulle attività dell’ente, articoli e inserti sulla Biennale venivano pubblicati su giornali e riviste italiane e straniere. I Paesi coinvolti dalla propaganda erano numerosi in Europa, estendendosi anche alle città del Nord e Sud Africa, del Sud America e dell’Australia.15
I benefici socio-economici tratti da questa ambiziosa operazione sono evidenti. Grazie alla sponsorizzazione delle varie esposizioni, vecchie e nuove, la Direzione della 10
GIAN FRANCESCO MALIPIERO, I diciannove festival della Biennale di Venezia, opuscolo stampato per il XX Festival Internazionale di Musica Contemporanea, Venezia, Stamperia di Venezia, 1957, p. 1. 11 Nel corso di quindici serate vengono proiettati 40 film «a lungo ed a corto metraggio» di 33 case produttrici. Fra le suggestive pubblicazioni dedicate dalla Fondazione La Biennale di Venezia, cfr. Venezia 1932. Il cinema diventa arte, Venezia, La Biennale, 1992; Il Cinema in Mostra. Volti e Immagini dalla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica 1932-2018, Venezia, La Biennale, 2018; Mostra del cinema, 1932. Tra modernità e tradizione, a cura di Alfredo Baldi, Venezia, La Biennale, 2007. 12 Cfr. VITTORIO FAGONE, Arte politica e propaganda, in Anni Trenta: Arte e Cultura in Italia, catalogo della mostra, Milano, Mazzotta, 1983; PASQUALINA SPADINI, Antonio Maraini artista e critico del ventennio, in Officina della critica: libri, cataloghi e carte d’archivio (Catalogo della mostra allestita alla Biblioteca della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma dal 20 dicembre 1991 al 4 marzo 1992), a cura di Elena Di Majo, Milano, Electa, 1991, pp. 69-76. 13 Come riportato in un verbale della Commissione Straordinaria del 1931 citato da CRISTINA FONTANA, Comunicazione e graphic design della Biennale di Venezia (1895-1950), in Storie della Biennale di Venezia, a cura di Stefania Portinari e Nico Stringa, Venezia, Edizioni Ca’ Fsocari, 2019, p. 23 14
LAWRENCE ALLOWAY, The Venice Biennale 1895-1968. From salon to goldfish bowl, London, Faber & Faber, 1969, p. 38. 15 FONTANA, Comunicazione e graphic design della Biennale di Venezia cit., p. 25.
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Biennale riesce a incrementare il turismo in città, contando su cooperazioni con agenzie del settore e con l’imprenditoria locale (come la Compagnia Italiana dei Grandi Alberghi), rilanciando portentosamente il Lido di Venezia fra le mete più chic del Paese.16 Un modo efficace per «consolidare il mito di spazio ideale dello svago e dell’impegno culturale adatto a un tipo di nuovi flussi turistici aristocratico-borghesi e creando per questi il massimo di occasioni “alte” di divertimento mondano».17 Non a caso, i concerti e i balletti vengono raggruppati a cavallo fra l’estate e l’autunno, cioè fra settembre e ottobre, prolungando in tal modo la consueta stagione turistica. Tutte strategie che si inseriscono nel più ampio solco della propaganda culturale e ricreativa fascista. Nel corso degli anni ’30, la Biennale di Venezia diventa fulcro centrale di tale visione politica e, per merito del binomio Volpi-Maraini, già nel 1932 la città lagunare riesce ad attirare magneticamente a sé oltre 250 mila visitatori. Il 2. Festival Internazionale di Musica: note di backstage Non solo l’esperimento iniziale del Festival Internazionale di Musica (7-14 settembre 1930) «non [rimane] un caso isolato nella cronaca delle manifestazioni musicali italiane» ma, a dispetto del torvo cipiglio degli scettici, costituirà addirittura «il punto di partenza per una collana di manifestazioni».18 Cosa ancor più importante, sulla scorta del bilancio artistico del 1930,19 in vista della seconda edizione si procede «al “matrimonio” fra la giovanissima manifestazione musicale e l’ormai antico e glorioso istituto veneziano per le arti figurative», permettendo «automaticamente, quella stabilizzazione della Biennale di musica».20 A presiedere il Festival c’è una personalità carismatica del calibro di Adriano Lualdi, fervido sostenitore de «l’Uomo che Dio ha dato all’Italia: Mussolini»,21 protagonista del «risorto spirito nazionale che è la più bell’opera del fascismo»,22 artista che partecipa, «con sempre maggiore consapevolezza, fuori della sua eburnea torre, all’opera di ricostruzione e di rieducazione politica».23 16
Non sarà certamente un caso se iconograficamente i manifesti della prima edizione del Festival Internazionale del Cinematografo, realizzati da Nuchovich, «richiamano Venezia e il Lido, accostati a rappresentazioni di pellicole e bobine, che diventano il simbolo della manifestazione», FONTANA, Comunicazione e graphic design della Biennale di Venezia cit., p. 31.
GIUSEPPE GHIGI, L’olimpiade del cinema sul bagnasciuga di Volpi, in Venezia 1932 – Il cinema diventa arte, a cura di Giuseppe Ghigi, Venezia, Edizione Biennale, 1992, p. 22. 18 ADRIANO LUALDI, Prefazione al Programma Ufficiale del Secondo Festival Internazionale di Musica, Venezia, Ferrari, 1932, p. 7. 19 «Il bilancio finanziario del I° Festival veneziano si è chiuso con un avanzo di L. 3549,50. Questo residuo attivo, - modesto ma abbastanza significante, se si pensa ai grossi deficit che coronano generalmente le imprese d’arte – è stato versato dall’Amministrazione del I° Festival alla Amministrazione della Biennale d’Arte appena giunta da Roma l’autorizzazione al Festival di far corpo unico con la Biennale; alla Biennale, di assumere la gestione del Festival. E questa somma costituisce, nel bilancio del II° Festival, la prima voce dell’elenco del nuovo finanziamento», in ivi, pp. 7-8. 20 Ivi, p. 7. 17
21
Ivi, p. 17.
22
ID., Arte e Regime, Roma-Milano, Augustea, 1929, p. 89. GIUSEPPE BOTTAI, Prefazione, in LUALDI, Arte e Regime cit., p. 20.
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È a Lualdi che va senza dubbio il merito di aver trovato «i mezzi materiali ed essenziali per realizzare l’ardua impresa».24 Fra mille garbugli burocratici e amministrativi, riesce a difendersi abilmente dai tiri mancini del collega deputato Carlo Delcroix; contando talvolta sulla generosità di amici e colleghi – Respighi spontaneamente non richiede alcun cachet ma solo un rimborso spese25 – ovunque si potesse va giorno e notte «fragorosamente bussando a quattrini».26 Perché, a dispetto di quel che immaginava, la Biennale d’Arte, cui il suo Festival nel 1932 andava ‘imparentandosi’, non era affatto milionaria ma decisamente «povera in canna».27 Fra sovvenzionamenti governativi strappati con i denti e le solite beghe con le istituzioni private, da par suo il Teatro La Fenice non è che faciliti molto le cose a Lualdi. Il presidente Mario Mani Mocenigo, trovandosi «nella dura necessità di non poter concedere il teatro alle condizioni di favore» praticate nel 1930, gli richiede infatti «il rimborso di tutte le spese serali di Teatro e palcoscenico, il 6% sui bordereaux serali».28 Sul finire del 1931, stremato e amareggiato da questa indigesta situazione, Lualdi è sul punto di abbandonare il progetto. Un accorato panegirico di Maraini sulle squisite virtù del non accostumarsi a certe facili arrendevolezze fungerà per il compositore molisano da provvidenziale tonico ricostituente. Se io avessi dovuto fare così come tu dici tutte le volte che il caso mi parve disperato, a quest’ora la Biennale probabilmente sarebbe già chiusa! No no, bisogna continuare con tenacia e vedrai riusciremo. […] Insomma tu dovresti uscire un po’ dal silenzio in cui ti sei chiuso e nel quale indovino un certo malumore che io davvero non merto, perché ho sempre fatto quel che potevo per una impresa che tanto, come tu sai, mi interessa.29
Il Segretario generale dimostra a ogni ticchettio di macchina da scrivere il suo appoggio incondizionato: «desidero che tu senta che per la Biennale il Festival Musicale è altrettanto importante quanto le sue altre manifestazioni».30 L’«opera febbrile» di Lualdi, dunque, non si arresta: prosegue spedita, cadenzata dal fermento delle principali testate giornalistiche – dal «Corriere della Sera» a «Il Secolo XIX», da «Il giornale d’Italia» a l’«Educazione fascista». Il ‘bel mondo’ musicale italiano già pregustava le primizie della «importante e geniale manifestazione di propaganda musicale che avrà
24
MALIPIERO, I diciannove festival cit., p. 1. Lettera di Ottorino Respighi a Lualdi del 20 agosto 1932, in Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia, Fondo Storico, serie Scatole nere, busta 66 (d’ora in poi citato nella forma abbreviata ASAC, FS, SN, b. 66). I coniugi Respighi verranno alloggiati, per tutto il periodo del Festival, al Grand Hotel Des Bains del Lido, come richiesto espressamente da Elsa in una lettera a Lualdi del 25 agosto 1932 («una camera con due letti e bagno»). 26 Da una lettera di Lualdi a Maraini del 18 gennaio 1931, ASAC, FS, SN, b. 66. 27 Da una lettera del 17 ottobre 1931 scritta da Volpi a Balbino Giuliano, Ministro dell’Educazione Nazionale. Identica dicitura viene ripetuta da Maraini a Lualdi in una lettera del 23 ottobre 1931. Entrambe in ASAC, FS, SN, b. 66. 25
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Lettera del 18 febbraio 1932, ASAC, FS, SN, b. 67.
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Da una lettera di Antonio Maraini del 14 dicembre 1931, ASAC, FS, SN, b. 66. Lettera di Maraini a Lualdi del 27 agosto 1932, ASAC, FS, SN, b. 66.
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luogo prossimamente a Venezia».31 Il collega Malipiero, nel marzo 1932, non può fare a meno di rivolgersi all’amico Lualdi in questi toni encomiastici: Non chiamarmi né adulatore, né rimbambito, ma lascia che io ti esprima la mia ammirazione per quello che sei riuscito a fare, la larghezza delle tue vedute, e la tua fratellanza artistica, più ammirevole perché hai le tue idee e queste, talvolta, mi sembrano in contraddizione colle tue vere aspirazioni di uomo moderno.32
Al fianco di Lualdi, in qualità di vice-presidente, l’infaticabile Alfredo Casella: quel «tanto discusso artista» che vantava «una quantità grande di nemici» e «anche un gran numero di amici»,33 membro del Comitato Ministeriale per il disciplinamento delle Mostre, in sintonia con il fascismo «negli anni in cui la volgarità squadrista lasciava il posto all’edificazione del regime».34 Compositore e pianista che da sempre aveva contribuito «all’allargamento delle conoscenze e ad un abito mentale “culturale” verso la nuova musica»35 – suo, tra l’altro, il merito nel 1925 della scelta di Venezia come location per il festival della SIMC, «uno dei più memorabili avvenimenti musicali della città».36 Casella «dimostrava non solo la sua informazione sulla situazione musicale dei teatri e delle istituzioni sinfoniche dei maggiori paesi» ma aveva «un fiuto quasi infallibile nella segnalazione delle musiche importanti».37 Mario Castelnuovo-Tedesco, nelle sue memorie, lo ricorderà così: Era ambiziosissimo, ma non solo per sé, anche per gli altri, e direi, in genere, per la musica italiana moderna, che desiderava vedere all’avanguardia del ‘movimento europeo’. Aveva inoltre il raro dono (come non l’ebbero forse, prima di lui che Schumann e Liszt) di saper scoprire nuovi talenti; e li incoraggiava e li appoggiava con una generosità senza pari.38
Alla seconda edizione del festival veneziano Caella presenta La favola di Orfeo, opera dalla «visione mitologica stilizzatissima»39 per la quale era «preso fino alla
Lettera della Direzione amministrativa del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano (27 luglio 1932, prot. n. 45) indirizzata a Lualdi: si chiariscono i termini delle prove dell’Orchestra da camera del Teatro alla Scala, in vista del festival veneziano. ASAC, FS, SN, b. 67. 32 Da una lettera di Malipiero a Lualdi del 28 marzo 1932, ASAC, FS, SN, b. 66. 33 ADRIANO LUALDI, Il rinnovamento musicale italiano, «Quaderni dell’Istituto Nazionale Fascista di Cultura», III, 1931, pp. 65-68. 34 GUIDO SALVETTI, Storia della musica, vol. 10: La nascita del Novecento, Torino, EDT, 19912, p. 304. 35 ID., La «Generazione dell’80» tra critica e mito, in Musica italiana del primo Novecento. La «Generazione dell’80», a cura di Fiamma Nicolodi, Firenze, Olschki, 1981, p. 62. 36 MALIPIERO, I diciannove festival cit., p. 1. 37 GIOVANNI GAVAZZENI, Aperture europee negli scritti di Casella, in Alfredo Casella e l’Europa, a cura di Mila De Santis, Firenze, Olschki, 2003, pp. 343-360: 345. 31
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MARIO CASTELNUOVO-TEDESCO, Una vita di musica (un libro di ricordi), a cura di James Westby, Fiesole, Cadmo, 2005, p. 100. 39
SALVETTI, Storia della musica cit., p. 304. 74
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stratosfera»40 e che termina di scrivere a meno di un mese dalla prima esecuzione del 6 settembre 1932. Nel team di Lualdi figura anche Mario Labroca, direttore del Consorzio Enti Lirici, cooptato per il coordinamento della Segreteria del Festival, insieme alla sorella del collega Aldo Finzi, Ada, Mario Giuranna e Alberto Zaiotti.
Figura 1: Copertina del programma ufficiale del 2. Festival Internazionale di Musica di Venezia (© Archivio Storico della Biennale di Venezia – ASAC, Fondo Storico, serie Musica, b. 1).
Prima di diventare direttore del Conservatorio “San Pietro a Majella” di Napoli (1936-1944), Adriano Lualdi lega quindi il suo nome alle prime tre edizioni del festival veneziano, garantendo così ai ‘rinnovatori della musica’ l’appoggio della intellighenzia e dei vertici fascisti e consegnando contestualmente al Duce, per così dire, il ‘certificato di paternità’ del progresso musicale. D’altronde, la sua più recente pubblicazione, Il rinnovamento musicale italiano (1931), nel tracciare la storia musicale del Paese dal 1863 alla contemporaneità, termina riconnettendo «la grandiosa mole di lavoro e la grandiosa opera di rinnovamento Così scrive Lualdi il 9 agosto 1932, riferendo all’amico Alfredo alcune apprensioni di Malipiero, in ASAC, FS, SN, b. 66. Casella gli risponderà il giorno successivo rassicurandolo: «domani parte a Roma l’ultimo fascicolo della partitura dell’Orfeo. Puoi dormire tranquillo». 40
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compiuta, e ancora in atto, dai nuovi musicisti d’Italia in quest’ultimo ventennio» direttamente con «il ventennio della guerra vittoriosa, e della Rivoluzione Fascista».41 Chi sono questi «nuovi musicisti d’Italia»? Con le parole di Lualdi, si potrebbero catalogare sinteticamente per virtù anagrafica: I più anziani di essi sono oggi fra i 55 e 56 anni di età [gli ‘ottantisti’]; i più giovani, Labroca, Mortari, Rota-Rinaldi, vanno da un massimo di 35 a un minimo di 20 anni. Alcuni hanno già dato molto, ma non tutto; altri hanno dato poco, ma promettono, per segni sicuri, molto per l’avvenire. Lasciamo tempo al tempo.42
In un periodo in cui «i profeti della nuova musica italiana […] si chiudono a coltivare la propria differenza»43 – senza alcuna ‘scuola’ compatta ognuno rappresentando, per così dire, «una fortezza, con ponti levatoi, fossati pieni d’acqua (spesso stagnante) cannoni ecc. ecc.»44 – il Festival si configura come palcoscenico ideale sul territorio nazionale per dar voce al «fervore di attività» e alla «vastità e varietà di geniali fatiche che caratterizza questo bello e confortante momento storico della rinascita musicale italiana».45 Venezia andava confermandosi come «luogo di creazione e proiezione, di convergenze e irradiazioni […] città ‘contemporanea’ perché segue l’evolversi e il divenire delle forme, perché sa incastrare il passato nella vita di oggi, sicura che essa integrerà a sua volta quella di domani».46 La seconda edizione (3-15 settembre 1932) si fregia dell’Alto Patronato della principessa di Piemonte, Maria José del Belgio,47 proseguendo nel segno della musica da camera o per piccola orchestra; in più, questa volta, prevedendo anche l’opera da camera (L’alba di Don Giovanni di Franco Casavola, Pantèa di Malipiero, La favola di Orfeo di Casella, El retablo de maese Pedro di De Falla, Maria Egiziaca di Respighi, La Grançèola di Lualdi, Il caffè di Bach, La Passione di Fernando Liuzzi e Il combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi) oltre a un concorso, e relativo concerto, di ‘musica radiogenica’ italiana (con Guarini, Pedrotti, Gorini, Dallapiccola, Rota, Marzollo, Longo e Sonzogno), «in omaggio al nuovo e più potente mezzo di diffusione, la radio, ed anche per lasciare adito di rivelarsi ai più giovani e men conosciuti
41
LUALDI, Il rinnovamento musicale italiano cit., p. 82. Ivi, p. 58. 43 FRANCESCO FONTANELLI, «Non posso, non devo, non voglio». Il Maestro Pizzetti nella “lega” dei modernisti, «Chigiana Journal of Musicological Studies» III/1, XLIX, 2019, pp. 29-57: 50. 44 Lettera di Malipiero a Pizzetti del 18 giugno 1928, conservata a Roma presso l’Archivio Storico dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana: Fondo Ildebrando Pizzetti. Riportata in FONTANELLI, «Non posso, non devo, non voglio» cit., p. 50 (n. 56). 45 LUALDI, Il rinnovamento musicale italiano cit., p. 58. 42
46
MARIO LABROCA, Il festival internazionale di musica contemporanea, in Teatri nel mondo. La Fenice, Milano, Nuove edizioni, 1972, p. 259. 47
Lualdi la interpella opportunamente per imbastire il programma del concerto di musica francese e belga. Il Gentiluomo di Corte di Servizio Flavio Borghese, XII principe di Sulmona, scriverà da Napoli il 15 maggio 1932 trasmettendo a Lualdi i ringraziamenti della «Augusta Principessa», ASAC, FS, SN, b. 66. 76
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ingegni».48 Una limitazione, quella del repertorio cameristico, «volentieri accettata» 49 dagli organizzatori che in questo modo definiscono meglio il carattere del loro festival: «inconfondibilmente personale in confronto di tutti gli altri istituti del genere stranieri, e di quelli che in un avvenire più o meno prossimo, potessero sorgere anche in Italia».50 La selezione dei compositori avviene unicamente per inviti, escludendo il metodo per esaminazione da parte di una giuria. Una novità introdotta da Maraini per la XVIII Biennale d’Arte (28 aprile-28 ottobre 1932). In verità, «una novità per modo di dire» essendoci stati in passato alcuni precedenti.51 Inoltre, sempre uniformandosi ai criteri adottati dalla Biennale d’Arte, nel 1932 Lualdi prevede per la sua ‘esposizione’ «la divisione in Padiglioni musicali». Il programma ufficiale – con copertina illustrata da Casorati52 – accoglie pertanto sei ‘padiglioni’ dedicati ai compositori italiani e cinque a quelli stranieri.53 Vengono scelte solo «musiche italiane nuovissime, e, straniere, di 48
MARIO CASTELNUOVO-TEDESCO, La seconda Biennale di musica a Venezia, «Scenario» I, 9 ottobre 1932, pp. 30-35, in ID., La penna perduta. Scritti 1919-1936, edizione critica di Mila De Santis, Ariccia, Aracne, 2017, p. 433-448: 444. 49 LUALDI, Prefazione cit., p. 7. 50 Ibidem. 51 Cfr. ANTONIO MARAINI, La XVIII Biennale d’Arte a Venezia, estratto dal n. 8 (agosto 1931) de «Le Tre Venezie», Venezia, Tipografia del «Gazzettino illustrato», 1931. 52 Sulla copertina del programma ufficiale del 2. Festival Internazionale di Musica, un’opera di Felice Casorati (1883-1963) particolarmente emblematica (Figura 1). Un languido Orfeo, seduto, braccia raccolte compostamente sulle gambe e testa piegata verso sinistra, è attorniato da tre uccelli e tre pesci, attratti dal suono della sua lira, che giace a terra dopo aver creato il portentoso incanto sonoro. Il legame fra Casorati e il mondo musicale, come è noto, non è riferibile solo ad astratte suggestioni iconografiche – oltre questo Orfeo basti ricordare Suonatore di flauto (1920), Suonatore di fisarmonica (1924), Maschere (1929), Suonatrice (1930), Donna seduta e chitarra (1938), L’isola delle sirene (1949), Uova e pifferi (1959). Dal 1933 (La Vestale di Spontini al Maggio Fiorentino) al 1952 (Il Principe di legno di Bartòk-Millos al Teatro alla Scala), infatti, Casorati è impegnato nell’elaborazione dei bozzetti per le scene e i costumi di spettacoli operistici – al pari dei colleghi, di poco più giovani, Mario Sironi e Giorgio de Chirico – collaborando con Malipiero (Ecuba), Casella (La donna serpente), Petrassi-Millos (Le follie d’Orlando), Ghedini (Le Baccanti), Montemazzi (L’amore dei tre re), Dallapiccola (Job), De Falla (L’amore stregone). Il respiro internazionale del cartellone del 1932 è evidente, fin dall’inaugurazione del 3 settembre, con un concerto di «musica moderna di varie nazioni» diretto Antonio Guarnieri alla testa di 25 professori dell’Orchestra del Teatro La Fenice. In programma Gioachino Rossini (Sinfonia da La Scala di Seta), Riccardo Zandonai (il poemetto per flauto e piccola orchestra Il Flauto Notturno), Igor Stravinskij (Pastorale), Theodor Rogalsky (Deux danses roumaine: pour instruments à vent, piano à quatre mains et batterie) ed Ernst Bloch (i quattro Episodi per orchestra da camera). Diretto da Desiré Defauw, il «Concerto di musica francese e belga» del 5 settembre, «sotto il Patronato di S.E. M.me Beaumarchais, Ambasciatrice di Francia presso il Quirinale», offriva un impaginato dove convivevano in adiacenza Albert Roussel (Divertissement op. 6 per quintetto di fiati e pianoforte), Henri Tomasi (Chansons Corses per corno e pianoforte), Francis Poulenc (Concerto in re minore per due pianoforti dedicato a Winnaretta Singer, con Poulenc e Jacques Février al pianoforte), Marcel Delannoy (Figures sonores), Jacques Ibert (Suite pour petit orchestre), Joseph Jongen (la suite Tableaux pittoresques op. 56). L’8 settembre, nell’ambito di un «Concerto di musica nord-americana» («sotto il patronato di S.E. Mrs. Garret, Ambasciatrice d’America presso il Quirinale») diretto da Fritz Reiner, alla guida di 25 componenti dell’Orchestra del Teatro alla Scala di Milano, viene eseguito parzialmente il Concerto in Fa di George Gershwin, con Harry Kaufmann impegnato nella parte solistica, insieme alla Rhapsody di Leo Sowerby, le Oriental Impressions di Henry Eichheim, le Litanies of Women di Lazare Saminsky e la Golem Suite di Joseph Achron. Il 9 settembre un «Concerto di musica sud-americana» diretto da Adriano Lualdi, «allo scopo di iniziare un’azione quanto più proficua possibile d’interscambio culturale fra le Nazioni dell’America 53
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prima esecuzione in Italia». Ma qualcuno non ha potuto fare a meno di evidenziare degli «inconvenienti» nella diramazione degli inviti: come un tal quale cameratismo che ha portato inevitabilmente a «una netta preferenza per i compositori di estrema destra».54 Ad ogni modo, nelle linee guida annunciate, la Direzione del festival ricerca «nei lavori scelti a formare i vari programmi delle sue manifestazioni, solo le qualità d’arte che li rendano degni d’essere eseguiti e resi noti all’infuori d’ogni scuola e d’ogni chiesuola».55 Come nel caso del Quintetto in fa maggiore per pianoforte e archi di Mario Castelnuovo-Tedesco. Castelnuovo-Tedesco alla seconda Biennale di musica Fra le varie ‘occasioni’ della destinerranza artistica di Mario Castelnuovo-Tedesco, la partecipazione al 2. Festival Internazionale di Musica occupa certamente un ruolo privilegiato. Ebreo sefardita, nato a Firenze nel 1895, pupillo e ‘principe ereditario’ di Ildebrando Pizzetti, Castelnuovo-Tedesco è probabilmente il miglior ‘figlio del reggimento’ della generazione dell’80. Concertista e compositore di eccezionale caratura, furoreggia per un ventennio prima di espatriare negli States a causa delle leggi razziali introdotte dal regime fascista (1939).56 Fin dal 16 marzo 1917 – nell’ambito dei pionieristici concerti della Società Nazionale di Musica (S.N.M.) – Castelnuovo-Tedesco si impone come protagonista di primo piano della vita musicale moderna italiana. 57 Il pianoforte è per lui lo strumento d’elezione e il suo «confidente».58 Durante la prima parte della sua carriera, nella doppia veste di compositore e interprete, si dedica infatti intensamente al repertorio pianistico – fra lavori solistici, cameristici e orchestrali – in uno stile la cui quintessenza risiede nella melodia. Molti virtuosi dello strumento, in Italia e all’estero, eseguono regolarmente le sue composizioni: primo fra tutti Casella,59 suo ‘scopritore’,60 ma anche Renzo Lorenzoni (1887-1951), Walter Gieseking (1895del Sud e l’Italia» – da un comunicato stampa in ASAC, FS, SN, b. 66. Infine, un «Concerto di musica tedesca» («sotto il Patronato di S.E. Schubert, Ambasciatrice di Germania presso il Quirinale), con la Filarmonica di Dresda diretta da Fritz Busch: musiche di Ernst Toch (Vorspiel zu einem Märchen), Paul Hindemith (Eine Spielmusik), Gottfried Muller (Variationen und Fuge), Paul Graener (Die Flöte von Sansouci), Adolf Busch (Capriccio). 54
CASTELNUOVO-TEDESCO, La seconda Biennale di musica a Venezia cit., p. 434. Programma Ufficiale del Secondo Festival Internazionale di Musica, Venezia, Ferrari, 1932, p. 36. 56 Si imbarca il 13 luglio sul Saturnia, insieme a moglie e figli, arrivando il 27 luglio a New York. Assorbito poi dalla babelica industria cinematografica, si trasferirà a Los Angeles, lavorando per la Metro Goldwyn Mayer. Nel 1946 ottiene la cittadinanza statunitense. 57 In quell’occasione Alfredo Casella esegue Il raggio verde op. 9 (composto nel 1916, edito da Forlivesi nel 1918), brano che pone subito Castelnuovo-Tedesco al crocevia fra lodi sperticate e critiche infiammate. 55
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«My favorite among instrument is the piano, my own instrument, and my confidant». NICK ROSSI, Mario Castelnuovo-Tedesco: Modern Master of Melody, «American Music Teacher» 25, 4 (febbraio-marzo 1976). 59 CASTELNUOVO-TEDESCO, Una vita di musica cit., p. 97: «Insomma devo a lui se il mio nome fu ben presto noto all’estero insieme a quello dei quattro maggiori contemporanei italiani: Respighi, Pizzetti, Malipiero e Casella stesso (io ero di tutti il più giovane: un po’ “il figlio del Reggimento”!)». 60 Ivi, p. 100: «Fui, in Italia, la sua prima scoperta; poi venero – insieme – Rieti, Massarani e Labroca; quindi Virgilio Mortari e Nino Rota; e infine Goffredo Petrassi e Luigi Dallapiccola: tutti i migliori insomma. E non c’è nessuno che a lui non debba qualche cosa!».
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1956) ed Ernesto Consolo (1864-1931) – alla cui memoria è dedicato il primo Quintetto per pianoforte e archi. All’altezza del 1932 Castelnuovo-Tedesco ha all’attivo un catalogo vastissimo, fiorente in ogni genere musicale, che nulla ha da invidiare ai colleghi della sua generazione. Il suo rapporto con il festival veneziano inizia l’8 settembre 1930, quando presenta una selezione di Shakespeare Songs61 e di Heine Lieder62 per canto e pianoforte, accompagnando su un gran-coda Bechstein la divina Madeleine Grey – prediletta di Ravel – con cui da tempo collaborava. Nella stessa serata, sempre in duo con la Grey, esegue il Salmo 22 di Ernest Bloch. Successivamente al 1932, prenderà parte al festival veneziano ancora nel 1937, 1947 e 1948. In vista della seconda edizione del Festival, la corrispondenza fra Castelnuovo-Tedesco e Lualdi prende avvio il 7 marzo 1932.63 «Per guadagnar tempo» il direttore del festival invita informalmente il collega fiorentino esponendogli i caratteri generali della manifestazione e le opere che potranno essere accolte, richiedendo «una composizione solistica o d’assieme, vocale od istrumentale, o per piccola orchestra» e pregandolo vivamente di non fargli mancare la sua «desideratissima adesione». Il 15 marzo Castelnuovo-Tedesco, scartata l’opzione di una prima esecuzione italiana della Sonata per pianoforte64 o del poema per violino e pianoforte L’allodola, propone di presentare e interpretare – «ti avverto che desidererei eseguirlo io al pianoforte» – un Quintetto per pianoforte e quartetto d’archi65 – primo lavoro realizzato per questo specifico organico – la cui esecuzione era prevista durante l’ultima soirée della Accademia Filarmonica Romana.66 Il fatto che questa première sarebbe stata relegata, appunto, al termine della stagione non doveva costituire certo il massimo della gratificazione per il compositore – «non desideravo farlo a “fine stagione” e preferivo lanciarlo all’inizio della stagione prossima». Così, coglie al volo l’occasione di sfruttare il festival organizzato da Lualdi per «il varo» della sua nuova opera. Ma a quale ensemble affidare la parte degli archi? Ancora nessuna idea all’orizzonte! L’invito ufficiale arriva a Firenze il 26 marzo. Nel rispondere a Lualdi, il 28 marzo Castelnuovo-Tedesco comunica che, «d’accordo con l’Ufficio Concerti di Milano», 61
The Pedlar dal libro VIII (1924), The Willow e Roundel dal libro V (1923), Caliban dal libro XI (1924) della raccolta The Passionate Pilgrim. 33 Shakespeare Songs. Six Shakespeare Songs op. 24 (1921-1925), pubblicata dalla J. & W. Chester di Londra fra il 1921 e il 1926. 62 Am Leuchtturm, dalla seconda serie dei Drei Heine Lieder op. 60/1 (1929, Forlivesi 1933); Die drei Könige, dalla terza serie dei Drei Heine Lieder op. 60/2 (1929, Forlivesi 1933); Am Teetisch, dalla prima serie dei Drei Heine Lieder op. 40 (1926, Universal Edition 1929). 63 ASAC, FS, SN, b. 66. 64 La Sonata per pianoforte op. 51 (1928) dedicata a Gieseking e pubblicata nel 1932 dalla Universal Edition. 65 Il Quintetto per pianoforte e quartetto d’archi n. 1 op. 69, dedicato alla memoria di Ernesto Consolo, è in quattro tempi: I - Lento e sognante; II - Andante; III - Scherzo (Leggero e danzante); IV Vivo e impetuoso. Verrà pubblicato dalla casa editrice musicale fiorentina Forlivesi nel 1934 con il titolo Quintetto in fa per due violini, viola, violoncello e pianoforte. È stato inciso dall’Arman Ensemble per l’etichetta Albany (1996) e dall’Aron Quartet insieme a Massimo Giuseppe Bianchi per la Cpo (2015). 66 Nel 1932, per la Direzione artistica della Accademia Filarmonica Romana si danno il cambio il violinista Mario Corti e Alfredo Casella, entrambi molto legati a Castelnuovo-Tedesco. 79
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sarebbe stato il Quartetto Poltronieri67 a eseguire il suo Quintetto – «è in quattro tempi e dura circa mezz’ora». Fugando ogni possibile ‘inconveniente organizzativo’, fonte di attriti e malumori, il compositore mette subito le mani avanti: «ti dico fin d’ora che non vorrei fosse messo in fondo a un programma ma in principio, o, preferibilmente, in mezzo». Lualdi accetta, «senz’altro», ma il 30 marzo insiste nel voler «unire un pianista» diverso, «il quale possibilmente fosse già stato in formazione di Quintetto col Poltronieri, oppure anche, addirittura qualche nuovo elemento, (si intende di primo ordine), che non abbia già preso parte al Festival del 30». Ma Castelnuovo-Tedesco è irremovibile, anche perché, come spiega nella lettera del 31 marzo, lo lega un impegno contrattuale con l’Ufficio Concerti: «io ne sarò, per questa prima stagione concertistica, il solo interprete». Lualdi si vede costretto ad acconsentire, pur di avere il collega nel cartellone del suo festival. Quando tutto sembra essere serenamente concordato, ecco insorgere i primi fastidiosi contrattempi. Il 26 aprile Castelnuovo-Tedesco rimprovera al collega di aver previsto l’esecuzione del suo lavoro nella sala grande de La Fenice, un ambiente «del tutto inadatto». Ho letto nel Corriere di ieri il “calendario” del Festival veneziano, e vedo che il mio Quintetto fa parte del programma di orchestra da camera che sarà diretto dal M o Guarnieri al Teatro della Fenice: la sede è magnifica e la compagnia ottima, ma l’ambiente mi sembra del tutto inadatto al carattere e alla sonorità del mio lavoro, che non appartiene all’ “orchestra da camera” (più ricca di sonorità e di risorse) ma alla “musica da camera” (nel senso più modesto e consueto della parola).
All’epoca formato da Alberto Poltronieri (I violino), Guido Ferrari (II violino), Florencio Mora (viola) e Antonio Valisi (violoncello). Il Quartetto Poltronieri riceverà un cachet di 2.000 lire, come si evince dai resoconti del Festival e come già era stato annunciato da una lettera del 28 agosto 1932 inviata dalla Segreteria ad Alberto Poltronieri in cui si specifica «che il compenso che il Quartetto (quartetto solo) riceverà, è di Lit. 2.000 (duemila)», in ASAC, FS, SN, b. 66. 67
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Figura 2: Una foto di Mario Castelnuovo-Tedesco nella sua casa di Firenze, negli anni Trenta. (© Mario Castelnuovo-Tedesco Collection, The Library of Congress, Washington D.C., USA. Per gentile concessione di Diana Castelnuovo-Tedesco).
Senza conoscere né la grandezza né tantomeno le qualità acustiche della Sala Apollinea, Castelnuovo-Tedesco propone su due piedi a Lualdi di modificare la programmazione e di prevedere lì l’esecuzione del Quintetto: «immagino sarà un ambiente più raccolto». Ma, come si sa, «la certezza intuitiva non può sostituire la conoscenza empirica accuratamente verificata».68 Per di più, chiede di poter fare cambio di location con il collega marchigiano Mezio Agostini69 – chiamato a presentare un Quartetto nel concerto di mercoledì 7 settembre nella Sala Apollinea – sicuro del fatto che gli avrebbe fatto «più piacere di essere “esposto” in teatro». L’aut aut fa presto ad arrivare: «altrimenti proprio non so se convenga di presentare per la prima volta il mio Quintetto in un ambiente così inadatto». I toni della lettera dovevano essergli sembrati tanto infervorati da indurlo a smorzarli in chiusura:
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ISAIAH BERLIN, Appunti sul pregiudizio, «Adelphiana. Pubblicazione permanente», 1, 2002, pp. 97-102: 100. 69 Mezio Agostini (1875-1944) era all’epoca il direttore del Liceo musicale di Venezia, «un tipico musicista decadente, consapevole fino in fondo della propria decadenza e ben deciso a viverla coerentemente» (Cfr. MICHELANGELO ZURLETTI, Nel centenario di Mezio Agostini, discorso letto presso la Sala Morganti del Palazzo Malatestiano di Fano il 6 dicembre 1975). Di Agostini anche Casella non era un estimatore e non ne faceva certo mistero all’amico Lualdi durante l’organizzazione del festival: «si vedono occupare posti importanti degli Agostini, Bianchini, Sinigaglia persino, non siano l’ideale dell’interesse che dovrebbe offrire una simile manifestazione» (lettera del 9 aprile 1932, ASAC, FS, SN, b. 66).
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Spero che non mi darai del “seccatore” e che comprenderai le mie ragioni. Penso che forse tu sarai già partito per la tournée in America e che quindi troverai la mia lettera al tuo ritorno, che, se ben ricordo, avverrà alla fine di giugno, saremo quindi sempre in tempo per prendere opportuni accordi. Ad ogni modo non ho voluto attendere ad esprimerti i miei dubbi.
In effetti Lualdi qualche giorno prima era partito per la sua tournée in America Latina.70 In sua assenza, si occuperà la Segreteria del Festival del ‘seccante’ CastelnuovoTedesco. Tocca ad Ada Finzi rispondere al compositore fiorentino, il 7 maggio: «data la compilazione dei programmi del Festival (compilazione quasi definitiva), crediamo difficile spostare il Suo quintetto, e portarlo, come Ella proporrebbe, nel primo concerto italiano». Cui segue una breve ma risoluta perorazione dei meriti della sala grande del Teatro La Fenice, senza dubbio adatta alla «esecuzione di musiche per piccoli complessi e per solisti, come e meglio di molte Sale da Concerto». Insomma, i «dubbi» del compositore non avrebbero avuto neppure motivo di sorgere. Castelnuovo-Tedesco, alla fine, si vede costretto ad accettare le condizioni predette, ma solo perché rassicurato da alcuni suoi colleghi, di cui non specifica i nomi e sui quali si potrebbero fare solo fumose supposizioni: «già altri amici competenti mi avevano fatto notare le qualità di acustica della Fenice, e mi avevano sconsigliato lo spostamento del mio Quintetto ad altro programma». Per il Concerto di musica da camera dell’11 settembre (VIII manifestazione del Festival), diretto da Franco Ghione alla guida di un drappello di professori dell’Orchestra del Teatro alla Scala, viene messo a punto un impaginato che pone in adiacenza il Quintetto di Castelnuovo-Tedesco con le Quattro canzoni napolitane di Mario Pilati per canto (Maria Rota) e orchestra da camera,71 il Concertino per oboe (Mario Colombo) e orchestra da camera di Ermanno Wolf-Ferrari, il poemetto Euridice per canto (Ginevra Vivante) e orchestra da camera di Vincenzo Davico, l’Allegro da concerto per pianoforte (Valeria Navach) e orchestra da camera di Arrigo Pedrollo e il Rondò per violino (Remy Principe) e orchestra da camera di Leone Sinigaglia. Quali le caratteristiche principali del Quintetto op. 69 di Castelnuovo-Tedesco? Già il compositore le esplicita in un articolo apparso sulla neonata rivista Scenario, diretta da Silvio d’Amico e Nicola de Pirro.72
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Lualdi parte pochi mesi prima del festival veneziano: si imbarca da Genova il 21 aprile 1932, per ritornare il 6 luglio, come ardito ‘legionario’ della propaganda per la diffusione all’estero della produzione musicale italiana, antica e moderna, sinfonica e da camera. Le memorie di quella esaltante esperienza confluiscono poi nel Viaggio musicale nel Sud-America, Milano, Istituto Editoriale Nazionale, 1934. 71 Mario Pilati inizialmente non era stato invitato al Festival, «pur avendo pronto, come già ebbi a dirLe a Milano l’ultima volta, un quartetto che non ho voluto far eseguire quest’anno appunto per serbarne la prima esecuzione al Festival» (lettera a Lualdi del 17 aprile 1932, ASAC, FS, SN, b. 66). Per intercessione di Casella, verrà chiamato a presentare una trascrizione per canto e orchestra da camera di suoi precedenti lavori per canto e pianoforte facenti parte di Tre canti napoletani op. 35 (1925-1926) e Due epigrammi napoletani op. 44 (1926). 72 In qualità (anche) di membro della Stampa, a Castelnuovo-Tedesco vengono riservate «2 poltrone dal 4 settembre» (il secondo posto era per la moglie Clara Forti), come si evince in un foglio non datato in ASAC, FS, SN, b. 66. 82
CASTELNUOVO-TEDESCO
Dirò solo che questo lavoro – diversamente da quella tendenza oggi diffusa che, scavalcando un secolo, si riallaccia direttamente al Settecento – non vuol dimenticare le ampie conquiste che, nel campo della musica strumentale, ci ha dato l’Ottocento, e intende riaffermare una sicura fede nella possibilità di un’espressione romantica eppur moderna.73
E ancora nella sua autobiografia avrà modo di tornare a ricordare quei momenti veneziani, confessando che, fra le molte composizioni cameristiche del suo periodo italiano, il lavoro «migliore è senza dubbio il primo Quintetto in fa per pianoforte ed archi». È un lavoro emotivo e robusto (e, in un certo senso, romantico) dove i due tempi estremi sono ampiamente sviluppati e i due centrali molto più brevi: un Andante pensoso e raccolto (dove si può ritrovare – e non per l’ultima volta – il carattere malinconico e contemplativo dei Cipressi) e un vivacissimo Scherzo, leggero e danzante, di uno spirito che alcuni critici definirono mendelssohniano (c’era forse, nel loro commento, una punta di spregio? per parte mia lo considero il massimo elogio!, poiché ritengo Mendelssohn il più perfetto compositore di Scherzi che io conosca). A Venezia i pareri furon divisi: chi (come Gatti) preferiva i due tempi estremi; chi (come De Falla e Segovia e, posso aggiungere, come me!) mostrò una predilezione per quelli centrali.74
La prima esecuzione nella «preziosa cornice d’oro opaco»75 del teatro veneziano conosce un esito splendido, tanto che addirittura il pubblico, entusiasta, richiede il bis sia dell’Andante che dello Scherzo.76 Il «varo» del brano poteva dirsi concluso nel migliore dei modi. E fu solo il primo di una serie di successi che il compositore riscuoterà in tournée con il Quartetto Poltronieri nel corso del 1933. Oltre il festival La partecipazione al 2. Festival Internazionale di Musica di Venezia risulta ancora più importante per la carriera e la produzione di Castelnuovo-Tedesco se si considera il fatto che proprio in quell’occasione si consolida la sua amicizia con Andrés Segovia Torres (1893-1987), che tanta rilevanza rivestirà negli anni successivi. Il chitarrista spagnolo darà, infatti, risonanza notevolissima alla musica del compositore fiorentino, rimanendo fino alla fine uno degli amici più affezionati di Castelnuovo-Tedesco. Al Festival Internazionale di Venezia del 1932 c’erano […] anche Segovia e De Falla; Segovia anzi era venuto per accompagnare il vecchio e fedele amico, che diresse in quell’occasione [la prima esecuzione italiana de] il suo delizioso Retablo de maese Pedro, l’operina con marionette [del Teatro delle marionette del Kunstgewerbemuseum di Zurigo con la collaborazione della compagnia Carlo Colla & figli del Teatro Gerolamo di Milano] derivata dal Don Chisciotte. Con Segovia ci eravamo già incontrati in precedenza (a Firenze, in casa Passigli e in casa Rosselli), e più volte avevo avuto occasione di ammirare, nei concerti che tenne alla Sala Bianca, la sua arte 73
«Scenario» I, 9 ottobre 1932, pp. 30-35, riportato in CASTELNUOVO-TEDESCO, La penna perduta cit., p. 444. 74 ID., Una vita di musica cit., p. 251. 75 ID., La seconda Biennale di musica a Venezia cit., p. 436. 76 In sala 275 spettatori (fra platea e palchi, galleria e loggione) con un introito complessivo di L. 2822, come risulta dal bordereau della serata conservato in ASAC, Fondo Storico, serie Musica, b. 1. 83
ATTILIO CANTORE
sovrana di chitarrista. Quell’anno, a Venezia, ci trovammo più spesso insieme, nell’atmosfera movimentata e chiassosa del Festival, ma, si può dire, non avemmo mai l’opportunità di parlare di musica, o per lo meno di specifici progetti chitarristici. Fu solo l’ultimo giorno che Segovia incontrò Clara [Forti] sul vaporetto (che da Venezia conduce al Lido) e le disse: «Io no ho mai osato di chieder nulla a suo marito, ma mi farebbe tanto piacere se volesse scriver qualche cosa per me; glielo dica lei da parte mia».77
Rientrato nella casa di campagna a Usigliano, Castelnuovo-Tedesco risponde a Segovia, confessandogli con genuina modestia di non avere una conoscenza approfondita della tecnica e della ‘voce’ dello strumento – «non ho la più vaga idea di come si scriva per chitarra!» – ma che volentieri avrebbe composto qualcosa per lui. Col senno di poi, queste affermazioni fanno sorridere se si tiene conto che già nel 1932 CastelnuovoTedesco scrive le Variations à travers les siècles op. 71. Per citare altri capolavori, l’anno seguente vede la luce il celeberrimo Capriccio diabolico (Omaggio a Paganini) op. 85, nel 1934 la Sonata (Omaggio a Boccherini) op. 77 e nel 1937 il Concerto in re op. 99. La collaborazione fra i due grandi artisti, che vissero ‘in musica’ e per la musica, poteva dirsi dunque felicemente avviata e destinata a essere testimonianza di un affettuoso e longevo sodalizio. Ma questa è un’altra storia.
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CASTELNUOVO-TEDESCO, Una vita di musica cit., p. 251. 84
TESI ____________________________________________________________________
Cosimo Abbate LA SUITE MILITARE IN GUSTAV HOLST Introduzione: il genere della Suite Militare Il genere della Suite Militare è strettamente connaturato al medium che le è proprio, ossia quello della Banda Militare.1 Già nell’antichità esistevano complessi di strumenti a fiato impiegati in funzioni religiose, civili e militari. In tal senso è noto che gli antichi romani si servivano di organici di fiati in ambito militare per scandire il ritmo dell’esercito avanzante e per le segnalazioni di guerra. Possiamo considerare inoltre l’impiego degli strumenti a fiato per ottemperare alla tutela dei confini dell’impero, ove il ritmo scandito dallo strumento a fiato dava l’ordine di sigillare le porte al fine di proteggere il confine da un imminente attacco. Nell’immaginario collettivo è ben impressa l’immagine sonora dello squillo di tromba che accompagna i gladiatori al loro ingresso nell’arena e può essere interessante notare come questa prassi di antica memoria sopravviva ancora oggi nelle più importanti manifestazioni sportive che sono accompagnate da funzioni musicali e sceniche molto spesso caratterizzate da un elevato grado di complessità tecnica. Nell’ambito di questa revue introduttiva possiamo osservare come l’archetipo della forma musicale finalizzata alla funzione militare sia ben presente nella cultura collettiva grazie al medium del film che fa largo uso di questo modello.2 Le caratteristiche musicali della marcia militare, prima tra tutte il ritmo marcato, adatto ad accompagnare l’incedere dell’unità militare, confluiscono inoltre nel genere del canto patriottico e degli inni nazionali. Non secondario in questa prospettiva l’aspetto celebrativo, con lo schieramento e la marcia di reparti militari in onore di alte autorità civili o militari, nonché in occasione di festeggiamenti e commemorazioni. Queste funzioni, che hanno antiche radici, confluiscono nel repertorio della Banda musicale che ne conserva la memoria e ne espande le possibilità. È interessante sottolineare come ogni nazione abbia un proprio e peculiare repertorio militare, celebrativo e da parata – tipicamente eseguito dalle Bande militari – e che questo fenomeno possa considerarsi di portata globale.3 Degno di nota il caso italiano Una delle tesi sull’origine del nome “banda” ricondurrebbe etimologicamente il nome dell’organico musicale alle note insegne militari, chiamate appunto “bande”, formate da drappi di tessuto e sostenute da un’asta verticale che accompagnavano gli eserciti nelle campagne militari. 2 Possiamo citare tra tutte la celeberrima Marcia Imperiale composta dal compositore statunitense John Williams per il film Star Wars: Episodio V, uno dei più conosciuti temi sinfonici della storia del cinema. 3 Vale la pena di menzionare inoltre come il fenomeno in esame trovi una sua declinazione anche all’interno di culture tribali ove la funzione musicale accompagna il rituale religioso, celebrativo e di guerra. 1
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COSIMO ABBATE
– che si distingue per la presenza di un nutrito repertorio di carattere militare, patriottico e celebrativo4 – in cui le funzioni musicali sono affidate alle eccellenti Bande ministeriali, che si contraddistinguono per l’alto grado di abilità degli esecutori e per il notevole livello tecnico-artistico degli ensemble. Il genere bandistico per eccellenza, la marcia militare, è parte essenziale del repertorio dei complessi di fiati di tutto il mondo. Marce militari e d’ordinanza, canti patriottici, fanfare appartengono al patrimonio delle diverse culture: queste forme musicali sono declinate in modo diverso in base all’identità e la storia del luogo in cui esse sono sorte e vengono eseguite. Il genere della “Suite militare” coniuga questi modelli, inquadrandoli in un’architettura formale organica e strutturata. Dobbiamo a Gustav Holst (1874-1934) l’intuizione di far confluire in un unico opus le diverse specificità in ordine alle funzioni che sono generalmente affidate alla Banda militare: con la First Suite – di cui si dirà in seguito nel dettaglio – il compositore inglese passa in rassegna tali specificità passando dal carattere solenne, a quello eroico-fantastico, fino all’umore più propriamente celebrativo e festoso. Ad Holst va inoltre riconosciuto il merito di aver concepito una forma musicale estesa e strutturata per il medium bandistico, impresa che oggi – vista l’evoluzione tecnica degli strumenti e di capacità degli esecutori – può sembrare scontata, ma che si rivelava pionieristica agli inizi del Novecento.5 Il rapporto tra Gustav Holst e la Banda Musicale Per quasi duecento anni l’Inghilterra era stata priva di un compositore che assurgesse a fama internazionale. In effetti, dalla morte di Henry Purcell fino alla nascita di Sir Edward Elgar, la scena musicale inglese rimase fortemente influenzata dallo stile tedesco presente sul continente europeo. L’inizio del XX secolo, rappresentò un nuovo e profondo cambiamento per la musica inglese. Mentre alcuni compositori (in particolare Elgar) continuarono ad adottare uno stile di matrice romantico-tedesca, la nuova prassi compositiva albionica fu profondamente influenzata da due elementi: l’interesse per il ricco patrimonio musicale presente in Inghilterra durante l’era elisabettiana – caratterizzato da una convincente miscela di polifonia e modalità – ed il vivo interesse per lo studio della musica popolare inglese. Un’analoga ricerca stava avvenendo sul continente ad opera di compositori quali Edvard Grieg in Scandinavia, Bela Bartòk e Zoltan Kodaly in Ungheria, sul versante inglese furono particolarmente attivi in questa prospettiva Gustav Holst e Ralph Vaughan Williams.
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Cui si affianca lo sterminato repertorio di marce sinfoniche e tradizionali, con specificità regionali, per il cui approfondimento si rimanda ad altre fonti. 5 È altrettanto meritoria in questa prospettiva la gloriosa tradizione bandistica italiana che si distingue, sin dagli inizi del Novecento, per la notevole qualità delle strumentazioni del repertorio sinfonico e operistico, nonché per il considerevole novero di composizioni originali per Banda, tra cui spicca il genere della Marcia Sinfonica di cui citiamo autori quali Thomas Tallis, William Byrd, Thomas Wilkes, e Orlando Gibbons. 86
LA SUITE MILITARE IN GUSTAV HOLST
Questa nuova ricerca fornì l’impulso necessario a un rinnovamento della musica britannica. Tale stile compositivo si poneva in netto contrasto rispetto alle tendenze continentali, fortemente influenzate dalla musica di Arnold Schönberg e Igor Stravinsky. Le nuove ricerche nel campo dell’armonia non funzionale, atonalità e dodecafonia non attecchirono mai del tutto in Inghilterra, la cui prassi compositiva nel corso del XX secolo rimase fortemente agganciata alla musica di matrice tonale. È in questo contesto culturale che Gustav Holst muove i suoi passi. I primi lavori del compositore inglese sono influenzati dalla musica tedesca in particolare di stile wagneriano; manifesterà poi forte interesse verso l’Oriente, la produzione letteraria in sanscrito e il misticismo indiano e in seguito – come abbiamo visto – concentrerà la sua attenzione verso la musica popolare inglese. Da giovane Holst dovette rinunciare alla carriera pianistica a causa di una nevrite che lo colpì alla mano destra. Non riuscendo a sostenere il necessario esercizio tecnico per lo studio del pianoforte a causa della malattia, studiò il trombone, che gli consentì sia di lavorare come orchestrale, nonché di rinforzare le sue capacità respiratorie, indebolite dall’asma. Si guadagnò così da vivere suonando il trombone in orchestre d’opera e bande musicali impegnate in resort estivi. Questa esperienza si rivelerà in seguito fondamentale per la sua carriera di compositore. Quanto alla situazione delle Bande militari nel Regno Unito,6 agli inizi del Novecento la maggior parte del repertorio di questi ensemble consisteva in musica popolare e trascrizioni orchestrali, non esisteva un vero e proprio repertorio concepito appositamente per il medium della banda né una strumentazione standardizzata. La mancanza di una strumentazione fissa e la convinzione radicata che un insieme di strumenti a fiato mancasse della coesione tonale per produrre musica significativa, rappresentavano un grande ostacolo per i compositori nel cimentarsi nella composizione originale per banda. La First Suite è la prima composizione di area inglese a rompere queste barriere. Tale partitura è un lavoro così ben concepito e strutturato per il medium bandistico che rivela la grande conoscenza di Gustav Holst di quest’organico. Suite n. 1 in Mib per Banda Militare La Suite n. 1 in Mib per Banda Militare7 op. 28, n. 1, si struttura in tre movimenti: Ciaccona, Intermezzo e Marcia. Il tema utilizzato consiste in una melodia di otto battute ricavata da una canzone folk inglese, rielaborata da Holst. In particolare, la frase tematica che avvia il primo movimento è successivamente sviluppata in ogni movimento. L’intera Suite è scritta in modo da valorizzare i connotati distintivi della banda e – nonostante il suo approccio originale – non si discosta mai dalle sue caratteristiche essenziali. L’espressione “banda militare” veniva utilizzata in Inghilterra a cavallo del XX secolo per indicare qualsiasi ensemble che incorporasse fiati, ottoni e percussioni, comprese le bande civili organizzate da polizia locale, vigili del fuoco etc. 7 Titolo in inglese First Suite in EH for Military Band. 6
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Non è noto per quale occasione Holst compose questo lavoro, sappiamo che trascorsero circa undici anni tra la stesura e la prima esecuzione in concerto conosciuta. Esistono solo poche informazioni sulla data e le circostanze della prima esecuzione della First Suite. Imogen Holst (figlia e biografa del compositore) suggerisce che la suite potrebbe essere stata scritta in occasione del Festival del Palazzo del Popolo, a Mile End in Londra, nel maggio del 1909. Il primo concerto documentato della First Suite ebbe luogo invece alla Kneller Hall il 23 giugno 1920. Durante la stagione successiva la composizione ebbe numerose repliche, ricevendo una generosa accoglienza del pubblico ed una copertura piuttosto notevole su giornali dell’epoca. L’impatto della composizione fu considerevole dal momento che essa offriva un’alternativa alle trascrizioni operistiche, semplici marce e pezzi d’epoca, che fino ad allora avevano costituito la base del repertorio bandistico inglese. Dal momento che, come accennato, non esisteva ancora una in area inglese una strumentazione standardizzata per banda, Holst compose la suite per 19 strumenti, con 17 parti restanti definite “ad lib.”.8 Questo lavoro si distingue per un’abile combinazione di elementi classici, quali l’utilizzo delle forme musicali della ciaccona e dell’intermezzo che costituiscono i primi due movimenti, con elementi tipicamente bandistici: la marcia militare. Il compositore coniuga le forme non proprie del genere bandistico – i primi due movimenti – in una pragmatica particolarmente adatta alla poetica e allo stile della banda musicale. Inoltre, il lavoro si distingue per interpretare a pieno le specificità del carattere “militare”, passando in rassegna il temperamento solenne nella Ciaccona, il carattere incalzante dell’Intermezzo, fino all’attitudine celebrativa e festosa ravvisabile nella marcia finale. La First Suite fu una forza catalizzante che convinse molti altri compositori inglesi a comporre musica originale per l’organico bandistico.9 La composizione fu particolarmente apprezzata dalle bande d’oltreoceano al punto di indurre l’editore Boosey and Hawkes a pubblicarne nel 1948 una versione con organico ampliato rispetto all’originale per adattarsi alle bande statunitensi che presentavano maggior numero di strumenti rispetto a quelle inglesi. La First Suite divenne un punto di riferimento della musica bandistica inglese e non solo. Questo lavoro, che coniuga elementi di forma tradizionale con elementi tipicamente bandistici, rappresenta una delle pagine di repertorio tra le più apprezzate ed eseguite dalle bande musicali di tutto il mondo sino ai nostri giorni.
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Va considerato che la maggior parte delle bande militari britanniche del tempo impiegava tra i 20 e i 30 esecutori. Le 17 parti ad libitum potevano essere aggiunte o meno secondo necessità pratiche. Gli editori ampliarono poi la strumentazione per adattarsi alle bande americane, come testimonia l’edizione Boosey and Hawkes del 1948. Nel 1974 fu riscoperto il manoscritto originale, andato perduto per un lungo periodo, dal quale fu ricavata la più recente edizione Boosey and Hawkes del 1984. 9 Opere come la Folk Song Suite di Ralph Vaughan Williams e la William Byrd Suite di Gordon Jacob sono esempi di spicco in tal senso. 88
LA SUITE MILITARE IN GUSTAV HOLST
Suite n. 2 in Fa per Banda Militare La Seconda Suite in Fa per banda militare10 op. 28 n. 2, scritta nel 1911, a breve distanza dalla stesura della First Suite, e pubblicata per la prima volta nel 1922, presenta una maggiore estensione e un maggiore complessità di esecuzione rispetto alla suite sorella. Si struttura in quattro movimenti: Marcia, Song without word, Canzone del Blacksmith, Fantasia on the Dargason. Questa composizione presenta quella tendenza della musica colta inglese, di cui avevamo precedentemente parlato, di attingere al patrimonio della musica popolare e delle folk songs. Anche Holst si interessò, come molti compositori coevi, a questa ricerca scrivendo diverse composizioni basate su melodie popolari. In particolare Holst lavorò alla stesura di 16 brani con accompagnamento pianistico basati su melodie folk che confluirono nella raccolta Folk Songs from Hampshire.11 In seguito incorporò diversi di questi brani all’interno della sua Second Suite. La composizione ricevette la sua prima esibizione pubblica il 22 giugno 1922, all’Albert Hall per la convention annuale della British Music Society. Anche in questo caso intercorre un lungo periodo tra la stesura e la prima esecuzione del lavoro.12 Nei quattro movimenti che compongono la suite, Holst mette a frutto abilmente il suo magistero, strumentando e rielaborando una serie di canzoni popolari quali «Swansea Town», «I Love My Love» e «The Song of the Blacksmith». Degna di nota l’abile combinazione contrappuntistica di due canzoni popolari, il “Dargason” e il classico “Greensleeves”, nel finale dell’ultimo movimento della suite in esame.13 Quanto alla strumentazione, contrariamente alla partitura della First Suite, questo secondo lavoro non presenta parti ad libitum, ma bensì Holst individua in modo specifico l’organico da utilizzare. Al pari della First, di questa seconda suite esistono due edizioni Boosey and Hawkes: una prima del 1948, con un organico più ampio adatto alla realtà delle bande statunitensi, ed una seconda del 1984 più fedele all’originale. Hammersmith Hammersmith op. 52, è un lavoro tardo per banda militare di Gustav Holst. Nel 1927 il compositore fu incaricato dalla BBC Military Band di scrivere una nuova composizione per banda. Meno nota rispetto alle più celebri Suite Militari, questa terza
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Titolo in inglese Second Suite in F for Military Band. Questi brani furono raccolti dallo studioso George Barnet Gardiner per il volume Folk Songs from Hampshire nella raccola Cecil Sharp’s County Songs series. 12 Come nel caso della First Suite, non è chiaro quale fu l’occasione o la commissione dalla quale Holst trasse spunto per la stesura della sua Seconda Suite Militare. Possiamo supporre che il compositore, trovando particolarmente congeniale la scrittura bandistica, desiderava mettere alla prova ancora una volta la sua abilità con tale organico attraverso un nuovo lavoro. 13 Questa combinazione trova posto altresì movimento finale della sua St. Paul’s Suite per archi. 11
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composizione si distingue per la maggior difficoltà tecnica14 e la durata superiore rispetto ai due lavori precedenti. Si compone di due parti: Preludio e Scherzo. Sebbene commissionato dalla banda militare della BBC, la prima esecuzione del lavoro avvenne nell’aprile 1932 da parte della United States Marine Band. Questa esecuzione non ebbe repliche e il pezzo fu dimenticato per due decenni. L’editore Boosey & Hawkes, pubblicò la trascrizione orchestrale di Holst nel 1931, ma della versione per banda in seguito non rimase alcuna traccia fino al 1954, anno in cui a Richard Cantrick, direttore della banda del Carnegie Institute of Technology, scoprì la versione per originaria per banda, in possesso della figlia Imogen Holst.15 L’umore celebrativo, fantastico e popolare presente nelle due precedenti suite è qui scomparso per lasciare spazio al temperamento introspettivo, a tratti enigmatico. La composizione deve il nome al quartiere londinese Hammersmith cui Holst fu sempre molto legato. L’eredità di Holst L’impatto di Holst, come abbiamo visto, fu estremamente significativo per lo sviluppo della letteratura originale per banda nel Regno Unito e non solo. È corretto ritenere che la conoscenza della banda – nella doppia veste prima di esecutore e poi di compositore – influenzò profondamente la comprensione pratica di Holst dei meccanismi orchestrali. In questa prospettiva è degno di nota l’utilizzo degli strumenti a fiato operato dal compositore nella celeberrima Suite The Planets op. 3216 con particolare riferimento al primo movimento Mars, the Bringer of War, che evoca il carattere bellicoso e implacabile del dio della mitologia greco-romana. Questo movimento – forse il brano più famoso e imitato di Holst – ha fortemente influenzato un certo stile compositivo di colonne sonore, in particolare di genere fantascientifico, e tutta una prassi compositiva d’oltreoceano. L’archetipo della marcia militare di carattere battagliero e il potere vigoroso ed evocativo dell’ensemble di fiati sono entrati così a far parte della cultura di massa.
La maggior difficoltà esecutiva è dovuta al fatto che trai lavori del compositore concepiti per l’organico bandistico quest’ultimo fosse specificamente destinato ad un ensemble di alto profilo tecnicoesecutivo quale la BBC Military Band. 15 Boosey & Hawkes pubblicherà successivamente la partitura della versione originale per banda nel 1954, venti anni dopo la scomparsa di Holst. 16 Suite per grande orchestra composta tra il 1914 e il 1916, in sette movimenti, è senza dubbio il più celebre lavoro del compositore inglese. Ogni brano della suite rappresenta un pianeta del Sistema solare. In questo imponente lavoro Holst trasfuse il suo interesse per l’esoterismo, l’astrologia e la teosofia. 14
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Giuseppe Vastarella I 24 CAPRICHOS DI MARIO CASTELNUOVO-TEDESCO: RAPPORTO CON I CAPRICHOS DE GOYA E IL LEGAME TRA OPERA E VISSUTO1
I 24 Caprichos de Goya op. 195 sono una serie di brani per chitarra composti da Mario Castelnuovo-Tedesco nel 1961, dedicati alla celebre serie di incisioni di Francisco Goya i Caprichos. Sebbene il compositore fiorentino si ispiri per ogni brano ad una raffigurazione, e ne mantiene il titolo, un’attenta analisi ci porta a dedurre che quello di Castelnuovo non sia soltanto un lavoro di musica per immagini, bensì un’occasione per continuare, con il suo personale stile perlopiù ironico e leggero, il lavoro di critica iniziato da Goya nella fine del Settecento. L’opera di Castelnuovo diventa quindi una stratificazione, un’esperienza trasversale tra immagini e musica che coinvolge il compositore quanto il pittore, e si presta ad un gioco di ricerca vastissimo per scovare dettagli e riferimenti biografici. È importante notare che degli 80 Caprichos di Goya non tutti hanno un’interpretazione chiara ed univoca, e lo stesso vale per l’opera di Castelnuovo. Entrambe le opere fanno parte della produzione matura dei due artisti: per Goya si parla di “maniera scura”, cioè di quel periodo particolarmente buio in cui il cattivo stato di salute del pittore e l’esperienza della guerra si ripercuotono nella sua produzione artistica. Altre opere importanti di questo periodo sono le Pitture nere e I disastri della guerra. Castelnuovo-Tedesco durante la stesura di quest’opera aveva maturato un bagaglio di esperienze tutto sommato simili a quelle del pittore: aveva vissuto la guerra sotto forma di discriminazione, i problemi di salute, ma anche la delusione degli amici e dei maestri. Tutto questo trova posto nelle due opere, talvolta in maniera evidente, altre volte con riferimenti velati.
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Per stilare questo mio articolo ho consultato: ANGELO GILARDINO, Un fiorentino a Beverly Hills, Roma, Curci, 2018; ID., Andrés Segovia, Caro Mario, lettere a Castelnuovo-Tedesco, Roma, Curci, 2018; JAMES WESTBY, Catalogo delle opere di Mario Castelnuovo-Tedesco: composizioni, bibliografia, filmografia, Firenze, Cadmo, 2005; MARCO RIBONI, La nascita degli Appunti nel carteggio tra Chiesa e Castelnuovo-Tedesco, «Il Fronimo» 90, gennaio 1995, pp. 12-22, ivi 91, aprile 1995, pp. 13-21 e ivi 92, luglio 1995, pp. 28-38; LILY AFSHAR, I 24 Caprichos de Goya per chitarra op. 195 di Mario Castelnuovo-Tedesco e il loro rapporto con le incisioni di Goya, «Il Fronimo» 73, ottobre 1990, pp. 11-26 e ivi 74, gennaio 1991, pp. 7-28; MARIO CASTELNUOVO-TEDESCO, Una vita di musica: un libro di ricordi, a cura di James Westby con un’introduzione di Mila De Sanctis, Firenze, Cadmo, 2005; ID., The Guitar, that Beautiful and Mysterious Instrument, manoscritto inedito, 1958; RUGGERO CHIESA, Mario Castelnuovo-Tedesco, 24 Caprichos de Goya, «Il Fronimo» 3, aprile 1973, pp. 33-34; KRISTJAN STOPAR, Mario Castelnuovo-Tedesco e la chitarra (2011), http://www.chitarrainitalia.it/pdf/Ricerca_Stopar_Castelnuovo-Tedesco.pdf (ultima consultazione 17 aprile 2021). Si vedano anche i siti: https://www.museodelprado.es/ - https://fundaciongoyaenaragon.es/ - https://mariocastelnuovotedesco.com/ (ultima consultazione 17 aprile 2021). 91
GIUSEPPE VASTARELLA
Francisco Goya y Lucientes, Pintor
Figura 1: Francisco Goya, Autorretrato. Francisco Goya y Lucientes, pintor (1797-1799) (acquaforte e acquatinta, 30,6x20,1 cm., museo del Prado, Madrid).
L’incisione a cui si ispira questo brano è l’autoritratto del pittore, che è usato per aprire l’opera. Il soggetto è in posa di profilo, vestito in maniera elegante, con un cappello a cilindro. Lo sguardo è ‘sdegnato’, e l’espressione del viso, sprezzante, sembra un giudizio dei vizi rappresentati nei Caprichos che seguiranno. Sebbene sia stato costretto, a causa della censura inquisitoria, a ritirare dalla circolazione le sue stampe, precisando che il lavoro fosse “di pura fantasia”, l’autoritratto del pittore come prima 92
I 24 CAPRICHOS DI MARIO CASTELNUOVO-TEDESCO
immagine della serie ci fornisce un’ovvia chiave di lettura: i Caprichos sono il punto di vista di Goya sulla realtà.
Esempio 1: Francisco Goya y Lucientes, Pintor, esposizione del tema.
Il brano si apre con l’esposizione del tema, che è accompagnato dal motto «Francisco Goya y Lucientes». Possiamo dividere il tema in due semifrasi: la prima semifrase sarà ripresa nella parte del fugato, mentre la seconda semifrase, che è una fioritura in semicrome, viene elaborata in tutta la prima parte del brano. La sezione Fugato - Allegretto moderato occupa tutta la parte centrale del brano e vede il primo tema fugato, accompagnato da numerosi cromatismi che sottolineano l’instabilità armonica dell’intero brano, il quale gioca con ambiguità tonali per tutta la sua durata. Il breve episodio Allegramente alla Marcia presenta un nuovo tema che continua il fugato. La ripresa della prima sezione Allegramente vede protagonista ancora la seconda semifrase del tema iniziale, riproposta con una struttura accordale più densa. Il primo Caprichos si conclude con la ripresa del motto iniziale con l’aggiunta della parola “Pintor” sui bicordi conclusivi. Conoscendo la biografia e lo stile musicale dell’autore, si ha l’impressione che Castelnuovo-Tedesco abbia messo in opera, similmente a quanto fatto da Goya, un “Autoritratto musicale”,2 soprattutto per due motivi: lo sviluppo tematico tramite fuga, e la presenza del motto che accompagna il tema. Entrambi tratti caratteristici della produzione del compositore; la fuga è una forma particolarmente amata da Castelnuovo-Tedesco, ed è interessante guardare alla sua autobiografia per comprendere quanto questa forma sia stata assiduamente studiata dal compositore. Castelnuovo studiava composizione con il maestro Ildebrando Pizzetti al conservatorio di Firenze e posticipò di un anno il suo diploma perché riteneva di non essere pronto alla prova della fuga. Si prefissò l’obiettivo, per meglio padroneggiare la tecnica, di scrivere una fuga al giorno, tutti i giorni per un anno. L’esame fruttò il massimo dei voti in tutte le prove, all’infuori di una, proprio la prova di fuga! Castelnuovo, trovando banale il tema propostogli, lo trattò in maniera inusuale, dimostrando così la sua abilità, ma rompendo il modello scolastico. Il commissario che aveva scritto il tema, indispettito, gli negò il voto massimo.
L’interpretazione secondo cui il primo Caprichos sia un’autobiografia in musica è già avanzata nella tesi di Lily Afshar sui 24 Caprichos de Goya, e fa riferimento ad un’intervista di Angelo Gilardino. Tuttavia nel testo non viene approfondito il motivo di questa interpretazione 2
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La fuga a dire il vero non mi dette alcuna preoccupazione: solo che il tema [...] era così stupido e convenzionale che, per renderlo interessante, gli giuocai un brutto tiro: il tema era in ritmo binario, ed io vi applicai un controsoggetto in ritmo ternario, sviluppandolo (imperterrito) per tutta la fuga (la cosa portò poi a grandi discussioni perché il vecchio Mattioli3 sosteneva che questo procedimento non era “in stile”; e , per quanto la Fuga fosse ineccepibile, non volle darmi più di 9).4
Questa esperienza, insieme ad altre, sicuramente contribuisce alla bassa considerazione che Castelnuovo avrà degli insegnanti di Conservatorio, rifiutando nel dopoguerra la possibilità di diventare direttore del Conservatorio di Napoli. Il motto iniziale è un chiaro riferimento alla passione del compositore per il canto. Spesso il compositore ha composto associando la voce alla chitarra come nel Romancero Gitano (per coro e chitarra), Ballata dell’esilio e The Divan of Moses-Ibn-Ezra (voce e chitarra), Platero y yo (voce recitante e chitarra). Per non parlare della produzione vocale e operistica, che rappresenta un’importante fetta della produzione del compositore. A riguardo della sua passione per l’opera, e della sua concezione musicale e filosofica, la ricca autobiografia del compositore ne dà un quadro dettagliato: Era inevitabile che, prima o poi, dovessi scrivere un’opera: gli italiani, l’opera, ce l’hanno nel sangue; la musica operistica era la prima che avevo ascoltato (e cantato!). [...] A me il “balletto puro” (pur riconoscendone i pregi sintetici e stilistici) non persuadeva, soprattutto per la mancanza del canto, che lo lasciava incompleto, e ne faceva quasi “un’opera per sordomuti”. D’altra parte anche il dramma musicale, quale l’aveva concepito e realizzato Pizzetti, era lontano da me, sotto un duplice aspetto: prima di tutto quello della declamazione: avevo imparato dallo stile di Pizzetti moltissimo, in quanto ad espressione e proprietà di accenti, ma quella sillabazione continua e rapidissima mi stancava, e sentivo il bisogno di una forma più cantata e distesa, di una linea vocale musicalmente più “disegnata”(questo è stato sempre argomento di molte discussioni fra me e il Maestro). In secondo luogo, la concezione teatrale di Pizzetti era un dramma moraleggiante, che della vita non vedeva se non l’aspetto tragico; mentre io (già lontano per natura dalle violente passioni e dai conflitti) vedevo nella vita, alternati e commisti (anzi addirittura inseparabili) aspetti tragici e aspetti comici, e di questi ultimi amavo sorridere, garbatamente (il che non esclude un giudizio morale: poiché ridendo castigat).5 Mi sentivo quindi piuttosto portato verso la commedia: non l’opera buffa, beninteso! ma la commedia, in quanto sintesi di elementi patetici e di elementi umoristici.6
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Guglielmo Mattioli, (1857-1924) maestro di contrappunto. CASTELNUOVO-TEDESCO, Una vita di musica cit., pp. 119-120. 5 La locuzione è incompleta nel testo originale: Castigat ridendo mores, cioè correggere i costumi con ironia. Dare insegnamenti morali attraverso forme letterarie apparentemente leggere e, comunque, divertenti. Utilizzata dal poeta francese del XVII sec., Jean de Santeuil, noto come Santolius, che la compose per un busto di Arlecchino destinato a decorare il proscenio della Comédie Italienne a Parigi. 6 CASTELNUOVO-TEDESCO, Una vita di musica cit., pp. 145-147. 4
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Un altro elemento che emerge da questi passaggi, oltre alla passione per il canto, è la concezione poetica che Castelnuovo ha dell’opera, se Pizzetti, suo storico maestro, sceglie il dramma moraleggiante, lui è più orientato ad una commedia che è sì pronta a dare un giudizio morale sugli avvenimenti, ma a farlo con ironia. Se nei Caprichos di Goya possiamo vedere una critica cinica e dura, nei Caprichos di Castelnuovo-Tedesco la «sintesi di elementi patetici e di elementi umoristici» è perfettamente rappresentata, in particolar modo nell’equilibrio tra brani spiccatamente ironici come Obsequio á el maestro e Si sabrá mas el discipulo? e brani drammatici come El sueño de la razón produce monstruos. Obsequio á el maestro
Figura 2: Francisco Goya, Obsequio á el maestro, pintor (1797-1799) (acquaforte e acquatinta, 30,6x20,1 cm, museo del Prado, Madrid).
Il Caprichos n. 47 dell’opera di Goya fa parte della serie di opere che criticano superstizione e stregoneria: tema molto caro al pittore spagnolo, che riprende in altri numeri di quest’opera, tra cui il n. 60 Ensayos, n. 68 Linda Maestra, il n. 70 Devota profesion. 95
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Un gruppo di cinque persone adoranti, porgono a una figura, probabilmente una strega, un feto. La figura sulla destra ha un viso umano, ma il corpo da capra. Ciò è più evidente nello schizzo preparatorio, in cui la figura al centro dell’immagine le bacia la zampa. Il pittore quindi ha un ripensamento e rende un semplice ossequio al maestro, un vero e proprio sacrificio umano. Il brano, numero 20 di 24, è un dissacrante collage di citazioni ai lavori di Ildebrando Pizzetti, maestro di Castelnuovo-Tedesco.
Esempio 2: Obsequio á el maestro, tema iniziale.
L’apertura è affidata al tema de I pastori, ripreso senza nessuna variazione. La seconda frase che compone il primo periodo, è invece materiale tematico di Castelnuovo. La seconda sezione è una citazione alla Preghiera per gl’innocenti, dalla Sonata per violino e pianoforte. Se ad iniziare il brano abbiamo trovato una melodia cantabile e serena, la seconda citazione introduce una scena più solenne, mentre il Moderato - funebre, con indicazione “p espressivo e lamentoso” rappresenta il culmine drammatico del brano. Questa sezione cita la Trenodia per Ippolito morto dalla Fedra di Pizzetti. Se le precedenti sezioni sono state una discesa drammatica graduale, il breve Allegretto scherzando che inizia improvvisamente appare chiaramente come una ridicolizzazione della drammaticità precedentemente esposta.
Esempio 3: Obsequio á el maestro, chiusura
Successivamente viene ripreso il tempo primo, che sembra voler chiudere il brano, ma un’ultima codetta, che cita la Sonata per violino e pianoforte Vivo e fresco, cambia nuovamente direzione, dando una conclusione che nasce dal nulla e non è contestualizzata all’interno del brano: si tratta ovviamente dell’ultimo sberleffo, che vuole canzonare non solo l’amato maestro Pizzetti, ma anche molti accademici. Vale la pena, per meglio capire l’astio che Castelnuovo nutriva nei confronti di una certa categoria di insegnanti, approfondire il suo rapporto con il maestro Scontrino: I miei rapporti con lui furono, dal primo momento, tempestosi. Disapprovò senz’altro tutto quello che avevo fatto, e si mise in testa di «raddrizzarmi»! Ma, per far questo, invece di darmi dei contrappunti (che certo mi sarebbero stati molto utili) mi faceva svolgere delle composizioni su tema dato: i temi, in principio, erano miei, ma, siccome questi gli parevano troppo «originali», cominciò a impormi dei temi suoi, banalissimi […] ed io mi divertivo a camuffarli nei 96
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modi più impensati e stravaganti (pur di contraddirlo non so cosa avrei fatto!). Egli, da canto suo, si indispettiva, si faceva giuoco dei miei «gusti raffinati» […]. I nostri gusti erano agli antipodi: aveva, sì, per Strauss, una grande ammirazione [...] ma detestava Debussy, che definiva un corruttore! Mi ricordo che, quando fu pubblicato il Martirio di San Sebastiano e vidi lo spartito sul suo pianoforte, egli mi ammonì: «questa è musica che tu non devi leggere!». Gli risposi altezzosamente che l’avevo letta prima di lui! (ed era la verità!). Un’altra volta, in Conservatorio, mentre egli era uscito di classe, mi divertì a suonare per i miei compagni (che, ligi delle sue proibizioni, non avevano mai letto una pagina di Debussy!) alcuni Preludi, egli rientrò nella stanza proprio mentre un suo scolaro prediletto stava dicendo «ma non è poi musica tanto brutta come dice il Maestro!». Mi fece una scenata, e mi accusò di corrompergli la classe!7
Castelnuovo capì che doveva cercare altrove il suo maestro di composizione e quando seppe dell’entrata in conservatorio di Ildebrando Pizzetti (1880-1968), si presentò a lui e fu accolto con grande piacere nella nuova classe, benché il passaggio burocratico verso quest’ultima fu molto spinoso. Scontrino non voleva perdere il suo allievo e si oppose con fermezza, arrivando persino a fare ricorso al ministero per cercare di impedire il cambio di classe. Il merito di Pizzetti fu grande soprattutto per la sua abilità nel dividere i due lati dell’insegnamento della composizione: rigore massimo quando si trattava di correggere gli esercizi ma apertura totale nell’analisi delle composizioni degli allievi, che venivano analizzate insieme al maestro, e mai corrette. Ben presto Castelnuovo divenne l’allievo prediletto di Pizzetti che lo invitava a casa sua dove si radunavano tutti i personaggi di spicco della Firenze dell’epoca, e dove assisteva in anteprima alla stesura delle opere più importanti del suo maestro, tra cui Fedra. Molti anni dopo, in occasione del concorso Campari del 1958 Castelnuovo ebbe una grande delusione: vinse sì il concorso con l’opera Il mercante di Venezia, ma Pizzetti, che in qualità di giudice gli aveva assegnato la vittoria, si oppose alla rappresentazione della partitura in quanto consulente artistico del Teatro alla Scala di Milano. Finalmente, l’11 aprile 1958, seppi della vittoria. [...] Ricevetti qualche giorno dopo anche la relazione della commissione giudicatrice; e questa [...] era stata scritta da Pizzetti stesso. [...] Quanto alla musica, ne lodava «... la coerenza stilistica, l’abbondanza di temi di vario carattere, sia in quando disegno melodico sia in quanto ritmo...»; «... la tessitura armonistica e contrappuntistica che rivela una maestria tecnica non comune, chiarezza di linguaggio vocale e strumentale...»; e, «... in alcuni episodi una sicura efficacia drammatica[...]». Mi faceva anche due critiche: «... certi temi, o motivi o melodie, sono spesso di una semplicità di disegno che scade in faciloneria...», e, «... la costruzione dei pezzi è non di rado di un troppo scoperto e abusato scolasticismo». [...] Rispondendo al Maestro (ed accettando umilmente il verdetto) gliene domandai più precise spiegazioni (ma a questo Pizzetti non rispose mai).8
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Ivi, p. 85. Ivi, pp. 589-600. 97
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Inizialmente la rappresentazione dell’opera fu fissata per il 26 gennaio 1959, ma poi fu disdetta. Il 22 aprile ci fu la cerimonia per la consegna del premio, che Castelnuovo ricorda per essere stata molto commovente. Ma della rappresentazione del “Mercante” alla Scala (almeno ufficialmente) non si parlò più. Poterono esservi coefficenti vari, ma la causa determinante fu, senza dubbio, l’atteggiamento assunto dal mio Maestro, Pizzetti: il quale, nominato proprio in quell’anno consulente artistico della Scala, si dichiarò (come seppi in modo positivo) contrario alla rappresentazione della mia opera. Ne rimasi (questa volta si) sorpreso e addolorato! [...] Ma, alla fine dell’anno, quando (come facevo sempre) gli scrissi per mandargli gli auguri, gliene mandai una copia, domandandogli «come potesse riconciliare, nella sua coscienza di uomo e di artista, il fatto di avere prima assegnato il premio all’opera e poi di essersi dichiarato contrario alla rappresentazione». Pizzetti mi rispose [...] E la lettera (in parte) diceva: «Io son sempre stato del parere, e lo confermo, che l’opera potesse essere premiata come la migliore fra tutte quelle presentate al Concorso [...]; ma ho pur sempre pensato che i meriti dell’opera non fossero tanti e tali per cui la Commissione potesse assumere in proprio la responsabilità della sua presentazione alla Scala». Al che replicai [...]: «Caro Maestro, la risposta è, press’a poco, quella che mi attendevo; ma non posso dire che il Suo ragionamento mi abbia convinto. [...] Se Ella pensava (e ne aveva perfettamente il diritto!) che i meriti dell’opera non fossero nè tanti nè tali per cui la Commissione potesse assumere in proprio la responsabilità della sua presentazione alla Scala, allora sarebbe stato più onesto e più coerente se il premio non fosse stato assegnato affatto». A quest’ultima lettera Pizzetti non rispose. E questa è stata la fine dei miei rapporti con lui: fine triste e miserevole di una così lunga e (almeno per parte mia) così devota amicizia: che certo non tocca l’ammirazione che ho sempre avuto per lui come artista, né la riconoscenza che gli serbo per gl’insegnamenti ricevuti negli anni giovanili; ma che è certo stata, da un punto di vista umano, la più grande delusione ch’io abbia avuto in vita mia.9
Sicuramente il maestro Scontrino, insieme al commissario per la prova di fuga di cui abbiamo già parlato, fa parte della categoria di insegnanti che Castelnuovo vuole parodiare. Un maestro che si propone di “raddrizzare” uno studente, solo perché ha dei gusti che escono fuori dai propri canoni estetici, e che vieta ai propri allievi di leggere musiche che secondo lui sono addirittura corruttive. Possiamo tracciare un parallelismo tra il circolo di streghe adoranti satana, pronte a sacrificare la propria prole, alla classe di un maestro con i suoi allievi prediletti, mentre gli cedono la loro musica, che è piegata non alla loro estetica, ma a quella del loro insegnante. Sicuramente Pizzetti aveva il merito di essere un ottimo insegnante in quanto i compiti erano corretti con severità, ma le composizioni originali erano analizzate insieme all’alunno senza che il maestro ci mettesse mano.
