Italia Ornitologica, numero 5 2022

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Rivista mensile di Ornitologia Scientifica - Tecnica - Pratica Organo Ufficiale della F.O.I.-Onlus

ANNO XLVIII numero 5 2022

Ondulati ed altri Psittaciformi

Canarini di Colore

Canarini di Forma e Posizione Arricciati

Estrildidi Fringillidi Ibridi

Corpo chiaro “Easley”

Errori vecchi e nuovi

Benacus, la lunga attesa Della fecondità sta per finire degli ibridi



ANNO XLVIII NUMERO 5 2022

sommario 3 5

Esotici, ma familiari Gennaro Iannuccilli

Corpo chiaro “Easley” Alessandro Capuani e Maurizio Manzoni

La scoperta del Pionites melanocephalus (2ª parte) Francesco Saverio Dalba

Pagina aperta Argomenti a tema

La musica, forma d’arte la musica, parente dello spirito Francesco Di Giorgio

Lo scalogno

Ondulati ed altri Psittaciformi

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Canarini di Colore

Giovanni Canali

Un maestro del canto: il fringuello (2ª parte) Benacus, la lunga attesa sta per finire Luigi Mollo

Le caratteristiche del Nero opale per esprimere al meglio lo standard

Simone Olgiati

Photo Show Le foto scattate dagli allevatori

Spazio Club Club Amici dell’Ondulato AMMINISTRAZIONE E PUBBLICITÀ: Segreteria F.O.I.-Onlus Via Caorsana, 94 - Località Le Mose 29122 Piacenza Tel. 0523.593403 - Fax 0523.571613 Web: www.foi.it - E-mail: redazione@foi.it

News al volo dal web e non solo

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Piercarlo Rossi

Della fecondità degli ibridi

OrniFlash

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Estrildidi Fringillidi Ibridi

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Francesco Badalamenti

Chi c’è in giardino? Pier Franco Spada

Assemblea F.O.I. 2022 Fotogallery

Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 0391-254X (International Standard Serial Number) Autorizzazione del Tribunale di Bologna n. 4396 del 12-3-1975 Stampa: TEP s.r.l. - Strada di Cortemaggiore, 50 29122 Piacenza - Tel. 0523.504918

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Inoltro postale in Italia: Effezeta srl Via Amilcare Mazzocchi, 36 - 29122 Piacenza

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Canarini di Forma e Posizione Arricciati

Il collezionismo ornitologico (15ª parte)

Direttore Responsabile: Antonio Sposito Caporedattore: Gennaro Iannuccilli Collaboratori di Redazione: Giovanni Canali, Maurizio Manzoni, Francesco Rossini

Coadiutore Editoriale: Lorenza Cattalani

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Errori vecchi e nuovi

Leonardo Soleo

Pierluigi Mengacci

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Le quote abbonamento vanno versate, mediante vaglia o assegno, alla Segreteria. Le opinioni espresse dagli Autori non impegnano la Rivista e la sua Direzione. La Redazione si riserva il diritto di non pubblicare o emendare gli articoli proposti. I collaboratori assumono piena responsabilità delle affermazioni e delle immagini contenute nei loro scritti. Vietata la riproduzione, anche parziale, se non espressamente autorizzata. © F.O.I. In copertina: Ondulato di colore "Corpo Chiaro Easley Verde" maschio (Melopsittacus undulatus) Foto CARLO MANZONI

Italia Ornitologica è la rivista ufficiale della F.O.I. - Federazione Ornicoltori Italiani, pubblicata in 10 (dieci) numeri annuali a cadenza mensile, 2 (due) dei quali in versione bimestrale nel periodo estivo (Giugno/Luglio e Agosto/Settembre). Il numero 5 - 2022 è stato licenziato per la stampa il 30/5/2022



Editoriale

Esotici, ma familiari di G ENNARO IANNUCCILLI

G

li ultimi tempi sono stati (e lo sono ancora per certi versi) concitati, soprattutto per l’allarme più che giustificato destato dalla paventata applicazione dei divieti proposti nell’ambito della famigerata Legge di delegazione europea 53/2021, alla quale si è tentato di agganciare una più ampia limitazione relativa alla detenzione, commercio, conservazione e finanche allevamento di specie esotiche, senza fare la necessaria distinzione con le specie selvatiche. Le reazioni che abbiamo registrato nel nostro mondo, e non solo, sono state molteplici: dagli atteggiamenti più attendisti a quelli più allarmistici, passando per una serie di argomentazioni tutte valevoli di considerazione, tranne quelle più improponibili e ingiustificate. Ma si sa che, nei momenti di maggiore pericolo, è difficile mantenere livelli di ragionamento equilibrati e si cede spesso alla preoccupazione per sfociare anche in manifestazioni di ansia e perfino rabbia. Evitando di affrontare il tema legislativo, di cui e su cui si è scritto e pubblicato in maniera esaustiva un po’ ovunque, includendo i nostri canali di comunicazione web/social, ci piace constatare e prendere atto di quanto velocemente si sia potuto generare un movimento di opinione e azione con lo scopo principale di opporsi alle proposte ideologiche avanzate da chi vorrebbe negare la possibilità di adottare un animale esotico, tra quelli consentiti e considerati alla stregua di altri animali domestici convenzionali. Abbiamo così assistito alla nascita di un coordinamento tra le associazioni di allevatori e appassionati di animali esotici, denominato per l’appunto “Esotici, ma Familiari”, che in breve tempo è diventato la voce di chi accetta le regole ma non vuole divieti discriminatori e, soprattutto, non fondati su basi scientifiche. Non a caso, hanno aderito a questo innovativo coordinamento anche le associazioni di medici veterinari e di categoria del settore merceologico, anche perché non è assolutamente da considerare in secondo piano l’aspetto occupazionale che riguarda tutti coloro che lavorano nelle aziende di mangimistica, accessoristica e più in generale nell’industria che ruota attorno ai prodotti per animali.