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Ivi, pp 600-603. 98
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Tuttavia, nell’ultimo scambio con quello che una volta era il suo allievo prediletto, sembra di leggere tra le righe (e forse anche Castelnuovo lo ha fatto) che il lavoro del suo alunno è si ottimo, ma ha l’unico difetto di scostarsi dal suo ideale estetico. Si sabrá mas el discipulo?
Figura 3: Francisco Goya, Si sabrá mas el discipulo? (1797-1799) (acquaforte e acquatinta, 30,6x20,1 cm, museo del Prado, Madrid).
Questa incisione apre la serie di Caprichos detta Asnerías con protagonisti gli asini, il ciclo va dal numero 37 al numero 42. Il mulo, molto presente nell’iconografia di Goya, simboleggia l’ignoranza e la stupidità. L’incisione è dominata da un asino adulto, dai tratti umanizzati (nell’incisione finale ha un cappello che gli copre le orecchie, mentre nel disegno preparatorio il copricapo non era presente). Si sta svolgendo una lezione, e l’asino adulto insegna a leggere ad altri asini più giovani. Tutti indossano abiti ed hanno connotazione umana. Questa rappresentazione è una chiara critica che Goya, illuminista, rivolge ai falsi maestri, cioè a coloro che non hanno alcuna conoscenza da trasmettere, eppure si trovano nel ruolo di insegnanti, e se il maestro è asino, Si sabrá mas el discipulo?
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Esempio 4: Si sabrá mas el discipulo? Introduzione.
Il brano, numero 15 della raccolta, si apre con un’introduzione “f” di due battute che ripete tre volte la stessa terzina di semicrome discendente seguita dall’accordo di sol. In base all’ispirazione del brano, non è difficile interpretare questa figurazione come il raglio di un asino. Segue l’esposizione di una serie dodecafonica che termina di nuovo su una terzina discendente e accordo, seguito da un Tempo di gavotta, in cui il tema dato è armonizzato con semplicità. Successivamente il tema viene sottoposto alle tipiche trasformazioni della scuola dodecafonica e trattato in maniera simile a quanto già visto. Terminata l’esplorazione delle trasformazioni del tema in ambito dodecafonico, vi è una Musette 1: breve sezione senza segni di trattamento dodecafonico, la quale termina con la terzina di crome discendente vista all’inizio. Viene ripreso dunque il tema iniziale, ma sul suo termine nasce una nuova Musette 2, che come prima non ha elementi della serie dodecafonica, e termina con l’ormai consueto raglio. L’ultima ripresa della Gavotta ci conduce alla Coda. Il brano termina con l’alternanza delle terzine ascendenti e discendenti suonate “ff”, seguite da una cadenza in do. È chiaro che Castelnuovo-Tedesco abbia messo in scena lo svolgimento di una lezione, in cui sono protagonisti i due asini dell’incisione di Goya: il maestro spiega la dodecafonia e assegna una serie (questo ci ricorda anche le tediose, per Castelnuovo, lezioni con il Maestro Scontrino, che era solito affidare delle composizioni su un tema dato), l’allievo svolge il compito ma poi si distrae e scrive delle Musette, perdendo di vista il tema dodecafonico. A quel punto si fa viva la solita terzina discendente, che non è altro che il raglio del maestro che lo riporta sul tema dodecafonico. La situazione si ripete più volte, finché non arriviamo alla coda, che con le terzine alternate discendenti e ascendenti mette in scena un battibecco tra i due asini. Il brano potrebbe facilmente essere interpretato come una presa in giro del sistema dodecafonico, ma la realtà è più complessa. Castelnuovo è scettico sull’utilizzo di un sistema che mette al primo posto il processo di scrittura più che il risultato musicale, ma è comunque rispettoso del sistema dodecafonico e di Schönberg, e sebbene non apprezzi questo tipo di musica (a parte i lavori di Berg), è consapevole dell’importanza che ricopre. La vera critica di questo brano è indirizzata a tutti quei musicisti ignoranti, che hanno trovato nella dodecafonia la possibilità di scrivere delle partiture senza una solida preparazione. Schönberg era un’intelligenza troppo acuta e sagace per non accorgersi degli equivoci, dei sotterfugi a cui si prestava il “sistema”; e probabilmente era annoiato lui stesso di vedere tanti musicisti senza talento (che non sarebbero mai riusciti a scrivere una pagina 100
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di musica “normale”) adottare il sistema dodecafonico come il mezzo più semplice e sicuro per scrivere della musica “moderna”! E poi, sì, il sistema è importante, ma fino a un certo punto: il problema rimane sempre (con questo come con qualsiasi altro sistema) quello di “metterci dentro della musica”!10 Ma non si creda con questo ch’io voglia sottovalutare l’importanza di Schönberg e del suo contributo alla teoria musicale: nella sua orgogliosa solitudine, nella sua fede senza compromessi, egli rimane, almeno moralmente, una delle più ammirevoli figura nella storia dell’arte musicale11
Parlando dell’incontro con De Falla, autore che Castelnuovo stimava profondamente, abbiamo un’altra conferma della ricerca di una scrittura essenziale che l’autore fiorentino considera di massima importanza. E fu lui il primo a mettermi in guardia contro le complicazioni grafiche della musica moderna: «Troppo spesso» – mi disse – i compositori contemporanei si compiacciono di artifici che sono interessanti a vedersi sulla carta, ma che poi non risultano all’audizione: mentre la musica è fatta per esser sentita!» (anzi, per correggere i musicisti da questa cattiva abitudine, da questo “peccato mortale”, auspicava che un giorno la musica non fosse più scritta, ma soltanto registrata: il che può parere anche eccessivo). Ad ogni modo questo è in aperto contrasto con un aneddoto che mi raccontò recentemente Toch, il quale, invitato un giorno da Schönberg ad assistere a una prova del suo terzo Quartetto, espresse all’autore il desiderio di ascoltarlo, senza seguirlo sulla partitura: al che Schönberg, irato, rispose: «Ma questa è musica scritta per essere letta, non per essere sentita!» E in questo contrasto di tendenze è riassunta, mi pare, tutta la “tragedia” della musica contemporanea! È superfluo ch’io dica da quale parte vadano le mie preferenze; e, almeno per me, sempre più incline alla chiarezza e alla semplificazione, il monito di De Falla non è andato perduto.12
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Castelnuovo si riferisce ad una frase pronunciata da Schönberg, che durante una conversazione fu informato del fatto che molti musicisti francesi componevano utilizzando il sistema dodecafonico. Schönberg chiese al suo interlocutore: «E ci mettono dentro anche della musica?» 11 CASTELNUOVO-TEDESCO, Una vita di musica cit., pp. 397-408. 12 Ivi, pp. 266-269. 101
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El sueño de la razón produce monstruos
Figura 4: Francisco Goya, El sueño de la razón produce monstruos (1797-1799) (acquaforte e acquatinta, 30,6x20,1 cm, museo del Prado, Madrid).
L’incisione vede ritratto un uomo, probabilmente Goya stesso. La testa è poggiata sulla scrivania, le mani nascondono il viso. Sulla scrivania sono poggiati alcuni fogli e una penna. Dalle spalle del personaggio si alza in volo un grande numero di uccelli notturni: gufi e pipistrelli, simbolo di stregoneria e superstizione. Accanto alla sedia dove giace l’uomo, vi è una lince, con gli occhi vigili, composta e maestosa. A differenza dei rapaci che hanno espressioni spaventate, la lince mantiene il suo carattere composto. Sulla scrivania troviamo la scritta El sueño de la razón produce monstruos (Il sonno della ragione genera mostri). Questa incisione vede protagonista un uomo e i suoi incubi: mentre l’uomo dorme, lasciando cadere la penna e quindi abbandonando un simbolo di conoscenza e ragione, alle sue spalle si fanno avanti due tipologie di animali notturni dalla connotazione negativa: i gufi, che nella Spagna del Settecento erano simbolo di follia, stupidità e paure 102
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irrazionali, e i pipistrelli che erano simbolo di stregoneria e superstizione; questi ultimi sono molto spesso presenti nelle opere di Goya. Accanto all’uomo siede composta e regale una grossa lince, che invece simboleggia, con il suo sguardo acuto e penetrante, l’ultimo barlume di coscienza, che può aiutare l’uomo a destarsi e sconfiggere i propri demoni. Originariamente questa incisione doveva essere il frontespizio dei Caprichos, infatti nel disegno preparatorio, sulla scrivania la scritta recita Ydioma universal. Dibujado y Grabado por Fco. de Goya, año 1797 (Linguaggio universale. Disegnato e inciso da Fco. De Goya, anno 1797). In basso, al di fuori dello spazio riservato all’incisione, aveva appuntato una sintesi degli intenti dell’intera opera El autor soñando. Su yntento solo es desterrar bulgaridades perjudiciales, y perpetuar con esta obra de caprichos, el testimonio solido de la verdad (L’autore sogna. La sua intenzione è solo di bandire le volgarità dannose e di perpetuare con questa opera di capricci, la solida testimonianza della verità).
Esempio 5: El sueño de la razón produce monstruos, tema iniziale.
Il brano, numero 18, è in forma di Chaconne con cinque variazioni e coda. L’esposizione del tema, in re minore, è indicato con Lento e grave (Chaconne). La prima variazione vede un arpeggio della parte armonica a coppie di terzine, mentre nella seconda variazione il tema si sposta al basso. La terza variazione Molto mosso e deciso inizia a mutare il carattere del brano: il ritmo è incalzante e alterna una croma a coppie di semicrome, inizia ad aumentare l’intensità (compare il primo “f” del brano) ed esplora il registro più acuto dello strumento. Il tema si trova ancora al basso, ed è accompagnato da un tema secondario che muove per moto retto e scandisce il ritmo della variazione. La quarta variazione (Lo stesso tempo - con impeto) vede continuare la progressione verso un carattere più mosso e passionale del brano: il tema viene riportato al registro acuto ed al basso c’è uno sviluppo fittissimo di rielaborazioni tematiche. La quinta variazione vede l’entrata del tema per diminuzione ed è l’unica variazione che presenta sostanziali differenze nell’esposizione del tema. Dopo l’esposizione della prima frase, che pure se diminuita e variata resta ancora ben riconoscibile, dalla seconda frase nasce una divagazione in cui l’autore fa largo uso di cromatismi. L’ultima parte “ff” termina con una cadenza autentica la quale porta alla riesposizione del tema, Tempo I. (Riepilogo e Coda) con indicazione “ff grave e solenne”. Al termine del riepilogo il tema diventa più tranquillo con indicazione “più dolce”. La coda riporta gradualmente il carattere del brano alla sua origine tranquilla e cantabile, parte dai toni acuti “p dolcissimo e lontano” e termina il brano con “pp dolce ma sonoro”, sull’accordo di re maggiore.
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Il brano parte da un tema cantabile e sereno che raggiunge gradualmente toni impetuosi e tormentati. La coda del brano però ci riporta alla prima atmosfera, e chiude con un accordo perfetto maggiore. L’intero brano può essere interpretato come una discesa verso l’incubo e ritorno, ma anche come metafora della manipolazione del racconto. L’utilizzo di un tema variato è molto indicativo: se guardiamo al tema come ad una verità di fatto, le variazioni ad essa legato sono il racconto che viene fatto della verità, e che quindi può essere distorto, modificato, privato del suo senso originale, pur mantenendo gli stessi assunti di base. La stessa idea può essere proposta in maniera differente, può far leva su diversi aspetti, e se l’uditore non ha una viva ragione a guidarlo, può accettare qualsiasi messaggio, indipendentemente da quanto violento esso sia. I temi che divagano rispetto a quello principale, soprattutto a partire dalla variazione 4, possono simboleggiare lo stormo di mostri che nascono dal sonno della ragione. Una delle persone che maggiormente rappresenta il sonno della ragione che genera mostri, è sicuramente Alessandro Pavolini. Il gerarca fascista, da giovane era un insospettabile e gentile amico di Castelnuovo-Tedesco. Si unì prima allo squadrismo fascista (cosa che Castelnuovo nella sua autobiografia giustifica scrivendo «credo in buona fede e con giovanile entusiasmo»), poi ricoprì incarichi governativi nel governo fascista, e infine fu comandante delle Brigate nere. Avevo fatto molta amicizia, a Castiglioncello, col minore dei ragazzi Pavolini, Alessandro, (di una decina d’anni più giovane di me) e, quando eravamo lontani, ci scrivevamo di frequente. Frattanto Alessandro era diventato (credo in buona fede e con giovanile entusiasmo) quello che allora si chiamava “un fascista della prima ora”: seguiva le nuove ideologie, era “squadrista” e prendeva parte alle cosiddette spedizioni punitive: tutte cose che io disapprovavo (e glie lo dissi francamente).13
Quando alcuni anni dopo, la sua musica, e quella degli altri compositori ebrei fu bandita da tutte le radio italiane, Castelnuovo-Tedesco scrisse, a quello che ingenuamente credeva ancora amico, e che nel frattempo aveva ricoperto la carica di presidente della “Confederazione fascista dei professionisti e artisti” (carica che ricoprì dal 1934 al 1939), una lettera in cui chiedeva che la sua musica e quella di altri artisti di fede ebraica fosse di nuovo ammessa nelle radio italiane. Di che si accusano i compositori ebrei? So che in recenti polemiche giornalistiche, svoltesi sui giornali romani a proposito delle varie tendenze nella musica italiana contemporanea (e rivolte contro compositori non ebrei), si è parlato vagamente di un “ebraismo musicale bolscevizzante e sovversivo” (che nessuno sa esattamente cosa significhi); ma neppure in tali polemiche, a cui per abitudine non prendo parte, si è mai fatto il nome di un solo compositore ebreo italiano. [...] Per me e per i miei colleghi io non richiedo favori d’alcun genere: chiedo solo il libero esercizio della mia Arte e della mia Professione, in piena ed assoluta parità di doveri, ma anche di diritti, con gli altri artisti italiani.14
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Ivi, pp. 174-175. Lettera ad Alessandro Pavolini, 27 Gennaio 1938. 104
I 24 CAPRICHOS DI MARIO CASTELNUOVO-TEDESCO
Naturalmente non riceverà dal gerarca fascista la risposta che sperava ma continuò a tollerare la discriminazione per alcuni mesi, fino all’approvazione della prima legge razziale che escludeva i bambini ebrei dalla frequentazione delle scuole pubbliche. Quando lesse la notizia per la prima volta, si trovava con suo figlio Pietro, che all’epoca aveva circa 13 anni. Leggemmo li, sui giornali, la prima delle cosiddette leggi razziali: era contro i ragazzi”, era quella che vietava ai fanciulli ebrei di frequentare le scuole pubbliche, e ne faceva, fin dall’infanzia, dei paria, dei fuorilegge” Neanche in Germania si era cominciato così” E fu un colpo terribile: qualunque cosa avrei potuto sopportare, la fine della mia attività professionale, l’esproprio dei beni, ma non questo.
Castelnuovo scelse di partire per l’America, ma non fu cosa semplice ottenere i documenti necessari per l’espatrio. Dovette stabilire un primo contatto con i suoi amici dalla Svizzera, visto che le lettere passavano attraverso la censura, e successivamente si scrissero in codice. Scrisse a Jascha Heifetz, Albert Spalding e Arturo Toscanini e tutti furono di supporto, sia per quanto riguarda la burocrazia, sia per la ricerca di un nuovo lavoro sul posto. Tuttavia in quel periodo il governo italiano cercava in tutti i modi di evitare l’espatrio «agli Ebrei dicendo che i posti della “quota” erano riservati agli Ariani e viceversa». Questo gli costò mesi di viaggi in tutti gli uffici, e solo alla fine, grazie all’aiuto di un musicista amico, ricevette il permesso. L’amicizia con Heifetz fu preziosa anche una volta arrivato in America, visto che grazie alle conoscenze del violinista ebbe modo di lavorare presso la casa cinematografica Metro Goldwyn Mayer come compositore di musiche per film. Descrive così, nella sua autobiografia il momento della partenza dall’Italia: Quel che provai in quel momento non lo saprei ridire; e chi non conosce l’amarezza dell’espatrio non la può immaginare. Non si può parlare di dolore, di rimpianto, di sofferenza morale: fu quasi uno strazio fisico, uno strappo, una mutilazione (mi parve quasi la prova generale della morte); e da allora qualche cosa è definitivamente morta in me: non la speranza, ma l’illusione; e se qualche cosa mi ha tenuto in vita è stato l’amore per i miei cari e l’amore per la musica. [...] Eppure, se torno col pensiero a quella dura esperienza, devo esser grato al destino, che (portandomi in un paese nobile, generoso, ospitale) mi ha permesso di continuare nel mio lavoro e di dare ai miei figliuoli un’educazione sana, libera e giusta: devo benedire la sorte, che (tenendomi lontano dagli orrori della guerra, dalle crudeltà delle persecuzioni, dalle follie degli animi esasperati) mi ha concesso il più grande privilegio che possa toccare ad un essere umano: quello di non odiare.15
La chitarra nel linguaggio maturo di Castelnuovo-Tedesco Castelnuovo-Tedesco conosce la chitarra grazie ad Andrés Segovia, ed il rapporto che i due stringeranno rappresenta un sodalizio artistico e umano tra i più importanti nella vita del Compositore. 15
CASTELNUOVO-TEDESCO, Una vita di musica cit., pp. 306-307. 105
GIUSEPPE VASTARELLA
Nonostante la fortuna riscossa con tutti i grandi interpreti già citati, la sua musica durante gli anni americani quasi sparì dalle programmazioni, e fu proprio Segovia, che con la sua intensissima attività concertistica in cui erano sempre presenti brani del compositore, a tenere la sua musica viva. Io non avrei certo scritto per la chitarra, se non avessi conosciuto Segovia: è lui che me l’ha rivelata; ed è “per colpa sua” se oggi la mia musica chitarristica forma una delle sezioni più notevoli della mia produzione; ed anche se in futuro dovesse esser poco (o punto) eseguita, sono lieto e orgoglioso di averla scritta per lui.16
Col passare del tempo la chitarra assume un ruolo sempre più ampio nella musica del compositore, che esprime la sua più matura cifra stilistica proprio su questo strumento, preferendolo a qualsiasi altro organico. Quali sono le ragioni della predilezione di Castelnuovo-Tedesco per la chitarra? Sicuramente subì il fascino di Segovia, visto che apprezzava il virtuoso della chitarra e non esitò a scrivere per lui non appena gli fu chiesto, ma non solo, visto che si divertì molto a scrivere per altri chitarristi. Un esempio è la sua ricca produzione per due chitarre in dedica al duo Presti-Lagoya (Sonatina Canonica, Les guitarres bien tempérées, Concerto per due chitarre e orchestra, Fuga elegiaca), e le Greeting Cards, brani che Castelnuovo “regalava” in dedica ai propri amici, tra cui i chitarristi: Siegfried Behrend, Bruno Tonazzi, Oscar Ghiglia, Mario Gangi, Alirio Diaz, Ruggero Chiesa, e altri ancora. La sua produzione dunque, non era dedicata in maniera esclusiva a Segovia, sebbene la maggior parte delle sue opere più importanti lo sono. Sicuramente era attratto dal suono intimo di uno strumento capace di una infinità di timbri diversi, ma il motivo della sua scelta era più profondo, e fu dettato dal suo stile musicale che andava maturando e dal fatto che contemporaneamente mentre egli lavorava sulla scrittura chitarristica, la chitarra nella sua richiesta di “semplicità” lo aiutava ad eliminare il superfluo e giungere all’essenza del suo stile musicale. Sì, da giovane scrivevo in modo piuttosto complicato, ma poi mi sono gradatamente e “consapevolmente” semplificato; ma le caratteristiche melodiche, ritmiche e armoniche, sono sempre quelle. Ed è proprio per questo che io amo tanto la Chitarra! Non solo per la bellezza del suono, ma perché tutto deve essere essenziale! È tanto facile “darla a bere” con il Pianoforte (che una volta era il mio strumento prediletto) e ancora di più (si figuri!) colla grande Orchestra (con tutta la sua ricchezza e varietà di colori). Ma colla Chitarra no! Bisogna esser “semplici” e bisogna esser “veri”!17
Guardando agli aspetti musicali sopra esposti, in relazione alle complicazioni grafiche della musica moderna ed alla loro resa sonora, diventa chiaro il motivo della scelta della chitarra per i 24 Caprichos. La chitarra, per sua natura, richiede al compositore di scrivere in partitura solo ciò che è fondamentale, eliminando il superfluo, e ritornando sulla chiave di lettura che vede nell’opera una sorta di “Autoritratto musicale”,
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Ivi, pp. 261-266. Lettera ad Angelo Gilardino, 23 febbraio 1967. 106
I 24 CAPRICHOS DI MARIO CASTELNUOVO-TEDESCO
diviene ancora più plausibile quando l’opera è dedicata allo strumento prediletto del compositore. In questi ultimi mesi ho scritto dei nuovi pezzi per chitarra sola; ma questi escono dai limiti cronologici che mi sono imposto per questo libro (che mi pare gia illimitato!).18 Mi contenterò dunque di dire che (per quell’amore che ho portato per tanti anni alla chitarra e alla Spagna) potrei far mio quella specie di epitaffio che Garcìa Lorca ha dettato, con tanta malinconica dolcezza, in Memento (la più breve fra le poesie del Romancero): Cuando yo me muero, entiérrame con mi guitarra bajo la arena, entre los naranjos y la hierba buena...19
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Si riferisce alla propria autobiografia. CASTELNUOVO-TEDESCO, Una vita di musica cit., p. 516. 107
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Alba Brundo BENJAMIN BRITTEN, OSIAN ELLIS E LA SUITE OP. 83 PER ARPA SOLA
Nato in una cittadina della costa orientale inglese, Benjamin Britten (1913-1976) conobbe fama come compositore subito dopo la guerra con l’opera Peter Grimes del 1945. Il successo di questo giovane autore fu insolito e inaspettato: nel panorama della musica europea, infatti, l’Inghilterra da lungo tempo non aveva prodotto compositori di rilievo ed era rimasta appartata, importando e consumando musica staniera, più che producendo ed esportando compositori e musiche. Soprattutto nell’Ottocento, durante il lungo regno della regina Vittoria, l’alta società britannica aveva preferito consumare musica d’importazione, lasciando ai compositori locali solo la produzione di musiche occasionali, celebrative e da chiesa. La figura del compositore ‘puro’, che viveva della propria arte, risultò inconcepibile per la ricca e pragmatica società inglese fino alla comparsa dei primi compositori come Edward Elgar (1857-1934) e Frederick Delius (1862-1934) che, all’inizio del Novecento, cominciarono a pubblicare e a far eseguire i propri lavori sinfonici, cameristici e operistici nei festival e nei concorsi che si erano diffusi in ogni provincia, a seguito della riforma dell’istruzione pubblica del 1870 che, finalmente, introdusse lo studio della musica nelle scuole britanniche. Contemporaneamente cominciarono a diffondersi in Gran Bretagna anche le avanguardie francesi e tedesche, il Neoclassicismo, il jazz e i nuovi compositori locali poterono ampliare i propri orizzonti musicali e cominciare a dare vita a uno stile nazionale che fu caratterizzato da un ecclettismo ispirato a differenti modelli culturali d’importazione e dal recupero di forme e tradizioni musicali antiche o folkloristiche.1 In questo panorama, Benjamin Britten rappresentò l’esponente di maggiore statura della nuova cultura musicale inglese, per la sua capacità di trarre ispirazione da molteplici spunti per elaborare un linguaggio proprio e sempre nuovo. Riconosciuto da tutta la critica nazionale e internazionale come una delle grandi figure artistiche del Novecento, egli si mostrava sorpreso di tanto interesse nei suoi confronti. «I want my music to be of use to people, to please them, to “enhance their lives”. I do not write for posterity»2 disse Britten, in un suo celebre discorso pubblico, sintetizzando così la sua fede artistica: comporre per il piacere delle persone e non per essere acclamato dai critici o per passare alla storia. Il suo atteggiamento umile e utilitaristico nei confronti del suo lavoro di artista, interessato solo a essere capito e acclamato dal pubblico, fu in completa controtendenza rispetto all’atteggiamento snobbistico e elitario delle avanguardie europee. Il grande desiderio di musica dell’Inghilterra post-bellica e l’aspirazione ad avere una scuola nazionale di compositori in cui riconoscere la propria 1
ANDREA LANZA, Storia della Musica. Il Novecento II, 10 parte seconda, Torino, EDT, 1980, pp. 101-109.
«Voglio che la mia musica sia utile alle persone, per farle felici, per “migliorare le loro vite”. Non scrivo per i posteri». BENJAMIN BRITTEN, On Receiving the First Aspen Award. A speech given by Benjamin Britten on July 31, 1964 <http://www.aspenmusicfestival.com/benjamin-britten> (ultima consultazione 17 maggio 2021). 2
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ALBA BRUNDO
cultura e le proprie tradizioni musicali, gli assicurarono invece un posto di rilievo nella cultura inglese, e sia il pubblico che la critica lo riconobbero – quando era ancora in vita – come il primo compositore ‘naturale’ nato in Inghilterra dai tempi di Purcell, nonchè come il più grande autore del Novecento inglese. Oltre che compositore attivo in vari campi (teatri, concerti, cinema, radio, televisione), Britten fu anche esecutore, direttore, organizzatore, imprenditore e mecenate. Attraverso le sue numerose attività nel settore musicale, mirò sempre a raggiungere un pubblico ampio. Il suo atteggiamento umile, il suo modo ‘artigianale’ di intendere la professione del musicista, sempre duttile e aperto a tutti i generi musicali e a tutte le committenze – ma anche attento all’aspetto economico del suo lavoro – fecero di lui un musicista amato e rispettato, considerato una vera gloria nazionale. La sua cultura musicale fu vasta, ma la sua scelta estetica fu quella della semplicità, della chiarezza delle forme, dell’immediatezza del linguaggio musicale. Per ottenere ciò, scelse il ritorno alla tonalità e sviluppò una grande capacità di utilizzare e modellare in maniera creativa stili e forme del passato.3 Ha scritto di lui lo storico Andrea Lanza: «La simpatia per Purcell, l’uso ricorrente di forme e moduli della tradizione (la variazione, la fuga, la passacaglia) non si esauriscono in lui in una dimensione neoclassica, in una poetica di repêchages, ma sono subordinati a un acuto senso della comunicazione in musica, a un artigianato abilissimo nello sfruttare ogni spunto (dal barocco a Berg, a Verdi) che il linguaggio musicale gli offre per fini immediati».4 La sua grande abilità tecnica nell’uso dei diversi stili, unita alla sua cultura musicale e alla sua versatilità, gli consentirono di trovarsi a suo agio nella composizione di vari generi musicali. Il contatto con numerosi musicisti e interpreti, conosciuti anche nel corso della sua attività di organizzatore musicale, lo spinse ad approfondire la conoscenza dei diversi strumenti, componendo per essi e organizzando pubblici concerti, come quelli di Aldeburgh, nell’ambito del Festival da lui fondato nel 1948. «Music does not exist in a vacuum, it does not exist until it is performed, and performance imposes conditions»,5 amava dire Britten, e per questo motivo si circondò sempre di numerosi strumentisti con cui entrò in amicizia sincera e che ispirarono molte sue composizioni. Lavorò spesso con orchestre e cori non professionali e con orchestre e cori di ragazzi per i quali scrisse molta musica (riteneva che educare il pubblico e sviluppare il suo gusto fosse un obbligo morale dell’artista), ma collaborò anche con alcuni dei più importanti strumentisti del tempo. Musicisti come Mstislav Rostropovich per il violoncello, Julian Bream per la chitarra, Osian Ellis per l’arpa, gli ispirarono brani scritti espressamente per loro, tenendo conto delle loro capacità tecniche e della loro musicalità, e collaborarono con lui dandogli suggerimenti sulla scrittura per i loro strumenti.
L’argomento è ampiamente trattato in CHRISTOPHER CHOWRIMMTOO, Britten Minor: Constructing the Modernist Canon in Twentieth-Century Music, Cambridge, Cambridge University Press, 2016, pp. 1-30. 4 LANZA, Il Novecento II cit., p. 109. 5 «La musica non esiste nel vuoto, non esiste fino a quando non viene eseguita, e la performance impone le condizioni». BRITTEN, On Receiving the First Aspen Award cit. 3
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BENJAMIN BRITTEN, OSIAN ELLIS E LA SUITE OP. 83
L’incontro di Britten con l’arpa avvenne negli Stati Uniti, dove egli si era trasferito col suo compagno, il tenore Peter Pears, nel 1939 per sfuggire alla guerra. Nel 1941, poco prima di decidere di tornare in Gran Bretagna, un arpista americano gli commissionò un Concerto per arpa e gli procurò un metodo per imparare a conoscere la scrittura per questo strumento.6 Di questo Concerto non sopravvive nulla perché quasi certamente non fu mai scritto, ma sicuramente l’insolita commissione stimolò in Britten l’interesse per l’arpa e ispirò il suo utilizzo nella composizione A Ceremony of Carols per coro di voci bianche (o coro femminile) e arpa che gli scrisse sul transatlantico che dagli Stati Uniti lo riportò in Inghilterra nel 1942. Questo brano fu uno dei pochi che Britten compose senza aver ricevuto una commissione specifica, ma la decisione di musicare dei Carols, canti tradizionali natalizi, fu da lui presa presumibilmente pensando alla possibilità di farli eseguire al suo arrivo in Inghilterra, durante le festività natalizie che si avvicinavano.7 Il brano piacque moltissimo al pubblico inglese e continuò a essere eseguito spesso in concerto negli anni a seguire. Pochi anni dopo, nel 1946, il compositore dedicò all’arpa una delle variazioni della celebre The Young Person’s Guide to the Orchestra, composizione che ha per sottotitolo Variazioni e fuga su un tema di Purcell. L’opera, a scopo didattico, fu commissionata all’autore dal Ministero dell’Educazione inglese per fare da commento sonoro a un breve documentario sugli strumenti dell’orchestra, ma fu eseguita in concerto ancor prima della distribuzione del documentario. Fu solo nel 1959, in occasione di un’esecuzione di A Ceremony of Carols nell’Abbazia di Westminster, che Britten ebbe modo di conoscere per la prima volta Osian Ellis, lo straordinario interprete che avrebbe collaborato con lui per molti anni e che gli avrebbe ispirato diverse composizioni, consentendogli di scoprire nuove possibilità e nuove sonorità dell’arpa.8 L’anno dopo, nel 1960, Britten invitò l’arpista gallese a tenere un concerto per l’Aldeburgh Festival e in quella occasione ebbe modo di sentirgli interpretare Handel e Hindemith. Il compositore ammirò il gusto e le scelte musicali di Ellis, più rivolte a uno stile sobrio e classico che all’esuberante stile ottocentesco, ricco di glissandi e volatine, in cui amavano cimentarsi la maggior parte delle arpiste che aveva avuto modo di ascoltare. Mostratosi sorpreso del suo modo di suonare l’arpa, gli disse che tutte le interpreti che aveva sentito fino a quel momento gli avevano dato l’impressione di suonare l’arpa come se stessero lavorando a maglia! 9 Da quel momento s’istaurò un’intesa musicale tra i due musicisti che durò tutta la vita.
JOHN BRIDCUT, The Faber Pocket Guide to Britten, London, Faber & Faber, 2010, p. 402; HEATHER WIEBE, Britten’s Unquiet Pasts: Sounds and Memory in Postwar Reconstruction, Cambridge, Cambridge University Press, 2012, p. 41. 7 WIEBE, Britten’s Unquiet Pasts cit., p. 41. 8 Il primo incontro tra Britten e Ellis è raccontato dallo stesso arpista in ELLIS, Benjamin Britten (1913-1976) cit., p. 4. Nato nel 1928, Osian Ellis si è spento il 5 gennaio 2021. Cfr. ELINOR BENNET, Remembering Osian Ellis (1928-2021), «Harp Column», February 4, 2021 <https://harpcolumn.com/blog/remembering-osian-ellis-1928-2021/> (ultima consultazione 17 maggio 2021). 9 CAMERON PIKE, Benjamin Britten’s creative relationship with Russia, PhD Thesis, London, Goldsmiths’ University, 2011, p. 405 <https://research.gold.ac.uk/id/eprint/5919/1/MUS_thesis_PykeC_2011.pdf> (ultima consultazione 17 maggio 2021). 6
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Figura 1: Benjamin Britten, Osian Ellis e Peter Pears.
Dopo l’incontro con Ellis, Britten guardò con più interesse alla scrittura per arpa, trovando nel suo linguaggio essenzialmente diatonico, nella sua possibilità di eseguire il contrappunto, nella sua capacità di espressione lirica, uno strumento adatto alla sua musica.10 In una intervista rilasciata nel 2010, Ellis raccontò che Britten non consultava mai gli interpreti prima della scrittura di un brano, ma preferiva elaborare in modo del tutto autonomo e creativo le capacità tecniche e timbriche osservate nell’esecutore. Solo dopo aver sentito la prima esecuzione del pezzo accoglieva i suggerimenti tecnici degli interpreti, senza però modificare mai, nell’insieme, la scrittura da lui pensata.11 In un’altra occasione Ellis sintetizzò l’influenza che il compositore inglese aveva avuto nella storia dell’arpa e nell’evoluzione della sua tecnica con queste parole: Britten brought fresh invention into harp composition. At first sight, some of it might look quite impossible. Yet, on further investigation my reluctant fingers would conquerer another hurdle, and harp technique would be further extended, and, no doubt, accepted as normal by the next generation of student harpists.12
LUCIA BOVA, L’arpa moderna, Milano, Suvini Zerboni, 2008, p. 55. Ivi, pp. 405-407. 12 «Britten portò una fresca ventata di novità nella composizione per arpa. A prima vista alcune cose potevano apparire impossibili. Ma dopo uno studio più approfondito, le mie dita riluttanti avevano superato un altro ostacolo e la tecnica dell’arpa aveva fatto un passo avanti e, senza dubbio, quel passaggio sarebbe sembrato normale per le future generazioni di studenti arpisti». ELLIS, Benjamin Britten (1913-1976) cit., p. 3. 10 11
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BENJAMIN BRITTEN, OSIAN ELLIS E LA SUITE OP. 83
Nel 1960 Osian Ellis interpretò la difficile parte del Nocturne op. 60 per tenore, archi e sette strumenti obbligati e la parte di A Midsummer Night’s Dream. In questo brano, racconterà Ellis in un’intervista, erano in realtà previste due arpe ma, al quinto giorno di prove, l’altro arpista ebbe una crisi di nervi e si ritirò, costringendolo a scrivere la parte di seconda arpa sulla propria parte e obbligandolo a suonarle entrambe.13 Nel 1961 Britten compose per l’arpista gallese anche la parte di arpa dell’intenso War Requiem che il musicista, pacifista, antimilitarista e obiettore di coscienza, dedicò ai caduti della seconda guerra mondiale e di tutte le guerre. Nel 1969 il compositore propose a Ellis un concerto da solista nell’ambito del suo Aldeburgh Festival. Per l’occasione Britten scrisse per lui l’unica composizione per arpa sola del suo catalogo: la Suite op. 83. Il brano fu inviato per posta all’arpista con questa lettera accompagnatoria: Here is the Suite. I hope it works. I feel it is rather 18th century harp writing, but somehow it came out that way. I have put in pencil pedallings – but they were only there to help me working things out, and just rub them out if they get in the way! I haven’t done anything about string positions where you play on the string, nails etc., because I know you’ll have beautiful suggestions yourself. If there are any things which simply aren’t any good (I mean harpistically, not musically), just send them back as returned work. Dear Osian, if it amuses you at all, I shall be very pleased. It isn’t very profound, but it was written rather in reaction to a very grisly piece for Save the Children Fund [this was the tragic Children Crusade for childen’s voices and instruments], and I wrote it with the greatest joy. Love to you all, Ben.14
Dopo quattro giorni, negli studi della DECCA, durante le prove per la registrazione del War Requiem, Ellis fece ascoltare il brano a Britten che, compiaciuto, esclamò: funziona! E modificò solo piccole cose, come un paio di righi alla fine della prima pagina che all’ascolto gli erano sembrati troppo ‘pianistici’.15 L’anno successivo, l’arpista curò la pubblicazione del brano per l’editore Faber di Londra aggiungendovi diteggiature, pedali e alcune note d’esecuzione.
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ALISON REESE, Welsh Wonder (Interview to Osian Ellis), «Harp Column», 26/5 (2018), pp. 24-30. «Ecco la Suite. Spero che funzioni. Sento che la scrittura sembra del 18° secolo, ma in qualche modo m’è venuta così. Ho scritto i pedali a matita – ma stavano lì solo per aiutarmi nel lavoro di scrittura! Non ho scritto niente su dove suonare le corde, unghie etc., perché so che avrai bei suggerimenti su questo. Se ci sono cose che non funzionano (arpisticamente dico, non musicalmente) rimandamelo indietro. Caro Osian se ti piacerà, ne sarò felice. Non è un lavoro molto profondo, ma è stato scritto quasi in reazione a un pezzo molto cupo composto per la Fondazione Save the Children (il tragico Children’s Crusade per voci bianche e strumenti) e io l’ho scritto con la più grande gioia. Saluti a tutti. Ben». ELLIS, Benjamin Britten (1913-1976) cit., p. 3. 15 PIKE, Benjamin Britten’s cit., p. 407. 14
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Figura 2: Benjamin Britten, Osian Ellis e Peter Pears.
Quando nel 1973 Benjamin Britten, in seguito a un intervento cardiaco, rimase colpito da un ictus che gli compromise parzialmente l’uso del braccio e della mano destra, chiese a Ellis di accompagnare Peter Pears in alcuni concerti e per loro scrisse, nel 1974, Canticle V “The Death of Saint Narcissus” per tenore e arpa, opera pervasa da un profondo spirito religioso e, nel 1975, Birthday Hansel, un ciclo di liriche del poeta Robert Burns messe in musica su commissione della regina Elisabetta in onore del settantacinquesimo compleanno della regina madre. L’anno successivo, nel 1976, il compositore scrisse infine un arrangiamento per voce acuta e arpa di Eight Folksongs, elaborazione di otto canti popolari, in cui l’accompagnamento arpistico è realizzato con tutta la maestria che caratterizza la non vasta, ma molto significativa, produzione del compositore inglese per questo strumento.
La Suite op. 83 per arpa sola16 La Suite op. 83 di Benjamin Britten è l’unica composizione per arpa sola scritta dal compositore inglese. Composta per l’arpista Osian Ellis e a lui dedicata, fu eseguita per la prima volta il 24 giugno 1969 al Festival di Aldeburgh. L’arpista ne curò anche Per l’analisi del brano è stata consultata la seguente bibliografia: LINDA WARREN, Britten’ Suite for Harp: Analisis and Study Guide, «American Harp Journal», 7/3 (1980), pp. 16-18; CHRISTINE M. VIVONA, A survey of the harp writing of Benjamin Britten with an emphasis on A Ceremony of Carols, Suite for harp, and A Birthday Hansel, Doctor of Musical Arts Thesis, The University of Arizona, 1989 <http://hdl.handle.net/10150/624862> (ultima consultazione 17 maggio 2021); MAURO MASTROPASQUA, Introduzione alla musica post-tonale, Bologna, Clueb, 1995; PETER EVANS, The music of Benjamin Britten, Oxford, Clarendon Press, 1996, in particolare pp. 335-338; BARBARA POESCHL-EDRICH, Osian Ellis on Benjamin Britten’s Suite for Harp, «American Harp Journal», 22/4 (2009), pp. 50-53. 16
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l’edizione data alle stampe nel 1970 per l’editore Faber di Londra con annotazioni, diteggiature e pedali. Il brano è composto da una successione di cinque forme tradizionali: un’Ouverture maestosa e fortemente ritmica, una Toccata veloce e brillante, un Notturno lento e sognante, una Fuga in stile contrappuntistico e un solenne Inno finale. Come scrive Osian Ellis, «themes and idioms are recognizably continuous with the great music of the past»,17 ma la composizione utilizza procedimenti armonici e strutturali propri della musica del XX secolo e ha una forte caratterizzazione personale dell’autore sul piano dell’invenzione musicale. L’autore non usa effetti nuovi, ma attraverso l’utilizzo di tecniche molto tradizionali (arpeggi di tutti i tipi, accordi secchi in posizione ravvicinata, glissandi e un passaggio con suoni armonici) crea una composizione difficile e fortemente idiomatica, che evidenzia le possibilità espressive dello strumento solo sfruttando le caratteristiche organologiche e le potenzialità timbriche e dinamiche dell’arpa. La composizione fa ampio uso di armonie tonali e di scale o frammenti di scale modali, passando continuamente dall’organizzazione tonale a quella modale (secondo una tecnica che è stata definita della ‘commutazione tra sistemi sonori’). I cinque movimenti della Suite sembrano formare una struttura ad arco: i due movimenti estremi (I e V) sono più lunghi e solenni, il secondo e il quarto sono più brevi, veloci, leggeri, il movimento centrale è un lento, bellissimo Notturno e rappresenta il climax espressivo della composizione. L’Ouverture costituisce una sorta d’introduzione cerimoniale della suite. Gli accordi iniziali suggeriscono la tonalità di do maggiore ribadita anche attraverso la moltiplicazione di sensibili presenti nel quarto accordo che risolve nuovamente sulla triade di do [esempio 1]. Esempio 1
La sezione accordale introduttiva (A) di otto battute è seguita da una sezione contrastante (B) caratterizzata da un basso ostinato riproposto in tre diverse figurazioni ritmiche in cui la tonalità di do maggiore è marcata attraverso la ripetizione della tonica su ogni tempo forte al basso [esempi 2a – 2b – 2c]; al di sopra si muovono secchi accordi sincopati la cui linea superiore dà vita a una melodia per toni interi. 17
«I temi e gli idiomi sono continuamente identificabili con la grande musica del passato». ELLIS, Benjamin Britten (1913-1976) cit., p. 5.
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Esempi 2a – 2b – 2c
Tutta la sezione B, della lunghezza di venti battute, è caratterizzata da un graduale incremento della tessitura sonora e dell’intensità agogica che raggiunge il climax soltanto alla fine dell’intera sezione. Il ritorno ad A ripropone lo stesso materiale iniziale trasponendolo un semitono sopra la dominante (triadi arpeggiate di Sol# maggiore), che portano alla conclusione del brano: una coda di cinque battute in cui il basso ostinato della sezione centrale trasposto e presentato alla voce acuta, si spegne gradatamente tornando al do e introducendo la vivace Toccata. La Toccata presenta un motivo iniziale formato di quattro battute che riappare tre volte con leggere modifiche. Infatti questa Toccata si presenta come un breve rondò AB AB1 AB sebbene non rigoroso nella forma. La prima figurazione ritmica (formata da una terzina di semicrome e da una croma) che dà inizio al brano caratterizza tutto il movimento ed è esattamente la stessa che troviamo alla fine dell’Ouverture [esempi 3a – 3b]. Esempio 3a – 3b
Tutto il movimento rimanda a una scrittura contrappuntistica: fin da subito si evidenzia una linea di basso marcato (marked) cui si contrappone una linea superiore che nasconde una polifonia implicita e che conduce a un pedale di tonica [esempio 4].
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Esempio 4
In tutta la composizione una serie di espedienti come p.d.l.t. (près de la table), smorzati, accenti e salti di ottava contribuiscono a dare spensieratezza e gioia a questo movimento virtuosistico. Il Notturno rappresenta il climax espressivo dell’intera Suite e fornisce una lettura interessante dell’utilizzo di Britten di tecniche compositive classiche affianco a tecniche proprie del XX secolo. Tutto il pezzo sembra basato sul conflitto tra relazioni esatonali e tonalità d’impianto. L’interferenza di sistemi è una tecnica già utilizzata dai compositori del primo Novecento e riguarda l’utilizzo di una serie di note ‘neutre’ che appartengono a più sistemi (modale e tonale). Questa è la scala esatonale su cui si basa il movimento: Esempio 5
Essa offre al compositore sei suoni indifferenti dal punto di vista tonale da utilizzare, ma il fa naturale con cui inizia il brano si impone come tonica di un modo prevalentemente minore affermato sin dalla prima battuta dalla presenza del do e del lab (seppur nascosti dalle dissonanze presenti nei bicordi) [esempio 6]: Esempio 6
Partendo dal disegno ostinato iniziale in fa minore, Britten riesce a implicare molte aree tonali diverse, ma tutto il brano ruota attorno alla tonalità di fa minore. Questa sensazione è accentuata dal fatto che Britten usa le alterazioni in chiave proprie del fa minore mentre altera con accidenti transitori le note di sol, re e mi nonostante esse 117
ALBA BRUNDO
rimangano costanti per tutto il brano. Nella dialettica modalità/tonalità, il solb della scala esatonale riconferma il fa come tonica. Il II grado abbassato funge da controsensibile ed è un’alterazione molto usata nel 20 secolo perché crea attrazione verso la tonica esattamente come farebbe la sensibile. Questo si avverte chiaramente nei due accordi finali del Notturno, dove il movimento del solb verso il fa esalta l’accordo di fa minore con cui termina il brano e restituisce un senso di appagante conclusione dopo tanta indeterminatezza tonale [esempio 7]: Esempio 7
Dal punto di vista metrico, il brano è caratterizzato da una poliritmia inframensurale: presenta infatti una melodia in 6/8 che contrasta con la regolarità di un disegno di quattro semiminime del basso, che si ripete come in un ostinato [si riveda l’esempio 6]. Questo contrasto contribuisce ad aggiungere all’indeterminatezza tonale del brano anche un senso d’incertezza ritmico-melodica, poiché si ha l’impressione di due schemi che operano indipendentemente l’uno dall’altro, uno trasmettendo impassibilmente lo scorrere del tempo e l’altro presentando un malinconico canto, enfatizzato nella seconda parte (B) dall’utilizzo degli armonici e, nella ripresa (A), dall’utilizzo di ottave arpeggiate. Come le altre forme polifoniche presenti nella produzione musicale di Britten, anche la breve Fuga di questa Suite è priva di ogni complessità che possa comprometterne l’immediata comprensibilità. Il movimento, più che una vera e propria fuga, sembra ‘alludere’ a una fuga accademica in quanto manca la risposta. L’agile soggetto di sei battute in 5/8 è composto in Sib lidio (scala maggiore col quarto grado innalzato). La figurazione ritmica della sua parte finale (battute 4-6) [esempio 8] stabilisce il ritmo del controsoggetto che si presenta con un monotòno molto caratterizzato ritmicamente da una figurazione persistente in tutto lo sviluppo della composizione.
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BENJAMIN BRITTEN, OSIAN ELLIS E LA SUITE OP. 83
Esempio 8
Segue una parte libera Cantabile in cui detta figurazione ritmica si ripresenta caratterizzando la melodia della mano destra che si muove su arpeggi della sinistra in questa sezione più lirica. Dopo la riproposizione del soggetto e controsoggetto trasposto al semitono superiore torna una sezione libera (espressivo) in cui, però, la direzione melodica del canto e dell’accompagnamento risulta invertita rispetto al Cantabile precedente [esempi 9a e 9b] Esempio 9a – 9b
Il movimento termina con una riproposizione finale del soggetto in retrogrado in cui ogni frammento è trattato separatamente e varia nel registro e nella metrica con un espediente compositivo di effetto [esempio 10].
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ALBA BRUNDO
Esempio 10
L’Inno finale è un tema con variazioni sul celebre inno popolare gallese di San Denio e rappresenta una sorta di omaggio di Britten alla grande tradizione di suonatori d’arpa del Paese di Ellis. Il tema dell’Inno, esposto nelle prime tre battute, [esempio 11] funge quasi da cantus firmus passando dall’acuto al grave per tutta la composizione e facendo da guida allo sviluppo delle voci aggiunte. Esempio 11
La tessitura delle voci diventa sempre più intensa non solo dal punto di vista melodico ma anche del ritmo e della sonorità. La figurazione accordale di minime con cui il tema si presenta, si muove subito dopo su un basso sincopato, assumendo quasi carattere processionale. Segue una parte “with movement”, in cui l’intensità ritmica è incrementata attraverso l’utilizzo di quartine di crome che si muovono melodicamente in direzione divergente e poi attraverso la poliritmia derivante dalle quintine e dall’ultima sestina della mano destra che si oppongono alla regolarità delle quartine della sinistra.18 La seconda variazione procede dapprima per bicordi che da una posizione molto lata sulle corde estreme dello strumento producendo un senso di vuoto centrale che a mano a mano viene riempito da triadi sempre più vicine che generano un aumento dell’intensità sonora. La successiva variazione presenta una più ricca ornamentazione del tema al basso in cui il movimento diventa più incalzante fino a giungere all’ultima variazione. Questa rappresenta il culmine dell’intensità ritmica e sonora utilizzando figurazioni di semicrome tra i forti e pesanti (heavy) accordi arpeggiati del tema [esempio 12].
Tale effetto ritmico è definito ‘illusion of accelerando’ in VIVONA, A survey of the harp writing of Benjamin Britten cit., p. 19. 18
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BENJAMIN BRITTEN, OSIAN ELLIS E LA SUITE OP. 83
Esempio 12
Tutto l’Inno è intervallato da brevi interludi a carattere improvvisativo costruiti su triadi maggiori che conferiscono un senso di positività alla composizione e quasi di ottimismo nell’ascoltatore [esempio 13]. Esempio 13
Il brano termina con un accordo di do maggiore fortissimo e sforzato, cui segue una coda riflessiva di sei battute che partendo dal ffz giunge al ppp, concludendo su un arpeggio di sol che disperde ogni effetto di forza lasciando nell’ascoltatore una sensazione di intima, serena sospensione.
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NOTE D’ARCHIVIO ____________________________________________________________________ Maurizio Rea* LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI (prima parte) Gli appunti di Ulisse Prota-Giurleo e Salvatore Di Giacomo tratti dai registri dei Mandatorum All’inizio del secolo scorso una forte amicizia legava due grandi personaggi che avrebbero consegnato agli studiosi del nostro tempo, il frutto delle loro ricerche storico-musicali in ambito partenopeo. Di loro ci resta una grande produzione scientifica che tratta le materie più disparate. Parliamo di Salvatore Di Giacomo e Ulisse Prota Giurleo, un binomio perfetto di amicizia e collaborazione. I loro nomi spesso usati, e talvolta anche abusati, sono il punto di riferimento per quanti si apprestano allo studio della musica a Napoli nel Seicento: quando si tratta questa materia non si può prescindere dall’immenso lavoro sugli antichi Conservatori1 fatto da Salvatore Di Giacomo, né dal grande contributo di Giurleo sui Teatri2 a Napoli nel XVII secolo. Sono ovviamente lavori storici figli della loro epoca, e assolvono pienamente al loro compito di restituire uno spaccato di vita musicale dei secoli passati senza preoccuparsi troppo di quella scientificità che oggi accompagna ogni studio ben articolato. Nonostante le probabili inesattezze o le clamorose sviste, rimangono un’attestazione più o meno precisa di tanti fondi documentali che oggi sono perduti per sempre. È il caso dei registri intitolati Mandatorum, la cui collocazione è attestata nel volume sugli Archivi Napoletani del Trinchera3 come facente parte del fondo Segreterie dei Viceré: questi registri, stimati in numero di 353 unità, coprivano un arco temporale che partiva dal 1556 e terminava nel 1734. Al suo interno vi erano raccolti tutti gli ordini dati dai Viceré per il disbrigo di pratiche relative a questioni di carattere prevalentemente finanziario, legate ai pagamenti del personale politico, civile o militare. I Mandatorum rientravano nella classificazione di quel materiale documentale ritenuto prezioso che per disposizione del Ministero dell’Interno, allo scopo di sottrarli alle incursioni aeree, nel 1943 furono trasportati nella villa Montesano presso San Paolo Belsito in provincia di Avellino. L’allora sovrintendente degli Archivi di Napoli, Riccardo *Sento il bisogno di ringraziare gli amici di sempre con i quali condivido le esperienze di vita e le mie passioni musicali: il professor Paologiovanni Maione per avermi dato la possibilità di contribuire a questo importante progetto; la professoressa Marina Marino per la sua perenne disponibilità a farsi mia compagna di viaggio; il professor Domenico Antonio D’Alessandro a cui devo una profonda gratitudine per le lunghe e piacevoli chiacchierate tese a riscoprire la storia musicale della nostra amatissima città di Napoli. 1 SALVATORE DI GIACOMO, Il conservatorio di Sant'Onofrio a Capuana e quello di S. M. Della Pietà dei Turchini, Palermo, R. Sandron, 1924 e ID., Il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo e quello di S. M. di Loreto, Palermo, R. Sandron, 1928. 2 ULISSE PROTA-GIURLEO, I Teatri di Napoli nel secolo XVII, a cura di Ermanno Bellucci e Giorgio Mancini, Napoli, Il Quartiere edizioni, 2002. 3 FRANCESCO TRINCHERA, Degli Archivii Napolitani, Napoli, Stamperia del Fibreno, 1872, p. 304.
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Filangieri, stimò la presenza di oltre trentamila volumi e più di cinquantamila pergamene rinchiusi in ben 866 casse e nel suo rapporto sulla distruzione degli Archivi di Napoli,4 ricostruisce gli eventi che portarono alla distruzione della quasi totalità del materiale depositato, constatando il salvataggio di sole 11 casse di protocolli notarili e 97 buste dell’Archivio Farnesiano. Una tragedia. Con il raid incendiario operato dai tedeschi il 30 settembre 1943 andarono via per sempre le testimonianze storiche di tutta la civiltà europea lasciando una profonda ferita in quella che rappresentava l’identità culturale di tutto il Mezzogiorno d’Italia. Le più importanti fonti storiche del Medioevo, i registri della Cancelleria Angioina e Aragonese, i copiosi volumi delle Segreterie dei Viceré, i fondi del Consiglio Collaterale e della Real Camera di Santa Chiara sono perduti per sempre.5 Come si può ben comprendere dalla tipologia di documenti, nei Mandatorum avremmo trovato tutte le notizie economiche riguardanti le attività musicali della Real Cappella: dalle assunzioni agli aumenti di soldo, passando per le controversie tra musici e dirigenti, si ricavano anche informazioni di carattere personale di ciascun musico e che forniscono una mole importante di notizie utili per arricchire i profili biografici. Uno studio che oggi è impossibile da effettuare sulle fonti originali ma che ci è stato tramandato, almeno per quanto riguarda le notizie musicali, proprio grazie allo studio di Giurleo-Di Giacomo. Nella Biblioteca Nazionale di Napoli, infatti, nella sezione Lucchesi Palli, è presente una raccolta di materiali manoscritti di varia natura provenienti dall’archivio personale di Salvatore Di Giacomo. Grazie alla segnalazione della cara amica Marina Marino che ha curato un censimento di tutti i materiali presenti6, è stato possibile individuare questo grande registro su cui sono appuntate tutte le notizie riguardanti la Cappella Reale desunte dai volumi dei Mandatorum.7
4
RICCARDO FILANGIERI, Rapporto sulla distruzione degli Archivi di Napoli redatto dal conte Filangeri, sopraintendente degli Archivi di Napoli, in Rapporto finale sugli Archivi, Commissione Alleata - Sottocommissione per i Monumenti e le belle Arti, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1946, pp. 54-57. 5 Ivi, Appendice I, pp. 76-82. 6 Cfr. MARINA MARINO, Non abbiam appartenuto a quell’epoca, ci piace di raccoglierne quante più notizie possiamo. Sul metodo storiografico musicale di Salvatore Di Giacomo, in La storiografia musicale meridionale nei secoli XVIIIXX, a cura di Antonio Caroccia, Avellino, ilCimarosa, 2020, pp. 259-279. 7 Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III” di Napoli, Sezione Lucchesi Palli, Raccolta Di Giacomo: Collocazione provvisoria Faldone 5/11, numero di ingresso 1714381. È bene notare che presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, nella Sezione Manoscritti e Rari, con la segnatura XVIII.14, è presente un altro registro appartenuto a Salvatore Di Giacomo, compilato a modo di Rubrica su cui sono notati in ordine cronologico tutti i maestri di cappella, i cantanti e i musici della Real Cappella di Palazzo o Cappella Palatina. Tale registro potrebbe essere un vademecum cronologico da affiancare alla serie di notizie provenienti dai registri dei Mandatorum e auspichiamo che le due raccolte di documenti appartenuti a Salvatore Di Giacomo, che oggi sono separate, possano ricongiungersi a beneficio degli studiosi.
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Il registro si presenta con una copertina di cartone rigido sullo stile decorativo tipico di Salvatore Di Giacomo (foto 1), è formato da 242 pagine quadrettate con testo manoscritto, ogni pagina è suddivisa in due colonne: sulla colonna sinistra sono riportati i nomi dei musici e le annotazioni di varia natura, mentre sulla colonna destra vi è la trascrizione parziale delle notizie ricavate dai Mandatorum. La tipologia di lavoro sistematico e la scrittura in bella copia con l’assenza di significativi errori, fanno pensare a una probabile bozza per la stampa che, a quanto pare, non è mai avvenuta. Osservando questo sistema di appunti ordinati in tabella è facile riconoscere una ben precisa metodologia di approccio allo studio, una sorta di prontuario ad uso degli studiosi e che possiamo ritrovare in numerosi altri appunti presenti nella raccolta Di Giacomo. Nel frontespizio interno vi è l’indicazione “Ricerche di Ulisse Prota”, il che attesta la paternità della ricerca. Purtroppo non è possibile determinare inequivocabilmente la proprietà della grafia presente nel registro dei Mandatorum: va quasi sicuramente scartata l’ipotesi che possa trattarsi della mano di Salvatore Di Giacomo in quanto la sua scrittura è facilmente riconoscibile grazie anche a una facile comparazione con gli altri manoscritti autografi presenti nella raccolta e che è possibile individuare, inoltre, nelle aggiunte al testo presenti nel registro in questione. Mi persuado che possa trattarsi della scrittura propria di Giurleo (che purtroppo non ho avuto modo di comparare) o se questi non fosse, potrebbe trattarsi di un copista adibito alla copia in bella degli appunti da destinare alla stampa. Questi appunti di Giurleo risultano essere una fonte interessantissima di notizie, alcune delle quali pressoché inedite. Ovviamente questo lavoro non vuole e non può essere un lavoro esaustivo sulla Real Cappella, tuttavia, può essere uno strumento utile da cui poter partire per cercare di fare chiarezza su tante vicende musicali troppo spesso mal trattate da alcuni studiosi. In questo numero dei «Quaderni», per questioni di brevità, si riporta solo la trascrizione integrale di tutto il registro mentre per uno studio critico e sinottico delle fonti, nonché per una bibliografia accurata, si rimanda al prossimo numero de «I Quaderni del San Pietro a Majella». Nel lavoro di trascrizione si è cercato di conservare il più possibile la formattazione originale del manoscritto. Tutte le abbreviazioni sono sciolte e tutti i nomi sono riportati nello stesso modo in cui sono rilevati all’interno del registro senza essere normalizzati all’uso comune. La Cappella Reale e i suoi musici Archivio di Stato Mandatorum dal vol. 3 al vol. 353 Copertina interna Musici della Real Cappella R. Archivio di Stato di Napoli Mandatorum Dal vol. 3° al vol. 353 Ricerche di Ulisse Prota 125
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Pag.1 1557 Governo di D. Giovanni Manriquez de Lara Pero Yañez
Cantore – Ottiene una piazza di 4 scudi nella Compagnia del Magnifico Capitano Don Rodrigo De Mendoza. Mand. 3 pag. 50 (15 ottobre 1557)
Governo del Cardinal della Cueva Francisco De Cortes Juan Celso (uscito in aprile 1557)
Pedro de Jaca
Diego Ortiz
Cantore – riscuote la somma di 32 scudi, pari a 8 mesi di stipendio che sarebbero spettati all’altro Cantore Juan Celso, ma che per “algunos respectos” passano al De Cortes. Mand. 3 pag. 97 (Dicembre 1557) Cantore – ha assegnati 4 scudi mensili sullo stipendio di Paolo Giraldo, che, a sua volta, ottiene una piazza d’uomo d’arme nella Compagnia dell’Illustrissimo Viceré. Mand. 3 pag. 119 (Gennaio 1558) 1558 Maestro di Cappella – è autorizzato a riscuotere il mensile di dicembre 1557 spettante a Juan Celso. Tale mensile gli resta definitivamente attribuito il 28 gennaio 1558. Mand. 3 pag. 132 (28 gennaio 1558)
Pag. 2 I Mandatorum cominciano dal settembre 1556 e vanno ininterrottamente (vol. 1, 2 e 3) fino al maggio 1558. Poi c’è una lacuna di dieci anni. Il 4° vol. va da gennaio a dicembre 1569 Mancano altri due anni Il 5° volume riprende al 1572 e la cronologia prosegue regolarmente fino all’anno - - Al Cardinal della Cueva succede il Duca d’Alcalà il 12 giugno 1559 Al Duca d’Alcalà il Cardinal di Granvela il 19 aprile 1571 Pag. 3 1575 Qui finisce il governo del Cardinale di Granvela e comincia quello del Marchese di Mondejar Francisco de Loscos (Assentato nel 1555, cantore, Maestro di Cappella, 12 giugno 1570 + giugno 1583)
Maestro di Cappella – in un memoriale fa presente d’avere, a sue spese, provveduta detta Cappella dei seguenti libri: Tre libri grandi a stampa del Palestrina di Messa a 4, a 5 e a 6 voci; Due libri grandi a stampa del Morales di Messa a 4, a 5 e a 6 voci; Tre libri grandi scritti a mano d’Ortiz di Messa a 4, a 5, a 6 e a 8 voci; Un altro libro grande a stampa d’Ortiz di Vespra, di Completa, di Salve, di Magnifica et Inni Un altro libro grande scritto a mano di Lamentazioni, di Risponsive, di Moteti della Quatragesima et Settimana Santa; Due altri conserti piccoli a stampa de Moteti a 4, a 5, e a 6 voci di Grifone e Clemente Nou Papa; Un libro grande di canto piano scritto a mano de l’Introito della Pasqua et delle feste principali di tutto l’anno. Informa il Cappellano Maggiore che detto De Loscos “serve con molta diligentia et a sue dispese intartene alcuni cantori quando ha vacato et (pag. 4) vaca piaza in detta cappella, per fare elettione del migliore”. Mand. 8 pag. 44 (13 aprile 1575) 1578
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Quintino De Burgo (assunto 27 luglio 1571) (uscito in giugno 1575)
Stefano Lando (+ morto in luglio 1571) (assunto in febbraio 1565)
Enrico De Oyro (assunto in giugno 1575) (uscito marzo 1578)
Presenta al Viceré, Marchese di Mondejar, un memoriale in cui espone che “avendolo provvisto l’Illustrissimo Cardinal de Granvela della piazza di conservador de las vihuelas de arco di questo Regio Palazzo”, vacata per morte di Stefano Lando, e che quando si partì il detto Cardinale il supplicante avendo visto che nei 16 anni che lo servì non gli aveva data altra cosa, determinò di lasciare il di lui servizio ma conservare il detto carico, lo accompagnò quindi in fino a Gaeta, lasciando in suo luogo Enrico de Oyro, come amico e sub bona fide che tornando da Gaeta dovesse restituirgli detta piazza come appare da testimonianze. Però tornato che fu, dimentico Enrico della vecchia amicizia e della parola data, negò restituirgli la piazza. Visto che nulla è stato possibile per deciderlo ad andar via, il supplicante si rivolge a S.E. perché venga reintegrato nel posto. Per la qual cosa (pag. 5) informa S.E. d’averla servita per tre anni e mezzo e della grande abilità che tiene pel detto carico “y de mas que tiene boz par cantar en la Capilla que assì viene a resultar en beneficio de dicha Capilla”. Il Viceré affida la pratica al Consigliere Velasquez per l’accertamento dei fatti. Il Velasquez riferisce: Quintino De Burgo, in virtù del mandato dell’Illustrissimo Cardinale di Granvela delli 27 di luglio 1571, fu assentato in piazza de conservatore delle viole de arco del Regio Palazzo, vacata per morte di Stefano Lando, e quella sta tenuta e servita per tutto maggio 1575, che, in virtù di altro mandato del medesimo Granvela, fu provista in persona de Enrico de Oyro. Pretende Quintino che se li debbia restituire per averla renonciata sotto tal condictione e fatto opera con detto Illustrissimo Cardinale la provvedesse in persona del detto Enrico. In conferma de ciò alliga cinque fedi di persone che si trovavano presenti al fatto et uno stromento fatto per mano di Notar Gentile de Avviso a 15 giugno 1575, per lo quale appare come il detto Quintino non possendo vacare in detto officio per aver de andare for di Napoli, confidando al detto Enrico come suo amico, gli ha renonciato detta sua piazza et in virtù di detta renuncia è stata assentata al detto Enrico, il quale promette (pag. 6) sempre che tornerà il detto Quintino – elasso, però, un anno e mezzo – rinunciarli la sua piazza. Io ho parlato con detto Enrico et dice che non è obbligato renunciare detta piazza senza ordine de Sua Maestà. All’incontro risponde Quintino che il trattato è stato libero, come appare dalle 5 fedi e che lo stromento fu fatto da poi la renuntia; dice ancora che per ordine di Sua Maestà si debbia intendere l’assento di V.E. al quale spetta la provisione de simili piazze. Offre di più di servire per Cantore nella Regia Cappella senza altro salario, e, per quanto mi sono informato, tiene bona abilità per l’uno e per l’altro. Il Viceré rimette “el negocio” al Magnifico et Circumspecto Regente Salernitano, perché provveda di giustizia, discutendolo in Collaterale. Il Consiglio emette mandato “que se assenteys al dicho Quintin de Burgo nel dicho cargo de Conservador de las vihuelas de arco y otros instrumentos de musica, en lugar del dicho Henrico De Oyro, el qual despidereys del dicho cargo desde el dia de la data del presente mandato en adelante. Mand. 12 pag. 89 (3 marzo 1578)
Qui finisce il governo del Marchese di Mondejar e comincia quello del Principe di Pietrapersia Pag. 7 Quintino De Burgo (nuovamente assentato il 3 marzo 1578)
1580 In un memoriale a S.E. il Maestro di Cappella dice: “Avendo V.E. provveduto Quintino De Burgo della piazza di Conservatore delle viuole con l’aggiunta che faccia servizio di tenore in detta Cappella, avendolo il Maestro esortato di servire in tale officio e quello non avendo obbedito, supplica V.E. che ordini al detto Quintino di servire come Tenore perché così conviene al servizio di V.E. per esserci mancanza di Tenori in detta Cappella, né vale la scusa d’esserne impedito dal servizio delle viuole, perché ciò capita assai di rado. Voglia per tanto V.E. ordinare che quando il detto Quintino non è occupato con la musica da camera del coro, sia all’obbedientia del Maestro di Cappella, stando in tutto soggetto alla pena per la mancanza che fece, come si pratica con gli altri cantori”. Il Viceré ordina di notificare al detto Quirino di adempiere scrupolosamente a tutto quanto tocca al suo carico.
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(22 maggio 1580) Pag. 8 Quintino De Burgo
Quintino De Burgo
Il Cappellano Maggiore presenta un altro memoriale del Maestro di Cappella in cui si dice che il De Burgo, Cantore, tiene carico de la musica da camera e degli strumenti relativi, pel quale carico pretende d’essere esente e libero di cantare in Cappella. Però quando ha provveduto alla sua piazza gli fu ordinato che, oltre del carico degli strumenti, servisse ogni giorno da tenore nella Cappella come appare da un memoriale che l’Illustrissimo Marchese de Mondejar mandò li 22 di maggio 1578. Per essere necessario il detto Quintino nella Cappella per la mancanza del tenore, e perché tale servizio non impedisce la musica da camera, che ha luogo rare volte nell’anno, per tali ragioni il Maestro di Cappella supplica V.E. di disporre che il detto Quintino continui il servizio ordinario della Cappella come ha fatto fino al principio del presente mese di luglio, che assolutamente si è rifiutato di servire per la detta pretenzione, la quale V.E. si compiaccia di non tollerare perché sarebbe di incomodo e detrimento (pag. 9) di detta Cappella, per quanto concerne il servizio di V.E. (2 agosto 1580) Quintino De Burgo a sua giustifica, espone la verità dei fatti in un memoriale: Quintino De Burgo fa presente a V.E. come essendoli stata provvista per l’Illustrissimo Cardinale Granvela, la piazza de Conservatore delle viole del Regio Palazzo, vacata per morte di Stefano Lando, con provisione di scudi 8 il mese, et quella havendola servita molto spesso, quando il detto Cardinale partì da qua, havendo proposto di accompagnarlo per insino a Roma, in confidentia fece opera che la detta piazza in suo benefitio se provvedesse in persona de Enrico Di Oyro, il quale di là a certo tempo si alzò con detta piazza, pretendendo essere liberamente sua. Di che havendosi aggravato esso supplicante e datone memoriale all’Illustrissimo Marchese de Mondejar, fu il detto memoriale rimesso al Segretario, al quale il supplicante – per facilitare il necessario – disse che ritornandose la piazza che prima teneva, si saria contentato de aiutare a cantare nella Real Cappella. Fatta relatione per detto Segretario, non li fu restituita detta piazza, ma fu la causa (pag. 10) sua commessa alla giustizia del Regente, il quale fecene relatione al Consiglio Collaterale, e di giustizia fu provisto che detta piazza gli fusse restituita, e ne fu spedito il debito mandato, in virtù del quale l’ha posseduta e possiede e perché prima de la offerta che esso supplicante fece al detto Segretario, il Maestro di Cappella pretende che esso sia obbligato di servire da cantore così come tutti li altri cantori provisionati, per tale effetto non considerando che sì bene per esso fu fatta l’offerta predetta, nondimeno non fu accettata, non per via di quella gli fu restituita la piazza, ma semplicemente per via di giustizia, come appare dal mandato, per il quale non si obliga a cosa alcuna di più di quello che è obligato in servire nella detta sua piazza, come la teneva prima e l’hanno tenuta li suoi predecessori, ne è giusto per un soldo habbia da servire due piazze, tanto più che quello che serva da cantore ordinario per la maggior parte, ha più soldo di lui. Per tanto supplica V.E. esser servita ordinare la detta piazza, come l’hanno tenuta li suoi predecessori, senza nuovo obligo, perché il detto Maestro (pag. 11) di Cappella non lo possa puntare et farli danno a la poca provisione che tiene, perché non per questo esso restarà ogni volta che potrà per servizio di V.E., servire in detta Cappella nelle necessità che occorreno di sua bona volontà e per far quello che egli è obbligato per servizio di V.E. (22 luglio 1580) Il Viceré chiede nuovamente il parere del Regente, che reputa “più giusto et equo non astregnere detto Quintino ad necessità di altro officio che della conservazione delle viole da camera, con pagarli quello che se le deve per lo passato e continuar per lo avvenire et accettare la bona volontà et honesta offerta del servitio volontario, massime in caso di necessità per mancamento delle voci in Cappella o in qualche altra festa che occorresse”.
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Dopo di che il Viceré decide che Quintino De Burgo continui nella piazza che tiene di Conservatore delle Viole da camera senza che sia obbligato venire a cantare in Cappella, salvo se non lo faccia di sua volontà e nel caso che sia nel parere del Cappellano Maggiore e dà ordine al Tesoriere che paghi al De Burgo le paghe che gli sono state puntate. Mand. 18 pag. 84 (12 novembre 1580) Pag. 12 Bisognava sorvegliare musici e cantori. Pruove di questa necessità è un esposto che Francino de Loscos, Maestro di Cappella, per tramite del Cappellano Maggiore, presentò al Vicerè Marchese di Mondejar, nell’agosto del 1576. Occorre – dice l’esposto – che i cantori, perché adempiano con diligenza al proprio compito, siano multati e puntati (la puntatura equivaleva a una sospensione temporanea di una parte dello stipendio) per le mancanze che fanno e per essere il loro officio cosa che concerne il servizio di Dio, il culto divino e il buon andamento della Cappella. Il Viceré si conferma completamente al memoriale e ordina alla Scrivania di Razione che faccia attenzione alle liberanze che riceverà a ogni fin di mese per le paghe dei cantori, e a quelle che le arriveranno ogni quattro mesi per i cantori pagati a terze come uomini d’arme. Le liberanze saranno accompagnate da un elenco in cui il Maestro di Cappella annoterà le mancanze di ciascun cantore e per quale somma ogni paga dovrà esser puntata. Le puntature resteranno in sofferenza fino a nuovo ordine del Viceré stesso. Mand. Vol. 10 pag. 233 Pag. 13 Paolo Giraldo
1580 Basso – muore, e la sua piazza è divisa fra i cantori controindicati
(+ settembre 1580)
Don Santo Carbon Giovanni Maria Barrile Vincenzo Aragonese Melchiorre De Torres Francesco Gualtiero Carlo Arias Alfonso Iudice Ursino Miguel Garzia
(assentato in gennaio 1577) (assentato l’8 agosto 1576) (assentato in giugno 1574) (assentato in agosto 1575) (uscito il 2 settembre 1584) (assentato in giugno 1566) Mand. 17 pag. 250 (28 settembre 1580)
Bartolomeo Carfora
Pero Martinez
1581 Cantore – ottiene una licenza di 3 mesi per recarsi ad Arienzo. Mand. 19 pag. 116 (3 giugno 1581) Soprano – ottiene una licenza di un anno per recarsi in Ispagna. Durante tale periodo è sostituito da un ragazzo scelto dal Maestro di Cappella, che lo ricompenserà mese per mese nella misura che riterrà opportuna. Mand. 19 pag. 134 (10 luglio 1581)
Qui finisce il governo del Principe di Pietrapersia e comincia quello del Duca d’Ossuna Pag. 14 Carlo Arias
1583 Cantore – ottiene una licenza di due mesi per recarsi in Sicilia a rilevarsi una sorella. Mand. 24 pag. 27 (24 aprile 1583)
Pero Martinez
Vacando la piazza di 11 ducati e 9 carlini al mese che teneva Pero Martinez, in qualità di soprano, 3 ducati vengono assegnati al ragazzo che lo ha sostituito (Petrillo de Matteo) 3 ducati a Tarquinio Anzalone perché serva in Cappella con il sacabuche trombon, non ostante che goda un’altra piazza in Castelnuovo e i rimanenti 5 ducati e 9 carlini sono assegnati ad Annibale Marchese, tenore di detta Cappella.
(uscito in luglio 1581)
Petrillo de Matteo (assentato in giugno 1583)
Tarquinio Anzalone
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(assentato in giugno 1583)
Mand. 25 pag. 82 (14 giugno 1583) 1584
Puoti Frate Angelo da Pozzuoli
Espone di aver servito in qualità di contrabasso nella Real Cappella per lo spazio di 6 mesi e mezzo gratuitamente nella speranza di vedersi assegnato definitivamente quel posto per la sua voce “principale, bona et meritabole”. Ora avendo appreso che S.E. non vuole frati in Cappella, chiede un compenso pel servizio prestato. Gli vengono accordati 12 ducati al mese pel tempo che ha servito. Mand. 24 pag. 263 (12 agosto 1584)
Qui finisce il governo del Duca d’Ossuna e comincia quello del Conte di Miranda Pag. 15 Petrillo de Matteo (uscito in giugno 1588)
Antonio de Potenza Flaminio Zerbo
1588 Soprano – perde il posto (ha borrado la plaza) e dei 3 ducati mensili che godeva, 2 vanno ad aumentare il salario di Don Antonio de Potenza e l’altro è assegnato a Flaminio Zerbo, entrambi cantori.
Mand. 29 pag. 40 (24 giugno 1588) 1583 Essendosi provveduto alla Mastria della Real Cappella in persona di Bartolomeo Roy, che – secondo le informazioni del Cappellano Maggiore “es persona muy habil y sufficiente en lo de la musica” con tutti i “salarios, gages y emolumentos” che percepiva il defunto Francisco Martinez de Loscos e gli altri precedenti Maestri, col carico però di mantenere due ragazzi per apprendere il canto, - il salario che finora s’è pagato a Don Bartolomeo Carfora per l’ufficio di Maestro di Cappella nello interim con l’indennità riguardevole il mantenimento dei due ragazzi, gli sarà corrisposta fino al 16 del presente mese, e da detto giorno in avanti il Carfora tornerà a prendere il salario che come cantore tiene in detta Cappella, mentre gli anzidetti “salarios, gages y emolumentos” si daranno a Bartolomeo Roy, che resta assentato nella Mastria della Real Cappella con gli stessi vantaggi che godeva il defunto Francisco Martinez de Loscos. (16 agosto 1583) Bartolomeo Roy (assentato 16 agosto 1583)
Bartolomeo Carfora Interim da giugno a 16 agosto 1583
Pag. 16 Don Cesare de Messere
1590 È assunto per Basso fra i cantori della Real Cappella con 15 ducati al mese.
(assentato 2 marzo 1590) Cesare de Messere era in Firenze alla corte dei Medici nel 1589. Troviamo il suo nome fra i cantori degli intermedi della commedia rappresentata in quell’anno per le nozze di Ferdinando I de’ Medici con Cristina di Lorena. Vedi SOLERTI, Gli albori del melodramma, vol. II p. 39
Cristofaro de Obregon
Mand. 38 pag. 258 (2 marzo 1590) 1591 Organista della Real Cappella, espone che presta lodevole servizio da 27 anni (1564) e perché non ha mezzi di fortuna per vivere con la moglie e i figli, e il salario che percepisce non basta a sostentare tutti chiede un aumento di stipendio. Fa notare che in Ispagna gli organisti sono pagati meglio dei cantori e presenta un certificato del Cappellano Maggiore che conferma gli anni di servizio lodevolmente prestati, la di lui povertà, la numerosa prole, e informa che l’Obregon “non tira toda la plaza” perché è costretto a dividerla con l’altro organista (Fabrizio Gaetano), che per esser vecchio e cieco non serve già da molti
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
anni, ed il povero supplicante porta tutto il peso della carica, prendendo appena la metà del salario, cioè cinque o sei ducati al mese. Il Viceré, Conte di Miranda, accorda un aumento di 3 ducati al mese. Mand. 39 pag. 253 (9 novembre 1591) Pag. 17 Annibale Marchese
Carlo Arias
1592 Cantore – ha un aumento di salario di 3 ducati al mese. Mand. 40 pag. 66 (28 marzo 1592) 1593 Cantore – ottiene una licenza di 3 mesi per recarsi in Lombardia, senza che gli siano sospesi i salari che gode come cantore della Real Cappella e come soldato di Castelnuovo. Mand. 41 pag. 324 (3 ottobre 1592)
Ferdinando Pagano
Romano – entra come cornetto nel “concierto de los cantores” della Real Cappella col salario di 8 ducati mensili.
Carlo Arias
Ottiene una proroga di licenza di un mese. Mand. 42 pag. 294 (agosto 1593)
Petrillo8 Don Antonio De Potenza Flaminio Zerbo Pag. 18 Ausias Monteforte (assunto il 27 maggio 1594) (va via in novembre 1595)
Soprano – è destituito dal posto (ha borrado la plaza) e dei 3 ducati mensili che godeva, 2 vanno ad aumentare il salario di Don Antonio De Potenza e l’altro è assegnato a Flaminio Zerbo, entrambi cantori.
1594 È nominato Cantore della Real Cappella al posto del defunto Don Innocenzo de Petruciis, con lo stesso salario.
Don Innocenzo de Petruciis (+ maggio 1594)
Mand. 44 pag. 190 (27 maggio 1594) Cristofaro de Obregon (va in pensione il 19 agosto 1594)
Pag. 19 Giovanni Macque (assunto 11 settembre 1594)
Organista della Real Cappella, presenta un memoriale perché venga collocato a riposo, conservando integro lo stipendio. Alliga certificati di tre medici dai quali risulta che egli è affetto da più mali e da un esaurimento nervoso (flaqueza en el seso) che gl’impedisce di attendere convenientemente al suo ufficio. Il Cappellano Maggiore attesta che ha servito per molti anni sempre lodevolmente e che per la sua buona vita, per esser carico di prole ed infermo, egli merita che S.E. accolga tale supplica. Il Viceré, Conte di Miranda, concede il riposo, ritenendo opportuno “que el dicho Christoval de Obregon goze de todos sus salarios, que pur razon del cargo de organista d’esta Real Capilla de Palacio tiene assi en la Cavalleria, Infanteria Spagnola, como en la Tesoreria General, sin obligacion de servir. Mand. 45 pag. 22 (19 agosto 1594) 1594 A occupare il posto di Obregon, il Cappellano Maggiore Don Gabriel Sanchez de Luca propone Giovanni Macque. Il Viceré lo accetta con uno stipendio di 16 ducati mensili, cioè i soliti 10, più 3 che ultimamente erano stati accresciuti ad Obregon e altri 3 che “por justos respectos” S.E. vuole che “se acrescientan al dicho Juan Maques. Mand. 45 pag. 99 (11 settembre 1594)
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La presente voce è cassata nel manoscritto, poiché trattasi di una notizia già presente: cfr. Mand. 29 pag. 40 (24 giugno 1588)
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MAURIZIO REA
Cristofaro de Obregon
Reclama perché i 10 ducati e 4 reali assegnatigli possa riscuoterli ad ogni fine di mese e non ogni 5 mesi, insomma, che gli sia fatto lo stesso trattamento che godono molti altri cantori e particolarmente l’organista assunto in sua vece. Mand. 45 pag. 124 (5 ottobre 1594)
Aurelio Opici
È concessa ad Aurelio Opici uno dei quattro violini della Real Cappella una licenza per andare a Milano a rilevare sua moglie ed un figlio, per la durata di due mesi. Mand. 45 pag. 145 (29 ottobre 1594)
Qui finisce il governo del Conte di Miranda e comincia quello del Conte di Olivares Pag. 20 Giambattista De Paola (lascia il posto l’8 gennaio 1596)
Giovan de Loyse (assentato addì 8 gennaio 1596)
Bartolomeo Gonzales (uscito marzo 1598)
Don Fabio De Mirabile (assentato 5 aprile 1598)
Carlo Arias
1596 Essendo vacata la piazza di 3 scudi al mese che teneva Giambattista De Paola, Cantore della Real Cappella, si assenta quella in persona di Juan de Loyse che secondo riferisce il Cappellano Maggiore “es sufficiente”. Mand. 50 pag. 45 (gennaio 1596) 1598 Essendo vacata la piazza di Cantore che teneva nella Real Cappella Bartolomeo Gonzales, per essersi allontanato dalla città senza espressa licenza del Viceré, si provvede a rimpiazzarla con la nomina di Don Fabio De Mirabile, e gli stipendi non riscossi dal Gonzales vengono dati a Carlo Arias “attento el bien que ha servido y serve” Mand. 54 pag. 1 (5 aprile 1598)
Giovan de Loyse (uscito in marzo 1598)
Michele Giordano (assentato il 5 aprile 1598)
Essendo vacata la piazza di cantore che teneva Giovan de Loyse di 3 ducati al mese nella Cavalleria, per averne egli stesso chiesta licenza, 2 ducati sono assegnati a Michele Giordano, sopranetto, e l’altro ducato a Giuseppe Antonio Raimondo, cantore di detta Cappella.
Giuseppe Antonio Raimondo (assentato in aprile 1596)
Pag. 21 Bartolomeo Roy (+ giugno 1598)
Don Bartolomeo Carfora (interim: dal 10 giugno 1598 al 26 febbraio 1599)
Pag. 22 Giovan de Loyse (uscito il 14 marzo 1598)
Don Benedetto Narduccio (assentato 13 ottobre 1598)
Mand. 54 pag. 1 (5 aprile 1598)
Il Cappellano Maggiore espone che è morto il Maestro di Cappella Bartolomeo Roy, il quale percepiva uno stipendio di 25 scudi mensili, con l’obligo “de gastar 8 escudos” pel mantenimento di due soprani, come si è praticato per lo passato. Chiede che lo stipendio non riscosso dal Roy venga pagato a lui per soddisfare ai detti soprani e alle altre obbligazioni del defunto. Per l’avvenire, fintanto che S.E. non avrà provveduto al rimpiazzo del Maestro di Cappella propone che gli 8 scudi siano pagati a Don Bartolomeo Carfora, “el qual oy haze el oficio de Maestro de Capilla, por ser el mas anciano”, con l’obbligo di pagare 4 scudi ai soprani, e gli altri 4 restino a suo beneficio “por el trabajo que toma en este interim” oltre lo stipendio che prende come cantore. Il Viceré, Conte Olivares, accogliendo l’istanza, dispone “que serva en el interim con el cargo de Maestro de Capilla Don Bartholomè Carfora, por ser el mas anciano”, e che gli si diano gli 8 scudi al mese con l’obbligo di pagarne 4 ai soprani e gli altri 4 restino a suo beneficio. Mand. 54 pag. 101 (10 giugno 1598)
Chiede l’esazione delle paghe non riscosse da gennaio 1598 a tutto il 14 marzo, giorno in cui cessò dal prestar servizio. Gli viene accordato. Mand. 54 pag. 160 Essendo morto Fabrizio Gaetano, organista della Real Cappella, che godeva 6 ducati al mese: 3 ducati sono assegnati a Don Benedetto Narduccio, il quale dovrà servire da organista in detta Cappella tutte le volte che sarà necessario e
Fabrizio Gaetano
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Giovanni Macque
gli altri 3 ducati sono assegnati a Giovanni Macque, anche organista di detta Cappella, in più del salario che gode per tal carico. Mand. 54 pag. 285 (13 ottobre 1598)
Cristofaro de Obregon
Il defunto Fabrizio Gaetano, organista, aveva assegnati 9 ducati per … più 6 ducati di soldo ordinario, più 3 ducati di allogiamento. Questi ultimi 3 ducati furono dati dal Marchese di Mondejar, con mandato dei 23 luglio 1578 a Cristofato Obregon, oltre i 7 ducati e 2 tarì, che percepiva come mensile (pag. 23) in tutto ducati 10 e tarì 2. Il conte di Miranda con mandato dei 19 aprile 1594 ordinò che detti ducati 10.2 gli fossero continuati a pagare senza obbligo di servire, tenuto conto della sua infermità, lunghi servigi e povertà. Ed infatti detti ducati 10.2 gli furono regolarmente pagati da luglio 1578 a tutto il 6 ottobre 1598, giorno in cui morì detto Fabrizio. In tale data il Tesoriere Generale soprassiede al pagamento dei 3 ducati al de Obregon e chiede istruzioni a S.E. se deve o pur no continuare detto pagamento “atteso che nelli sopradetti mandati non si faceva menzione che dopo la morte di detto Fabrizio, restassero al detto Cristofaro, e considerando che S.E. con mandato delli 13 ottobre 1598 ha ripartiti li 6 ducati che erano rimasti della piazza del detto Fabrizio fra Benedetto di Nardo o Narduccio e Giovanni Macque, tralasciando li detti ducati 3 che si pagavano al detto Cristofaro”. S.E. il Conte Olivares, dispone che si continui il pagamento dei 3 ducati allo Obregon. Mand. 57 (24 dicembre 1598)
Fabrizio Gaetano (+ 6 ottobre 1598)
Pag. 24 Don Bartolomeo Carfora (Maestro di Cappella dal 26 febbraio 1599)
1599 Abbiamo provveduto la piazza di Maestro di Cappella per la morte di Bartolomeo Roy in persona di Don Bartolomeo Carfora, “clerigo y cantor” con un salario di 25 scudi al mese “gages y emolumentos” che godeva il predecessore e gli altri Maestri di Cappella che hanno avuto tale ufficio, con obbligo di mantenere “a su costa” due soprani, il quale salario con gli altri assegni decorra dal 15 del presente mese di febbraio e che dal detto giorno in avanti il Carfora cessi dall’occupare la piazza di contralto che ha in detta Cappella e gli venga sospeso il pagamento degli 8 ducati che in virtù di un nostro mandato dei 10 giugno 1598 gli furono assegnati perché con 4 di essi pagasse i soprani e 4 restassero a suo beneficio per le fatiche dell’interinato. Per tanto sia assentato nei libri del Tesoriere Generale nella qualità di “Maestro de Capilla d’este Real Palacio con el dicho salario de veynte y cinco escudos al mes y los demas gages y emolumentos a el perteneciente”. Mand. 57 pag. 115 (26 febbraio 1599)
Pag. 25 Qui finisce il governo del Conte di Olivar e comincia quello del Conte di Lemos Il Maestro di Cappella e i Cantori della Real Cappella espongono a S.E. in un memoriale le loro lagnanze perché il tesoriere continuamente ritarda il pagamento dei loro stipendi di due o tre mesi, come al presente che avanzano una terza da 4 mesi, più i mensili di luglio e agosto, per cui son costretti dal bisogno a vendere detto salario con gran perdita e perciò supplicano S.E. di sollecitare il pagamento, ordinando alla Scrivania di Razione di alligare le loro liberanza a quella che emette mensilmente pel pagamento della Guardia Alemanna, come per altro si pratica nella Cappella di Sua Santità. Il Viceré Conte di Lemos, dà ordine perché in avvenire la Scrivania di Razione emetta mensilmente la liberanza dei cantori insieme con quella degli Alabardieri. Mand. 59 pag. 110 (24 settembre 1599) Don Bartolomeo Carfora (+ 8 novembre 1599)
Giovanni Macque (maestro di Cappella dal 19 novembre 1599)
Cristofaro de Obregon
Essendo vacata la piazza di Maestro di Cappella per la morte di Don Bartolomeo Carfora, il Viceré vi provvede in persona di Juan Macque, organista, col solito salario di 25 scudi al mese, “gages y emolumentos” quali godeva il predecessore e tutti gli altri Maestri di Cappella con l’obblifo di mantenere due soprani. Per tanto detto Macque è assentato nella (pag. 26) piazza di Maestro di Cappella con decorrenza dal 19 novembre 1599, dal qual giorno è esonerato dal carico di organista, ed il salario di 19 ducati mensili da esso percepito va così diviso: 3
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MAURIZIO REA
Don Benedetto Narduccio Juan Dias Hidalgo (assentato dal 12 dicembre 1599)
Giovanni Maria Barrile (+ 1599)
Giovanni Anzalone (assentato dal 21 ottobre 1599)
ducati a Cristofaro De Obregon, con l’obbligo però di servire come organista in Cappella tutte le volte che sarà necessario, e ciò in più del salario che gode senza obbligo di servire, e dei restanti 16 ducati: 6 ducati al mese sono assegnati a Don Benedetto de Narduccio in più dei 3 ducati che già gode quale organista nella Real Cappella e gli altri 10 ducati sono assentati a Juan Dias Hidalgo, perché serva da cantore contralto. Mand. 59 pag. 225 (12 dicembre 1599) Essendo morto Giovanni Maria Barrile cantore controbasso della Real Cappella, che teneva 5 ducati mensili, è sostituito con Juan Anzalone, il quale – secondo riferisce il Cappellano Maggiore – “es persona ydonea y sufficiente para ello” e musico in Castelnuovo di “sacabuche”. Per tanto è assentato in qualità di cantore Controbasso della Real Cappella con lo stipendio dei 5 ducati mensili che teneva il defunto, nonostante che il detto Anzalone goda di un’altra piazza di musica di sacabuche in Castelnuovo. Mand. 60 pag. 36 (21 ottobre 1599)
Pag. 27 Eredi di Don Bartolomeo Carfora
1600 Gli eredi di Don Bartolomeo Carfora sollecitano da S.E. l’esazione di quanto non riscosse il defunto, in tutto ducati 17.3.12 e due terze, così ripartite: Ducati 13.3.2 pel salario d’una piazza che teneva nella Compagnia di S.E., senza obbligo di servire, per mesi due e giorni 7, dal 1° settembre agli 8 novembre 1599, giorno in cui morì. Ducati 2.0.5 ½ per il salario di giorni 7, dal 1° agli 8 novembre sullo stipendio che godeva nella Infanteria come Maestro di Cappella. Ducati 2.0.5 ½ per 7 giorni sugli otto ducati che percepiva con liberanza a parte. Gli eredi vengono soddisfatti. Mand. 59 pag. 300 (2 marzo 1600)
Giovan Iacopo de Mayo
È assentato in qualità di cantore della Real Cappella con sei scudi di stipendio mensili. Mand. 60 pag. 249 (6 aprile 1600)
(assunto il 6 aprile 1600)
Don Antonio de Potenza Annibale Marchese Don Michele Marino Pag. 28 Vincenzo de Angelis (+ settembre 1600)
Fra Vincenzo Nardi (assentato 18 settembre 1600)
Carlo Arias (assentato in agosto 1575)
Cesare de Messere Iacovo Aniello Sasso (assentato in maggio 1599)
Thomas de Aguilar (assentato in settembre 1600)
Pag. 29 Ottavio Cortese (+ settembre 1601)
Muzio Effren (nel 1620-21 l’Effrem è a Firenze, musico e cantore del Granduca. Vedi A. Solerti “Musica, Ballo e Dramatica alla Corte Medicea” nel 1617 musica col Monteverdi La
Cantori – hanno un soprassoldo. Mand. 60 pag. 284 (6 aprile 1600)
Essendo deceduto nei giorni passati Vincenzo de Angelis, Cantore della Real Cappella che godeva una piazza di 12 scudi al mese, questi restano così ripartiti: i 4 ducati della Cavalleria sono assegnati mensilmente a Fra Vincenzo Nardi, monaco servita, il quale secondo riferisce il Cappellano Maggiore ha servito per alcuni anni in detta Cappella senza emolumento alcuno ed è persona religiosa e di buona vita ed ha particolare licenza dei superiori per poter servire in detta Cappella, e i restanti ducati 8 e 1 carlino che teneva il defunto nella Infanteria sono assegnati ai seguenti cantori in più del loro salario: 2 ducati e 1 reale a Carlo Arias 2 ducati e 1 reale a Cesare de Messere 2 ducati e 1 reale a Iacovo Aniello Sasso 2 ducati e 1 reale a Tommaso Aquilar Mand. 61 pag. 61 (18 settembre 1600) 1601 Muore Ottavio Cortese, Cantore della Real Cappella, il quale godeva un salario di 9 ducati al mese. Vaca la piazza di 8 ducati assentata mesi scorsi a Muzio Effren, che non si è presentato a prendere possesso. Essendo anche mancata la voce (faltado la voz) a Michele Giordano, cantore di detta Cappella, gli si revoca la piazza che tiene di due ducati. Intanto Ludovico Galtiero è assentato in qualità di Cantore con 16 ducati al mese e i 3 ducati della Cavalleria si ripartiscono:
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Maddalena, sacra rappresentazione. SOLERI, Gli albori del Melodramma, Vol. I, pag. 48 e 119.
15 reali ad Annibale Marchese e gli altri 15 reali a Iacopo Aniello Sasso, entrambi cantori.
Michele Giordano (uscito il 3 ottobre 1601)
Ludovico Gualtiero Annibale Marchese Iacopo Aniello Sasso Geronimo Salerna (+ ottobre 1601)
Gian Domenico Postiglione (assentato il 6 ottobre 1601)
Mand. 63 pag. 10 (3 ottobre 1601) Per la morte avvenuta nei giorni passati di Geronimo Salerna, uno dei antori di contralto della Real Cappella, la sua piazza è assentata a Gian Domenico Postiglione che – secondo riferisce il Cappellano Maggiore “es sacerdote y de las mejores vozes de contralto que al presente corren”. È assentato con lo stesso salario del predecessore. Mand.63 pag. 22 (6 ottobre 1601)
Pag. 30 Qui finisce il governo del Conte di Lemos e comincia quello del figlio Don Francesco di Castro Don Benedetto Narduccio (+ ottobre 1601)
Giovanni Maria Trabaci (assentato 30 ottobre 1601)
Juan Battista Juañez
Don Michele Marino (uscito in maggio 1602)
Thomas de Aguilar
Pag. 31 Don Michele Marino
Iacovo Aniello Sasso (assentato in maggio 1599)
Cavalier Luigi Zenobi (uscito in ottobre 1602)
Bartolomeo Anzalone (assentato in ottobre 1602)
Tarquinio Anzalone (assentato in ottobre 1602)
Essendo morto nei giorni passati Don Benedetto Narduccio, uno degli organisti della Real Cappella, la sua piazza è assentata a Giovan Maria Trabaci, che – secondo riferisce il Cappellano Maggiore – “es sufficiente para ello” con lo stesso salario del defunto. Mand. 64 pag. 12 (30 ottobre 1601) Cantore della Real Cappella, ottiene una licenza di 6 mesi per andare in Ispagna, con diritto di percepire il salario anche durante la sua assenza. Tal diritto gli viene subito revocato con un biglietto del Viceré “por algunos respectos que mueve nuestra mente”. Mand. 65 pag. 34 (25 maggio 1602) 1602 Cantore della Real Cappella, è condannato ad un anno di esilio, durante il quale gli vien sospeso il pagamento del salario. Mand. 65 pag. 38 (25 maggio 1602) Ottiene una licenza di un anno per recarsi in Ispagna “a negocios” Nell’assenza gli è conservato il salario. Mand. 65 pag. 108 (9 ottobre 1602)
Vacando la piazza di Tenore tenuta da Don Michele Marino nella Real Cappella, perché il servizio non abbia a subire interruzioni, vi si provvede nella persona di Iacovo Aniello Sasso, Contralto della stessa Cappella, che – secondo riferisce il Cappellano Maggiore – “es habil y sufficiente en el dicho servicio para la voz de contralto”. Per tanto il Sasso è assentato con gli stessi 12 ducati e 1 reale che prendeva Don Michele Marino, avvertendo che i 9 ducati e mezzo che tiene al mese il detto Sasso in qualità di contralto gli vengono sospesi. Mand. 66 pag. 155 (25 ottobre 1602) Vacando la piazza che teneva come cornetto il Cavalier Luigi Zanobi di 12 ducati al mese nella Real Cappella, 6 ducati vanno a Bartolomeo Anzalone, che ha da servire da cornetto nella Real Cappella, e gli altri 6 ducati a Tarquinio Anzalone che ha da servire da sacabuche in quella, non ostante abbia altra piazza in Castelnuovo. Mand. 66 pag. 167 (31 ottobre 1602)
Pag. 32
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MAURIZIO REA
Tarquinio Stanzione (assentato in decembre 1595) (uscito in novembre 1602)
Don Geronimo de Turris (assentato 29 novembre 1602)
Thomas de Aguilar Fra Vincenzo Nardi I quattro violini (1594)
Vacando la piazza di cantore che teneva nella Real Cappella Tarquinio Stanzione, per averla egli stesso rinunciata, vi si provvede in persona di Don Geronimo de Turris. E vacando anche la piazza che teneva Thomas de Aguilar, per averne avuta una migliore vi si provvede in persona di Fra Vincenzo Nardi, e i 4 ducati che detto frate godeva, sono ripartiti ai quattro violini, un ducato per uno in più del salario che hanno. Mand. 66 pag. 213 (29 novembre 1602)
1603 Il Maestro e i Cantori della Real Cappella espongono in un memoriale a S.E. che i loro salari trovansi assegnati nella Infanteria, Cavalleria e Tesoreria, e quando si provvede a qualche piazza vacante il salario ripartito qua e là deve essere riscosso in 2 o 3 parti, lo stesso quando trattasi di aumenti inscritti o nella Infanteria o in Castelnuovo o in Tesoreria, in modo che i poveri supplicanti riscuotono a spizzico, i loro salari. Chiedono di semplificare in qualche modo tale maniera di pagamento. Mand. 67 pag. 146 (12 maggio 1603) Giovanni Macque
Pag. 33 Annibale Marchese
“Teniendo consideracion a lo mucho y bien que Juan Macque, Maestro de Capilla d’este Real Palacio ha servido en ella y a la buena satisfacion que ha dato, S.E. accresce di 4 ducati lo stipendio del Macque. Mand. 67 pag. 205 (2 aprile 1603)
Annibale Marchese, cantore della Real Cappella di Palazzo, fa intendere come su querela di alcuni suoi nemici fu citato ad informandum dalla Gran Corte della Vicaria, et cossì esso fu necessitato presentarsi in la Corte di Monsignor il Cappellano Maggiore, suo superiore et Giodice competente, laddove era stato remesso una con li atti, et essendone conosciuta et chiarita la sua innocentia è stato dall’Eccellentissimo Consigliero Marco Antonio De Ponte, ordinario auditore della Corte di detto Real Cappellano Maggiore di quello che stava inquisito liberato, come dalla inclusa copia del Decreto appare, et perché il tutto è stato per detratiare et calunniare, cum reverentia, esso supplicante, et le paghe le sono state puntate. Per questo la supplica resta servita ordinare, stante è stato liberato, le siano pagate tutte le paghe le quali se le ritrovano puntate dal 1° di settembre 1602 per tutto il presente mese di marzo, et cossì dopo dal 1° aprile avante se li continua il detto soldo e paga nella liberanza generale delli altri cantori di detta Real Cappella, come è stato sempre solito e l’haverà a gratia a V.E. ut Deus”. Il Viceré Don Francisco de Castro, rimette il Marchese nella piazza di cantore, e dà (pag. 34) ordine che gli si pagano le mesate arretrate. Mand. 68 pag. 48 (26 marzo 1603)
Qui finisce il governo di Don Francesco di Castro e comincia quello del Conte di Benavente Il Maestro e i Cantori della Real Cappella, presentano un altro memoriale a S.E. sul tipo del precedente, per eliminare alcune difficoltà circa il modo di pagamento dei loro salari. Mand. 68 pag. 69 (5 aprile 1603) Melchiorre Palantrotti “Il Gran Duca ha fatto venire da Roma musici famosi, tra i quali è anche Melchior” (1600) Vedi SOLERTI, Musica, Ballo e Dramatica alla corte Medicea, pag. 23 Cantò nell’Euridice, rappresentata a Firenze per le nozze di Maria de’ Medici nel 1600. Jacopo Peri nella prefazione del libretto: lo definisce “uno dei più eccellenti cantori di quei tempi”. Cantò anche nel Rapimento di Cefalo, rappresentato per la stessa fausta occasione.
Mancando la Cappella di cantori bassi, il Cappellano Maggiore fa venire da Roma il Basso Melchiorre Palantrotti, che, secondo riferisce lo stesso Cappellano “es persona muy a proposito y sufficiente en el canto de su voz”. È assentato nella piazza di Juan Battista Juañez, tolta a costui “atento a algun causas” con lo stipendio di 20 ducati al mese (16 ducati e 2 tarì che percepiva il predecessore e 3 ducati e 3 tarì di supplemento).
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI Nella prefazione del libretto è detto: “Melchiorre Palantrotti, musico ottimo della Cappella Pontificale”. Vedi SOLERTI, Gli albori del melodramma, vol. II e III.
Mand. 69 pag. 183 (11 luglio 1603)
Thomas Aguilar
Pag. 35 Giovan Antonio Corradi Aurelio Opici Flaminio Medici Gian Domenico Gallo (i violini della Real Cappella)
Juan Battista Juañez
Pag. 37 Thomase de Aguilar
1604 Vien prorogata di un altro anno la licenza al cantore Thomas Aguilar, confirmandogli la corrisponsione dello stipendio. Mand. 73 pag. 200 (6 maggio 1604)
Espongono in un memoriale a S.E. che il Viceré, Conte Francisco de Castro, ordinò con mandato dei 29 novembre 1602, di ripartire i 4 ducati vacati per la rinunzia di Tarquinio Stanzione, alla piazza di cantore, fra i 4 violini, in ragione di un ducato al mese per uno. Non avendo ancora nulla ottenuto, chiedono il pagamento di quanto fu loro assegnato. Il Viceré ordina che vengano subito soddisfatti. Mand. 73 pag. 282 (17 aprile 1604) Presenta il seguente memoriale: “Il Viceré Don Francisco de Castro, con mandato delli 23 gennaio 1602, diede licenza a Giovan Battista Juagnez, cantore della Real Cappella de Palazzo, che havesse possuto andare in Spagna per termine di sei mesi per suoi negotij, correspondendoli il suo soldo et si fusse pagato al suo procuratore con fede di vita, il quale termine li fusse cominciato a correre dal dì che si parteva da questa città. Il quale partì a 14 de maggio 1602, come ne ha fatto constare per fede de M° de Cordova, Mastrodatti della Regia Audienza del Campo, delli 26 de (pag. 36) settembre 1603. Però il detto Don Francesco con un altro mandato delli 25 maggio 1602 ordinò che, non ostante che con lo precedente mandato havesse ordinato che durante il termine dell’assentia li fosse corso il soldo al detto Juañez, non li dovesse correre ne pagare altramente. Et V.E. con mandato delli 11 de luglio 1603 è rimasta servita ordinare che nella piazza del detto Juan Battista Juañez si fusse assentato Melchior Palantrotta, et con un altro mandato delli 8 de agosto 1603 selli è ritornata al detto Giovan Battista la sua propria piazza et il Palantrotta remasto medesimamente per cantore più del numero delli cantori. Pretende il detto Giovan Battista che mentre si partì ai 14 de maggio 1602 non possette haver notitia della revoca della detta licentia che fu ai 25 de detto mese de maggio, et perciò dice che durante la licentia delli sei mesi che li concedè il detto Don Francisco, havesse possuto stare assente l’habbi da correre il soldo, non ostante l’altro ordine in contrario”. Il Viceré ordina alla Scrivania di Razione che si dia corso al mandato dei 23 gennaio 1604 pagando al Juañez i mesi trascorsi in licenza. Mand. 73 pag. 300 (29 aprile 1604)
Presenta il seguente memoriale: “Thomase de Aguilar tiene ducati 10 il mese de provvesione come cantore della Real Cappella de Palazzo e se li pagano mese per mese per la cascia della Tesoreria Generale senza altra polisa particolare al tempo che si paga la Guardia Alemana, conforme si pagano li altri cantori. Per una copia de mandato del Conte di Lemos delli 22 aprile 1600 appare che fè gratia al detto Thomase di potere godere piacza de soldato nella Infanteria Spagnola del Terzo di questo Regno, non ostante che sia nato in Italia, et goda altro soldo. Don Francesco de Castro, con mandato delli 9 de ottobre 1602, diede licentia al detto Thomase che per termine de un anno havesse possuto andare in Spagna, pagandoseli il suo soldo de duc. 10 il mese al suo procuratore, con fede di vita”. Ora tornato a Napoli, trova che la Tesoreria fa alcune difficoltà per pagarlo. Chiede che S.E. si benigni ordinare che fossero rispettate le precedenti disposizioni in suo favore.
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È soddisfatto. Mand. 74 pag. 70 (3 settembre 1604) Pag. 38 Thomas de Aguilar
Iacovo Aniello Sasso Carlo Arias Juan Ansalone (assentato in ottobre 1602)
Presenta una cedola di Sua Maestà datata da Cuenca, 26 febbraio 1604, in cui è detto che “El Rey ecc. ecc. teniendo consideracion a lo que Thomas de Aguilar me ha servido des de su niñez (dalla sua fanciullezza) de cantor en la Capilla Real deste my reyno y su buena habilidad, para que al presente lo haze con mas comodidad” gli concede un assegno di 5 scudi al mese in più del soldo che prende come cantore, con decorrenza dal giorno della presentazione della Reale Cedola. Il Viceré ordina che detto assegno sia pagato all’Aguilar con decorrenza dal 3 settembre 1604. Mand. 74 pag. 71 (5 settembre 1604) Il Viceré dispone che il soldo che i contro notati hanno come Cantori di Castelnuovo venga in avvenire segnato sui conti della Tesoreria Generale e pagato insieme con quello degli altri cantori della Real Cappella ad ogni scadenza mensile.
Tarquinio Ansalone Bartolomeo Ansalone
Mand. 74 pag. 188
Foglio rilegato ma non numerato Fronte “Fiorì in Firenze, vivendo il serenissimo Granduca Ferdinando I e da S.A.S. stipendiato, il signor Bernardino di nazione francese, detto il Francesino, acciò facesse molti allievi tra quali ammaestrasse talmente che potessero servire a sonar la sera a ore 23 sopra della ringhiera di Palazzo Vecchio, in che in breve spazio di tempo divennero così eccellenti, ch’era fama di loro che principe alcuno avesse un coro simile di vari strumenti: e pigliando il nome della nazione del loro maestro si chiamarono Francesini”. Vedi SOLERTI, Gli albori del Melodramma, vol. I, pag. 49 Retro Musici di Castelnuovo Questi sono proprio quelli descrittici da Del Tufo: Quindi la melodia più che altra altiera È quella de la sera Che farìa dolce ogni più alpestra fiera Che in sul balcon si sente del Castello Sopra ogni altro sentir leggiadro e bello Ivi son cinque o sei, che con grande arte Suona ognun la sua parte Con biffoli, trombetti e con tromboni Madrigali e canzoni Al passar de le genti Che vanno a spasso al molo Salvo il venerdì solo Chè questo, Donne mie, questo sentire, Non mi farà mentire, Chi vi corre ad udire, Mentre siam qui viventi, Avanza tutti insiem gli altri contenti. Vedi anche CAPACCIO, Il Forastiero, giornata I Questi musici avevano la stessa funzione che oggi ha la banda municipale in Villa. Pag. 39 Iacovo Aniello Sasso
1604 S.E. dispone che la piazza morta di 2 ducati al mese che il Sasso tiene nel Real Castelnuovo venga conglobata con l’altra di 4 scudi al mese che tiene nello stesso Castelnuovo. Mand. 74 pag. 222 (1° ottobre 1604)
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Annibale Marchese Ludovico Gualtiero il Romano (assentato in aprile 1603)
1605 Sono aumentate di due ducati mensili ciascune le piazze dei controsegnati cantori i quali secondo riferisce il Cappellano Maggiore “son de grande proveccho”.
Luca Antonio Bello il Gaetano (assentato in ottobre 1602)
Giuseppe Raimondo ass.
Carlo Arias (+ gennaio 1606)
Angelo Pastore
Pag. 40 Giovanni Ansalone Tommaso Palmiero (assentato in aprile 1603)
Scipione Bolino (assentato marzo 1607)
Gian Domenico Montella (+ gennaio 1607)
Marc’Antonio Pisano (assentato gennaio 1607)
Sebastiano Russo (assentato in gennaio 1607)
Orazio Viola (assentato in aprile 1603)
Pag. 41 Giacomo Giulio Veronio
Mand. 76 pag. 210 (15 aprile 1605) 1606 È morto. Gli eredi chiedono di esigere lo stipendio non riscosso dal defunto. Mand. 77 pag. 280 (16 febbraio 1606) Il Tenore Angelo Pastore, il quale è anche “muy diestro en la musica” – come riferisce il Cappellano Maggiore ottiene un aumento di 2 ducati mesili sugli otto che già percepisce. Mand. 78 pag. 87 (21 aprile 1606)
I cantori, Giovanni Ansalone e Tommaso de Palmiero, i quali – secondo riferisce il Cappellano Maggiore – “sierven muy bien y jamas han hecho falta en ella”, ottengono un aumento di 2 ducati al mese ciascuno. Mand. 78 pag. 114 (3 maggio 1606) 1607 S.E. stima opportuno che la Cappella “aya una persona que taña el arpa par acompañar a los demas instromentos”. Il Cappellano Maggiore propone Scipione Bolino “musico y habil para tañer el arpa” il quale è assentato con 6 ducati al mese. Mand. 79 pag. 291 (14 marzo 1607) Per l’avvenuta morte di Gian Domenico Montella, che serviva nella Real Cappella col soldo di ducati 11 al mese la sua piazza vien così ripartita. A Marc’Antonio Pisano che dovrà servire da sonatore di liuto nella Real Cappella, ducati 7 al mese. A Sebastiano Russo, per suonare il violino, ducati (e così saranno in tutto sei violini per suonare opere a sei nelle completas della Quaresima e Settimana Santa e in altre musiche del servizio di detta Cappella). L’altro ducato viene accresciuto a Orazio Viola, contralto, che ha molti anni di servizio. Mand. 80 pag. 208 (31 gennaio 1607)
È assentato Giacomo Giulio Veronio, Romano, per cantore della Real Cappella con 18 ducati al mese. Secondo riferisce il Cappellano Maggiore è uno dei migliori per “su voz y virtud”. Mand. 80 pag. 324 (3 aprile 1607)
Antonio Doni
È assentato Antonio Doni, “el qual ha venido de Roma para servir por tiple en esta real Capilla” con 15 ducati di salario mensili. Mand. 81 pag. 165 (7 luglio 1607)
Francesco Lambardi
Francesco Lambardi, musico della Real Cappella, secondo riferisce il Cappellano Maggiore “es uno de los mejores subjectos que es en ella, muy habil y diestro, particularmente de monocordio”. S.E. considerando che “ha servido con mucho cuidado y que el salario que tiene al presente es muy poco para acudir a sus necessidades con peso de madre y hermanos” agli 8 scudi di salario che tiene aggiunge altri 8 mensili, con l’obbligo, però, di servire da organista. Mand. 81 pag. 278 (5 ottobre 1607)
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Pag. 42 Don Bernardino de Ytis
Don Gian Domenico Senese
Fra Vincenzo Nardi
Iacopo Aniello Sasso
Pag. 43 Crisostomo Noce Alessandro Fabri
Essendo vacata la piazza di contralto che teneva Don Bernardino de Ytis (?) nella Real Cappella con 7 ducati e mezzo al mese, il quale “se ha despedito del servicio”, e convenendo che in suo luogo serva altra persona con voce di contralto, è assentato Don Gian Domenico Senese, sacerdote che – secondo riferisce il Cappellano Maggiore – “es el mejor que ay en Napoles”. È assentato con gli stessi 7 ducati e mezzo del predecessore, con decorrenza dal 1 giugno giorno dell’assunzione in servizio. Mand. 82 pag. 86 (5 luglio 1607) È concessa una licenza d’un mese al Maestro Vincenzo Nardi, cantore della Real Cappella per recarsi a Firenze. Mand. 83 pag. 207 (20 settembre 1607) 1608 S.E. dispone che i 6 ducati e 2 tarì che Iacovo Aniello Sasso. Cantore della Real Cappella tiene al mese nel Real Castelnuovo, compresi i 2 di piazza morta, gli siano pagati dalla Tesoreria Generale, insieme col salario che prende come cantore di detta Cappella. Mand. 86 pag. 153 (8 dicembre 1608) 1609 La piazza di organaro che teneva Crisostomo Noce per “adereçar los organos” (per aggiustare gli organi) della Real Cappella, e assentata ad Alessandro Fabri con lo stesso incarico e decorrenza dal 1 gennaio corrente anno. Mand. 87 pag. 69 (5 febbraio 1609)
Fra Vincenzo Nardi
È accordata una licenza di 2 mesi a Fra Vincenzo Nardi per recarsi a Firenze per suoi affari, senza che lo stipendio gli venga soppresso. Mand. 87 pag. 312 (25 agosto 1609)
Omobono Parro
È assentato un “clerigo cantor” con voce di Basso, chiamato Omobono Parro, con 12 ducati al mese di salario a decorrere dal 15 corrente marzo. Mand. 88 pag. 102 (24 marzo 1609)
Iacobo Veronio
Cantore Tenore della Real Cappella ha un aumento di 2 ducati al mese. Antonio Doni Don Gian Domenico Senese Orazio Viola Rispettivamente un aumento di un ducato e mezzo al mese. Mand. 88 pag. 151 (27 aprile 1609)
Antonio Doni Don Gian Domenico Senese Orazio Viola
Pag. 44 Francesco Lambardi
1610 Ha un aumento di 4 ducati al mese sui 20 che tiene assegnati, con decorrenza dal 26 maggio. Mand. 92 pag. 97 (26 agosto 1610)
Qui finisce il Viceregno del Conte di Benavente e comincia quello del Conte di Lemos Giacomo Veronio
Juan Battista Juañez
A Giacomo Veronio, cantore, è concessa una licenzia d’un mese e mezzo “por yr a la ciudad de Rome a los negocios que halli tiene” senza che gli venga sospeso lo stipendio. Mand. 93 pag. 66 (14 ottobre 1610) 1611 Con mandato de 22 novembre 1610 fu ordinato alla Scrivania di Razione di assentare di nuovo i 16 ducati e 2 reali che godeva Juan Battista Juañez, come cantore soprano della Real Cappella dal giorno della sua riammissione in
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servizio. Poiché ciò non è stato possibile, essendo la piazza ripartita fra altri cantori, si ordina di assentarlo come soprannumerario. Mand. 93 pag. 170 (3 marzo 1611) Pag. 45 Il Conte di Lemos riorganizza la Real Cappella e stabilisce il rollo (pianta organica) dei provvisionati. D’allora Cappellani e Musici son pagati con un’unica polisa. Al servizio della Real Cappella stabilisce: Il Sagrestano Maggiore Sei Cappellani – Due aiutanti Un Chierico Sedici Musici col Maestro di Cappella (che poi in effetti sono oltre 40) La spesa complessiva è di ottomila ducati l’anno, assegnati sullo arrendamento della seta di Terra di Lavoro. Il Viceré dispone che – senza embargo dell’ordine da lui emanato per l’estinzione degli stipendi assegnati dai precedenti Viceré – continui il pagamento dei salari a tutti i musici e cantori che oggi servono in essa nella medesima forma e maniera usata per il passato, e ciò fin tanto che non si vadino quelli estinguendo per morte. Saranno essi in numero di sedici e d’ora innanzi non si debbono assentar altri senza espresso ordine di S.M. Juan Battista Juañez È da avvertire che non s’hanno da comprendere nel detto numero né Juan Battista Juañez, che al presente serve da soprannumerario, né Tommaso de Aguilar, Tommaso Aguilar che per grazia del Viceré precedente tiene i suoi salari in detta Cappella, per cui ha da servire e risiedere in essa vita natural durante, né si ha da intendere l’orJacopo Aniello Sasso dine dato per chi gode di due distinti salari, come Iacopo Aniello Sasso, Tarquinio, Bartolomeo e Giovanni Ansalone, che ne hanno uno in detta Cappella e Tarquinio Ansalone uno in Castelnuovo, poiché nella qualità di militari, ciò è compatibile. Bartolomeo Ansalone Mand. 93 pag. 179 (23 marzo 1611) Giovanni Ansalone Juan Battista Juañez
Juan Battista Juañez espone in una supplica al Re d’aver servito per 28 anni da cantore soprano nella Real Cappella di Palazzo “con mucha sufficienza en la musica” e con particolar soddisfazione ed impegno. Ricorda i molti e buoni servigi prestati dal padre al Re per lo spazio di quarant’anni, in pace e in guerra. Ricorda suo fratello Carlo Juañez, che combattendo da valoroso nelle Fiandre, fu gravemente ferito nell’assalto di Mastrich. Dice di trovarsi presentemente “impedito de la vista” per cui supplica S.M. di poter d’ora innanzi godere del soldo di 16 ducati mensili senza obligo di servire. Il Re, accogliendo le su esposte ragioni, con cedola da Valledolid del 20 settembre 1610 ordina che a Juañez – benché impedito – si continui la corrisponsione dello stipendio. Tale real cedola (non si comprende per qual ragione) fu presentata al Viceré con un anno di ritardo, per cui S.M. ne spedisce una seconda da Valledolid il 2 marzo 1611 in cui è detto che il Juañez “per alcune (pag. 47) giuste cause e legittimi impedimenti” non potesse presentare il precedente dispaccio, e che ora si provveda come se fosse stato presentato a suo tempo. Il Viceré ordina che il Juañez sia nuovamente assentato nei libri col salario che prima teneva di 16 ducati mensili. Mand. 94 pag. 25 (22 novembre 1610)
Fra Vincenzo Nardi
Il Viceré ordina di aclarar (cioè: svincolare) lo stipendio di Fra Vincenzo Nardi dal giorno che gli era stato puntato per essersene andato a Roma (forse senza espressa licenza). Mand. 95 pag. 37 (1 settembre 1611)
Jacopo Aniello Sasso
Jacopo Aniello Sasso espone al Re in un memoriale d’aver servito come cantore della Real Cappella circa 16 anni con molta soddisfazione e puntualità, per cui il Viceré Don Francesco di Castro vedendo che la piazza ordinaria da lui goduta era molto “corta” e sapendolo padre di ben sette figliuoli, 3 femmine e 4 maschi, gli concesse una piazza morta di 2 ducati al mese e il Viceré Conte di Benavente per la stessa causa e sapendolo nella massima indigenza volle concedergliene
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un’altra di 4 ducati mensili senza (pag. 48) obligo di servire, delle quali ha goduto e gode, oltre la piazza di cantore. Ora, poiché il Viceré Conte di Lemos chiese la conferma di S.M. perché il Sasso possa godere delle due piazze morte, supplica S.M. a continuargli tale concessione. Il Re acconsente. Mand. 95 pag. 39 (23 agosto 1611) Luc’Antonio Lello
Fra Vincenzo Nardi
È concessa licenza a Lucantonio Lello, gaetano, cantore della Real Cappella di Palazzo, per recarsi a Gaeta “a negocios que se le offrecen” con l’obligo di trovarsi in Cappella per le Vespera di Tutti i Santi. Durante l’assenza gli vien conservato il salario. Mand. 95 pag. 39 (24 settembre 1611) 1612 È concessa licenza di due mesi a Fra Vincenzo Nardi, cantore della Real Cappella per recarsi a Firenze “a negocios que se le offrecen”. Durante l’assenza gli vien conservato il salario. Mand. 96 pag. 248 (31 agosto 1612)
Pag. 49 In occasione del lutto per la morte della Regina Donna Margherita d’Austria (febbraio 1612) i cantori della Real Cappella. (Come tutti gli ufficiali e salariati della Real Corte) hanno 4 canne di rascetta nigra per ciascuno. Essi sono: 1 Giovanni Macque Maestro di Cappella 22 Giuseppe Veggiano detto Grillo 2 Don Fabio Mirabile 23 Luc’Antonio Lello 3 Don Cesare de Messere 24 Giuseppe Antonio Raymondo 4 Giovanni Ansalone 25 Teseo d’Amato 5 Tommaso Palmieri 26 Juan Battista Juañez 6 Vincenzo Recco 27 Ascanio Mayone 7 Annibale Marchese 28 Giovanni Maria Trabaci 8 Ottavio Mundi 29 Francesco Lambardi 9 Iacobo Veronico 30 Giovan Antonio Corrado 10 Giovan Domenico Postiglione 31 Flaminio Medici 11 Don Pietro Giron 32 Aurelio Opici 12 Giovan Gregorio Carbonello 33 Giovan Domenico Gallo 13 Iacobo Aniello Sasso 34 Lucio Opici 14 Orazio del Isola (sic.) 35 Sebastiano Russo 15 Don Geronimo de Turris 36 Marc’Antonio Pisano 16 Giovan Domenico Senese 37 Bartolomeo Ansalone 17 Gennaro Lombardo 38 Tarquinio Ansalone 18 Fra Vincenzo Nardi 39 Benedetto Bocca 19 Tommaso Aguilar 40 Scipione Bolino 20 Mathias Lorenzo 41 (Gennaro?) de Macque 21 Simone Ranieri Mand. 100 pag. 314 Pag. 50 Vitale Finelli e Bartolomeo Argento, scarpellini, hanno ducati 154 a saldo per le Arme de S.M. e de S.E. et li epitaffi de marmo et altri ornamenti posti sopra le porte della Real Scrivania de Ratione, Cascia Militare, et Thesaureria nel Regio Palazzo Vecchio. Mand. 102 (19 novembre 1613) La Cassa Militare per pagare le soldatesche fu dal Conte di Lemos collocata in alcune stanze del Palagio Vecchio, dove parimenti fu posta la Scrivania di Razione, nella quale si conservano i ruoli di tutti quelli che sono stipendiati dal Re e spedisconsi le liberanze de’ loro salari, come si vede dalle seguenti inscrizioni, che leggonsi su le porte di dette stanze. Philippo III Regnante Petrus Fernandez de Castro Comes de Lemos Prorex Hic statuit AErarium stipendiorum militarium In praemium bellici laboris.
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An. MDCXIII Philippo III Regnante Petrus Fernandez de Castro Comes de Lemos Ut facultates Regiae ex fide distribuantur, Officium Rationum huc transtulit. An. MDCXIII PARRINO, Teatro Eroico de Viceré, vol. II, pag. 77 Pag. 51 Iacobo Veronio Orazio Diola Gennaro Lambardi Giuseppe Raymondo Andrea Palumbo Giovan Battista D’Errico Francesco de Nicola Giuseppe de Annovaccio
In seguiro a consulta del Cappellano Maggiore essendo vacate le piazze di Jacobo Veronio, Orazio Diola, Gennaro Lambardi e Giuseppe Raimondo, per cui di spendevano complessivamente ducati 39.3.10 al mese, il Viceré ordina di assentare in luogo di quelli: Andrea Palumbo con 9 ducati al mese, Gian Battista d’Errico con 8 ducati e Ciccio De Nicola con 9 ducati e il restante della somma venga ripartito fra i seguenti cantori, in più del soldo che ciascuno gode e cioè: a Giovanni Ansalone ducati 1.3.10, a Tommaso Palmiero ducati 1 a Teseo d’Amato ducati 1 e a Don Pedro Giron ducati 8.
Giovanni Ansalone Tommaso Palmiero Teseo d’Amato Don Pietro Giron
Michelangelo Naccarino
Mand. 96 pag. 285 (3 settembre 1612)
1613 Pagansi 200 ducati a Michelangelo Naccarino per due statue (un Cristo legato alla colonna e una Madonna) da inviarsi in Ispagna a sua Maestà. Mand. 98 pag. 291 (26 giugno 1613)
Il Sacrestano Maggiore, i sei Cappellani, i due Aiutanti ed il Chierico della Real Cappella di Palazzo “dan las buenas pasquas” a S.E. e lo supplicano di voler loro concedere il solito “aiuto di costa” di 330 ducati che son soliti ricevere ogni anno nel dì della Pasqua dei fiori, e si dichiarano obbligati di pregare Nostro Signore perché conceda a S.E. salute e figli maschi “para la perpetuacion de su casa”. Il Viceré concede il solito “aiuto di costa”. Mand. 99 pag. 58 (10 maggio 1613) Pag. 52 Si rimborsano al Cappellano Maggiore ducati 32 da lui spesi per cambiare l’organo vecchio dell’Oratorio di S.E. con un altro organo nuovo. Mand. 99 pag. 81 (24 maggio 1613) Tommaso de Aguilar
È concesso a Tommaso de Aguilar un aumento di salario per la puntualità con la quale serve nella Real Cappella. Mand. 100 (3 settembre 1613)
Gregorio Francia
È assentato per suonare una parte di violino Gregorio Francia, Romano al posto di Lucio Opici che è andato via. E nonostante che al detto Lucio si pagano solo 3 ducati per essere ragazzo e apprendista, al Francia vengono assegnati 7 ducati e 3 tarì al mese, per essere molto abile particolarmente nella sua arte, e perché tale è il soldo percepito dagli altri quattro violini. È quindi assentato con decorrenza dal 1 settembre 1613 senza embargo dell’ordine di gennaio 1611 che si riferisce ai salari creati e stabiliti dai Viceré, perché le piazze di Cantori di detta Cappella non superino il numero di sedici. Mand. 100 pag. 89 (10 ottobre 1613)
Lucio Opici
Al pittore Iacopo Aniello Dattilo vengono pagati ducati 76 pel lavoro che fece “en poner los teadros de la comedia” fatti nella sala del Real Palaggio il 3 febbraio 1613. Mand. 116 pag. 56
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Pag. 53 “S.A. fece venire di Roma un prete Giandomenico Puliaschi, musico della Cappella del Papa, il quale canta di tre voce, cioè contralto, tenore e basso, et suona il chitarrone”. SOLERTI, Musica, Ballo e Dramatica alla corte Medicea, pag. 152
Orazio Viola Bartolomeo Russo
Gregorio Francia Giovanni Maria Trabaci
Pag. 54 Juan Macque Giovanni Maria Trabaci
Giovanni Maria Trabaci
Andrea Palumbo Giuseppe Veggiano Teseo d’Amato Ascanio Mayone
In seguito a consulta del Cappellano Maggiore che informa essere in Cappella alcuni cantori “achacosos viejos” i quali non possono accudire al servizio, il Viceré dispone che – senza embargo dell’ordine emanato in gennaio dove si parla di salari stabiliti dai Viceré e del numero dei cantori che non deve superare i 16 – occorrendo altre due buone voci, una che faccia da contralto e tenore da servire nelle doppie parti, e l’altra che serva da contralto, siano assentati in queste piazze Orazio Viola (che faccia da contralto e da tenore) con 16 ducati al mese e Bartolomeo Russo (che faccia da contralto) con 14 ducati al mese, entrambi con decorrenza dal 25 novembre 1613, con la condizione che quando i detti cantori “viejos u achacosos” finiranno, si debbano estinguere dette piazze. Mand. 102 pag. 69 (3 dicembre 1613) 1614 È concesso a Gregorio Francia, violino, un aumento di ducati 7 al mese e a Giovanni Maria Trabaci, organista, uno di ducati 3, senza embargo dell’ordine del 2 gennaio … Mand. 102 pag. 206 (5 aprile 1614)
Haviendo vacado la plaça de Maestro de Capilla de la de este Real Palacio por muerte de Juan Macque, havemos tenito por bien proverla en persona de Juan Maria Trabaci, con el salario solito de 25 escudos al mese, gages y emolumentos que tenia y gozaba el dicho su predecessor y los demas Maestros de Capilla, que han servido este cargo con obligacion de pagar tres ducados a dos tiplezillos al mes a gusto y contento del Capellan Mayor. Portanto le assentareys en los libros d’esse Real Officio con la dicha plaça de Maestro de Capilla con el dicho salario, el qual le ha de correr de el dia que falleciò el dicho Juan Maque, con que conste que des de entouze enpezo a servir por fee del Capelan Mayor (questo mandato è annullato con una croce e al margine si legge: no tubo effetto). Mand. 104 pag. 14 (20 settembre 1614) 1615 Avendo il Viceré fatto grazia a Giovanni Maria Trabaci della piazza di Maestro di Cappella, vacano i 15 ducati al mese che percepiva in qualità di organista, i quali “por justas causas que han movido nuestra mente” si ripartiscono così, con decorrenza dal 1 novembre 1614. Ad Andrea Palumbo, tenore, 2 ducati in più dei 9 che già gode A Giuseppe Veggiano alias Grillo, contralto, 3 ducati in più dei 17 che gode A Teseo d’Amato, contralto, 4 ducati al mese in più degli 8 che già tiene (pag. 55) Ad Ascanio Mayone, organista, ducati 2 in più degli 8 che già gode. Mand. 103 pag. 223 (16 febbraio 1615)
Francesco Lambardi
A Francesco Lambardi, cantore della Real Cappella, è assegnata la piazza di organista, conservando però lo stesso salario che percepisce come cantore. Mand. 103 pag. 253 (16 febbraio 1615)
Michel’Angelo Naccarino
Illustrissimo y excellentissimo señor – por villete del Don Gabriel de cinco d’este mes, me se manda que havise a V.E. quanto se puede pagar a Miguel Angel Nacherino escultor las dos estatuas de marmol, la una del Christo attado a la coluña y la otra de Nuestra Señora con el niño Jesus en los brazos, de ocho palmos de alto, digo que se le puede dar por todas dos, tanto por la hechura como por el marmol hasta la suma de nuebeçientos ducados advirtiendo que por mandato de 26 de Junio de l’año passado in mandatorum 7 f. 291 ha recebido en quento de ellos 200 ducados que es lo que puedo dezir a V.E., a quien ruego el Senor guarde muy largos años. De casa 16 de dizembre 1614 (pag. 56) De V.E. humilde criado.
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Julio Cesar Fontana Mand. 104 pag. 141 Don Antonio Potencio Giovanni Ansalone Don Fabio Mirabile Don Cesare de Messere Don Anello Ancora Don Francesco Damiano Francesco Pirolo Eleuterio Parmegiano Gennaro de Macque Teseo d’Amato Orazio Diola Andrea Palumbo
Cappellano Maggiore
Cappellano Maggiore
Essendo vacate quattro piazze di cantori sono disponibili i relativi stipendi, come segue: Ducati 19.3.1 al mese per morte di Don Antonio Potencio. Ducati 9.3.11 al mese per morte di Giovanni Ansalone. Ducati 6 al mese per morte di Don Fabio Mirabile. Ducati 22 al mese che teneva Cesare de Messere il quale ha rinunciato di sua volontà la piazza il 15 agosto di quest’anno. In totale ducati 57.1.12 al mese, coi quali si assentano i seguenti cantori: Don Anello Ancora per Basso con 9 ducati al mese Don Francesco Damiano per Basso con 9 ducati al mese Francesco Pirolo per Basso con 8 ducati al mese Eleuterio Parmegiano per Basso e Tenore con 9 ducati al mese e con decorrenza dal 1° ottobre 1615. Gennaro de Macque per Soprano con 6 ducati al mese e con decorrenza dal 1° settembre 1615. Teseo d’Amato Orazio Diola Andrea Palumbo Hanno rispettivamente due ducati in più al mese. E ciò senza embargo dell’ordine del 2 gennaio che si riferisce ai salari “creados y erigidos” dai Viceré e dell’ordine (pag. 57) emanato in virtù della Carta di S.M. che prescrive le dette piazze dei cantori della Real Cappella doversi ridurre al numero di sedici. Mand. 105 pag. 202 (9 novembre 1615) 1616 Con Real Privilegio dei 22 febraio 1616 il Cappellano Maggiore Don Gabriel Sanchez de Luna è promosso Consigliere del Collaterale di questo Regno col medesimo salario di 200 ducati e 400 di aiuto di costa ordinario che percepiva all’anno per detto carico. Mand. 107 pag. 78 Con Real Privilegio è nominato nello ufficio di Cappellano Maggiore di questo Regno il licenziato in utroque jure Juan Matute, canonico di Granata, con gli stessi 600 ducati che teneva il predecessore. Mand. 107 pag. 99 (11 luglio 1616)
Qui finisce il governo del Conte di Lemos e comincia quello del Duca d’Ossuna Gregorio Francia Vincenzo Recco
Musico di violino, ha un aumento di 6 ducati mensili, Vincenzo Recco, cantore, un aumento di 4 ducati mensili. Mand. 107 pag. 354 (31 agosto 1616)
Pag. 58 Don Antonio de la Zerda
1617 È assentato per cantore e suonatore di Tiorba della Real Cappella. Don Antonio de la Cerda con 10 scudi di salario al mese, e ciò non ostante l’ordine dei 2 gennaio pel quale le piazze dei cantori dovevano ridursi al numero di sedici, cominciando con l’abolizione progressiva della plazas achacosas e non ostante che detto salario ecceda sulla summa di ottomila ducati, assegnata annualmente alla Real Cappella. Mand. 11 pag. 165 (9 gennaio 1617)
Fra Vincenzo Nardi
È concessa una licenza di tre mesi a Fra Vincenzo Nardi per recarsi a Firenze, “a negocios que se le ofrezen”. Durante l’assenza gli è corrisposto il salario. Mand. 11 pag. 67 (5 settembre 1617)
Jacopo Aniello Sasso
Jacopo Aniello Sasso espone a S.E. che avendo servito per oltre 20 anni nella Real Cappella in qualità di contralto, atteso “il bene che ha servito e la poca
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MAURIZIO REA
salute che tiene” supplica che gli continui a correre il soldo e che possa prestar servizio quando e come meglio potrà. Gli viene accordato. Mand. 112 pag. 193 (27 dicembre 1617) Pag. 59 Giuseppe Anovacio Giovanni Maria Trabaci Don Pedro de Gioyellis
Miguel Garcia Pietro Aniello Guarino
Essendo vacata la piazza di cantore col soldo di 9 ducati al mese per la morte di Giuseppe Anovacio, 3 ducati vengono assegnati a Giovanni Maria Trabaci, Maestro di Cappella, che così avrà in tutto 36 ducati al mese e gli altri 6 ducati vengono assegnati a Don Pedro de Gioyellis, assunto in qualità di contralto in Cappella con decorrenza dai 28 maggio 1617. Mand. 114 pag. 2 (11 dicembre 1617) 1618 È assentato nella piazza che vaca per la morte di Miguel Garcia, il cantore Pietro Anello Guarino. Mand. 114 pag. 87 (10 febbraio 1618)
Francesco de Mayo
È assentato Francesco de Mayo in qualità di contralto con piazza soprannumeraria e col soldo di 30 ducati al mese. Mand. 114 pag. 149 (13 marzo 1618)
Don Juan Garcia
S.E. dispone che Don Juan Garcia de Unciti (?) cantore della Real Cappella, possa liberamente riscuotere quanto gli è dovuto e che il soldo gli venga in avvenire liberamente pagato. Mand. 114 pag. 160 (18 aprile 1618)
Pag. 60 Fra Vincenzo Nardi
Fra Vincenzo Nardi informa S.E. che non gli sono stati ancora pagati i 6 ducati di aumento concessigli in seguito alla partenza e conseguente sospensione della piazza di Don Juan Garcia Unciti (?) cantore nella stessa Cappella, avvenuta il 30 ottobre 1617. Vien soddisfatto. Mand. 114 pag. 202 (23 aprile 1618)
Fra Vincenzo Nardi
Dei 25 ducati mensili che vacano per la partenza del cantore Juan Garcia per la Spagna con licenza, 6 ducati sono assegnati al Maestro Vincenzo Nardi in considerazione ai molti anni che ha servito e serve con molta puntualità e allo scarso salario che prende. Mand. 115 pag. 83 (30 ottobre 1618)
Don Juan Garcia Unciti
S.E. aveva concesso il 14 ottobre 1616 a Don Juam Garcia Unciti uno stipendio di 25 ducati mensili in qualità di soprano riscuotibili parte sul fondo della Cappella, come gli altri musici, e parte in Tesoreria finché non entrasse tutto nella situazione della Cappella. Per la morte di Giuseppe Annovaccio avvenuta testè restano disponibili 9 ducati così ripartiti da S.E.: 3 ducati (pag. 61) al Maestro di Cappella e 6 a Don Pedro de Gioyellis, per voce di contralto. Ora, avendo la Scrivania di Razione mosse alcune difficoltà per passare il mandato in favore dei due sopra indicati atteso che il mandato del detto Don Juan Garcia porta la clausola: “finché non entrasse tutto nella situazione del fondo della Real Cappella” il Maestro di Cappella e Don Pedro supplicano al Viceré che nonostante detta clausola al mandato del Garcia, possano godere dell’aumento già loro concesso. Vengono soddisfatti. Mand. 115 pag. 118 (20 febbraio 1618)
Giuseppe Annovaccio Don Pedro de Gioyellis
Annibale Marchese Gregorio Carbonelli
1619 Vacando sui fondi della Real Cappella 20 ducati mensili per l’avvenuta morte di Annibale Marchese, sono assentati in suo luogo i 6 scudi che si pagano a Gregorio Carbonelli con la Guardia Alemanna. Mand. 116 pag. 269 (4 marzo 1619)
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Francesco Lambardi
Pag. 62 Giovanni Antonio Corrado
Tenendo considerazione “a lo bien que ha servido y con el cuidado que lo va continuando” è assegnato a Francesco Lambardi, organista, un aumento di 7 ducati sulla piazza che vaca per la morte di Annibale Marchese. Mand. 109 (28 febbraio 1619)
Considerando le buone qualità che dimostra il Violino della Real Cappella Giovanni Antonio Corrado, gli si accrescono 7 scudi sull’assegno che godeva il defunto Musico Annibale Marchese. Mand. 117 (febbraio 1619)
Giovanni Romano
Sul soldo che godeva il defunto Annibale Marchese si accrescono 5 ducati a Giovanni Romano, musico della Real Cappella. Mand. 117 (24 febbraio 1619)
Andrea Lambardi
Andrea Lambardi che serve in Cappella in qualità di Tenore, “por ser voz muy necessaria” ha un aumento di 10 ducati al mese ed Orazio Diola, cantore, un aumento di 3 ducati al mese. Mand. 109 pag. 345 (18 febbraio 1619)
Orazio Diola
Fra Ludovico da Napoli
Pag. 63 Giuseppe Veggiano
Nicolò Tagliaferro
Giovanni Romano
Giovanni Maria Trabaci Don Francesco De Nicola
Necessitando in Cappella una voce di contrabasso il Cappellano Maggiore propone Fra Ludovico da Napoli “aprovado del Maestro de Capilla y des otros musicos, por tener buena voz y de buenos baxos”. È assentato con un salario di 4 ducati al mese. Mand. 109 pag. 373 (11 aprile 1619)
I 7 ducati di aumento che Giuseppe Veggiano alias Grillo, soprano della Real Cappella, teneva situati nella Guardia Alemanna finché non vacasse qualche piazza nella situazione della Real Cappella, ora passano e si situano in questa, sulla piazza che vaca per la morte di Nicolò Tagliaferro. Mand. 117 (12 maggio 1619) I 5 ducati di aumento, che Giovanni Romano teneva situati nella Guardia Alemanna passano sopra la piazza che vaca per la morte di Nicola Tagliaferro. Mand. 117 (19 maggio 1619) 1620 I Ducati 6.4.20 che Giovanni Maria Trabaci ebbe di aumento il 18 maggio 1619, entrano nella situazione della Real Cappella, ora che vaca una piazza di cantore per morte di Don Francesco de Nicola. Mand. 119 pag. 48 (4 aprile 1620)
A Diego de Oviedo, nostro dispensiero, 81 ducati e 1 tarì spesi per capponi, capretti, galline ed altro, che si è solito regalare ai Cappellani, e cantori della Real Cappella, Cappellano Maggiore e Sacristano Maggiore, in occasione di Pasqua e Natale. Mandatorum Curiae vol. 6 (25 gennaio 1618) Pag. 64 Teseo d’Amato
1619 Teseo d’amato presenta il seguente memoriale: “Teseo d’Amato, musico della Real Cappella di Palacio, humilmente dice a V.E. come li Maestri di Cappella, che sono stati pro tempore, hanno tenuta obligatione de loro proprio soldo pagare ducati 3 il mese a doi soprani per servitio di detta Real Cappella, e perché non si trovava chi volesse servire per così poca cosa, fu ordinato da Monsignor Gabriel Sanchez olim Cappellano Maggiore che al supplicante che ha servito e al presente serve in detta Real Cappella per contralto e soprano se li pagassero di quelli ducati 3 carlini 15 il mese, et perché al presente V.E. ha fatto gracia al Maestro di Cappella di augumentarli il soldo et levarli anco l’obligo di pagare ducati 3 il mese, quali restano vacui nella situazione, perciò V.E. resti servita ordinare che li stessi ducati 3 si assentino in faccia del supplicante sopra il soldo
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MAURIZIO REA
(1607)
Pag. 65 Onofrio Gioyosa
Orazio Fenicia
Giuseppe Veggiano D. Antonio de la Zerda
Pag. 66 Onofrio Gioyosa
che tiene in detta Real Cappella, quale è molto poco rispetto al servicio suo e lo reciverà a gratia ut Deus. Il Cappellano Maggiore attesta che il supplicante ha servito nella Real Cappella 12 anni da soprano e contralto “con mucha puntualidad y satisfacion, y su voz es de las mas necessarias de la Capilla, por no se poder hazer coro en el organo sin el, y el salario que tiene es muy poco” per cui stima opportuno accordargli i 3 ducati richiesti. I 3 ducati gli vengono definitivamente assegnati. Mand. 120 pag. 26 (27 novembre 1619)
“Onofrio Gioyosa, soprano della Real Cappella fa inteso V.E. come tiene 8 ducati il mese di piazza, quali se li pagano sopra la Thesoreria, e perché è molto difficile il recuperarli, e detto supplicante non tiene con che vivere, supplica V.E. li voglia far gratia della piazza situata che è vacata per la morte di Francesco De Nicola, che è di ducati 9 il mese, in scambio di detta sua piazza di ducati 8 il mese, facendoli gratia ancora che motando voce, servi in Cappella con la voce che li venirà”. Gli viene assegnata la piazza del defunto De Nicola, col dritto di goderla anche se in avvenire possa mutar voce. Mand. 120 (10 dicembre 1619) Essendo vacata la piazza di cantore che aveva Onofrio Gioyosa di ducati 8 il mese, per averne avuta un’altra di 9 ducati appartenente al defunto Francesco De Nicola, quella di 8 ducati viene assegnata a Don Oracio Finicia per cantore Basso. Mand. 120 (6 dicembre 1619) 1620 Essendo Giuseppe Grillo entrato nella situazione della Real Cappella, il soldo che gli veniva pagato nella Guardia Alemanna è assegnato a Don Antonio de la Zerda. Mand. 120 (1 marzo 1620)
Onofrio de Gioyosa chiede un aumento del salario. Il Cappellano Maggiore attesta che egli serve da due anni “nella plaza de musico tiple con muy grande satisfacion por ser de su etad la mejor voz que ay en el Reyno, y es de mucho provecho en la Capilla”, e merita un aumento anche perché “es muy pobre con un padre viejo a quien substentar y deja de ganar con que poder acudir a esta obligacion”. Ottiene l’aumento di uno scudo al mese. Mand. 120 (29 maggio 1620)
Finisce il governo del duca d’Ossuna e comincia quello del Cardinal Borgia Musici e cantori della Real Cappella
Uno dei primi atti del governo del Cardinal Borgia fu quello di spedire un biglietto al Duca di Vietri, (scrivano di razione) col quale gli ordinava di non pagare né soldi né aumenti concessi dai passati Viceré, richiamandosi alle lettere di Sua Maestà. In ossequio a tali ordini il Duca di Vietri rifiuta di emettere le liberanze pel pagamento del semestre scaduto a fine maggio in favore dei Cantori della Real Cappella, adducendo trattarsi di salari aumentati e compresi nel detto ordine e dice che non emetterà tale liberanza senza un ordine particolare di Sua Signoria. I Cantori protestano, inviando al Viceré un memoriale, in cui espongono le loro ragioni. Sostengono che la liberanza non si (pag. 67) possa impedire, perché la situazione, cioè il fondo stanziato pel mantenimento della Real Cappella è di ottomila ducati. Tale situazione fu fatta dal Conte di Lemos con consulta di Sua Maestà, come rilevasi dal relativo decreto.
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
È con questa somma che vengono pagati i salari ai cantori dai signori Viceré, e poiché detti salari non eccedono dall’apposito fondo di ottomila ducati, così non possono essere compresi nell’ordine emanato dal Cardinale. Fanno anche notare che se i Viceré non potessero liberamente disporre degli ottomila ducati sarebbe loro impossibile di tener Cappella. Dippiù che la liberanza, di cui trattasi, si riferisce ad epoca anteriore al biglietto, per un servizio da loro prestato in buona fede e con legittimo titolo, riconosciuto dai passati viceré e che essendo poverissimi e astretti dal maggior bisogno, supplicano S.S. di voler disporre che non ostante qualsiasi ordine in contrario si dia corso alla loro liberanza, nella forma che si è sempre usata. Il Cardinale richiede in proposito il parere del Cappellano Maggiore Don Alvaro di Toledo, il quale espone che: Per lettera di S.M. dei 27 gennaio 1596, fu proibito ai Signori Viceré di concedere nuovi sueldos, ventajas y entretenimentos, né eleggere officiali senza ordine e cedola espressa di S.M. e che quelli che ciò non ostante fossero concessi, (pag. 68) non venissero riconosciuti, ne pagati dalla Scrivania di Razione, la quale lettera fu da S.M. confermata da un’altra del 7 novembre 1610, inviata al Conte di Lemos, allora Viceré, e pubblicata a 2 gennaio 1611. Negli ordini contenuti in tale lettera non erano compresi né i musici né il personale addetto alla Real Cappella, pel quale il Viceré emanò un ordine particolare al Duca di Vietri, Scrivano Maggiore di Razione, ai 23 marzo 1611, in cui era detto che nonostante gli ordini già dati per l’estinzione dei soldi nuovamente creati ed aumentati dai Viceré suoi antecessori, si fossero continuati a pagare quelli di tutti i musici e cantori che allora servivano nella Real Cappella nella forma che sempre si era tenuta, fin tanto che questi estinguendosi per morte si fossero ridotti al numero di sedici, e che in avvenire non potevansi assentare altri senza espresso ordine di S.M., eccetuando da questo numero quelli che tenevano il salario per ordine di S.M. Un altro ordine dello stesso conte di Lemos del 6 agosto 1612 disponeva “que se situe en la renta de la seda (arrendamento della seta) en la provincia de Tierra de Lavoro, ocho mil ducados, los quales han da servir para salarios del Capelan Major, Capi de altar, Sacristan (pag. 69) major, ayudantes, y para los musicos anzi de voz, como de instromentos, yncluydendo tambien e los dichos ocho mil ducados, quatrociento en la Semana Santa y cien ducados por el gasto que se haze en los ornamentos de la dicha Capilla en todo el anno”. Riguardo la riduzione del numero di Cantori, il Cappellano Maggiore fa osservare, che gli ordini non ebbero effetto, perché in seguito vennero assunti altri cantori, per assoluta necessità ed altri per giustificato motivo vennero aumentati nel soldo, senza però mai eccedere dalla somma degli ottomila ducati, la quale è bene che venga amministrata dai signori Viceré a loro arbitrio, per poter aumentare i salari e concederne dei nuovi, altrimenti se si dovesse aspettare la conferma di S.M. sarebbe gran danno per la Real Cappella, perché i soggetti che fossero a proposito per essa, non vorrebbero lasciare le comodità certe che tengono altrove per le incerte, come sarebbero quelle della Real Cappella, se si dovesse aspettare la conferma di S.M. mentre ora quelli che vengono assunti in servizio in essa, si accontentano di un salario minore nella speranza di vederselo aumentare dai Signori Viceré. Tutto ciò cesserebbe se i Viceré non avessero potestà di farlo. A parte tutto questo, fa notare che (pag. 70) i salari reclamati dai cantori si riferiscono al semestre scaduto in epoca precedente al biglietto di S.S. con cui sono confermati gli ordini di S.M., i quali per altro non si riferiscono ai salari di detti cantori, e che se mai questi fossero compresi in tali ordini, ciò riguarderebbe l’avvenire e non il passato. Per tutte le su esposte ragioni, consiglia che, nonostante gli ordini emanati, si dia corso alla liberanza del semestre scaduto. Il Cardinale, vagliando le ragioni contenute in detta relazione, ordina alla Scrivania di Razione di emettere la liberanza di quanto è dovuto ai Cantori della Real Cappella di Palazzo pel semestre già scaduto, non ostante l’ordine generale emanato con dispaccio del 28 luglio 1620 “y qualchiera que haia en contrario”. Mand. 123 pag. 135 (27 settembre 1620) Finisce il governo del Cardinal Borgia e comincia quello del Cardinal Zapatta.
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Pag. 71 Musici e Cantori della Real Cappella
1621 Alla scadenza del semestre seguente si ripete la scena. La Scrivania di Razione si rifiuta di emettere la liberanza in favore dei Cantori della Real Cappella per le stesse ragioni inanzi esposte. I disgraziati cantori si rivolgono nuovamente al Viceré, che ora è il Cardinale Zapatta, successore del Borgia. Il Cardinale chiede il parere del Cappellano Maggiore, che risponde negli identici sensi della precedente consulta. In esito di che, il Cardinale “vista la detta relazione e considerando quanto in essa è contenuto e la necessità di conservare i Musici che han servito e servono nella Real Cappella pel decoro di essa, e che la volontà di S.M. è che si mantenga con la decenza che conviene al servizio di Dio e del Re, essendo Cappella del Palazzo di S.M., e che per questo è necessario che sia ben servita da musicos de vozes y instrumentos, ai quali bisogna corrispondere salari convenienti e in rapporto ai servigi che ciascuno di essi presta, perché tutti servano con puntualità e premura, per tutte queste ragioni ordina che ai detti Musici e Cantori se aclaren le rispettive piazze, pagando tutto quanto è loro dovuto, poiché non sono da comprendersi negli ordini dati alla Scrivania di Razione, relativi ai soldi (pag. 72) concessi dai Signori Viceré, né negli ordini emanati ai 17 dicembre 1620, e per quel che riguarda il salario che due dei detti Musici hanno in Castelnuovo, provvederà il Capitano Francisco de Comas, che ha carico dei soldi nei Castelli del Regno. Mand. 125 (12 febbraio 1621)
Finisce il governo del Cardinal Zapata e comincia quello del Duca d’Alba
Giuseppe Veggiano
Onofrio Gioiosa
Teseo D’Amato
1623 Giuseppe Veggiano alias Grillo, cantore soprano della Real Cappella di Palazzo espone a S.E. in un memoriale quanto segue: Dice di aver servito dodici anni S.M. e di continuare a servirlo. Disgraziatamente fu inquisito per avere ucciso in una rissa Giuseppe de Rubino, per cui è stato carcerato alcuni mesi. Ma essendosi potuto discolpare ed avendo ottenuto il perdono della parte offesa venne rimesso in libertà per ordine del Cappellano Maggiore e suo consultore. Dopo di che, avendo ripreso servizio nella Cappella, supplica S.E. perché voglia ordinare che dal giorno in cui riprese detto servizio gli venga acclarata la piazza che gli era stata borrada dal Cardinal Zapatta, e ciò dal momento che è stato prosciolto da ogni imputazione. Il Cappellano Maggiore, richiesto del (pag. 73) suo parere conferma che il Grillo ha servito molto lodevolmente per lo spazio di dodici anni e che avendo commesso un homicidio casual in persona d’uno sbirro, fu proceduto contro di lui, ma essendosi egli pienamente giustificato ed avendo ottenuto anche il perdono della parte offesa, fu nella sentenza, ritenuto yrregular, e condannato a servire per un certo tempo nel coro d’una chiesa che gli fosse stata indicata. Per tanto il Cardinal Zapata ordinò che gli fosse apuntada la piazza che godeva di 33 scudi al mese dal giorno in cui commise il delitto. Il Grillo, dopo di ciò, ricorse a Sua Santità, ed ottenne amplissima dispensa per la detta yrregularidad. Il Cappellano Maggiore fa notare che è “una de las mejores vozes de tiple que ay en Italia” e che è assolutamente necessario in Cappella ove non c’è che Mathias (Lorenzo) e due ragazzi che lo aiutano, di cui uno già muta voce, per cui è stato giocoforza permettere al detto Grillo di assistere in questi giorni nella Cappella, ma senza soldo. Risulta anche che quantunque egli sia stato premurosamente sollecitato da Roma per prendere servizio nella Cappella di Sua Santità, pure ha preferito di rientrare in questa Real Cappella, con la speranza di ottenere la grazia da S.E. Il Viceré Duca d’Alba ordina che il (pag. 74) Veggiano sia rimesso nella piazza che prima godeva, con gli arretrati dal giorno in cui riprese servizio. Mand. 130 pag. 14 (13 gennaio 1623) Teseo D’Amato, contralto della Real Cappella espone in un memoriale: “come sono 16 anni che ha servito e serve con ogni puntualità col soldo di 18 ducati il
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
mese, e che detto soldo è molto poco rispetto al servizio e voce che tiene, e per esserci in detta Cappella una piazza di 33 ducati col medesimo carrico e servizio, e perché la voce del supplicante è della medesima carata delle voci che godono il soldo di 33 ducati, per tutto questo supplica V.E. restar servito aumentarli la piazza conforme al merito del detto supplicante, essendo necessarissima la sua voce nella Real Cappella. Il Cappellano Maggiore attesta che il D’Amato serve in Cappella dal tempo sopraindicato “con muy gran puntualidad, y su voz es la mejor del Reyno, y mui diestro y necessario para el servicio de la Real Capilla”, e per tal ragione quando il Cardinal Zapata provvide al riordinamento della Cappella, gli concesse un aumento di 3 ducati, che poi non ebbe effetto, perché il relativo dispaccio mancava del marchio. È del parere di concedergli almeno il godimento di quei 3 ducati. (pag. 75) Il Viceré invece concede al D’Amato un aumento di 4 ducati al mese sui 18 che già gode, con decorrenza dal 20 aprile passato. Mand. 130 pag. 180 (17 maggio 1623) Cappellano, Sacristano Maggiore e Cantori della Real Cappella
Juan Battista Juañez Luca Antonio Lello
I Cappellani, Sacristano Maggiore e Musici della Real Cappella di Palazzo protestano in un memoriale diretto al Viceré, Duca d’Alba, il quale, a simiglianza dei suoi predecessori, ordina alla Scrivania di Razione di sospendere i pagamenti dei soldi concessi ed aumentati dai signori Viceré in conformità dei Capitoli contenuti nella lettera di S.M. dei 31 dicembre 1619. Supplicano quindi S.E. che “le se aclaren y pague” ciò che è loro dovuto, atteso che in tutti gli ordini di S.M. e dei Signori Viceré mai sono state comprese dette piazze, come fu anche riconosciuto e dichiarato dal Conte di Lemos e dai signori Cardinali Borgia e Zapata. “Por lo que toca a la de los Musicos se halla que en el año 1556 eran doze que servian y con 4 docati de soldo el mes, los quales se pagavan en la Infanteria duera del numero y despues con mandados de 30 octobre y 5 de noviembre del dicho año se ordenò se passasen a pagar (pag. 76) por la Thesoreria General y importarre la paga de las dichas plazas docati 52, tarì 4 el mes. Al presente los Musicos que sierven son hasta el numero de 32 por quanto se han ydo siempre aumentando por los antecessores de V.E. los sueldos y personas, y importa la dicha paga docati 412.4, donde van inclusos 25 docati que se pagan a Juan Battista Juañez y Luca Antonio Lello de orden de S.M.”. Per quanto riguarda i Cappellani, Sacristano Maggiore, Aiutanti e Chierici, si fa noto che prima del 1586 il Sacristano Maggiore e cinque Cappellani, quanti erano allora, avevano assegnati nella Infanteria un soldo di 4 ducati al mese; che poi furono aumentati altri 3 cappellani, in virtù del mandato dei 23 novembre 1586 col medesimo soldo, e a tutti, con mandato dei 13 gennaio 1606 furono aumentati altri 2 ducati e dal Cardinal Zapatta, con mandati di 26 agosto e 12 settembre 1621 portati a ducati 6 e tarì 3, che la piazza del Chierico è stata sempre di ducati 3. Che al Sacristano Maggiore dal 1587 al 1606 fu accresciuto il soldo fino alla somma di ducati 10, i quali presentemente sono stati apuntados insieme con quelli dei Cappellani, Diacono e Cantori (pag. 77) della Real Cappella. Quando il Cardinal Zapata ordinò di aclarar dette piazze che stavano parimenti apuntados con mandato del 30 gennaio, considerando le cause che avevano mosso i suoi predecessori ad aumentare dette piazze e soldi, la convenienza che richiedeva il Culto Divino e il decoro della detta Cappella, e che conseguentemente era da ritenersi essere volontà di S.M. di conservare dette piazze e soldi, dispose che dette piazze non dovevano essere comprese negli ordini di S.M. circa l’estinzione dei soldi concessi ed aumentati dai signori Viceré né nei suoi del 17 dicembre 1620. Presentemente essendosi dalla Scrivania di Razione nuovamente apuntados le sudette piazze per l’ordine di V.E. dei 7 aprile scorso, circa la estinzione delle dette piazze, in esecuzione dei Capitoli della lettera di S.M. dei 31 dicembre 1619, che V.E. vuole siano osservati senza eccezione alcuna, sembra non doversi comprendere tali piazze in detti ordini. Il Viceré considerando che tutte le dette piazze che al presente servono nella Real Cappella, così di Sacristano Maggiore e Cappellani, come “des musicos
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de voz y instrumentos” son necessarie, e che non si può dar loro soldi inferiori a quelli (pag. 78) che presentemente godono, e che sono stati fissati dal Cardinal Zapata nella riforma che fece ultimamente in detta Real Cappella “se le aclaren las plazas” e le si continui il pagamento del salario dal dì che venne loro sospeso. Mand. 131 pag. 163 (26 giugno 1623) Spese pel Regio Parco
Simone Raniero
Bartolomeo Russo
Fra gli altri salari che sono stati apuntados in virtù dell’ordine generale dei 7 aprile scorso relativo alla estinzione dei soldi concessi dai signori Viceré, in esecuzione dei capitoli della lettera di S.M. dei 31 dicembre 1619, sono anche quelli del giardiniere del Parco di Palazzo, del Relogero, delle spese per vitto e vestiti agli schiavi, della spesa dell’olio per la lampada del Corpo di Guardia e altre spese minute. Con un memoriale a S.E. l’Alcayde Juan Picon supplica che “la se aclaren” delle spese e che continuino come nel passato, e fa osservare che essendo stati tali soldi apuntados dal Conte di Lemos il 2 gennaio 1611 e dai signori Cardinali Borgia e Zapata il 28 luglio e 17 dicembre 1620, questi avendo poi riconosciuta la necessità di mantenerli, ordinarono di aclararle non ostante tutti gli ordini in contrario. (pag. 79) Naturalmente anche il Duca, ordina che si continui il pagamento di dette spese e salari dall’epoca che vennero apuntados. Mand. 130 (3 luglio 1623) 1624 Filippo IV spedisce al suo Viceré la seguente lettera: “El Rey illustrissimo Duca d’Alba, nostro Viceré, Luogotenente e Capitan Generale”. Da parte di Simone Raniero mi è stato presentato un memoriale del tenor seguente: Simone Raniero dice come al tempo che il Conte di Lemos D. Ferdinando governò il Regno di Napoli, servì per lo spazio di quattro anni da musico nella Real Cappella di quella città senza soldo alcuno, ma solamente con due ducati al mese che gli passava il Maestro di Cappella e vedendo che non gli veniva mai assegnata nessuna piazza, si licenziò da detta Cappella. Però nell’anno 1609 venne nuovamente chiamato in essa per la necessità che c’era della sua persona per la voce e per la musica, nel tempo che il supplicante aveva molti buoni partiti e guadagnava molto di più nelle (pag. 80) feste delle Chiese di Napoli per la sua grande abilità; fu quindi obbligato a lasciare ogni cosa e venne assentato nella piazza di 5 ducati al mese in detta Cappella e nel 1611 il Conte di Lemos gliela confermò nel mandato generale che spedì con consulta ed ordine di V.M. nel quale ordinava che si fossero estinte le piazze dei musici che erano in Cappella per morte e non per altra maniera fino a ridursi al numero di 16, e nello stesso tempo, perché il supplicante dava grande soddisfazione, gli fu concesso un aumento di due ducati al mese oltre i 5 che già godeva, e detti 2 ducati gli furono pagati sulla piazza che era di Bartolomeo Russo cantore di detta Cappella, col quale soldo continuò a prestar servizio fino al 4 maggio 1621, allorché il Cardinal Zapata operò una riforma in detta Cappella contrariamente allo spirito della Consulta ed ordine di V.M., e lo escluse, quando il supplicante sperava di ricevere miglior guiderdone, e per aver servito sedici anni, e per la sua abilità confermata “por los libros que ha imprimido y por cartas de paga de diferentes Iglesias de aquella Ciudad” dalle quali appare Maestro di Cappella di esse. Ora, essendo prerogativa di V.M. (pag. 81) rimunerare coloro che la servono, per salvaguardia della reputazione del supplicante che è anche casado con moglie e figli e i vecchi genitori a suo carico, supplica V.M. a compiacersi ordinare che gli venga aclarada la piazza di musico che prima godeva in detta Real Cappella, considerando che la riforma del Cardinal Zapata fu fatta contro gli ordini di V.M. che voleva che le piazze dei Musici e dei Cappellani si fossero estinte per morte e non per altra causa fino a ridursi al numero di 16 musici e 9 cappellani, in tutto 25 persone. Visto quanto il supplicante espone nel suo memoriale, vi incarichiamo di provvedere acché il supplicante non si riformi, né perda il soldo, tenuto conto della
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
sua voce e dei molti anni di servizio prestato nella Real Cappella. Chè io tengo per bene di concedergli per grazia che goda del soldo che prima godeva nonostante che la sua piazza sia stata riformata e borrada. Madrid 4 ottobre 1623 In esito di che, il Viceré ordina che a Simone Raniero se le aclare la sua piazza di Musico sirviendo e residiendo como es obligado, pagandosele lo corrido d’ella como de lo que adelante. Mand. 132 pag. 135 (22 maggio 1624) Pag. 82 Benedetto Bocca
Il Re rimette al Viceré un’altra lettera in cui è trascritto il seguente memoriale: Benedetto Bocca ha servito V.M. molti anni da Musico della Real Cappella di Napoli con grande soddisfazione fino allo scorso 1621 allorché il Cardinal Zapata nella riforma che fece in quella cappella lo mise fuori, e ciò fece contro l’ordine di V.M. che voleva che solo per morte si fossero estinte le piazze dei Musici e dei Cappellani fino a ridursi al numero di 25, altrimenti si sarebbero trovati, senza alcuna ragione, poveri e privi di tutto, nella loro vecchiezza, quando si ha bisogno di una maggiore rimunerazione. Supplica perciò V.M. perché voglia restituirlo nella piazza di 10 ducati al mese che godeva in detta Cappella come musico, nonostante che il Cardinal Zapata gliela avesse riformata e borrada, con pagamento del soldo dal giorno di detta riforma e, tenendo considerazione della vecchiezza di lui, possa goderla per tutta la vita, servendo con ogni soddisfazione. Visto quanto il supplicante espone nel suo memoriale, vi incarichiamo di provvedere acché il supplicante non si riformi, né perda il soldo, tenuto conto della sua vecchiezza e del tempo che servì nella mia Real Cappella, ché io tengo per bene di concedergli per grazia che goda (pag. 83) del soldo assegnato alla sua piazza, servendola come prima. Madrid 31 dicembre 1623 In esito di che, il Viceré ordina che a Benedetto Bocca se le aclare su plaza de musico de la Real Capilla, como prima, serviendo y residiendo como es obligado, pagandosele lo corrido d’ella como de lo que adelante. Mand. 132 pag. 144 (1 aprile 1624)
Francesco Lambardi
È concessa a Francesco Lambardi, musico della Real Cappella una licenza di due mesi per recarsi a Nostra Signora di Loreto. Nell’assenza continua a decorrergli il soldo. Mand. 133 pag. 213 (1 maggio 1624)
Luca Antonio Lello
Sono presentate al Viceré le due relazioni seguenti. L’una è del Cappellano Maggiore e dice che da parte dei figli ed eredi di Luca Antonio Lello gli è stata fatta richiesta di poter ottenere quanto non fu riscosso in vita dal defunto. Riferisce il Cappellano come il Lello gli presentasse una cedola di S.M. per essere riammesso nella piazza di soprano che prima occupava nella Real Cappella col soldo di ducati 8 (pag. 84) al mese, accompagnata da un ordine del Cardinal Zapata, allora Viceré, perché si eseguisse detto mandato. Ma poiché lo stesso Cardinale gli aveva dato ordine a voce di non eseguire alcun mandato, prevenutogli in tale forma, per restituzione di piazze a musici da lui riformati, perché aveva intenzione di scrivere a Madrid significando che le sudette cedole venivano spedite in base a false relazioni, e ciò in pregiudizio della Regia Azienda per tal ragione esso Cappellano non pose in esecuzione detto mandato, né provvide a riammettere il Lello nella piazza, e quindi costui non potette riscuotere il soldo che gli sarebbe spettato. Ora che il sudetto è morto lasciando in estrema necessidad moglie e figli, questi supplicano perché si faccia loro grazia del soldo che gli corse mentre visse considerando che se non servì non fu per sua colpa ma per l’impedimento che gli fu imposto, e che finora non è venuto alcun ordine in contrario di S.M. A parere del Cappellano sarebbe una grandissima opera di carità e cosa molto giustificata che si pagasse ai superstiti quanto avrebbe dovuto il povero Lello riscuotere dopo (pag. 85) ottenuta la grazia della restituzione della piazza, tanto per porgere un soccorso alla miseria in cui si dibatte la famiglia. L’altra relazione dello Scrivano Maggiore di Razione dice:
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MAURIZIO REA
informo che fra gli altri musici della Real Cappella, riformati dal Cardinal Zapata nel 1621, fuvvi anche Luca Antonio Lello che godeva un soldo di 8 ducati e 3 tarì al mese. Ma costui avendo presentato ricorso a S.M., rappresentandogli gli anni che lo aveva servito e la necessidad in cui si trovava, ottenne, con Real Cedola del 17 agosto 1622, la grazia che gli venisse restituita la piazza ed il soldo e continuasse a servire in detta Real Cappella. Il Cardinal Zapata rimise a questo ufficio detta Cedola con un suo mandato in cui ordinava di aclarar la piazza al detto Lello. In virtù di tale ordine fu anche dispacciata la liberanza per pagamento degli arretrati, se non ché vi si oppose il Cappellano Maggiore ingiungendomi di sospendere ogni pagamento di mandato che riguardasse i musici riformati, in (pag. 86) attesa di ulteriori ordini di S.M. Ora, tenendo presente che le grazie del Re e dei Principi sono più da ampliarsi che da restringersi, e che già era stata data esecuzione al detto mandato, mi pare giusto che V.E. conceda il soldo che sarebbe spettato al Lello fino all’epoca della sua morte, alla bisognosa famiglia. Il Viceré ordina che agli eredi del Lello sia corrisposto ciò che sarebbe spettato al defunto fino all’epoca della sua morte. Mand. 134 pag. 8 (14 settembre 1624)
Don Pedro Giron
Pag. 87 Don Leonardo Villano
Don Francesco Damiano
Don Carlo Stroco Raymo de Bartolo Padre Raimo
1625 Delle due piazze che sono vacate nella Real Cappella per la morte del Musici Don Pedro Giron e del Cappellano Don Francesco Ruoppolo, i relativi soldi sono lasciati nelle mani del Tesoriere Generale perché si provveda con essi agli abbellimenti di detta Cappella che si faranno dietro ordine scritto del Cappellano Maggiore Don Alvaro di Toledo. Ciò a cominciare dal 1 Maggio scorso, attesoché le dette due piazze sono superflue in detta Cappella. Mand. 135 pag. 2 (10 agosto 1625 ) 1626 È assentato Don Leonardo Villano per voce di Basso nella Real Cappella col soldo di 10 ducati al mese sugli 11 che godeva per la voce di tenore don Pietro Giron con decorrenza dal 1 gennaio 1626. Mand. 137 pag. 28 (27 agosto 1626) È concesso un ducato di aumento a Don Francesco Damiano, voce di Basso nella Real Cappella sugli 11 che teneva Don Pietro Giron tenore di detta Cappella, con decorrenza dal 1 gennaio 1626. Mand. 137 pag. 10 (27 agosto 1626) 1627 Vacando una piazza di basso nella Real Cappella di 9 ducati al mese per morte di Don Carlo Stroco, detta piazza è assentata a Raymo de Bartolo, Cantore della stessa voce.