Abbiamo avuto modo di partecipare ad alcuni incontri con esponenti della politica, presenziando anche a conferenze stampa nelle quali abbiamo sottolineato ed evidenziato che, per quanto riguarda il mondo dell’ornicoltura amatoriale e sportiva, le nostre attività di allevamento non hanno minimamente a che fare con i traffici e la detenzione di animali selvatici, in quanto gli uccelli presenti nei nostri allevamenti nascono, crescono e si riproducono in ambienti controllati e protetti. Ciò per ribadire anche la completa estraneità dal rischio di introdurre nuove malattie trasmissibili all’uomo attraverso gli animali dei nostri allevamenti. Possiamo ben dire che l’emergenza, talvolta, fa aprire spiragli improvvisi anche verso zone d’ombra apparentemente inaccessibili, nonostante i tentativi praticati negli anni per far valere le nostre ragioni e motivazioni, anche in occasione di contenziosi o situazioni problematiche sorte nei confronti di qualche malcapitato allevatore. Non bisognerà però abbassare la guardia difronte ai tentativi (perché ce ne saranno) di vietare o quantomeno limitare l’allevamento amatoriale degli uccelli, oltreché di altri animali sebbene autorizzati. Dovremo essere sempre pronti a dimostrare la legittimità del nostro movimento, la positività di tutto ciò che comporta l’associazionismo ornitologico, il volontariato offerto per l’organizzazione degli eventi espositivi con particolare riferimento anche agli interventi di pet-therapy svolti con passione da alcuni nostri allevatori. Superando l’orizzonte ornitologico, sarà vitale fare gruppo con tutte le altre associazioni ed entità del nostro settore che operano correttamente nell’ambito delle rispettive attività. Solo così potremo far valere meglio le nostre ragioni e farci considerare come un vero ed effettivo comparto, da rispettare senza pregiudizi e da consultare per qualsiasi tema o argomento possa trattare gli animali domestici non convenzionali, nel nostro caso gli uccelli. Il motore di questa “forza” è e potrà essere il Coordinamento “Esotici, ma Familiari”, al quale la FOI ha aderito con convinzione perché consapevole di poter dare un apporto in ambito tecnico, scientifico e giuridico, grazie alla pluriennale esperienza maturata come unica federazione italiana che ha raccolto, e raccoglie ancora,

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Editoriale i migliori allevatori ornitologici presenti sul territorio nazionale. Il fine ultimo sarà quello di riuscire a far promulgare una legge definitiva che possa regolamentare una volta per

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tutte le pratiche e gli aspetti inerenti l’allevamento di specie animali diverse, in particolar modo le specie di uccelli che noi da sempre alleviamo con cura e passione vera a scopo amatoriale e sportivo.


ONDULATI ED ALTRI PSITTACIFORMI

ONDULATO DI COLORE

Corpo chiaro “Easley” testo e foto di ALESSANDRO CAPUANI e MAURIZIO MANZONI

T

ra le recenti mutazioni introdotte nel Pappagallino Ondulato di Colore quella del Corpo Chiaro Easley è senza dubbio, sia pure relativamente, la più diffusa. Parliamo di mutazioni introdotte in quanto, almeno sino ad oggi, tutte le nuove mutazioni si sono originate nell’Ondulato di Forma e Posizione e, da questo, vengono trasferite nell’Ondulato di Colore. Il passaggio di una mutazione da una razza all’altra non è proprio immediato, o meglio, è rapido trasferire la mutazione, ma poi occorre portare avanti un’attenta selezione, che può durare diverse generazioni, atta a ri-

Corpo chiaro Easley verde scuro

Tutte le nuove mutazioni si sono originate nell’Ondulato di Forma e Posizione e, da questo, vengono trasferite nell’Ondulato di Colore

trovare le caratteristiche proprie dell’Ondulato di Colore, in particolare: taglia, posizione, struttura e piumaggio. Tale processo selettivo pre-

sume una certa esperienza e soprattutto la conoscenza dei principi base della genetica. Nello specifico iniziamo a chiarire la denominazione data alla mutazione, anche a livello internazionale. La denominazione aggiunge, al nome che descrive in un certo qual modo il fenotipo: “Corpo Chiaro”, il termine EASLEY per distinguerlo dall’altra mutazione “Corpo Chiaro TEXAS”. I termini EASLEY e TEXAS non hanno un fondamento derivante dal fenotipo o da caratteristiche genetiche, ma semplicemente dal nome dell’allevatore che per primo lo ha allevato e descritto: il Signor C. F. Easley della

Corpo chiaro Easley cobalto

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California, per la prima denominazione e, dal luogo dove si è originata: una voliera di un allevamento in Texas a metà degli anni ’50 del secolo scorso, per la seconda. Le due mutazioni sono conosciute anche con la denominazione inglese di Dominant Clearbody (Corpo Chiaro Dominante) per l’EASLEY e Sex-linked Clearbody (Corpo Chiaro sesso legato) per il TEXAS, con evidente specifico riferimento al loro comportamento ereditario. Dal punto di vista degli effetti della mutazione sul fenotipo, l’unico che dovrebbe avere la denominazione di Corpo Chiaro è l’Easley, in quanto la principale caratteristica è lo schiarimento del corpo, mentre nel Texas oltre allo schiarimento del corpo si riscontra anche una diluizione, più o meno accentuata, di eumelanina sulle remiganti, in realtà il Texas è un Pallido. Dopo la necessaria premessa, di cui sopra, in questo articolo parleremo solo del Corpo Chiaro Easley o Corpo Chiaro Dominante.

Ereditarietà Come già anticipato sopra ereditariamente si tratta di una mutazione autosomico dominante. Questo significa che la trasmissione alla prole non dipende dal sesso del riproduttore mutato (autosomico) ed è sufficiente un solo allele mutato per manifestarsi (dominante). Pertanto, il pappagallino fenotipicamente mutato è visivamente indistinguibile tra singolo fattore (un allele mutato) e doppio fattore (entrambi gli alleli mutati). L’unico modo per riconoscerli è facendoli riprodurre: il singolo fattore accoppiato con un comune produrrà il 50% di piccoli mutati ed il 50% di figli comuni; il doppio fattore, sempre accoppiato ad un comune, genererà solo soggetti mutati, ovviamente tutti a singolo fattore. Descrizione generale della serie verde (verde, verde scuro, verde oliva, grigio verde) Colorazione del corpo: nuca, dorso,

petto e fianchi di colore giallo senape con leggera soffusione verdastra, in base alla tonalità del colore visibile nei fianchi e basso ventre, con un’intensità della soffusione che varia da zero ad un massimo del 50%. La maschera, di colore giallo, è ornata da sei punti neri rotondi ed equidistanti tra loro tanto da formare un effetto collana. I due punti più esterni sono parzialmente coperti dai marchi guanciali di colore grigio fumo.