Erasmo di Bartolo Nato nel 1606 (20 anni) Ammesso ai Filippini il 16 aprile 1636 (dieci anni dopo) Morto di peste nel 1656
Mand. 138 pag. 21 (19 dicembre 1626)
Simone Ranieri
Simone Ranieri, musico della Real Cappella chiede che il soldo nuovamente concessogli per grazia di S.M. non capendo nella situazione della Real Cappella, venga collocato nella situazione degli entretenidos. È soddisfatto. Mand. 138 pag. 113 (26 aprile 1627)
Pag. 88 Andrea Palumbo
1628 Per l’avvenuta morte di Andrea Palumbo, tenore della Real Cappella, vacando 16 ducati mensili, dei quali 10 sono assegnati a Domenico Perez, nuovamente assentato per voce di tenore, 2 vengono accresciuti a Don Leonardo, basso, 2 a
Domenico Perez
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Don Leonardo Villano Giovanni Maria Trabaci Raymo de Bartolo Andrea Lambardi
Giovan Maria Trabaci, Maestro di Cappella, 1 a Raymo, basso, e 1 ad Andrea Lambardi, musico di detta Real Cappella.
Francesco Cafaro
Francesco Cafaro è nominato Tambur maggiore della Infanteria Napoletana con lo stesso soldo, gages, lucros, y emolumentos che godono gli altri Tambur maggiori del Real Esercito. Mand. 140 pag. 87 (9 luglio 1628)
Giuseppe Viggiano detto il Grillo
Poiché fu riformato all’epoca del Cardinal Zapata mentre trovavasi detenuto sotto la imputazione di omicidio ed essendo stato riammesso in seguito ad assoluzione, chiede che nei libri del Regio Officio venga cassato il titolo di riformato e si ponga invece l’annotazione: “sospeso dal soldo” pel tempo che non prestò servizio. Mand. 140 pag. 149 (26 novembre 1628)
Andrea Lambardi
Carlo de Mauro
Donato Coyra
Onofrio Gioyosa
Pag. 90 Francesco Falconio
Don Leonardo Villano
Don Francesco Damiano
Onofrio Gioiosa
Pag. 91 Riparazioni ed abbellimenti nella Real Cappella
Mand. 139 pag. 169 (16 maggio 1628)
1629 Riferisce il Cappellano Maggiore che per l’avvenuta morte del tenore Andrea Lambardi, vaca nella Real Cappella una piazza di 7 ducati al mese. Poiché vi è urgente bisogno d’un soprano, essendosi ora presentata l’occasione d’un ragazzo di 12 anni castrato (capon) “de muy linda voz” sarebbe opportuno ammetterlo in Cappella col soldo di 4 ducati al mese. Così anche Donato Coyra, castrato (capon) con voce di contralto, che esso Cappellano fece venire apposta da Venezia, ove serviva con maggior soldo, assegnandogli 14 ducati al mese, essendo de “los mejores musicos que ayen en Italia” potrebbe avere un aumento di due ducati, e l’altro ducato si potrebbe dare ad Onofrio Gioyosa, tenore sui dieci che già tiene, per essere ora aumentato di voce e diventato “un muy buen tenor”. Il Viceré, uniformandosi pienamente alla relazione del Cappellano Maggiore, ordina che venga assentato Carlo de Mauro per voce di soprano con 4 ducati al mese sui 7 che vacano per la morte del tenore Andrea Lambardi. Tre ducati si accrescono a Donato Coyra sui 14 che già gode come voce di contralto e l’altro ducato ad Onofrio Gioyosa, tenore. Mand. 140 pag. 236 (9 gennaio 1629)
Il Cappellano Maggiore informa che Francesco Falconio “es la mejor voz de baxo que hay agora en el Reyno” e supplica egregiamente Don Leonardo Villano, “que es el que se fue a Roma”. Perciò sarebbe conveniente assentarlo nella piazza e nel soldo che godeva il Don Leonardo. Il Viceré assenta il Falconio nella piazza del basso Villano con gli stessi 10 ducati al mese. Mand. 142 pag. 237 (5 agosto 1629) Il Cappellano maggiore informa che il Duca d’Alba concesse a Don Francesco Damiano e ad Onofrio Gioiosa 2 ducati di aumento al mese sulla piazza di Don Leonardo Villano, basso della Real Cappella che vacavano per l’assenza di costui. Tale aumento non è stato ancora pagato ai due cantori. Il Viceré Duca d’Alcalà ordina che sia dato subito corso al precedente mandato, assegnando ai due su nominati un ducato per ciascuno. Mand. 145 pag. 43 (28 settembre 1629) 1627 Si spendono 60 ducati per riparazione della vetrata, astrico e pareti della Real Cappella. Mand. 141 (12 ottobre 1627) Mastro Francesco chiede 63 ducati per aver limpiato lo stucco nella Real Cappella.
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MAURIZIO REA
Mand. 176 (9 novembre 1627)
Domenico Perez Pietro Palumbo
1629 Il Cappellano propone di assegnare a Domenico Perez capon (castrato) di voce contralto un aumento di 4 ducati al mese più 2 carlini che godeva Pietro Palumbo e che gli si tolsero per aver mutato voce. Il Viceré approva. Mand. 142 (19 maggio 1629)
Finisce il governo del Duca d’Alba e comincia quello del Duca d’Alcalà Cappella del Corpo di Guardia del Real Palazzo
Antonio de Luna, che ha carico della Cappella del Corpo di Guardia di Palazzo, espone a S.E. che le messe che ivi si celebrarono pei defunti, furono dette con la pianeta di colore per mancanza di una nera, perché quella che vi era è indecente, e che occorre anche mettere un vetro ad una finestra di detta Cappella. Mand. 143 pag. 23 (settembre 1629)
Pag. 92 Francesco Falconio
1630 “Francesco Falconio, basso della Real Cappella di Palazzo, dice a V.E. che serve d’ordine del Cappellano Maggiore in loco di Don Lonardo Villano suo predecessore dal 1 de giugno 1629 et havendoli perciò S.E. il signor Duca d’Alba spedito mandato per assentarseli detta piazza dalli 15 de agosto 1629, essendo andato alla Real Scrivania di Razione con detto mandato per liberarsi il detto soldo dal 1 de giugno che cominciò a servire, have ricusato liberarli per tutto detto tempo, atteso nel mandato non si fa mentione d’haverseli liberare tutto quel tempo che costerà per fede del Cappellano Maggiore haver servito, ma dalli 15 di agosto ch’è la data di detto mandato. Perciò supplica V.E. vogli farli gratia che da quando costerà al Cappellano Maggiore haver incominciato a servir li habbia da correre detto soldo, senza impedimento nissuno, che lo riceverà a gratia”. Il Viceré ordina che il mandato abbia la decorrenza dal 1 giugno 1629. Mand. 144 pag. 244 (26 aprile 1630)
Pag. 93 Pietr’Aniello Guarino
Giuseppe Veggiano Grillo
“Pietro Aniello Guarino, organista della Real Cappella, dice a V.E. come per 12 anni ha sempre assiduamente servito e benché habbia avuto occasione di maggior salario in altra parte, non ha lasciato il real servizio, e perché non tiene se non 8 ducati al mese di salario con che non si può sostentare, supplica V.E. li voglia far gratia di alcun aumento a detto suo soldo, acciò possa fidelmente servire”. Il Cappellano Maggiore riferisce che il supplicante ha servito con mucha satisfacion los años que refiera y es muy diestro a su officio, e che nonostante abbia trovato altrove un maggior guadagno, pure non ha voluto lasciare il servizio di S.M. Il Viceré dispone che dei 33 ducati che vacano della piazza di Giuseppe Veggiano Grillo per sua morte, se ne diano 2 al detto Pietro Aniello sugli 8 che già gode. Mand. 146 pag. 175 (30 ottobre 1630)
Carlo De Mauro
Carlo de Mauro, capon tiple, della Real Cappella supplica per un aumento di salario. Il Cappellano Maggiore informa che il supplicante serve da due anni nella Real Cappella da soprano e per esser muchacho y capon y de muy buenas esperiencias es muy necessario in Cappella e che fu assentato con solo 4 (pag. 94) ducati para poder hazer esperiencia, ora che si è dimostrato un ottimo elemento gli si potrebbe accordare un aumento di 2 ducati. Il Viceré concede tale aumento. Mand. 146 pag. 204 (5 novembre 1630)
Simone Ranieri
A Simone Ranieri, musico della Real Cappella, è confirmato il pagamento del salario restituitogli per grazia di S.M.
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Mand. 147 pag. 84 (25 agosto 1630) Giovan Battista Enrico Don Bartolomeo de Barolomeis
Onofrio Guerra Musico della Regina d’Ungheria
Vacando per morte di Giovan Battista Enrico, tenore della Real Cappella, una piazza di 10 ducati e occorrendo provvederla in persona atta a detta professione, è assentata a Don Bartolomeo de Bartolomeis, tenore, con gli stessi 10 ducati con decorrenza dal 15 settembre corrente anno. Mand. 147 (9 novembre 1630) Donato Antonio Nardullo cede una camera di sua casa ad Onofrio Guerra, musico della signora Regina de Ungaria, dal 30 agosto al 18 dicembre 1630. Mand. 148 pag. 101
Pag. 95 Francesco Falconio
1631 Il Cappellano Maggiore informa che Francesco Falconio, Basso della Real Cappella, tiene la mejor voz que hay en Napoles y sirve con mucha puntualidad, e non ha più di 10 ducati al mese perché gliene furono dati 2 in meno quando occupò la piazza vacata per l’assenza di Don Leonardo Villano che ne godeva 12. Potrebbe ora S.E. degnarsi di concedergli 2 ducati di aumento sulla piazza di 33 ducati appartenuta a Giuseppe Grillo. Il Viceré concede i 2 ducati di aumento. Mand. 149 pag. 2 (31 gennaio 1631)
Giovanni Romano
Il Cappellano Maggiore informa che Giovanni Romano, musico della Real Cappella serve in essa da 18 anni con molta puntualità, avendo a suo carico moglie e figli, e che nella riforma operata dal Cardinal Zapata gli vennero tolti cinque ducati per cui ora ne prende 9 soltanto. Potrebbe S.E. accordargli l’aumento di un ducato sui 33 che godeva Giuseppe Grillo. Il Viceré concede un ducato di aumento. Mand. 149 pag. 97 (6 febbraio 1631)
Pag. 96 Raymo de Bartolo
Il Cappellano Maggiore informa che Raymo de Bartolo, basso della Real Cappella serve già da quattro anni con molta puntualità ed è un buon musico, ed anche che è povero e tiene a suo carico madre e sorelle per cui lo propone per un aumento di due ducati sui 33 della piazza che godeva Giuseppe Veggiano. Il Viceré accorda tale aumento. Mand. 148 pag. 14 (8 febbraio 1631)
Qui finisce il governo del Duca d’Alcalà e comincia quello del Conte di Monterey
Gregorio Francia
1632 Gregorio Francia dice che fra gli altri Cantori riformati dal Cardinal Zapata fu anche lui e supplica, atteso che “es un pobre viejo de 60 años”, che il Viceré voglia ottenergli da S.M. la grazia di farlo reintegrare nella piazza e nel soldo. Il Cappellano Maggiore attesta “avere il supplicante servito molti anni nella Real Cappella in sonare il violino et è molto dabene et honorato e molto virtuoso nel suo esercitio. Il Marchese di san Giuliano, luogotenente della Real Camera, richiesto del suo parere, riferisce che “stante la buona opinione che corre delle parti e necessità del supplicante, la tarda età di lui, che anche dall’aspetto (pag. 97) si vede la sua vecchiezza, potrebbe S.E. fargli la carità di ottenere da S.M. la grazia vita durante, che non sarà lunga. Per tali ragioni il Viceré ordina che gli si aclari la piazza di musico di violino della Real Cappella che gli fu tolta nella riforma fatta dal Cardinal Zapata nel 1622 e che gli corra il soldo dal giorno di detta acclarazione in poi. (23 gennaio 1632) All’esecuzione di tale mandato la Scrivania di Razione muove le seguenti obiezioni. 1°. Osta la Real lettera dei 19 giugno 1625 con la quale S.M. disponeva che ai musici della Real Cappella non dovessero concedersi stipendi superiori ai 200
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MAURIZIO REA
ducati all’anno, mentre il supplicante ne percepiva 247 a ragione di 20 ducati e 3 tarì al mese. 2°. Osta la Real lettera con la quale S.M. disponeva che i detti musici sia di voce che di strumenti non superino il numero di 27 compreso il maestro, mentre tale numero è stato sorpassato, giungendo essi oggi al numero di 32. 3°. Acclarando detta piazza, il Francia verrebbe ad essere un soprannumerario (pag. 98), ed allora trattandosi di uno stipendio creato dai signori Viceré, osta il Capitolo 3 della lettera di S.M. dei 31 dicembre 1629. 4° e ultimo. Dovendosi di tale spesa dar conto a S.M., bisogna attendere la Real conferma negli otto mesi oppure dovrebbe il Francia dar fidanza di restituire ciò che gli si pagherà non giungendo tale conferma. Il Viceré ordina che nonostante tutto il supplicante sia restituito nel posto e nello stipendio senza obbligarlo a dar fidanza di restituire le somme riscosse se il Re non approva. Mand. 150 pag. 22 (8 maggio 1632) Simone Ranieri
Pag. 100 Giovan Antonio Corrado (+ 6 gennaio 1632)
Francesco Antonio de Angelo Pietro Palumbo
Juan Battista Juañez (+ maggio 1632)
Donato Coja Onofrio Gioyosa Francesco Falconio Don Francesco Damiano Raymo de Bartolo
Pietro Palumbo
Simone Raniero, musico della Real Cappella dice che nell’anno 1605 fu assentato nella piazza di 15 ducati al mese e nel 1611 il signor Conte di Lemos lo confermò nella piazza col mandato generale che fece con consulta ed ordine di S.M., col quale mandato ordinava che si fossero estinte le piazze dei Cantori e dei Musici di detta cappella per morte e non per altra ragione fino a ridursi al numero di 16, ed in quel tempo, per la gran soddisfazione che il supplicante (pag. 99) dava, gli furono accresciuti altri due ducati al mese dalla piazza che godeva Bartolomeo Russo, cantore di detta Cappella, col quale soldo continuò il real servizio fino al 4 maggio 1621, allorché il Cardinal Zapata, nella riforma generale che fece, lo riformò, per cui ricorse a S.M. che con sua lettera da Madrid del 4 dicembre 1623 gli concesse la grazia di restituirlo nella piazza e nello stipendio, avendo riguardo alla sua vecchiezza ed al lungo servizio prestato. In virtù di tale lettera la scrivania di Razione ha acclarato solamente i 15 ducati al mese e non i 2 ducati che gli si pagavano sulla piazza del Russo, adducendo di non averne notizia certa. Tali 2 ducati gli eran pagati con ordine del Cappellano Maggiore come fa constatare alligando diverse partite di banco riscosse a tutto aprile 1621, quando fu riformata la piazza del detto Bartolomeo Russo. Per tanto supplica S.E. di disporre il pagamento di quei 2 ducati. Il Viceré lo accontenta. Mand. 150 pag. 8 (16 febbraio 1632)
Il Cappellano Maggiore Don Giovanni di Salamanca propone che la piazza di violino vacante per la morte di Giovan Antonio Corrado sia assentata a Francesco Antonio De Angelo, col medesimo soldo che godeva il defunto e con decorrenza dal 1° marzo, cioè da quando presta servizio, e che dal 6 gennaio a tutto febbraio il soldo sia pagato a Pietro Palumbo che la servì nell’interim. Il Viceré provvede in tali sensi. Mand. 152 pag. 8 (22 aprile 1632) Dei 17 ducati e 3 tarì che godeva il defunto Juan Battista Juañez, 10 ducati si ripartiscono come segue fra i seguenti cantori in più dei loro rispettivi soldi. Donato Coja 2 ducati Onofrio Gioyosa 2 ducati Francesco Falconio 2 ducati Don Francesco Damiano 1 ducato Raymo de Bartolo 1 ducato Mand. 151 pag. 49 (12 maggio 1632) Si pagano a Pietro Palumbo, musico della Real Cappella i due mesi che serve in qualità di violino per morte di Giovan Antonio Corrado, oltre al soldo ordinario di 3 ducati al mese che percepisce per la piazza di tenore. Mand. 151 (22 ottobre 1632)
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Raymo de Bartolo
Gregorio Francia
Pag. 103 Giovanni Caccini
Aniello Finamore
Gregorio Francia
Raymo de Bartolo, musico contrabasso della Real Cappella supplica S.E. per ottenere un aumento di un ducato al mese sui 13 che già gode, atteso che gli altri contrabassi della Real Cappella ne hanno 14. Il Cappellano Maggiore attesta che il supplicante “es contrabaxo de la Real Capilla y de los mejores musicos d’ella, sirve en la Camera de V.E. en el “Concierto Italiano” y ha muchos años que lo haze en la Capilla Real con mucha puntualidad sin hazer jamas falta, es hombre virtuoso y de vida exemplar y que sostenta muchas sobrines, los quales solamente dependen d’el”. Gli altri musici della stessa voce hanno 14 ducati al mese, ed il supplicante, benché non sia inferiore agli altri, ne prende 13. Perciò propone che gli venga assentato un ducato sui 6 che ancora (pag. 102) vacano sulla piazza del defunto Juan Battista Juañez. Il Viceré, di buon grado, gli assegna l’aumento di un ducato. Mand. 152 pag. 209 (17 novembre 1632) 1633 “Gregorio Francia, musico della Real Cappella, supplicando dice come se l’ha spedito mandato perché se l’aclarasse la piazza di detta Cappella, et se li pagasse nel medesimo arrendamento, donde si pagano l’altri musici di detta Real Cappella fora de la situatione in virtù de lo quale mandato a 23 de agosto passato si è spedita liberanza di ducati 45.1.12 et a 26 detto altra di ducati 41 dirette alla Thesoreria Generale, le quali dovevano andare dirette alli Arrendamenti di Provincia Citra d’Evoli in qua dove si paga Simone Raniero, musico di detta Cappella et fora di detta situatione. Supplica perciò a V.E. sia servita di un supplemento di mandato con ordinare che tanto questo liberato, quanto quello che se li ha liberato de la detta sua piazza se li paghi per detto arrendamento”. Mand. 151 pag. 201 (2 dicembre 1632)
I 5 ducati e 2 tarì che ancora vacano sulla piazza di Juan Battista Juañez sono assentati a Giovanni Caccini, musico d’arpa, perché serva nella Real Cappella. Mand. 155 pag. 7 (15 maggio 1633) Angelo (sic) Finamore chiede che i 7 ducati accordatigli da S.E. per le lezioni che impartisce ai Paggi gli siano pagati nella Real Cappella come gli altri violini, attesoché partecipa insieme con essi a tutti i Festini di Palazzo. Il Cappellano Maggiore riferisce che il supplicante suona sempre con gli altri violini della Real Cappella in tutti i Festini che hanno luogo in Palazzo, ed è di grande necessità per essere assai abile suonatore di bayles (balli), per cui merita che gli si faccia grazia, e poiché nelle diverse vacanze di musici, per trascuraggine, si è tralasciato di assentare 4 o 5 ducati mensili, sarebbe di parere S.E. ne assenti 3 al supplicante con l’obbligo di suonare a tutti i Festini. Questo non sarebbe un soldo creato da S.E. e quindi non (pag. 104) in contraddizione con gli ordini di S.M. Il Viceré ordina di assentare 3 ducati di quelli che vacano secondo afferma il Cappellano Maggiore ad Aniello Finamore perché serva nella Real Cappella da Violino, con l’obbligo di partecipare a tutti i Festini. Mand. 155 pag. 35 (6 maggio 1633) 1634 Il Viceré ordina che al musico Gregorio Francia sia continuato il pagamento del soldo per altri 6 mesi nell’attesa che venga la conferma di S.M. Mand. 157 pag. 12 (14 gennaio 1634)
Simone Ranieri
A Simone Ranieri si confirma il pagamento del soldo nella stessa situazione in cui lo ha finora riscosso. Mand. 157 pag. 92 (12 aprile 1634)
Gregorio Francia
È prorogata di altri 6 mesi il termine concesso a Gregorio Francia per attendere la conferma di S.M. Mand. 159 pag. 89 (22 maggio 1634)
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MAURIZIO REA
Mattia d’Elia
Pag. 105 Cappellano Maggiore
Orazio Riola + Giovanni Maria Trabaci
Francesco Lambardi
Giacinto Lambardi
1635 Mattia d’Elia è nominato Tambur Maggiore del 3° del Maestro di Campo Don Gaspar de Azevedo. Mand. 158 pag. 116 (17 aprile 1635)
S.M. con Real Privilegio da Madrid a 20 settembre 1635, provvede nella persona di Don Giovanni di Salamanca la piazza di Cappellano Maggiore di questo regno, che già serviva nell’interim per morte di Don Alvaro di Toledo. Mand. 162 pag. 121 1636 Per morte di Orazio Riola, musico contralto della Real Cappella vacano 19 ducati che godeva al mese, 5 dei quali sono dati in aumento al Maestro di Cappella, Giovanni Maria Trabaci. Mand. 161 pag. 156 (14 marzo 1636) Per la sua malferma salute, Francesco Lambardi, organista della Real Cappella, non può accudire a detto ufficio, come è obbligato. Per cui S.E. dispone che al fratello di lui Giacinto Lambardi sia assentata dal 1 gennaio la piazza d’organista di detta Cappella con 6 ducati al mese presi dallo stesso soldo che gode il detto Francesco. Mand. 162 pag. 164 (4 marzo 1636)
Pag. 106
Francesco Falconio Onofrio Gioyosa Carlo Mattia de Fonzo Don Donato Coya Don Giovanni Castelvi
Francesco Lambardi
Giacinto Lambardi
Gregorio Francia
Don Raymo de Bartolo
Gabriele Ansalone Antonio Pullino
Sui 19 ducati che godeva al mese il defunto cantore Orazio Riola, sono concessi i seguenti aumenti. A Francesco Falconio, Basso, ducati 2 Ad Onofrio Gioyosa, Tenore, ducati 2 A Carlo Mathia de Fonzo, ducati 2 A Don Donato Coya, Contralto, ducati 2 A Don Giovanni de Castelvi, Bassone, ducati 2 Mand. 162 pag. 139 (15 maggio 1636) Riferisce il Cappellano Maggiore che nei giorni scorsi avvisò S.E. della malferma salute dell’organista della Real Cappella Francesco Lambardi, per cui fu deciso che dei 30 ducati e 2 tarì che questi gode ogni mese, 6 ducati mensili fossero assentati al fratello Giacinto, perché aiutasse il fratello nel detto ufficio. Essendosi dispacciato il relativo mandato, la scrivania di razione muove difficoltà nel continuare il pagamento dei restanti 24 ducati e 2 tarì al detto Francesco. Il quale continua a servire la sua piazza come per il passato, ed il fratello Giacinto è stato assentato nella qualità di aiutante organista. Per cui occorre che S.E. emetta nuovo mandato per chiarire la (pag. 107) vera situazione. S.E. dispone che a Giacinto Lambardi siano assentati 6 ducati sul soldo che riscuote ogni mese il fratello Francesco al quale dovranno essere pagati i restanti 24 ducati e 2 tarì. Mand. 161 pag. 241 (22 luglio 1636) 1637 S.M. con una Real Cedola del 25 luglio 1636, ordina di non riformare la piazza di musico di Gregorio Francia e di corrispondergli il soldo che prima godeva. Mand. 163 pag. 54 (8 aprile 1637) Essendo vacata la piazza di Basso della Real Cappella che serviva Don Raymo de Bartolo con 14 ducati al mese por haverse hecho Gelormin, detto soldo si assenta e ripartisce nella seguente maniera: Ducati 7 ½ a Gabriele Ansalone, Basso Ducati 6 ½ a Antonio Pullino, Basso
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Mand. 164 pag. 54 (9 gennaio 1637) Pag. 108 Giovanni Caccini
Bartolomeo Ansalone +
Essendo stata borrada la piazza di musico d’arpa, assentata a Giovanni Caccini, che non assiste a servirla, vacano i 5 ducati e 2 tarì che godeva al mese, come pure vacano per morte di Bartolomeo Ansalone 6 ducati mensile che insieme fanno 11 ducati e 2 tarì, i quali si assentano nella maniera seguente:
Giuseppe Boccia Francesco Ferraro Francesco Antonio D’Angelo
Ducati 5 a Giuseppe Boccia e Ducati 5 a Francesco Ferraro, per suonatori di Cornetto Ducati 1 e 2 tarì a Francesco Antonio D’Angelo (Violino) Mand. 164 pag. 54 (9 gennaio 1637)
Musici della Real Cappella
Simone Ranieri
La Scrivania di Razione muove le solite difficoltà pel pagamento dei Musici della Real Cappella, attenendosi strettamente alle disposizioni contenute in un’ultima lettera di S.M. Il Viceré richiede il parere del Cappellano Maggiore, il quale, vista una copia della Riforma operata dal Cardinal Zapata e tutte le carte che si riferiscono alla tanto dibattuta quistione, così riferisce: “Dico a V.E. che la Scrivania di Razione non ha fatto altro che presentare a V.E. un capitolo della lettera di S.M. con cui fu ordinata tale riforma del 1621. S.M. disponeva che i musici non fossero in numero maggiore di 27 incluso il Maestro (pag. 109) di Cappella, che a ventitré di essi fosse dato uno stipendio non superiore ai 200 ducati (riservando al Cardinal Zapata, allora Viceré ed ai suoi successori la ripartizione di detti stipendi) ed a tre musici di maggior merito ed al Maestro di Cappella si fossero dati 300 ducati per ciascuno, in modo che la somma stabilita da S.M. pel pagamento dei Musici della Real Cappella (contando ventitré persone a 200 ducati, e altre quattro a 300 ducati) fosse di 5800 ducati all’anno. Il Cardinal Zapata stimò opportuno di non ripartire detta somma per tutta la vita di ciascun musico, ma fece in modo tale che la spesa mensile fosse di ducati 375. Ai quali aggiunti altri ducati 52 concessi dopo e altri ducati 44 acclarati da S.M. costituirono una spesa mensile di ducati 474.2.10, che fanno ducati 5694 all’anno. Questo ai tempi del Cardinal Zapata. Attualmente invece la spesa è appena di 444 ducati al mese, (che fanno ducati 5282 all’anno) cioè 412 ducati in meno all’anno di quanto si pagava al tempo del detto Cardinal Zapata, e in tutto il tempo che V.E. ha governato felicemente non sono stati concessi nuovi stipendi a musici, anzi, sono stati ripartiti 518 ducati in meno (pag. 110) di quanto si sarebbe potuto in virtù della Regia lettera. Questo in quanto alla spesa. In quanto al numero poi di detti musici, che non dovrebbero essere più di 27, la Scrivania di Razione non trova altro a dire se non che ciò contravviene agli ordini di S.M. A tal proposito faccio osservare che quando non si eccede nella somma stabilita, i signori Viceré sono liberi di potere ripartire i soldi come meglio loro pare, conforme ai meriti di ciascuno, e che 40 musici conferiscono alla Real Cappella ben altro decoro e splendore che non 27. Faccio inoltre notare che nella somma sopra indicata è anche incluso il soldo di Simone Ranieri. Accogliendo pienamente tali criteri il Viceré dispone che ai musici e cantori della Real Cappella sia continuato il pagamento dei loro soldi nonostante le difficoltà sollevate dalla Scrivania di Razione a causa delle disposizioni contenute nella Regia lettera, a patto però che diano fidanza di aspettare nell’anno la conferma di S.M. e così anche a Simone Ranieri circa l’aumento concessogli di 2 scudi. Mand. 165 pag. 237 (10 novembre 1637)
Pag. 111 Qui finisce il governo del Conte di Monterey e comincia quello del Duca di Medina 1638
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MAURIZIO REA
Musici della Real Cappella
Tommaso Palmieri + Teseo D’Amato + Iacopo Aniello Sasso + Gian Domenico Senese + Antonio Pelino + Lucio Opici + Don Domenico Perez Pietro Coppola
“Li Musici della Real Cappella de Palazzo supplicando dicono a V.E. come per le difficultà poste dalla Scrivania di Razione alli loro soldi et aumenti, V.E. restò servita ordinare confirmatione di quello che ordinò il signor Conte di Monterey, che se li liberassero li loro soldi nonostante le dette difficultà, con che dentro de un anno se procurasse la declaratione et confirma di S.M., a chi V.E. con lettera particolare li fé relatione del tutto et perché per lo largo negotiare della Corte non si ha possuto avere ancora avviso, et detto anno concesso sta per spirare, supplicano V.E. prorogargli detto tempo per un altro anno dippiù, offrendo di nuovo dare pleggeria di quello che si libererà per detto altro anno dippiù, conforme si è data per lo passato e lo riceveranno a gratia ut Deus”. Mand. 166 pag. 212 (20 settembre 1638) 1639 I 96 ducati e 1 reale al mese che vacano nella Real Cappella per morte di Tommaso Palmieri, Teseo D’Amato, iacopo Aniello Sasso, Gian Domenico Senese, Antonio Pelino, Lucio Opici e per l’allontanamento di Don Domenico Perez e Pietro Coppola, sono ripartiti nel modo seguente:
Pag. 112 Andrea Falconiero Ciccillo de Nicolellis Carluccio Benestante Nicola Rosa Geronimo Scotti Carlo Merolla Aniello Finamore
Pag. 112 Ad Andrea Falconiero per musico di tiorba, ducati 16 al mese A Ciccillo de Nicolellis per soprano ducati 14 A Carluccio Benestante per soprano ducati 14 A Nicola Rosa alias “il Gaetano” per tenore, ducati 10 A Geronimo Scotti per contralto ducati 6 A Carlo Merolla per violino ducati 5 A Aniello Finamore per violino ducati 4 I restanti 20 ducati vengono così ripartiti in accrescimento dei soldi dei seguenti cantori:
D. Donato Coja D. Onofrio Gioyosa Francesco Falconio Carlo de Mathias de Fonzo Giacinto Lambardi Don Giovanni Castelvi Angelo Gagliardo Antonio Letizia Pietro Palumbo Pietro Aniello Guarino Giovanni Romano Alessandro Chino Geronimo Zappa Giulio Cesare Molinaro
A D. Donato Coja ducati 3 di aumento sui 20 che già gode A D. Onofrio Gioyosa ducati 2 sui 16 che gode A Francesco Falconio ducati 2 sui 16 che gode A Carlo de Mathias de Fonzo ducati 2 sui 14 A Giacinto Lambardi ducati 4 sui 6 A Don Giovanni Castelvi, Angelo Gagliardo, Antonio Letizia, Pietro Palumbo, Pietro Aniello Guarino, Giovanni Romano, Alessandro Chino un ducato ciascuno
Pag. 113 Musici della Real Cappella
E la piazza di “adereçador de Cimbalos” che apparteneva a Geronimo Zappa “al qual se ha despedido por inutil” si dà a Giulio Cesare Molinaro col medesimo soldo di 15 reali al mese. Mand. 168 pag. 97 (30 giugno 1639)
Giunge pei musici l’attesa cedola reale del seguente tenore: “Duca di Medina las Torres, Principe di Stigliano, primo nostro Somigliere del Corpo, Tesoriere Generale della Corona d’Aragona, nostro Viceré, Luogotenente Capitano Generale. Con lettera dei 23 aprile dell’anno passato informavate che i musici, sì di voce che di istrumenti di cotesta mia Real Cappella vi avevano rappresentato che per aver la scrivania di Razione sollevate difficoltà nel liberare i loro soldi, a causa che i Viceré avevano alterato nella ripartizione la forma dei miei ordini ed ecceduto nel numero da me stabilito, il vostro predecessore ordinò che si fosse confirmata la paga per un anno, dentro il quale o dovevano presentare la mia conferma o dovevano restituire il danaro riscosso, e voi per le loro istanze avevate confermato tale ordine informando nello stesso
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
tempo me delle loro ragioni, perché io, ragguagliato, avessi ordinato la continuazione delle paghe, e mi ricordavate che nel 1621 io avevo disposto che la spesa per la Real Cappella non dovesse superare i 5800 ducati annui, e che il Cardinal Zapata nella riforma che fece ne ripartì soltanto 5208, cioè (pag. 114) 408 ducati in meno della somma stabilita, e che in seguito avevo io elargiti altri 592 ducati, in maniera che il mio ordine non era stato alterato nella sostanza, ma solo nella forma della ripartizione, assegnando i miei Viceré a chi più, a chi meno, a secondo la capacità e i meriti di ciascun musico, non concedendo a chi era assunto in servizio lo stesso soldo del suo antecessore, ma meno, e ripartendo l’avanzo fra i più anziani e benemeriti, avendo sempre osservata tale norma, perché è naturale che chi entra in servizio cerca di ben meritare con la speranza d’un miglioramento. E che riguardo al numero di essi è assolutamente necessario che fosse maggiore per il buon servizio della detta Cappella ma che ciò non ha causato nessuno aumento nella spesa prefissa, anzi si spende di meno. Quindi visto e considerato quanto mi riferite nella vostra lettera, ne approvo pienamente il contenuto disponendo che in quanto alla quantità non si debba superare la somma di 5208 ducati, e in quanto alla distribuzione di detta somma (pag. 115) si lascia alla vostra discrezione perché lo ripartiate nella maniera più conveniente al mio servizio. Da Madrid 4 di febbraio 1639 Io il Re Mand. 168 pag. 82 (9 luglio 1639)
Geronimo Scotto Don Donato Coja Onofrio Gioyosa Francesco Falconio Carlo de Mathia de Fonzo Giacinto Lambardi Angelo Gagliardo Antonio Letizia
Pag. 116 Francesco Ansalone Musico di Castelnuovo
Aniello Finamore +
Francesco Ortega Musico di Castelnuovo
Pag. 117 Gregorio Carbonello +
In conformità degli ordini di S.M. il pagamento dei Musici e Cantori della Real Cappella di Palazzo, importa ducati 5208 all’anno, e avendo fatto il conto di quelli che al presente servono col soldo e gli aumenti concessi col mandato dei 30 giugno 1639, avanzano 8 reali al mese, che sono ripartiti un reale per ciascuno, ai seguenti musici: Geronimo Scotto Don Donato Coja Onofrio Gioyosa Francesco Falconio Carlo de Mathia de Fonzo Giacinto Lambardi Angelo Gagliardo Antonio Letizia Mand. 168 pag. 106 (22 agosto 1639) 1640 “Francesco Ansalone, musico nel Regio Castelnuovo, supplicando dice a V.E. come have servito, e serve hoggidì nelli festini in Palazzo, et il sabbato nelle Litanie con la Musica di Camera di V.E. senza soldo, con promissione de alcuna delle piazze che vacassero et perché si è presentato occasione ch’è morto uno loro compagno che sonava nelli balli, dimandato Aniello Finamore, che have al mese quatro docati, supplica V.E. resti servita, giacché esso supplicante se ritrova in detto servitio senza soldo con promissione per la prima che vacasse fargli gratia di detta piazza, non obstante che tiene altra piazza, atteso s’è fatto con le altre persone, et in particolare con Francesco Ortega, che godeva due piazze, con relatione del signor Cappellano Maggiore di Palazzo et lo riceverà a gratia ut Deus”. La piazza vacata per morte di Aniello Finamore con 4 ducati al mese di provvisione è assentata al supplicante, perché faccia lo stesso servizio del precedente. Mand. 170 pag. 155 (22 ottobre 1640) 1640 Il Cappellano Maggiore certifica che il quondam Gregorio Carbonello, Cantore della Real Cappella di Palazzo, con un salario di 4 ducati al mese, servì in detta Cappella dal 1 agosto 1637 insino ai 17 di decembre dello stesso anno, cioè mesi 4 e giorni 17, che fanno ducati 18.1.6, che possono esser pagati a Grazia de Giuliis, sua vedova ed erede universale.
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Mand. 170 pag. 156 (10 ottobre 1640)
Francesco Ansalone
Pag. 118 Nicolò Rosa Francesco Basile Carlo Sicola Pietro de Biase
Fabio Magnato Andrea Falconiero Angelo Gagliardo Gabriele Ansalone
Tonniciello Pedelato Cesariello Tofano Francesco Lambardi + Ciccillo de Nicolellis Don Donato Coja
1641 “Francesco Ansalone al quale V.E. fece grazia della piazza di 4 scudi al mese, che teneva Aniello Finamore nei Festini di Palazzo, supplica V.E. resti servita ordinare che il supplicante possa tenere un sostituto a sua spesa, perché nelle assenze che il supplicante potrà fare per infermità o per altra causa, serva in luogo suo, onde non resti intralciato il servizio di S.M. e lo riceverà a grazia”. Gli viene accordato tale sostituto, purché sia “persona abile e pratica”. Mand. 171 pag. 202 (13 aprile 1641)
La piazza di tenore di Nicolò Rosa, musico della Real Cappella è assentata a Francesco Basile con lo stesso soldo e decorrenza dal 1° marzo, giorno in cui cominciò a servire, e a Carlo Sicola è assentata la piazza di Pietro de Biase “por aderezar el organo” di detta Cappella, con decorrenza dal 1° dicembre dell’anno passato. Mand. 171 pag. 234 (6 maggio 1641) È assentato Fabio Magnato per organista della Real Cappella col soldo di 6 ducati, e si accresce il soldo di Andrea Falconiero a 15 reali al mese, prendendoli dalla piazza che vaca per l’arbitraria assenza di Angelo Gagliardo e del restante si assentano 10 ducati al mese a Gabriele Ansalone, Basso. Mand. 172 pag. 146 (25 novembre 1641) 1642 Sono assentati per soprani della Real Cappella Tonniciello Pedelato e Cesariello Tofano con 8 ducati al mese per ciascuno sui 24 ducati e 3 tarì che vacano per la morta di Francesco Lambardi, della rimanente somma: 4 ducati vengono accresciuti a Ciccillo de Nicolellis sui 14 ducati che attualmente gode e 4 ducati e 3 tarì a Don Donato Coja sui 23 ducati meno un reale che oggi gode. Mand. 175 pag. 60 (8 luglio 1642)
Cappella del Corpo di Guardia
Si spendono 497 reali in arredi sacri necessari per “poder deçir messa con dicençia” nella Cappella del Corpo di Guardia Maggiore di Palazzo. Mand. 175 pag. 61 (28 luglio 1642)
Don Donato Coja Cicco de Nicolellis Tonniciello Pedelato Cesariello Tofano
Don Donato Coja, Cicco de Nicolellis, Tonneciello Pedelato e Cesariello Tofano informano S.E. che la Scrivania di Razione per assentarli chiede loro la mezza annata. Trattandosi di servizio personale non sono soggetti a tale ritenuta, per cui supplicano S.E. che li faccia assentare senza altra difficoltà. Mand. 175 pag. 72 (14 agosto 1642)
Simon Raniero
“Simon Raniero, musico della Real Cappella de Palazzo espone a V.E. come tiene il suo soldo situato sopra l’arrendamento delle Sete di Terra di Lavoro e Principato Citra da Evoli in qua, dove stanno situati l’altri musici di detta Real Cappella, li quali si pagano con liberanza diretta allo arrendamento. Supplica V.E. resti servita ordinare che se li facci detto suo pagamento con liberanza diretta alla Thesoreria Generale conforme agli altri musici”. Mand. 175 pag. 107 (25 ottobre 1642)
Giovanni Ferraro e non Francesco Ferrozza
Il Cappellano Maggiore certifica alla Scrivania di Razione “come dal Procuratore della Real Cappella di Palacio fè assentare Giovanni Ferraro per musico di Cornetto della detta Cappella Reale, il quale equivocò il proprio nome et lo fè scrivere et assentare sotto nome di Francesco Ferrozza, et perché ciò fu, come s’è detto, per errore, giacchè a noi è molto noto e consta che il nome di detto musico non è Francesco Ferrozza, ma sì bene di Giovanni Ferraro, et come tale e per tale da noi conosciuto et è il medesimo et ha servito et oggidì serve per musico di Cornetto della Real Cappella di Palazzo, potrà intanto V.S. restar servita ordinare che in li libri de assenti della Real Scrivania de Razione se
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scriva et assenti il detto musico sotto il suo proprio nome di Giovanni Ferraro, che per tale e come tale noi approbamo”. Mand. 175 pag. 141 (8 novembre 1642)
Angelo Gagliardo
1643 Angelo Gagliardo dice d’essere rimasto creditore di cinque mesi che servì da musico della Real Cappella come è notorio anche al Cappellano Maggiore. Al presente la Scrivania di Razione non vuole pagargli i detti 5 mesi, (pag. 121) sotto pretesto che il supplicante abbandonò il servizio. Supplica per esser pagato, non ostante le difficoltà sollevate dalla Scrivania di Razione. Vien soddisfatto. Mand. 175 pag. 159 (3 gennaio 1643)
Andrea Falconieri
“Andrea Falconieri chiese licenza a V.E. nel mese di aprile dell’anno passato per recarsi a Modena dove ha moglie e casa. V.E. fu servita concedergli a voce tale licenza con diritto di riscuotere nell’assenza il soldo spettantegli. Quando fu di ritorno presentossi a riscuotere dette paghe, ma la Scrivania di Razione sollevò difficoltà, perché la licenza non risultava registrata. Poiché tale mancanza è dipesa unicamente dalla poco praticità del supplicante chiede di poter riscuotere tutto l’arretrato”. Vien soddisfatto. Mand. 175 pag. 232 (25 aprile 1643)
Cesare Tofano Carlo de Fonzo Giacinto Lambardo
Degli 8 ducati che godeva Cesare Tofano, il quale “se ha despedido poi no ser de servicio” se ne assentano 4 a Carlo de Fonzo e 4 a Giacinto Lambardo. Mand. 177 pag. 41 (11 agosto 1643)
Pag. 122 Carlo Fonzo Giacinto Lambardi
Onofrio Mirabelli Domenico Medici + Francesco Ortega Morto al 1648
Pag. 123 Don Pietro Paolo Samaruco Gabriele Ansalone Francesco Basile
“Carlo Fonzo e Giacinto Lambardi, musici della Real Cappella, dicono a V.E. come la gratia fattali delli 4 ducati per uno d’aumento, la Escrivania ricusa assentarceli cercandoli la meza annata, et perché questo è servitio personale, per la qual causa non la devono pagare, supplicano V.E. se li assentino detti 4 ducati per uno, non obstante detta difficultà conforme si è fatto ultimamente con Don Donato Coia, Ciccio de Nicolellis e Tonno Pedelato et lo riceveranno a gratia ut Deus. Vengono soddisfatti. Mand. 177 pag. 58 (13 agosto 1643) Onofrio Mirabelli è assentato nella piazza di violino che vaca nella Real Cappella per morte di Domenico Medici, col soldo di 6 ducati al mese, e i restanti 16 reali a complemento dei 7 ducati e 3 tarì che godeva il detto Domenico si accrescono a Francesco Ortega sopra quelli che presentemente gode nella piazza di violino. Mand. 177 pag. 75 (2 ottobre 1643)
È assentato per Basso della Real Cappella Don Pietro Paolo Samaruco al posto di Gabriele Ansalone, che se ne è andato in Germania, con 6 ducati al mese e 4 ducati sono dati in aumento a Francesco Basile, Tenore, della stella Cappella sui 10 che ora gode. Mand. 177 pag. 81 (26 agosto 1643)
1644 Qui finisce il governo del Duca di Medina e comincia quello dell’Ammiraglio di Castiglia Simon Ranieri
A Simone Ranieri vien pagato il soldo secondo il solito. Mand. 181 pag. 20 (22 giugno 1644)
Don Carlo Benestante
Don Carlo Benestante di Giovan Iacovo musico della Cappella Reale, supplicando espone a V.E. come dal signor Duca di Medina predecessore dell’E.S. se li fe gratia con suo mandato aumentarseli di più della sua piazza sei ducati ogni
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mese per li primi che vacassero et perché per alcuni legitimi impedimenti il supplicante non ha possuto presentare detto mandato in tempo del governo del signor Duca di Medina supplica però V.E., stante che continuamente ha servito la detta Real Cappella per spatio di molti anni et al presente ancora la sta servendo, la supplica sia servita dar ordine se li spedischi (pag. 124) di nuovo mandato per detto aumento, che lo riceverà a gratia. Vien soddisfatto. Mand. 181 pag. 62 (26 settembre 1644) Gabriele Ansalone
Nicola Rosa
Nicola De Rosa Francesco Basile Don Francesco Damiano Carluccio Benestante Ciccillo Nicolellis Tonnicello Pedelato Francesco Falconio Andrea Falconieri Antonio Letizia Don Paolo Samaruco Don Giovanni Castelvi Carlo de Mauro
Il Cappellano Maggiore certifica alla Scrivania di Razione “come Gabriele Ansalone olim musico di voce della Cappella Reale di Palazzo have servito senza falta dal 1° dicembre 1642 a tutto li 10 luglio 1643, che sono mesi sette e giorni dieci, del qual servitio a noi chiaramente consta, atteso dopo, per haver lasciato il servitio senza licentia, li fu puntata la piazza e perciò potrà V.S. restar servita ordinare che se li spedischi la debita liberanza per riscuotere il suo soldo per detto servizio in esecutione della gratia fattali da S.E. in piede del memoriale a 20 di ottobre 1644”. Mand. 181 pag. 133 1645 “Nicola Rosa, che fu musico della Real Cappella, dice a V.E. che rimase ad havere cinque mesi di soldo servito et havendone chiesto il pagamento, la Scrivania di Razione si è opposta, sotto pretesto di avere il supplicante abbandonato il servitio per essere andato (pag. 125) a servire il Serenissimo Re di Polonia. Supplica V.E. resti servita ordinare, poiché il supplicante li ha serviti come è anche noto al signor Cappellano Maggiore, di liberargli il soldo del detto tempo servito, e lo riceverà a gratia”. Vien soddisfatto. Mand. 181 pag. 168 (7 aprile 1645) È ricevuto per musico tenore della Real Cappella nuovamente Nicola De Rosa, gaetano, col soldo di 12 scudi al mese presi dai 14 che godeva Francesco Basile, il quale abbandonò il servizio senza licenza, e i due ducati che restano aggiunti ai 14 ducati di Don Francesco Damiano, che pure abbandonò il servizio senza licenza, si dividono in parti uguali fra i seguenti musici: Carluccio Benestante Ciccillo Nicolellis Tonnicello Pedelato Francesco Falconio Andrea Falconieri Antonio Letizia Don Paolo Samaruco Don Giovanni Castelvi Carlo de Mauro Mand. 182 pag. 55 (20 dicembre 1645)
Pag. 126 1646 Qui finisce il governo dell’Ammiraglio di Castiglia e comincia quello del Duca d’Arcos Simon Raniero
Nicola de Rosa Angelo Gagliardo
Simon Raniero, Tenore della Real Cappella, dice a V.E. che nel mese di maggio passato ebbe necessità assoluta di recarsi nella Città di Lecce per affari importantissimi e perché non ebbe l’avertenza di chieder licentia, la Scrivania di Razione li appuntò la piazza che teneva di musico, essendo solita in simili casi di non liberare nulla per tutto il tempo servito senza particolare dispensa di V.E., per tanto supplica V.E. li faccia gratia di ordinare se li liberi tutto il tempo servito fino al giorno che si allontanò, come si è fatto con molti altri e particolarmente con Nicola de Rosa, Angelo Gagliardo e altri musici della stessa Cappella, atteso che l’occasione che ebbe di allontanarsi fu urgente e il supplicante è “muy pobre y se muere de ambre, el, su muger y sus fijos” come consta anche al Cappellano Maggiore, e lo riceverà a gratia”. Vien soddisfatto.
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Mand. 184 pag. 33 (31 marzo 1646) Pag. 127 Don Benedetto de Palma Carlo Monaco
1647 È assentato per voce di Contralto Don Benedetto de Palma nella piazza che vaca per morte di Carlo Monaco col soldo di 6 ducati al mese. Mand. 186 pag. 136 (22 maggio 1647)
Qui comincia il governo del Conte d’Oñatte
Francesco Ortega + Carlo de Vincenzo Carlo Merolla
Giuseppe Mellone Matteo Petrillo Donato Velino Francesco Branchino Antonio Mondelli Don Michele Claverio Antonio Pedelato (pag. 128) Don Francesco de Nicolellis Andrea Falconieri Carlo de Aresio Don Paolo Cojo Alessandro Cino + Simone Ranieri +
Don Carlo Benestante
1648 - 1649 La piazza di Violino che vaca nella Real Cappella per morte di Francesco Ortega è assentata a Carlo de Vincenzo col soldo di 7 ducati sui 9 ducati e 1 tarì che godeva il defunto e gli altri 2 ducati e 1 tarì vanno ad aumentare il soldo dell’altro violino Carlo Merolla. Sono inoltre assentati: Giuseppe Mellone con 8 ducati Matteo de Petrillo con 8 ducati Donato Velino con 8 ducati Francesco Branchino con 8 ducati Tonno Mondelli per organista con 6 ducati Don Michele Claverio per basso con 10 ducati A Tonno Pedelato è concesso un aumento di 6 ducati, 1 tarì e 3 grana, che portano il soldo da lui goduto a 16 ducati al mese. I quali soldi provengono dai 19 ducati e 3 tarì che godeva Ciccillo alias Don (pag. 128) Francesco de Nicolellis, che per ordine di S.E. ebbe borrada la piazza, dai 19 ducati e 1 tarì che vacano della piazza di arciliuto che godeva Andrea Falconieri, dai 5 ducati che godeva Carlo de Aresio, dai 7 ducati e 3 tarì di Don Paolo de Cojo, i quali due andarono via due anni fa, dai 10 ducati che vacano per morte di Alessandro Cino e Simone Ranieri. Mand. 191 pag. 69 (15 settembre 1649) 1650 “Don Carlo Benestante, Musico della Real Cappella e di Camera di V.E. supplicando dice come da 15 anni in circa serve detta Cappella con piazza di 16 scudi. Per tanto supplica V.E. stante che vacano molte piazze, si degni egualarlo con alcuni altri quali hanno fatto lo stesso servizio che lui, con agumentarlo fino a 20 scudi, che lo riceverà ecc.” Vien soddisfatto. Mand. 192 pag. 36 (16 agosto 1650) 1652
Dal 1651 i salari della Cappella Reale e degli Studi Pubblici sono pagati sulla imposizione del Tabacco.
Giuseppe d’Elena Don Ruggiero de Federico Don Benedetto de Palma Cicco Antonio Corrado
Mand. 193 pag. 168 Alcuni musici che già da tempo parecchio prestano servizio nella Real Cappella, non sono stati ancora assentati. Il Cappellano Maggiore sollecita per essi un provvedimento: I musici sono: (pag. 129) 1- Giuseppe d’Elena alias de Troya, basso con soldo di 10 scudi. 2- Don Ruggiero de Federico, basso, che ha servito molto tempo senza soldo, e al quale S.E. ordinò questa estate si assegnassero 6 ducati al mese 3- Don Benedetto de Palma, contralto, che godeva 6 ducati e al quale S.E. ordinò se ne aumentassero 10. 4- Cicco Antonio Corrado, soprano, che ha cominciato a prestar servizio questo passato Natale e al quale sono stati assegnati 10 ducati al mese. (Ai primi tre con decorrenza dal 1 luglio 1651 e a quest’ultimo dal 1 gennaio 1652).
Andrea Falconieri
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Maestro di Cappella
Ad Andrea Falconieri è assentata la piazza di Maestro di Cappella, dal 15 gennaio 1648, che gli si dispacciò il mandato col soldo lucri ed emolumenti che teneva il suo predecessore. Mand. 194 pag. 10 (28 febbraio 1652)
Qui finisce il governo del Conte d’Ogñatte e comincia quello del conte di Castrillo
Antonio de Santis Tommaso Corbes
Don Benedetto Zona
Pag. 131 Cappellani della Real Cappella
1653 Vacano nella Real Cappella 64 ducati 1 tarì e 6 grana, parte per morte di musici, parte per soldi appuntati. Sono assentati: Antonio de Santis per soprano e Tommaso Corbes per tenore, mancando in (pag. 130) Cappella tali voci, con 6 ducati al mese per ciascuno e i restanti 52 ducati 1 tarì e 6 grana, si ripartiscono fra i seguenti musici: Andrea Falconieri, ducati 5 Onofrio Gioyosa, ducati 2 ½ Carlo Benestante, ducati 2 ½ Nicola (De Rosa) Gaetano, ducati 4 Don Benedetto de Palma, ducati 4 Francesco Falconio, ducati 2 ½ Don Ruggiero Federico, ducati 2 Donato Bellino, ducati 2 Fabio Magnati, ducati 6 Antonio Mondelli, ducati 4 Don Giovanni Castelvi, ducati 4 Francesco Antonio De Angelis, ducati 2 Geronimo Scotto, ducati 2 Pietro Palumbo, ducati 1 Onofrio Mirabelli, ducati 1 ½ Carlo Merolla, ducati 2 Carlo de Vincenzo, ducati 1 ½ Francesco Antonio Ansalone, ducati 1 ½ Giuseppe Boccia, ducati 1 Giovanni Ferraro, ducati 1 Carlo di Mauro, 1 tarì e 6 grana. Del soldo che presentemente gode Donato Coya si danno a Don Benedetto Zona, suo nipote, 8 ducati con piazza di contralto, giusta richiesta dello stesso Don Donato. Mand. 196 pag. 103 (17 novembre 1653) 1656 È assentato Don Giuseppe Ziani per Sacristano Maggiore della Real Cappella nella piazza vacata per morte di Don Marco de Vargas. Mand. 200 pag. 54 (31 luglio 1656) Avendo Don Giuseppe Ziani rinunziata la piazza nelle mani di S.E., essa viene assentata a Don Cesare de Santis. Mand. 200 pag. 58 (16 settembre 1656) A Don Francesco Marotta Cappellano della Real Cappella, è assentata la piazza di Maestro di Cerimonie che vaca per morte di Don Andrea Pappalardo, restando abolita quella di aiutante del Maestro di Cerimonie servita da Don Cesare de Santis, ora promosso a Sacristano Maggiore. Mand. 200 (19 ottobre 1656) Nella piazza appartenuta a Don Francesco Marotta è assentato per Cappellano Don Giuseppe d’Amico. Don Pietro Zapata in quella che vaca per morte di Don Orazio Basile; Don Francesco Roselli in quella che vaca per morte di Don Vincenzo Mari. Sebastiano Mascolo nella piazza (pag. 132) di Chierico che vaca per la promozione di Don Gennaro Celentano ad una Cappellania.
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Don Giovan Battista Santoro nella piazza di Diacono che vaca per morte di Don Antonio Rocco. Mand. 200 pag. 92 (19 ottobre 1656) Filippo Coppola Fabio Magnati + Epifanio Longo Antonio Letizia + Carlo Carpentieri Donato Coya + Franesco Mirabelli Antonio Palumbo Onofrio Mirabelli + Carlo Merolla +
A Filippo Coppola è assentata la piazza di organista della Real Cappella che vaca per morte di Fabio Magnati. A Epifanio Longo quella di tenore che vaca per morte di Antonio Letizia. A Carlo Carpentieri quella di contralto, che vaca per morte di Donato Coya. A Francesco Mirabelli e ad Antonio Palumbo quelle di violini vacate per morte di Onofrio Mirabelli e Carlo Merolla.
Pag. 133
1657 Al pagatore di Palazzo si dispaccia la liberanza di ducati 618 che avanzano per morte di Andrea Falconieri, Donato Coya, Geronimo Scotto, Benedetto Zena e Tommaso Corbes, musici della Real Cappella, allo scopo di spenderli in ornamenti per detta Real Cappella. Mand. 200 pag. 123 (12 marzo 1657)
Giovanni Maria Trabaci Morto forse di peste nel 1656 + 1647
(l’organista col soldo di 10 ducati al mese, il tenore e contralto con 7 ducati ciascuno, i violini con 6 ducati) Mand. 200 pag. 71 (20 novembre 1656)
1658 A Margherita e ad Antonia Trabaci figlie di Giovanni Maria, che fu Maestro della Real Cappella si liberano 20 ducati del soldo non riscosso dal defunto. Mand. 201 pag. 82 (21 gennaio 1658) I soldi dei musici vacati nella Real Cappella vengono ripartiti nella maniera seguente: Don Giovanni Castelvi, ducati 4 Antonio Mondelli, ducati 4 Franesco Falconio, ducati 4 Onofrio Gioiosa, ducati 4 Carlo de Fonzo, ducati 4 Carlo Benestante, ducati 4 Don Benedetto de Palma, ducati 4 Nicola Rosa, ducati 4 Donato Bellino, ducati 4 Francesco Antonio Corrado, ducati 4 (pag. 134) Francesco Branchino, ducati 4 Giuseppe Elena, ducati 4 Francesco Antonio de Angelis, ducati 3 Ignazio Fastigio, ducati 3 Carlo de Vincenzo, ducati 3 Antonio Carmignano, ducati 3 Giovanni Ferraro, ducati 3 Don Michele Claverio, ducati 3 Don Ruggiero de Federico, ducati 3 A Pietro Palumbo, ducati 2 Mand. 202 pag. 120 (20 dicembre 1658)
Filippo Coppola Maestro di Cappella Falconieri morto nel 1656 Margherita sua figlia
A Filippo Coppola è assentata la piazza di Maestro della Real Cappella vacante per morte di Andrea Falconieri col soldo di 35 ducati al mese e i 10 ducati dei 45 che godeva il detto Falconieri vanno ad accrescere i soldi dei seguenti musici: Don Carlo de Mauro, ducati 2 Epifanio Longo, ducati 2 Carlo Carpentiero, ducati 2 Cristofaro Caresana, ducati 2
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MAURIZIO REA
Antonio Palumbo, violino, ducati 1 Francesco Mirabelli, ducati 1 Mand. 202 pag 121 (20 dicembre 1658) Pag. 135 Filippo Pellegrino Carlo Sicola + Giulio Cesare Molinaro +
1658 A Filippo Pellegrino è assentata la piazza di Organaro e Cembalaro che è vacata per morte di Sicola, e Molinaro col soldo di 3 ducati al mese. Mand. 202 pag. 122 (20 dicembre 1658)
Erede di Andrea Falconieri +
A Margherita Falconieri, figlia di Andrea che è stato Maestro della Real Cappella, si libera il soldo non riscosso dal defunto. Mand. 202 pag. 125 (23 dicembre 1658)
Tommaso Pagano
Giovan Battista Magno (pittore)
Pag. 136 Fabio Magnati +
Cappellani della Real Cappella
1659 A Tommaso Pagano è assentatala piazza di Organista della Real Cappella, che vaca per la promozione di Filippo Coppola a quella di Maestro di Cappella, col soldo che godeva il suo antecessore. Mand. 202 pag. 188 (8 gennaio 1659) Al pittore Giambattista Magno ducati 370 a compimento di ducati 570 per le pitture che ha fatto sulle pareti della Real Cappella e indoratura del Coro e dell’organo di essa. Mand. 202 pag. 154 (1 gennaio 1659)
A Ippolita Magnati, figlia di Fabio che fu organista della Real Cappella si liberano ducati 5 e tarì 3 che non furono riscossi dal defunto. Mand. 203 pag. 72 (1 marzo 1659) Poiché i 6 cappellani che al presente servono nella Real Cappella non bastano alla ordinaria celebrazione delle messe e agli altri obblighi inerenti al sacro ministerio, S.E. nomina altri due Cappellani che sono Don Michelangelo de Colellis e Don Bernardo De Felice col soldo di 8 scudi al mese, ricavati dai 9 ducati e 3 reali e mezzo che vacano per la morte di Don Andrea Pappalardo, la cui piazza venne riformata, e altri 36 reali dei soldi che vacano sulle piazze dei musici che in tutto fanno la somma di 13 ducati meno mezzo reale. Mand. 203 pag. 56 (20 febbraio 1659)
Qui finisce il governo del Conte di Castrillo e comincia quello del Conte di Peñaranda Francesco Ortega (+ nel 1649)
Pag. 137 Don Benedetto di Palma
Nicola de Rosa +
Nicola de Rosa + Don Benedetto de Palma Don Ottavio Gaudioso Agostino Marzano
A Giustina Ansalone, vedova erede di Francesco Ortega che fu musico della Real Cappella, si liberano 30 ducati in conto del soldo non riscosso dal defunto. Mand. 205 pag. 40 (26 settembre 1659)
Vien concessa una licenza di 3 mesi a Don Benedetto di Palma, Musico della Real Cappella, per recarsi nella Provincia di Lecce per suoi affari. Nell’assenza non gli è corrisposto lo stipendio. Mand. 205 pag. 114 (7 novembre 1659) 1660 Sui 21 ducati che vacano per la morte di Nicola de Rosa, tenore della Real Cappella vien presa la somma che serve ad arrotondare gli stipendi dei Cappellani Michelangelo de Colellis e Don Bernardo de Felice. Mand. 206 pag. 71 (21 febbraio 1660) Coi 38 ducati, e 3 tarì che vacano per la morte di Nicola de Rosa e per la defezione del contralto Don Benedetto de Palma si assentano: Don Ottavio Gaudioso con 8 ducati al mese per contralto Agostino Marzano con 8 ducati al mese per tenore
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Don Jaime de Cerf Don Antonio de Santis Tommaso Pagano
Don Jaime de Cerf con 8 ducati al mese per organista E dei restanti ducati 8 e 3 tarì si assentano ducati 4 e 3 tarì di aumento a Don Antonio de Santis, musico della Real Cappella e ducati 4 a (pag. 138) Tommaso Pagano, organista. Mand. 206 pag. 168 (15 aprile 1660)
Erede di Francesco Ortega +
A Giustina Ansalone, vedova di Francesco Tommaso Ortega che fu musico della Real Cappella, sono liberati 20 ducati in conto del soldo non riscosso dal defunto. Mand. 209 pag. 114 (29 novembre 1660)
Erede di Nicola de Rosa +
A Silvia Galante, vedova di Nicola de Rosa che fu musico della Real Cappella si libera il soldo non riscosso dal defunto. Mand. 209 pag. 165 (12 dicembre 1660)
Eredi di Giovanni Maria Trabaci +
Cappellano Maggiore
Pag. 139 Epifanio Longo
Pag. 140 Erede di Francesco Ortega
Cappellani
Cappellani
1661 Ad Antonia e a Margherita Trabaci figlie di Giovanni Maria, che fu Maestro della Reale Cappella, si liberano 50 ducati in conto del soldo non riscosso dal defunto. Mand. 212 pag.55 (2 agosto 1661) Don Giovanni de Cespedes è nominato Cappellano Maggiore al posto del defunto Don Giovanni di Salamanca, con decorrenza dal 15 giugno 1661, giorno in cui cominciò a prender servizio. Mand. 212 pag. 106 (settembre 1661)
“Il Clerigo Epifanio Longo, Musico della Real Cappella di V.E., supplicando espone come ritrovandosi inquisito nella Corte di Monsignor Cappellano Maggiore, suo giodice competente, sotto pretesto havesse havuto comercio carnale con Menica de Lodovico, donna maritata, alla quale V.E. fe’ gratia nella Visita Generale, è rimasto anco servito far la gratia ad esso suplicante con obligo di non haver più comercio con detta Meneca, né passare per la strada dove abbita o abbitarà in futurum, e se ne è già obbligato, e perché per causa di detta sua inquisizione et carceratione li sta apuntata la Piazza che gode in detta Real Cappella, suplica V.E. fargli gratia ordinare se le aclari, ordinando se le liberi tutto quello ch’è remasto a conseguire sino ad hoggi, doppo che fu abilitato et ha continuato il servitio et lo reciverà a gratia ut Deus”. Il Viceré, accogliendo favorevolmente la richiesta, ordina il pagamento dell’intera somma puntata. Mand. 213 pag. 16 (7 settembre 1661)
A Giustina Ansalone, vedova di Francesco Ortega, si libera la somma di 20 ducati in conto del soldo non riscosso dal defunto. Mand. 213 pag. 31 (10 ottobre 1661) A Gennaro de Martino è assentata la piazza di Chierico della Real Cappella in luogo di Don Giambattista Senatore o Santoro che è passato a Cappellano di essa. Mand. 215 pag. 42 (18 settembre 1661) 1662 A Giambattista Senatore Diacono della Real Cappella è assentata la piazza di Cappellano che vaca per promozione di Don Bernardo De Felice a Maestro di Cerimonie. Mand. 217 pag. 132 (31 luglio 1662) 1663/1664
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MAURIZIO REA
Vincenzo de Angelis Francesco Antonio de Angelis
A Vincenzo de Angelis, figlio di Francesco Antonio de Angelis, è assentata la piazza di musico di Viola della Real Cappella (pag. 141) che gode suo padre con lo stesso soldo di lui. Mand. 221 pag. 4 (5 gennaio 1664)
Erede di Francesco Ortega
A Giustina Ansalone ducati 12 in conto del soldo non riscosso dal marito. Mand. 221 (30 gennaio 1664)
Cappellani
Al Chierico Gennaro Remigio è assentata la piazza di Diacono che è vacata per la promozione di Don Sebastiano Mascolo a quella di Cappellano. Mand. 221 pag. 63 (16 febbraio 1664)
Don Jayme Cerf
A Don Jayme Cerf è concesso un anno di licenza per recarsi in Ispagna, senza che gli corra soldo nell’assenza. Mand. 223 pag. 26 (21 agosto 1664)
Don Angelo Antonio Mele
È concessa una licenza di 2 mesi a Don Angelo Antonio Mele, musico della Real Cappella, per recarsi a Genova per suoi negozi. Mand. 223 pag. 44 (26 agosto 1664)
1665 Qui finisce il governo del Conte di Peñoranda e comincia quello del Cardinal d’Aragona Giuseppe Basso
Pag. 142 Erede di Francesco Ortega
A Giuseppe Basso è assentata la piazza di Basso della Real Cappella con 5 scudi al mese dei 10 che vacano per morte di Antonio Carmignano. Mand. 225 pag. 35 (23 gennaio 1665)
A Giustina Ansalone ducati 6 in conto del soldo non riscosso dal defunto marito. Mand. 225 pag. 140 (10 marzo 1665)
Michele Claverio +
Agli eredi di Michele Claverio, che fu musico della Real Cappella, si liberano ducati 47.1.5 del soldo non riscosso del defunto. Mand. 226 pag. 106 (9 maggio 1665)
Giovanni Ferraro + Agostino Marzano
Dei 9 ducati al mese che godeva Giovanni Ferraro, musico di Cornetto, defunto, si assentano 3 ducati al mese ad Agostino Marzano, tenore
Detto Agostiniello V. Tesoro S. Gennaro
Mand. 227 pag. 153 (8 luglio 1665)
Nicola Lavagna
A Nicola Lavagna è assentata la piazza di musico di Cornetto della Real Cappella che vaca per morte di Giovanni Ferraro, con lo stesso soldo del suo antecessore. Mand. 227 pag. 132 (31 luglio 1665)
Erede di Francesco Ortega
A Giustina Ansalone ducati 6 in conto del soldo non riscosso dal marito. Mand. 228 pag. 154 (9 ottobre 1665)
Pag. 143 Don Francesco Branchino Serve da 17 anni, cioè è entrato nel 1648
Don Giovanni Castelvi
“Don Francesco Branchino, musico soprano della Real Cappella dice a V. Eminenza come sono 17 anni che serve con grandissima puntualità in tutte le feste e funzioni che si fanno in Palazzo e Comedie che si son fatte, e nell’accudire al Concerto a la Camera e a Posilipo, come è notorio al Signor Cappellano Maggiore, non godendo se non 13 ducati di soldo al mese che è assai poco per accudire ai suoi oblighi e ai bisogni di sua casa; e perché Don Giovanni de Castelvi, anch’esso musico della Real Cappella, per il parentado che esiste con il supplicante e per altre molte obligazioni et assistenze fatteli nelle sue infermità e necessità che sono occorse in 24 anni che si conoscono, vuole darli del proprio
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
soldo otto o dieci ducati, chiede per tanto il consenso di V.E., non essendovi in ciò nessun danno per la Real Corte, ma dipendendo solo dalla volontà dei Signori Viceré. Come si è praticato con altri musici, per esempio con Francesco Lambardi che cedette 6 ducati a suo fratello, Donato Coja otto a un suo parente e ultimamente nel tempo del Conte di Peñoranda Francesco Antonio de Angelis dette a suo figlio la piazza che teneva, e lo riceverà ecc.”. S. Em. acconsente che al Branchino si diano 8 ducati al mese dal soldo di Don (pag. 144) Giovanni Castelvi, poiché questa è anche la volontà di lui. Mand. 229 pag. 96 (30 novembre 1665) Jayme Cerf Cerif
Francesco de Causis Onofrio Gioyosa Don Giovanni Castelvi
Pag. 145 Don Giuseppe Gennaro D’Auria
È concessa a Jayme Cerf uno degli organisti della Real Cappella, una proroga di un anno alla licenza accordatagli dal Conte di Peñaranda per recarsi in Ispagna e gli si acclara la piazza che trovasi puntata per esser già scaduta detta licenza. Mand. 232 pag. 91 (8 ottobre 1665) 1666 Francesco de Causis, Musico soprano della Real Cappella, non gode che 4 ducati e 2 tarì al mese, assegnatigli sul soldo vacato per morte di Onofrio Gioyosa, i quali non sono sufficienti a sostentarlo, per cui supplica la concessione di un assegno di 7 ducati al mese sul soldo che gode Don Giovanni de Castelvi che glieli vuol cedere in considerazione di essere stato suo Maestro e del molto amore che gli porta per averlo accudito nelle infermità. Il Viceré consente che dal soldo del Castelvi si prendano altri 7 ducati al mese e si aumentino al detto Francesco, come si è fatto per Branchino. Mand. 232 pag. 102 (19 marzo 1666)
A Don Giuseppe Gennaro D’Auria è assentata la piazza di Organista soprannumerario della Real Cappella, senza soldo alcuno quando servirà per interim, ma col patto di subentrare nella prima piazza che vacherà. Mand. 234 pag. 91 (26 agosto 1666)
Cappellani
Don Gennaro Celentano è assentato nella piazza di Maestro di Cerimonie della Real Cappella, vacata per morte di Don Bernardo De Felice. Al posto del detto Don Gennaro è assentato per Cappellano Don Giovan Battista Senatore, uno dei Cappellani aggregati creati dal Conte di Peñaranda. E al luogo di Don Giovan Battista è assentato Don Donato Cristina. Mand. 234 pag. 152 (1 ottobre 1666)
Don Giovanni de Castelvi Pietro Palumbo
Don Giovanni de Castelvi, col permesso del Viceré, cede del proprio soldo sei ducati al mese a Pietro Palumbo, Violino. Mand. 235 pag. 33 (6 dicembre 1666)
Giuseppe Mazzante
A Giuseppe Mazzante si assenta la piazza di Musico straordinario della Real Cappella, senza soldo. Mand. 235 pag. 61 (29 dicembre 1666)
Pag. 146 Francesco Basso
1667 A Francesco Basso si assenta la piazza di Musico “sonador de vasson” (bassone) soprannumerario della Real Cappella senza soldo. Mand. 235 pag. 84 (24 gennaio 1667)
Don Luigi Pappalardo
A Don Luigi Pappalardo è assentata la piazza di Chierico della Real Cappella. Mand. 236 pag. 79 (29 aprile 1667)
Chierico
Cristofaro Caresana entrato nel 1658
“Cristofaro Caresana suplicando dice a V.E. come da nove anni in circa fu honorato dal Signor Conte di Castrillo di una piaza di voce di Tenore nella Real Cappella, nella quale sta attualmente servendo e perché il supplicante è sempre stato e tuttavia sta aplicato al componere e a far l’officio de Maestro di Cappella et organista, come è noto a tutti, per tanto desiderando un posto dove ha magior
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MAURIZIO REA
habilità, supplica V.E. ordinare e comandare a la Escrivania de Ratione che li traslati la piazza suddetta di Tenore in quella di Organista con l’istesso soldo che tiene, nel quale loco ha più volte servito e lo riceverà a gratia”. Vien soddisfatto. Mand. 235 pag. 131 (26 febbraio 1667) Pag. 147 Nicola Coppola Carlo Ambrogio Lunati
Pietro Palumbo Carlo Ambrogio Lunati Nicola Costantino
Giovan Angelo Sandoli
Nicola Costantino +
Carlo de Palma
Pag. 149 Don Jayme Cerf Francesco De Lisa Antonio Solino
Don Giovanni de Castelvi Francesco Basso
Angelo Antonio Mele
Nicola Coppola è assentato per musico di Violino della Real Cappella nella piazza che teneva Carlo Ambrogio Lunati (mandato via) anche musico di Violino col soldo di 5 ducati al mese dei 7 che teneva il detto Carlo Ambrogio. Mand. 237 pag. 135 (10 novembre 1667) A Pietro Palumbo, Musico di Violone della Real Cappella, che serve con soldo di 3 ducati al mese, si assentano altri 2 dei 7 che godeva Carlo Ambrosio Lunati. Mand. 237 pag. 136 (12 novembre 1667) È concessa un anno di licenza a Nicola Costantino, Musico della Real Cappella, perché vada nella città di Bitonto sua patria, a ristabilirsi in salute, correndogli il soldo nell’assenza. Mand. 237 pag. 158 (9 dicembre 1667) 1668 “Il Clerico Giovan Angelo Sandoli, Musico di V.E. et soprannumerario della Real Cappella, supplicando fa intendere a V.E. come essendo passato di questa a miglior vita il quondam Nicola Costantino, Musico di detta Real Cappella con soldo di ducati 8 il mese, et perché detta piazza vaca et il detto supplicante ha molto tempo che la serve senza nessuna (pag. 148) mercede, per tanto supplica V.E. restar servita ordinare che la detta piazza si provedesse in persona del detto supplicante che oltre l’esser giusto l’haverà a gratia ut Deus”. Gli è assentata la piazza di soprano vacata per morte di Nicola Costantino. Mand. 240 pag. 105 (1 giugno 1668) Carlo de Palma, musico di voce di Contralto, supplicando dice a V.E. come desidera servire la Cappella Reale di V.E. per musico estraordinario senza soldo, acciò che vacando piazza di musico ordinario possa subentrare in quella, e perché detta voce di Contralto è di bisogno in detta Cappella, stante che ve ne sono pochi, per tanto supplica V.E. restar servita ordinare che se li assenti detta piazza et lo riceverà a gratia ut Deus”. Gli è assentata la piazza di Musico soprannumerario senza soldo. Mand. 241 pag. 3 (12 luglio 1668)
La piazza di Organista che tiene nella Real Cappella Don Jayme Zerf che con licenza del Conte di Peñaranda andò in Ispagna, è assentata finché non ritorni il detto Don Jayme, a Francesco De Lisa e ad Antonio Solino, musici straordinari di detta Cappella con 4 ducati al mese per ciascuno degli 8 che aveva il detto Don Jayme. Mand. 241 pag. 37 (1 agosto 1668) Con la rinunzia di Don Giovanni de Castelvi alla propria piazza e al soldo di cinque ducati e tre reali e mezzo, fatta in beneficio di Francesco Basso, bassone soprannumerario della Real Cappella, è a costui assentata la piazza di Bassone rinunziatagli dal detto Don Giovanni con lo stesso soldo. Mand. 241 pag. 125 (24 settembre 1668) 1670 Ad Angelo Antonio Mele, musico della Real Cappella, è concessa una licenza di tre mesi per recarsi ad Acquaviva in Provincia di Bari a vedere suo padre, correndogli il soldo durante l’assenza. Mand. 246 pag. 171 (11 novembre 1670)
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Pag. 150 Don Francesco de Maria Don Giuseppe D’Auria
Agostino Marzano
Gian Angelo Sandoli
A Don Francesco de Maria si assenta la piazza di organista soprannumerario della Real Cappella senza soldo, in luogo di Don Giuseppe D’Auria che è stato nominato Canonico Ebdomadario dell’Arcivescovado. Mand. 247 pag. 12 (28 novembre 1670) È concessa una licenza di un mese ad Agostino Marzano, musico della Real Cappella, per andare a Roma “a negocios que se le ofrecen en aquella Corte”, correndogli il soldo. Mand. 247 pag. 44 (17 dicembre 1670) 1671 È concesso una licenza di tre mesi al Clerico Gian Angelo Sandoli per andarsi a ristabilire in salute a Trani, alla sua aria nativa, correndogli il soldo. Mand. 248 pag. 56 (14 aprile 1671)
Gian Angelo Sandoli
È prorogata di altri 4 mesi la licenza al clerico Gian Angelo Sandoli, che sta a Trani a curarsi, correndogli il soldo. Mand. 248 pag. 146 (9 luglio 1671)
Don Cesare Marinota
Don Cesare Marinota, sacerdote di voce contralto è assentato nella Real Cappella, come musico soprannumerario senza soldo. Mand. 250 pag. 114 (30 dicembre 1671)
Pag. 151 Vincenzo Iacobelli
1672 A Vincenzo Iacobelli è assentata una piazza di musico soprannumerario nella Real Cappella senza soldo. Mand. 251 pag. 21 (29 gennaio 1672)
Qui finisce il governo di Don Pietro D’Aragona e comincia quello del Marchese d’Astorga Cappellani
Don Gennaro Farina, Cappellano della Real Cappella muore il 2 aprile 1672. Mand. 252 pag. 51 La piazza di Cappellano che vaca per morte di Don Gennaro Farina è assentata a Don Sebastiano Mascolo. Mand. 252 pag. 79 (1 giugno 1672) La piazza di Don Sebastiano è assentata al diacono Don Gennaro Cannavale. Mand. 252 pag. 79 (1 giugno 1672) A Don Agazio Ferrari è assentata la piazza di Cappellano soprannumerario della Real Cappella senza soldo. Mand. 252 pag. 94 (1 giugno 1672) La piazza di Monacillo della Real Cappella appartenuta a Don Gennaro Cannavale è assentata al Clerico Andrea Vappiano. Mand. 252 pag. 122 (9 luglio 1672)
Antonio Mondelli
È concessa una licenza di 2 mesi all’organista Antonio Mondelli per recarsi a Trani, sua patria, per affari che richiedono la sua presenza. Mand. 252 pag. 95 (17 luglio 1672)
Pag. 152 Guglielmo Rabaca Aurelio Giannini
Antonio Mondelli
A Guglielmo Rabaca ed Aurelio Giannini sono assentate due piazze soprannumerarie di musici della Real Cappella il primo di tenore e il secondo di soprano, col soldo di 8 scudi al mese per ciascuno. Mand. 252 pag. 166 (7 agosto 1672) È prorogata di altri due mesi la licenza concessa ad Antonio Mondella, correndogli il soldo. Mand. 253 pag. 50 (22 settembre 1672)
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MAURIZIO REA
Giovan Angelo Sandoli Aurelio Giannini
Antonio Mondelli Guglielmo Rabaça
Pag. 153 Stefano Mauresi Antonio Mondelli Don Francesco Branchino
Filippo Pellegrino +
Francesco De Rise
Si borra la piazza di musico che teneva nella Real Cappella Giovan Angelo Sandoli con soldo di 8 scudi al mese, per essersi allontanato senza licenza e detta piazza è invece assentata ad Aurelio Giannini col medesimo soldo. Mand. 253 pag. 65 (26 settembre 1672) Si borra la piazza di organista che teneva nella Real Cappella Antonio Mondella, e del soldo che questi godeva si assentano a Guglielmo Rabaça 8 ducati al mese. Mand. 253 pag. 77 (17 ottobre 1672)
A Stefano Mauresi è assentata una piazza di musico di strumento della Real Cappella con 6 ducati di soldo al mese sul soldo che godeva Antonio Mondelli. Mand. 253 pag. 83 (27 ottobre 1672) Con una Cedola Reale dei 20 marzo 1672 il soprano Don Francesco Branchino, “che ha servito nella Real Cappella per 24 anni con soddisfazione e particolar assistenza, trovandosi al presente gravato di alcuni acciacchi che gl’impediscono di poter assistere al suo ordinario offizio”, è autorizzato a servire in Cappella quando e come meglio potrà conservandogli il soldo che gode, come si fece per Giovan Battista Juañez sotto Filippo III, col patto però di sospendergli detto beneficio “en caso que acuda a cantar a otra Iglesia en tiempo de festividades, como suele estilarse”. Mand. 253 pag. 125 (26 novembre 1672) Essendo vacati i 3 ducati che Don Gennaro Cannavale godeva per celebrar messa nella Real Cappella, oltre il soldo spettantegli come Monacillo, (essendo stato ora nominato Cappellano ordinario di essa), poiché detti 3 ducati (pag. 154) anteriorente li godeva l’organaro Filippo Pellegrino, essendo costui morto e non essendovi più necessità di tale piazza Don Pietro d’Aragona ordinò fossero dati a Don Gennaro Cannavale pel detto officio. Ora i 3 ducati ritornano nella situazione dei musici e vengono assentati a Francesco De Rise, musico d’arpa nella Real Cappella in più dei 4 ducati che sta godendo, in considerazione che ha 7 anni di servizio e alle spese continue che sopportata nel portare e riportare il suo strumento e nell’acquisto delle corde. Mand. 253 pag. 143 (1 dicembre 1672)
Giuseppe Brando
A Giuseppe Brando si assenta la piazza di Musico di Fagotto nella Real Cappella, senza soldo. Mand. 253 pag. 144 (7 dicembre 1672)
Antonio Mondella +
Ai figli ed eredi dell’organista Antonio Mondelli (al quale fu concessa una licenza per recarsi a Trani) è concesso il pagamento del soldo non riscosso dal defunto fino al 18 ottobre 1672, giorno della sua morte. Mand. 253 pag. 152 (12 dicembre 1672)
Pag. 155 Cappellani
1673 Per la defezione di Don Pedro Zapata, Sacristano Maggiore della Real Cappella la sua piazza è assentata a Don Giuseppe D’Amico. Mand. 254 pag. 166 (27 maggio 1673) La piazza di Cappellano di Don Giuseppe D’Amico è assentata a Don Donato Cristina. Mand. 255 pag. 14 (16 giugno 1673)
Pietro Palumbo Entrato nel 1654
1674 Con Cedola Reale del 10 settembre 1673 a Pietro Palumbo, Musico della Real Cappella, che ha 50 anni di servizio prestato con la massima soddisfazione (essendo stato assentato nel 1621) è concessa la giubilazione, correndogli l’intero soldo. Mand. 256 pag. 113 (15 febbraio 1674)
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Don Angelo Antonio Mele
Pag. 156 Don Angelo Antonio Mele Tommaso Pagano
È concessa a Don Angelo Antonio Mele una licenza per andare alla terra di Acquaviva, sua patria, per affari che richiedono la sua presenza fino al 10 del venturo mese di giugno, senza corrergli il soldo, e se per quel giorno non avrà fatto ritorno, perderà la piazza. Mand. 258 pag. 37 (15 maggio 1674)
Non essendosi ripresentato Don Angelo Antonio Mele a prender servizio pel giorno 10 gli si borra la piazza, e dei 13 ducati al mese che godeva, se ne assentano 5 all’organista Tommaso Pagano oltre i 10 che già gode e i restanti 8 ducati serviranno per la provvisione di colui che subentrerà nella piazza di tenore che serviva il detto Don Angelo. Mand. 258 pag. 65 (14 giugno 1674)
Domenico Del Vecchio
A Domenico Del Vecchio è assentata la piazza di tenore, con gli 8 ducati al mese rimasti della piazza di Don Angelo Antonio Mele. Mand. 258 pag. 66 (14 giugno 1674)
Filippo Gallipoli
Essendo vacata la piazza straordinaria di organista della Real Cappella, servita da Filippo Gallipoli, per rinunzia da lui fatta, i 5 ducati al mese che godeva passano a Don Domenico Marmitta, contralto, oltre gli 8 ducati che al presente gode. Mand. 258 pag. 83 (30 giugno 1674)
Don Domenico Marmitta 1671
Paolo de Jaymis
A Paolo de Jaymis si assenta la piazza soprannumeraria di soprano della Real Cappella fin tanto non vachi una piazza effettiva nella quale possa subentrare col soldo di 12 scudi al mese. Mand. 258 pag. 106 (10 luglio 1674)
Pag. 157 Giuseppe Basso + Giulio Riccio
1675 Essendo vacata per morte di Giuseppe Basso, la piazza di 7 scudi che questi godeva è assentata a Giulio Riccio. Mand. 261 pag. 5 (14 aprile 1675)
Agostino Marzano
Considerando la puntualità del tenore Agostino Marzano nello adempimento del servizio della Real Cappella e delle altre funzioni per cui non può procurarsi altri guadagni altrove, e all’esser carico di famiglia e figli, gli si concede un aumento di 3 scudi al mese, oltre gli 11 che già gode, alla prima vacanza di voce di tenore che avrà luogo nella Real Cappella. Mand. 261 pag. 38 (23 aprile 1675)
Nicola Vinciprova
A Nicola Vinciprova è assentata una piazza soprannumeraria di violino nella Real Cappella senza soldo, subentrando nella prima vacanza di tal strumento. Mand. 261 pag. 13 (13 maggio 1675 ) A Filippo Gallipoli, che fu musico della Real Cappella, vien pagato un mese e 14 giorni di soldo non riscosso a suo tempo. Mand. 261 pag. 64 (1 giugno 1675)
Filippo Gallippoli
Pag. 158 Stefano Maurieri
Carlo Carpentieri
A Stefano Maurieri, musico di Tiorba della Real Cappella si borra la piazza, per aver egli chiesta licenza di ritirarsi a Roma e per esser diventato superfluo tale strumento in essa. I 6 ducati che godeva al mese detto Stefano vengono invece dati in aumento a Carlo Carpenteri, contralto, sui 9 che attualmente gode avendo considerazione “a lo mucho y bien que ha servido per el espacio de 20 años, assì por servicio d’ella, como de camara, festines, paseos de Posilipo y otras ocasiones que al dia se han oferido, con toda puntualidad, por cuya causa y su corto sueldo viene impossibilitado a poder mantener con su familia por non poderse aprovechar de otra parte, stante su continua ocupacion”. Mand. 261 pag. 68 (27 maggio 1675)
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MAURIZIO REA
Giuseppe d’Elena
Considerando i meriti di Giuseppe d’Elena alias Troya, Basso della Real Cappella, nella quale presta servizio puntualmente da 25 anni, e al molto peso e obblighi di sua famiglia, non potendo procurarsi altro guadagno altrove per la continua assistenza in Cappella, nelle funzioni di Palazzo, festini e passeggi (pag. 159) di Posilipo, gli vien concesso un aumento di 10 ducati sui 14 che presentemente gode, da cominciare non appena vacherà qualche piazza in detta Cappella. Mand. 261 pag. 81 (28 maggio 1675)
Nicola Vinciprova
Nicola Vinciprova, musico soprannumerario di Violino della Real Cappella, subentra nella piazza dello stesso strumento che vaca per morte di Nicola Coppola, con lo stesso soldo del suo antecessore. Mand. 261 pag. 105 (10 luglio 1675)
Nicola Coppola +
Francesco de Riso Gallippoli Filippo
È concesso un aumento di 12 scudi al mese a Francesco de Riso, Musico d’arpa, sui 25 che vacano sulla piazza di Filippo Gallipoli, considerando la puntualità con cui ha servito nella Real Cappella e nelle altre funzioni essendo uno dei migliori di tale professione che vi siano in questa Città, considerando lo scarso soldo di 7 ducati che gode, dei quali consuma la maggior parte nell’acquisto di corde e nel pagare i facchini che trasportano l’istrumento dove occorre, e che continua (pag. 160) a prestar servizio con la massima puntualità e soddisfazione. Mand. 261 pag. 116 (20 luglio 1675)
Pietro Marchitello
A Pietro Marchitello è assentata una piazza soprannumeraria di musico di violino della Real Cappella, con soldo di 4 scudi, subentrando nella prima piazza che vacherà di tale strumento. Mand. 261 pag. 162 (15 luglio 1675)
Eredi di Nicola Coppola
Agli eredi di Nicola Coppola, musico di violino della Real Cappella, vien pagato quanto non fu riscosso dal defunto. Mand. 261 pag. 163 (20 agosto 1675)
Vincenzo Iacobelli Filippo Ricco
A Vincenzo Iacobello e a Filippo Ricco sono assentate 2 piazze soprannumerarie di Bassi nella Real Cappella, senza soldo, subentrando nelle prime vacanze di tale voce in detta Cappella. Mand. 262 pag. 21 (9 marzo 1675)
Don Donato Ricchezza
A Don Donato Ricchezza è assentata una piazza di musico di violino della Real Cappella, senza soldo. Mand. 262 pag. 34 (13 settembre 1675)
V. Filippini V. Conservatorio Poveri di G.C.
Pag. 161 Qui finisce il governo del Marchese d’Astorga e comincia quella del Marchese de Los Velez Giovan Alberto Ferreri
Il Cappellano Maggiore, Don Giovanni di Cespedes, espone che dalla fondazione della Real Cappella c’è stata sempre una piazza di 30 reali al mese per un organaro che provvedesse ad accomodare e mantenere l’organo in buono stato, e che in seguito ad una sua relazione il Viceré Don Pietro D’Aragona ordinò l’estinzione di tale piazza, dato che colui che allora la occupava, trascurava i suoi obblighi. Ora l’organo della Real Cappella non è più in grado di funzionare e se ne è dovuto prendere un altro in prestito, e per ripararlo occorrono almeno 50 ducati, per cui consiglia di ristabilire detta piazza e di assentarla all’organaro Giovanni Alberto Ferreri, il quale promette di riparare a sue spese l’organo, accontentandosi del soldo di 30 reali al mese. S.E. ordina che si provveda in tali sensi. Mand. 263 pag. 28 (16 ottobre 1675)
Pag. 162
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Don Francesco Branchino
Alberto Gallo
È concessa a Don Francesco Branchino una licenza di tre mesi per recarsi a Roma a guadagnarsi l’Anno Santo e indi recarsi alla Santa Casa di Loreto correndogli il soldo. Mand. 263 pag. 46 (12 dicembre 1675) 1676 Ad Alberto Gallo è assentata una piazza soprannumeraria di musico di violino, senza soldo, subentrando alla prima vacanza. Mand. 263 pag. 91 (22 gennaio 1676)
Cappellani
Al Canonico Don Carlo Almaniace si assenta la piazza di Cappellano in luogo del defunto Don Francesco Rosselli. Mand. 263 pag. 140 (2 dicembre 1676) Per rinunzia di Don Carlo Almaniace si assenta la piazza a Don Giuseppe (…) Mand. 264 pag. 26 (23 maggio 1676)
Agostino Marzano
Agli 11 ducati che gode il tenore Agostino Marzano se ne aumentano altri 13, per raggiungere la somma di 24 ducati, goduta dai suoi antecessori, subentrando nelle prime piazze che vacheranno (anche se non siano di voce) fino al raggiungimento di detta somma e non ostante le precedenti disposizioni emanate dal Marchese d’Astorga. Mand. 263 pag. 166 (10 aprile 1676)
Pag. 163 1677 A Don Giovanni de Cespedes (morto nel 1677) succede come Cappellano Maggiore Don Geronimo della Marra Domenico Sciarra
A Domenico Sciarra è assentata piazza soprannumeraria di soprano nella Real Cappella col soldo di 12 ducati al mese da pagarglisi alla prima vacanza. Mand. 267 pag. 23 (18 marzo 1677)
Don Francesco de Causis
Gli 11 scudi e 7 tarì che vacano della piazza del soprano Don Francesco de Causis, per essere stato egli nominato Ebdomadario dello Arcivescovato di Napoli, si assentano e pagano a Paolo de Jaymis, nonostante i precedenti mandati dispacciati a favore di altri musici. Mand. 267 pag. 173 (13 agosto 1677)
Paolo de Jaymis
Francesco Masiello
A Francesco Masiello è assentata piazza soprannumeraria di soprano nella Real Cappella con 12 scudi al mese da pagarglisi alla prima vacanza. Mand. 268 pag. 59 (16 settembre 1677)
Cappellani
Per morte del Cappellano Don Michelangelo de Colellis vaca una delle sei piazze antiche nella Real Cappella, e viene assentata a Don Giuseppe de Lillo. Mand. 268 pag. 70 (29 settembre 1677)
Carlo de Vincenzo +
Vacando la piazza di Violino della Real Cappella per morte di Carlo de Vincenzo detto “Acquaviva” che godeva un soldo (pag. 164) di 11 ducati e mezzo al mese sono concessi aumenti nella misura seguente: a Giuseppe d’Elena, ducati 2 a Agostino Marzano, ducati 2 a Domenico del Vecchio, ducati 2 a Pietro Marchitiello, ducati 2 a Carlo Benestante, ducato ½ Mand. 269 pag. 38 (22 dicembre 1677)
Giuseppe d’Elena Agostino Marzano Domenico del Vecchio Pietro Marchitiello Carlo Benestante
Don Antonio Cichilo Carlo de Vincenzo
A Don Antonio Cichilo è assentata piazza di musico di tiorba della Real Cappella col soldo dei 3 ducati che avanzano del soldo del defunto Carlo de Vincenzo, detto “Acquaviva” musico di violino. Mand. 269 pag. 36 (22 dicembre 1677) 1678
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MAURIZIO REA
Filippo Coppola
Pag. 165 Francesco Antonio Nardolino
A Filippo Coppola, Maestro della Real Cappella, è concesso un aumento di soldo che da 35 è portato a 40 ducati quanti ne hanno goduto i suoi antecessori ed anche in considerazione alla puntualità e alla fatica, con cui assiste al suo officio. Tale aumento comincerà a goderlo alla prima vacanza che si verificherà nella situazione della Real Cappella. Mand. 269 pag. 146 (febbraio 1678)
Essendovi in Cappella mancanza di un musico di violone è assentata la piazza a Francesco Antonio Nardolino con 8 scudi di soldo al mese da goderli alla prima vacanza. Mand. 270 pag. 2 (11 marzo 1678)
Cappellani
È assentato per Cappellano Don Pietro Leonardo Bavesana nella piazza di Don Leandro con lo stesso soldo. Mand. 270 pag. 8 (29 maggio 1678)
Giuseppe Brando
A Giuseppe Brando, musico di fagotto soprannumerario della Real Cappella senza soldo, ha assegnati 4 ducati al mese, da goderli nella prima vacanza. Mand. 270 pag. 46 (5 aprile 1678)
Paolo de Jaymis
A Paolo de Jaymis, soprano della Real Cappella, sono assentati altri 5 scudi mensili sopra i 12 che gli furono assentati, subentrando nella prima piazza effettiva che potrà vacare, sia di voce che di strumento. Mand. 270 pag. 80 (9 maggio 1678)
Giulio Riccio
Avendo considerazione alla puntualità con cui serve Giulio Riccio, musico della Real Cappella e “a la necessidad (pag. 166) que padeze” gli si aumenta il soldo a 10 ducati, da goderli alla prima vacanza. Mand. 270 pag. 88 (15 maggio 1678)
Domenico del Vecchio
Dovendo Domenico Del Vecchio trasferirsi, d’ordine di S.M. nella Real Corte di Madrid per servire ivi, gli si conserva in questa Real Cappella, la piazza e il soldo per tutto il tempo che resterà in quella Corte, come si è fatto per il passato. Mand. 271 pag. 154 (9 settembre 1678)
Parte per la Spagna il 12 settembre 1678
Don Cesare Marinotta
1679 A Don Cesare Marinotta, contralto soprannumerario della Real Cappella, è concesso un aumento di 4 ducati al mese, da godersi alla prima vacanza. Mand. 266 pag. 52 (4 aprile 1679)
Gaetano Veneziano
A Gaetano Veneziano è assentata una piazza soprannumeraria di organista della Real Cappella senza soldo. Mand. 266 pag. 174 (27 giugno 1679)
Francesco Falconio +
Vacando nella Real Cappella per la morte di Francesco Falconio 26 ducati e 16 grana al mese, questi si ripartiscono ai seguenti musici: (pag. 167)
Nel 1679 morì il musico tanto rinomato Francesco Falconio (dal Parrino)
Filippo Coppola Vincenzo Iacobelli Giuseppe d’Elena Filippo Ricco Agostino Marzano Don Antonio Aceti di Nola Gaetano Servillo Don Antonio Cichilo Pietro Marchetelli Don Carlo Benestante
A Filippo Coppola, Maestro di Cappella, ducati 4 A Vincenzo Iacobelli, ducati 5 A Giuseppe d’Elena, ducati 4 A Filippo Ricco, ducati 2 A Agostino Marzano, ducati 3 A Don Antonio Aceti di Nola, ducati 3 A Gaetano Servillo, ducati 3 A Don Antonio Cichilo, ducati 1 A Pietro Marchetelli, ducati 1 A Don Carlo Benestante, grana 16 Mand. 272 pag. 54 (12 agosto 1679)
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Don Giovanni Cesare Netti
Al sacerdote Don Giovanni Cesare Netti è assentata una piazza di organista soprannumerario della Real Cappella senza soldo. Mand. 272 pag. 55 (12 luglio 1679)
Eredi di Francesco Falconio
A Nicola Falconio, figlio ed erede del defunto Francesco, si libera e paga quanto non fu riscosso dal defunto fino al giorno della sua morte. Mand. 272 pag. 71 (29 agosto 1679)
Abate Pietro Andrea Ziani Filippo Coppola
Pag. 168 Filippo Coppola Tommaso Pagano Cristofaro Caresana
Don Domenico del Vecchio
Pag. 169 Francesco Provenzale
Don Agostino Forcogliano
Marc’Antonio Sifola +
Don Antonio Aceti Antonio Carrano Gaetano Servillo Francesco Antonio Nardolino Pietro Marchitiello
Cappellani
1680 All’Abate Pietro Andrea Ziani è assentata la piazza di Maestro della Real Cappella, al posto del defunto Filippo Coppola, col soldo di 35 ducati al mese dal 1 corrente. Mand. 273 pag. 81 (12 marzo 1680)
I 4 ducati di aumento che godeva sulla sua piazza il defunto Maestro di Cappella Filippo Coppola, sono assentati a Tommaso Magano, e a Cristofaro Caresana, 2 ducati per ciascuno. Mand. 273 pag. 85 (12 marzo 1680) “Il Re ecc. all’Illustrissimo Marchese de Los Velez ecc. Per dispaccio firmato di mia Real mano addì 15 gennaio 1679, feci grazia a Don Domenico del Vecchio, il Parabita, musico tenore della mia Real Cappella di un aumento di 20 scudi sui 10 che già godeva in cotesta Real Cappella da situarsi in altra forma. Essendomi stato rappresentato da parte sua che finora non gli è stata situata detta mercede, che gli è di somma necessità per il sostentamento della moglie, del padre e dei fratelli, non possedendo altri mezzi di fortuna, voglio che se li assentino nella prima vacanza che avverrà in detta mia Real Cappella. Da Madrid a 20 maggio 1680. Mand. 274 pag. 111
“Attento al estudio, merito habilidad y sufficiencia del Maestro Francesco Provenzal en la profession de la musica y a lo que en ella ha travajado, y adelantandose de muchos años a esta parte, hemos retenido hazerle merced de admitirle per musico d’esta Real Capilla, con el grado de Maestro della honorario, y con calidad que sirve de tal en la ausençias y enfermidad del Abad Don Pedro Andrea Ziani, actual Maestro de dicha Real Capilla, por la ançianidad y larga hedad que padçe, y en esta conformidad tenemos por bien que al referido Provenzal se le haga el assiento en los libros desse Officio”. Mand. 275 pag. 71 (28 novembre 1680) 1681 È concessa una licenza di 22 giorni all’Abate Don Agostino Forcogliano, Musico della Real Cappella per recarsi a Roma per affari che richiedono la sua presenza. Mand. 275 pag. 170 (18 febbraio 1681) 1682 Essendo vacata nella Real Cappella la piazza di 11 ducati appartenente a Marco Antonio Sifola, musico di strumento, ora defunto, tale somma va ripartita nel modo seguente: (pag. 170) A Don Antonio Aceti, soprano, ducati 3 A Antonio Carrano, tenore, ducati 4 A Gaetano Servillo, contralto, ducati 1 A Francesco Antonio Nardolino, violone, ducati 2 A Pietro Marchitiello, violino, ducati 1 Mand. 279 pag. 50 A Maddalena Senatore, sorella ed erede di Gian Battista Senatore, Cappella della Real Cappella, si paga la rata non riscossa del defunto.
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MAURIZIO REA
Mand. 279 pag. 54 (13 maggio 1682) Vincenzo de Angelis +
A Giovanna de Angelis, madre ed erede di Vincenzo de Angelis, musico di strumento della Real Cappella, si paga quanto non fu riscosso dal defunto. Mand. 280 pag. 33 (27 giugno 1682)
Don Antonio Guida
A Don Antonio Guida è assentata la piazza di soprano della Real Cappella col soldo di 2 scudi al mese dei 14 e 2 tarì che son vacati per morte di Vincenzo de Angelis, musico di violone, e i restanti 12 scudi e 2 tarì sono così ripartiti: A Francesco Antonio Nardolino, musico di violone, 6 ducati A Nicola Vinciprova, violino, 1 ducato (pag. 171) A Pietro Marchitiello, violino, 1 ducato A Don Antonio Cichilo, 1 ducato A Don Antonio Aceti di Nola, soprano, 1 ducato A Antonio Carrano, 1 ducato A Filippo Ricco, 1 ducato A Don Ruggiero de Federico, 2 tarì Mand. 280 pag. 42 (26 giugno 1682)
Vincenzo de Angelis + Francesco Antonio Nardolino Nicola Vinciprova Pietro Marchitiello Don Antonio Cichilo Don Antonio Aceti Antonio Carrano Filippo Ricco Don Ruggiero de Federico Marc’Antonio Sifola +
Agli eredi di Marc’Antonio Sifola è pagato il rateo non riscosso dal defunto. Mand. 280 pag. 56 (6 luglio 1682)
Cappellani
A Don Gaetano Cotugno e a Don Andrea Vapiano, che hanno piazza di monaçillos nella Real Cappalla, si assentano piazze di Cappellani soprannumerari della stessa Cappella. Mand. 282 pag. (novembre 1682)
Rocco Greco
A Rocco Greco è assentata piazza di musico di viola soprannumerario senza soldo nella Real Cappella. Mand. 282 pag. 109 (29 novembre 1682)
Antonio Guida Carlo De Fonzo +
1683 Ad Antonio Guida soprano, sono assentati 6 ducati al mese dei23 che vacano per morte di Carlo de Fonzo. Mand. 282 (5 gennaio 1683)
Pag. 172 Qui finisce il governo del Marchese di Los Velez e comincia quello del Marchese del Carpio Carlo de Fonzo + Francesco Provenzale Giuseppe de Troya Vincenzo Iacobelli Agostino Marzano Carlo Carpentieri Gaetano Servillo Antonio Aceti Pietro Marchetiello Tommaso Ghezzi Antonio Guida Paolo de Jaymis Antonio Carrano Nicola Vinciprova Giuseppe d’Elena di Troya +
I restanti 17 ducati e 9 reali che vacano per morte di Carlo de Fonzo si assentano ai seguenti musici: A Francesco Provenzale, Maestro di Cappella onorario, che assiste nelle assenze ed infermità del titolare, ducati 2 A Giuseppe de Troya, ducati 1 A Vincenzo Iacobelli, ducati 2 Ad Agostino Marzano, ducati 1 A Carlo Carpentieri, ducati 2 A Gaetano Servillo, ducati 2 Ad Antonio Aceti, reali 14 A Pietro Marchetiello, ducati 1 A Tommaso Ghezzi, ducati 1 Ad Antonio Guida, ducati 1 A Paolo de Jaymis, ducati 1 Ad Antonio Carrano, ducati 2 A Nicola Vinciprova, reali 5 Mand. 284 pag. 5 (1 febbraio 1683) Agli eredi di Giuseppe d’Elena seu Troya, che fu basso della Real Cappella, vien pagato il rateo non riscosso dal defunto. Mand. 284 pag. 15 (26 giugno 1683)
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Giuseppe Preti
Pag. 173 Antonio Nicola Manisci
Giuseppe Sicardi
La piazza di Basso vacata per morte di Giuseppe d’Elena si assenta a Giuseppe Preti con lo stesso soldo del suo antecessore. Mand. 284 pag. 88 (7 luglio 1683)
Ad Antonio Nicola Manisci è assentata piazza di soprano soprannumerario, da subentrare nella prima vacanza col soldo di 10 scudi al mese. Mand. 284 pag. 93 (23 luglio 1683) A Giuseppe Sicardi è assentata piazza di soprano soprannumerario da subentrare nella prima vacanza, col soldo di 5 scudi al mese. Mand. 284 pag. 93 (23 luglio 1683) I soprani soprannumerari Antonio Nicola Manisci e Giuseppe Sicardi ottengono licenza per passare alla Corte di Madrid al servizio di S.M. Durante la loro assenza gli è conservata la piazza. Mand. 284 pag. 138 (4 ottobre 1683)
Cappellani
Pietro Andrea Ziani + Morto nel dic. 1683
Pag. 174 Francesco Provenzale Tommaso Pagano
Don Antonio Aceti Antonio Guida Antonio Carrano Tommaso Ghezzi Vincenzo Iacobelli Gaetano Servile
Paolo Besci Giuseppe Costantino Domenico Gennaro Pietro Ugolini Giovan Carlo Caylo Giuseppe Preti Matteo Sassano detto Matteuccio
Cappellani
Al chierico Domenico De Luca è assentata piazza di monaçillo soprannumerario nella Real Cappella. Mand. 284 pag. 113 (2 settembre 1683) 1684 “Giovan Battista Ziani, herede del quondam Don Pietro Andrea Ziani, supplicando dice a V.E. come detto quondam Don Pietro Andrea suo zio, che fu Maestro della Real Cappella resta a consequire tre mesate e giorni di suo soldo, che spetta al suplicante come herede di quello. Perciò ricorre alla pietà di V.E. e la suplica farli gratia ordinare se li liberi detta summa e l’haverà a gratia ut Deus”. Vien soddisfatto. Mand. 285 pag. 125 (13 maggio 1684)
“Haviendose esentado de servir en la Capilla Real Francisco Provenzal que tenia las ausencias y enfermedades del Maestro de Capilla, y admitiendole esta defecion” si assentato a Tommaso Pagano, prima organista della Real Cappella, dette preminenze e i 2 ducati al mese che godeva il Provenzale. Mand. 285 pag. 125 (15 marzo 1684) Essendo stati esonerati dal servizio: Don Antonio Aceti Antonio Guida Antonio Carrano Tommaso Ghezzi Vincenzo Iacobelli Gaetano Servile Sono assentati: Paolo Besci per soprano con gli otto scudi al mese che godeva l’Aceti Giuseppe Costantino per contralto coi 9 scudi al mese che godeva il Guida Domenico Gennaro per tenore coi 7 scudi al mese che godeva il Carrano Pietro Ugolini per arciliuto coi 17 scudi al mese che godeva il Ghezzi Giovan Carlo Caylo per violino coi 7 scudi al mese che godeva il Servile A Giuseppe Preti si tolgono 10 scudi al mese dei 21 che gode, per darli a (pag. 175) Matteo Sassano, che dovrà servire per soprano di detta Real Cappella. Mand. 285 pag. 142 (20 aprile 1684) A Don Damiano Olazagutia è assentata la piazza di Cappellano della Real Cappella, vacata per morte di Don Nicola della Corte. Mand. 287 pag. 57 (17 agosto 1684)
183
MAURIZIO REA
Giulio Riccio +
Agli eredi di Giulio Riccio, che fu musico della Real Cappella vien pagato il rateo non riscosso dal defunto. Mand. 287 pag. 140 (13 ottobre 1684)
Giulio Riccio + Don Giovanni Cesare Netti Filippo Ricco
Dei 7 ducati che vacano per la morte di Giulio Riccio, se ne assentano 4 ducati al mese a Don Giovanni Cesare Netti, organista soprannumerario, e 3 a Filippo Ricco, Basso della Real Cappella. Mand. 286 pag. 39 (22 ottobre 1684)
Cappellani
Don Giuseppe d’Amico, Sacristano Maggiore della Real Cappella, pei suoi continui acciacchi, vien giubilato, e la piazza di lui è assentata a Don Gennaro Celentano, primo Maestro di Cerimonie, la piazza del Celentano passa a Don Gennaro Cannavale, secondo Maestro di Cerimonie, al posto del Cannavale è assentato Don Damiano Olazagutia, al (pag. 176) posto di Don Damiano subentra Don Gaetano Cotugno, monazillo, la piazza del quale è assentata al clerico Domenico De Luca. Mand. 286 pag. 8 (17 novembre 1684)
Pietro Palumbo +
Don Giulio De Marco Don Antonio Cechilo +
Giuseppe Costantini Paolo Besci Don Sebastiano Peradies Don Michelangelo Palommella Matteo Sassano
Pag. 177 Gaetano Veneziano Giovanni Cesare Netti +
Don Giovanni Cesare Netti +
Cappellani
Don Francesco Cayo (Caio) Domenico Melchiorri detto il Cacciacuore Don Donato Viglino +
1685 Agli eredi di Pietro Palumbo, che fu musico della Real Cappella, si paga il rateo non riscosso dal defunto. Mand. 286 pag. 119 (1 marzo 1685) A Don Giulio De Marco è assentata piazza di musico di violino della Real Cappella, coi 5 ducati al mese vacati per morte di Don Antonio Cechilo, musico di tiorba. Mand. 288 pag. 72 (31 ottobre 1685) 1686 Dei 9 ducati al mese che vacano per licenza concessa a Giuseppe Costantino, contralto, e dei 9 ducati e ½ al mese che vacano per licenza concessa a Paolo Besci, soprano della Real Cappella, 7 ducati si assentano a Don Sebastiano Peradies, contralto e altri 7 ducati al mese a Don Michele Angelo Palommella, soprano, e 3 ducati e ½ a Matteo Sassano, soprano sui 10 ducati e ½ che già gode. Mand. 290 pag. 28 (26 novembre 1686)
A Gaetano Veneziano, organista soprannumerario della Real Cappella senza soldo, si assentano 4 ducati al mese vacati per morte di Don Giovanni Cesare Netti, organista di detta Real Cappella. Mand. 290 pag. 28 (26 novembre 1686) Al Reverendo Don Giovan Antonio Netti, erede del defunto Don Giovanni Cesare Netti, è pagato il rateo. Mand. 290 pag. 29 (27 novembre 1686) 1687 Trovandosi il Cappellano Don Giuseppe de Lillo pieno di acciacchi ed impossibilitato a servire, la sua piazza è assentata a Don Andrea Vapiano, monazillo ordinario, e la piazza di Don Andrea è assentata al Clerico Andrea Acito. Mand. 290 pag. 70 (24 gennaio 1687) A Don Francesco Cayo, Basso e a Don Domenico Melchiorri, contralto, si assentano piazze di musico della Real Cappella, con 10 ducati per ciascuno, ricavati in parte dai 14 ducati che vacano per morte di Donato Viglino. Mand. 290 pag. 96 (12 marzo 1687)
Pag. 178
184
LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Gaetano Veneziano
È concessa licenza di due mesi a Gaetano Veneziano, musico della Real Cappella per andare nella provincia di Bari per suoi affari, correndogli il soldo. Mand. 290 pag. 110 (19 aprile 1687)
Don Donato Viglino +
A Simone Viglino erede di Don Donato Viglino che fu musico della Real Cappella si paga il rateo non riscosso dal defunto. Mand. 290 pag. 117 (21 aprile 1687)
Antonio Raycola
Ad Antonio Raycola si assenta la piazza di Organista della Real Cappella, senza soldo. Mand. 290 pag. 117 (21 aprile 1687)
Il Marchese del Carpio muore a Napoli il 15 novembre 1687. Viene da Roma a tenere provvisoriamente il governo il Gran Contestabile del Regno Don Lorenzo Colonna.
Cappellani
Tommaso Pagano
Alessandro Scarlatti
Francesco Provenzale
Tommaso Pagano
1688 A Don Gaetano Cotugno cappellano della Real Cappella si assenta la piazza di Don Damiano Olazagutia che vi ha rinunziato, e a Don Andrea Cocozza si assenta la piazza di Don Gaetano. Mand. 296 pag. 46 (19 gennaio 1688) Avendo considerazione alla puntualità e soddisfazione con cui ha servito da 30 anni a questa parte nella Real Cappella Tommaso Pagano e sta servendo al presente come (pag. 179) organista con titolo di Maestro di Cappella ad honorem, gli si fa la grazia del posto di Maestro di Cappella che teneva Alessandro Scarlatti, il quale “ha pedido licençia de retirarse a su casa”. Mand. 292 pag. 54 (22 gennaio 1688) “Atendiendo al estudio, meritos, servicios, habilidad y suficiençia que concurren en persona del Maestro Francesco Provenzal, en la profession de la Musica y a lo que en ella ha travajado, y adelentandose de muchos años a esta parte y a la estimaçion que por estos motivos han hecho d’el los Senores Virreyes, nostros predecessores, segun nos consta por las fees de officio que nos ha presentado hemos resuelto que se le assienten los diez y nueve ducatos al mes que tenia Thomas Pagano quando passò ultimamente a ser Maestro d’esta Real Capilla para que con el goze d’ellos sirva el puesto de Maestro de Capilla actual de nostra Camara que lo hemos encargado y las ausençias y enfermedades del dicho Thomas Pagano, sin que el uno se intrometta con el otro en sus empleos, sino quando por (pag. 180) impedimiento que tubiere Pagano aya de suplir su ausençia como va expressado. Tenemos por bien que en esta conformidad se le haga a los libros de esse officio el assiento de tal Maestro de Capilla de nostra Camera con los referidos 19 ducati al mes. Mand. 292 pag. 62 (24 gennaio 1688)
Qui comincia il governo del Conte di Santo Stefano Alessandro Scarlatti
Ad Alessandro Scarlatti si assenta la piazza di Maestro della Real Cappella, al posto di chi oggi la serve, col soldo e gli emolumenti che hanno goduto i suoi antecessori. Mand. 293 pag. 32 (11 marzo 1688)
Tommaso Pagano
Essendo stata assentata ad Alessandro Scarlatti la piazza di maestro di Cappella di questo Real Palazzo, Tommaso Pagano, che è attualmente a quel posto, ritorna alla piazza e al soldo che prima godeva di Maestro di Cappella ad honorem, da servire nelle assenze ed infermità del titolare. Mand. 293 pag. 32 (11 marzo 1688)
Pag. 181 Francesco Scarlatti
A Francesco Scarlatti musico della Real Cappella si paga l’intero soldo, senza alcuna ritenuta per essere stato fuori Napoli dal 1 giugno alla fine di settembre di quest’anno.
185
MAURIZIO REA
Mand. 294 pag. 70 (25 ottobre 1688) Francesco Basso
Andrea Basso Pietro Ugolino Agostino Marzano +
Considerando il lungo servizio prestato da Francesco Basso, musico suonatore della Real Cappella, S.E. dispone che i 5 ducati e 3 reali e mezzo, che egli gode al mese passino in testa d’Andrea Basso, suo figliuolo, per servire da organista. Mand. 294 pag. 88 (2 novembre1688) A Pietro Ugolino, musico della Real Cappella, sono assentati 7 ducati al mese in più del soldo che gode, dai 17 ducati, che vacano per morte di Agostino Marzano. Mand. 294 pag. 89 (18 novembre 1688)
Don Antonio Guida
A Don Antonio Guida si assenta la piazza di Musico della Real Cappella, col soldo di 6 scudi al mese, dai 17 vacati per morte di Agostino Marzano. Mand. 294 pag. 91 (26 novembre 1688)
Pag. 182 Giuseppe de Martino
1690 A Giuseppe de Martino si assenta la piazza di organaro della Real Cappella vacata per morte del predecessore. Mand. 296 pag. 120 (28 gennaio 1690)
Don Paolo Giliberto +
I 4 ducati al mese vacati nella Real Cappella per la morte del tenore Don Paolo Giliberto, sono assentati ad Alessandro Scarlatti, sul soldo che già gode di Maestro di Cappella. Mand. 296 pag. 75 (15 novembre 1689)
Alessandro Scarlatti
Francesco Provenzale Tommaso Pagano
Antonio Palumbo + Matteo Sassano Domenico Melchiorri Gaetano Veneziano Petrillo Marchitiello Nicola Vinciprova Francesco Scarlatti Giovan Carlo Chilò
A Francesco Provenzale, Maestro di Cappella, è assentata la piazza di Maestro della Real Cappella ad honorem vacata per morte di Tommaso Pagano, con la mansione di servire nelle assenze ed infermità di Alessandro Scarlatti, attuale Maestro della Real Cappella, e con tal carico gli sono assentati i 19 ducati al mese che godeva il defunto Tommaso Pagano. Mand. 297 pag. 42 (27 giugno 1690) I 7 ducati al mese vacati per morte di Antonio Palumbo, musico di violino (pag. 183) della Real Cappella vengono ripartiti tra: Matteo Sassano Domenico Melchiorri Gaetano Veneziano Petrillo Marchitiello Nicola Vinciprova Francesco Scarlatti Giovan Carlo Chilò un ducato per uno. Mand. 297 pag. 52 (11 luglio 1690)
Vincenzo Pagano Tommaso Pagano +
A Vincenzo Pagano, figlio ed erede di Tommaso Pagano, che fu organista e Maestro onorario della Real Cappella si paga il rateo non riscosso dal defunto. Mand. 297 pag. 63 (27 luglio 1690)
Don Giuseppe Prete
Avendo Don Giuseppe Prete, musico della Real Cappella, rinunziato alla piazza e al soldo di 10 ducati e ½ per ritirarsi in patria a curarsi degli acciacchi che soffre, tale soldo viene assentato a Matteo Sassano. Mand. 297 pag. 158 (7 novembre 1690)
Matteo Sassano
Nicola Grimaldi Francesco Caio +
1691 A Nicola Grimaldi si assenta la piazza che vaca per morte di Don Francesco Caio con lo stesso soldo goduto dal defunto. Mand. 298 pag. 25 (5 gennaio 1691)
186
LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Giovanni Sebastiano Francesco Scarlatti Pag. 184 Francesco Scarlatti
Don Francesco Antonio Corrado + Don Giulio de Marchi
Gennaro Cocoli Don Giacomo Cifariello
Andrea Binda
Pag. 185 Cappellani
Cappellano Maggiore
Don Carlo de Mauro +
Nicola Grimaldi Domenico del Vecchio Francesco de Riso Nicola Pagano Pietro Marchitelli Domenico de Gennaro Andrea Binda
Pag. 186 Don Antonio Maria Grimaldi Gennaro Cocoli
A Giovanni Sebastiano, che sta servendo nella Real Cappella con piazza di musico di violino senza salario, è assentato il soldo che vaca per la licenza accordata a Francesco Scarlatti.
È concessa una licenza a Francesco Scarlatti per recarsi a casa sua ad accudire alcuni suoi particolari interessi. Mand. 298 pag. 61 (23 febbraio 1691) I 14 scudi al mese che godeva Don Francesco Antonio Corrado, che fu musico della Real Cappella, e che ora vacano per la morte di lui, sono assentati a Don Giulio de Marchi, musico di violino della Real Cappella, sui 5 ducati che già gode. Mand. 299 pag. 10 (25 giugno 1691) Perché nella Real Cappella non manchino musici per assistere alle funzioni, sono ammessi Gennaro Cocoli, contralto, e Don Giacomo Cifariello, tenore, col patto che i primi 20 ducati che vacheranno in detta Cappella saranno assentati al Cocoli e dopo che questi sarà subentrato nel godimento di detti 20 ducati, se ne assenteranno 10 di quelli che immediatamente dopo vacheranno nella Real Cappella. Mand. 299 pag. 17 (6 luglio 1691) 1692 Ad Andrea Binda viene assentata una piazza di musico soprannumerario della Real Cappella. Mand. 300 pag. 149 (15 maggio 1692)
Dovendosi licenziare il Cappellano Don Donato Cristina dalla Real Cappella, nella sua piazza subentra Don Andrea Vapiano e in quella di Don Andrea, Don Domenico De Luca; in quella di Chierico Don Carmine Lanzetta. Mand. 302 pag. 136 (9 dicembre 1692) 1693 Don Antonio de Cardenas è nominato Cappellano Maggiore del Regno al posto di Don Geronimo della Marra, che è morto. Mand. 303 pag. 106 (31 marzo 1693) Agli eredi del Clerico Don Carlo de Mauro, musico della Real Cappella, è pagato il rateo non riscosso dal defunto. Mand. 303 pag. 134 (8 aprile 1693) I 10 ducati al mese vacati per la morte di Don Carlo Mauro, che era da anni giubilato, si ripartiscono fra i seguenti cantori: Nicola Grimaldi, soprano, ducati 2 Domenico del Vecchio, tenore, ducati 1 Francesco de Riso, arpista, ducati 2 Nicola Pagano, 2° violino, ducati 2 Pietro Marchitelli, 1° violino, ducati 1 Domenico de Gennaro, tenore, ducati 1 Andrea Binda, violino (senza soldo), ducati 1 Mand. 304 pag. 23 (20 giugno 1693)
A Don Antonio Maria Grimaldi è assentata piazza di tenore coi primi 10 ducati al mese che vacheranno, e restando annullati i 20 concessi a Gennaro Cocoli, contralto, che si è licenziato. Mand. 304 pag. 32 (26 giugno 1693)
187
MAURIZIO REA
Michele Mascio
A Michele Mascio è assentata piazza di musico di violino soprannumerario senza soldo. Mand. 304 pag. 71 (1 settembre 1693)
Cappellani
Don Andrea Acito, Diacono della Real Cappella, è nominato Cappellano. Mand. 304 pag. 136 (13 novembre 1693)
Domenico de Fusco
Domenico de Fusco, musico di violino è assentato come soprannumerario senza soldo. Mand. 304 pag. 136 (17 novembre 1693)
Don Carlo Ferro
A Don Carlo Ferro è assentata piazza di soprano della Real Cappella, senza soldo. Mand. 304 pag. 137 (17 novembre 1693)
Nicola Vinciprova +
Pag. 187 Biagio Longobardo
Don Anton Maria Grimaldi Domenico del Vecchio + Francesco Gizzi Domenico del Vecchio Nicola Vinciprova Matteo Sassano Don Giuseppe Annella Don Anton Maria Grimaldi
Pag. 188 Nicolò Galli Don Sebastiano Peradies
Pietro de Simone
Rocco Greco Don Giulio Marchesi (De Marco) Giuseppe Annella Nicola Grimaldi Nicola Pagano
1694 A Gennaro Rodriquez, nipote ed erede di Nicola Vinciprova, musico di violino della Real Cappella, vien pagato il rateo non riscosso dal defunto. Mand. 305 pag. 43 (1 febbraio 1694)
A Biagio Longobardo è assentata piazza di soprano soprannumerario senza soldo della Real Cappella. Mand. 305 pag. 76 (18 giugno 1694) A Don Anton Maria Grimaldi, musico soprannumerario della Real Cappella, è assentata la metà del soldo che godeva Domenico del Vecchio, il quale è morto. Mand. 305 pag. 118 (2 aprile 1694) A Francesco Gizzi è assentata piazza di contralto della Real Cappella, con la metà del soldo che godeva Domenico del Vecchio, alias Parabita. Mand. 306 pag. 7 (30 giugno 1694) Gli 8 ducati e ½ vacati per morte di Nicola Vinciprova, musico di violino, sono così ripartiti: A Matteo Sassano, ducati 5 A Don Giuseppe Annella, ducati 2 ½ A Don Anton Maria Grimaldi, ducati 1 Mand. 306 pag. 29 (15 luglio 1694)
A Nicolò Galli è assentata la piazza di musico della Real Cappella, vacata per rinunzia di Don Sebastiano Peradies, che c’è voluto ritirare in patria, con 7 ducati al mese perché serva da violino. Mand. 306 pag. 123 (13 dicembre 1694) 1695 A Pietro de Simone, maestro d’organi, è assentata piazza di organaro soprannumerario della Real Cappella senza soldo per accomodare l’organo quando occorra. Mand. 306 pag. 189 (7 gennaio 1695) A Rocco Greco è assentata la piazza di 1° violino con 10 scudi al mese dei 19 che son vacati per essere stato despedido Don Giulio Marchesi che li godeva, e i restanti 9 scudi son così ripartiti: A Giuseppe Annella, Basso, ducati 3 A Nicola Grimaldi, ducati 2 A P…lo, ducati 2 A Nicola Pagano, ducati 2
188
LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Mand. 307 pag. 25 (19 febbraio 1695) Pag. 189 Matteo Sassano
Francesco Gizzi Domenico del Vecchio (+ 10 marzo 1694)
Tommaso Barbapicciola
Pag. 190 Paolo de Jaymis Domenico Antoniello
Per tutto il tempo che Matteo Sassano resta a Vienna per eseguirvi quanto gli è stato ordinato da S.M., gli vien mantenuta chiara la piazza e pagato il soldo che oggi gode nella Real Cappella, come se la stesse servendo. Mand. 307 pag. 77 (8 aprile 1695) “Francesco Gizzo, contralto d’esta Real Cappella, espone a V.E. come l’E.V. gli segnò il memoriale della piazza che gode per la morte del quondam Parabita, che successe alli 10 de marzo 1694, per molti affari che ebbe non poté accudir alla Secreteria di Guerra, onde non fu espedito il viglietto che alli 3 de giugno, havendo bensì servito alla Real Cappella dalla morte del detto quondam Parabita. Per tanto supplica V.E. ordinare che gli sia pagato il soldo dalli 17 de marzo sino alli 29 de giugno che lo riceverà ecc.” Mand. 307 pag. 77 (8 aprile 1695)
A Tommaso Barbapicciola è assentata piazza soprannumeraria di musico di violino senza soldo. Mand. 307 pag. 82 (12 aprile 1695)
Per licenza concessa a Paolo de Giaymis musico della Real Cappella, la piazza di lui è assentata a Domenico Antoniello soprano, col soldo e le competenze che il detto Paolo gode. Mand. 307 pag. 171 (18 giugno 1695)
Francesco Vitale
A Francesco Vitale è assentata piazza di musico soprannumerario della Real Cappella senza soldo. Mand. 308 pag. 40 (9 agosto 1695)
Don Nicola Trani
A Don Nicola Trani si assenta piazza soprannumeraria di contralto nella Real Cappella. Mand. 308 pag. 89 (10 ottobre 1695)
Matteo Sassano
Matteo Sassano parte per Vienna d’ordine di S.M. pel servizio dell’Imperatore. Durante la sua assenza gli si mantiene chiara la piazza correndogli il soldo. Mand. 308 pag. 120 (15 novembre 1695)
Matteo Sassano
Per quanto Matteo Sassano sia partito per Vienna d’ordine di S.M., gli si mantiene chiara la piazza ed il soldo, come se prestasse servizio nella Real Cappella. Mand. 308 pag. 143 (19 dicembre 1695)
Pag. 191 Don Epifanio Longo + Don Giulio de Marco o Marchetti Baldassare de los Infantes
1696 Dei 9 ducati che godeva Don Epifanio Longo come tenore della Real Cappella, e che vacano per la sua morte, se ne assentano 7 a Don Giulio Marchetti e 2 a Baldassarre De los Infantes, musico di violino. Mand. 309 pag. 7 (6 gennaio 1696)
Don Domenico Marmitta
Avendo il sacerdote Don Domenico Marmitta, contralto della Real Cappella, rinunziato a 3 ducati sui 13 che gode, questi vengono assentati a Francesco Nardolino, musico di violino di detta Cappella. Mand. 309 pag. 45 (24 gennaio 1696)
Francesco Nardolino
Alessio Martucci
Ad Alessio Martucci è assentata piazza di musico di violino soprannumerario, senza soldo. Mand. 309 pag. 151 (14 febbraio 1696)
189
MAURIZIO REA
Mattia Ansalone
A Mattia Ansalone, musico di Castelnuovo, si pagano 9 grana al giorno in più del soldo ordinario. Mand. 309 pag. 62 (18 febbraio 1696)
Finisce il governo del Conte di Santo Stefano e comincia quello del Duca Medina Coeli. Pag. 192 Matteo Sassano
Matteo Sassano
Pag. 193 Cappellano Maggiore
“Il procuratore di Matteo Sassano, musico della Real Cappella supplicando espone a V.E. come essendo detto Matteo, precedente licenza del predecessore di V.E., passato nell’Imperio per servizio di Sua Maestà Cesaria, si ordinò alla Real Scrivania di Razione che se li fusse pagato e liberato il suo soldo, no obstante la sua assenza, sino al dì del ritorno del medemo Matteo, e perché al presente dalla Real Scrivania se li ricusa la liberanza e pagamento di detto soldo per causa di non esserci nuova dispensa di V.E., ricorre per tanto a V.E. e la supplica degnarsi ordinare alla detta Scrivania di Razione che liberi e paghi al detto Matteo il suo soldo durante la sua absentia et lo riceverà ecc. Vien soddisfatto. Mand. 310 pag. 44 (26 maggio 1696) Continuando tuttavia l’assenza di Matteo Sassano per regio servizio gli si prosegue il pagamento del soldo che gode come musico della Real Cappella sino a nuovo ordine. Mand. 310 pag. 100 (12 luglio 1696)
A Cappellano Maggiore del Regno è nominato Don Diego Vincente Vidania.
Francesco Gizzi
È concessa una licenza di due mesi a Francesco Gizzi, di Arpino, musico contralto, per recarsi al suo paese. Mand. 310 pag. 155 (28 agosto 1696)
Francesco de Riso
“Francesco de Riso, musico de arpa della Real Cappella, supplicando espone a V.E. come da 35 anni in circa sta servendo detta Real Cappella, con soldo di ducati 12 il mese. Per tanto essendo vacata la piazza di Carlo Rocco, basso, di 2 ducati il mese, supplica V.E. ordinare che detti 2 ducati se li aumentano sopra li 12 che tiene, affinché possa con maggior attentione accodire e servire detta Real Cappella et l’haverà, ecc. “ Vien soddisfatto. Mand. 311 pag. 32 (18 novembre 1696)
Nicolò Gallo
Pag. 194 Antonio La Manna
Torquato Sisti (Ricci) Giuseppe Annella +
Nicolò Galli
1697 È concessa licenza di 4 mesi a Nicolò Gallo, musico di violino della Real Cappella, per andar fuori Napoli. Mand. 311 pag. 64 (1 marzo 1697)
Al Chierico Antonio La Manna, detto l’Abate Camerino, si assenta la piazza di Basso soprannumerario, senza soldo. Mand. 311 pag. 94 (11 maggio 1697) A Torquato Sisti è assentata una piazza di musico della Real Cappella al posto del defunto Giuseppe Annella, che la serviva, e con lo stesso soldo del predecessore. Mand. 311 pag. 165 (24 agosto 1697) È prorogata di altri 4 mesi la licenza concessa a Nicolò Gallo, violino della Real Cappella. Mand. 311 pag. 172 (2 agosto 1697)
190
LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Giovan Antonio Guido Don Antonio de Santis +
A Giovan Antonio Guido è assentata piazza di musico della Real Cappella col soldo di 6 ducati al mese sui quattordici ducati e mezzo vacati per morte di Don Antonio De Santis. Mand. 312 pag. 49 (22 ottobre 1697)
Torquato Sisti (Ricci)
Sui 14 ducati e ½ vacati per morte di Don Antonio de Santis se ne assentano s ½ a Torquato Sisti. Mand. 312 pag. 52 (22 ottobre 1697)
Pag. 195 Domenico Antonelli
1698 Per licenza concessa a Domenico Antonelli, soprano della Real Cappella, la piazza ed il soldo da lui goduti vengono assentati al soprano Francesco Mascoli. Mand. 312 pag. 138 (5 marzo 1698)
Francesco Mascoli Don Carlo Benestante +
Al Dottor Carlo de Filippo e a Francesco Maria Benestante, soprano e decano della Real Cappella vien pagato il rateo non riscosso dal defunto. Mand. 312 pag. 159 (5 luglio 1698)
Giuseppe Caresana
S.E. ordina di eseguire il mandato del 4 aprile scorso con cui si assentava Giuseppe Caresana per basso invece di Michelangelo Palommella, al quale è stata concessa licenza per andare a servire al Duomo. Mand. 312 pag. 161 (23 giugno 1698)
Michelangelo Palombella
Alessandro Scarlatti
1699 “Alessandro Scarlatti humilmente supplicando espone come deve conseguire, per ragione del suo soldo come Maestro della Real Cappella, quattro mesate, cioè settembre, ottobre, novembre e dicembre dell’anno caduto 1698 per resto di dieci mesate che doveva conseguire il supplicante, delle quali la benignità (pag. 196) di V.E. restò servita fargliene pagare sei, cioè quattro con liberanza a parte e due in comune con tutti l’altri musici della Real Cappella, e perché Eccellentissimo Signor il supplicante viene astretto da premurose necessità urgenti della propria numerosa famiglia, supplica humilmente la grandezza di V.E. a dignarsi de ordinare li siano pagati per l’intiera gratia ottenuta da V.E. come sopra dette mesate quattro che resta da conseguire il supplicante, ecc. Mand. 313 pag. 159 (27 febbraio 1699)
Giacinto Pranzo
A Timo Pranzo, musico castrato di voce soprano, è assentata piazza di musico della Real Cappella con 12 ducati al mese, sui 51 ducati che vacano per morte e per assenza di alcuni musici. Mand. 314 pag. 40 (5 giugno 1699)
Nicola Paris
A Nicola Paris, soprano, è assentata piazza di musico nella Real Cappella, assegnandogli come soldo la somma che vaca per morte e per assenza di alcuni musici. Mand. 314 pag. 80 (18 luglio 1699)
Pag. 197 Alberto Pupa Giacinto Pranzo +
Ad Alberto Pupa è assentata piazza di soprano nella Real Cappella con 4 ducati al mese, sui 12 che vacano per morte di Giacinto Pranzo. Mand. 314 pag. 139 (1 dicembre 1699)
Baldassarre Infantes
A Baldassarre Infantes, musico di violino, è concesso un aumento di 4 ducati al mese sui 12 vacati per morte di Giacinto Pranzo. Mand. 314 pag. 139 (28 novembre 1699)
Giuseppe Goiré
A Giuseppe Goiré si assenta piazza di contralto con 4 ducati, sui 12 che vacano per morte di Giacinto Pranzo. Mand. 314 pag. 140 (26 novembre 1699)
191
MAURIZIO REA
Erede di Domenico del Vecchio
Antonio Carbone Niccolò Gallo
Pag. 198 Domenico Marmitta + (+ 26 giugno 1700)
Antonio Lauri Alberto Pupa
Don Nicola Grimaldi
Cappellani
Pag. 199 Antonio Lauri
Domenico Scarlatti Don Ruggiero de Federico +
Al Sacerdote Giuseppe del Vecchio, fratello ed erede di Domenico detto il Parabita è pagato il rateo non riscosso dal defunto. Mand. 314 pag. 152 (11 dicembre 1699) 1700 Ad Antonio Carbone, tenore, si assenta il soldo goduto da Niccolò Gallo, violino, al quale è stata concessa licenza di ritirarsi in patria. Mand. 315 pag. 64 (31 maggio 1700)
“Caterina Marmitta, sorella et erede del quondam Don Domenico Marmitta, contralto della Real Cappella, supplicando espone a V.E. come deve conseguire due mesate correnti, che sono maggio e giugno, meno 4 giorni, per tanto supplica V.E. ordinare a la Scrivania de Ratione che se le liberi et se li paghi per insino al dì della morte et l’haverà da V.E. a gratia ut Deus”. Mand. 315 pag. 89 (8 luglio 1700) Ad Antonio Lauri, tenore della Real Cappella si assentano 14 ducati al mese, 4 vacati per la partenza di Alberto Pupa, e 10 per la morte di Don Domenico Marmitta, contralto. Mand. 315 pag. 140 (7 luglio 1700) A Don Nicola Grimaldi, musico della Real Cappella, si continua a pagare il soldo, quantunque assente da Napoli per Real Servizio. Mand. 315 pag. 37 (26 ottobre 1700) 1701 Al Sacerdote Don Aniello Montuori è assentata piazza di Cappellano soprannumerario. Al Sacerdote Geronimo de Alteris è assentata piazza di Cappellano soprannumerario senza soldo. Mand. 316 pag. 85 (18 febbraio 1701)
Si concede un mese e mezzo di licenza ad Antonio Lauri per andare a Messina per affari che richiedono la sua presenza. Mand. 316 pag. 168 (3 settembre 1701) A Domenico Scarlatti, organista e compositore di musica, è assentata piazza di 11 ducati, e 2 tarì al mese sulla piazza che vaca per morte di Don Ruggiero de Federico, Basso della Real Cappella. Mand. 317 pag. 4 (13 settembre 1701)
Andrea Binda Carluccio Carpentieri +
Ad Andrea Binda, Violino della Real Cappella è concesso un aumento di 2 ducati sul soldo che vaca per morte di Carluccio Carpentieri. Mand. 317 pag. 23 (13 ottobre 1701)
Tommaso Persico
A Tommaso Persico, Basso della Real Cappella, è assentato 1 ducato e 3 tarì al mese sul soldo che vaca per morte di Don Carluccio Carpentiero, contralto. Mand. 317 pag. 23 (15 ottobre 1701)
Pag. 200 Giuseppe Lovero
Nicola Grimaldi
A Giuseppe Lovero contralto, si assentano 2 ducati sul soldo di Luccio Carpentiero. Mand. 317 pag. 23 (15 ottobre 1701) A Nicola Grimaldi, soprano, si assentano 8 ducati sul soldo di Carlo Carpentieri. Mand. 317 pag. 23 (10 ottobre 1701)
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Giuseppe Crippa
A Giuseppe Crippa, violino, si assentano 2 ducati sul soldo di Carlo Carpentiero. Mand. 317 pag. 24 (10 ottobre 1701)
Eredi di Carlo Carpentiero
Agli eredi di Carlo Carpentiero vien pagato il rateo non riscosso dal defunto. Mand. 317 pag. 35 (25 novembre 1701)
Francesco Nardolino +
A Fortunata Marmitta, vedova ed erede di Francesco Nardolino, musico di viola della Real Cappella, vien pagato il rateo non riscosso dal defunto. Mand. 317 pag. 55 (17 dicembre 1701)
Baldassar de las Infantes
A Balthasar de las Infantes, violin della Real Cappella, è concesso un aumento di 6 ducati sul soldo che vaca per morte di Francesco Nardolino. Mand. 317 pag. 56 (19 dicembre 1701)
Pag. 201 Francesco de Riso
A Francesco de Riso, musico di arpa della Real Cappella, è concesso un aumento di 6 ducati sul soldo che vaca per morte di Francesco Nardolino. Mand. 317 pag. 56 (17 dicembre 1701)
Giovanni Guido Giuseppe Avitrano
A Giovanni Guido vien revocata la piazza, e i 6 ducati al mese che gode sono assentati a Giuseppe Avitrano, musico di violino. Mand. 317 pag. 66 (23 dicembre 1701)
Torquato Sisti (Ricci)
Torquato Sisti avendo ottenuta licenza di ritirarsi in patria, gli 8 scudi che vacano, vengono assentati a Pietro Marchitelli, musico di violino della Real Cappella. Mand. 317 pag. 68 (30 dicembre 1701)
Pietro Marchitelli
Nicola Paris
1702 Essendo stato ordinato a Nicola Paris, musico della Real Cappella, di trasferirsi a Genova per Real Servizio, nell’assenza gli si conserva chiara la piazza, correndogli il soldo. Mand. 317 pag. 77 (6 gennaio 1702)
Domenico Scarlatti
Essendo stata concessa a Domenico Scarlatti, organista della Real Cappella, una licenza di 10 mesi per uscir fuori del Regno, agli (pag. 202) effetti del Real Servizio, nell’assenza gli si mantiene chiara la piazza, correndogli il soldo. Mand. 317 pag. 80 (7 gennaio 1702)
Alessandro Scarlatti
Essendo stata concessa ad Alessandro Scarlatti, Maestro della Real Cappella, una licenza di 10 mesi per uscir fuori del Regno agli effetti del Real Servizio, nell’assenza gli si mantien chiara la piazza, correndogli il soldo. Mand. 317 pag. 80 (7 gennaio 1702)
Finisce il governo del Duca di Medina Celi e comincia quello del Marchese di Villena Alessandro Scarlatti Domenico Scarlatti
Nicola Grimaldi
Pag. 203 Domenico Maio
Ad Alessandro Scarlatti, Maestro della Real Cappella, e a Domenico Scarlatti, organista, è concessa una licenza di 4 mesi per recarsi a Firenze. Durante la loro assenza gli si mantiene chiara la piazza, correndogli il soldo. Mand. 318 pag. 60 (14 giugno 1702) Nicola Grimaldi, soprano della Real Cappella, “passa a Genova y Venecia à excutar unas diligencias del Real Servicio”. Nell’assenza gli si mantien chiara la piazza, correndogli il soldo. Mand. 318 pag. 146 (1 settembre 1702)
Domenico Maio, che ha servito 5 anni da contralto nella Real Cappella di S.M. nella corte di Madrid, avendo ottenuta licenza per venire in questa città a curarsi
193
MAURIZIO REA
d’un infermità sopravvenutagli, è assentato come contralto soprannumerario, finché non si presenti qualche vacanza. Mand. 318 pag. 171 (23 ottobre 1702)
Alessandro Scarlatti
Gaetano Veneziano
Domenico Sarro
Pag. 204 Francesco Provenzale +
Nicola Grimaldi
Domenico Scarlatti Cristofaro Caresana
Domenico Sarro Antonio Lauri
Pag. 206 Francesco de Riso +
Francesco de Riso Giuseppe Brando
1704 Vacando la piazza di Primo Maestro della Real Cappella di Palazzo, per essere spirata la licenza concessa ad Alessandro Scarlatti che la serviva, tale piazza vien assentata col soldo di 30 ducati al mese. N.B. In questo mandato è sfuggito allo scriba il nome del Maestro nominato al posto dello Scarlatti, ma in seguito si vede chiaramente che la piazza fu assentata a Gaetano Veneziano. Mand. 319 pag. 20 (25 ottobre 1704) A Domenico Sarro è assentata la piazza di Secondo Maestro della Real Cappella, col soldo di 19 ducati al mese. Mand. 319 pag. 20 (25 ottobre 1704)
A Giuseppe Provenzale, figlio ed erede del defunto Francesco Provenzale, 2° Maestro della Real Cappella di Palazzo, si liberano e pagano le due mesate del soldo corrente che sono restate a darsi a detto suo padre fino al giorno della sua morte, per aiuto delle spese del suo interro. Mand. 319 pag. 23 (14 novembre 1704) 1705 A Nicola Grimaldi è concessa licenza fino a venerdì santo dell’anno venturo per recarsi a Padova. Mand. 319 pag. 45 (28 febbraio 1705) “Haviendose expedido por el Tribunal del Cappellan Mayor de este Reyno, precedente orden ñra en 25 del passado, certificatoria que a los Musicos de Capilla, organistas, archilaudes, violines, violas, harpa, sopranos o tiples, contraltos, tenores, baxos, controbaxos, lacays, musicos jubilados, musicos reformados que se han elegido por servicio de los quatro Coros de Musica de esta Real Capilla de Palacio, se le hagan sus assientos con el sueldo que cada uno deve gozar y aydos de costas, y se excuten los notamentos necessarios de los que no le deven gozare, con titulo de reformados segun vereis en dicha certificatoria y nueva Planta que en ella se declara a que nos remetimos, dandola aqui por inserta y expressada es nostra voluntad que en esse officio se excute justa su serie y thenor, haciendoles sus assientos en la expuesta forma, desde los 26 de deciembre passado, que empezaron a servir con la celebridad del dia de años de S.M., con los sueldos y ayuda de costa que a cadauno va señalado, librandoseles y pagandoseles desde el dicho dia, exceptuando Domingo Scarlati organista por haver usado licençia, en cuyo lugar se assenterà a Cristoval Caresana que entrarà con el sueldo y ocupacion que tenia el referido Domingo Scarlati, dandole la preferençia que le da su antiquedad. A Domingo Sarro, arcileud, y Antonio Lauri, tenor, que estan ausentes, a quienes se le haran sus assientos quando vengan a servir, respectos hemos dado quenta a S.M. de esta deliberanza. Mand. 319 pag. 47 (8 gennaio 1705)
A Pelagio de Riso, figlio del defunto Francesco, musico della Real Cappella, vien pagato il rateo non riscosso dal defunto, per aiuto alle spese di interro. Mand. 319 pag. 56 (25 aprile 1705)
Vacando la piazza di musico d’arpa con 10 ducati al mese per morte di Francesco de Riso e non essendovi alcun soggetto capace di prenderne il posto, ricorrendo in Giuseppe Brando, musico di fagotto soprannumerario senza soldo della Real Cappella i necessari requisiti, poiché c’è bisogno in Cappella di un tale
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
strumento, si assenta il detto Brando come musico di fagotto nella piazza del defunto De Riso, con lo stesso soldo. Mand. 319 pag. 70 (12 maggio 1705) Antonio Lauri
Angelo Itto
Nicola Paris + Giuseppe Lovero
Don Francesco Masiello Domenico Antonio Gizzi
Domenico Sarro Salvatore Toro
Pag. 208 Giuseppe de Martino
Giuseppe de Martino
Francesco Franchini Pittore e doratore
Benché fosse stato disposto che al Tenore Antonio Lauri, il quale presentemente trovasi a Palermo, si facesse l’assento col soldo segnalatogli nella nuova Pianta al suo ritorno in questa Città, ora S.E. dispone che se per Natale dell’anno in corso (pag. 207) detto Lauri non farà ritorno, perderà la piazza, e in suo luogo verrà assentato come musico ordinario Angelo Itto, tenore, col medesimo soldo fissato in detta nuova Pianta. Mand. 319 pag. 80 (10 giugno 1705) Vacando una piazza di soprano nella Real Cappella, per morte di Nicola Paris, questa è assentata a Giuseppe Lovero, nel quale concorrono tutti i requisiti. Mand. 319 pag. 107 (19 dicembre 1705) 1706 Vacando la piazza di soprano della Real Cappella, per assenza di Don Francesco Masiello, questa è assentata a Domenico Antonio Gizzi. Mand. 319 pag. 163 (30 giugno 1706) Vacando la piazza di arciliuto della Real Cappella per assenza di Domenico Sarro, questa è assentata a Salvatore Toro, col soldo di 10 scudi al mese. Mand. 319 pag. 168 (17 luglio 1706)
Occorrendo necessariamente in Cappella qualcuno che provveda ad accomodare l’organo è assentato a tale scopo Giuseppe de Martino, maestro d’organo, che ha già servito in detta Cappella, col soldo di 2 ducati al mese. Mand. 319 pag. 169 (23 gennaio 1706) A Giuseppe de Martino, organaro della Real Cappella si danno 10 ducati per il maggior lavoro sostenuto nel provvedere ai quattro organi dei quattro cori nel giorno dell’Assunta. Mand. 320 pag. 7 (22 ottobre 1706) 1707 A Francesco Franchini, indoratore e pittore di questo Real Palazzo, si dispaccia liberanza di 700 ducati per lavori di pitture e doratura eseguiti per servizio della Real Cappella di Palazzo, in conto di quanto importerà in conformità del prezzo che ha stabilito l’Ingegnere Cristofaro Schor il 26 maggio 1706. Mand. 320 pag. 20 (18 gennaio 1707)
Finisce la serie dei Viceré spagnoli. Pag. 209 Comincia la serie dei Viceré austriaci. Governo del Conte Daun Gaetano Veneziano
Francesco Mancini
Real Cappella
Vacando, in esecuzione dell’ultimo ordine di S.M., giusta la prammatica che fu pubblicata il 6 dello scorso settembre, la piazza di primo Maestro di Cappella di Palazzo, servita da Gaetano Veneziano col soldo di 30 ducati al mese, questa vien provveduta in persona di Francesco Mancini. Mand. 322 pag. 16 (5 dicembre 1707) 1708 “Tenemos por bien que la Capilla de Musica de este Real Palacio se componga de los sugetos que comprehende la adjunta nota rubricada de nostro Secretario de Estado y Guerra, en cuya conformidad hemos querido ordenar se le haga a cada uno el asiento en esse officio con los sueldos que cada uno les està
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MAURIZIO REA
señalado en ella, libre e pague en la conformidad que se ha hecho por el passado”. Mand. 322 pag. 31 (17 gennaio 1708) Pag. 210 Don Francesco Guardia
Don Francesco Guardia, Soprano della Real Cappella, nella nuova Pianta fu assentato con 7 ducati al mese e nella seconda, per errore, venne omesso, per cui si ordina alla Scrivania di Razione di riassentarlo con i detti 7 ducati. Mand. 322 pag. 48 (1 marzo 1708)
Giuseppe Brando
Occorrendo nella Real Cappella un musico di bassone (fagotto) come c’era per lo passato, essendo Giuseppe Brando musico di tale strumento, e servendo da soprannumerario in detta Real Cappella, gli si acclara la medesima piazza che aveva, e gli si libera e paga il soldo che percepiva. Mand. 322 pag. 56 (17 maggio 1708)
Giuseppe Avitrano
A Giuseppe Avitrano, musico di Violino, si dispaccia liberanza del soldo che avanza dali mesi di settembre ottobre novembre e dicembre dell’anno passato per aver servito in detta Cappella. Mand. 322 pag. 78 (26 aprile 1708)
Biagio Lombardo
Biagio Lombardo, contralto, che negli anni passati servì da soprannumerario nella Real Cappella senza soldo, si restituisce la sua antica piazza, finché non (pag. 211) entri nel numero col soldo che gli spetta. Mand. 322 pag. 80 (27 aprile 1708)
Francesco Mancini
A Francesco Mancini, Maestro della Real Cappella, si libera e paga il soldo di organista pei mesi di settembre ottobre e novembre dell’anno passato 1707, avendo servito in tale qualità col soldo di 10 ducati al mese. Mand. 322 pag. 83 (31 marzo 1708)
Nicola Ugolini
In considerazione dell’abilità che possiede Nicola Ugolini nel suonare l’arciliuto, e dei servizi di Pietro Ugolini, suo padre, prestati per lunghi anni nella Real Cappella, esso vien nominato musico di arciliuto della Real Cappella, senza soldo. Mand. 322 pag. 114 (22 giugno 1708)
Pietro Ugolini
Alessandro Scarlatti
Considerando che Alessandro Scarlatti ha servito 20 anni da Maestro in questa Real Cappella con piena approvazione, e che senza ragione gli venne tolto il posto, per esser stato obbligato ingiustamente a rinunziarlo, il Cardinal Grimani ordina di reintegrarlo nell’impiego col soldo e i lucri ad esso pertinenti, (pag. 212) come primo organista, supplendo il Maestro di Cappella nelle assenze ed infermità. Mand. 324 pag. 24 (1 dicembre 1708)
Francesco Mancini
A Francesco Mancini è assentata la piazza di Vice Maestro della Real Cappella, col soldo di 20 ducati al mese, sopra l’arrendamento del Tabacco, con le assenze, infermità e futura successione di Alessandro Scarlatti, con decorrenza dal 1° del corrente mese. Mand. 324 pag. 40 (24 dicembre 1708)
Alessandro Scarlatti
Don Antonio Manna
Alessandro Scarlatti
In considerazione dell’attività dimostrata dall’Abate Don Antonio Manna nell’aver ben servito Sua Maestà Cesarea, gli si assenta piazza di musico della Real Cappella col soldo di 8 ducati al mese, con decorrenza dal 1° luglio scorso. Mand. 324 pag. 41 (24 dicembre 1708) 1709 Ad Alessandro Scarlatti, Maestro della Real Cappella viene accresciuto il soldo a 42 ducati al mese, come già lo godeva.
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
I soldi segnalati ai musici che andarono in servizio di S.M. alla Corte di Barcellona, debbono esser (pag. 213) presi dalla dotazione ordinaria dei musici della Real Cappella. Mand. 324 pag. 57 (9 gennaio 1709) Giuseppe Salernitano
Giuseppe Salernitano è assentato per musico di violino soprannumerario della Real Cappella. Mand. 324 pag. 118 (23 aprile 1709)
Nicola Pagano Giuseppe Avitrano Andrea Binda Giulio Marchetti +
Nicola Pagano, Giuseppe Avitrano e Andrea Binda, musici di violino della Real Cappella, ottengono un aumento di un docato al mese per ciascuno sul soldo che vaca per morte di Giulio Marchetti. Mand. 325 pag. 70 (6 novembre 1709)
Antonio Rayola
Giuseppe Salernitano
Pag. 214 Cristofaro Caresana +
Gioacchino Corrado Antonio Filosa
Nicola Manna Francesco Apenta +
Lorenzo Baldacchini Don Antonio Maria Grimaldi
Pag. 215 Nicola Signorile
Francesco Sopriani
Don Francesco Marino Andrea Binda +
Alessio Martucci o Marcucci
1710 D’Ordine di S.M. il musico di violino Antonio Rayola va a Barcellona a servire quella Real Corte. Gli si danno 300 ducati di aiuto di costa pel viaggio. Mand. 325 pag. 90 (15 gennaio 1710) A Giuseppe Salernitano è assentata piazza di violino soprannumerario col soldo di 6 ducati al mese in considerazione del buon servizio finora prestato. Mand. 327 pag. 22 (18 novembre 1710)
Agli eredi di Cristofaro Caresana, organista della Real Cappella vien pagato il rateo non riscosso dal defunto. Mand. 327 pag. 25 (5 dicembre 1710) A Gioacchino Corrado è assentata la piazza di Basso, vacata per rinunzia fatta da Antonio Filosa, che la serviva, con lo stesso soldo del precedente. Mand. 327 pag. 33 (24 dicembre 1710) 1711 A Nicola Manna, musico di violino, è assentata la piazza che vaca per morte di Francesco Apenta, violino, col soldo di 2 ducati di aumento al mese. Mand. 327 pag. 74 (2 marzo 1711) A Lorenzo Baldacchini è assentata la piazza di tenore della Real Cappella, vacata per rinunzia fatta da Don Antonio Maria Grimaldi, che la serviva, con lo stesso soldo del predecessore. Mand. 327 pag. 78 (1 marzo 1711)
A Nicola Signorile è assentata piazza di musico soprano della Real Cappella senza soldo. Mand. 327 pag. 85 (2 marzo 1711) A Francesco Sopriani, musico di violoncello della Real Cappella, è pagato parte del soldo, dal giorno che cominciò a servire. Mand. 327 pag. 97 (13 giugno 1711) 1712 A Don Francesco Marino, violino soprannumerario della Real Cappella senza soldo, è assentata la piazza di violino che vaca per morte di Andrea Binda, con 2 ducati in più del soldo che questi godeva. Mand. 328 pag. 34 (22 febbraio 1712) Ad Alessio Martucci, violino soprannumerario della Real Cappella sono assentati 2 ducati al mese. Mand. 328 pag. 34 (22 febbraio 1712)
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Ignazio Rion Don Domenico Floro
Pag. 216 Francesco Apento +
Ignazio Rion è assentato per musico d’oboe della Real Cappella con 6 ducati al mese vacati sella piazza di Don Domenico Floro contralto di detta Cappella, che è stato nominato ebdomadario del Duomo. Mand. 328 pag. 49 (16 aprile 1712)
A Maria Stizia, vedova di Francesco Apento, violino della Real Cappella vien pagato il rateo non riscosso dal defunto. Mand. 328 pag. 63 (7 maggio 1712)
Domenico Salernitano
A Domenico Salernitano è assentata la piazza di violino soprannumerario della Real Cappella, senza soldo. Mand. 328 pag. 81 (1 giugno 1712)
Don Francesco Bartolotti +
A Don Domenico de Vivo, erede del defunto Don Francesco Bartolotti, soprano della Real Cappella vien pagato il rateo. Mand. 328 pag. 112 (17 agosto 1712)
Nicola Cesareo
A Nicola Cesareo è assentato piazza di musico di violino soprannumerario della Real Cappella senza soldo. Mand. 328 pag. 137 (18 ottobre 1712)
Pietro Scarlatti Giuseppe Vignola +
A Pietro Scarlatti è assentata la piazza di organista della Real Cappella, che vaca per morte di Giuseppe Vignola, col soldo e i lucri del predecessore. Mand. 328 pag. 151 (26 novembre 1712)
Pag. 217 Gian Francesco Costanzi Ignazio Rion Don Francesco Bruno
1713 Gian Francesco Costanzi, tenore è assentato nella Real Cappella con 6 ducati al mese, 4 dal soldo che godeva Ignazio Rion e 2 dal soldo che godeva Don Francesco Bruno, soprano. Mand. 329 pag. 53 (24 marzo 1713)
Giambattista Marzullo Nicolino Picchetti Don Taddeo Mallozzi Don Alessandro Inguscio Don Bonifacio Pecorone Carmine Giordano Leonardo Leo
Giambattista Marzullo, soprano, Nicolino Picchetti, soprano, Don Taddeo Mallozzi contralto, Don Alessandro Inguscio, tenore, Don Bonifacio Pecorone basso, Carmine Giordano, organista sono assentati come musici soprannumerari della Real Cappella, senza soldo, così pure Leonardo Leo, organista soprannumerario, perché possano tutti esercitarsi in detta Cappella e farsi merito.
Pietro Ugolini +
Essendo vacati 18 ducati al mese che godeva Pietro Ugolini, arciliuto, che ora è morto, detta solla vien così ripartita: a Don Antonio Manna, basso, ducati 2 a Don Alessandro Inguscio, tenore, ducati 2 a Don Taddeo Mallozzi, contralto, ducati 2 a Nicola Ugolini, arciliuto, ducati 8 a Pietro Marchitelli, violino, ducati 2 a Pietro Scarlatti, organista, ducati 2 Mand. 330 pag. 63 (20 aprile 1713)
Don Antonio Manna Don Alessandro Inguscio Don Taddeo Mallozzi Nicola Ugolini Pietro Marchitelli Pietro Scarlatti
Pag. 218 Domenico Melchiorre
Alessandro Scarlatti
Mand. 330 pag. 57 e 61 (8 aprile 1713)
È concessa una licenza di 2 mesi a Domenico Melchiorre detto l’Aquilano, musico della Real Cappella per recarsi in patria ad attendere ad alcuni suoi affari. Durante l’assenza gli continua il soldo. Mand. 330 pag. 64 (6 maggio 1713) Il Viceré Conte Daun scrive allo Spettabile Don Alonzo Pinto, Real Scrivano Maggiore di Razione: “Vi si fa questo supplemento di mandato per dirvi di eseguire i due mandati del defunto Signor Cardinal Grimani, nostro predecessore,
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
l’uno del 1° ottobre 1708 e l’altro del 5 gennaio 1709, perché Alessandro Scarlatti fosse reintegrato nell’impiego di Maestro della Real Cappella col soldo e aumento fino a 42 ducati al mese come lo aveva precedentemente goduto”. Mand. 331 pag. 2 (27 maggio 1713) Andrea Binda +
A Tommaso Binda, padre ed erede del quondam Andrea Binda, violinista della Real Cappella, vien pagato il rateo non riscosso dal defunto. Mand. 331 pag. 19 (13 luglio 1713)
Ignazio Rion
Ignazio Rion è assentato per musico d’oboe della Real Cappella col soldo di 7 ducati e 16 grana al mese dal (pag. 219) prodotto dell’ipoteca. Mand. 331 pag. 28 (12 luglio 1713)
Don Antonio Rayola
A Don Antonio Rayola, musico della Real Cappella di S.M. Cesarea, vien dispacciata liberanza di 60 ducati in conto di ciò che deve conseguire pel soldo di 8 dobloni al mese che godeva a Barcellona. Mand. 331 pag. 20 (18 luglio 1713)
Francesco Mancini
A Francesco Mancini, Vice Maestro della Real Cappella, è concesso un aumento di altri 15 ducati al mese (dal prodotto dell’ipoteca) sui 20 che già gode. Mand. 331 pag. 21 (22 luglio 1713)
Alessandro Scarlatti
Considerando che Alessandro Scarlatti, Maestro della Real Cappella, deve mantenere un servitore per far chiamare i musici nelle diverse occorrenze, gli vengono concessi 5 ducati al mese, oltre i 42 che gode, togliendoli dal prodotto dell’ipoteca. Mand. 331 pag. 22 (23 luglio 1713)
Pag. 220 Giuseppe Grippa + Giovanni Valletti
Abate Rinaldo Mango
Domenico Gizzi
Vacando una piazza di musico di violino per morte di Giuseppe Grippo, questa viene assentata a Giovanni Valletti, musico d’oboe, con gli stessi 4 ducati al mese che godeva il Grippa. Mand. 331 pag. 41 (2 settembre 1713) L’Abate Rinaldo Mango è assentato per suonatore di violoncello soprannumerario della Real Cappella senza soldo. Mand. 331 pag. 49 (25 ottobre 1713) 1714 Il Conte Daun dispaccio complemento al mandato emesso dal Conte Borromeo il 5 aprile dell’anno passato perché Domenico Gizzi, soprano, fosse assentato per musico della Real Cappella, col soldo di 8 ducati al mese. Mand. 331 pag. 110 (9 gennaio 1714)
Musici di S.M. Cesarea in Barcellona
“Dal Tribunale della Camera il 18 corrente è stata dispacciata certificatoria diretta a cotesto ufficio di Scrivania di Razione, perché a Giuseppe Brunasso si dispaccia liberanza di ducati 630, pari a 140 dobloni, che per suo ordine sono stati pagati a Barcellona al Segretario Don Juas Antonio Alvarado onde ripartirli fra i musici della Real Cappalla, secondo era indicato (pag. 221) in detta certificatoria. Mand. 331 pag.122 (24 febbraio 1714)
Domenico Gizzi Giambattista Costanzi
Domenico Gizzi, soprano, e Giambattista Costanzi, tenore, sono assentati, il primo con 8 ducati al mese, il secondo con 6 ducati al mese come musici della Real Cappella. Mand. 330 pag. 84 (9 aprile 1714)
Don Francesco Marini + Don Giuseppe Coppola +
1715 Vacando presentemente nella Real Cappella 18 ducati al mese per la morte di Don Francesco Marini, violino, Don Giuseppe Coppola, musico, e Filippo
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Filippo Ricca + Giuseppe Alborea Leonardo Leo Giacchino Corrado Giuseppe Avitrano
Ricca basso, sono aumentati Giuseppe Alborea con 8 ducati al mese, Leonardo Leo, organista, con 4 ducati al mese, Giacchino Corrado riceve un aumento di 4 ducati sul soldo che già gode, e Giuseppe Avitrano di 2 ducati.