Verde

Verde scuro

Particolare del codrione nella serie verde

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Si tratta di una mutazione autosomico dominante. Questo significa che la trasmissione alla prole non dipende dal sesso del riproduttore mutato


Il codrione è grigio verdastro disomogeneo. Le ondulazioni su guance, collo, dorso e copritrici alari sono nere, ben definite e parallele. Le remiganti primarie sono nere, sul vessillo esterno è presente una soffusione gialla sull’intera lunghezza. Le timoniere centrali sono nere, la rachide è nera. Il becco è di colore corno chiaro. La cera nasale si presenta blu nei maschi e marrone nelle femmine, gli occhi sono neri con cerchio oculare bianco. Le zampe sono grigio chiaro. Descrizione generale della serie blu (azzurro, cobalto, cobalto viola, malva, grigio) Colorazione del corpo: nuca, dorso, petto e fianchi di colore bianco con leggera soffusione bluastra, in base alla tonalità del colore visibile nei fianchi e basso ventre, con un’intensità della soffusione che varia da zero ad un massimo del 50%.

Particolare del codrione nella serie blu

soffusione bianca sull’intera lunghezza. Le timoniere centrali sono nere, la rachide è nera. Il becco è di colore corno chiaro. La cera nasale si presenta blu nei maschi e marrone nelle femmine, gli occhi sono neri con cerchio oculare bianco. Le zampe sono grigio chiaro. Cobalto

La maschera, di colore bianco, è ornata da sei punti neri rotondi ed equidistanti tra loro tanto da formare un effetto collana. I due punti più esterni sono parzialmente coperti dai marchi guanciali di colore grigio fumo. Il codrione è grigio bluastro disomogeneo. Le ondulazioni su guance, collo, dorso e copritrici alari sono nere, ben definite e parallele. Le remiganti primarie sono nere, sul vessillo esterno è presente una

Sintesi delle caratteristiche fenotipiche della mutazione Le caratteristiche peculiari della mutazione sul fenotipo possono essere così riassunte: quasi totale schiarimento del colore di fondo, che nei soggetti migliori si spinge sino al limite del basso ventre e parte bassa dei fianchi, a causa della drastica riduzione di eumelanina dal corpo, lasciando invariato il nero delle ondulazioni e delle remiganti primarie, conferendo, a petto e addome, un colore giallo (nella serie verde) e bianco (nella serie blu).

I marchi guanciali da viola del tipo comune assumono un colore grigio. Le timoniere primarie da blu scuro diventano nere. Anche il codrione viene interessato dalla mutazione che: nella serie verde assume una miscellanea di colori tra verde oliva – grigio verde – verde scuro; mentre nella serie blu tra cobalto – malva – grigio. Questo fa sì che per valutare la presenza o meno di fattori scurenti sia necessario andare ad osservare attentamente il colore del basso ventre e dei fianchi in corrispondenza. Il fatto che i marchi guanciali siano grigi e le timoniere nere rende quasi impossibile distinguere un Corpo Chiaro Easley Verde Oliva da uno Grigio Verde. Stesso discorso vale per la serie blu, estrema difficoltà nel distinguere un Malva da un Grigio. Altra particolarità molto interessante che si riscontra in questa mutazione è che nella maggior parte dei casi le femmine manifestano un maggiore schiarimento del corpo ed in corrispondenza un nero più intenso nelle ondulazioni e nelle remiganti rispetto ai maschi, come se la maggiore quantità di eumelanina scomparsa dal corpo si vada ad accumulare nelle aree rimaste nere (ondulazioni e remiganti). Un’ultima particolarità propria di questa mutazione riguarda i soggetti Opalino: il codrione resta dello stesso colore del basso ventre.

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Accoppiamenti possibili e relative aspettative NOTA: trattandosi di una muta-

PADRE

zione autosomica le aspettative degli accoppiamenti non dipendono dal sesso dei riproduttori, inver-

MADRE

CORPO CHIARO EASLEY S.F. COMUNE

tendo quindi il genotipo tra maschio e femmina i risultati non cambiano.

FIGLI 50% COMUNE 50% CORPO CHIARO EASLEY S.F. 25% COMUNE

CORPO CHIARO EASLEY S.F. CORPO CHIARO EASLEY S.F. 50% CORPO CHIARO EASLEY S.F. 25% CORPO CHIARO EASLEY D.F. CORPO CHIARO EASLEY S.F. CORPO CHIARO EASLEY D.F.

50% CORPO CHIARO EASLEY S.F. 50% CORPO CHIARO EASLEY D.F.

CORPO CHIARO EASLEY D.F. CORPO CHIARO EASLEY D.F. 100% CORPO CHIARO EASLEY D.F. CORPO CHIARO EASLEY D.F. COMUNE

100% CORPO CHIARO EASLEY S.F.

Particolare del codrione di un corpo chiaro Easley Opalino Azzurro

La mutazione produce una sorta di rafforzamento del dimorfismo sessuale. Di norma le femmine presentano il colore del corpo di un giallo più brillante, perdendo la lieve velatura verde che rimane nei maschi, contemporaneamente il nero dell'eumelanina di ondulazioni e remiganti risulta più intenso. Naturalmente un effetto analogo si ha nella serie blu.

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CANARINI DI COLORE

Errori vecchi e nuovi di GIOVANNI CANALI, foto E. DEL POZZO e F.O.I.

N

on c’è niente da ridire, l’errore fa parte della natura umana, tuttavia sarebbe meglio non perseverare, specialmente quando l’errore è già stato spiegato. Inutile citare le varie massime sull’errore, sono ben note. Importante è riconoscere l’errore, senza commetterne un altro più grave, difendendo l’indifendibile. Nel nostro ambiente, ma purtroppo è circostanza onnipresente, di errori ne sono stati commessi parecchi e se ne continuano a commettere. Insomma non mancano errori vecchi e nuovi. Fra gli errori vecchi un posto di prima fila spetta ai bianchi. Non starò a ripetere tutto quanto già spiegato, ma darò delle indicazioni, con casi reali accaduti, che spero siano sufficientemente incisive. Tempo fa un allevatore, pure ottimo, al quale chiedevo cosa celassero dei melanici bianco recessivo che andavo a scegliere, mi disse che erano puri, del tutto puri, erano 10 anni e più che accoppiava in purezza, recessivo x recessivo. Io gli obiettai che anche se fossero stati 100 anni qualcosa di certo nascondevano, poiché il bianco recessivo non distrugge i carotenoidi ma li inibisce, cioè li blocca. Alla fine venne fuori che c’erano stati accoppiamenti con rossi mosaico e non a caso uscì un portatore mosaico ancorché diffuso e con tracce arancio. Ci fu perfino un’ipotesi pubblicata su di un testo, pur buono, degli anni 60 secondo la quale accoppiando un bianco recessivo con un cardinalino del Venezuela si sarebbe conseguito il fantomatico canarino rosso pieno. Ovviamente questo accoppiamento non diede il risultato desiderato, poiché impossibile. Questo per due motivi: ac-