Andrea Franchini (pittore)
Ad Andrea Franchini, pittore indoratore di questo Real Palazzo, si dispaccia liberanza per l’importo dei lavori che ha fatto dal 20 marzo 1704 fino a tutto ottobre 1709. Meno le somme già pagate al quondam Francesco Franchini, suo padre, (pag. 222) come successivamente al detto Andrea dal tempo dell’inizio dei lavori fino al giorno in cui gli venne spedita detta liberanza. Mand. 332 pag. 168 (28 novembre 1715)
Gaetano Veneziano + Ignazio Rion Giovanni Valletti Domenico Salernitano
Mand. 332 pag. 159 (5 novembre 1715)
1716 Essendo vacata una piazza di organista della Real Cappella, per morte di Gaetano Veneziano, che godeva 6 ducati al mese, questi vengono ripartiti fra Ignazio Rion, Giovanni Valletti, oboe, e Domenico Salernitano, violino soprannumerario, a 2 ducati per ciascuno. Mand. 333 pag. 148 (23 luglio 1716)
Francesco Hidembergh
A Francesco Hidembergh, tedesco, suonatore di oboe è assentata piazza soprannumeraria, senza soldo, nella Real Cappella. Mand. 333 pag. 165 (8 agosto 1716)
Andrea Franchini Pittore
Ad Andrea Franchini, pittore e indoratore del Real Palazzo, son pagati 800 ducati (giusta apprezzo dell’Ingegnero Cristofaro Schor) per lavori eseguiti nella Real Cappella, nell’inargentare candelieri, croci e altri oggetti di detta Real Cappella. Mand. 334 pag. 16 (26 settembre 1716)
Pag. 223 Antonio Rayola
Don Bonifazio Pecorone Tommaso Persico +
Antonio Rayola Musici di S.M. Cesarea
Pag. 224 Gian Battista Palomba
Francesco Mirabella + Giovanni Valletti Giuseppe Brandi +
Dal Tribunale della Real Camera il 2 corrente fu dispacciata certificatoria diretta alla Scrivania di Razione perché ad Antonio Rayola, violinista della Real Cappella di Sua Maestà Cesarea, si dispacci liberanza di 474 ducati che deve avere per ragione della mercede che S.M. gli ha concesso di 4 dobloni al mese fin dal 22 febbraio 1710. Mand. 334 pag. 84 (8 dicembre 1716) 1717 Al Sacerdote Don Bonifazio Pecorone, basso soprannumerario della Real Cappella, è assentata la piazza di Basso che vaca per morte di Tommaso Persico, che la serviva con lo stesso soldo del predecessore. Mand. 335 pag. 13 (20 marzo 1717) Dal Tribunale della Real Camera l’8 corrente fu dispacciata certificatoria diretta alla Scrivania di Razione, perché paghi ducati 1500 ad Antonio Rayola, violinista della Real Cappella di Sua Maestà Cesarea per ripartirli fra i musici indicati nella certificatoria stessa, che devono partire da Napoli per Vienna a servire in quella Real Cappella. Mand. 335 pag. 89 (15 giugno 1717)
Gian Battista Palomba è assentato per Basso soprannumerario della Real Cappella senza soldo. Mand. 335 pag. 106 (18 giugno 1717) Vacando nella Real Cappella 3 piazze: la prima per morte di Francesco Mirabella violino, che godeva 5 ducati al mese, la seconda che fu borrada a Giovanni Valletti, musico di oboe, di ducati 6 al mese e la terza per morte di Giuseppe Brando, che godeva 10 ducati al mese, tali soldi vengono così ripartiti.
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LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Domenico Salernitano Francesco d’Alborea Francesco Hidembergh Alessio Martucci Don Bonaventura Veneziano Filippo Brandi Leonardo de Leo Rinaldo Mango Don Bonifazio Pecorone
Dei 5 ducati del Mirabella, 4 ducati vengono assentati a Domenico Salernitano violino, sul soldo che già gode e l’altro concesso in aumento a Francesco d’Alborea, violoncello. Dei 6 ducati che godeva il Valletti, 3 sono assentati a Francesco Hidembergh musico d’oboe soprannumerario, 1 ad Alessio Martuscelli, violino, e gli altri 2 al sacerdote Don Bonaventura Veneziano, violino. Dei 10 ducati che vacano per morte del Brandi, fagotto, 4 vengono assentati a Filippo Brandi, suo figlio, anche fagotto, 3 a Leonardo de Leo, organista, 2 a Rinaldo Mango, violoncello soprannumerario e l’ultimo (pag. 225) ducato al Sacerdote Don Bonifazio Pecorone. Mand. 335 pag. 114 (23 giugno 1717)
Francesco Hidembergh + Paolo Pierro
I 3 ducati al mese che furono assegnati a Francesco Hidemberg il quale ora è morto, passano al secondo oboe Paolo Pierro. Mand. 335 pag. 119 (28 giugno 1717)
Gioacchino Corrado
Con biglietto di S.E. dei 20 maggio 1717 viene ordinato alla Scrivania di Razione di acclarare a Gioacchino Corrado la piazza che gli era stata appuntata dal 16 febbraio del corrente anno, pagandogli il soldo da quella data. Mand. 336 pag. 16 (22 maggio 1717)
Giuseppe Brandi erede
A Giulia Manzo, vedova di Giuseppe Brandi, musico di fagotto della Real Cappella, sono pagate le mesate di maggio e giugno non riscosse dal defunto marito, come aiuto alle spese d’interro. Mand. 336 pag. 19 (7 settembre 1717)
Pag. 226 Alessandro Scarlatti
Rocco Greco +
Leonardo Leo Pietro Scarlatti Gioacchino (…) Ignazio Rion Paolo Pietro Rinaldo Mango
Pag. 227 Ignazio Germano
Nicola Signorile Domenico Antonielli + Giuseppe Passaro Don Domenico Gizzi Francesco Guardia
Con biglietto dei 21 settembre passato S.E. concede ad Alessandro Scarlatti, Maestro della Real Cappella, il permesso di recarsi a Roma e trattenersi in quella Corte per tutto il Carnevale, ordinando alla Scrivania di Razione di continuargli il soldo durante l’assenza. Mand. 336 pag. 44 (18 ottobre 1717) 1718 Avendo S.E. saputo che i Musici della Real Cappella sono scarsamente retribuiti, causa il metodo finora tenuto circa la distribuzione delle piazze vacanti, contro la forma della Pianta antica, avendo concesso i soldi delle piazze dei musici che vacavano a Cantori e viceversa, per rimediare a tale disordine, dispone che il soldo che ora vaca per morte di Rocco Greco, musico di violino, venga così ripartito: A Leonardo Leo, organista, ducati 1 A Pietro Scarlatti, organista, ducati 1 A Gioacchino (…), 1° arciliuto, ducati 2 A Ignazio Rion, 1° oboe, grana 67 A Paolo Pietro, 2° oboe, ducati 1 e grana 33 A Rinaldo Mango, violoncello soprannumerario, ducati 1 Mand. 337 pag. 2 (15 maggio 1718)
Ignazio Germano è assentato per tenore soprannumerario della Real Cappella, senza soldo. Mand. 337 pag. 13 (26 marzo 1718) Vacando nella Real Cappella due piazze di soprano, una di 7 ducati, appartenente a Nicola Signorile, al quale è stata borrada, e l’altra di 12 ducati per morte di Domenico Antonielli detto Laurenzana, tale somma vien così ripartita: A Giuseppe Passari si assenta piazza con 10 ducati al mese A Don Domenico Gizzi 2 ducati in più degli 8 che gode A Francesco Guardia, secondo soprano 1 ducato in più dei 7 che gode
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Nicola Ricchetti Gian Battista Marzulli
A Nicola Ricchetti e a Gian Battista Marzullo, soprani soprannumerari senza soldo, si assentano 25 carlini al mese per ciascuno. Mand. 337 pag. 103 (22 agosto 1718)
Rocco Greco erede
A Dottor Francesco Onofrio Greco, figlio del defunto Rocco, musico della Real Cappella, si paga il rateo non riscosso dal padre. Mand. 337 pag. 137 (17 dicembre 1718)
Pag. 228 Gian Battista Marzullo Don Francesco Guardia Paolo Pierro
1719 Vacando la piazza di Giovan Battista Marzullo, soprano della Real Cappella, che godeva 25 carlini al mese, 10 carlini vengono assegnati a Don Francesco Guardia, anche soprano, e 15 a Paolo Pierro, oboe. Mand. 338 pag. 8 (1 marzo 1719)
1720 Comincia il governo del Cardinale Schattembach Gian Francesco Costanzi
Tommaso Scarlatti Alessandro Inguscio Ignazio Germani
Don Stefano Mottola Diego Natoli
Pag. 229 Salvatore Toro
Paolo Infantes
Andrea Franchini (pittore)
Domenico Germani + Alessandro Inguscio Ignazio Germani Tommaso Scarlatti Diego Natoli
Poiché il tenore Gian Francesco Costanzi, al quale era stata concessa licenza per recarsi a Venezia, non ha fatto ritorno, gli si borra la piazza e i 6 ducati al mese che godeva vengono così ripartiti: A Tommaso Scarlatti, 20 reali Ad Alessandro Inguscio 10 reali Ad Ignazio Germani, tenore, che ha assistito circa 3 anni in Cappella senza soldo, i restanti 3 ducati. Mand. 339 pag. 146 (9 agosto 1720) Don Stefano Mottola, basso, e Diego Natoli tenore, sono assentati per musici soprannumerari della Real Cappella, senza soldo. Mand. 339 pag. 147 (9 agosto 1720)
Salvatore Toro è assentato per musico di arciliuto soprannumerario della Real Cappella, senza soldo. Mand. 340 pag. 23 (19 settembre 1720) Paolo Infantes è assentato per musico di violino soprannumerario della Real Cappella, senza soldo. Mand. 340 pag. 38 (24 ottobre 1720) 1721 Ad Andrea Franchini, pittore del Real Palazzo si pagano ducati 90 per lavori da lui eseguiti. Mand. 340 pag. 82 (17 febbraio 1721) Gli 8 ducati che vacano per morte di Domenico Germani, tenore della Real Cappella, si ripartiscono fra gli altri tenori: Don Alessandro Inguscio, Ignazio Germani, Tommaso Scarlatti e Diego Natoli, a ragione di 2 ducati a testa. Mand. 340 pag. 82 (17 settembre 1721)
Comincia il governo del Principe di Sulmona Pag. 230 Nicola Manna + Don Bonaventura Veneziano Alessio Martucci Carlo Antonio Ginnaptis
I 6 ducati che vacano per morte di Nicola Manna, violino della Real Cappella vengono così ripartiti: A Don Bonaventura Veneziano, ducati 1 Ad Alessio Martucci, ducati 1 A Carlo Antonio Ginnaptis soprannumerario che serve da 4 anni senza soldo, ducati 4 Mand. 341 pag. 14 (29 maggio 1721)
202
LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Domenico Sarro
Dal Tribunale della Camera il 2 del passato venne dispacciati certificatoria alla Scrivania di Razione perché fosse assentato Domenico Sarro col dritto alla futura successione della piazza a Vice Maestro della Real Cappella, giusta concessione fattagli da S.M.C. e con 22 ducati e mezzo al mese con decorrenza dal 1 gennaio di quest’anno. Mand. 341 pag. 15 (24 maggio 1721)
Nicola Manna erede
A Don Antonio Manna, fratello ed erede di Nicola, vien pagato il rateo non riscosso dal defunto. Mand. 341 pag. 36 (23 luglio 1721)
Don Nicodemo Nicolai
Pag. 231 Gian Battista Palomba Don Taddeo Mallozzi
1722 Il Sacerdote Don Nicodemo Nicolai è assentato per contralto soprannumerario della Real Cappella, senza soldo. Mand. 341 pag. 101 (12 gennaio 1722)
A Gian Battista Palomba, musico soprannumerario della Real Cappella, sono assentati i 25 carlini che godeva il sacerdote Don Taddeo Mallozi, nominato ebdomadario del Duomo. Mand. 341 pag. 103 (12 gennaio 1722)
Giuseppe Vitagliano
Giuseppe Vitagliano è assentato per organista soprannumerario della Real Cappella, senza soldo. Mand. 341 pag. 123 (13 marzo 1722)
Nicola Alborea
Nicola Alborea è assentato per musico di violino soprannumerario, senza soldo. Mand. 341 pag. 126 (20 marzo 1722)
Gian Carlo Cailò +
I 10 ducati che vacano per morte di Gian Carlo Cailò, violino, della Real Cappella, si ripartiscono: A Giovanni Sebastiani, 2° violino, 2 ducati A Francesco Alborea, violoncello, 4 ducati A Paolo Infantes, violino soprannumerario, 4 ducati Mand. 341 pag. 151 (19 maggio 1722)
Giovanni Sebastiani Francesco Alborea Paolo Infantes
Comincia il governo del Cardinale d’Althan Francesco de Angelis
Pag. 232 Nicola Pagano + Domenico Milano Pietro Filomena
Salvatore Lizio
Nicola Pagano eredi
Francesco de Angelis è assentato per suonatore di contrabasso soprannumerario della Real Cappella, senza soldo. Mand. 342 pag. 57 (2 settembre 1722)
Dei 7 ducati che vacano per morte di Nicola Pagano, suonatore di contrabasso, della Real Cappella, se ne assentano 6 a Domenico Milano che da 2 anni e mezzo serve da soprannumerario, e l’altro ducato a Pietro Filomena, controbasso, che serve da 20 anni con 5 ducati. Mand. 342 pag. 58 (17 ottobre 1722) In considerazione dei meriti e dei servigi prestati da Vito Lizio, il figliuolo di lui Salvatore è assentato per oboe soprannumerario della Real Cappella senza soldo, finché non capiti qualche vacanza di Piazza ordinaria, e al reale al giorno segnalatogli da S.M.C., gliesene assegna un altro perché possa vivere fino alla prima vacanza. Mand. 342 pag. 62 (24 ottobre 1722) 1723 Ai figli di Nicola Pagano, violino della Real Cappella, vien pagato il rateo non riscosso dal defunto.
203
MAURIZIO REA
Mand. 342 pag. 133 (20 febbraio 1723)
Giovanni Comes
Pag. 233 Giovanni Fischetti
1724 Giovanni Comes è assentato per oboe soprannumerario senza soldo. Mand. 343 pag. 116 (5 gennaio 1724)
Giovanni Fischetti è assentato per organista soprannumerario senza soldo della Real Cappella, perché vi si faccia merito. Mand. 343 pag. 131 (12 febbraio 1724)
Giacomo Verrone Vito Antonio Pagliarulo
Giacomo Verrone è assentato per soprano della Real Cappella e Vito Antonio Pagliarulo per suonatore di violino soprannumerario senza soldo. Mand. 343 pag. 173 (13 maggio 1724)
Domenico Liuzzi + Nicodemo Nicolai Nicola Ricchetti Domenico Francesconi
I 7 ducati che vacano per morte di Don Domenico Liuzzi, si ripartiscono: Nicodemo Nicolai, che serve da contralto soprannumerario e gli altri 2 a Nicola Ricchetti, che serve da 10 anni con soli 25 carlini al mese. Domenico Francesconi è assentato per contralto soprannumerario senza soldo. Mand. 344 pag. 36 (5 luglio 1724)
Giuseppe de Bottis
Giuseppe de Bottis è assentato per Maestro di Cappella soprannumerario della Real Cappella, senza soldo. Mand. 344 pag. 65 (12 settembre 1724)
Nicola Alborea Alessio Martucci +
A Nicola Alborea, violinista soprannumerario senza soldo, è assentata la piazza che vaca per morte di Alessio Martucci, con 4 ducati. Mand. 344 pag. 86 (18 ottobre 1724)
Pag. 234 Giacomo Vittozzi
1725 Giacomo Vittozzi è assentato per suonatore di violone soprannumerario senza soldo. Mand. 344 pag. 144 (24 febbraio 1725)
Alessandro Scarlatti +
Essendo vacata per morte del Cavalier Alessandro Scarlatti la piazza di Primo Maestro della Real Cappella è assentato Francesco mancini col soldo e gli emolumenti del predecessore. Il posto di Vice Maestro, lasciato dal Mancini, è assegnato a Domenico Sarro col soldo di 35 ducati al mese come lo godeva il Mancini. I 22 ducati e mezzo che il Sarro godeva vengono così ripartiti: 10 ducati a Leonardo Vinci, col diritto alla successione, come lo aveva il Sarro. 6 ducati e mezzo a Leonardo Leo e i restanti 6 ducati a Giuseppe de Bottis, il primo organista, e l’altro Maestro di Cappella soprannumerario della Real Cappella.
Francesco Mancini Domenico Sarro
Leonardo Vinci Leonardo Leo Giuseppe de Bottis (vedi vol XX Scriv. di Razione, f. 20. I e III; 211 I; 245 I; 1718-1728
Pag. 235 Francesco Mancini Domenico Sarro
Leonardo Vinci Leonardo Leo Giuseppe de Bottis
Mand. 345 pag. 73 (25 ottobre 1725)
La Scrivania di Razione assicura S.E. d’aver data esecuzione al precedente mandato per quanto riguarda Francesco Mancini e Domenico Sarro, ma nuove obbiezioni circa la ripartizione dei 22 ducati e mezzo, lasciati dal Sarro. Fa intendere che tale somma era stata concessa da S.M. ad personam del Sarro, finché non avesse occupato il posto di Vice Maestro, ma che non è detta somma nella Pianta dei Musici della Real Cappella. Ora avendo ottenuto il Sarro il posto di Vice Maestro, i 22 ducati e mezzo che egli godeva debbono ricadere in beneficio della Real Azienda e non possono essere assegnati ad altri: Non accogliendo S.E. le suesposte ragioni, riconferma le già date disposizioni in favore del Vinci, del Leo e del De Bottis. Mand. 345 pag. 85 (24 novembre 1725)
204
LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Gioacchino Sarro
Matteo Sarro
Francesco Alborea Gioacchino Sarro
Angelo Ragazzi Antonio Infantes Domenico de Matteis
Don Antonio Manna + Gaetano Berenstad Angelo Ragazzi Gian Battista Palomba Nicola Ugolini Salvatore Lizio Don Francesco Antonio Cafarano
Guglielmo Cavalletti
1727 Avendo S.M.C. ammesso Giacchino Sarro per arciliutista della sua Imperial Cappella, vaca la piazza che esso occupava in questa Real Cappella, col soldo di 8 ducati al mese (pag. 236). Viene assentato in sua vece il fratello Matteo, col medesimo soldo. Mand. 346 pag. 99 (8 maggio 1727) A Francesco Alborea e a Gioacchino Sarro vien dispacciata liberanza di 900 ducati, che furono già pagati dalla Cassa Militare, con biglietto dei 16 maggio dell’anno passato, come aiuto di costa pel viaggio che fecero d’ordine di S.M. per trasferirsi alla Imperial Corte di Vienna. Mand. 346 pag. 108 (7 giugno 1727) Gli 8 ducati che vacano nella Real Cappella, vengono assentati ad Angelo Ragazzi, musico di violino. Antonio Infantes e Domenico de Matteis sono assentati per musici soprannumerari. Mand. 346 pag. 119 (5 luglio 1727) Vacando 20 ducati per morte del sacerdote Don Antonio Manna, basso, tale somma, con decorrenza dall’8 corrente, vien così ripartita: A Gaetano Berenstad, 9 ducati Ad Angelo Ragazzi, 7 ducati A Gian Battista Palumbo, 1 ducato A Nicola Ugolini, 1 ducato (pag. 237) A Salvatore Lizio, 1 ducato A Don Francesco Antonio Cafarano, 1 ducato Mand. 346 pag. 159 (15 novembre 1727) Giusta certificatoria del Tribunale della Regia Camera del 9 corrente, si dispaccia liberanza dei 1890 ducati che si pagarono a Giulio Cavalletti musico della Real Cappella per suo salario di 15 scudi al mese, contando dal 1 luglio 1717 per tutto dicembre 1720, che gli furono assegnati sulla Provincia di Capitanata, e pagati nella forma indicata in detta certificatoria. Mand. 346 pag. 169 (13 dicembre 1727)
Governo del Conte di Harrach
Pietro Marchitelli + Antonio Carbone + Giuseppe Vitagliano Vito Antonio Pagliarulo Giovanni Sebastiano Giuseppe Avitrano Baldassarre Infantes Carlo Antonio Ginnaptis Antonio Infantes Agostino Marchetti Nicola Ricchetti (pag. 238) Gian Battista Palomba Tommaso Scarlatti Lorenzo Baldacchini Gioacchino Corrado
Ignazio Germano +
1729 I venti ducati che vacano per la morte del violinista Pietro Marchitelli e del tenore Antonio Carbone, vengono così ripartiti: Al Maestro di Cappella Giuseppe Vitagliano, 2 ducati Al violinista Vito Antonio Pagliarulo, 2 ducati Al violinista Giovanni Sebastiano, 1 ducato Al violinista Giuseppe Avitrano, 1 ducato Al violinista Baldassarre Infantes, 1 ducato Al violinista Carlo Antonio Ginnaptis, 1 ducato Al violinista Antonio Infantes, 1 ducato Al soprano Agostino Marchetti, 3 ducati Al soprano Nicola Ricchetti, 1 ducato Al basso Giambattista Palomba, 1 ducato Al tenore Tommaso Scarlatti, 2 ducati Al tenore Lorenzo Baldacchini, 1 ducato Al basso Gioacchino Corrado, 2 ducati Mand. 348 pag. 26 (19 febbraio 1729) I 7 ducati che godeva il defunto Ignazio Germano, musico tenore della Real Cappella sono così ripartiti:
205
MAURIZIO REA
Don Alessandro Inguscio Diego Natoli Don Francesco Guardia Agostino Marchetti
Al Sacerdote Don Alessandro Inguscio, 2° tenore, 1 ducato A Diego Natoli, 1 ducato Al Sacerdote Don Francesco Guardia, soprano, 1 ducato Ad Agostino Marchetti, soprano, 2 ducati Mand. 348 pag. 55 (13 giugno 1729)
Giacomo Vittozzi Rinaldo Manco +
A Giacomo Vittozzi, violoncello, sono assentati i 5 ducati che vacano per morte del violoncello Rinaldo Manco. Mand. 348 pag. 107 (1 novembre 1729)
Domenico Fusco + Bonaventura Veneziano Vito Antonio Pagliarulo Antonio Infantes Domenico de Matteis
Pag. 239 Ignazio Rion
Paolo Pierro Salvatore Lizio Giovanni Gomez
Baldassarre Infantes + Carlo Antonio Ginnaptis Vito Antonio Pagliarulo Antonio Infantes Domenico de Matteis Carlo Giardino
Pietro Filomena + Francesco Aversano (De Angelis) Giovanni Palomba
1730 I 6 ducati che vacano per la morte di Domenico Fusco, violino della Real Cappella vengono ripartiti tra i seguenti violinisti: A Bonaventura Veneziano, 3 ducati A Vito Antonio Pagliarulo, 1 ducato Ad Antonio Infantes, 1 ducato A Domenico de Matteis, 1 ducato Mand. 348 pag. 154 (12 aprile 1730)
Vacando la piazza di 1° oboe, che è stata borrada ad Ignazio Rion, per essere spirata la licenza concessagli, i 7 ducati che godeva vengono così ripartiti: A Paolo Pierro, ora 1° oboe, 1 tarì A Salvatore Lizio, che da 1° oboe soprannumerario passa a 2° oboe effettivo, 5 ducati, i restanti 2 ducati e 3 carlini a Giovanni Gomez, oboe soprannumerario. Mand. 349 pag. 20 (25 agosto 1730) 1731 Per morte di Baldassarre Infantes, violinista, vacano 9 ducati, che vengono così ripartiti fra i seguenti violinisti: A Carlo Antonio Ginnaptis, 1 ducato A Vito Antonio Pagliarulo, 2 ducati Ad Antonio Infantes, 3 ducati A Domenico de Matteis, 2 ducati A Carlo Giardino, 1 ducato Mand. 349 pag. 94 (5 marzo 1731) I 6 ducati che vacano per morte del musico Pietro Filomena vengono così ripartiti: Al Controbasso Francesco Aversano 4 ducati, in più di quello che già gode. A Giovanni Palomba i restanti 2 ducati Mand. 349 pag. 168 (1 settembre 1731)
Pag. 240 Cappellano Maggiore
1732 Morto il Vidania, gli succede come Cappellano Maggiore Don Celestino Galiani. (1732)
Francesco de Angelis
A Francesco de Angelis, suonatore di contrabasso, (il quale è la stessa persona di Francesco Aversano) si asenta la piazza di contrabasso che vaca per morte di Domenico Milano, con gli stessi 6 ducati che godeva il defunto, e nella piazza lasciata dal de Angelis è assentato Gioacchino Bruno, anche musico di controbasso, con lo stesso soldo di 4 ducati al mese. Mand. 350 pag. 170 (20 dicembre 1732)
Domenico Milano + Gioacchino Bruno
Col numero 353 finiscono i “Mandatorum”
206
LA CAPPELLA REALE DI NAPOLI E I SUOI MUSICI
Pag. 241 Nuova Pianta dei Quattro Cori di Musica pel servizio della Real Cappella di Palazzo Entrata in vigore il 26 dicembre 1704
Maestro di Cappella Organisti
Arciliuti Violini
Viole Arpa Soprani
Contralti
Pag. 242 Contralti Tenori
Bassi
Controbassi Un lacché Musici giubilati
Musici riformati
Gaetano Veneziano Domenico Sarro Francesco Mancini Domenico Scarlatti Giovanni Veneziano Petruccio Ugolino Domenico Sarao Petrillo Marchitelli Gian Carlo Cailò Giovanni Sebastiano Baldassar Infantes Giuseppe Grippa Andrea Binda Giuseppe Avitrano Angelo Ragazzi Rocco Greco Giulio Marchetti Francesco de Riso Nicola Grimaldi Nicola Parise Don Francesco Masullo Domenico Antonelli Cecchino di Montesarchio Domenico Melchiorre Don Domenico Liuzzi Petrillo Giordano Domenico il Venezianello Francesco Alarcone Antonio Lauri Don Marcello Aquilani Don Anton Maria Grimaldi Domenico Gennari Don Giuseppe Coppola Filippo Ricca Tommaso Persico Antonio Filosa Nicola Pagano Vito Romano Francesco Mirabella Cristofaro Caresana Andrea Basso Matteo Sassano Don Francesco Branchino Francesco Gizzi
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soldo (ducati) 20 20 6 6 6 10 10 6 6 6 6 6 6 6 6 8 8 10 10 10 10 10 10 9 9 9
aiuto di costa (ducati) 10 4 12 9 4 2 1 10 10 6 -
9 9 8 8 8 8 7 7 7 7 6 6 5 7 5 5 -
1 1 -
208
Cesare Corsi “MON CHER MAÎTRE”. LETTERE E DOCUMENTI RIGUARDANTI MERCADANTE NELLA COLLEZIONE RODRIGUEZ DELLA BIBLIOTECA DEL CONSERVATORIO La collezione di cui si parlerà in queste pagine è giunta nella Biblioteca del Conservatorio nel 2018. Si tratta di una piccola raccolta di carte, rimasta fino ad allora in possesso della famiglia, donata dal pronipote del musicista Francesco Rodriguez, discendente della figlia di Mercadante Ismalia.1 La collezione è costituita da biglietti, lettere, fogli databili tra il 1803 e il 1876 circa, non tutti riconducibili al compositore.2 Poco più della metà delle carte può essere riferita in modo diretto o indiretto a Mercadante, la parte restante è frutto probabilmente di un interesse per la collezione di autografi illustri, una pratica diffusa nell’Ottocento che doveva essere evidentemente coltivata all’interno della famiglia. Non è sempre facile separare i due ambiti e l’identificazione dei fogli è resa più complicata dalla natura eterogenea della raccolta e dalla mancanza a volte di elementi sufficienti. Nelle brevi note che seguono ci soffermeremo in particolare sulle lettere e i fogli riguardanti Mercadante. Essi vanno complessivamente da anni vicini al soggiorno a Parigi, quindi dal 1835-1836, al 1864. In appendice ne sarà data una trascrizione.3 La raccolta è un piccolo tassello che si aggiunge al grande patrimonio mercadantiano della biblioteca.4 In generale le carte non hanno un grande valore informativo, testimoniano tuttavia una serie di relazioni di cui si cercherà di dare conto. Prenderemo in considerazione dapprima le lettere autografe, poi quelle destinate al compositore, infine quelle dirette a suoi familiari. Considereremo infine brevemente gli altri autografi che fanno parte della raccolta.
1
La figlia di Mercadante, Ismalia, aveva sposato Aniello Lanni, e aveva avuto due figli, Ugo e Armando, la figlia di Ugo, Maria Rosaria Lanni è la madre del donatore. 2 Si tratta in tutto di 25 documenti, Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli (d’ora in poi I-Nc), Rari Lettere 20.16.20/1-25. 3 Desidero esprimere la mia riconoscenza al Prof. Camillo Faverzani per i suggerimenti e per avermi generosamente aiutato a decifrare le lettere di Bayard e di Hugo riportate in appendice. 4 Per una breve sintesi si veda CESARE CORSI, Mercadante in biblioteca, in Mercadante 1870-2020, a cura di Antonio Caroccia e Paologiovanni Maione, Napoli, Edizioni San Pietro a Majella, 2020, pp. 41-57. Sulla formazione dei fondi musicali della biblioteca riguardanti Mercadante rinvio alla relazione presentata al convegno Saverio Mercadante 1870-2020. Convegno internazionale di studi, Conservatorio di musica San Pietro a Majella, 1-3 ottobre 2020, in corso di pubblicazione. Oltre alle carte, Francesco Rodriguez ha fatto dono al Conservatorio anche di un pianino Pleyel appartenuto al compositore, si veda LUIGI SISTO, Gli strumenti musicali e l’iconografia di Mercadante nelle collezioni museali del San Pietro a Majella, in ivi, pp. 59-86: 71-72. 209
CESARE CORSI
Lettere autografe e lettere a Mercadante Le lettere autografe di Mercadante presenti nel piccolo fondo sono soltanto due. La prima è del 1848 (Appendice n. 1). Già nota a Palermo,5 la lettera fa riferimento alla morte del fratello di Mercadante, Giacinto, e fu scritta dal compositore nell’immediatezza della notizia e in uno stato di grave prostrazione: «appena fui qui giunto ieri da un viaggio artistico ho trovato le due vostre lettere che mi partecipavano la desolante notizia della morte dell’affezionatissimo ed amatissimo fratello Giacinto».6 In un passo Mercadante accenna a uno dei figli di Giacinto, il nipote Giuseppe, “Peppino”, che studiava in Conservatorio e viveva a Napoli in casa del musicista: Nulla ho sin’ora detto a Peppino né tampoco alla mia famiglia. Sarebbe bene che al detto scrivesse sua madre onde narrandogli la gran perdita che viene di fare, lo esortasse a procedere con maggior profitto a fine di potere un giorno soccorrere il suo sangue.7
La seconda, senza data, è invece una breve nota per la consegna di palchi e biglietti, non sappiamo in quale teatro e per quale circostanza (Appendice n. 2). Mercadante ricorda l’incaricato del ritiro, che potrebbe essere identificato in Giovanni Scaramella, allievo in Collegio all’inizio degli anni Quaranta e poi buon flautista.8 Più numerose sono le lettere dirette a Mercadante o che è possibile riferire al compositore. Le prime di cui parleremo fanno parte di un piccolo gruppo di carte in francese, che si sarebbe tentati di porre interamente in rapporto al soggiorno a Parigi del compositore, ma hanno in realtà provenienze diverse. Mercadante, come è noto, fu invitato da Rossini a scrivere un’opera per il Théâtre Italien. Arrivò nella capitale francese il 13 settembre del 1835.9 Ad attenderlo era una straordinaria compagnia di canto, che aveva da poco dato vita ai Puritani, composta da Giulia Grisi, Giovanni Battista Rubini, Antonio Tamburini e da Luigi Lablache. Sono noti i problemi con Romani per avere un libretto, Mercadante iniziò a scrivere la musica soltanto all’inizio di gennaio, alla fine di febbraio, aveva già fatto otto prove con i cantanti, mancava solo l’aria della Grisi e si apprestava a scrivere la parte strumentale.
5
SANTO PALERMO, Saverio Mercadante. Biografia, epistolario, Fasano, Schena editore, 1985, pp. 258-259. 6 Appendice n. 1. 7 Ibidem. 8 Su Scaramella si veda CESARE CORSI, Rossini in Conservatorio. Musiche per Rossini nella biblioteca di San Pietro a Majella, in Napoli & Rossini di questa luce un raggio, a cura di Antonio Caroccia, Francesco Cotticelli, Paologiovanni Maione, Napoli, Edizioni San Pietro a Majella, 2020, pp. 205219: 210. 9 Cfr. FRANCESCA PLACANICA, Mercadante in Paris (1835-36): the critical view, «Revue belge de musicologie», LXVI, 2012, pp. 151-165. Su I briganti, CAMILLO FAVERZANI, I briganti de Jacopo Crescini pour Saverio Mercadante. Un opéra parisien entre réminiscences schilleriennes et suggestions pré-verdiennes, in Die Musik des Mörders. Les romantiques et l'opéra, a cura di Camillo Faverzani, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2018, pp. 43-68. 210
“MON CHER MAÎTRE”
I briganti andarono in scena il 22 marzo del 1836 ed ebbero solo quattro recite. Subito dopo Mercadante ripartì per Novara. L’opera ebbe un successo di stima, il soggiorno a Parigi fu tuttavia fervido di conseguenze per il compositore. L’incontro con il grand opéra, l’ascolto degli Ugonotti ebbero, come è noto, grandi influenze sul suo modo di scrivere per il teatro musicale, a partire dal Giuramento, tratto non a caso da un dramma di Victor Hugo.10 Mercadante fu introdotto nei salotti musicali della città, come è testimoniato dalla pubblicazione di una raccolta di arie italiane sul modello delle Soirées rossiniane, che incontrò subito l’interesse di Liszt.11 Ebbe modo, quindi, di intessere una serie di relazioni di cui le carte presenti nella collezione sono una testimonianza. Il primo biglietto è una missiva senza destinatario e senza data di Jean-FrançoisAlfred Bayard che sembra verosimile poter riferire a Mercadante (Appendice n. 3). Il drammaturgo scrive a un musicista e fa riferimento a un’opera in preparazione. Ne elogia la fattura, pur sottolineando il danno che alla partitura verrebbe dai tagli. Invita quindi il suo interlocutore alle prove di un proprio spettacolo: Mon cher Maître, nous sommes encore à la répétition. Les coupures dans la musique ne vont pas, elles paraissent même de nature à nuire à votre partition qui nous semble à tous délicieuse […]. Quittez donc votre répétition de là-bas, et venez à la nôtre qui porspère bien davantage. Nous vous attendons».12
A chi e a cosa si riferisca non è certo. Pare abbastanza plausibile possa trattarsi di Mercadante e de I briganti. Riguardo allo spettacolo in preparazione, alle cui prove Bayard invita il destinatario della missiva, occorre considerare che negli stessi giorni in cui Mercadante provava la sua opera il drammaturgo metteva in scena a Parigi un vaudeville, Les gants jaunes.13 È possibile che la lettera possa far riferimento a questo lavoro, il pensiero, tuttavia, va naturalmente anche agli Ugonotti rappresentati in questo stesso periodo, considerando anche gli stretti legami che univano Bayard all’autore del libretto, Eugène Scribe.14 ERNESTO PULIGNANO, “Il giuramento” di Rossi e Mercadante, Torino, EDT, 2007. Soirées Italiennes. Collection de huit ariettes et quatre duos, Mayence e Anvers, Schott, [1836]. Per un confronto con la raccolta rossiniana e sull’ambiente in cui ebbero origine le liriche di Mercadante si veda MARY ANN SMART, Parlor Games: Italian Music and Italian Politics in the Parisian Salon, «19th-century Music», XXXIV, 2010, pp. 39-60; FERENC LISTZ, Soirées Italiennes. Six amusements pour le piano sur des motifs de Mercadante, Mayence e Anvers, Schott, [1838]. 12 Appendice n. 3. 13 Devo il suggerimento a Camillo Faverzani che ringrazio. Cfr. JEAN-FRANÇOIS-ALFRED BAYARD, Les gants jaunes. Vaudeville en un acte, représenté pour la première fois, a Paris, sur le Théatre National du Vaudeville, le 6 mars 1835, Paris, Imprimerie V. Dondey Dupré, [1835]. Si basa sul vaudeville di Bayard un’opera con parti in prosa, Il ballerino ossia I guanti gialli, andata in scena nel 1839 a Napoli al teatro del Fondo con musiche di Pietro Graviller (Il ballerino ossia I guanti gialli. Melodramma comico in due atti da rappresentarsi nel Real Teatro del Fondo nell'autunno del 1839, Napoli, Tipografia Flautina, 1839). 14 Bayard era stato uno dei principali collaboratori di Scribe, a cui era legato anche da rapporti di parentela. Mercadante parla degli Ugonotti in una lettera del 26 febbraio 1836 (PALERMO, Saverio Mercadante cit., p. 163). 10 11
211
CESARE CORSI
È successiva, ma deriva con evidenza dai rapporti instaurati in questo periodo, una lettera di Scribe indirizzata a Mercadante nel 1841 (Appendice n. 4). Il drammaturgo raccomanda al musicista un giovane figlio di Mélesville, studente di musica e in quei giorni a Napoli: Mon cher Maître, voici une lettre que je reçois de Melesville elle vous expliquera mieux que je ne pourrai le faire ce qu’il veut et ce que je vous prie de vouloir lui accorder à son fils jeune étudiant en musique et qui est à Naples en ce moment.15
Si tratta di Honoré-Marie-Joseph Duveyrier, noto come Mélesville fils, che sarà attivo come musicista e autore drammatico, seguendo in quest’ultimo caso le orme paterne.16 Al periodo francese sembrerebbe possibile attribuire anche un autografo di Balzac presente tra le carte (Appendice n. 9 e fig. 1). Mercadante ebbe occasione di conoscere lo scrittore francese durante il suo soggiorno a Parigi. È lo stesso Balzac a ricordarlo nel suo epistolario, facendo riferimento a un autografo avuto dal compositore e poi inviato a Madame Hanska per la sua collezione: «je n’ai pas même été voir les Huguenots, ni cette répétition de Mercadante qui m’a valu sa signature, et que je vous envoie pour grossir vos autographes».17 È possibile che il foglio conservato dalla famiglia possa derivare da quell’incontro. Nella carta Balzac trascrive i versi della lirica «Le magique pinceau, les muses mensongères» che aveva pubblicato nel 1828 e riporterà poi nel romanzo Illusions perdues.18 Le carte “francesi” presenti nella collezione non si fermano qui. Per molte è però difficile stabilire una qualche relazione con Mercadante e la loro presenza sembrerebbe derivare più che altro da una forma di collezionismo di autografi illustri. Non è sempre agevole, tuttavia, distinguere tra i due casi. Qualche dubbio rimane anche per il biglietto di poche righe di Victor Hugo conservato nel fondo, senza data e senza destinatario, che si sarebbe portati per ovvie ragioni a riferire a Mercadante e al suo soggiorno parigino (Appendice n. 10). Le carte successive dirette a Mercadante ci portano in altri contesti. Il biglietto indirizzato al compositore da Leopoldo di Borbone il 13 marzo del 1843 (Appendice n. 5 e fig. 2) fa riferimento al ruolo avuto dal fratello di Ferdinando II, appassionato cultore delle arti, nel promuovere l’esecuzione napoletana dello Stabat mater di Rossini:
15
Appendice n. 4. Su questi e sul padre, il barone Anne-Honoré-Joseph Duveyrier noto come Mélesville, lo pseudonimo con cui firmò tutti i suoi lavori letterari e drammaturgici, si veda FRANÇOIS-JOSEPH FÉTIS, Biographie universelle des musiciens et bibliographie générale de la musique. Supplément, a cura di Arthur Pougin, Paris, Firmin Didot et C.ie, 1880, II, p. 201. 17 HONORÉ DE BALZAC, Lettres a l’étrangère (1833-1842), Paris, Calmann Lévy, 1899, p. 309, lettera del 23 marzo 1836. 18 Annales romantiques. Recueil de morceaux choisis de littérature contemporaine 1827-1828, Paris, Urbain Canel, 1828, p. 404. I versi riportati nel biglietto seguono la versione pubblicata nel 1828 e non quella con varianti presente nel romanzo (Oeuvres complètes, VII, Paris, Michel Lévy fréres éditeurs, 1869, p. 179). Il romanzo fu pubblicato la prima volta nel 1837. 16
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“MON CHER MAÎTRE”
Il Re mio fratello si è degnato permettere che si dia in Napoli lo Stabat del Rossini. Gli ho proposto lei come direttore certo che sotto un tanto maestro questa bella musica non potrà che riuscire bene. La prego quindi volerne accettare l’incarico a diriggere i concerti.19
L’esecuzione avvenne nell’aprile successivo nella sala del Museo di mineralogia. Mercadante guidò un’orchestra e un coro di oltre trecento esecutori, nella stessa circostanza fu eseguita la Sinfonia sui motivi dello Stabat scritta dal compositore per l’occasione.20 Due lettere del 1852 (Appendice n. 6 e 7) sono invece, entrambe, di presentazione di un giovane compositore russo, Alessandro Lazzareff, diretto a Napoli, una di Luigi Ricci, l’altra di Giovanni Battista Perucchini. Perucchini ricorda con nostalgia le opere di Mercadante scritte per Venezia, contrapponendole alla produzione verdiana di quell’anno alla Fenice, confermando la sua scarsa simpatia per la musica di Verdi: Alla nostra Fenice, quanto all’opera, si va assai languidamente. Si diede lo Stiffelio di Verdi, dopo la Semiramide, che non pare più quella. Presto ricomparirà (dicesi) Rigoletto pure di Verdi. Ma poco me ne interesso, mentre non sono grande ammiratore di tal maestro. Ah dove andarono i bei tempi dell’Andronico, delle Illustri rivali, dell’Emma d’Antiochia, della Vestale, degli Orazi, ecc. ecc. E perché non si osa di riprodurre questi spartiti? Perché non saprebbero eseguirli, mentre convien esprimere, cantare, e non urlare.21
La lettera contiene anche un’annotazione autografa di Velluti. Il cantante ricorda un’aria dell’Andronico, «Sorgete miei cari», che aveva interpretato nella prima rappresentazione dell’opera e utilizzato successivamente come un suo cavallo di battaglia. Bochsa la comprenderà in una raccolta di arie “alla Velluti” ridotte per arpa e pianoforte.22
19
Appendice n. 5. L’edizione a stampa della sinfonia composta da Mercadante reca la dedica a Leopoldo: Gran sinfonia sopra motivi dello Stabat mater del celebre Rossini composta espress.te per precedere la solenne esecuzione in Napoli li 3,6, e 8 aprile 1843 e umilmente dedicata a S.A.R. Il Conte di Siracusa dal M° Mercadante, ridotta per pianoforte dal Mae.o G. Lillo, Miano, Giovanni Ricordi. Per un resoconto sull’esecuzione si veda la «Gazzetta musicale di Milano», II, 1843, n. 19 del 7 maggio 1843, p. 80. 21 Appendice n. 6. Si veda, riguardo alle scarse simpatie per Verdi di Perucchini, CARLIDA STEFFAN, Per un profilo di Giovanni Battista Perucchini, in Un nobile veneziano in Europa. Teatro e musica nelle carte di Giovanni Battista Perucchini, a cura di Maria Rosa De Luca, Graziella Seminara, Carlida Steffan, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2019, pp. 3-21: 16 e sgg. 22 Furono rappresentate per la prima volta a Venezia le opere di Mercadante citate per prima da Perucchini: l’Andronico (1821), Emma di Antiochia (1834), Le due illustri rivali (1838). ROBERT NICOLAS CHARLES BOCHSA, Gems à la Velluti… arranged as duets for the harp and piano forte, London, Chappell, [1827]. 20
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Dello stesso anno è un biglietto di Francesco Paolo Bozzelli, presidente dell’Accademia reale delle scienze, che era stato precedentemente anche ministro dell’interno.23 È una breve lettera di presentazione del barone di Estorff, un archeologo di passaggio a Napoli, desideroso di conoscere il compositore e di visitare il Collegio di musica, a conferma anche di come l’istituto fosse per i viaggiatori stranieri una meta da visitare e per i napoletani uno degli orgogli nazionali da mostrare. Mercadante era socio dell’Accademia reale di Belle arti e così è ricordato da Bozzelli (Appendice n. 8). Lettere a familiari Sono due le missive dirette a familiari di Mercadante. La prima è una lettera al fratello Giacinto della duchessa d’Atri, Giulia Colonna, del 22 aprile del 1848 (Appendice n. 11). La lettera ricorda nuovamente Giuseppe, il figlio di Giacinto che viveva in casa di Mercadante: Il vostro Beppino trovasi in casa del zio dov’è trattato come un figlio, e dove passerà queste feste, mi dice Gaetanino che egli dimani verrà qui a vedermi, e non mancherò premunirlo perché vi scriva, quanto sarebbe buono se veniste in Napoli per gioire nel vedere questo caro figlio divenuto ora un bellissimo e simpatico giovinotto, spero che egli si possa in appresso formare la vostra consolazione.24
Il “Gaetanino” di cui si parla è invece Gaetano Braga, protetto dalla duchessa che ne aveva favorito l’ingresso in Conservatorio e ne sosterrà la formazione e i primi anni di carriera.25 L’episodio ricordato subito dopo si riferisce all’omaggio tributato a Mercadante di ritorno in Collegio dopo alcuni impegni teatrali. Gli allievi lo accolsero trionfalmente ed eseguirono un inno scritto per l’occasione da Gaetano Braga: Il Gran Maestro fu accolto con entusiasmo degli alunni del Collegio li si fece un trono con corona d’alloro, e poi v’era qui un pezzo di musica del nostro Braga questi avendo riscosso l’approvazione de’ suoi superiori, e specialmente del gran maestro, il quale nella effusione di cuore, l’abbracciò, fu tanta la sua commozione che svenne delirando dal piacere!26
Si tratta dell’Inno all’immortale Saverio Mercadante composto ed allo stesso de[di]cato, la cui partitura autografa è conservata in biblioteca.27 Su Bozzelli si veda la voce curata da Guido D’Agostino in Dizionario biografico degli Italiani, vol. XIII, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1971. 24 Appendice n. 11. 25 Cfr. VINCENZO BINDI, Gaetano Braga da’ ricordi della sua vita, Napoli, Francesco Giannini e figli, 1927, pp. 3-4 e 28-30. 26 Appendice n. 11. 27 I-Nc, 28.1.6/6. Secondo Florimo, che lo ricorda elencandolo tra le composizioni di Braga presenti in biblioteca, l’inno sarebbe stato scritto per il ritorno di Mercadante da Torino dopo la rappresentazione del Reggente (FRANCESCO FLORIMO, La scuola musicale di Napoli e i suoi Conservatori con uno sguardo sulla storia della musica in Italia, Napoli, Morano, 1883, III, p. 407, «Inno a più voci con orchestra, composto pel ritorno di Mercadante in Napoli da Torino ove diede Il Reggente, 1848»). 23
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Del 1864 è infine la lettera, già nota, di Rossini a Sofia Gambaro (Appendice n. 12), moglie di Mercadante, che fa riferimento alle feste per l’inaugurazione a Pesaro del monumento a Rossini.28 Per questa circostanza Mercadante aveva scritto un Inno per un organico elefantiaco, eseguito all’aperto da oltre 400 esecutori sotto la direzione di Mariani.29 In quell’occasione erano stati a Pesaro, in rappresentanza del Collegio di musica, tra le tante delegazioni arrivate da ogni parte d’Italia, Carlo Conti e Florimo, ricordati nella lettera, che avevano poi proseguito alla volta di Parigi. La collezione di autografi e i documenti Il fondo contiene anche, come dicevamo, una piccola autografoteca, fatta di lettere di provenienza diversa, che per contenuto, datazione, destinatari, non hanno relazione con Mercadante e appaiono come frutto di una forma di collezionismo. Si tratta di autografi di letterati, scrittori, scienziati, personalità illustri del mondo politico e militare. La raccolta è in sè anche un piccolo segno di preferenze e di gusti. L’elenco dei mittenti comprende Louise Stolberg contessa d’Albany,30 Alfred de Vigny,31 Cesare Cantù,32 Silvio Pellico,33 il geologo Scipione Breislak,34 il generale francese François Roguet,35 In realtà il Reggente era stato rappresentato nel 1843. Mercadante tornava invece a Napoli nel 1848 dopo un lungo giro artistico, la cui ultima tappa era stata Milano (si veda PALERMO, Saverio Mercadante cit., p. 257, lettera di Mercadante del 6 marzo 1848). 28 PALERMO, Saverio Mercadante cit., p. 66. 29 Inno a Rossini, si veda al riguardo CORSI, Rossini in Conservatorio cit., pp. 216-217. 30 I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/17, lettera di Louise Stolberg contessa d’Albany da Firenze del 2 maggio1803, senza destinatario: «Monsieur, Je m’étais advisée a votre Excellence directement espérant que ayant l’honneur d’être connue de vous ce serait un témoignage suffisant peur attester que je suis étrangère et que le Ministre des Finances ne mettait plus d’obstacle à me reconnaitre pour telle […]». 31 I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/11, biglietto senza destinatario del 7 marzo 1837: «comme il ne m’est pas possible de douter de votre amitié et que vous m’en donnez une prouve nouvelle par cet avertissement, je ne cesserai jamais, soyez-en sûr, de penser que tout procéde gracieux […]. J’irai vous voir un de ces matins […]». Un’annotazione di altra mano identifica alla fine della lettera De Vigny come «auteur romans, et drames», qualcosa di simile accade nei biglietti di Decazes e di Hugo. Nel primo Decazes è indicato con un’annotazione di altra mano come “grand référendaire de la chambre de pairs”, carica assunta nel 1834. 32 I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/22, lettera di Cesare Cantù, Milano, 28 luglio 1846: «Cara Luigia, nessuno più di Voi sa quanto poco io sappia, ma del resto quanto io sia contento di giovar con quel poco a chi sa servirsene a bene. Non potrebbe essere per me che un onore il ricevere comandi a poter prestare servizi alla Contessa Dash, che non credo errare nel supporre la nota scrittrice […]». 33 I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/19, biglietto di Silvio Pellico al conte Victor de la Tour, 6 febbraio1852, «Ill.mo Sig. Conte, la Sig. Marchesa di Barolo La prega di favorirle, tosto che sarà possibile alla S.V. gentil[issi]ma, i biglietti di cui Le ha parlato per vedere le abitazioni del Re […]». 34 I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/18 lettera di Scipione Breislak, da Varese, senza data, a destinatario sconosciuto, riguardante rilievi geologici in Valganna: «ho ricevuto la cara v.ra de’ 16 in Marchirolo (Valganna) dove mi ero situato da alcuni giorni […]», sulla lettera è aggiunto d’altra mano “celebre geologo”. 35 I-Nc Rari Lettere 20.16.20/12, breve biglietto di François Roguet a destinatario sconosciuto, Parigi, 22 giugno 1842: «Monsieur, je viens vous prier d’avoir la complaisance de me faire expédier un certificat de vie comme donataire […]». 215
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Élie Decazes, primo ministro durante il regno di Luigi XVIII,36 Massimo D’Azeglio,37 un Orleans che deve riconoscersi forse nel duca d’Aumele, Enrico d’Orleans. 38 I confini tra carte riguardanti Mercadante e gli autografi illustri sono a volte abbastanza labili e permangono dei limiti di incertezza.39 Non sappiamo chi all’interno della famiglia potesse nutrire un interesse per la raccolta. Tra le carte è presente anche un foglio con annotazioni di Ponchielli, l’ultimo in ordine cronologico del piccolo fondo. Si tratta di alcune note su tagli e cambiamenti di tonalità nel terzo atto della Gioconda, che potrebbero riferirsi a una rappresentazione dell’opera alla quale il compositore evidentemente sovrintese (Appendice n. 13): Nel tuono scritto fino al 1° quarto dell’ultima misura. Nella pag: 200 dove attaccando il basso in levare ed in tempo ordinario; nel 2° quarto l’accordo in Re poi segue lento. Con taglio la serenata continoarla in Reb con taglio di preparazione passare all’And.te poco mosso pag: 224 un tuono sotto e con egual modo col minuetto in Lab. Saltare le prime 4 misure pag: 229 ed attaccare il seguito nel tuono scritto. Il ballo delle ore studiare in tuono in modo da incominciare le ore dell’Aurora in Mib continuare sempre 1/2 tuono sotto, forse opportunamente con qualche piccolo taglio dopo il Galop alla penultima misura pag. 259.
Oltre alle lettere sono presenti infine due documenti riguardanti Mercadante. Il primo (Appendice n. 14) è un contratto sottoscritto dal compositore con i fratelli Clausetti il 13 ottobre del 1862 per la cessione di tre composizioni, la romanza A mia figlia, Il lamento del bardo e la Sinfonia fantastica, scritte in quegli anni.40 Il secondo (Appendice n. 15, fig. 3) è invece un passaporto rilasciato a Mercadante nel 1859 per un viaggio a Ravenna. Il compositore partiva accompagnato dalla figlia Ismalia. Il motivo 36
I-Nc, Rari.Lettere 20.16.20/8, frammento di un biglietto senza data e senza destinatario: «et prie M. Grolus d’envoyer […] par ordre a M. Human 2 exemplaires du cahier de marche du chemin de fer Koechlin […]». 37 I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/20, biglietto di Massimo D’Azeglio a destinatario sconosciuto e senza data: «N’ayant pas eu le bonheur de vous rencontrer chez vous aujourd’hui, je m’empresse de vous offrir mes remerciements et ceux de M.me d’Azeglio pour votre aimable invitation, que nous acceptons avec reconnaissance […]». 38 I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/23, lettera probabilmente di Enrico d’Orleans, da Napoli, 9 settembre 1852, il cugino, destinatario della missiva, potrebbe essere il re di Napoli Ferdinando II: «Une lettre que j’ai reçue avant hier soir, mon cher Cousin, sans me causer de graves inquiétudes, m’en donne cependant assez sur la santé de ma mère pour me décider à aller la voir […]». Di un solo biglietto in francese, in risposta a un invito, senza data e senza destinatario non è stato possibile individuare il mittente: «permettez moi de ne pas accepté votre aimable invitation […]» (I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/13). 39 La lettera in francese di D’Azeglio, ad esempio, appare molto lontana da qualsiasi relazione con Mercadante. Curiosamente, però, negli stessi giorni in cui il compositore metteva in scena la sua opera, D’Azeglio era a Parigi dove esponeva dei suoi lavori di pittura al Salon de Paris. Cfr. LAURA GUIDOBALDI, Un séjour à Paris de Massimo d’Azeglio peintre, «Cahiers d’études romanes», VI, 2001, pp. 227-236 <https://doi.org/10.4000/etudesromanes.226>. 40 Sui Clausetti si veda di ROSA CAFIERO, Le edizioni musicali Clausetti 1847-1864, «Fonti musicali italiane», V, 2000, pp. 97-248 e la voce curata in BIANCAMARIA ANTOLINI, Dizionario degli editori musicali italiani 1750-1930, Pisa, Edizioni ETS, 2000, pp. 129-132. 216
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del viaggio è ricordato dallo stesso musicista in una lettera a Mariani del 12 aprile di quell’anno. In questa Mercadante riferiva al suo corrispondente della sua prossima partenza insieme alla figlia, ricordava le musiche che gli erano state commissionate, lamentando ancora come il Municipio di Ravenna non avesse chiamato Mariani a dirigerle.41 Mercadante era stato invitato per le feste della Madonna Greca patrona di Ravenna, celebrate quell’anno in modo particolare.42 A questa stessa circostanza fa probabilmente cenno anche Regli parlando nella voce dedicata a Leone Giraldoni di un Salve Regina di Mercadante eseguito dal cantante a Ravenna alla presenza del compositore.43
41
Cfr. lettera a Mariani del 12 aprile 1859 (PALERMO, Saverio Mercadante cit., pp. 278-279). Cfr. PAOLO FABBRI, La musica nell’Otto e Novecento, in Storia di Ravenna, 5. L’età risorgimentale e contemporanea, a cura di Luigi Lotti, Ravenna, Comune di Ravenna, Marsilio, 1990, pp. 81-99: 95. Paolo Fabbri fa riferimento all’esecuzione di due mottetti composti per l’occasione da Mercadante («Memento rerum» e «Jesu, tibi») i cui autografi si conservano nella cattedrale della città. 43 FRANCESCO REGLI, Dizionario biografico dei più celebri poeti ed artisti melodrammatici, tragici e comici…, Torino, Enrico Dalmazzo, 1860, p. 241 42
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CESARE CORSI
APPENDICE
Lettere di Mercadante 1. Lettera di Mercadante al nipote, Napoli, 25 ottobre 1848, 1 carta, entrambe le facciate scritte (INc, Rari Lettere 20.16.20/1)44 Napoli 25 ott[obre] 1848 Car[issi]mo Nipote appena qui giunto ieri da un viaggio artistico ho trovato le due vostre lettere che mi partecipano la desolante notizia della morte dell’aff[ezionatissi]mo ed amatissimo fratello Giacinto. Questa mattina vidi vostro fr[ate]llo il quale mi rese pure ostensibile la vostra a lui diretta pel funesto ogetto. Domani mi recherà due suppliche per il Ministro e Direttore di Finanze onde conseguire il vostro intento a quell’oggetto mi adoprerò più che mi sarà possibile. Intanto vi unisco qui una poliza di d[uca]ti 30 non permettendomi la ristrettezza nella quale mi trovo di fare di più, attesi i calamitosi tempi che corrono pe’ quali ogni lucro è cessato e non rimanendomi che la paga del Collegio per far fronte a tutti i miei bisogni. Continuate a prestarvi, datemi tempo e confido nella divina provvidenza che vorrà darmi i mezzi di secondarvi nell’opera pia e dovuta verso i figli del defunto. Nulla ho sin’ora detto a Peppino né tampoco alla mia famiglia. Sarebbe bene che al detto scrivesse sua madre onde narrandogli la gran perdita che viene di fare, lo esortasse a procedere con maggior profitto a fine di potere un giorno soccorrere il suo sangue. Ciò è necessario, indispensabile, poiché la poltroneria lo domina e non progredisce. Con altra mia vi rimetto il bigliettino della posta per ritirare questa assicurata. Coraggio, rassegnazione et Iddio sarà con noi. Abbracciate tutti e cred[etemi] vostro Mercadante
2. Biglietto di Mercadante a Giuseppe De Introtolis, senza data, 1 carta, entrambe le facciate scritte (I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/2) [facciata 2] Al S.r / D. Giuseppe De Introtolis / da Mercadante Caro D[on] Peppino Vi prego di consegnare al p[resente] Scaramella li 3 palchi ed i 12 biglietti. Il v[ostr]o Mercadante Lettere a Mercadante e carte probabilmente a lui appartenute 3. Lettera di Jean-François-Alfred Bayard forse indirizzata a Mercadante, senza data [febbraio 1836?], 1 carta, solo la prima facciata scritta (I-Nc, Rari lettere 20.16.20/9) Mon cher Maître nous sommes encore à la répétition. Les coupures dans la musique ne vont pas, elles paraissent même de nature à nuire à votre partition qui nous semble à tous délicieuse. M. Gérard est ici et nous voudrions bien que vous passiez causer un instant avec lui.
44
PALERMO, Saverio Mercadante cit., pp. 258-259.
218
“MON CHER MAÎTRE” Quittez donc votre répétition de là-bas, et venez à la nôtre qui prospère bien davantage. Nous vous attendons. Votre affectionné Bayard 4. Lettera di Scribe a Mercadante, Montalais (Meudon), 3 giugno 1841, 1 carta, solo la prima facciata scritta (I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/5) Mon cher Maître, voici une lettre que je reçois de Melesville elle vous expliquera mieux que je ne pourrai le faire ce qu’il veut et ce que je vous prie de vouloir lui accorder à son fils jeune étudiant en musique et qui est à Naples en ce moment. Veuillez, m’envoyer la lettre chez moi ou plus tôt et comme je suis en campagne, chez Melesville rue de la Chaussée d’Antin n° 26 tout à vous Montalais 3 juin 1841 E. Scribe 5. Lettera di Leopoldo di Borbone a Mercadante, Napoli, 13 marzo 1843, 1 carta ripiegata in due, solo la prima facciata scritta (I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/4) Napoli 13 marzo 1843 Caro Mercadante il Re mio fratello si è degnato permettere che si dia in Napoli lo Stabat del Rossini. Gli ho proposto lei come direttore certo che sotto un tanto maestro questa bella musica non potrà che riuscire bene. La prego quindi volerne accettare l’incarico a diriggere i concerti. Mi creda Suo amico Leopoldo 6. Lettera di Luigi Ricci a Mercadante, Trieste, 28 gennaio 1852, 1 carta ripiegata in due, solo la prima facciata scritta (Rari. Lettere, 20.16.20/7) Caro Mercadante siccome viene a Napoli il Sig:r Alexandro Lazzareff compositore di musica desidera conoscerti, apprezzando molto la tua musica, ed io che conosco che sei gentile con le persone di merito, non ho potuto fare a meno di dargli queste poche righe acciocché possa venire da te. Saluta tanto la bella Sofia, credimi Il tuo amico Luigi Ricci Trieste 28 gennajo 1852 7. Lettera di Giovanni Battista Perucchini a Mercadante, 31 gennaio 1852, 1 carta ripiegata in due, 4 facciate tutte scritte (I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/6) [facciata 4] All’egregio Signore / ll Sr. Saverio Mercadante / maestro, celebre compositore di musica, e direttore del Conservatorio / a Napoli Amicone Venezia li 31 gennaio 1852
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CESARE CORSI
a dire il vero dovrei essere un po’ in colera, mentre da tanti anni non mi desti segno di vita, non rispondendo né pure a qualche mia lettera. Ma pazienza, perdono tutto al patto che ti mi scriva qualche righetta, dandomi notizia di te, e della tua carissima tua moglie, alla quale ti prego assai di ricordarmi. Queste poche righe, scritte di volo, ti saranno recate dal Cav[alie]re russo Alessandro Lazzareff, compositore di musica. Recandosi a Napoli egli desidera molto di fare la tua conoscenza, ed io sono ben contento di procurargliene il mezzo. Alla nostra Fenice, quanto all’opera, si va assai languidamente. Si diede lo Stiffelio di Verdi, dopo la Semiramide, che non pare più quella. Presto ricomparirà (dicesi) Rigoletto pure di Verdi. Ma poco me ne interesso, mentre non sono grande ammiratore di tal maestro. Ah dove andarono i bei tempi dell’Andronico, delle Illustri rivali, dell’Emma d’Antiochia, della Vestale, degli Orazi, ecc. ecc. E perché non si osa di riprodurre questi spartiti? Perché non saprebbero eseguirsi, mentre convien esprimere, cantare, e non urlare. Capisco che sarò retrogrado. Io però non posso cangiare. Bondì, amicone, pistacchione. Il tuo antico e sempre aff[ezionatissmi]mo Perucchini Volta carta Velluti, mio ospite, mi incarica di dirti tante tante cose per lui. Abbiamo ricordato Sorgete miei cari cantato dal tuo aff[ezionatissi]mo Velluti45 Come vedrai mi fu presa la penna di mano, e dovetti cedere per l’autografo. 8. Biglietto di Francesco Paolo Bozzelli a Mercadante, Napoli, 13 giugno 1852, 1 carata ripiegata in due, scritte la prima e la quarta facciata (I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/3) [facciata 4] Al Chiarissimo / Signor Cavalier Mercadante / Socio della reale Accademia di belle arti / Direttore del real Conservatorio di musica / In S. Pietro a Maiella Mio gentile amico questo microscopico bigliettino vi sarà presentato dal dotto e benemerito archeologo, signor Barone di Estorff, Ciambellano di Sua Maestà il Re de’ Paesi Bassi. Pria di lasciar Napoli, ove trovasi viaggiando, egli desidera conoscer voi personalmente, e al tempo stesso vedere il vostro Real Conservatorio di musica. Vi prego di essergli cortese delle vostre amabili accoglienze. 13 giugno 1852 Tutto vostro per sempre Bozzelli 9. Foglio autografo di Balzac, 1 carta, solo la prima facciata scritta (I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/14) Le magique pinceau, les muses mensongères n’orneront pas toujours de mes feuilles légères le fidèle vélin et le crayon furtif de ma belle maîtresse me confîra souvent sa secrete allegresse ou son muet chagrin ah quand ses doigts plus lourds à mes pages fanées demanderont raison des jeunes années aujourd’hui l’avenir 45
Da «sorgete» a questo punto di mano di Velluti. 220
“MON CHER MAÎTRE” alors, veuille l’amour que de son beau voyage le fécond souvenir soit doux à contempler comme un ciel sans nuage de Balzac
10. Biglietto di Victor Hugo, senza destinatario e senza data, 1 carta, solo la prima facciata scritta (INc, Rari Lettere 20.16.20/10) Je suis paresseux le matin et vous le soir. C’est pourquoi j’aime mieux vous envoyer les lectures avant de me coucher. Bonne chance. Je vous donne la main et vous veux céans. Victor Hugo lundi 7 [ill.] h. [ill.] de Paris Lettere a familiari di Mercadante 11. Lettera della duchessa d’Atri, Giulia Colonna, a Giacinto Mercadante, 22 aprile 1848, 1 carta ripiegata in due, scritte le prime due facciate, con busta (I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/16) [busta] All’Ill.mo Signore / Il Tenente D. Giacinto Mercadante Martinsicuro Napoli 22 aprile 48 Amabilissimo Tenente grata sono a’ vostri ricordi ed alla vostra amicizia sono troppo persuasa della sincerità de’ vostri auguri, e ve ne rendo infiniti ringraziamenti, ricevete anche i miei auguri e quelli di mio marito e siate ancor voi certo che i voti nostri non sono dettati dall’uso, ma dalla sincera amicizia quale ho sempre avuta per voi. Il vostro Beppino trovasi in casa del zio dov’è trattato come un figlio, e dove passerà queste feste, mi dice Gaetanino che egli dimani verrà qui a vedermi, e non mancherò premunirlo perché vi scriva, quanto sarebbe buono se veniste in Napoli per gioire nel vedere questo caro figlio divenuto ora un bellissimo e simpatico giovinotto, spero che egli si possa in appresso formare la vostra consolazione. Il Gran Maestro fu accolto con entusiasmo degli alunni del Collegio li si fece un trono con corona d’alloro, e poi v’era qui un pezzo di musica del nostro Braga questi avendo riscosso l’approvazione de’ suoi superiori, e specialmente del gran maestro, il quale nella effusione di cuore, l’abbracciò, fu tanta la sua commozione che svenne delirando dal piacere! Che ne dite caro Tenente? Vi sareste voluto trovare presente a quella commovente scena? Sono persuasa, che questo articolo vi farà versar lagrime di consolazione. Mi dispiace che quest’anno non potrò riveder Giulia perché la salute di mio marito non lo permette, verrà dunque invece Luigino con la sposa che saranno quest’anno li nostri li nostri [sic] giochi [?] Addio caro tenente, tante cose alla vostra famiglia, e credetemi per sempre V[ost]ra Affez[ionatissi]ma Duchessa d’Atri 12. Lettera di Rossini a Sofia Mercadante, Passy (Parigi), 12 settembre 1864, 1 carta ripiegata in due, solo le prime due facciate scritte, con busta (I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/15) [busta] (Italie) / A Madama Mercadante / moglie del celebre compositore / di musica / Napoli
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Madama Mercadante alcuni amici mi scrissero da Pesaro sul finire del mese p[rossimo] p[assato] essere partiti di colà per la volta di Parigi i maestri Conti e Florimo, fui lieto a questa notizia poiché mi promettea essa non solo il bene di rivedere due carissimi amici, ma eziandio avere in loro due valentissimi interpreti onde (nel loro ritorno a Napoli) far agradire in mio nome al vostro illustre consorte i sentimenti della mia viva gratitudine per quanto egli magistralmente aveva operato in onore della mia Patria e di me stesso; attesi sino ad’ora, incerto come il sono del loro arrivo in debito sacro di offrire a Mercadante il tributo che le è ben dovuto prendo a libertà di rivolgermi a voi e pregarvi di dichiarare al vostro celebre compagno che la mia riconoscenza ugualia la mia ammirazione per lui; nella dolce lusinga che queste parole offertele da voi abbian l’efficacità da me sinceramente desiata, mi do l’onore e il piacere di dirmi Vostro Devoto Servitore G. Rossini Passy de Paris 12 sett[em]bre 1864 A madama Mercadante Napoli Altre carte
13. Foglio con annotazioni di Ponchielli riguardante tagli e cambiamenti di tonalità nel terzo atto della Gioconda, 1 carta, solo la prima facciata scritta (I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/21) Atto 3:° nel tuono scritto fino al 1° quarto dell’ultima misura. Nella pag: 200 dove attaccando il basso in levare ed in tempo ordinario; nel 2° quarto l’accordo in Re poi segue lento46 Con taglio la serenata continoarla in Reb con taglio di preparazione passare all’And.te poco mosso pag: 224 un tuono sotto e con egual modo col minuetto in Lab. Saltare le prime 4 misure pag: 229 ed attaccare il seguito nel tuono scritto. Il ballo delle ore studiare in tuono in modo da incominciare le ore dell’Aurora in Mib continuare sempre ½ tuono sotto, forse opportunamente con qualche piccolo taglio dopo il Galop alla penultima misura pag. 259 [facciata 2] Autografo Ponchielli47 Documenti 14. Contratto tra Mercadante e i fratelli Clausetti, 23 ottore 1862, 1 carta ripiegata in due, solo la prima facciata scritta (I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/24), in grassetto le parti prestampate Atto di cessione in doppio originale Colla presente scrittura privata da parte il Sig.r Saverio Mercadante e dall’altra i fratelli Clausetti dichiarano e convengono quanto appresso. Il Sig.r Saverio Mercadante dichiara di aver ceduto ai signori fratelli Clausetti, l’unica legittima ed esclusiva proprietà delle seguenti sue composizioni per canto con accompagnamento di pianoforte e per pianoforte solo intitolate. A mia figlia. Romanza per voce di Baritono dedicata al distinto artista di canto Alfonso Guercia. 46 47
Segue, cancellato, «invece di attaccare subito da pag. 212». Di altra mano. 222
“MON CHER MAÎTRE” Il Lamento del Bardo. Fantasia a grande orchestra, in partitura Sinfonia fantastica in partitura In forza di questa cessione i soli editori suddetti sono autorizzati a stampare o far stampare ed a pubblicare o far pubblicare in tutti i paesi le sue suddescritte composizioni tanto in originale quanto in qualunque riduzione, rappresentazione o esecuzione. Qualsiasi ristampa delle composizioni suddette che si avesse a pubblicare in tutti i paesi come sopra senza l’espressa approvazione dei signori Fratelli Clausetti, soli leggittimi editori-proprietari delle medesime in tutti i paesi è da considerarsi contraffazione illecita. Tale cessione è fatta verso il compenso stabilito di Italiane lire mille pagate alla sottoscrizione del presente contratto. La presente scrittura sottoscritta dalle parti è stata redatta in doppio originale, uno dei quali è rimasto presso il Sig.r M.tro Saverio Mercadante e l’altro presso i signori Clausetti. Napoli 23 Ottobre 18settantaude Fratelli Pie[tro] L[orenzo] Clausetti 15. Passaporto di Mercadante (I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/25), 1 carta, in grassetto le parti prestampate Noi Luigi Carafa della Spina dei Duchi di Traetto Maggiordomo di settimana di S.M. (D.G.), Commendatore del Real Ordine del Merito Civile di Francesco I° […] provvisoriamente incaricato del Portafoglio del Reale Ministero degli Affari Esteri Partendo per Ravenna il Cavaliere D. Saverio Mercadante, di Napoli, Direttore del Real Collegio di Musica, con la figlia Ismalia Per ordine di S.M. impongo a tutti i suoi Ministri ed Officiali di Giustizia, ed a quelli che non lo sono, domando, nel Suo Reale Nome, che non rechino molestia, né impedimento alcuno nel viaggio, anzi prestino il favore necessario per eseguirlo. Napoli 4 maggio 1859 Buono per dodici giorni Carafa
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CESARE CORSI
Figura 1: Foglio autografo di Balzac (I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/14).
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“MON CHER MAÎTRE”
Figura 2: Lettera di Leopoldo di Borbone a Mercadante, Napoli, 13 marzo 1843 (I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/4).
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CESARE CORSI
Figura 3: Passaporto di Mercadante (I-Nc, Rari Lettere 20.16.20/25).