Bianco, foto: E. del Pozzo

coppiare con un bianco recessivo proveniente da gialli era esattamente come accoppiare con un giallo, tranne il fatto che i figli sarebbero stati portatori di bianco recessivo; inoltre il cardinalino non è integralmente rosso. Lo si nota dalla banda alare del giovane che è arancio e soprattutto dal fatto che se il cardinalino non è colorato, non diventa rosso ma rimane arancio. Errori così evidenti si possono verificare sia

per mancato approfondimento, sia per convinzioni errate. Ancora oggi come in passato c’è chi commette errori del genere. Ricordo una discussione di diversi anni or sono, fra due personaggi molto apprezzati; ebbene, uno di loro aveva ottenuto un bianco dominante dall’accoppiamento di un bianco recessivo con un giallo e pontificava che per arrivare al recessivo bisognava passare per il dominante,

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Nero bianco dominante

l’altro diceva che non era possibile e mi pare tirasse fuori il crossing- over o qualcosa del genere del tutto fuori luogo. In realtà non era accaduto nulla di strano, semplicemente quel bianco recessivo era anche dominante, solo che essendo il bianco recessivo epistatico, cioè coprente su tutte le altre varietà, può nascondere tutto, anche il bianco dominante, visto che non è allelico. Il bianco recessivo può nascondere tutto, per l’ovvio motivo che inibendo totalmente i carotenoidi ha, come dicevo, l’effetto massimo. Il bianco dominante, invece, lascia delle soffusioni. Non a caso era molto correttamente detto “bianco soffuso” ed il recessivo solo “bianco”. Poi si volle peggiorare la situazione facendo riferimento al comportamento genetico, che non conta a livello di giudizio, ove si giudica ciò che si vede. Sempre citando casi reali ricordo di aver visto il caso di un ottimo soggetto melanico bianco recessivo inserito in un ceppo di soggetti pure ottimi dello stesso tipo di varietà giallo. Ebbene, per il tipo i risultati furono ottimi, ma la varietà risultò compromessa, poiché uscirono dei gialli arancio. Evidentemente quel bianco recessivo proveniva dai rossi. Recentemente mi è capitato di ottenere due bianchi recessivi uno dei quali pulito e buono ed uno macchiato, da una coppia di ottimi gialli. Si è trattato di un caso, poiché non sa-

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pevo che i due soggetti fossero portatori. Comunque li cedetti suggerendo all’acquirente, che li apprezzò molto, che con quelli, almeno con il pulito, ed i genitori, e magari i fratelli probabili portatori, si sarebbe potuto impiantare un ceppo di bianchi recessivi ed ottimi portatori (circostanza rarissima), anche se riconoscevo che la cosa non fosse poi tanto interessante, poiché nei bianchi recessivi si punta tutto sulla morfologia. Spesso con i bianchi si fanno molte confusioni. Queste confusioni derivano soprattutto dal fatto che il bianco dominante avorio è in superficie uguale ad un recessivo. In certi ceppi regna la confusione più totale poiché si mescolano bianchi recessivi con bianchi dominanti ed avorio. In più di una occasione me ne sono accorto anche durante il giudizio degli stamm. Ricordo il caso di uno stamm di melanici che era costituito da due soggetti bianchi, non saprei dire se recessivi o dominati avorio, un dominante con soffusione leggera ed anche un avorio molto debole che somigliava ad un bianco, mica male, specialmente come armonia! Un mal vezzo molto diffuso è quello di accoppiare un recessivo con un dominante, nell’illusorio intento di migliorare il dominante. Ebbene, la migliore espressione del dominante si ha selezionando i geni modificatori dello stesso, ed accoppiandolo o in purezza

(sopportando la perdita degli omozigoti) o con gialli provenienti e soprattutto fratelli di ottimi bianchi dominanti. Questo non significa che dall’accoppiamento fra dominanti e recessivi non vi possano essere, a volte, buoni risultati, ma trattasi di fatti almeno in parte casuali. Nell’ultima mostra di Parma (2021) mi è capitato di vincere con una femmina satiné bianco dominante ottima per la varietà bianco dominante, con ineccepibile soffusione. Ebbene, quella femmina nasceva da un accoppiamento di ripiego (il covid non consentiva di girare troppo): il padre era un satiné bianco recessivo a struttura brinata e la madre un’agata classica bianco dominante a struttura intensa. Evidentemente il padre disponeva casualmente dei geni modificatori del bianco dominante. Non faccio certo di questo risultato una regola, le qualità di tipo e morfologia non erano casuali, ma quelle di varietà bianco dominante almeno in parte si (la madre era ottima). Raccomando come sempre di non fare di risultati numericamente limitati una regola. C’è poi la storia del bianco più bianco del bianco e degli additivi, ne ho già parlato molto, mi limito ad un aneddoto. Anni fa in occasione di un’importante mostra facevo servizio ed aiutavo nell’ingabbio. Un espositore stava ingabbiando dei bianchi recessivi brillantissimi. Gli dissi con tono ironico: “brillano davvero molto…” e lui avendo capito, di rimando: “no, no Canali non ho usato niente, niente, solo shampoo per cani…” come dire il minimo sindacale! Oggi mi è capitato di sentire, anche da parte di persone qualificate, che l’impostazione d’allevamento sui tipi base sarebbe superata o qualcosa del genere. Non posso nascondere di essere rimasto interdetto. Spiegare l’importanza dei tipi base è quasi difficile, poiché è difficile spiegare l’ovvio. Nelle mie pubblicazioni ho più volte rimarcato la basilarità dei tipi base ed in particolare di nero ed agata, recentemente in: I. O. n°3/2022. Non avrei davvero creduto di doverci tornare sopra. Cercherò di farlo nel modo più chiaro evitando spunti troppo polemici, che mi verrebbero a fiumi alla mente.