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Chiara Macor LE ORIGINI DEL MUSEO STORICO MUSICALE DEL CONSERVATORIO SAN PIETRO A MAJELLA Il Conservatorio di Musica San Pietro a Majella di Napoli possiede al suo interno un’importante Biblioteca ed un Museo storico musicale di grande interesse culturale. Il punto di partenza e l’incremento di questi due organismi si ascrive a quel particolare spaccato storico sociale di fine Settecento, che vide la necessità di far nascere, grazie all’opera di Saverio Mattei e Giuseppe Sigismondo una “Biblioteca Musica”, al fine di meglio supportare la formazione degli alunni; sarà poi nell’Ottocento e nel primo Novecento, grazie all’operato di Francesco Florimo e Rocco Pagliara, che la “Biblioteca Musica” verrà ampliata fino a comprendere non solo materiale librario ma anche un’ampia collezione di strumenti musicali ed altri manufatti artistici che saranno alla base di quello che nel 1925 verrà battezzato, sotto il direttore Francesco Cilea, il “Museo Storico Musicale” di San Pietro a Majella.1 Le collezioni del Conservatorio napoletano si distinguono per essere composte da un corpus variegato che comprende cimeli dei più importanti musicisti di scuola napoletana e di importanti interpreti di tutta Europa, strumenti musicali di inestimabile valore documentario ed artistico, fotografie e stampe, medaglie ed anche sculture e ritratti. In particolare fu Francesco Florimo, bibliotecario dal 1826 al 1888, il fautore del nucleo collezionistico più antico; durante la sua lunga carriera di «archivario» provvederà infatti ad incamerare un’importante numero di ritratti di musicisti, commissionando opere ad artisti a lui contemporanei, quali Domenico Morelli, Saverio Altamura, Filippo Palizzi, Andrea Cefaly e molti altri, avviando peraltro un processo di decorazione degli ambienti della stessa biblioteca, trasformando quelle sale in un vero e proprio tempio della musica. Francesco Florimo, di origini calabresi (San Giorgio Morgeto, presso Polistena), si era formato all’interno del Regio Collegio di Musica di San Sebastiano, 2 dove strinse una solida e duratura amicizia con Vincenzo Bellini. Una volta insediatosi nel suo Per il Museo Storico Musicale del Conservatorio venne stilato un importante catalogo dall’Economo dell’Istituto, che rappresenta una delle fonti principali per gli studi sulle collezioni. Si veda dunque ETTORE SANTAGATA, Il Museo storico musicale di “S. Pietro a Majella”, Napoli, Giannini & figli, 1930. Segue a questo catalogo una seconda e piuttosto recente pubblicazione, che però non contiene tutto il corpus dei beni del San Pietro a Majella, rimandando ad un secondo catalogo (mai dato alle stampe) che avrebbe dovuto comprendere la collezione di medaglie, stampe e fotografie. Si veda GEMMA CAUTELA - LUIGI SISTO - LORELLA STARITA, Dal segno al suono. Il Conservatorio di musica San Pietro a Majella. Repertorio del patrimonio storico-artistico e degli strumenti musicali, Napoli, Arte’m 2010. 2 Florimo risulta iscritto presso il Collegio nel novembre del 1817. Qui studiò con G. Elia il pianoforte, con G. Furno partimento, con G. Crescentini canto, con G. Tritto e N. Zingarelli contrappunto. Cfr. ROSA CAFIERO, Florimo, Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, XLVIII, Torino, Treccani, 1997. 1
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CHIARA MACOR
nuovo ruolo il suo impegno si indirizzò immediatamente verso la cura della biblioteca dell’istituto, in linea con quanto fatto dal suo predecessore, Uomo di grande cultura, un musicista innamorato della musica, dedicò la sua intera esistenza all’Istituzione, con la quale aveva instaurato un rapporto quasi osmotico. Florimo viveva infatti in un appartamento all’interno del Convitto (dove venne ritrovato morto il 18 dicembre 1888) e in cui si circondava dei suoi tesori, di opere d’arte e di cimeli. Stendardo, in una cronaca del tempo, ci racconta come doveva apparire l’appartamento del bibliotecario, fornendoci una descrizione non solo dell’ambiente di vita di questo straordinario personaggio della cultura napoletana, ma un vero e proprio spaccato di vita, una caratterizzazione che ci permette di introdurre fin da ora il suo spirito da vero collezionista: Il comm. Florimo abita una bella casa al secondo piano dell’edifizio di S. Pietro a Majella; c’è un salotto tutto ninnoli, tutto fronzoli di caminetto, pieno zeppo d’oggetti d’arte e di archeologia, un ricco ed elegante bazar, un piccolo museo in miniatura, disposto con quella specie di sapiente confusione di un antiquario buongustaio e conoscitore. E il suo tavolino da lavoro serba il medesimo apparente disordine del salotto, perché c’è sparpagliati qua e là libri, carte, opuscoli, giornali, lettere, biglietti da visita, un calamaio elegante, tagliacarte, fermacarte, e tutti quei piccoli nonnulla da gabinetto, e, curioso particolare, c’è una piccola zucca di un bel color giallo che mette una nota allegra in mezzo a tutti quei colori svariati.3
Questo rapporto osmotico con il Conservatorio sarà un elemento fondamentale per comprendere da quale spirito fosse animato l’archivario: egli, infatti, così come aveva arredato le sue stanze, così cerco di arredare anche gli ambienti di lavoro. La “Biblioteca Musica”, sotto di lui, diventerà un vero e proprio viaggio esperienziale all’interno della storia della musica. Continuando sulla linea tracciata dai suoi predecessori Mattei e Sigismondo, Florimo infatti tenta di arricchire la biblioteca e di acquisire quanto più materiale possibile per sopperire alla poca rappresentanza della musica e della sua storia all’interno del panorama culturale partenopeo che, da qualche anno (dapprima con i Borbone e poi sotto il dominio Napoleonico, e di nuovo sotto i Borbone) aveva cercato di ricostruire una narrazione sull’arte e la cultura napoletana. Florimo, dunque, colleziona quanto resta di un ricordo (la grande “Scuola Napoletana” che aveva determinato le sorti del Settecento musicale di tutta Europa), lo mastica e lo definisce in una visione che, da quanto si evince dai suoi stessi scritti, è finalizzata alla creazione di un’identità “nazionale” napoletana, e ciò lo rende, di fatto, un vero e proprio figlio del suo tempo. Il fermento culturale che animava Napoli e l’Italia nel “secolo dei musei” doveva aver indotto Florimo a tentare di entrare di forza in dialogo con l’ambiente erudito, a lui così familiare, cercando di ritagliare la stessa dignità riconosciuta alle altre arti anche alla sua tanto adorata musica. Questo percorso, che lo portò ad indagare dal punto di vista storico musicale la realtà napoletana e a raffrontarla con quella italiana ed europea, lo condusse quasi in maniera naturale a collezionare 3
FRANCESCO STENDARDO, Francesco Florimo. Schizzo a penna, «Gazzetta Musicale di Milano», 32, 1880, p. 260. 228
LE ORIGINI DEL MUSEO STORICO MUSICALE
anche partiture, cimeli, dipinti: tutti feticci che gli permettessero di fermare in qualcosa di visivo, materiale e perenne quella che, di fatto, è ancora oggi considerata l’arte effimera per eccellenza.4 Il progetto sostenuto da Florimo era dunque fortemente finalizzato al supporto della didattica:5 Affin di tramandare alla posterità sì care e preziose memorie, ho stabilito, prima che i miei giorni giungano al termine, di farne dono al Collegio, essendo sicuro che in nessun altro luogo potranno essere meglio conservati alla gloria dell’arte ed all’ammirazione della posterità, che in questo santuario dell’armonia. Siano essi di sprone agli alunni che vanno colà a perfezionarsi, per emulare sì grandi ingegni, che con le loro sublimi creazioni tanto in alto salirono e si gran fama acquistarono, perché si possa poi nutrire speranza che un dì anche ad essi saranno simili onori riservati.6
Ma oltre a ciò, nelle sue parole riecheggia un ulteriore bisogno, cioè quello di recuperare un’identità “nazionale” ad una Napoli che ormai non è più una capitale. Il progetto di Florimo infatti si inscrive all’interno del particolare clima culturale vissuto dall’Italia del tempo, intrisa di ideali risorgimentali che avevano spinto verso la costituzione, in tutta la penisola, di musei civici che tendevano ad esaltare le peculiarità della storia locale. Nel farlo sottolinea quanto sia importante che la sua collezione resti per sempre nei luoghi per i quali era stata pensata, legandola indissolubilmente al Conservatorio e alla città, dimostrando peraltro un profondo rispetto anche verso la volontà di quegli artisti che, da lui sollecitati, avevano fatto dono della loro opera al Conservatorio.7 4
Così scriveva Michele Ruta in un libro che riportava una serie di suoi spunti e riflessioni sullo stato della musica a Napoli, in un paragrafo espressamente dedicato ad un ipotetico museo di strumenti musicali: «Quella che tra le arti che maggiormente ha bisogno di un museo per essere documentata è la musica». MICHELE RUTA, Storia critica delle condizioni della musica in Italia e del Conservatorio di S. Pietro a Majella di Napoli, Napoli, Libreria Detken & Rocholl, 1877, p. 64. 5 Un modello cui Florimo dovette probabilmente ispirarsi per il suo progetto fu senz’altro quello offerto da Padre Giovan Battista Martini da Bologna, compositore e teorico della musica, che già un secolo prima del nostro Bibliotecario aveva avviato una collezione di ritratti e partiture poi donate al Liceo Musicale di Bologna, che aveva sede presso l’ex convento degli Agostiniani di San Giacomo Maggiore e che oggi ospita ancora il Conservatorio della città. Il fondo bibliografico donato da Padre Martini si trova ancora presso l’Istituto, mentre la pinacoteca è entrata a far parte del nuovo Museo Internazionale e Biblioteca della Musica costituitosi nel 2004 nel Palazzo Sanguinetti. Si veda sull’argomento LORELLA STARITA, Il museo storico-musicale, in Il Conservatorio di San Pietro a Majella. La tradizione musicale e il patrimonio storico-artistico, a cura di Id., Napoli, Mondadori Electa, 2008, p. 92; LORENZO BIANCONI - MARIA CRISTINA CASALI PEDRELLI - GIOVANNA DEGLI ESPOSTI - ANGELO MAZZA - NICOLA URSULA - ALFREDO VITOLO, I ritratti del museo della musica di Bologna. Da padre Martini al Liceo musicale, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2018. 6 FRANCESCO FLORIMO, La scuola musicale di Napoli e i suoi Conservatorii. Con uno sguardo sulla Storia della musica in Italia. Cenno storico sulla scuola musicale di Napoli e i Suoi Conservatorii, con le Biografie dei maestri usciti dai medesimi, Napoli, Stabilimento Tipografico Vinc. Morano, 1882, p. 70. 7 Nel suo testamento Florimo parla chiaro: «Ripeto, poi, che nel caso il Ciel non voglia si abolisse il Collegio di Musica, o si traslocasse per superiori disposizioni in altra città d’Italia qualunque; […] tutti i ritratti ad olio dei grandi Maestri, al numero di 130 e più da me acquistati, od a me donati da Artisti Napolitani o Stranieri, come sopra legati all’Archivio del Collegio, voglio che siano dati al 229
CHIARA MACOR
Animato da questo spirito egli avvia una ricerca a tappeto di tutto quello che potesse aiutarlo nel suo intento di riscattare la “sua” musica dal triste destino dell’oblio, creando così una collezione che non prevedeva solamente, come sarebbe stato ovvio, l’acquisizione di musica in senso stretto (le partiture) o gli oggetti che servono a produrla (strumenti musicali di pregio), ma anche reliquie dei musicisti e dipinti, fotografie, litografie, lettere che provvedessero e preservare la memoria di quegli artefici che avevano resa grande l’arte. Una collezione che fin dalla sua concezione si presenta decisamente variegata, volta all’abbellimento dei locali delle biblioteca, anche questi ultimi vissuti forse dall’archivario non solo come un luogo di lavoro o come una seconda casa, ma come un vero e proprio tempio soffuso di un’area di sacralità, in cui celebrare il culto degli antichi lustri della musica napoletana (nello specifico) ma anche della musica a lui contemporanea.8 Infatti le sale della biblioteca vennero investite di un vero e proprio progetto iconografico. L’arredo dei locali doveva presentarsi come un grandissimo catalogo di volti e cimeli dei più importanti musicisti di tutti i tempi, posti sullo sfondo di un’architettura esaltata da decorazioni allegoriche. A dare il la a questa complessa operazione, che ha determinato il primo nucleo formativo della collezione della pinacoteca, fu la donazione che lo stesso archivario fece al Collegio di Musica, nel novembre del 1868, di 18 dipinti collezionati dallo stesso inarrestabile bibliotecario. 9 Da una lettera dello stesso novembre di quell’anno indirizzata a Florimo da Gonsalvo Carelli, un personaggio determinante per le scelte artistiche dell’archivario, 10 ci appare chiaro che era già nelle intenzioni del Florimo ampliare questa collezione, richiamando (si parla di un vero e proprio «appello») i più valenti artisti contemporanei a partecipare all’accrescimento del repertorio, come per la creazione di una grande opera aperta volta a esaltare la musica italiana. 11 Museo Nazionale, e conservati in quella Pinacoteca, a patto ed espressa condizione che non sortissero mai da Napoli, essendo stata anche questa la volontà degli artisti che a mie preghiere, persuasioni e continue insistenze li dipinsero per l’Archivio del Collegio in Napoli e non altrove». Il testamento di Florimo è riportato in CAUTELA - SISTO - STARITA, Dal segno al suono cit., pp. 180-186. 8 In buona parte dei testi che trattano dell’archivio riallestito da Florimo si utilizzano termini derivanti dal linguaggio religioso. L’archivio viene definito «tempio», o ancora «santuario». Come vedremo più avanti, inoltre, gli stessi oggetti custoditi al suo interno sono investiti di una sorta di venerazione, tanto da essere equiparati a vere e proprie reliquie. 9 Di questa donazione parla lo stesso Florimo nella descrizione che fa dell’archivio all’interno de La Scuola Musicale di Napoli e i suoi Conservatori FLORIMO, La scuola musicale di Napoli cit., p. 69. 10 Gonsalvo Carelli è una figura già posta in luce da Gemma Cautela e Lorella Starita nell’ultimo catalogo pubblicato delle collezioni del Conservatorio. Il pittore napoletano, grande animatore della vita culturale della città in quegli anni, si rivela nella corrispondenza di Florimo un vero punto di riferimento per gli acquisti artistici del bibliotecario, tant’è che fu anche curatore di alcune stime dei dipinti del Collegio di Musica. Cfr. CAUTELA - SISTO - STARITA, Dal segno al suono cit., p. 19. 11 Le parole di Gonsalvo Carelli sono emblematiche circa la possibilità di ritrarre persone già morte da tempo. La questione del fare un ritratto da un modello già esistente, proveniente da una reference fotografica o dagherrotipi, bozze, incisioni ecc., è uno dei temi ricorrenti in buona parte della corrispondenza del bibliotecario con i più grandi artisti cui commissionava le opere per il Conservatorio. Carelli sosteneva «[…] Un appello circolare a tutti gli artisti Italiani, come dite nella lettera di ieri, 230
LE ORIGINI DEL MUSEO STORICO MUSICALE
Come sappiamo furono in molti a rispondere a questa chiamata, ed infatti nelle collezioni del San Pietro a Majella risultano ancora presenti molti dei ritratti fatti da grandi esponenti della pittura e della scultura contemporanea, tutti artisti di cui rimane traccia nella corrispondenza con il bibliotecario,12 che si sono dimostrati entusiasti della sua idea e, soprattutto, che si sono fatti a loro volta carico di ampliare la collezione, senza dunque percepire alcun compenso per il loro lavoro. Questa seconda gettata di dipinti, dunque, conserva una caratteristica specifica, quella, cioè, di non essere mai finita sul mercato e di essere stata creata appositamente per una destinazione specifica con uno scopo ben definito.13 Florimo, nel commissionare i ritratti, infatti, provvedeva talvolta anche a procurare agli artisti le reference visive necessarie a rendere il più verosimile possibile il soma dei musicisti. Ed infatti sono molte le epistole in cui alcuni artefici prendevano questa marcata necessità di dedicarsi alla verosimiglianza come una scusante per la scarsa qualità del dipinto (magari derivante da una brutta fotografia prestata dallo stesso Florimo) o anche come giustifica per il ritardo della consegna.14 La necessità di preservare il soma del musicista alla memoria dei posteri sembra comunque emergere come leitmotiv della corrispondenza del bibliotecario, divenendo un elemento fondamentale per definire la qualità stessa del dipinto. Appaiono emblematiche in tal senso le parole, ancora una volta, di Gonsalvo Carelli che tratta di un dipinto di Gennaro Ruo raffigurante Gaetano Donizetti (ancora conservato nel museo del Conservatorio): «Io conosco questo ritratto ed è bellissimo, e forse più somigliante del Goghetti, perché fatto nello splendore della sua gloria, quando qui scrisse la Lucia, nel più bel momento della sua armoniosa ispirazione».15 Il dipinto, dunque, in questo caso acquisisce maggiore importanza se si presenta come più somigliante possibile al personaggio reale, tanto più che esso è stato prodotto dal vero ed in un momento di maggior fortuna del musicista, rappresentandolo all’apice della carriera, quando era per di più sul suolo napoletano, dove scrisse uno dei suoi più importanti capolavori. non so come si potrebbe riuscire, perché questi geni essendo morti, ove andrebbero a pescare i modelli, per fare dei ritratti e dovete persuadervi, che tutti questi magnati artisti, mal volentieri si prestano ad eseguire ritratti da reminiscenze, da bozzi, e da fotografie, ed altri ritratti se non sul vero stesso, essendo opere che ordinariamente fanno i giovani perché più pazienti, ed amorosi del copiare le altrui opere per istruirsi e progredire […]» I-Nc Rari lettere 19.17/30. 12 Florimo, da incallito collezionista, conserva la sua corrispondenza intercorsa con le più importanti personalità a lui contemporanee (musicisti, politici, artisti) e le rilega insieme, donando poi il tutto alla biblioteca del Conservatorio di Musica. In particolare la raccolta della corrispondenza con gli artisti si apre con un foglio scritto a mano nel primo di ottobre del 1887 dallo stesso bibliotecario, ormai anziano, che si firma «il vecchio Florimo»: «Queste lettere che mi sono state scritte nella mia lunga vita, invece di bruciarle, mi fu consigliato di donarle a questo archivio musicale come documenti della Storia musicale di questa Scuola. Io lo fo volentieri sperando che non paia un atto di vanità senile» I-Nc Rari lettere 19.17, fol. 1r. 13 Peraltro per questi ritratti il Bibliotecario si curò personalmente di far costruire quelle cornici che ancora oggi vediamo esposte in Conservatorio, con l’indicazione del nome di ciascun musicista. 14 Un variegato esempio di queste problematiche ci viene offerto da alcune delle lettere di Florimo nella raccolta già citata e custodita presso il Conservatorio di Musica. Cfr. I-Nc, Rari lettere 19.17. 15 I-Nc Rari lettere 19.17/18. 231
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Appare evidente che era intenzione di Florimo fare in modo che il musicista ritratto in ciascun dipinto fosse rappresentato così come doveva essere stato in vita, come se anche i suoi tratti somatici, la sua pelle, il colore dei suoi capelli e degli occhi, l’espressione, divenissero a loro volta cimelio e memoria da dover preservare e riportare ai posteri. Scrive lo stesso Florimo, infatti, nella Scuola Musicale: Quei grandi maestri ora non sono più, sono scomparsi dalla scena del mondo; ma essi vivono nella memoria dei posteri, vivono nelle opere loro e vivono pure nelle effigie che ci tramandano le loro sembianze. E i ritratti, i busti, i bassirilievi ci ricordano quelle fisionomie, ora dolci, ora severe, ora serene, ora malinconiche, ma tutte illuminate da un lampo di genio, circondate d’un’aureola di gloria imperitura.16
Questo orrore della perdita, questa necessità di preservare in eterno il ricordo dei musicisti e della musica, appare ancora più violentemente nell’attenzione, quasi morbosa, riservata agli oggetti appartenuti a grandi compositori. Uno struggente spaccato delle emozioni che la collezione dell’archivio doveva suscitare nei tanti sensibili amatori della musica, si ritrova nel Calamajo dell’armonia, un articolo della penna di Cesare Malpica pubblicato nel «Poliorama Pittoresco» nel dicembre del 1839: E mentre commosso andava contemplando le immagini dipinte intorno intorno de’ vari maestri che fecero immortale la nostra musica, sul grande scrittoio che è nel mezzo vidi, volgendovi l’occhio a caso, una piccola vaschetta di marmo avente nel centro una seconda vaschetta più piccola di forma circolare. E’l marmo era fatto scuro dal tempo, avea acquistata quella tinta particolare che imprimono gli anni sulle pietre … era un calamajo. Oh dissi al mio Florimo, donde traesti questa veneranda reliquie! Fa di procurarti qualche cosa che risponda al gusto moderno, o amico; questa che veggo m’ha un’aria di prosa che uccide! Sì! Rispose gravemente e fissamente guardandomi: ma sai tu la storia di quel Calamaio? … Egli fu in prima posseduto da Scarlatti. Da Scarlatti! Ah lascia che io lo baci …. E perdona la mia ignoranza … da Scarlatti! … ah fa che io lo tocchi, o amico … Memoria siffatta merita d’esser serbata in una scatola gemmata.17
Ma la storia del calamaio non finisce qui. Infatti, questo oggetto risulta così importante e così carico di significato proprio perché frutto di una storia collezionistica che, da sola, sembra descrivere tutta la parabola formativa della scuola musicale napoletana: Aspetta, che non è tutto ancora. Scarlatti ne fece dono a Durante: e questi lo dava a Pergolesi: e Pergolesi a Jommelli: e da questi era donato a Zingarelli, che in ultimo il lasciava a me come una sacra memoria … Or dimmi ancora se puoi, che io debba fare acquisto d’una cosa moderna invece di questa! Dimmi … ma Florimo non proseguì perché mi lesse sul sembiante la commozione che invadea il mio cuore. E come non esser commosso! Quel calamaio per me valea più di quello in cui Napoleone tingea la penna che scrivea i piani delle sue battaglie. Sciogliere i problemi a cui tenea la morte di migliaia di uomini, facea del suo calamaio il calice delle amarezze … e questo invece fu fonte di cento e cento melodie. In esso era l’inchiostro, con cui Scarlatti vergava i perfezionamenti della grammatica musicale; e aggiungea grazia e chiarezza al contrappunto: con esso 16 17
FLORIMO, La scuola musicale di Napoli cit., p. 70. CESARE MALPICA, Il calamajo dell’armonia, «Poliorama Pittoresco», 4, 1839, pp. 138-140. 232
LE ORIGINI DEL MUSEO STORICO MUSICALE
Durante fissava i tuoni, dava norme alla modulazione e scrivea que’ partimenti che furon classici in tutta Europa e formarono i Duni i Latilla i Piccini i Gglielmi i Finaroli i Sacchini gli Anfossi i Paisiello i Cimarosa: con esso il Raffaello della Musica, il Pergolesi, dava vita a que’ concenti che vivranno quanto il mondo lontano; vergava la Serva padrona, L’Olimpiade, l’Orfeo, l’Achille in Sciro[..].18
In un solo oggetto si incarnava, dunque il simbolo di tutta l’operazione che Florimo stesso aveva posto in essere con la collezione dell’«archivio». La visita alla collezione, dunque, da queste parole sembrava assumere la valenza di una visita ad un sacrario, ad un reliquiario, che prevedeva (seppure descritta con le tipiche esagerazioni fiorite del lessico ottocentesco) una sorta di rituale, di omaggio ai tempi che furono: E mentre io pronunziava il nome del Catanese, Florimo mi mostrava l’originale del Pirata… Baciai quelle carte… Piangemmo insieme. Così pure m’appressai alle labbra tremanti l’originale del Demetrio di Jommelli, quello della Capricciosa del Piccinni, le musiche sacre del Pergolesi, le carte originali della Gazzetta del Pesarese e quelle ove sta scritto originalmente la Nina di Paisiello. Quando nell’ultimo suo viaggio fra noi, questo originale fu mostrato a Rossini, l’autor di Semiramide e del Barbiere si cavò il cappello, e chinò il capo. Io dopo aver baciate quelle note pregai Florimo a non continuare nella sua cortesia. La mia commozione era giunta al sommo, mi facea troppo patire: e in mezzo alla mia sofferenza io era anche scorato pensando alla gloria da coloro conquistata […].19
Questo scritto risulta tanto più interessante perché rappresenta una precoce descrizione, seppur non troppo dettagliata, di come doveva apparire l’archivio prima del 1868, anno in cui Florimo formalizza la donazione della sua collezione di dipinti al Collegio. Malpica ci descrive dunque un luogo che già nel ’39 si dimostra bene avviato a divenire il tempio della musica, con i suoi dipinti, le sue partiture originali ed i suoi strabilianti cimeli. Ma probabilmente uno dei nuclei fondamentali di questa collezione di reliquie è quella degli oggetti appartenuti a Vincenzo Bellini. Il musicista catanese, morto prematuramente e fortemente idealizzato dall’amico/ammiratore Florimo, venne investito post mortem di un processo di laica santificazione. Lo stesso Bibliotecario del San Pietro a Majella sarà in prima fila per far erigere nella piazza antistante al Conservatorio quel monumento che darà il nome anche alla Piazza Bellini, e portando avanti tutta una serie di ulteriori iniziative (anche di decorazione nello stesso Istituto) volte alla celebrazione dell’eccezionale compositore defunto.20 Ma come si articolava l’esposizione voluta da Florimo? In quante sale della biblioteca si distribuivano, e come erano disposti questi ritratti, i cimeli, gli strumenti 18
Ibidem. Ibidem. 20 Il rapporto di Florimo con Vincenzo Bellini è stato oggetto di molte pubblicazioni. Di seguito si rimanda agli scritti dello stesso bibliotecario che testimoniano questa fortissimo legame: FRANCESCO FLORIMO, Traslazione delle ceneri di Vincenzo Bellini: memorie ed impressioni, Napoli, Stabilimento tipografico Vin. Morano, 1877; ID., Bellini. Memorie e lettere, Firenze, G. Barbera, 1882; ID. - MICHELE SCHERILLO, Album Bellini, Napoli, Stabilimento Tipografico A. Tocco & C., 1886; FRIEDRICH LIPPMANN, Il ritratto belliniano di Francesco Florimo, in Francesco Florimo e l’Ottocento musicale, a cura di Rosa Cafiero e Marina Marino, Reggio Calabria, Jason Editrice 1999, I, pp. 63-74. 19
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musicali, i libri e le partiture? E in che modo dialogavano tra loro, e con le decorazioni in stucco e ad affresco pensate dallo stesso instancabile archivario? In effetti spulciando negli stessi scritti di Florimo e nelle cronache dell’epoca possiamo rintracciare una serie di testimonianze che ci permettono di avere un’idea generale piuttosto precisa di come dovevano presentarsi le sale dell’archivio, almeno per ciò che riguarda la disposizione dei dipinti e dei busti e di alcuni dei cimeli più importanti.21 Le stanze dell’attuale biblioteca del Conservatorio sono state interessate, nel corso dei secoli, da una serie di modifiche degli spazi; talvolta sono andate perdute le decorazioni delle volte, che ci avrebbero aiutato ad orientarci meglio nelle descrizioni antiche, e soprattutto quasi tutte le opere in essa contenute hanno perso la loro collocazione originaria. Tuttavia possiamo immaginare che fin dall’insediamento del Collegio di Musica nella sede di San Pietro a Majella la biblioteca (che al tempo nelle fonti poteva prendere anche il nome di «archivio») sorgeva, come ancora oggi, al primo piano, e doveva svilupparsi, almeno nel 1876, in sole sette sale. Una volta salito lo scalone che collegava il piano terra del Conservatorio con il primo piano ci si avviava in quello che, con ogni probabilità, è tuttora l’ingresso della biblioteca. Polidoro ci fornisce una descrizione di questa prima sala mostrandocela piuttosto ingombra, con ben 31 dipinti disposti sulle pareti: Nella prima [sala] di esse trovansi i ritratti dell’Handel, del Durante, del Mozart, del Porpora, dell’Haydn, del Sacchini, dello Scarlatti Alessandro, del Zingarelli, del Piccinni, del Pergolesi, di Francesco Di Maio, del Mayr, di Nicola Jommelli, del Glock, del Bellini (dipinto da Pelagio Palagi), del Leo, del Guglielmi e del Cimarosa. Questi diciotto ritratti sono stati regalati dal Florimo; gli altri sono stati donati dà singoli pittori che hanno riprodotto le sembianze de’ grandi artisti. Sono questi il ritratto del Rossini effigiato dal Morelli, quello del Pacini dipinto dal Mancinelli Giuseppe, l’altro del Mercadante pel Palizzi, quello del Beethoven dall’Altamura, del Gaunod dal Mardarelli, del Fenaroli dal Barbieri, del Ricci Luigi dal Vittozzi, del Chopin dal Giusti, del Donizetti dal Ruo, del Verdi dal Simonetti Alfonso, di Lauro Rossi fatto dallo stesso, dello Schubert dal Pagniano. V’è pure il ritratto del Paisiello, dipinto dalla Lebrun e regalato al Collegio dal R. Istituto di Belle Arti.22
Un elenco, questo, che non ci fornisce dati specifici sull’effettivo ordine espositivo, che invece, ci viene suggerito dal Lazzaro riportando i quadri con «Bellini, Rossini, Cimarosa e Paisiello nei quattro centri delle pareti».23 I testi di riferimento sullo stato dei luoghi attorno al 1876 sono: il capitolo sull’archivio di pugno dello stesso Florimo nella Scuola Musicale Napoletana (FLORIMO, La scuola musicale di Napoli cit., pp. 63-74.), un articolo del 1876 scritto dal giornalista Federico Polidoro, alias Acuto, corrispondente della «Gazzetta Musicale di Milano» (ACUTO (FEDERICO POLIDORO), Corrispondenze, «Gazzetta Musicale di Milano», 21, 1876, pp. 182-183.), che fornisce nel dettaglio, sala per sala, l’allestimento della biblioteca, e di un ulteriore scritto dello stesso anno di Nicola Lazzaro, pubblicato ne «L’Illustrazione Italiana» (NICOLA LAZZARO, Il Collegio di Musica a Napoli. Detto di S. Pietro a Majella, «L’Illustrazione Italiana», 58, 1876, pp. 425-426). 22 ACUTO, Corrispondenze cit., p.182. 23 LAZZARO, Il Collegio di Musica a Napoli cit., p. 425. 21
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Ai «quattro cantoni» della stanza, poi, v’erano quattro busti in gesso di Paisiello, Spontini, Donizetti e Lablache (donati da Florimo) ed inoltre: A destra entrando, attaccato alle pareti vi è una specie di tavolino rettangolare in legno noce, lungo circa due metri e largo quasi ottanta centimetri; è il pianoforte regalato nel 1774 dall’imperatore d’Austria Giuseppe II al Conservatorio di Musica della Pietà dei Turchini di Napoli. Questo pianoforte ha due tastiere, anzi tre; una alla estremità inferiore del mobile, e le altre due, una sovrapposta all’altra, una a penna e l’altra a martello al lato opposto. Quest’istrumento fu posseduto prima da Paisiello, poi da Fenaroli, indi dal Tritto che lo lasciò al collegio di S. Pietro a Majella. Di fronte havvi, a sinistra entrando, altro pianoforte, dono dell’imperatrice di Russia Caterina II al Cimarosa; è un piccolo mobile pure di legno di forma anche rettangolare, quasi della lunghezza e larghezza degli attuali pianoforti verticali: però non ha che cinque ottave. Ciò non pertanto Cimarosa l’avea carissimo, ed è un fatto storico che incendiandosi un giorno la sua dimora pensasse prima a salvare l’instrumento e poi la sua persona.24
Un elemento però cui Lazzaro non pone attenzione è invece la decorazione delle sale. In questo caso è Florimo che ci offre una testimonianza più attendibile, sia perché ben conosceva gli ambienti, sia perché committente e mente pensante del progetto. Nel descrivere questa prima sala il bibliotecario ci dice che vi era dipinta l’Apoteosi di Bellini, opera di Vincenzo Paliotti, che mostrava «Degli angioletti che aleggiano intorno al busto del cigno catanese, ed uno incide sul piedistallo i titoli delle opere di lui».25 Oltre alla perdita dell’apparato decorativo con l’Apoteosi di Bellini, si segnala che attualmente si conservano ancora solo sei dei 18 dipinti donati dal Florimo. 26 Degli altri 13 quadri descritti ne rimangono 10 ed i busti invece sono tutti irrintracciabili. Tutte queste opere erano ancora presenti nel catalogo stilato da Santagata, economo del San Pietro a Majella, nel 1930.27 È piuttosto interessante notare come qui fosse stato esposto il nucleo primitivo della donazione di Florimo, che evidentemente in tal caso potrebbe aver seguito un criterio di allestimento per acquisizioni, non riuscendo a trovarvi alcun ordine sia per quanto riguarda l’appartenenza dei vari musicisti alle scuole (così ben descritte dal Florimo nel suo testo) né tanto meno per formare una narrazione cronologica. Il fatto che, invece, la biblioteca si aprisse con uno specifico omaggio a Vincenzo Bellini attesta, ancora una volta, la grande stima di Florimo per il suo vecchio amico consegnandolo, ancora di più, alla gloria dei posteri. Questa è l’unica sala che Florimo di fatto dedica ad un musicista specifico (anche se, come vedremo, intendeva farne almeno un’altra, 24
Ibidem. FLORIMO, La scuola musicale di Napoli cit., p. 71. Acuto inserisce questa decorazione nella descrizione della seconda sala, andando di fatto in urto con la presenza, descritta sempre nella stessa stanza, del dipinto allegorico «nello stile del secolo XIV fatto dal Galloppi», riportato da Florimo nella seconda sala (Cfr. ACUTO, Corrispondenze cit., p. 182). 26 Della donazione Florimo sono andati perduti i ritratti di Mozart, Mayr, Gluck, Bellini, Guglielmi e Cimarosa. Ciò viene denunciato già in CAUTELA - SISTO - STARITA, Dal segno al suono cit. pp. 136144. 27 Cfr. Ibidem; ETTORE SANTAGATA, Il Museo storico musicale cit. 25
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da dedicare a Pergolesi), ed è l’unica sala in cui ci viene segnalata esplicitamente dalle fonti qui analizzate la presenza di strumenti musicali: il clavicembalo di Cimarosa ed il pianoforte identificato con il vis a vis, ancora presenti nelle collezioni del Conservatorio. Nella seconda sala, poi: […] vi sono i ritratti di Guido d’Arezzo, del Pierluigi da Palestrina, del Clementi, dello Scarlatti Domenico, del Marcello, del Bach Sebastiano; il primo dipinto dal Simonetti Raimondo, il secondo dal Punzo, il terzo dal Ponticelli, il quarto dal Planeta, il quinto dal Ruggiero ed il sesto dallo Sciuti. Nella volta poi c’è un dipinto allegorico nello stile del secolo XIV fatto dal Galloppi […].28
Lazzaro, che definisce questa stanza «assai piccina» vi inserisce solo cinque ritratti: Guido d’Arezzo, Scarlatti, Palestrina e «Clemente Marcello», una probabile svista dell’autore.29 Anche in questo caso la collezione ha subito delle perdite: i quadri raffiguranti Guido d’Arezzo e Johan Sebastian Bach.30 I pochi riferimenti al tema allegorico scelto dal Galloppi per la volta di questa seconda sala indicano che non doveva aver riscosso particolare interesse nei cronisti del tempo e nello stesso Florimo. Le decorazioni descritte sono state identificate e si sono preservate fino ai giorni nostri. Sebbene descritti in uno stile del XIV secolo, i dipinti sembrano piuttosto in stile pompeiano. La volta, suddivisa in quattro settori, presenta al centro di ciascun lato un quadrato di un rosso scuro delimitato da due telamoni. Al centro si aprono dei medaglioni che raffigurano putti, in ciascun lato rappresentati in attività inerenti la musica. Negli spicchi figure femminili sospese in uno sfondo giallo (che ricordano in effetti la Flora proveniente da Stabia conservata al Museo Archeologico di Napoli), si dilettano con altre attività musicali: alcune leggono spartiti che tengono tra le mani, altre suonano strumenti a corda (una lira e un mandolino), altre ancora suonano strumenti a fiato. La terza sala «piena di scaffali»31 (che presumo essere l’attuale sala Pergolesi) è quella destinata alla biblioteca di letteratura musicale: «Tre scaffali sono pieni di libri riguardanti l’arte musicale, che si vanno acquistando giorno per giorno; ed un quarto scaffale è destinato ai libri che, dietro una mia circolare, mi mandarono, e ricevo continuamente in dono, gli editori esteri e nazionali, e gli autori».32 Qui, nella volta, erano stati dipinti da Galloppi i medaglioni in chiaroscuro di Rossini, Bellini, Donizetti e Mercadante, oggi perduti, ed inoltre doveva esservi esposto
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Cfr. ACUTO, Corrispondenze cit., p.182. La volta con il dipinto di Galloppi in stile secolo XIV è riportato anche dal Florimo quasi parola per parola. Cfr. FLORIMO, La scuola musicale di Napoli cit., p. 71. 29 Probabilmente, per quest’ultimo caso troviamo un refuso, poiché non esiste un musicista con questo nome: lo scrittore voleva forse scrivere di un ritratto di Clementi e di uno di Benedetto Marcello. 30 Anche in questo caso le opere erano ancora in Conservatorio al tempo di Santagata. Cfr. CAUTELA - SISTO - STARITA, Dal segno al suono cit. pp. 136-144. 31 LAZZARO, Il Collegio di Musica a Napoli cit., p. 425. 32 FLORIMO, La scuola musicale di Napoli cit., p. 69. 236
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anche il busto in bronzo di Michele Costa.33 Ancora una volta, dunque, la decorazione della sala, che questa volta si presenta carica di scaffali tanto da impedirvi l’esposizione di quadri, acquisisce un significato iconografico specifico, dedicandola ai quattro più importanti operisti dell’Ottocento, tutti, in qualche modo, anche strettamente legati all’ambiente musicale napoletano.34 Da qui si accedeva, a sinistra, alla quarta sala (che ho identificato con quella attualmente dedicata a Paisiello), dove doveva esserci lo studio di Florimo. Ne «L’Illustrazione Italiana» si ritrova, proprio nella pagina antecedente l’articolo, com’era d’uso per la rivista, un piccolo disegno che ritrae Florimo seduto su di una poltrona, in quella che doveva essere la sua postazione. Alle sue spalle doveva ergersi il busto raffigurante Lablache ed una serie di quadretti di piccolo formato di cui non ci viene fornita descrizione. Queste le parole scelte dal Lazzaro per tratteggiare la stanza: Alle mura sonvi 35 ritratti ad olio di grandezza naturale, posti tutti in alto, al di sopra degli scafali; i ritratti dei sommi maestri, mancanti nelle prime sale, sono qui, e quindi si scorgono le interessanti fisionomie di Mendelsson, Carafa, Tritto, Paisiello, Pergolese, Fenaroli, Lilla [Lully], Leo, Handel, Beethoven, Halevy, David, Wagner, Thomas ed altri. Dietro allo scrittoio del Florimo vi è un bellissimo busto di Lablache: di fronte i busti di Thalberg e di Erard. In un angolo poi e proprio davanti una finestra, coverto da una campana di cristallo, vedesi lo storico e famoso calamaio dello Scarlatti con tre penne d’oca, da lui adoperate poco prima di morire.35
Come appare evidente Florimo sceglie di avere a portata di mano, potremmo dire quasi sempre con sé, quello che doveva essere il simbolo della continuità, tramandata da maestro ad allievo, della scuola napoletana: il calamaio di Scarlatti. Ma tornando alla descrizione dello studio di Florimo, ancora più dettagliato nell’enunciarne il contenuto figurativo è Acuto, che ci fornisce, oltre ad un elenco di vari dipinti, ancora una volta i nomi degli artisti che li hanno creati. Si sottolinea che queste tele sono tutte state donate dagli stessi autori alla biblioteca e, qualora così non fosse, è Polidoro stesso a precisarlo, come in questo caso: Un busto in marmo del Lablache ed un altro del Thalberg trovansi nella quarta sala; questo è dono dell’ex Ministro Correnti, quello della signora Thalberg-Lablache; il primo è lavoro dello scultore Angelini, il secondo del Pasarelli [Pasquarelli]. In questa stessa sala vedansi le fattezze del Berlioz ritratte dal Cefali, quelle del Wagner dell’Altamura; il Mendelssohn fu dipinto dal Talarico, dal Martorana il Paer; Spontini fu disegnato dal Nicoli, dal De Nigris il Meyerbeer; Simonetti Alfonso riprodusse il Monteverde, il Montefusco il Cherubini; il ritratto del Manfroce devensi al Paliotti, quello di Lulli a Del Re, 33
Il busto è ancora presente nelle collezioni. Nell’ordine Rossini diventò direttore artistico al Teatro San Carlo nel 1815 e la sua presenza sul territorio rappresentò l’avvio di una ricerca più “moderna” per gli stessi autori napoletani; Bellini, come abbiamo visto, si formò proprio nel Conservatorio di Napoli; Donizetti, nello stesso istituto, fu chiamato ad insegnare composizione mentre Mercadante, alunno del Conservatorio stesso, ne diventò poi direttore. 35 LAZZARO, Il Collegio di Musica a Napoli cit., p. 425. Di questi dipinti citati mancano all’appello quello di Beethoven di Saverio Altamura, anche questo ancora presente nel catalogo di Santagata. 34
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quello del Duni a Caldara, l’altro del Salieri al Marinelli, quello di Gesualdo, principe di Venosa, al Mancini; il Tomaini effigiò Traetta, il D’Agostino Stradella, il cavaliere De Vico [De Vivo] Pietro Raimondi, il grande ma arido contrappuntista. Vi è pure un Halèvy del Costa, un Carafa del Martelli e un Méhul del Ragione. Il Vinci è fatto dal Volpi, dal Giusti l’Anfossi, Boieldieu dal Postiglione, Herold dal cavaliere Francia, Perez dal Ravel, il padre Martini dal Venditti, il Sala dal Punzo, dallo Scognamiglio Pietro Generali, Fioravanti Valentino dal Talarico, dal Cefalì il Paganini, il Gretry dal Reina; il pittore Corsibono dipinse Fetis ed Auber. Fra questi v’è pure un ritratto di Federico Ricci, donato dallo stesso e dipinto del 1834 da Orazio Vernet, ed un altro del Tritto, regalato dalla famiglia.36
Dalla terza andando a destra si accedeva alla sala, oggi dedicata ad Alessandro Scarlatti, in cui appare nella volta, seppure non si sia conservata integra, una suggestiva raffigurazione: «E in quella [volta] della quarta sala a destra è un dipinto allegorico, opera del cav. Casanova: un’aquila, che, in un nembo di fiori, trasporta in cielo delle carte di musica arrotolate, su cui sono scritti i titoli delle più pregiate opere ed i nomi degli autori».37 Questo dipinto allegorico si trova nel riquadro centrale del soffitto. Benché parte della decorazione sia andata perduta, appare comunque degna di nota l’alternanza di nature morte di fiori con grisaglie di puttini, che dovevano rappresentare un’interessante serie di bambini paffuti intenti in attività musicali quali il canto, la danza, il suonare uno strumento (il mandolino o anche la lira). Dalla stessa, poi, si poteva accedere all’attuale Sala Rossini, al tempo detta «Sala delle Accademie», ed alla saletta «degli Autografi». Quest’ultima, un vero sacello colmo di aura sacra, rappresentava forse il cuore dell’archivio e la perfetta unione tra l’attività del bibliotecario e quella del collezionista di cimeli: al suo interno, infatti, erano custodite tutte le partiture originali (autografe, appunto) dei più importanti musicisti napoletani, italiani e stranieri.38 Come a voler sottolineare un senso di eternità simbolica a questi importanti manoscritti, vi era la decorazione apposta al soffitto, particolarmente apprezzata dallo stesso Florimo e messa in atto da Gaetano d’Agostino: E bellissima sopra ogni altra è la volta della piccola cameretta dove si conservano gli autografi: è dipinta dal d’Agostino ed è un vero capolavoro. È divisa in quattro scompartimenti, e la musica sacra è raffigurata da Santa Cecilia che suona l’organo, sulle canne del quale due angeli suonano anch’essi, mentre dietro l’organo cantano degli angeli in coro; giù in un angolo c’è un altro coro di frati; bellissimo il fondo dorato della scena, su 36
Cfr. ACUTO, Corrispondenze cit., p. 182. Di questi dipinti non risultano più presenti nelle collezioni quello di Paër, Méhul, Grétry (attribuito a Reina, ma in realtà di Eugenio Gioia), Perez. Ci sono anche delle differenze di attribuzione: il Cherubini risulta essere opera di Achille Vittozzi e non di Montefusco; il Meyerbeer è invece di Ciro Punzo. CAUTELA - SISTO - STARITA, Dal segno al suono cit. 37 FLORIMO, La scuola musicale di Napoli cit., p. 71. 38 Degna di nota è la volontà di Florimo di valorizzare queste partiture pregiatissime. È ancora conservato nella biblioteca un volume di fotografie di alcuni dei più importanti spartiti volute espressamente dall’archivario per aiutare i giovani nello studio e, contemporaneamente, preservarne la conservazione nel tempo: una digitalizzazione ante litteram. Sul fusto del leggio di legno si legge «Queste reliquie/ di grandi musicisti/ da lui/ con lungo amore raccolte/ Francesco Florimo/ volle qui deposte/ a culto reverente dei giovani/ cui l’arte è vita/ e raggio sublime la ricordanza/ di quanti ne fûr gloria». 238
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cui si svolge a spirale il fumo delle candele; ed è sublime l’atteggiamento celeste, ispirato, estatico della santa; - e la musica primitiva, da un pastore che emette dei suoni da alcune canne; e il potere della musica è rappresentato da Orfeo che attira le belve e che poi scende nell’inferno per salvare Euridice; - e la musica moderna, da un’orchestra: delle donne seminude, dalle movenze voluttuose, raffigurano le note di quella musica, quelle onde sonore.39
Questo sacello oggi è andato perduto a causa di alcuni lavori di ampliamento dei locali della biblioteca portati avanti negli anni ’60, e si custodiscono solo poche fotografie in bianco e nero di queste opere perdute.40 In questo ambiente, infatti, il soffitto venne sfondato per poterci costruire una scala che conducesse ai piani superiori, acquisiti dalla biblioteca per creare nuovi locali per la consultazione. Anche in questa sala non dovevano essere presenti ulteriori opere d’arte, tra busti e dipinti. La Sala delle Accademie, invece, custodiva due busti molto importanti, quelli di Bellini e di Rossini, i due autori più stimati dallo stesso Florimo, che vedeva in entrambi gli interpreti di diverse modalità di espressione, altrettanto grandi, della musica italiana. La decorazione dell’attuale sala Rossini non presenta cambiamenti rispetto alla descrizione che ne fa lo stesso Florimo: Dei grandi maestri, da Alessandro Scarlatti, fondatore della scuola, in poi, che compiti i loro studi nei nostri Conservatorii, furono della classica scuola napoletana lustro e decoro, ci sono, a perpetuo ricordo, i bassirilievi intorno intorno al fregio della cornice della sala maggiore dell’archivio, col nome e il luogo e l’anno in cui sono morti.41
La disposizione dei vari musicisti segue un ordine cronologico, iniziando con Alessandro Scarlatti, deceduto nel 1725, identificato dallo stesso Florimo come il capostipite della scuola musicale napoletana, finendo poi con l’effige di Enrico Petrella, morto nel 1875. La «Sala delle Accademie», appare evidente, nasce dalla volontà di rendere omaggio ad alcune delle figure più importanti della tradizione musicale partenopea, e dallo stesso nome possiamo immaginare che fosse usata per lezioni pubbliche o eventi di rappresentanza. Ha un impianto neoclassico, ed è forse per questo che si distingue particolarmente dalle altre. In effetti questa differenza è giustificata proprio dal fatto che la decorazione dell’archivio è avvenuta in due differenti fasi di allestimento. La prima fase, e forse l’idea principale da cui poi Florimo ha preso le mosse, è rappresentata proprio da questo ambiente, che fu terminato in tempo per il VII Congresso degli scienziati, tenutosi a Napoli nel 1845.42 La seconda fase di realizzazione delle decorazioni 39
FLORIMO, La scuola musicale di Napoli cit., p. 71. Sul retro della fotografia che ritrae Santa Cecilia ho trovato scritto a matita da ignoto il seguente appunto: «Mattia Preti: gli angeli trasportano in cielo S. Caterina | Affresco della Sala Autografi | (prima del deperimento) | da scegliere». Probabilmente note scritte da qualcuno interessato ad inserire le fotografie all’interno di una pubblicazione, pur sbagliandone l’attribuzione. 41 FLORIMO, La scuola musicale di Napoli cit., p. 70. 42 Florimo dice «III congresso degli scienziati». Ivi, p. 71, nota 1. 40
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si può invece datare verso gli anni ’70 dell’800.43 I lavori sulla sala Rossini vennero affidati a docenti dell’Accademia di Belle Arti, nomi illustri come Tito Angelini, Gennaro Aveta (che realizza le decorazioni in gesso) e Francesco Liberti (cui sono attribuiti i medaglioni in gesso con i profili dei musicisti).44 Come sappiamo da quanto lo stesso Florimo afferma mentre completava la seconda stesura della sua scuola musicale di Napoli l’«archivio» si era ingrandito, arrivando a coprire «un’ala intera del fabbricato», sviluppandosi in dieci sale. Nelle intenzioni del bibliotecario intanto v’era già la volontà di decorare gli ambienti da poco acquisiti: «Il d’Agostino e il Casanova mi han promesso di dipingere anche qualche altra vôlta delle nuove stanze testé decorate. In una di queste il d’Agostino dipingerà gli ultimi istanti della vita di Pergolesi».45 Ancora nel 1888 Florimo, forse abbandonando l’intenzione di dedicare una sala a Pergolesi, aveva in animo di aumentare le aree decorate della sua biblioteca, nonché di aggiungere ulteriori ritratti, questa volta riservando maggiore attenzione agli artisti ancora viventi.46 Da tutto quello che abbiamo fin qui esaminato l’elemento che appare evidente è la volontà, da parte di Florimo, di acquisire quanti più beni possibili per l’accrescimento del suo «archivio». I dipinti e la decorazione delle sale erano, di fatto, niente più che un abbellimento per degli ambienti altrimenti spogli, come se fossero parte dell’arredo. Ciononostante, come abbiamo visto, i ritratti avevano l’ulteriore funzione di dare un volto e, così, una consistenza fisica a delle idee, a degli autori ormai scomparsi; dunque, grazie alla verosimiglianza con il modello, assumevano anche la funzione di cimelio, di reliquia. A questi, poi, si aggiungevano gli oggetti stessi appartenuti ai grandi La biblioteca del Conservatorio venne dunque inaugurata in più occasioni. Nel 1845 si aprì la “Sala delle Accademie”, come ci spiega Florimo stesso (ivi, p. 71). Al 1874, invece, dovrebbe risalire l’inaugurazione del nuovo allestimento delle sale, come ci avverte Caputo alla voce «Francesco Florimo» dell’Annuario generale della Musica: «[Florimo] ha regalato 18 ritratti antichi de’ più grandi maestri, e con la sua influenza personale ottenuto da’ più illustri pittori napoletani il dono all’Archivio di altri 30 e più ritratti, appositamente lavorati pel Museo che andrà ad inaugurarsi prima della fine del 1874 nelle due sale ove è l’Apoteosi di Bellini dipinta espressamente a fresco da V. Paliotti». Cfr. MICHELE CARLO CAPUTO, Annuario Generale della Musica, I, Napoli, Salvatore de Angeli, 1875, pp. 90-91. 44 Nel 1845 la sala delle Accademie doveva presentarsi ancora incompleta, arrivando, nei profili dei musicisti fino a Niccolò Zingarelli, deceduto nel ’53. Al tempo della visita di Polidoro e di Lazzaro, invece, i busti arrivavano fino a Petrella, così come è oggi. Cfr. ALESSANDRA STANCO, Le volte della biblioteca, in CAUTELA - LUIGI SISTO - LORELLA STARITA, Dal segno al suono cit., p. 71. 45 FLORIMO, La scuola musicale di Napoli cit., p. 71. 46 Ciò si evince dalla bozza di una circolare del 14 aprile: «[…] Questa biblioteca è ornata da N. 140 ritratti ad olio di rinomati maestri antichi e di celebri maestri moderni, stranieri e italiani, defunti e viventi. A completare la collezione dei ritratti di celebri maestri moderni viventi manca quello della S. V. I. Epperò non volendo privare questo Archivio d’un tale ornamento tanto desiderato anche dalla gioventù studiosa, mi permetto pregarla direttamente di inviare a me una sua fotografia dalla quale io curerò di far ritrarre ad olio su tela […]». La bozza è riportata in TIZIANA GRANDE, Lettere dalla biblioteca. La corrispondenza di Francesco Florimo dalla Biblioteca di San Pietro a Majella (18861888), in Napoli Musicalissima. Studi in onore di Renato Di Benedetto, a cura di Enrico Careri e Pier Paolo De Martino, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2005, p. 202. 43
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personaggi della storia della musica. Quando questi oggetti erano addirittura delle partiture manoscritte, il cimelio acquisiva ancora più valore. Tuttavia nei suoi scritti Florimo non definisce mai la sua collezione un museo, un termine che compare nelle parole dell’archivario solo quando tratta degli strumenti musicali. In questo caso, infatti, il discorso assume delle sfumature ben più complesse e l’intento di Florimo si configura quasi come un investimento a lungo termine, per un futuro progetto. Parlando dei pochi strumenti da lui iniziati a collezionare (tra i quali ricordiamo il pianoforte di Cimarosa, il vis a vis, l’arpetta Stradivari), specifica che questi «Formano come i primi germi di un museo di strumenti musicali, che ho iniziato e che m’auguro che venga sempre più accresciuto».47 La necessità di rappresentare, all’interno del panorama storico-artistico italiano, l’arte dei suoni attraverso la costituzione di un museo specifico che trattasse proprio degli strumenti musicali, sembra rientrare in un dibattito piuttosto sentito dall’ambiente musicale napoletano di fine Ottocento. Le stesse speranze di Florimo (e probabilmente animate da lui stesso) riecheggiano nelle parole di Michele Ruta (pianista e compositore, oltre che saggista) che affronta l’argomento in un suo libro redatto sulle «Condizioni della musica in Italia e del Conservatorio di S. Pietro a Majella di Napoli» del 1877.48 Il piccolo trafiletto di Ruta sull’occorrenza di un museo di strumenti musicali segue quello che descrive l’archivio del Conservatorio, trattato proprio come il fiore all’occhiello dell’intero Istituto, che, al di fuori delle stanze allestite da Florimo, si dimostra invece piuttosto trascurato. Il fatto che la trattazione sul museo segua quella dell’archivio fa supporre che la consequenzialità di tale ragionamento possa essere stata avviata dallo stesso Florimo. «Trovandomi a parlare dell’Archivio» dice infatti Ruta, «voglio esporre un mio desiderio» e dunque continua: Io vorrei che a quest’opera fosse aggiunta quella di un Museo musicale, ove si conservassero tutti gli strumenti antichi, e che a memoria della posterità si depositasse ogni nuovo istrumento. Tutte le scienze e tutte le arti hanno le loro collezioni che ne illustrano la storia. Solamente la musica in Italia non ha una speciale e propria collezione di strumenti antichi che potesse testimoniare la storia di quest’arte, che pur è di tanta gloria per la nostra Italia.49 47
FLORIMO, La scuola musicale di Napoli cit., p. 72. Cfr. RUTA, Storia critica delle condizioni della musica in Italia cit. pp. 63-68. La copia del testo che ho avuto modo di consultare alla biblioteca del Conservatorio, scritta a penna dallo stesso Ruta, presenta una dedica a Florimo che viene definito «Maestro ed Amico», un elemento che fa emergere chiaramente i rapporti di amicizia esistenti tra questi due personaggi, che in qualche modo devono essersi influenzati a vicenda circa le questioni del Conservatorio, oltre che sull’opportunità di creare un museo degli strumenti musicali. Elena Ferrari Barassi ritiene sia proprio Ruta a suggerire a Florimo di allestire un museo di strumenti musicali. Cfr. ELENA FERRARI BARASSI, Il Museo del Conservatorio di S. Pietro a Majella e i suoi strumenti musicali: spunti storici, in Il Museo della Musica. Strumenti Antichi e Documenti del Conservatorio di S. Pietro a Majella, a cura di Emanuele Cardi, Luigi Sisto, Sergio Tassi, Battipaglia, Accademia Organistica Campana, 2002, p. VI. 49 Cfr. RUTA, Storia critica delle condizioni della musica in Italia cit. p. 63. 48
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La musica, come l’arte, come la scienza, come la storia naturale, hanno tutte, di fatto, un luogo in cui catalogare ed archiviare i loro strumenti. Ruta descrive questo attardarsi della musica nel raccogliere l’esempio delle altre discipline sottolineando come il fatto stesso che non vi sia un luogo specifico per questo genere di esposizioni non faccia altro che svilire la stessa disciplina.50 Perché dunque creare un museo degli strumenti? Perché semplicemente questi strumenti devono essere studiati dalle generazioni future, per capire il loro funzionamento, affinché i posteri possano conoscere la loro storia, recuperando tutte le informazioni necessarie per comprendere come questi oggetti, materiale imprescindibile per il dato musicale e vero e proprio supporto per questa particolarissima forma d’arte, fossero costituiti, che suono producessero e in che modo: Gli antichi strumenti di questa arte sono veri trofei dell’ingegno umano, che ha saputo inventare un’arte tutta spirituale con mirabile congegno […]. Lo studio del graduato perfezionamento di ciascun istrumento musicale, e della loro trasformazione è non solamente uno studio di curiosità storica, ma ancora di grande utilità pratica per le future innovazioni e i miglioramenti da praticarsi.51
In sostanza questi oggetti, questi strumenti atti a produrre suono, risultano delle vere e proprie invenzioni, degli attrezzi frutto della ricerca e dell’intelligenza umana. Posseggono dunque un valore storico, sì, ma anche costruttivo, una bellezza nella forma, ma anche una funzione specifica che va attivata seguendo dei meccanismi complessi, che pure non vanno dimenticati.52 Il museo degli strumenti musicali immaginato da Florimo, tuttavia, non venne portato a compimento durante il corso della sua vita. La sua opera ciononostante è rimasta un punto di partenza fondamentale per le generazioni successive, proprio come lui auspicava. La sua eredità venne raccolta da Rocco Pagliara e dai direttori del Conservatorio che si sono succeduti nel tempo. In particolare sarà con Francesco Cilea (direttore dal 1916 al 1935) che si istituzionalizzerà, per la prima volta, la collezione posta all’interno di un museo. Sebbene Florimo vivesse la sua raccolta come parte dell’«archivio» e intendesse allestire un museo degli strumenti musicali, evidentemente immaginandole come due cose distinte, Francesco Cilea si troverà ad inaugurare un «Museo storico musicale» comprendente tutto ciò che era stato immagazzinato nel corso dell’Ottocento, trattando tutti i beni che compongono questa particolare raccolta come un unico e inscindibile corpus, strettamente connesso alla storia della musica, in particolare napoletana, e all’ultimo superstite di quei Conservatori che tanto aveva resa grande Napoli, una delle più importanti capitali europee della musica. «Si veggono per i musei d’Italia vari strumenti musicali, appartenenti a diversi periodi storici, ma senza ordine e senza criterio artistico classificati, in modo che giacciono come inutile ornamento, senza che lo studioso potesse trarne quei vantaggi che le altre arti traggono dallo studio delle cose antiche». Ibidem. 51 Ivi, p. 65. 52 Si sottolinea che questa necessità sentita da Ruta di costituire un museo di strumenti musicali, si riferiva ad una realtà pubblica, fruibile da tutti, e non certamente alle collezioni organologiche private che esistevano e tuttora esistono. Cfr. FERRARI BARASSI, Il Museo del Conservatorio cit., p. VI. 50
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Lorenzo Corrado L’ARCHIVIO DI NAPOLEONE CESI1 UN PRIMO PROFILO ARTISTICO ATTRAVERSO DOCUMENTI INEDITI Napoleone Cesi nasce a Napoli il 24 agosto 1867, primogenito del famoso pianista e didatta Beniamino.2 La sua data di nascita lo pone di diritto in una posizione di limbo storiografico: poco più giovane di Martucci (6 gennaio 1856), poco più anziano dei compositori definiti dall’epiteto ‘generazione dell’Ottanta’ (Franco Alfano, 1875, Ottorino Respighi, 1879, Ildebrando Pizzetti, 1880). La questione non è tanto anagrafica, piuttosto verte nell’inquadrare storicamente la produzione musicale del compositore all’interno delle due compagini artistiche: continuatore di una rinascita culturale dedita al sinfonismo tedesco (da Beethoven a Brahms) oppure prosecutore delle più recenti innovazioni del linguaggio musicale? Seppur il presente articolo, per le caratteristiche e le finalità che qui si propongono, non sia in grado ancora di trovare una risposta a questa domanda, esso rappresenta un punto di partenza per un approccio critico della vita artistica del compositore napoletano, attraverso la riscoperta e la divulgazione di documenti inediti, conservati nel suo archivio privato: partiture autografe, informazioni storiche collaterali alle sue molteplici attività (e riportate in vari articoli giornalistici, in periodici e in riviste) e una vasta corrispondenza (indispensabile per rintracciare i suoi legami professionali ed artistici). Fino a questo momento, infatti, le informazioni di cui disponevamo circa la sua biografia e la sua attività artistica sono liquidate all’interno di poche righe sbrigative: il DEUMM riporta solamente la sua parentela con Beniamino Cesi e il merito di aver fondato i licei musicali di Caserta e di Cassino.3 Ma la sua attività è molto più intensa; ne emerge una figura poliedrica che è dedita non solo (e particolarmente) alla composizione, ma anche alle attività di concertista e didatta (non poteva essere altrimenti data la sua discendenza), oltre a quella di pungente critico musicale, impegnato in numerose collaborazioni con alcune delle riviste e periodici culturali dell’epoca. Certo, tuttora sono tantissimi i punti ciechi, che sono, però, stimolo per una ricerca più assidua e sistematica: alcuni aspetti della sua biografia, il suo rapporto con le influenze tardo romantiche e mitteleuropee, quelle con le avanguardie, con il verismo, i suoi rapporti con i compositori a lui contemporanei. Quel che è certo, per la mole delle pagine musicali prodotte, è il notevole contributo che il Cesi ha offerto alla storia della musica strumentale italiana a cavallo del XIX e del XX sec. Era il novembre del 2019, quando per la prima volta ho avuto la possibilità di visionare l’archivio del compositore. Ad un’iniziale attività di censimento del materiale 1
Desidero ringraziare la prof.ssa Diana Lamberti Cesi, nipote del compositore, per avermi permesso di consultare e catalogare il suo archivio nonché di avermi autorizzato alla pubblicazione del presente articolo. 2 Atto di nascita del comune di Napoli, anno 1867, Sezione Chiaia, numero d’ordine 703 e anche Documento di riconoscimento, conservati entrambi nell’archivio. 3 DEUMM, Le biografie, vol. II, Torino, UTET, 1999, p. 182. 243
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disponibile è seguita una classificazione delle singole unità archivistiche e successivamente una loro riorganizzazione all’interno di faldoni per materia comune, attività che ha impegnato quasi un anno e mezzo (e che si è conclusa solo poche settimane fa) e che ha prodotto 30 faldoni, per un totale di oltre 400 documenti. Nelle pagine seguenti ricostruisco, attraverso l’analisi della corrispondenza privata, alcune vicende biografiche, testimonianze di rapporti con esponenti artistici della società (compositori, critici musicali, mecenati) e con le case editrici. Proseguo poi con un censimento delle partiture autografe conservate in archivio, cercando di ricostruire, laddove possibile, il periodo di composizione, riportando anche alcune prime esecuzioni, recensioni nazionali ed internazionali. Le lettere L’archivio consta di un totale di 176 lettere che sono state suddivise in cinque gruppi a seconda del mittente e delle aree tematiche, riorganizzando cronologicamente ogni singola unità. Prima di descriverle nello specifico, propongo un piccolo schema sinottico al fine di facilitarne la chiarezza, per poi approfondire parte del contenuto della corrispondenza: QuanMittente tità 44 Napoleone Cesi unità
43 unità
Luogo -San Pietroburgo (25) -Palermo (16) -Napoli (3)
Case Editrici: -C.A.Baroni & Co. (3) -Casa di Franco (2) -Casa Editrice Musicale Italiana (21) -Case Editrici inglesi (7) -Editore Salonoff (1) -Giovanni Ricordi (3)
Arco cronologico -22 febbraio 1891-3 giugno 1891 -29 settembre 1892-15 aprile 1893 -Febbraio-Marzo 1909 -Luglio e Settembre 1904 -Ottobre 1907-Agosto 1908 -1905-1907 -Senza data -Una del 1907, una del 1924 e l’ultima senza data -Marzo e Giugno 1890 -Ottobre 1905 e Marzo 1906 -Senza data
-Kistner (2) -Sonzogno (2) -Società Italiana degli Autori (1) -Carisch (1)
-5 marzo 1949
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L’ARCHIVIO DI NAPOLEONE CESI
29 unità
Carolina Garruffo
10 unità
Beniamino Cesi
50 unità
-San Pietroburgo (18) -Palermo (8) -Senza luogo (2) -Napoli (1) -Venezia (2) e Livorno (1) -San Pietroburgo (2) -Napoli (2) -Majorenhof (1) -Senza luogo (2)
- Febbraio 1891-Maggio 1891 - Settembre 1892-Gennaio 1893 -primo aprile -Agosto 1885 -Dicembre 1887 e Febbraio 1888 -Ottobre 1899 e Luglio 1900 -Agosto senza anno -Senza data
Vari mittenti
Le lettere di San Pietroburgo Le lettere relative al viaggio di San Pietroburgo sono in totale 25. Una parte cospicua di esse (21) è stata scritta nell’allora capitale russa da Napoleone alla futura moglie Carolina Garruffo; le altre quattro (carenti dell’anno preciso, tuttavia facilmente riconducibili all’anno 1891), sono state spedite dalle città in cui il compositore ha soggiornato durante il viaggio da Napoli: due lettere del 21 febbraio inviate da Firenze e da Bologna, poi due del 22 e 24 rispettivamente da Vienna e Varsavia. La corrispondenza di questo periodo non offre molti spunti di ricerca per via della sua natura confidenziale. Nonostante ciò, al suo interno è possibile ricostruire la genesi di un concerto pianistico organizzato ed eseguito da Anton Rubinstein, un evento dall’importanza cruciale e da cui dipenderà il ritorno dei Cesi in patria. Napoleone giunge in Russia fra la fine di febbraio e l’inizio di marzo del 1891. La completezza della corrispondenza permette di limitare certamente questo lasso temporale: nella prima lettera del 22 febbraio 1891, il compositore confida alla moglie di essere appena giunto nella capitale austriaca e che l’indomani si sarebbe rimesso in viaggio per San Pietroburgo.4 In effetti, la partenza di Napoleone da Napoli non è stata dettata da aspirazioni artistiche, bensì da motivazioni familiari; ed è qui necessaria una piccola digressione. Beniamino Cesi giunge a San Pietroburgo nel 1886: il grande pianista Rubinstein, fondatore del Conservatorio della città, invitò nel 1885 il pianista napoletano a far parte
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Lettere autografe del 22 febbraio 1891 da Vienna e del 3 marzo 1891 da Pietroburgo. 245
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del corpo docente dell’Istituto;5 una carica che Cesi accetterà solamente un anno dopo, quando nel 1886 si trasferisce in Russia.6 L’esperienza non gli fu clemente: il pianista, come notoriamente diffuso in alcuni articoli del tempo,7 fu colpito da un ictus che gli paralizzò completamente la parte sinistra del corpo determinando la fine della sua attività artistica. Da buon primogenito e capofamiglia, Napoleone giunse a San Pietroburgo per riportare il padre inerme a Napoli, ma il progetto di ritorno si fece più arduo del previsto: carenze economiche ed episodi sfavorevoli costrinsero a procrastinare la partenza che non avverrà prima di giugno. Nel frangente, Napoleone comunica più volte a sua moglie queste difficoltà economiche: «ma bisogna far denaro per partire. Rubinstein, non so se te l’ho detto, darà un concerto in nostro beneficio e la società di soccorso fra gli Italiani ne darà il viaggio».8 Dunque, il concerto indetto dal Rubinstein, con i proventi economici ricavati, permetterebbe il finanziamento del viaggio di ritorno dei Cesi. Le modalità e le tempistiche vengono riferite in una lettera successiva: Il Rubinstein ha gentilmente accondisceso a dare un concerto per noi e ciò è una buona cosa perché ha un tale fanatismo che calcoliamo di fare 5 o 6 mila lire! Il brutto però vi è che il concerto l’ha fissato pel 24 aprile russo, cioè dopo la Pasqua (21) russa perché nella quaresima qui per un volere imperiale non si possono dare spettacoli. Per fare le cose più spicce sono andato dal comitato di beneficenza italiana – una società che dispone di 70 mila rubli di capitali per soccorrere gli italiani colpiti da sventura e procurar loro il rimpatrio – e siccome adesso avevano avuto un incasso di 5 mila rubli per una rappresentazione fatta per Masini in loro profitto, così io ho domandato 700 rubli, per averne almeno 500. Dopo due giorni viene l’offerta di 150 rubli! Da presentarsi il giorno della partenza! Neanche per pagare il viaggio! Quindi mi son dovuto rassegnare al concerto Rubinstein!9
Dopo una serie di vicissitudini ed un nuovo rinvio, il concerto avvenne presumibilmente il 28 aprile russo 1891.10 Napoleone stesso, entusiasta del successo artistico ed economico, comunica la sua contentezza alla moglie: Finalmente il concerto spuntò. Che ora deliziosa ho passato domenica sera nel sentire quel re dei pianisti. Era trasportato per i più sublimi campi dell’arte e quanto io mi sono in tali condizioni dimenticato ogni miseria umana e nel sentirmi felice del mio
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I due si conobbero in occasione di un concerto tenuto dal Cesi a Napoli molti anni prima, nel 1874. L’incontro è riportato da Federico Polidoro in «Gazzetta musicale di Milano, XXIX/3, 18 gennaio 1874, p. 22. 6 Non è questo il luogo adatto per approfondire la parentesi russa di Beniamino Cesi, ma suggerisco PIER PAOLO DE MARTINO, Beniamino Cesi da Napoli a San Pietroburgo, «Napoli nobilissima. Rivista di arti, filologia e storia», quinta serie-vol. IX, 2008, pp. 131-144. 7 Ivi. p. 139. 8 Lettera autografa del 3 marzo 1891. 9 Lettera autografa del 26 marzo 1891. (Appendice 1). 10 A causa della morte del granduca Nikolaj Nikolaevič Romanov, settimo figlio dello Zar Nicola I, il concerto fissato inizialmente per il 24 russo è stato posticipato al 28. Cfr. lettera del 28 aprile 1891. 246
L’ARCHIVIO DI NAPOLEONE CESI
entusiasmo, mi sovvengo come l’arte potrebbe rendermi la vita sempre sorridente, penso allora a tante cose…a chi sono… La sala era stipata, zeppa, abbiamo introitato nette 5700 rubli che fanno più di 16 mila lire. Mio padre ha depositato tutto su d’una banca a Vienna dove passeremo.11
I Cesi dovettero aspettare più d’un mese dalla data del concerto prima di mettersi effettivamente in viaggio; non solo la salute cagionevole del padre, ma anche altri disguidi hanno costretto a rimandare il viaggio alla prima settimana di giugno del 1891. Effettivamente l’ultima lettera inviata da Napoleone a sua moglie è datata 3 giugno 1891 dove la informa che «sabato che verrà dopo che tu riceverai questa alle 10 ant: lasceremo Pietroburgo».12 Le lettere di Palermo Nell’archivio sono contenute n. 16 lettere spedite da Napoleone ancora alla moglie risalenti al periodo di soggiorno del compositore nel capoluogo siciliano, nelle quali è possibile riscontrare attività professionali, nonché rapporti intrattenuti con i maggiori artisti e mecenati del tempo, fondamentali per il suo inserimento nel contesto sociale e culturale. Si annoverano: Emma Carelli, famosa soprano e nota impresario, fra le prime artiste con cui Napoleone ha intrattenuto rapporti professionali (probabilmente a lei si è rivolta per un primo alloggio a Palermo);13 Guglielmo Zuelli,14Alice Ziffer Baragli e soprattutto la famiglia Florio.15 A differenza del viaggio per San Pietroburgo (dettato da cause familiari), quello per Palermo è stato imposto da esigenze puramente economiche; la stessa motivazione spinse il padre ad accettare l’incarico presso il Conservatorio di San Pietroburgo, senza apparenti benefici: «I creditori saranno pagati quando le forze me lo permetteranno e se avrò lunga vita. Qui e in tutta Russia la stagione si mette malissimo e quello che mi dà il Conservatorio basta appena».16 Ora è Napoleone a scrivere irruentemente alla moglie: «Andare altrove io a cercare fortuna migliore di quella di Napoli era un dovere
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Lettera autografa del 12 maggio 1891. Lettera autografa del 3 giungo 1891. 13 Scrive il compositore alla moglie riferendosi a un tale Ligis: «Egli come farebbe a vivere qui e pagarsi il viaggio al primo mese? Io ho dovuto ricorrere alla Carelli, egli a chi?» Cfr. Lettera autografa del 29 settembre 1892. 14 Compositore e direttore d’orchestra. Nel 1894 divenne Direttore del Conservatorio di Palermo. cfr. DEUMM, Le biografie cit., vol. VIII, pp. 630-31. 15 I Florio, ricca famiglia di imprenditori a cavallo dei due secoli ma dalla forte vocazione per la cultura, hanno partecipato alacremente per le attività artistiche e culturali nella città di Palermo, diventando dei veri e propri mecenati. Nelle lettere non è specificato il nome, ma dovrebbe trattarsi di Franca Florio, da cui ha ricevuto anche un telegramma. Per una panoramica più esaustiva sull’attività soprattutto musicale della famiglia rimando a CONSUELO GIGLIO, La musica nell’età dei Florio, Palermo, L’Epos, 2010. 16 Lettera autografa del 24 ottobre 1887 spedita da San Pietroburgo a Napoleone. La lettera inedita è conservata nello stesso archivio. 12
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per me, quando dovevo mettermi a capo di una famiglia senza altri appoggi che il mio lavoro».17 Le lettere ricoprono solo una parte della permanenza di Napoleone a Palermo: un arco cronologico di otto mesi che va dal settembre 1892 ad aprile 1893 e che sicuramente non è indice della totalità della sua permanenza.18 Nelle scarse informazioni biografiche,19 è riportata la sua attività di docente presso il Conservatorio di Musica di Palermo senza, però, specificarne il periodo. Possiamo stabilire con assoluta certezza che durante il periodo delimitato dallo scambio epistolare presente nell’archivio, il Cesi non fosse ancora docente presso il Conservatorio, in quanto al loro interno si fa solo riferimento ad una possibile nomina futura parallelamente a quella circostanziale di Roma. In effetti, la carica era condizionata alla rinuncia della stessa da parte di Pietro Floridia, effettivo titolare della cattedra; ed è lo stesso compositore a comunicarlo alla moglie: «Dopo ciò, è sicuro che sarebbe accettato da tutti, se io stesso non ancora ho potuto prendere la vera posizione del Floridia?».20 In attesa dell’incarico di docente e dunque per una buona parte del suo soggiorno, Napoleone si sosteneva economicamente attraverso due principali attività, documentate entrambe nella corrispondenza: le lezioni private di pianoforte e i concerti che saltuariamente venivano organizzati, anche in associazione. A suo dire le lezioni private di pianoforte erano particolarmente remunerative, infatti scrive alla moglie che era restia a raggiungerlo: «Il lunedì do lezione alla Davante, Galife, e di Chiara per l’ammontare di lire 15. Il martedì poi ho la Bordonaro (7,50), la Maletto (5), la Piccolo (8) e la Vannucci (5) cioè lire 22,50. È necessario non perdere questo denaro» 21 e a sua suocera qualche giorno prima: «Guadagno attualmente con poche ore di lavoro al giorno 400 lire, se venissi a Napoli ne guadagnerei appena 55; come vedete la differenza è enorme e poi io qui sono il primo mentre che a Napoli sono centesimo».22 Oltre ad essere docente privato, Napoleone era molto dedito alla pianificazione dei concerti, li promuoveva in prima persona e si esibiva personalmente: sono molte le lettere che attestano questa sua attività, ne riporto solo una che, fra l’altro, testimonia anche le sue relazioni artistiche con la pianista Alice Ziffer Baragli, sebbene il rapporto non sia molto cordiale:
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Lettera autografa del 20 ottobre 1892. La corrispondenza non è completa: oltre a mancare le lettere dei mesi di novembre-dicembre (mancanza dovuta probabilmente all’arrivo della moglie a Palermo) mancano anche quelle di febbraio e marzo. 19 Cfr. DEUMM, Le biografie cit., vol. II, p. 182. 20 Lettera autografa del 29 settembre 1892. Il compositore e pianista nato a Modica (RG), ma studente di B. Cesi e P. Serrao al Conservatorio di Musica “San Pietro a Majella” di Napoli, è stato titolare della cattedra di pianoforte presso il Conservatorio di Palermo dal 1888 al 1892, per poi ritirarsi negli Stati Uniti. Cfr. DEUMM, Le biografie, vol. II, UTET, p. 783. 21 Lettera autografa del 14 gennaio 1892. 22 Lettera autografa del 3 gennaio 1892. 18
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Io dunque ho combinato un cattivo servizio alla Ziffer. Ho detto che se non mi darà il concerto domenica prossima non suonerò più, perché tale giorno lo darà anche lei ma da noi verrà il pubblico per il maggiore interesse del programma, e poi mi basta dividere il pubblico per farle dispetto. Io spero che tu ti troverai qui domenica: fa tutto il possibile.23
Le lettere delle Case Editrici Cospicua è anche la corrispondenza con le maggiori Case Editrici nazionali e internazionali (principalmente quelle inglesi e tedesche). Le lettere, come si può intuire facilmente dallo schema sinottico sopra proposto, sono per gran parte circoscritte alla prima decade del 1900 mentre solo due sono di marzo e giugno 1890, rispettivamente ricevute dalla Casa Editrice A.Büttner di Daniel Rahther in San Pietroburgo e dalla MusikalienHandlung di Friedrich Kistner in Lipsia, quest’ultima una succursale della prima. Oltre a testimoniare i rapporti lavorativi con i maggiori editori del tempo, le lettere sono fondamentali anche per ricostruire parte del catalogo musicale del compositore, dato che la maggior parte degli autografi contenuti nell’archivio sono manchevoli dell’anno di composizione, rendendo complicata non solo la precisa datazione di ogni singola opera, ma anche la loro cronologia. Nella lettera dell’editore Rahter, per esempio, vi è traccia di alcune composizioni del Cesi: Mi permetto di ritornarle oggi i seguenti manoscritti: -op. 7, Quartetto per Pianoforte ed Istrumenti ad arco; -op. 16 n° 1, Insistente per Pianoforte; -op. 16 n° 2, Idillio per Pianoforte; -op. 18, Giga per Pianoforte; -op. 20, Egloga per Pianoforte; E ritengo, dunque, l’op. 19: Barcarole, per quale offro cinquanta marchi, che qui aggiungo, come pure la cessione e guittanza.24
Al momento, una ricerca iniziale ha potuto confermare che l’op. 19 Barcarola per pianoforte è stata effettivamente editata dal Rahter. A questa bisogna aggiungerne un’altra precedente, il Capriccio per pianoforte op. 15.25 Le lettere degli editori inglesi sono tre, una della Boosey & Co., una della Novello & Co., e l’ultima di Augener Limited. A queste si aggiungono altre tre lettere ricevute da un tale De Luca che probabilmente ha fatto da intermediario fra il compositore e le Case Editrici inglesi. A loro Napoleone si è rivolto sia per l’edizione di alcune sue opere – soprattutto piccoli pezzi per pianoforte – sia per la vendita di opere già editate da altri senza, però, apparenti risvolti positivi; l’unico dato positivo che si può riscontrare è una possibile intermediazione di un tale Sig. Boor con Ricordi di Lucca: «Il Sig. Boor ha preso con esso i due pezzi, e l’avrebbe proposto alla Ditta Ricordi di Lucca
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Lettera autografa del 10 aprile 1893. Lettera autografa di Dan Rahter spedita a Napoleone il 31 marzo 1890. 25 Ricerca effettuata sul sito Opac → Napoleone Cesi → Daniel Rahter. 24
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che con esso fanno affari insieme».26 In effetti, dall’editore italiano risultano stampati due piccoli pezzi per pianoforte, gli stessi inviati dall’autore in terra londinese, ossia: Presso al ruscello. Pezzo caratteristico per pianoforte op. 25 e la Bourrée e Gavotta per pianoforte op. 22. Ben diciannove, infine, sono le lettere giunte dalla Casa Editrice Musicale Italiana assieme a due contratti. La corrispondenza, dall’ottobre 1907 all’agosto 1908, testimonia la trattativa fra il compositore e l’editore che alla fine si tramuta in quattro pubblicazioni tutte per pianoforte: Pensiero agitato, Serenata misteriosa, La montanina e I sei bozzetti musicali. Le lettere varie A questa categoria appartengono tutte quelle lettere di mittenti sporadici e di periodi diversi inviate al compositore. La loro natura poliedrica non scalfisce l’importanza che queste lettere assumono, fornendoci utilissime informazioni non solo sui rapporti personali, sociali e artistici che il compositore intratteneva nel corso della sua vita, ma anche circa le prime esecuzioni in Italia e all’estero di alcune sue opere. Per esempio, in una lettera del 12 novembre 1926 da parte di Armando Mercuri della “Società pro Musica Italiana e Scandinava” si fa riferimento all’esecuzione del Nonetto di Cesi in terra scandinava e la programmazione di futuri concerti a Napoli, anche con la finalità di far esibire gli allievi del compositore.27 Il filo conduttore con i paesi scandinavi è da ricercare molti anni prima; per esempio, in terra norvegese precisamente ad Oslo, è stato eseguito il suo Quartetto op. 31 in si minore il 16 novembre 1897 dall’ensemble Gullì di Roma. Una lettera autografa, proprio del M° Gullì e relativa all’esecuzione norvegese, riporta una serie di piccole recensioni comparse sui giornali scandinavi all’indomani dell’esecuzione, riportando pregi e difetti della composizione: In uno (quello firmato da Winter Hjelm) il tuo lavoro è criticato piuttosto severamente e si avrebbe voluto una maggiore fermezza nella fattura. Però vi è anche rilevato il lato buono, cioè l’ultima parte con le Variazioni, la melodia del Largo e lo Scherzo. L’altra critica da tenere in conto è quella firmata da H.Gueota dice che alcuni effetti istrumentali nell’ultima parte (quella con le Variazioni) sono addirittura deliziosi e solo potute venire da un italiano ispirato dal bel sole della sua patria. Tutte due queste critiche riconoscono in te molto talento ed una conoscenza dei migliori autori di musica da camera. […] A Roma mi sarà forse difficile di poterlo eseguire con tutta la mia migliore volontà non riuscirò, credo, di poterlo far entrare nei miei programmi.28
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Lettera di De Luca a Napoleone spedita da un agente di Londra il 3 gennaio 1906. Lettera autografa di Armando Mercuri spedita al Cesi il 12 novembre 1926 da Perugia. 28 Lettera autografa di L. Gullì spedita a Napoleone il 30 novembre (senza anno). La data precisa del concerto oltre agli altri due pezzi eseguiti nella stessa occasione (il Quartetto in mi min. di Verdi e il Quintetto Op. 5 di Sgambati), sono riportati nel programma di sala conservato nell’archivio, sebbene si faccia riferimento, erroneamente, al Klaverkvartet Op. 31 di Napoleone Cesi. La partitura, di cui ne esiste anche una che prevede il clarinetto in la al posto della viola, riporta chiaramente Quartetto Op. 31. 27
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Nella lettera è riportata anche la volontà del Cesi di far rappresentare lo stesso quartetto anche a Roma, in quanto solamente in seguito all’esito dell’esecuzione ed alla recensione, eventualmente positiva, dei critici musicali la partitura sarebbe stata pubblicata dalla Casa Editrice Musicale Italiana. È lo stesso editore che indica all’autore tale scelta editoriale: «Riguardo i suoi quartetti, noi le abbiamo scritto in data 10 gennaio che prima di trattare per la pubblicazione dei medesimi, noi avremmo atteso l’esito delle esecuzioni di essi a Roma secondo quanto ella ci scrisse».29 Oltre alle due lettere appena riportate, sono degne di nota almeno altre due, assieme ad un telegramma. Alludo ad una lettera inviata a Napoleone da parte del Conte Franchi-Verney della Valletta, un’altra spedita da Gaspare di Martino30 e il telegramma di Franca Florio, che forniscono utili informazioni basilari per approfondire la ricerca. Nella lettera del Conte si fa riferimento a «due interessanti pezzi» composti dal Cesi e dedicati alla moglie di costui, la violinista Teresa Tua, la quale si è mostrata «graditissima del riguardo gentile ed apprezzando ben altamente il merito delle composizioni si proponeva eseguendone uno a Palermo nei suoi concerti».31 Anche il telegramma di Franca Florio menziona un concerto che eseguirà il compositore stesso: «Per farle cosa gradita, il concerto [all’Istituto] dei Ciechi verrà posticipato al giorno 28 o ai primi di marzo, in modo che tutti avremo il piacere di udire la sua composizione».32 Infine, nella lettera del musicista Gaspare di Martino, quest’ultimo nomina una serie di personalità (musicisti e non, soprattutto critici musicali dell’«Assalto», de «Il Resto del Carlino») a cui il Cesi avrebbe fatto bene a intrattenere rapporti cordiali e professionali.33 Giornali, programmi di sala e riviste All’interno dell’archivio sono stati rinvenuti anche numerosi giornali, riviste e programmi di sala. Un primo lavoro è consistito nell’epurare l’archivio dagli elementi estranei alla figura del compositore: infatti, al suo interno, erano conservati giornali e programmi di sala relativi all’unica figlia di Napoleone, Cecilia (un’affermata concertista) e alla figlia di quest’ultima, Diana (l’attuale detentrice dell’archivio); i materiali a loro relativi sono stati catalogati per tipologia (per esempio, programmi di sala di concerti, di saggi pianistici, giornali, riviste etc.) e ivi conservati all’interno di faldoni separati.
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Lettera del 6 febbraio 1908 dalla Casa Editrice Musicale Italiana. Inoltre, sembra, che i quartetti alla fine non furono mai eseguiti nella capitale. 30 Lettera autografa del 5 aprile 1927 spedita da Bologna. 31 Dalla lettera autografa del Conte del 25 aprile 1900. Fu un musicografo e critico musicale, si distinse particolarmente per l’attività di promozione nei «Concerti Popolari» di Torino eseguendo per la prima volta il ciclo completo delle Sinfonie di Beethoven nella capitale sabauda; ivi fondò anche la «Società del Quartetto» nel 1875. Cfr. DEUMM, Le biografie cit., vol. III, p. 6. 32 Telegramma autografo di Franca Florio del 2 febbraio 1900. Ho già accennato circa l’importante ruolo dei Florio in qualità di mecenati nel capoluogo siciliano. Cfr. nota 15. 33 Lettera autografa di Gaspare di Martino del 5 aprile 1927. 251
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Una volta epurato il materiale, si è proceduto alla classificazione e alla descrizione di quello relativo al compositore. I programmi di sala sono stati suddivisi in 4 categorie, che sintetizzo di seguito: 1. I programmi relativi ai concerti eseguiti dal compositore stesso in sale ed istituti napoletani (più volte presso la Sala Romaniello e la Sala Ricordi), palermitani (soprattutto presso la Sala Ragona, l’“Istituto dei Ciechi” e la Sala rossa del “Politeama”) e romane (Salone della Marchesa Ferrero di Cambiano, più volte). All’interno di queste performance, il compositore ed eccelso pianista (secondo le memorie storiche) eseguiva musica propria senza disdegnare, però, quella altrui, distinguendosi particolarmente per le esecuzioni di pezzi di pianisti romantici (Chopin, Listz e Schumann);34 2. I programmi di sala delle ‘esercitazioni’, ossia saggi pianistici organizzati dal compositore per promuovere l’esibizione pianistica dei suoi allievi, attività già in parte accennata a Palermo35 ma che ha interessato anche Napoli (oltre alle Sale già citate, annoveriamo saggi privati organizzati presso la Sala Maddaloni, quella agli “Illusi”, la Sala degli Artisti). Inoltre, come già accennato, il Cesi risulta essere il fondatore anche di ben due Licei musicali, situati a Caserta e a Cassino; infatti, in questa categoria, sono stati inseriti anche i programmi di sala dei saggi pianistici organizzati e promossi dai due Licei. Infine, alcuni di questi programmi di sala riportano anche l’attività associativa e organizzativa di questi concerti con la figlia Cecilia a cui ovviamente partecipavano anche i suoi allievi; 3. I programmi di sala dei concerti di composizioni del Cesi eseguiti da terzi. A questa categoria appartengono sia i programmi dei concerti eseguiti in Italia che eventuali, e non pochi, concerti internazionali. Annoveriamo rapidamente alcune esecuzioni ad Oslo con il Quartetto op. 31, a Copenaghen in cooperazione con la “Società pro Musica Italiana e Scandinava” del Nonetto, un’esecuzione americana del Poema Sinfonico La Primavera da parte de “La società orchestrale di Babylon” in New York, a San Paolo in Brasile del Quartetto in la maggiore promossa in tournée dal “Quartetto Napoletano” e numerose esecuzioni diffuse dalla radio greca e danese.
Nel «Corriere dell’isola», 10-11 marzo 1894, è riportata una recensione, con annesso programma eseguito del concerto svoltosi probabilmente a Palermo: «Domenica scorsa il pianista-compositore Napoleone Cesi, si ripresentò dinnanzi ad un scelto uditorio, ed eseguì il programma interessantissimo che noi pubblicammo giorni addietro. L’umoresca dello Schumann, fu coscienziosamente interpretata e resa in tutti i suoi belli dettagli con molta efficacia di colorito. Dello Chopin oltre al Notturno in do min. op.48, impressionò la Polacca in mi 6, dove c’è quel famoso crescendo […] ed il Cesi mostrò d’avere un polso di ferro. […] In ultimo deliziarono le composizioni del concertista. Pensiero agitato (pezzo-se non erriamo-premiato a Bruxelles), Scherzino, Canzonetta e Alla fontana. Il pubblico festeggiò largamente il Cesi, che può essere lieto del successo ottenuto». 35 Cfr. paragrafo Le lettere di Palermo. 34
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La presenza di questi programmi di sala di concerti sia nazionali che internazionali è indice non solo di un’intensa attività artistica, ma anche di una buona diffusione delle sue opere, sebbene ancora confinate, per quel che la ricerca ha potuto sinora constatare, in specifiche città, soprattutto Napoli, Palermo ed in minima parte Roma; 4. All’ultima categoria appartengono i programmi di sala dei concerti post-mortem del compositore, celebrativi della sua attività artistica. Morto nel 1961, si contano sporadiche esecuzioni, soprattutto cameristiche, per esempio presso il “Circolo Artistico Politecnico” nel novembre del ’62, o presso la Sala del Conservatorio di Musica “San Pietro a Majella” di Napoli incentivate dall’“Accademia Musicale Napoletana” nella stagione 1963-64 e in quella 1972-73. Apice della tornata celebrativa, come spesso accade per un compositore, è il biennio 1967-68 in occasione del centenario dalla sua nascita. Le celebrazioni hanno interessato Pompei, con l’attività dell’Associazione Musicale “Euterpe”, Sorrento, presso la Villa Pompeiana, il Teatro di “San Carlo” con il Poema Sinfonico Alla Primavera sotto la direzione del M° Vittorio Gajoni nella rassegna estiva musicale promossa dal Teatro, infine Catanzaro, con Otello Calbi che ha diretto il complesso “Scarlatti” inaugurando la stagione concertistica con il Nonetto. Un’analoga suddivisione ha interessato anche i giornali, sebbene si sia cercato di associare il concerto riportato nel programma di sala con i giornali relativi. In assenza del primo, mancanza non di rado, gli articoli giornalistici sono indispensabili per ricostruire l’attività concertistica e artistica del compositore, in quanto al loro interno sono contenute non solo recensioni ma anche i programmi integrali eseguiti dal Cesi o da terzi. Una decina, infine, le riviste e i periodici musicali conservati nell’archivio. In due di essi, precisamente ne «L’Arte» del 7 marzo 1914 e ne «L’amico dei musicisti» del 15 maggio 1929, il Cesi abbandona momentaneamente le vesti di compositore per indossare quelle di critico, nel primo, e di corrispondente nel secondo. Nell’articolo de «L’Arte», appunto, dal titolo Il futurismo in musica, l’autore si pone in aperta contraddizione con coloro che si ritengono portatori di una nuova idea di musica, di Arte; ne riporto un piccolo estratto: Se crediamo di capire, i maestri futuristi vogliono anzi tutto abolire tutte le vecchie forme di pezzi; Le vecchie regole di modulazioni, l’arcaica condotta delle melodie con i periodi ritmici eguali. La classica fattura degli Allegro, degli Adagio-Finali, Rondò, Minuetto, Marcie ecc. tutto vecchiume da demolire! Per questi apostoli il nuovo nella composizione non deve consistere nell’idea, o motivo nuovo, originale, ma in maniera nuova – futuristica - di condurre avanti un disegno di note, con periodi sempre diversi, senza determinare alcun pensiero melodico, armonico ritmico. Anzi si comincia a mulinare non più note ma: rumori armonici!36
Gli autografi 36
«L’Arte. Rassegna di Teatri, Belle Arti e Letteratura» XLV/4, 7 marzo 1914, p. 1. 253
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Passiamo ora alla descrizione del materiale più importante e forse più esclusivo dell’intero archivio: le partiture, tutte autografe, del compositore napoletano. Queste delineano, già ad un primo sguardo superficiale di una loro semplice classificazione, i contorni di un compositore che non si è adagiato nel lustro del suo cognome ma che ha saputo valicare i confini della composizione strumentale, esclusivamente rivolta al pianoforte e al suo insegnamento, per giungere nelle forme tipiche e moderne della pura klassik music tedesca, sulla scia di un altro compositore napoletano, più anziano di lui di pochi anni, Giuseppe Martucci. Napoleone, infatti, non limitandosi alla composizione pianistica (che pur non disdegna di trattare), ha dimostrato di aver superato il padre Beniamino (fondatore assieme a Sigismund Thalberg della gloriosa scuola pianistica napoletana), allargando gli orizzonti della sua produzione artistica fino all’orchestra. Si hanno, così, moltissime partiture orchestrali: poemi sinfonici, concerti per pianoforte e orchestra, un nonetto, quartetti per archi e pianoforte, opere ma anche sonate per pianoforte solo e in duo con violino e violoncello; insomma, una produzione musicale eterogenea che si distingue non solo in area napoletana ma che dimostra sostanza, finora inespressa, anche a livello nazionale. Le opere Le opere sono complessivamente 5 (all’interno di una lista del Liceo Musicale “B.Cesi” che riporta alcune composizioni del Cesi, ne è menzionata anche una sesta, ossia l’opera Igor, di cui però non vi è traccia in archivio): Amor vince, Caritea, Zaira, Cecilia, Gli adoratori del fuoco. Amor vince, opera in atto unico ‘idillico’, fu composta poco più che ventenne nel 1886 e «rappresentata con successo a Napoli nel 1888».37 L’unica data indice del periodo di composizione è quella del 14 dicembre 1886, riportata in calce ad una delle sette partiture che sono conservate in archivio, precisamente nella riduzione per canto e pianoforte completa ed autografa del Cesi. Tutte le altre partiture, costituite da 3 ulteriori copie della riduzione pianistica e una partitura orchestrale (incompleta), non indicano ulteriori dati cronologici, costringendoci ad una prudenza cautelativa nell’indicare con certezza il periodo di composizione. Un’opera più articolata della precedente è Caritea, dramma leggendario in tre atti, composta nel 1888 su versi di Tullio Clare. Il nome del librettista è riportato nell’autografo della partitura orchestrale e all’interno di un articolo de «La Scena Illustrata» dal taglio polemico, in cui l’autore denuncia la difficoltà per i giovani artisti contemporanei «Il Quotidiano», 15 dicembre 1962 in occasione dell’anniversario dalla morte. Alle volte, alcune informazioni sulle rappresentazioni delle opere del Cesi che si ricavano dai quotidiani dell’epoca sono imprecise; per esempio, circa l’opera Cecilia, è riportato più volte la sua rappresentazione senza mai, però, specificare che si trattasse di semplici audizioni; anche riguardo notizie biografiche, l’incertezza e la faciloneria riportano informazioni inesatte: si riporta, erroneamente, che Napoleone avesse frequentato il Conservatorio “San Pietro a Majella” di Napoli (notizia parzialmente confutata dall’assenza del suo nome nei registri del Conservatorio fra gli studenti dell’Istituto). 37
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ad emergere nel panorama culturale. In verità il nome di Tullio Clare dovrebbe essere l’anagramma di Luca Torelli, autore di alcuni libretti sul finire del secolo.38 Dell’opera è conservata sia la riduzione per canto e pianoforte sia la partitura orchestrale integrale. La prima è stata composta fra la primavera e l’estate del 1888 (l’atto II riporta la data del 25 aprile mentre l’atto III quella del 19 luglio); la partitura orchestrale, invece, composta successivamente alla riduzione pianistica, è stata completata fra la fine dell’estate e l’inizio dell’inverno dello stesso anno (l’atto I riporta la data di inizio del 5 agosto 1888 e la sua conclusione il 14 settembre, l’atto II quella del 17 dicembre, l’atto III il 24 novembre). Cecilia è un’opera mastodontica in quattro atti su libretto di Ercole Pifferi, ricavato dalla tragedia omonima di Pietro Cossa e inscenata nella Venezia del XVI sec. Il soggetto operistico fu, probabilmente, scelto dal Cesi in onore della sua unica figlia, appunto Cecilia. Anche in questo caso, il periodo di composizione è difficilmente accertabile, costringendoci a condurre solamente delle supposizioni sul materiale che ad oggi disponiamo. Le uniche date riportate in calce alle partiture sono quelle relative agli spartiti orchestrali dell’atto III e IV, rispettivamente del 15 luglio 1901 e dell’11 agosto (senza anno preciso ma presumibilmente sempre del 1901). Il periodo di composizione dovrebbe, però, risalire a qualche anno prima, precisamente nell’ottobre del 1899, quando Beniamino Cesi scrive al figlio: «Ottima cosa scrivere un’opera»,39 testimoniando, dunque, l’intenzione del figlio di scrivere una nuova opera. Quest’ultima risulta conclusa nel novembre del 1900, quasi un anno dopo: la notizia è data su un quotidiano siciliano dell’epoca che riporta anche una sua audizione: «Ho avuto la ventura di assistere ad un’audizione al pianoforte che l’egregio maestro ha fatto, giorni sono, dell’opera sua e, se lo spazio tiranno me lo concedesse, vorrei esporre al lettore i pregi non comuni che adornano il lavoro del Cesi».40 L’opera viene riproposta, sempre attraverso il format dell’audizione pianistica con voci, quattro anni più tardi, ossia il 30 ottobre del 1904 sempre a Palermo, ma questa volta presso l’“Istituto di incoraggiamento per l’arte musicale” nella gran sala del “Circolo del Commercio”. 41 Queste audizioni per pianoforte e voce non tramuteranno mai in un’effettiva rappresentazione scenica: l’opera, infatti, non vedrà mai la luce sui palcoscenici italiani. Forse solamente nell’autunno del 1905 Cecilia è stata vicina alla sua première: ipotesi azzardata dal rinvenimento nell’archivio di un atto notarile di cinque articoli del 22 settembre 1905 (poco dopo l’audizione siciliana) in cui gli eredi del Cossa, autore della tragedia, cedono «il permesso di ridurre a dramma lirico il dramma di Pietro Cossa
«La Scena Illustrata». Non è possibile risalire al numero e all’anno di pubblicazione della rivista, di cui è conservata solo uno stralcio. L’articolo è comunque firmato da P. Guarino con data aprile 1890. 39 Lettera autografa spedita da Napoli da Beniamino Cesi a Napoleone il 7 ottobre 1899. Esplicitamente non viene citato il titolo di questa nuova opera, ma, quasi sicuramente, si tratta della Cecilia. 40 Notizia apparsa su «L’ora. Corriere politico quotidiano della Sicilia», 20-21 novembre 1900. 41 Nell’archivio è conservato il programma di sala dell’audizione dove si specificano anche gli interpreti dei personaggi che qui evito di riportare. 38
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intitolato Cecilia in cinque atti, edito nel 1885» e, più avanti, «l’avvocato Pasetti autorizza il M° Cesi a far rappresentare la sua opera Cecilia in Italia e all’estero».42 Per quanto concerne le ultime due opere mancanti, ossia Zahra e Gli adoratori del fuoco, le informazioni attualmente in possesso sono molto limitate, per cui si condensano all’interno di un unico paragrafo. In riferimento all’opera Zahra, melodramma di un atto in due quadri (Zaira è il titolo come compare all’interno di alcuni quotidiani dell’epoca) non si dispongono di dati cronologi circa il periodo di composizione ed eventuali rappresentazioni anche in forma di audizione. Le due uniche fonti manoscritte dell’opera, purtroppo anche incomplete, sono due riduzioni per canto e pianoforte; unico caso per quanto riguarda le opere, nessuna partitura orchestrale è stata rinvenuta. Analogo discorso per l’altra opera, Gli adoratori del fuoco in due atti, i cui connotati cronologici è impossibile individuare. Il libretto dovrebbe essere opera dell’artista poliedrico napoletano Rocco Edoardo Pagliara, tratto e ridotto dall’omonimo romanzo di Thomas Moore, sebbene la lacunosità del testo poetico, manchevole delle prime pagine, non permetta di stabilire con precisione la paternità dei versi.43 Musica sinfonica Poemi Sinfonici Fra le pagine musicali più interessanti del catalogo di Napoleone Cesi, i poemi sinfonici assumono di diritto una posizione di prim’ordine. Tale rilevanza scaturisce indubbiamente dalla poca familiarità dei compositori italiani con il genere del poema sinfonico, sebbene, anche se in forma sporadica, dal 1878 (anno del primo poema sinfonico italiano dal tema dantesco di Francesca da Rimini di Bazzini) e più diffusamente dagli anni dieci del ‘900, il genere sia entrato a pieno titolo fra le forme della musica sinfonica italiana. E così Napoleone Cesi, dopo lunghi decenni di assoluto oblio, può veder associato il suo nome a quello di importanti compositori italiani come Ottorino Respighi e Riccardo Zandonai su tutti, che hanno fatto del poema sinfonico un genere non più appannaggio esclusivamente tedesco. Nell’archivio sono conservate le partiture di cinque poemi sinfonici, quattro di essi (Alla primavera, Pensiero drammatico, Le cascate del Niagara, Scintillio del mare) sono partiture autografe complete a cui si aggiungono anche le relative riduzioni pianistiche, le parti staccate degli strumenti, le copie eliografiche e quelle stampate 44 (ad eccezione de Le cascate del Niagara dove le parti staccate sono assenti). La partitura orchestrale autografa e le relative parti staccate de La leggenda di Ulisse, invece, sono Dall’atto notarile del 22 settembre 1905 fra Napoleone Cesi, l’avvocato, Pasetti e gli eredi del Cossa. 43 Avanzo, comunque, la suddetta ipotesi perché all’interno del faldone “Romanze per canto e pianoforte” è conservata la romanza di Inda dell’Atto I Là fra palmizi in cui è menzionato il Pagliara quale autore dei versi. 44 Il termine può trarre in inganno: intendo semplicemente la tecnica di riprodurre su carta il contenuto di una matrice precedente. I poemi sinfonici elencati oltre la Leggenda di Ulisse sono tutti inediti. 42
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incomplete ma si dispone di una copia eliografica orchestrale oltre a tre copie stampate che possono colmare questa mancanza. Cesi si avvicina al genere relativamente tardi; fatta eccezione per La leggenda di Ulisse la cui genesi è da far risalire alla prima decade del 1900, gli altri poemi sinfonici sono stati tutti composti nel decennio 1942-1952, in ritardo rispetto ad alcuni suoi colleghi contemporanei. Ottorino Respighi scrive il suo primo poema sinfonico Fontane di Roma nel 1916, mentre sono del ’24 e del ’28 gli altri due, Pini di Roma e Feste romane;45 anche Zandonai scrive le sue prime impressioni sinfoniche Primavera in val di Sole e Autunno fra i monti fra il 1914 e il 1918.46 Il raffronto cronologico con i poemi sinfonici di Napoleone Cesi è emblematico: solo tre delle cinque partiture riportano la data di composizione, in ordine cronologico: Pensiero drammatico, 1942 (un testimone autografo riporta anche il titolo Fantasia drammatica), Scintillio del mare, 21 aprile 1946,47 Le cascate del Niagara, 24 gennaio 1952. Per gli altri due poemi sinfonici, ossia Alla primavera e La leggenda di Ulisse, privi purtroppo di qualsiasi indicazione cronologica in partitura, è possibile avanzare ipotesi sulla scorta dei documenti stessi contenuti nell’archivio. Erroneamente, un giornale dell’epoca48 fa risalire il periodo di composizione dei due poemi fra gli anni ’20 e ’30. Come si è accennato, infatti, riguardo a La leggenda di Ulisse, opera dalla chiara ispirazione epica, vi è già traccia di una sua esecuzione in un programma di sala risalente al 1906: si tratta di un concerto tenutosi presso la Sala Romaniello di Napoli il 28 febbraio, in cui l’autore stesso esegue la riduzione pianistica del poema sinfonico.49 Un ulteriore riscontro lo fornisce una recensione su un giornale (di cui manca il titolo della testata) di un concerto nello stesso luogo del 1908: «Chiuse efficacemente la Leggenda di Ulisse, un pezzo che, in attesa dell’orchestra, ci siamo accontentati di udire al pianoforte. È un pezzo dalle tinte forti, epico, coll’insistente canto delle sirene».50 Sulla base del programma di sala51 (unico testimone assieme all’articolo in cui è riportata notizia del poema), possiamo confutare l’arco cronologico 1920-30 come periodo di composizione, avanzando invece, l’ipotesi che La leggenda di Ulisse sia stata composta intorno al 1906 o comunque precedentemente a tale data. Ancora più arduo stabilire il periodo di composizione del poema Alla primavera (Appendice 2), che, comunque, dovrebbe essere più vicino cronologicamente agli altri tre. Nell’ormai mancanza costante delle date in calce alla partitura, neanche le fonti 45
Cfr. DEUMM, Le biografie cit., vol. VI, p. 308. Cfr. Ivi, vol. VIII, p. 583. 47 La data è riportata all’interno di una pagina finale del poema, di cui mancano completamente le pagine precedenti. All’interno di un esemplare completo, invece, è riportata la data giugno 1950. 48 «Il Quotidiano», 13 dicembre 1962. 49 Programma di sala del concerto tenutosi presso la Sala Romaniello il 28 febbraio 1906. 50 La data in corrispondenza dell’articolo giornalistico è quella del 18 gennaio 1908, ma probabilmente fallace (dovrebbe trattarsi del 1909); la data è stata riportata a penna probabilmente dalla figlia di Napoleone che ha curato un primo riordino dell’archivio. L’ho corretta con quella che ritengo essere la data effettiva del concerto sulla scorta del programma di sala che indica la data del 15 novembre 1908: il programma eseguito, gli interpreti e il luogo corrispondono con la recensione apparsa sul giornale. 51 Cfr. nota 50. 46
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documentarie conservate nell’archivio possono spingerci ad avanzare delle ipotesi. I primi documenti che hanno per oggetto la composizione sono due lettere inviate dal direttore d’orchestra danese Launy Grøndahl (1886-1960), entrambe del 23 aprile 1952, in cui quest’ultimo accetta ben volentieri di eseguire «encore une fois» il poema sinfonico Alla primavera con l’“Orchestra Sinfonica Nazionale” per la radiodiffusione danese.52 Il 13 marzo dello stesso anno, il poema sinfonico approda anche in America, precisamente a New York, in occasione della quinta stagione concertistica organizzata da “La società orchestrale di Babylon” diretta da Christos Vrionides. Il concerto è riportato anche in un articolo de «Il Mattino»: «La Società orchestrale di Babylon ha eseguito, nel corso di un importante concerto, il brano sinfonico La primavera del maestro Napoleone Cesi. Pubblico e critica hanno tributato calde accoglienze alla composizione del musicista napoletano».53 Deve essere stata proprio questa esecuzione americana de Alla primavera, ad aver incentivato il compositore ad un nuovo poema sinfonico che trae ispirazione da uno dei fenomeni naturalistici statunitensi più noti, Le Cascate del Niagara.54 In epoca relativamente recente, il poema è stato riproposto al pubblico napoletano in occasione del centenario dalla nascita del compositore: il Teatro di San Carlo di Napoli, a conclusione della rassegna “Estate Musicale Napoletana”, ha deciso di omaggiare l’artista napoletano con l’esecuzione del poema diretta dal M° Vittorio Gaioni. Il concerto sinfonico prevedeva, inoltre, alcune delle pagine musicali del sinfonismo romantico: l’Overture de Il franco cacciatore di Weber, la Prima Sinfonia di Beethoven e l’Idillio di Sigfrido di Wagner.55 Pezzi per pianoforte e orchestra Il Concertstück op. 21 in do minore, oppure pezzo da concerto (così come anche riportato su una copia autografa), è la prima composizione scritta per pianoforte e orchestra dal Cesi, sicuramente antecedente al 1892. Lo attestano due programmi di sala di due distinti concerti (entrambi eseguiti con l’orchestra ridotta a secondo pianoforte): la prima esecuzione di cui si ha memoria, è del 10 aprile 1892 presso la sala Villino Weiss
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Lettera di Launy Grøndahl inviata da Copenaghen a Napoleone Cesi il 23 aprile 1952: «Je veux bien exécuter encore une fois votre morceau “Primavera” ici avec l’orchestre symphonie nationale de la Radio diffusion danoise». La locuzione encore une fois, presente nella lettera, farebbe supporre una precedente esecuzione a quella del 23 aprile 1952. 53 «Il Mattino», 1 aprile 1952, p. 4. 54 È proprio il compositore a menzionare la nuova opera in virtù dell’esecuzione americana de Alla primavera. In una lettera dell’8 gennaio 1952 (circa due mesi precedenti all’esecuzione newyorkese) e spedita al direttore Vrionides, Napoleone scrive: «Tutto questo mi ha ispirato di comporre un pezzo: Impressioni sinfoniche sulle Cascate del Niagara». 55 Le notizie dell’esecuzione con il programma eseguito sono state tratte dagli articoli di giornali e dal programma di sala del Teatro di San Carlo. 258
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di Napoli mentre la seconda è avvenuta il 30 dicembre 1892 nella Sala Ragona di Palermo.56 Un nodo molto controverso della biografia del compositore, la cui ricerca è tuttora in itinere, è la sua partecipazione alla prima edizione al Concorso Rubinstein del 1890. Tutti gli articoli (e ci si riferisce a quelli encomiastici sulla figura del compositore pubblicati sui giornali poco dopo la sua morte e su cui si nutrono le maggiori riserve), riportano, con una serie infinita di imprecisioni cronologiche e di incoerenze di ogni sorta, che Napoleone quel concorso, oltre ad avervi partecipato, lo vinse addirittura a pari merito con un certo Ferruccio Busoni. Le notizie in merito sono molto nebulose. «Il Quotidiano» riporta: «Nel 1891 [Napoleone] si reca in Russia dove esegue concerti alla presenza dello zar e vince con Busoni il concorso Rubinstein con un concerto per pianoforte e orchestra, una sonata per pianoforte e violino, e quattro pezzi per pianoforte solo»;57 anche «Il Roma» è sulla stessa lunghezza d’onda: «A 25 anni vinse ex aequo con F.Busoni a Pietroburgo il concorso Rubinstein con la sonata in re minore per pianoforte e violino».58 Entrambi i quotidiani, non gli unici a dir la verità a riportare notizie dai contorni poco definiti in tal proposito, riportano informazioni contrastanti: «Il Quotidiano» indica l’anno 1891 quale data di avvenuta partecipazione al concorso, quando è certo che la sua prima edizione, che è tra l’altro quella vinta dal Busoni, fu bandita dal Rubinstein nel 1890, un anno prima.59 Anche le informazioni circa il programma eseguito sono discordanti: «Il Roma» riporta solamente la sonata per pianoforte e violino, mentre «Il Quotidiano» un programma più esteso.60 Confrontando il programma riportato nei due quotidiani con quello effettivamente richiesto per essere ammessi al concorso dell’edizione successiva, ossia quella del 1895, sono riportate utili informazioni: «Ai compositori si prescrive la presentazione dei seguenti lavori: Pezzo concertato per pianoforte e orchestra, Sonata per pianoforte solo o con accompagnamento di uno o più istrumenti ad arco, alcuni piccoli pezzi per pianoforte», in sostanza il programma descritto da «Il Quotidiano».61 Un altro dato fondamentale è riportato nella «Gazzetta Musicale di Milano» in occasione della terza edizione del concorso in cui viene specificato che «occorre presentare le composizioni seguenti: un pezzo da concerto (Concertstück) per pianoforte con orchestra; due esemplari della partitura: un esemplare della trascrizione delle parti
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Programmi di sala dei rispettivi concerti. Il concerto alla Sala Ragona è il debutto del compositore nella società palermitana; una lettera del giorno prima spedita alla moglie riporta la vendita di 100 biglietti, una cifra considerevole per il Cesi: «Ragona mi dice che ciò è moltissimo perché Palumbo vende 80 e Cognetti 72». 57 «Il Quotidiano», 13 dicembre 1962. 58 «Il Roma», 11 settembre 1961. 59 DEUMM, Le biografie cit., vol. II, p. 5. 60 Ad esse se ne aggiungono altre: se Napoleone avesse avuto 25 anni quando ha partecipato al concorso, sarebbe stato il 1892, anno improbabile perché il concorso è bandito ogni cinque anni; ancora: non esiste una sonata per pianoforte e violino in re minore bensì una in re maggiore. 61 Nel periodico del 1890 non sono riportate notizie in merito al concorso, pertanto ho deciso di indicare quello della seconda edizione. Cfr. «Gazzetta Musicale di Milano», 50/11, 17 marzo 1895, p. 185. 259
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d’orchestra per un secondo pianoforte, [uno] per le parti d’orchestra».62 Tale informazione, se associata al ritrovamento nell’archivio di una copia autografa del Concertstück con la didascalia “Esemplare 1”, può essere quanto meno indicativa: è possibile supporre, dunque, che il Concertstück sia stato composto appositamente per la partecipazione di Napoleone al concorso “Premio Rubinstein” del 1890, indipendentemente che vi avesse partecipato o addirittura l’avesse vinto. Il secondo lavoro è il Concerto per pianoforte e orchestra in re maggiore ed in tre tempi: Allegro, Berceuse e Moto perpetuo. Del lavoro non esiste alcuna partitura orchestrale ma solamente copie autografe della parte pianistica (4 unità di cui una incompleta) e della riduzione per due pianoforti (2 copie di cui una incompleta). È veramente arduo, fra l’altro, stabilire una collocazione cronologica del periodo di composizione: l’insussistenza di memorie storiche circa la composizione si va ad aggiungere ad un’altrettanta fallacia di partiture manoscritte, di cui ne esiste solo una riduzione per due pianoforti (completa solo del tempo finale ma parziale anche nella scrittura, tanto da supporre si tratti di un abbozzo) che riporta la data del 30 agosto 1908. Sinfonica varia In questa categoria, che trova corpo in archivio all’interno di uno specifico faldone, confluiscono tutti quei pezzi scritti per orchestra che non possono essere classificati in determinate opere: il faldone è sostanzialmente una miscellanea di alcune composizioni del Cesi di piccole dimensioni e tutte per orchestra. Rapsodia giapponese per pianoforte ed orchestra; Il due giugno. Epicedio eroico, premiato al Concorso bandito dall’Archivio Musicale di Napoli nel 1882. Della partitura è stata pubblicata una riduzione pianistica dall’editore Ricordi; Serenata misteriosa (ne esiste anche una riduzione pianistica); Valzer Boston; Valzer Flirt, maggio 1944; un inno per coro ed orchestra; Danza alla spagnola, per pianoforte ed orchestra; Quella sera; Terza gavotta. La musica da camera Non meno interessanti sono le numerose composizioni da camera firmate da Napoleone Cesi: una produzione eterogena e che rappresenta appieno la volontà della cultura musicale italiana di distaccarsi dalle dipendenze della klassik music tedesca, con il bisogno di una propria identità culturale e musicale che oltrepassi il confine del genere operistico. I Quartetti Fra le forme della musica da camera, il quartetto è quello in cui Napoleone più si è cimentato e che più gli ha restituito gratificazione quando era ancora in vita, nonostante siano stati tutti composti in età giovanile e nel decennio 1883-1895 (ad eccezione del
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«Gazzetta Musicale di Milano», 55/13, 19 marzo 1900, p. 181. 260
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quartetto in la maggiore); alcuni dei suoi quartetti, infatti, sono stati eseguiti con successo numerose volte a Napoli, Roma, Palermo, finanche ad Oslo. Napoleone completa il suo primo Quartetto (do maggiore, Allegro, Adagio maestoso, Minuetto e Allegro molto-Fuga) il 2 maggio del 1883, all’età di sedici anni, di cui è conservata una copia autografa nell’archivio. Il suo secondo Quartetto (si bemolle maggiore, Allegro non molto, Minuetto e Trio, Adagio, Rondò) risale all’estate del 1885 di cui sono conservate due copie autografe complete ed una incompleta.63 Un anno dopo, nel 1886 durante la composizione del suo terzo quartetto op. 7 (sol maggiore, Allegro, Andante con variazioni, Adagio e Fuga), Napoleone si distacca dalla consueta natura del genere, che prevede la presenza esclusiva degli archi, sostituendo il violino II con il pianoforte. Sono due le partiture conservate nell’archivio, di cui una sola integrale. La prima porta la datazione in calce del gennaio 1887 ed è manchevole delle pagine finali; la seconda è stata composta fra il gennaio e l’agosto del 1886.64 Veniamo ora al Quartetto op. 31 (si minore, Allegro, Larghetto, Scherzo e Trio, Tema con variazioni). Di questa partitura non è facile purtroppo stabilire con certezza sia il periodo di composizione sia l’organico per cui inizialmente esso sia stato concepito. Infatti, riguardo quest’ultimo aspetto, i tre testimoni autografi conservati sono tutti per organico diverso: il primo per violino, viola, violoncello e pianoforte; il secondo sostituisce il violoncello con il clarinetto in la; l’ultimo, invece, sostituisce la viola con il clarinetto in la. Nell’archivio è stata ritrovata anche un’edizione a stampa dell’op. 31, precisamente quella che ha per organico il primo testimone; si potrebbe avanzare l’ipotesi, seppur labile, che sia stato questo l’organico prediletto dal compositore al fine di una possibile stampa. Riguardo al periodo di composizione, solo il testimone numero tre (quello con il clarinetto in la) riporta la data del 25 ottobre 1895. Nonostante l’assenza della data negli altri due testimoni non permetta di stabilire con certezza se il testimone del 1895 sia effettivamente il primo assoluto o una copia successiva, le fonti documentarie storiche possono essere utili, nel complesso, per una circoscrizione cronologica più precisa dei tre manoscritti. La prima notizia assoluta di un’esecuzione del Quartetto op. 31 è riportata all’interno di un programma di sala di un concerto tenutosi presso l’Aula Rossa del “Politeama Garibaldi” di Palermo l’8 febbraio 1896, di pochi mesi successivi all’ottobre 1895 (unica data riportata in uno dei tre testimoni). Nella fattispecie è riportato anche l’organico che prevede il pianoforte, il violino, il clarinetto e il violoncello assieme ai movimenti che compongono l’opera; tali informazioni deducono certamente che l’esecuzione del febbraio 1896 sia del quartetto riportato nel manoscritto di pochi mesi prima. La versione con l’organico di soli strumenti ad arco approda un anno dopo, precisamente il 16 novembre del 1897, ad Oslo, in Norvegia, eseguito dal “Quartetto Gullì” 63
Trascrivo le date così come riportate alla fine di ogni movimento: Allegro non molto, 23 agosto 1885; Minuetto e Trio, senza data; Adagio, settembre 1885; Rondò, 19 ottobre 1885. 64 Riporto, anche qui, le date in corrispondenza dei singoli movimenti: Allegro, 16 agosto 1886, Andante con variazioni, 8 gennaio 1886 (la variazione X riporta la data del 23 febbraio), Adagio e Fuga, 31 agosto 1886. 261
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assieme ad alcune pagine della musica cameristica italiana.65 Un articolo, comparso nel «Corriere dell’Isola» del 22-23 dicembre del 1897, ne riporta l’esito favorevole: Gli applausi divennero ovazioni allorquando eseguì il programma formato completamente di compositori italiani. I passaggi più difficili per pianoforte furono egregiamente eseguiti nel pezzo del giovane compositore N. Cesi (op.31). Il quartetto del Cesi è un originale e potente lavoro moderno nel quale il compositore ha esteso i limiti dell’arte in una forma nuova e tale da raggiungere le più alte cime in questo campo. Egli è riuscito a creare nuovi e impressionanti effetti strumentali, e delicate originali e melodiche armonie.66
Il Quartetto risulta più volte eseguito nel corso dello stesso anno e nei successivi con organici differenti: nel 1897 presso la Sala Ricordi di Palermo con il clarinetto in organico;67 il 15 aprile 1898 viene eseguito nuovamente ed esclusivamente per strumenti ad arco e pianoforte presso la Sala Romaniello di Napoli;68 nuovamente il 17 aprile 1903 sempre presso la stessa sala e con medesimo organico.69 L’ultimo Quartetto che manca all’appello è quello in la maggiore composto per archi. La partitura è pressoché inesistente, essendo conservate solo le prime due carte; per fortuna, sopperisce a tale mancanza la presenza in archivio delle parti staccate di ciascuno dei quattro strumenti ma, purtroppo, queste non sono utili per una collocazione cronologica. Assieme all’ op. 31, questo in la maggiore è quello che ha avuto un respiro più internazionale in quanto eseguito più volte in Italia e all’estero: questa sua diffusione produce molte fonti storiche collaterali grazie alle quali è possibile, in parte, stabilire un lasso cronologico di composizione. La prima esecuzione di cui si ha notizia è quella del 15 novembre 1908 presso la Sala Romaniello di Napoli. 70 Dal programma di sala si può risalire oltre che ai movimenti di cui il quartetto è composto (ossia: Allegro, Adagio elegiaco, Scherzo e Finale-Allegro), anche alla data di composizione che, sebbene si riferisca esclusivamente al secondo movimento, possiamo far risalire al 19 gennaio 1907, data in cui il padre Beniamino viene a mancare. Così come riportato da un articolo giornalistico in occasione di una sua esecuzione al Circolo degli “Illusi” di Napoli, il lutto familiare può aver ispirato Napoleone alla composizione del secondo Notizia riportata nel programma di sala del “Kvintetselskabet fra Rom.” del 16 novembre 1897. Estrapolato dal «Corriere dell’Isola». 22-23 dicembre 1897. Per una più completa descrizione del concerto cfr. 4) le lettere varie del presente articolo dove è riportata la corrispondenza fra Napoleone e Gullì. 67 «I maggiori applausi coronarono il Quartetto in si min. eseguito con grande accuratezza dal Sansone, da dell’Orefice (clarinetto), dal Loveri e dall’autore». [corsivo mio]; articolo tratto dal «Pungolo Parlamentare» VI/110, 21-22 aprile 1897. 68 Data precisa riportata in un invito al concerto del compositore. Il concerto viene recensito nuovamente sul «Corriere dell’Isola» del 26-27 aprile 1898 dove si legge: «del Quartetto in quattro tempi per pianoforte, violino, viola e violoncello, già eseguito con gran successo a Cristiania dal Quintetto Gullì di Roma». 69 La data e i pezzi eseguiti sono riportati nel programma di sala conservato nell’archivio. 70 Programma di sala del concerto del 15 novembre 1908. Il quartetto fu replicato poche settimane dopo anche al Circolo G. Barbieri di Napoli il 10 dicembre del 1908. 65 66
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movimento, dalla vena melodica particolarmente straziante: «commosse l’Adagio elegiaco, scritto in ricordo della morte del padre, che esprime in un’alternativa di due emotive e strazianti frasi, l’addio alla vita». In corrispondenza degli altri movimenti non è riportata alcuna data, il che complica la già difficile individuazione cronologica di composizione, determinata dalla mancanza di dati cronologici in calce alla partitura. Nonostante questa lacuna, un quotidiano fa risalire il periodo di composizione al 1907.71 Dopo l’esecuzione norvegese del Quartetto op. 31, anche quello in la maggiore approda in suolo scandinavo, precisamente a Copenaghen il 29 novembre del 1924. Il concerto fu patrocinato dalla “Società pro musica italiana e scandinava”, fondata dal compositore Armando Mercuri e dalla scrittrice Rosalia Jacobsen e finalizzata al continuo scambio di esecuzioni di musica fra l’Italia e in paesi scandinavi, in cui il Cesi era affiliato e successivamente gli fu incaricato di «assumere la presidenza a Napoli e di organizzare il concerto di contraccambio» come ringraziamento per l’esecuzione in terra danese.72 Dopo la morte del compositore, il quartetto in la maggiore è fra le composizioni più eseguite e che più rientra nell’orizzonte del repertorio cameristico. Oltre all’esecuzione presso il “Circolo Artistico”, il “Quartetto dell’Accademia Musicale Napoletana” lo ripropone più volte nel corso degli anni successivi: nella stagione 1963-64 presso il Conservatorio di Musica “San Pietro a Majella” di Napoli;73 presso la Villa Pompeiana di Sorrento il 10 settembre 1967;74 finanche a San Paolo in Brasile il 15 settembre 1969.75 Il Nonetto Fra le pagine musicali più originali di Napoleone Cesi figura indubbiamente il Nonetto (sinfonietta da camera) composto alla fine degli anni Novanta dell’Ottocento per violino I-II, viola, violoncello, contrabbasso, flauto, clarinetto in si bemolle, corno in fa e fagotto. La didascalia Stile classico riportato in bella vista nell’edizione a stampa non lascia grossi dubbi circa la forma della composizione, ma sarebbe immeritato, nei «Il Corriere di Napoli», 27 novembre 1962, in occasione di un’esecuzione del quartetto al “Circolo Artistico” di Napoli, riporta testualmente: «Interessante e di bella costruzione il Quartetto che, composto nel 1907 ed eseguito a Copenaghen nel 1924, parte da un tema caratteristicamente beethoveniano». 72 Notizia apparsa su «La Gazzetta dei Musicisti», dicembre 1924, p.4, in cui è riportato anche il programma, abbastanza inesplorato, eseguito assieme al quartetto del Cesi: Mezio Agostini, Sonata in la per violino e pianoforte; Mario Barbieri, Liriche; Armando Mercuri, Pezzo lirico con pianoforte, violino e celle; Renzo Bassi, A landè. Tris per pianoforte, violino e celle. La notizia del concerto danese è riportata anche in una lettera scritta dal Cesi di cui però non è riportata né la data né il destinatario. 73 Anno della stagione ed ensemble sono riportati nel programma di sala conservato in archivio. 74 Notizia apparsa in numerosi articoli giornalistici e confermata dal programma di sala conservato in archivio. 75 Data precisa riportata nel programma di sala dell’archivio. «Il Mattino», 26 settembre 1969, p. 10, riporta un «successo fra i più calorosi». 71
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confronti dell’autore, sdegnare questo pezzo cameristico come retaggio di uno stile ormai in disuso per l’epoca. È quantomeno indicativo il genere di per sé: l’organico e la forma del nonetto, inteso come composizione da camera, non sono molto familiari ai compositori, tanto meno quelli italiani, ed esempi di questo tipo sono molto limitati. Nel panorama italiano, infatti, non sembra figurino composizioni del genere e anche i compositori europei dell’Ottocento si mantenevano a distanza, salvo pochi casi.76 L’originalità della composizione fu già notata da un critico musicale che assistette al debutto palermitano del Nonetto presso l’“Istituto dei Cechi” del 18 marzo 1900: Questo Nonetto, già eseguito due volte in Napoli negli anni 1898 e 1899, ed ivi molto favorevolmente accolto, ha oltre ai suoi meriti intrinseci, il pregio di essere tra le poche composizioni di questo genere prodotte in Italia da italiani; già che è risaputo come in Italia sia gran penuria di musica strumentale ed è solo da poco tempo che strenui campioni si cimentano nel difficilissimo genere, ed il Cesi è tra questi pochi.77
L’estratto dell’articolo fa riferimento a due esecuzioni precedenti a Napoli di cui solo di quella del 1898 sono riportate memorie storiche all’interno de «La Gazzetta Musicale di Milano» che descrive nello specifico il concerto tenutosi a Napoli presso la Sala Romaniello il 15 aprile.78 Un’altra esecuzione di prestigio e di livello internazionale del Nonetto è avvenuta nel 1926 a Copenaghen in collaborazione con la “Società pro musica italiana e scandinava” di cui, però, non sono state rinvenute notizie storiche fuorché una lettera fra il compositore e il fondatore della società.79 A testimonianza dell’avvenuta esecuzione, si nota l’esistenza di una didascalia, presente sull’unica partitura autografa (parziale, manca il primo tempo e l’Adagio), che riporta «eseguito a Copenaghen nel 1926». 80 In epoca più recente, si contano almeno due esecuzioni del Nonetto del Cesi, tutte avvenute dopo la sua morte. La prima risale al 16 novembre 1968 quando il direttore Otello Galbi lo esegue assieme al gruppo strumentale “Alessandro Scarlatti” presso il “Circolo Unione” di Catanzaro; la seconda ha avuto luogo presso il Conservatorio “San
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Fra i pochi compositori che si sono avvicinati a questo organico annoveriamo: L. Spohr, Op. 31, Lachner, Rheinberger, Stanford Op. 95, Ravel, Trois poèmes de Mallarmé. Cfr. per una panoramica più esaustiva DEUMM, Il lessico, vol. III, Torino, UTET, 1999, p. 330. 77 Articolo privo del titolo della testata. Il concerto, organizzato da Franca Florio (cfr. nota 32 e paragrafo 4) Le lettere varie), prevedeva tutte composizioni del Cesi: Momento capriccioso, Pensiero agitato e Canto del mattino, per pianoforte; Incontro, romanza per soprano e pianoforte; Berceuse, per violino e pianoforte; Poema drammatico, Alla fontana e Serenata appassionata, per pianoforte e, infine, il Nonetto dedicato per l’occorrenza al Comm. Ignazio Florio. 78 «Il concerto di Napoleone Cesi è riuscito benissimo: vi assisteva, per dirla con una frase del De Sanctis, il mondo più elegante napoletano. Il programma prometteva l’esecuzione di sei pezzi per pianoforte, del quartetto in quattro tempi per pianoforte, violino, viola e violoncello, già eseguito con successo a Cristiania dal Quintetto Gullì di Roma e di un Nonetto.» Cfr. «Gazzetta Musicale di Milano», 21 aprile 1898, p. 229. 79 Cfr. nota 27 e paragrafo 4) Le lettere varie. 80 Oltre alla partitura autografa, nell’archivio è conservata una copia a stampa e una eliografica, oltre alcune parti staccate degli strumenti. 264
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Pietro a Majella” di Napoli grazie all’“Accademia Musicale Napoletana” che l’ha eseguito il 7 maggio 1973.81 Pezzi per pianoforte e strumento ad arco Nell’archivio si contano 6 pezzi per strumento ad arco con accompagnamento di pianoforte, così suddivisi: 2 per violino, 1 per viola e 3 per violoncello. La Sonata op. 24 per violino e pianoforte (re maggiore, Allegro, Adagio, Scherzo, Allegro agitato) dovrebbe risalire al 1890 e, secondo le fonti storiche, ha fatto parte del programma, assieme al Concertstück e a quattro pezzi per pianoforte, con cui Napoleone ha partecipato al concorso Rubinstein di Pietroburgo.82 Successivamente si contano almeno due esecuzioni, avvenute entrambe nel 1892. La prima ebbe luogo il 10 aprile presso la Sala Villino Weiss di Napoli, la seconda il 30 dicembre nella Sala Ragona di Palermo.83 Il secondo pezzo con medesimo organico è la Berceuse premiata col secondo posto al “Concorso musicale G. Zanibon” di Padova il 28 febbraio del 1913.84 Il periodo di composizione dovrebbe essere, però, di molto antecedente al Concorso: infatti, è riportata notizia in un programma di sala, di una sua esecuzione già il 18 marzo 1900, ossia al concerto organizzato da Franca Florio presso l’“Istituto dei Ciechi” di Palermo. Sebbene il successo editoriale avesse interessato esclusivamente la produzione di piccoli pezzi pianistici del Cesi, la Berceuse è fra le rarissime composizioni cameristiche che hanno avuto la fortuna di essere pubblicate, complice indubbiamente il buon successo ottenuto al Concorso di un anno prima: l’edizione, infatti, pubblicata da Carisch & Jänichen è del 1914. Dalla stessa casa editrice risulta pubblicato anche un altro piccolo pezzo dal nome Moto perpetuo, di cui però non è stata trovata alcuna partitura, né manoscritta né edita, in archivio.85 La Canzona e Polacca per pianoforte e viola è l’unica composizione con un organico simile. In archivio non è stata trovata alcuna partitura autografa ma, in compenso, due edizioni a stampa ed una copia litografica. Le informazioni storiche sulla composizione sono esigue: solamente in un programma di sala è riportata una sua esecuzione, avvenuta all’ormai nota Sala Romaniello di Napoli il 15 novembre 1908. Più cospicua è la produzione per pianoforte e violoncello. Si contano infatti due Sonate (entrambe in sol maggiore) e una Serenata, di cui purtroppo si ha solamente l’autografo della parte del violoncello. Nonostante questa lacuna, è proprio la Serenata quella che gode, seppur non numerosi, di più dati storici. Sono riportate, infatti, due sue esecuzioni (entrambe presso la 81
Informazioni tratte dai programmi di sala dei rispettivi concerti conservati in archivio. Cfr. 6.2.2) Pezzi per pianoforte e orchestra e, in particolare, le note 58, 59 e 61. 83 Programmi di sala dei concerti custoditi in archivio. 84 È conservato in archivio il diploma e l’attestato di partecipazione al suddetto Concorso. 85 Secondo «L’Orfeo» VI/15, 24 dicembre 1915, p. 6, il violinista César Thomson ha espresso un grande apprezzamento per le due composizioni appena menzionate. Però, nella lettera autografa conservata in archivio, il Thomson non cita espressamente le due composizioni, ma esprime felicitazioni e gratitudine per dei pezzi ricevuti dall’autore. 82
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Sala Romaniello di Napoli) il 17 aprile 1903 e il 28 febbraio 1908.86 Le due Sonate per pianoforte e violoncello, di cui non vi è traccia di esecuzioni, sono state composte a distanza di 40 anni l’una dall’altra. La prima risale al 10 dicembre 1884 (la data è riportata alla fine dell’unica partitura autografa), composta non appena diciottenne, e si articola in una successione di movimenti non troppo consueti per una sonata: all’Allegro con brio iniziale segue la Marcia funebre frapposta fra lo Scherzo e il Rondò, ed un Intermezzo conclusivo. La seconda Sonata è del 14 ottobre 1928 ed è articolata nella più classica forma dell’Allegro con brio, Adagio, Scherzo e Finale vivace. Di essa esiste una partitura autografa incompleta e in condizioni di conservazione pessime, una copia edita a stampa (l’esemplare che riporta la data di composizione), una parte staccata per violoncello solo e una copia litografica della partitura completa. Musica vocale All’interno della musica vocale cameristica, la romanza per canto e pianoforte è fra le forme musicali più prolifiche dell’attività compositiva del Cesi. Diversamente da quanto emerso nelle altre forme musicali testé descritte e al pari con la musica pianistica, in cui è emerso una frammentarietà compositiva scaglionata cronologicamente in determinati periodi, le romanze per canto e pianoforte sono indici di una sistematicità artistica continua, data la loro produzione ininterrotta dai primi anni di attività fino alla sua morte.87 Numerosissimi sono i testi musicati, tutti di autori, poeti, critici e letterati italiani e napoletani, per lo più a lui contemporanei: Giovanni Pascoli, Enrico Panzacchi, Aleardo Aleardi, Luigi Conforti, Vittorio Malpassuti, Mario Venditti, Felice Cavallotti, Luigi Ronchi e tanti altri. La breve lista di letterati è quantomeno indice di un compositore dal profilo moderno, almeno per le scelte dei testi musicati, la cui Arte non si relega alla sola musica ma espande i suoi orizzonti, valicando i confini di altri generi. Le romanze per canto e pianoforte sono 46 in tutto, la maggior parte scritte per soprano e tenore, ed eseguite nelle sale e nei concerti già più volte segnalati. Solamente tre di queste sono state pubblicate, si tratta di: Chiamatelo destino, versi di Enrico Panzacchi, Ed. Tipografia Sordomuti, 1890 (autografo del 21 settembre 1889); Addio in gondola, versi di Luigi Conforti, Ed. A.Gambi, successivo al 1880 (autografo non riporta la data di composizione); La canzone di Fortunio, da De Musset trad. Giacomo Lo Forte, Ed. Euterpe Alpina, 1914 (autografo senza data). Per concisione, riporto i titoli delle altre romanze inedite specificando, laddove presente nell’autografo, l’autore dei versi e la data di composizione: Gelosia, v. di Cecilia Cesi Lamberti, ottobre 1943; Passero solitario, v. di Giovanni Pascoli, ottobre 1941; Io ti rividi un giorno; Preghiera; Rosa; Dimmi perché, v. di Aleardo Aleardi; Romanza di Grimane (dall’opera Cecilia), v. di Ercole Pifferi; Allora, v. di Cecilia Cesi Lamberti; Il bacio, v. di Antonio Scaffidi, maggio 1953; Vecchia casa, v. di V. Amato; 86
Programmi di sala dei concerti conservati in archivio. La prima romanza risale al 31 luglio 1883, all’età di 16 anni, si tratta de Il riso-Canzone su testo di Gabriello Chiabrera; l’ultima di cui si ha nota è del maggio 1953, Il bacio su versi di Antonio Scaffidi. 87
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Sogno sempre di te; Aida, v. di Enrico Panzacchi, 18 febbraio 1897; Il primo bacio (per l’ampio finestrone); Allor ch’io dormirò (Atto IV dell’opera Cecilia), v. di Ercole Pifferi; Mandulinata; Un dì; L’ha presa gli Angioli; O rondinella querula; Ruscello, v. di Valentina Bulzi; Ricordo d’una sera d’estate, 22 marzo 1888; Io penso a te; Vita sportiva, v. di Antonio Scaffidi; Gelosia spagnola, v. di A.Mastrolilli, 13 febbraio 1887; Rosellina, v. di Vittorio Malpassuti, 16 luglio 1942; Lontananza; Idillio (da un album…), op. 15 n. 2, L’ammore nuosto; Mamma lontana, v. di Domenico Venorio, 21 marzo 1944; Romanza (dall’opera Gli adoratori del fuoco), v. di Rocco Edoardo Pagliara; Dint’ o’ vicolo d’ò sol, T’amo, v. di Felice Cavallotti; Fanciulla-ballata; Orientale; Dormi dormi; A te che di Dea porti il nome, dicembre 1947; Il riso-canzone, v. di Gabriello Chiabrera, 31 luglio 1883; Serenata, v. di Cecilia Cesi Lamberti; Luisella, v. di Luigi Ronchi; Incontro, v. di Giacomo Lo Forte; Un notturno di Chopin, v. di Enrico Panzacchi; Au temps fabis, v. di Jacques Normaut, 11 dicembre 1887; Tornata è primavera, 8 dicembre 1940. Pezzi per pianoforte La sua produzione musicale pianistica è quella che più ha goduto di una diffusione editoriale di ampio respiro. Sono 25 le composizioni complessive di cui esiste un’edizione a stampa, pubblicate con alcune case delle editrici più note dell’epoca: Giovanni Ricordi, Carisch, Simeoli, Izzo e Daniel Rather. Pur non avendo mai seguito le orme paterne nella produzione di metodi pianistici dalle chiare finalità pedagogiche, Napoleone si è comunque cimentato nella composizione di piccoli pezzi pianistici volti allo studio pratico e tecnico dello strumento e figli, dunque, di un universo familiare a lui ben noto. Mi riferisco, in particolare, alle composizioni edite dalla casa editrice Simeoli che ha pubblicato 6 piccoli pezzi pianistici: Asinello, In automobile, Scherzino, Al mulino, Fiumicello, Marcetta; ma anche ad alcuni editi da Ricordi: Minuetto a 4 mani, Campane, Aria campestre, Presso al ruscello. Numerose sono anche le composizioni concertistiche per pianoforte, eseguite personalmente dall’autore nei suoi numerosi concerti e anche dalla figlia Cecilia, affermata concertistica nonché, alle volte, prima esecutrice assoluta dei pezzi paterni. Ciò avviene, per esempio, nell’unica Sonata per pianoforte composta da Napoleone (di cui è conservata la partitura autografa), la cui prima esecuzione ebbe luogo nella Sala degli “Illusi” di Napoli il 22 aprile 1922.88 I pezzi concertistici editi sono stati pubblicati soprattutto da Carisch (1912) con una raccolta di sei pezzi intitolata Morceaux pour piano (A la fontaine, Capriccio, Madrigale, Pensée fugitive, Romanza, Valse lente) e da Daniel Rather con Barcarola e Capriccio. Purtroppo, in archivio non sono state rinvenute tutte le partiture autografe di questi pezzi pianistici finora elencati, siano essi per giovani studiosi o per concertisti affermati, ma, in compenso, moltissime sono le partiture inedite conservate di cui riporto un elenco completo.
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Manifesto del concerto conservato in archivio. 267
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Le 22 de Mai 1885 Elogie pour Piano en omage au Victor Hugo, 10 giugno 1885 premiato con il secondo posto al “Grand Concours International de Composition de Musique” a Bruxelles nell’ottobre del 1893; Notturno; Scherzo; Lamento; Carillon; Momento capriccioso n.5; Due notturni, dedicati al padre nel giorno del suo compleanno il 6 novembre 1880; Sonatina, dedicata al padre recante la data del primo febbraio 1879; Serenata allegra; Tema nostalgico con variazioni; Valse de la rêveuse; due Barcarole; Tormento-Improvviso; Après Carneval Valzer, dedicato all’Associazione della stampa sicialiana; Impromptu e Studio, op. 23 n. 1-2; Serenata appassionata (pezzo pianistico da concerto), 8 settembre 1896; Al tramonto; Laun-Tennis, Improvviso per pianoforte; Studii fantasie n.2; Semplicetta!..Mazurka, 12 aprile 1908; Canto del mattino, op. 3 n. 2; Insistente (da un album), maggio 1888; Toccata all’antica; Giga (stile antico), op. 18, dedicata al fratello Sigismondo e pubblicata all’interno del periodico artistico-culturale Paganini; Preludio e fuga per pianoforte, composto durante il suo soggiorno a San Pietroburgo il 5 giugno 1891; una Raccolta di pezzi pianistici dedicata al compositore genovese Lorenzo Parodi.
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Figura 1: Lettera di Napoleone Cesi alla moglie Carolina del 26 marzo 1891.
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Figura 2: NAPOLEONE CESI, Poema sinfonico Alla primavera
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RECENSIONI ____________________________________________________________________ ANNA FICARELLA, Non guardare nei miei Lieder! Mahler compositore orchestratore interprete, Lucca, LIM, 2020, pp. 176. Il recente volume di Anna Ficarella, uscito per la Libreria Musicale Italiana (2020), si innesta in un contesto di relativo vigore degli studi mahleriani; seppure, come messo in luce dalla stessa autrice, rimangano aperti ampi campi di ricerca. Sin dal titolo, citando il primo dei Rückert-Lieder: «Blicke mir nicht in die Lieder!», il libro di Ficarella pone con acume – e calzante ironia – il problema della genesi del testo musicale mahleriano. Ficarella ne sonda la complessità chiarendo il dato essenziale su cui poggia la necessità della sua indagine: il fatto che il testo musicale mahleriano sembri non raggiungere mai una forma definitiva, nonostante o forse proprio a causa dell’articolata gestazione e dell’ossessione per i ritocchi delle Dirigierpartituren. Fra l’altro, è quello stesso Mahler che lima ossessivamente i dettagli del testo a sminuire poi la pratica dello studio degli schizzi, che alla fine del secolo era stata avviata da Gustav Nottebohm sui manoscritti beethoveniani. Il libro di Ficarella illustra come Mahler serbasse una sostanziale sfiducia nel tentativo di cogliere dalle variabili della partitura scritta un aspetto di significato dell’opera. Per lui, che era prima di tutto interprete sul podio, il senso poteva risiedere – potremmo dire – solo nell’evento auratico della realizzazione sonora. Nella prima parte del libro, Ficarella indugia a buon diritto sul dibattito storiografico mahleriano e anticipa come le aree in cui permane un forte interesse di ricerca siano certamente – insieme agli aspetti di intertestualità – quelle che riguardano il valore strutturante dei parametri secondari. L’autrice mette in luce come queste istanze d’indagine possano trovare nella critica genetica e delle varianti un fertile assetto metodologico. In più, passando in rassegna i modelli ermeneutici di Donald Mitchell e Stephen Hefling, si sottolinea anche il debito, dovuto al Mahler di Adorno, degli studi che trovano nelle soluzioni realizzative del fenomeno sonoro un aspetto da intendere come strutturante o persino contenutistico. È questo il nesso che porta l’autrice a richiamare a più riprese la necessità di integrare l’approccio filologico con quello estetico, in merito alle evoluzioni nella concezione della sonorità orchestrale, anche in relazione alla tradizione postwagneriana nella Moderne austro-tedesca. Dopo un’estesa disamina della genesi del testo mahleriano nelle sue varie fasi, dagli Skizzen alla Reinschrift, che rappresentava comunque una tappa provvisoria di un processo in fieri ancora dopo la prima edizione, il libro giunge alla questione dei ritocchi che Mahler adotta in vista delle sue esecuzioni, in particolare di quelle relative alla Quarta e alla Quinta sinfonia. Anche sulla scorta degli studi di Wellesz, Jost e Maehder e in alcuni casi col sostegno di Natalie Bauer-Lechner, che in Mahleriana fornisce testimonianza di un Mahler più speculativo (si pensi al riferimento alla Miniaturmalerei per spiegare gli interventi sull’orchestrazione, cfr. p. 55), ne vien fuori un Mahler autore di una continua «regia sonora» (p. 50), i cui interventi tendono in genere a una chiarificazione della trama orchestrale che sia funzionale soprattutto in vista dei 271
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passaggi di transizione verso il nuovo, in cui si rende necessaria quella dinamica di cesura che permette la definizione formale. Sono passaggi che svelano quanto le scelte di suono possano assumere una funzione strutturante per la forma dell’opera. Nella parte finale del libro, si indagano invece gli interventi che Mahler compie come orchestratore e interprete di brani di repertorio. Tra questi, Ficarella si concentra sulla questione della realizzazione dei recitativi nel teatro musicale mozartiano al tempo di Mahler. Ma una sezione è riservata agli interventi che Mahler compie sul testo della Nona di Beethoven in vista del Nicolaikonzert del 18 febbraio 1900 coi Wiener Philharmoniker. Sezione non meno importante rispetto ai capitoli centrali, perché dà testimonianza di un Mahler che fa i conti con una tradizione reificata e feticizzata. Ficarella ne indaga le ardite e tanto discusse Retuschen, mostrando come Mahler si muovesse in un margine sottile tra l’eredità estetica postwagneriana e un principio soggettivo che persiste come cifra riconoscibile della sua visione sonora. Tutto nel mezzo del viavai di una critica protonovecentesca conservatrice e più o meno antisemita. Ficarella, non cedendo alla tentazione di allontanarsi dal confronto diretto col testo musicale, coglie sicuramente un nodo sostanziale della concezione estetica mahleriana – che è anche prospettiva sul mondo: Ciò che Adorno definiva la ‘dimensione tecnica’ del comporre assume in Mahler un significato estetico. Il suono orchestrale diventa dunque il correlato del suo modo di percepire il Weltklang, il suono del mondo, trasformato nella sua Klangwelt, il suo mondo sonoro. E tuttavia, come ogni fenomeno sonoro, ciò risulta difficile da afferrare e forse per questo non è riconducibile ad una forma scritta definitiva. (pp. 116-117)
Come ulteriore suggerimento d’indagine, sarebbe interessante approfondire, insieme al rapporto col testo beethoveniano, quello che il Mahler orchestratore e interprete ha intrattenuto con la scrittura sinfonica di Schumann. – Detto ciò, tornando ai nodi estetici mahleriani, se soprattutto si considera il ruolo che Mahler riservava al fenomeno performativo dell’opera d’arte in contrapposizione a quella che definiremmo la sua stasi scritturale, potremmo dire che la stessa ossessione delle Retuschen – al di là di una meditazione estetica più o meno articolata – sveli in Mahler una sostanziale diffidenza nell’idea di testo musicale grammatizzato in sé, in cui persiste uno scarto che lo pone a una distanza incolmabile dalla sua manifestazione sonora, intesa come evento che solo può tendere ad afferrare il quid ideale che l’opera d’arte vorrebbe compiere del reale e che, in ogni caso, risiede in un ambito che riguarda l’immaginazione sonora. È lo specchio del Mahler calato in quel modello a «due mondi» di cui parlava Eggebrecht. Modello che non ha mai rotto i ponti con quello della Romantik intesa nel senso più negativo-distruttivo, ma che anzi nel secolo breve raggiunge il suo zenit poetico e trova nella Storia la terribile realizzazione delle sue profezie. Nicola De Rosa
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Storia della musica e dello spettacolo a Napoli. Il Seicento, a cura di Francesco Cotticelli e Paologiovanni Maione, 2 tomi, Napoli, Turchini Edizioni, 2020, pp. 1926. Il Seicento non s’identifica con nessuna grande forma culturale, neppure con il Barocco, come spesso si fa. Esso è piuttosto un assai complesso periodo d’intensa gestazione civile o, come oggi si amerebbe dire, “un laboratorio”, in cui i frammenti di una forma epocale trascorsa, il Rinascimento, vengono agitati in un potente frullatore sperimentale, per essere restituiti composti in nuova forma, la civiltà dei “lumi”, all’ormai matura razionalità critica e ai nuovi travagli che fatalmente le toccano
Questo l’incipit della Prefazione di Aldo Masullo alla Storia della musica e dello spettacolo a Napoli. Il Seicento; al grande filosofo è toccato – per usare ancora una volta le sue parole – il «privilegio di salutare per primo» questi due imponenti tomi, poco prima che salutasse egli stesso, per sempre, la comunità scientifica tutta, impreziosendo ancor più questa ricchissima pubblicazione a cura di Francesco Cotticelli e Paologiovanni Maione (Turchini Edizioni, 2020)1. Appare quasi impossibile organizzare un discorso sintetico ma esaustivo intorno a un argomento così sfaccettato e ricco come quello offerto da questa maestosa edizione di quasi 2000 pagine, frutto di oltre una decade di lavoro e che raccoglie, come un caleidoscopio, competenze e ambiti differenti per una variegata quanto completa visione della spettacolarità napoletana. Come sottolineato dai curatori, Napoli si offre alla storia quale città ad altissimo tasso spettacolare, in cui linguaggi, prassi, tradizioni e novità riflettono le (apparenti) contraddizioni che ancora oggi costituiscono un suo aspetto vivo e caratterizzante. La sua stessa conformazione geografica appare connotata da una teatralità intrinseca. La compresenza di ‘ingegni multiformi’ si riversa nella peculiarità del volume, ossia la volontà di dialogo tra saperi diversificati, grazie alla fusione del lavoro di specialisti di ambiti differenti, in un quasi naturale riflesso alla «situazione magmatica» incandescente del Seicento, soprattutto al fine di eliminare alcuni luoghi comuni che ancora gravano sulla stagione napoletana, come ha spesso precisato Francesco Cotticelli, ovvero l’isolamento di un mercato teatrale che invece dialoga (sia pure con le proprie specificità) con altri aspetti e fenomeni che si intersecano sul territorio partenopeo. La ‘rappresentazione grafica’ di tutto questo offre al lettore la possibilità di inquadrare in un nuovo sistema di visione il secolo, ponendo l’accento sul circuito culturale, invece che insistere sulla sezione – per ciascun ambito o situazione – dei primati singoli, inquadrando il problema della ricerca in una nuova ottica. La ricchezza dei contributi (ben venti), spazia dalla musica alla scenografia, dal teatro alla danza, passando per committenze e mecenatismo, gli intrecci familiari tra gli addetti ai lavori, la Napoli spagnola e le relazioni della città con l’opera italiana, la letteratura in dialetto che si incrocia con la storia della lingua in altri ambiti della vita quotidiana (ufficiali e non), la musica sacra e altri saggi altamente specialistici sulla cantata da camera, il repertorio della canzonetta e le relative funzioni sociali, il madrigale e la musica strumentale, indagini sui clavicembalisti napoletani e studi filologici. 1
Si ricorda la altrettanto preziosa pubblicazione Storia della musica e dello spettacolo a Napoli. Il Settecento, a cura di Francesco Cotticelli e Paologiovanni Maione, Napoli, Turchini Edizioni, 2009.
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Non sempre presente nei volumi sulla storia musicale, la danza è protagonista di un prezioso saggio che si imposta intorno a un argomento assai spinoso per il Seicento a Napoli, a causa dell’apparente mancanza di fonti, in cui la simbologia delle forme permette di leggere la coreografia al di là dell’estetica del passo: ecco dunque che una ricerca mirata e con uno sguardo non tradizionale permette di leggere il non letto. Non manca l’attenzione all’industria creativa, agli strumenti musicali e l’editoria, a conclusione di un quadro che può dirsi altamente esaustivo (da momento che nulla è mai ‘completo’) e, soprattutto, amalgamato secondo una visione d’insieme che scavi nelle singole realtà per un sistema di studio che procede dal particolare all’universale, secondo una visione dinamica di un continuo ribollire di idee e sperimentalismi che costituiranno il germe dal quale nascerà la modernità. Protagonisti e istituzioni, sacro e profano, prostituzione e santità, intrecci di famiglie e progettualità all’interno delle stagioni molto sofisticata, come specifica Paologiovanni Maione, oltre a disegni culturali di altissima valenza propagandistica e alla presenza massiccia della cultura spagnola a Napoli, di cui vengono sottolineate di volta in volta le differenze, come sono sottolineate le differenze di metodi ed esperienze all’interno di ciascun cartellone. La propaganda della fede e la potenza degli ordini religiosi percorrono le pagine dei due poderosi tomi che declinano l’esperienza teatrale in tutte le sue essenze, dalla formazione presso i conservatori all’esibizione, ai meccanismi di gestione impresariale che dirigono i mastricelli nel secolo del professionismo. È indicativo ciò che si evince in merito all’aspetto religioso: esso trova nel teatro il veicolo per uno scambio culturale che stimola l’approfondimento di problemi di fede da parte del pubblico, grazie alla relazione che intercorre fra i testi sacri e la scena. Questa, con il suo linguaggio verbale e non verbale, incorpora dogmi e liturgie, plasma la cultura comunitaria e rende visivo l’invisibile. I progressi della tecnica musicale, degli strumenti, l’evoluzione degli antichi conservatori in istituzioni di formazione selettiva per musicisti, il ritorno economico che il lavoro dei pueri affidati ai brefotrofi, secondo un sistema di assistenza sociale rivolto ai più bisognosi, si trasformano in semi dai quali germoglierà il grande Settecento napoletano, che farà di tutte le sfumature presenti nel secolo precedente la propria ricchezza. La massiccia documentazione presente nelle note (e in CD rom allegato a cura di Domenico Antonio D’Alessandro, che offre ai lettori un ‘volume nel volume’) rende l’idea dell’imponente mole di lavoro e dei materiali non sempre facilmente disponibili alle consultazioni, soprattutto per le fonti di archivi andati distrutti e per la trasversalità di cui spesso questo tipo di indagine deve nutrirsi. Le nuove metodologie di ricerca e il rinnovato approccio alle fonti permettono di leggere il Seicento come secolo del fermento e della creazione sfaccettata, anche laddove sembra che fonti non ve ne siano. Ad accogliere, in copertina, la carezza delle dita del lettore è la Cleopatra di Luca Giordano, dagli occhi socchiusi: la Giulia De Caro, canterina/impresario – emblematica come altre canterine del Seicento che segnarono la scena partenopea. Paologiovanni Maione vorrebbe «poter scrutare il teatro del mondo attraverso i languidi e sensuali occhi di Giulia de Caro…occhi che racchiudono immagini perdute di un 274
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quotidiano variegato e complesso… nei recessi di una memoria documentaria schiva a essere violata». Questa memoria non può essere vista con quegli occhi, eppure sta riaffiorando nella sua consistenza più significativa, frutto di alacre studio e ricerche indefesse per le vie più impervie, materializzazione corporea di quella che fu, nel Seicento, di Napoli «la scena sfuggente». Maria Venuso JOHN J. MORTENSEN, The Pianist’s Guide to Historic Improvisation, Oxford, Oxford University Press, 2020, pp. 208. L’improvvisazione è stato un elemento e ha costituito un impulso nello sviluppo dell’arte della musica fin dai suoi inizi. Probabilmente i canti liturgici dell’VIII secolo, quanto la polifonia del XII secolo, furono prodotti dell’improvvisazione. La musica tra il XVI ed il XVIII secolo poneva grande enfasi sull’improvvisazione ed essa era vista come uno strumento essenziale per lo sviluppo del musicista. Numerose forme compositive furono originate dalla pratica improvvisativa, come il preludio, la toccata e la fantasia. Questa pratica tocca il culmine con l’improvvisazione pianistica che raggiunse il suo apice tra il XVIII e la prima metà del XIX secolo. Nonostante la sua ricca e lunga storia, l’arte dell’improvvisazione nella musica classica gradualmente perse la sua centralità fino a raggiungere il totale abbandono nel XX secolo, poiché considerata non necessaria alle esecuzioni ed inappropriata allo studio pianistico. A questo si aggiunse anche la persistente, ed errata, idea che insegnare alla massa questa “vaga” e “nebulosa” arte fosse impossibile e soltanto pochi individui dotati ed ispirati potevano fregiarsi di questo tipo di creatività. Questo ha generato una mentalità refrattaria all’improvvisazione e all’esplorazione creativa del testo musicale. In conseguenza lo studente era considerato soltanto come un contenitore vuoto nel quale riversare la saggezza dell’insegnante, unico arbitro della sacralità ed intoccabilità della musica scritta. Purtroppo questo tipo di approccio allo studio della musica esiste ancora oggi, ed è discusso da John Mortensen in una sua intervista rilasciata all’«Observer». Egli afferma che: «c’è qualcosa di mortificante riguardo ad una tradizione dove milioni di pianisti eseguono le stesse 100 composizioni. Il modo in cui abbiamo formato i musicisti sta cadendo a pezzi, siccome è stato progettato per un risultato molto limitato – preservare e perfezionare il repertorio canonico». Mortensen, professore di pianoforte alla Cedarville University dell’Ohio, con la Oxford University Press, ha pubblicato nell’agosto del 2020 il suo ultimo libro intitolato The Pianist’s Guide to Historic Improvisation. Si tratta di un metodo pratico di avviamento all’improvvisazione storica, rivolto al pianista che desidera improvvisare. Nell’introduzione egli spiega come questa sua guida sia perfetta sia per il concertista di professione, sia per lo studente, poiché negli istituti di musica (conservatorio o università) l’improvvisazione classica non viene insegnata e di conseguenza non è applicata nelle esecuzioni dal vivo. Nel primo capitolo viene delineato il piano di studi e come nei vari capitoli si apprenderanno i termini storici che progressivamente sostituiranno o affiancheranno 275
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quelli comunemente utilizzati dall’armonia moderna. Questa modalità di organizzazione delle informazioni aiuta il lettore a familiarizzare con i termini più arcaici, così da assimilare più facilmente i contenuti proposti. Mortensen, inoltre, indica alcuni prerequisiti per l’ottimale fruizione del testo, come la necessità di saper suonare la tastiera, la conoscenza della teoria della musica e dell’armonia di base, l’utilizzo del metronomo e l’esigenza di studiare gli esercizi proposti in tutte le tonalità. Egli utilizza differenti forme compositive del periodo barocco: il preludio, la toccata, la variazione, la suite, etc., e mette a disposizione del lettore tutte le informazioni utili per potersi esercitare nell’improvvisazione. Nel secondo capitolo, quello che riguarda lo studio del preludio, la spiegazione è incentrata inizialmente sulle prime quattro battute del Preludio in Do maggiore BWV 846 dal Clavicembalo ben temperato di Bach. Ricavata l’ossatura armonica, essa viene comparata con altri preludi di Bach, a dimostrazione del fatto che lo stesso principio di base (schema), può essere adoperato in pezzi diversi, creando ogni volta nuove sonorità. Successivamente richiede alcuni brevi esercizi sulle prime quattro battute del preludio e poi passa all’elemento successivo, la sequenza, un momento nuovo per poter continuare nell’improvvisazione. Questo processo di minime aggiunte continua per tutto il capitolo ed ogni volta c’è sempre un rimando al passaggio precedente in funzione di quello successivo. Dalla struttura di questo capitolo si evince quello che è il progetto generale dell’opera, ossia l’utilizzo di piccole sezioni per costruire il pensiero musicale attraverso continui rimandi ai diversi capitoli, oppure a sezioni precise degli stessi. Questo approccio aiuta a colmare il vuoto tra un esercizio di improvvisazione (come il partimento) e il comporre musica – una lacuna evidenziata da molti studiosi. Una delle caratteristiche del testo di Mortensen è l’utilizzo di una prosa semplice, che non indebolisce il materiale esposto e non ne compromette il rigore. Questa sua chiarezza ha così la proprietà di rafforzare il messaggio che si arricchisce anche di una qualità motivazionale. Egli enfatizza cosa si possa fare, rispetto a cosa si debba evitare, incoraggiando così lo studente ad iniziare senza troppi timori. Tutto il mondo dell’istruzione della musica classica è incentrato sull’esecuzione senza difetti, per questo motivo, il prof. Mortensen predispone un ambiente psicologicamente protetto dove le pause, le incertezze e gli errori sono accettati sulla base del percorso verso l’apprendimento del “linguaggio musicale”. Il concetto di fondo è: il miglior modo per evitare gli errori quando si improvvisa è di non improvvisare, mentre l’unico modo per improvvisare è commettere degli errori. La scorrevolezza del testo di Mortensen, però, può trarre in inganno il lettore. Il libro in sé è abbastanza compatto e facilmente fruibile in pochi giorni, ma questo vanificherebbe quello che è il suo vero scopo: l’esercitazione. Nel primo capitolo Mortensen dice che: «Per acquisire padronanza delle idee sull’improvvisazione qui presentate, è necessario dedicare una parte significativa del tempo all’esercizio alla tastiera. L’unico posto dove questo libro è utile è sul leggio del vostro pianoforte». Infatti, l’autore esemplifica i concetti attraverso un approccio pratico e non solo attraverso il discorso verbale. Nozioni come la diminuzione o la trasposizione non sono difficili da comprendere e si leggono abbastanza velocemente, mentre la trasposizione di The Page One in tutte 276
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e 24 le tonalità, richiede uno sforzo non indifferente. Questo sforzo non è superfluo, poiché la comprensione pratica e quella astratta avvengono attraverso un riscontro positivo di tipo ciclico. A proposito di questo, Mortensen racconta la sua esperienza da studente universitario e di come i concetti riguardanti per esempio le note melodiche estranee gli siano parse inizialmente imperscrutabili e, soltanto attraverso l’uso pratico successivo, alla «…creazione della musica vera…», esse siano diventate vivide ed importanti per lui, un concetto col quale noi tutti abbiamo dimestichezza. L’approccio di Mortensen all’insegnamento dell’improvvisazione distilla le scoperte chiave degli scritti accademici, delle varie monografie e dei trattati del XVIII secolo da lui studiati, traducendo il tutto in una forma chiara e diretta. The Pianist’s Guide to Historic Improvisation diventa così un contributo opportuno, immensamente pratico e necessario alle sempre più crescenti risorse per l’improvvisazione nella musica classica. Consiglio fortemente questo libro a chiunque fosse interessato all’improvvisazione storica ed al partimento. Guglielmo Esposito ALBERT DIETRICH, Il giovane Brahms. Lettere e ricordi, trad. a cura di Marina Caracciolo, Lucca, LIM, 2018, pp. IX + 72. Il tributo letterario reso a Johannes Brahms (1833-1897) da Albert Hermann Dietrich (1829-1908), concorre a renderci vicino il genio amburghese degli esordi, con la sua indole ultraromantica, ma anche l’appassionato artista, erede di Beethoven e degli ‘antichi’, ormai maturo e vissuto. Suo amico di lungo corso, il direttore d’orchestra, compositore e pianista della scuola di Ignaz Moscheles, si colloca a giusto titolo fra i più duraturi affetti dell’autore di Ein Deutsches Requiem, opera della quale ci consegna, peraltro in queste pagine, la cronaca della prima assoluta del 1868 a Brema. Ed è grazie a uno slancio di generosità, intellettuale e non soltanto spirituale, che avverte l’esigenza di tramandare la documentazione in suo possesso, prendendo le mosse dal periodo della prima affermazione su più vasta scala del musicista, fino alle sue rade missive risalenti agli anni 80 dell’Ottocento. Partito dall’antica città anseatica Brahms era approdato nella renana Düsseldorf, come lui, presso il carismatico Robert Schumann: l’uno in cerca di fortuna, l’altro impegnato negli studi di composizione col maestro, i due musicisti si trovano a condividere il sogno di una giovinezza creativa nella loro vita di artisti. Ed è, il loro, un legame stürmisch di effettiva reciprocità, sostanzialmente ascrivibile a quegli stessi valori magnificati nel trattatello ciceroniano De amicitia: un nobile afflato, infatti, sembra legarli quale tralcio d’edera e avvolgerne le vicende per tutta la vita. In realtà quello di Dietrich è qualcosa di più di un epistolario: esso raccoglie, è vero, i testi della corrispondenza, ma propone, altresì, piccoli brani di sua narrazione, giustapposti alle missive in una sorta di florilegio cronologico dal titolo Erinnerungen an Johannes Brahms in Briefen besonders aus seiner Jugendzeit. Pubblicato da Otto Wigand a Lipsia nel 1898, il libro è uscito finalmente tradotto in italiano nel 2018, a cura 277
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di Marina Caracciolo, nella collana “Musica Ragionata” diretta da Alberto Basso, per la Lim Editrice. È dunque alla musicologa e traduttrice milanese, formatasi a Torino con Massimo Mila e Giorgio Pestelli, che possiamo essere riconoscenti per tale nuova acquisizione sul fronte brahmsiano. Tramite l’azione di cesello lessicale della curatrice, il testo ci consegna la figura di Brahms, nell’avvincente scorcio mitteleuropeo nel quale vediamo incedere taluni esponenti della seconda generazione romantica. Cosicché, dal loro ‘sentire’ ad ampio spettro vediamo emergere un ambiente culturale pervaso da fermenti, altresì da ripensamenti, propri di uno scenario umano forse già avviato verso il dramma della modernità. Come tutti quelli del suo genere, questo libro abbonda di particolari e di avvenimenti. Nella sua trama polifonica hanno voce molti di coloro che insistono nel circuito brahmsiano di Düsseldorf e, in seguito, di città come Lipsia, Hannover, Oldenburg, Karlsruhe, Zurigo, Baden-Baden, nelle quali il compositore si spostò. Altrettanto, vi si susseguono, alla maniera di fotogrammi in progressione, gli ultimi giorni di Schumann, con la tristezza per la sua dipartita, ma ancor prima, vi si scorge la curiosità degli ambienti intellettuali per il pianista ventenne biondo e talentoso, vi si apprende dell’origine della Sonata F-A-E, del fervore intorno alle composizioni che andavano e venivano negli scambi epistolari. In tutta semplicità, vi si narra delle passeggiate in campagna e degli incontri: conviviali, salotti musicali e concerti. Inoltre vi circolano di continuo sentimenti rigogliosi e afflati utopistici nello scorrere della vita, e pure non manca il racconto di scherzi come quello di un Brahms buontempone che, in un’escursione sul monte Grafenberg, raccoglie ravanelli da offrire alle signore per ristorarsi, mentre accenna all’amico Dietrich la sua predilezione per la spontaneità delle melodie popolari. Ancora, vi si narrano gli spostamenti compiuti dal musicista per diffondere la propria opera ed affermarsi, i bei viaggi e le vacanze all’insegna della musica, in contemplazione della natura, nella solitudine dello studio, nella laboriosità della creazione, nella trama delle relazioni umane. È in una di queste occasioni, allorquando Brahms si trova a girovagare con Dietrich per i boschi intorno a Baden, che indica all’amico il punto preciso nel quale accadde che gli venisse in mente per la prima volta il tema del primo movimento del Trio per corno op. 40. Del resto quest’ultimo commenta con viva emozione ogni sua esibizione, che si tratti di trionfali concerti o di intrattenimenti in duo pianistico con Clara per il parterre schumanniano. La lode è sempre pronta a fiorire sul suo labbro, divenendo un peana che sgorga sincero. E Brahms lo ricambia rivolgendoglisi come segue: «Che tu abbia una così fervente passione per la mia musica, è molto importante per me, e più ancora per il fatto che io stesso non credo proprio di offrire abbastanza a ottimi musicisti come te». Di fronte alla vicendevole stima non lascia meravigliati, dunque, la premura di Dietrich nel descrivere il genio di Amburgo, facendo attenzione ad evidenziarne più che il gradevole aspetto teutonico, le doti morali e la vibrazione umana: «L’atteggiamento modesto e tuttavia accattivante gli aprì ben presto il cuore di tutti». Ciò considerato, bisogna dare atto alla Caracciolo di aver compiuto una di quelle fatiche intellettuali apprezzabili in primo luogo per l’ardua e responsabile opera di traduzione. Quanto a questo, il suo lavoro appare costruito con profondo impegno e 278
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determinato da fine intuito, lasciando trapelare una colta sensibilità. Il corredo delle note a piè di pagina, tutte redatte con coerenza, non manca, come da prassi accurata, di offrire concisi profili dei nomi citati nel testo, permettendo in tal modo di collocare con esattezza ciascun personaggio. Inoltre, davvero pregevole appare lo spessore della ricerca, grazie alla quale la musicologa riporta la propria correzione di taluni dati circa la cronologia degli avvenimenti narrati, specificando che lo stesso Brahms non sempre datava i suoi messaggi e a sua volta Dietrich pecca di qualche imprecisione. Dal punto di vista musicologico inoltre è d’uopo plaudere all’impresa realizzata nel porgere a tutti un angolo di prospettiva sull’«aquilotto» esaltato nell’articolo schumanniano ‘Neue Bahnen’, affinché possiamo godere di momenti della sua vita e avere accesso diretto a una certa Sehnsucht che altrimenti sarebbe ancora rimasta nel côté straniero della ricerca. Non sembri pleonastico, infatti, valutare la piacevolezza e il vantaggio della traduzione per tutti gli interessati. Grazie ad essa, lo scritto nella fattispecie emerge con vivezza, nel corpus arricchito dalle missive della summenzionata galleria di personaggi, accluse da Dietrich per segnare più marcatamente il tracciato diaristico nel nome del celebrato amico. Nel novembre 1853 Brahms scrive: «Carissimo Dietrich! Mi avete procurato qui a Lipsia un’accoglienza amichevole oltre ogni misura e io sono così screanzato da privarvi completamente di missive. Non prendetevela troppo con me perché le lettere mi escono dalla penna con molta fatica». Per fortuna la bonaria affermazione è contraddetta dagli svariati carteggi compresi nei 16 volumi del Brahms Briefwechsel, editi a Berlino, a cura della Deutsche Brahms-Gesellschaft, tra il 1906 e il 1922 (ristampa Schneider, Tutzing, 1974), che ci riportano da vicino rapporti professionali ma anche relazioni confidenziali con persone incontrate lungo il cammino: i due aspetti, in vero, di rado appaiono disgiunti, soprattutto in un autore piuttosto esplicito, nonostante l’intima ritrosia, nella propria natura creativa. Passando in rassegna i più importanti va annoverato senza dubbio l’epistolario Billroth/Brahms, nell’edizione originale completa (Billroth im Briefwechsel mit Brahms, Hg. Otto Gottlieb-Billroth, Urban & Schwarzenberg, Berlin und Wien, 1935). Esso abbraccia gli anni dal 1865 al 1894, documentando, attraverso un dialogo intessuto di pensieri e alimentato dallo scambio di partiture, l’amicizia con Theodor Billroth (1829-94), illustre medico tra i suoi sodali eruditi. Specialista in patologia chirurgica, altresì ottimo critico della Neue Zürcher Zeitung, questi fu musicista per vocazione e per diletto. Suonava bene la viola, esibendosi spesso con Brahms in occasione di prime, quasi sempre in concerti privati. Tra i suoi migliori consiglieri, inoltre, veniva interpellato sistematicamente, anche prima del varo di un’opera. L’importanza di un simile dossier di certo non sfugge allo studioso, ma anche al cultore, che voglia avvicinare il Brahms della cerchia viennese di casa Billroth. Vi partecipavano il musicologo Eduard Hanslick, lo scrittore e critico musicale Max Kalbeck con il Quartetto Hellmesberger, e, occasionalmente, il violinista Joseph Joachim insieme ad altri amici. Va detto che esso rappresenta il sigillo del legame trentennale tra due personalità affermate, purtroppo affievolitosi verso la fine. Ciononostante restituisce la luminosità dell’alta stima e della consonanza spirituale fra i due, consentendoci di entrare in 279
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medias res, mentre rivela alcuni indirizzi di riflessione di Brahms, da argomenti d’occasione al personale modus cogitandi nel comporre. Procedendo tra gli epistolari brahmsiani, certamente non possiamo non includere il carteggio relativo a Clara Wieck, costituito da 759 lettere raccolte in due volumi dall’autore della sua biografia, Berthold Litzmann (Clara Schumann, Johannes Brahms, Briefe aus den Jahren 1853-1896, Im Auftrage von Marie Schumann, Hg. Berthold Litzmann, Breitkopf & Hartel, Leipzig, 1927). La lunga corrispondenza di Brahms con l’«amica adoratissima», era stata da lei stessa data alle fiamme, pare per un cospicuo numero di pagine, allorquando, come conferma la figlia Marie, la vedova di Schumann decise di optare per una privacy definitiva circa la tanto discussa liaison col protetto di suo marito. Frattanto, però, altre loro numerose missive restavano, com’è noto, ad alimentare fiumi di inchiostro, confluiti in interpretazioni psicologiche spinte anche al di là del reale. Ulteriore carteggio da considerare è senza dubbio quello con il fraterno amico violinista Joseph Joachim (Johannes Brahms im Briefwechsel und Joseph Joachim, Hg. Andreas Moser, Berlin, Deutsche Brahms Gesellschaft, 1908), alla stregua dell’altro, condiviso con l’artefice della Bach Renaissance, Philipp Spitta (Johannes Brahms im Briefwechsel mit Philipp Spitta, Hg. Carl Krebs, Berlin, Deutsche Brahms Gesellschaft, 1920). Si tratta di due carteggi imprescindibili per la conoscenza di un fecondo rapporto fra fuoriclasse. In aggiunta va ricordata la corrispondenza con Julius Otto Grimm, con i coniugi Heinrich ed Elisabet von Herzogenberg, con le famiglie Hecht e Fellinger solo per segnalare qualche nome di una lunga lista, nonché con editori quali Simrock, Breitkopf und Härtel, Rieter-Biedermann, Peters, ecc. Come afferma in apertura la stessa Caracciolo, se paragonato alle numerose pubblicazioni esistenti, tra epistolari e memoriali il volumetto di Dietrich risulta essere quello più breve dedicato a Brahms, ma dalla premessa dell’autore apprendiamo che certamente gli amici e gli ammiratori vi troveranno «diverse cose per loro preziose e interessanti». E tale assicurazione trova conferma nel corso di una lettura che rivela, come è facile prevedere, pagine di sicura attrattiva. Commovente risuona infine la dichiarazione di intenti del devoto amico: «Possano dunque queste righe senza pretese contribuire a completare ed approfondire il ritratto del grande musicista. Se nelle pagine seguenti avrò raggiunto lo scopo, in ciò potrò ravvisare il mio successo più bello». Concetto riportato dalla stessa traduttrice nella sua personale introduzione e da Dietrich così ribadito nell’accomiatarsi dal lettore: «Nel mettere in ordine queste lettere ho rivissuto ancora una volta i tempi passati e tutti i bei ricordi che per noi e per una cerchia ramificata di amici sono annodati al nome di Brahms. Possa la sua cara figura, per mezzo di questo libriccino, avvicinarsi alla grande schiera dei suoi ammiratori, così che essi, insieme all’artista, abbiano sempre davanti agli occhi la fedele, eccellente persona. Se con questi fogli avrò raggiunto lo scopo, allora sarò lieto di aver contribuito per la mia parte all’onore e alla gloria di Johannes Brahms». Senz’altro, al tempo di simili idealisti il sentimento dell’amicizia doveva essere vigoroso. Il suo fremito, talora veemente, talora delicato, nell'alternarsi di situazioni vivaci e ilari e momenti drammatici, riaffiora dalle pagine vergate durante le ore della 280
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loro esistenza e in tal modo torna presente ad ogni lettura. Insieme alla musica, tale squisito dono ci è di conforto, restituendo intatto un antico nitore dell’animo, offuscato, forse, dal pragmatico vivere moderno. Inevitabilmente, rispetto all’odierna ‘società liquida’ teorizzata da Zygmunt Bauman esso appare purtroppo lontano. Compromesso dal cinismo esistenziale del progresso resta relegato in quel mondo spirituale ormai passato. Allora, tutto il ‘bene’ era ancora possibile, tanto che per il suo raggiungimento si lottava strenuamente e con energica convinzione ontologica. Se dunque l’uomo è ciò in cui crede, questi sono stati grandi uomini. Inequivocabilmente, la musica di Brahms lo conferma. Cinzia Dichiara
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