Dovrebbe essere ovvio che in tutti i casi, proprio tutti, bisogna partire dall’inizio, quindi nel tipo del canarino dal nero-bruno, forma selvatica. Sento sempre meno spesso parlare di centri di convergenza delle melanine e della tipologia del disegno: marcature, vergature, striature. Eppure la base è quella e non si può prescindere. Anche e soprattutto quando si studia una mutazione; infatti bisogna capire come funziona, paragonandola alla forma selvatica e senza confondere la penna degli uccelli con il pelo dei mammiferi, che hanno strutture ben diverse. Inoltre, fino a che i tipi aggiunti (pastello, opale ecc.), nella maggior parte dei casi, vengono ripartiti in 4 linee e cioè con base nero, bruno, agata ed isabella, non vedo proprio come si possa prescindere dal conoscere che cosa comportano i tipi base! Qui devo spiegare l’ovvio, e mi sforzo. Chiedo: come è possibile spiegare, ad esempio, il tipo bruno pastello (interazione) senza sapere come funziona il bruno (mutazione) e come funziona il pastello (mutazione con geni modificatori additivi)? Risposta: non si può! Sarebbe come cercare di spiegare come funziona un’automobile senza considerare il motore e le ruote. E non si lavori troppo di fantasia, cercando di inventare senza essere inventori, altrimenti si rischia di inventare la ruota, magari però quadrata, per poi cercare di migliorarla facendola triangolare per eliminare un sobbalzo… La conoscenza della storia e delle basi è indispensabile. Inoltre bisogna rendersi conto che ci possono essere concetti superati (personalmente ne ho demoliti parecchi, basta pensare al mosaico e non solo), ma ci possono essere, e certo ci sono, concetti di base immutabili, poiché fondamentali. Cito: “Un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l’alto uguale al peso del fluido spostato” principio di Archimede, e non c’è modernità che possa alterare questo principio! Allo stesso modo per spiegare un’interazione bisogna conoscere nei dettagli il comportamento dei caratteri che concorrono a costituirla, troppo difficile? Bisogna anche saper valutare le interazioni e le interferenze, talora su-

periori alle attese, come ad esempio: il bianco dominante puro per l’avorio ha un effetto superiore alle attese astratte, visto che le soffusioni non sono avorio ma sono cancellate, aspetto già studiato. Per non parlare della mutazione intenso che interferisce a tutto campo: morfologia, tipo e varietà; accorciare le barbe non è uno scherzo da poco. Tornado al tipo base ed al tipo aggiunto, bisogna tener presente le caratteristiche, i pregi e i difetti che vengono fuori e la loro origine. Non è roba così da poco capire che le carenze di disegno localizzate, come su fianchi e testa, attengono al tipo base, non a caso presenti nei tipi base. Mentre altri difetti attengono al tipo aggiunto, essendone carenza, come tracce di disegno antracite nel nero pastello ad ali grigie. In altri casi vi può essere un concorso di tipo base ed aggiunto, come l’azzurro negli opale, condizionato anche dall’accoppiamento con portatori o in purezza. Tutto ciò presuppone non modernismi senza costrutto, ma competenza e valutazione approfondita con ottima co-

Agata bianco, foto: E. del Pozzo

Satinè bianco, foto: E. del Pozzo

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noscenza delle diverse mutazioni di tipi aggiunti, quindi, con le loro caratteristiche ed in rapporto al tipo base, e questo con le sue caratteristiche, altrettanto ben riconosciute. Tutto ciò con riferimento primario al tipo selvatico. Difficile? Non so che farci, ma per approfondire non ci sono scorciatoie o pressapochismi basati sulla prima impressione. Ai corsi allievi giudici che ho tenuto, spesso a corso inoltrato, facevo domande impegnative sul genere: che differenza c’è fra un nero brinato giallo (tipologia selvatica) ed un isabella pastello intenso rosso avorio? I migliori

Isabella intenso giallo, foto: E. del Pozzo

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rispondevano: tre mutazioni a livello di tipo interagenti e cioè bruno, agata (che danno l’isabella) e pastello, una mutazione a livello di categoria, cioè l’intenso e a livello di varietà, l’avorio, mutazione, ed inoltre l’afflusso di geni estranei alla specie canarino, ereditati dal cardinalino per il rosso. Poi si approfondiva ogni aspetto, certo con il mio aiuto, non sono cose così semplici. Tuttavia che sia facile o difficile la questione dei tipi base ed aggiunti rimane fondamentale, almeno fino a che ci sarà la ripartizione con i 4 tipi base nella maggior parte dei casi. Consideriamo anche un caso raro, il

phaeo. All’inizio chiamato molto più correttamente rubino, si tentò di avere i 4 tipi ma poi si ripiegò su ossidati (nero e bruno) e diluiti (agata ed isabella), poi si rinunciò ai diluiti in effetti, se ottimi, troppo simili ai lipocromici; oggi si dice solo phaeo, anche se sarebbe meglio dividere in neri e bruni, poiché sono molto simili, ma non uguali (l’ho spiegato nelle sedi opportune); inoltre l’abbandono dei neri, che sono più difficili da gestire, ci riduce ai soli bruni, si incoraggia poi una selezione esasperata a favore della feomelanina e trascurando il disegno. Siamo arrivati al punto che il disegno si va riducendo al minimo e certi portatori sono simili a dei bruni pastello super dotati! Mi dicono che qualcuno parla di un nuovo tipo, in realtà è solo una strada errata e per giunta in discesa. Posso ben dirlo, visto che anni or sono, accoppiando in modo super ortodosso con coppie nella maggior parte dei casi costituite da un nero e da un bruno e da un rubino ossidato (come si diceva allora) ed un portatore, ero arrivato ad avere il disegno al negativo, 4 binari lipocromici nei phaeo, e con i portatori bruni ero arrivato a fare un 89, punteggio inarrivabile con gli attuali. Poi, esasperato dal fatto che la maggior parte delle femmine discriminano i phaeo nei nidi misti, ho rinunciato. Un altro aspetto riguarda parziali incompatibilità fra tipo base e tipo aggiunto. Il fenomeno si verifica in alcuni casi, come nell’onice e nel cobalto, molto belli nei neri. L’effetto diffusivo delle suddette mutazioni, viene annullato in gran parte dalla diluizione della base agata o isabella. Li chiamo scherzosamente tipi Penelope, visto che un aspetto fa e l’altro disfa. In ogni caso ovviamente bisogna, se qualcuno volesse allevarli, privilegiare il tipo base ed il tono del disegno. Ho detto ovviamente, ma come spiegare l’ovvio in questo caso? Magari dicendo che un’agata è bene che non tenda a confondersi con un brutto nero ed un isabella con un brutto bruno. Chi desiderasse ulteriori spiegazioni potrà averle, non avrà che da chiederle; non garantisco però il mio abituale garbo, certi argomenti mi indispongono.


ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

Un maestro del canto: il fringuello Il comportamento in natura, l’allevamento, le mutazioni testo di PIERCARLO ROSSI, foto M. CORBELLA, R. STEFANI, B. ZAMAGNI e V. VERGONI

Seconda parte

A

ll’inizio di questa mia esperienza ero solito porre i fringuelli in voliere larghe 1m con un’altezza di 2m e profondità di uguale misura; con il passare degli anni e l’esperienza acquisita, ho notato che se gli animali venivano alimentati in maniera adeguata ed abituati alla presenza dell’allevatore si adattavano anche a sistemazioni più ridotte, come le volierette da 120cm dove, se ben schermate e con una adeguata gestione del maschio, la riproduzione può avvenire senza grossi problemi. Io penso che l’osservazione costante delle singole coppie sia alla base di ogni successo riproduttivo; con un attento esame dei componenti di ogni singolo soggetto si capisce quando è il momento di intervenire, variando l’alimentazione o la gestione della coppia e questa regola vale per ogni specie che si decide di allevare. Posso definire questa tecnica il vero successo del mio allevamento. Nel nuovo allevamento lascio svernare i soggetti nelle voliere esterne, dove il fondo è in cemento, e questo mi permette di gestirlo in maniera egregia per quanto riguarda la pulizia mensile o settimanale, in ogni periodo dell’anno.

Mutazione che in Belgio chiamano "grigio dominante"ed è un maschio. Probabilmente un doppio diluito, si precisa probabilmente ma di certo a base nero bruna perché ha le unghie scure

L’osservazione costante delle singole coppie è alla base di ogni successo riproduttivo; con un attento esame di ogni singolo soggetto si capisce quando è il momento di intervenire

Quando si avvicina il periodo riproduttivo trasferisco i soggetti nelle volierette dove pongo sempre, sul fondo, la griglia, utilizzando i fogli di carta bulinata, che assolvono al meglio il compito di assorbire le feci. Come alimentazione utilizzo lo stesso misto che veniva utilizzato in Belgio dall’allevatore che negli anni mi ha ceduto alcuni soggetti e devo dire che esso viene molto apprezzato, visto che vengono consumati tutti i semi che lo compongono; questo mi fa pensare

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Pastello Isabella maschio

che sia ben equilibrato e gli animali sono in perfetta forma, calcolando soprattutto che in allevamento vi sono soggetti anche di sette anni. I fringuelli, se mantenuti in maniera ottimale, non hanno nessun problema né di deposizione né di fertilità, anzi ho notato che con il passare degli anni i maschi adulti si ammansiscono e non creano nessun problema in fase riproduttiva.

Bruno Opale maschio

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Isabella Opale maschio

Fornisco questa miscela come base del mio allevamento durante tutte le stagioni dell’anno; l’unica integrazione che aggiungo da metà dicembre fino alla fine di febbraio è composta da una formulazione di estrusi che mi permette di tenere in forma gli animali durante il periodo di riposo e preparazione cove, per poi passare ad un altro prodotto specifico sempre in ragione di una parte su cinque mescolata alla

Agata Opale femmina

comune miscela; ciò per prepararli all’allevamento dei novelli, fino al temine delle cove, per poi tornare alla miscela classica. In preparazione alla stagione riproduttiva, dall’inizio di febbraio fornisco un giorno alla settimana un pastone secco unito al 50% con un pastone morbido: ho notato che questo mix è ottimale anche nel periodo invernale, calcolando che i soggetti sono posti


in voliere esterne dove la temperatura scende anche a -5 o -7. Dalla metà di febbraio arricchisco questo pastoncino con l’uovo sodo a cui aggiungo tarme pinkies e buffalo surgelate e, visto che il tempo spesso scarseggia, ho deciso di sostituire i semi germogliati, utilizzati un tempo, con un preparato preconfezionato, poi aggiungo alcuni integratori sia per l’apporto di calcio, sia per stimolare la deposizione; inoltre, nell’acqua da bere aggiungo un complesso vitaminico. Con il passare delle settimane aumento la somministrazione di questo pastoncino, due volte la seconda settimana, tre volte la terza, dopo di che la somministrazione diventa giornaliera. Appena la femmina inizia la deposizione delle uova interrompo la somministrazione del pastoncino, che riprenderà alla nascita dei piccoli, questo per evitare una assunzione eccessiva di proteine che potrebbe portare ad uno scondizionamento della femmina o a una sovraeccitazione del maschio. Essendo il mio allevamento posto all’esterno ed a luce naturale, inizio alla fine di marzo a fornire il materiale per la costruzione del nido; alcuni anni, se l’inverno risulta essere particolarmente mite, mi è capitato di trovare un abbozzo di nido all’interno della mangiatoia. Sono solito porre due nidi sulla parte alta della volieretta, uno su un lato ed uno sull’altro; la femmina sceglierà quello maggiormente gradito ed utilizzerà il secondo per la covata successiva. Per la costruzione del nido (un cestino in vimini) fornisco un mix classico formato da sisal, juta, cocco e cotone, mentre per l’imbottitura interna ho notato che risulta molto gradito il pelo animale. Le femmine sono delle ottime covatrici ed i maschi dei padri premurosi, a cui tocca il compito di ultimare lo svezzamento della prole; infatti, appena i nuovi nati saranno impiumati la femmina si appresterà alla costruzione del secondo nido. Il numero delle uova deposte varia da 4 a 6 ed in passato mi è capitato di avere covate da 5 piccoli, cose che mi ripagano di tutti i sacrifici giornalieri. Nel caso di nidiate con un numero li-

mitato di piccoli, 1 o 2, sono solito unirli a fratelli di altre covate con gli stessi giorni di vita. Ho visto in allevamenti di amici anche l’utilizzo di canarini come balia (cosa da me mai provata) ma la loro alimentazione fortemente insettivora, soprattutto nei primi giorni d’età, io penso debba essere supportata con imbeccate supplementari e la somministrazione di prede vive da parte dell’allevatore, fino all’inanellamento. Negli anni ho creato un ceppo di canarini molto resistenti che utilizzo esclusivamente per l’allevamento dei cardellini major. Come già dichiarato in precedenza, con un’attenta osservazione della coppia devo ammettere che non ho mai avuto problemi di eccessiva aggressività da parte del maschio, anzi in passato ho cercato, con fortune alterne, di utilizzare un maschio al salto con due femmine, anche se ritengo il fringuello una specie monogama. Alcune volte ho tentato anche con il ciuffolotto la tecnica del maschio al salto lasciando la femmina da sola ed unendo quest’ultimo soltanto quando il nido era stato completamente costruito, ma in questa specie ho notato che per avere un numero importante di uova feconde il maschio deve essere inserito più volte con la sua compagna.

Soggetto pezzato di R.Stefani

Ibrido di Fringuello x Peppola, allevatore Angelo Sasselli, foto: Bruno Zamagni

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Opale nero/bruno

Dalle mie osservazioni ho notato che una buona infrascatura esterna del nido sia uno dei segreti per la riuscita del suo allevamento; questo permetterà alla femmina di rimanere più tranquilla sia durante la cova sia nella fase dell’allevamento dei pic-

Soggetto albino, foto e all.: Vittorio Vergoni

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coli; in caso contrario, la femmina tenderà ad alzarsi ad ogni minimo rumore, causando danni al nido o alle uova. Alla nascita dei novelli, oltre al pastoncino sopra indicato a cui aggiungo piselli e mais come apporto vegetale,

fornisco un’alimentazione viva posta in una ciotola separata, dove pongo delle larve tenere di tarme della farina bianche senza cuticola con l’aggiunta di un altro tipo di tarme sempre di dimensioni ridotte ma di colore marrone scuro. Questo alimento rimane a loro disposizione fino all’inanellamento dei piccoli, dopo di che tendo a diminuire la somministrazione dell’alimento vivo, lasciando sempre a disposizione le tarme buffalo ed i pinkies surgelati, oltre alle tarme della farina. Se bene alimentati, anello solitamente i piccoli al quinto/sesto giorno di vita monitorandoli per qualche tempo; quando bene impiumati, la femmina inizia la seconda deposizione e il maschio porta di solito in maniera esemplare a termine lo svezzamento dei novelli anche con la femmina già in cova. Non ho mai avuto problemi con il maschio, con il pericolo che potesse avventarsi sui piccoli, anche perché tengo sotto controllo l’alimentazione e se vi sono segni di un estro eccessivo abbasso immediatamente il valore proteico. All’inizio della stagione riproduttiva ed una volta svezzati tutti i novelli, effettuo un trattamento contro gli acari con un prodotto del commercio che metto direttamente nell’acqua da bere”. Dopo questa parte, molto interessante, legata all’allevamento passiamo ora a parlare di mutazioni. “La passione per questa specie da parte dei belgi ha fatto sì che diverse, ad oggi, siano le mutazioni stabilmente fissate. Alla base vi sono le mutazioni Bruno ed Agata e la loro combinazione, l’Isabella, tutte e tre con trasmissione ereditaria del tipo sessolegata; segue la mutazione Pastello, che si comporta come le precedenti. Vi è come nel lucherino e nel verdone una forma di pastello dominante, che noi chiamiamo diluito, che dà vita a soggetti a singolo e a doppio fattore. L’opale è la mia preferita, con trasmissione ereditaria di tipo autosomica-recessiva; vi sono poi le ultime apparse, come la whitegrey con trasmissione ereditaria di tipo autosomica dominante, ma la vera novità sono i pezzati, con trasmissione ereditaria autoso-


mica-recessiva. Io penso che l’errore che è stato compiuto negli ultimi anni sia stato quello di sovrapporre le varie mutazioni in maniera ossessiva e questo ha fatto sì che si realizzasse un numero importante di soggetti, sicuramente con un prezzo elevato ma difficili da identificare. Nel mio allevamento è presente almeno una coppia per ogni mutazione ed alcune in sovrapposizione; inoltre, ho selezionato da tempo due coppie di ancestrali puri al 100%, che mi servono per creare i portatori da utilizzare nelle varie mutazioni. Allestisco ogni anno due coppie della mutazione Bruno e le utilizzo per la selezione delle mutazioni Isabella ed opale Bruno, che necessitano come colore e disegno e struttura di questa mutazione. Su base opale seleziono alcune coppie in purezza e la sovrappongo alle mutazioni Bruno/Agata e Isabella.

All’inizio della stagione riproduttiva ed una volta svezzati tutti i novelli, effettuo un trattamento contro gli acari

Anche per quanto riguarda la mutazione pastello dominante (diluito) creo una coppia per ogni tipo base; la coppia è solitamente formata da un doppio e da un singolo fattore, così da avere entrambi i fenotipi all’interno della nidiata. Per quanto riguarda la mutazione whitegrey, per il momento sto cercando di studiarla attentamente, ed ho iniziato ad inserirla sui tipi base.

In Belgio e in Olanda ho visto che viene data molta importanza al canto, pertanto gli ottimi cantori vengono utilizzati in allevamento anche se non perfetti come struttura, colori e disegni, mentre per quanto mi riguarda do poca importanza a questo particolare, anche se da me apprezzato, cercando di selezionare soggetti strutturalmente e cromaticamente al top. Negli ultimi anni ho partecipato solamente ai campionati italiani (sebbene le categorie dedicate alle mutazioni del fringuello siano veramente poche) o al campionato del mondo, anche perché il tempo a mia disposizione è sempre poco; cerco di partecipare alla mostra della mia Associazione come segno di appartenenza e amo inoltre le mostre specialistiche”. Non ci resta che ringraziare il buon Ralf per averci condotto, passo dopo passo, nello splendido mondo del fringuello.

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CANARINI DI FORMA E POSIZIONE ARRICCIATI

Benacus, la lunga attesa sta per finire testo e foto di LUIGI MOLLO

C

i auguriamo che il 2023 sia l’anno del definitivo riconoscimento del Benacus a livello internazionale. La storia del Benacus inizia nei primi anni del XXI secolo ma è solo nel 2016 che viene inserito dalla FOI fra le 13 razze di Canarini di Forma e Posizione Arricciata (CFPA) riconosciute in Italia. Infatti, al 50° Campionato Italiano di Ornitologia di Pesaro (dicembre 2015) la Commissione Tecnica Nazionale (CTN) - CFPA ha giudicato i 24 soggetti presentati come rappresentativi della nuova razza dato che essi manifestavano una chiara stabilizzazione dei caratteri dello standard. A seguito di quel giudizio, il Consiglio Direttivo Federale, sulla base del verbale dell’Ordine dei Giudici del 7 febbraio 2016, ha ufficialmente riconosciuto il Benacus come nuova razza il 3 settembre 2016. Fin dalla stagione mostre 2016 il Benacus ciuffato può essere, quindi, esposto e giudicato nelle mostre nazionali italiane. Dalla stagione mostre 2017 anche il Benacus testa liscia viene riconosciuto ed ammesso alle mostre nazionali. Subito dopo, l’infaticabile creatore della razza, sig. Pietro Peluso, ha avviato, sotto l’egida della FOI, la procedura per il riconoscimento a livello COM. È doveroso precisare che il m.llo Peluso è stato inizialmente coadiuvato dagli indimenticabili giudici Giovanni Bertoncello e Alfano Stach e affiancato successivamente da Luigi Bustaffa e Antonio Strazzer. La razza si è poi diffusa un po’ in tutta Italia coinvolgendo nella selezione molti altri allevatori, da nord a sud.

Il sig. Peluso mentre mostra uno dei suoi Benacus testa ciuffata

La procedura è simile a quella che si segue a livello nazionale. In sostanza, i soggetti appartenenti alla aspirante

La storia del Benacus inizia nei primi anni del XXI secolo ma è solo nel 2016 che viene inserito dalla FOI fra le 13 razze di Canarini di Forma e Posizione Arricciata

nuova razza, già riconosciuta a livello nazionale, devono essere presentati per tre anni di fila al Campionato Mondiale ed essere giudicati da un collegio formato da cinque giudici internazionali appartenenti a Paesi diversi da quello che presenta la nuova razza. Gli uccelli esposti, nel numero di dodici, devono essere di almeno tre allevatori differenti e, per il riconoscimento della nuova razza, devono ottenere un punteggio superiore ad 87/100. In quella sede il collegio giudicante valuta anche se sussistano le prescritte differenze con le altre razze già riconosciute. Durante il Campionato Mondiale di Zwolle (Olanda), nel gennaio 2019, il Benacus ha brillantemente superato la prima delle tre prove di riconoscimento a livello internazionale. La seconda l’ha superata al Campionato Mondiale di Matosinhos (Portogallo), nel gennaio del 2020. L’iter si è poi sospeso perché, purtroppo, sono intervenute prima la pandemia di Covid-19 e poi l’aviaria, che hanno provocato, rispettivamente, l’annullamento dei Mondiali 2021 e 2022. Il terzo, definitivo, riconoscimento è stato, quindi, rimandato al Mondiale che si terrà in Italia nel gennaio 2023. Il Benacus appartiene alle razze arricciate di posizione. Questo significa che il canarino, quando si trova nella gabbia di esposizione, deve assumere un portamento “a forma di sette, collo proteso in orizzontale a livello dei carpi nella posizione di lavoro, corpo verticale con coda perpendicolare al posatoio” [Criteri di giudizio CFPA, ed. 2020]. As-

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vemente biforcuta all’estremità - e le ali - lunghe, uniformi, ben aderenti al corpo - danno il loro contributo all’assunzione della corretta posizione. Si tratta di un portamento molto tipico che differenzia nettamente il Benacus dalle altre razze similari (Arricciato del sud, Melado, Giboso, Gibber italicus, Girardillo, etc.). La gabbia da esposizione a cui si è accennato è quella che si usa per i canarini Yorkshire, detta anche “a cupola”, attrezzata con due posatoi da 12 mm; uno posto in alto al centro e l’altro in basso alla quinta gretola. Il fatto che si tratti di un canarino di posizione non deve trarre in inganno. Il Benacus va giudicato certamente per la posizione ma senza mettere in secondo piano le arricciature. Pertanto, come in tutte le razze arricciate, anche nel Benacus devono essere va-

Benacus testa ciuffata. Si noti la lunghezza del piumaggio, la leggera piegatura al calcagno e la netta differenza di portamento rispetto al Giboso sullo sfondo

sumere questa posizione “di lavoro” è indubbiamente faticoso, per cui il canarino non la può tenere per molto tempo ma deve intervallarla con una postura più rilassata, la cosiddetta posizione “di riposo”. Un buon soggetto deve essere in grado di tenere la posizione di lavoro per un periodo di circa un minuto. Ovviamente se la mantiene più a lungo è meglio. Quando assume la posizione di lavoro gli arti inferiori, lunghi e deplumati al ginocchio, devono essere leggermente flessi al calcagno. Anche la coda - proporzionata al corpo, stretta e lie-

Precisazione della C.T.N. C.F.P.A.

L

a C.T.N. - F.P.A. segnala che il canarino “Mehringer” deve essere anellato con anellino tipo B - non tipo X, come appare scritto per un refuso negli attuali Criteri di Giudizio.

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Benacus testa liscia. Canarino con una posizione perfetta, peccato che manifesti una grave carenza allo jabot

Il Benacus va giudicato certamente per la posizione ma senza mettere in secondo piano le arricciature

lorizzate le cinque arricciature principali – jabot, fianchi, spalline. In questa razza queste sono le sole arricciature presenti e devono manifestare un netto distacco con le altre regioni del corpo caratterizzate da un piumaggio perfettamente liscio ma non abbondante. Di fatto, in questa razza il piumaggio deve essere scarso ma non “ruvido” come quello di un Gibber. Anzi, pur essendo poco voluminoso, deve apparire composto e brillante: in una parola, serico. Questo particolare piumaggio, a cavallo fra quello dell’Arricciato del Sud e del Gibber, dà origine ad una specifica caratterizzazione delle cinque arricciature principali che risultano ben evidenti ma molto contenute. Infatti, lo jabot deve essere “composto da due arricciature che dai lati del collo convergono verso il centro per coprire comple-


tamente il giugolo” [Criteri di giudizio CFPA, ed. 2020]. È chiaro che esso non riesce ad assumere la dimensione e voluminosità del cestino dell’Arricciato del Sud ma neppure presenta quella “nudità” che caratterizza lo jabot di razze come il Girardillo o il Gibber. Lo stesso discorso vale per i fianchi, che devono essere “corti, leggermente folti, simmetrici, rivolti verso l’alto senza coprire le ali o raggiungere le spalline” [Criteri di giudizio CFPA, ed. 2020]. Queste ultime, a loro volta, dovranno incunearsi fra i carpi conservando una evidente simmetria e una netta demarcazione centrale. Per completare la descrizione non ci resta che dire che un canarino ideale deve avere una lunghezza di 16 cm con una testolina a forma di nocciola, sostenuta da collo liscio, lungo e proteso in avanti. Il ciuffo deve presentarsi completo, composto e, dipartendosi da un punto centrale, deve coprire la testa lasciando scoperti la radice del becco e gli occhi. Le sopracciglia non sono ammesse. Sulla taglia andrebbe forse avviato un discorso di revisione; infatti, una lunghezza leggermente maggiore, anche solo di mezzo centimetro, consentirebbe al Benacus di assumere un maggior volume corporeo soprattutto in corrispondenza delle spalle, che appaiono spesso molto strette. Inoltre, e non sarebbe poco, lo differenzierebbe ancor più decisamente dal Gibber Italicus. Ma questo potrebbe essere oggetto di dibattito con la CTN eventualmente in una assemblea degli allevatori e, comunque, a valle del riconoscimento internazionale. Come ho cercato di evidenziare si tratta di una magnifica razza, fra l’altro anche molto resistente e rustica, per cui mi auguro che gli allevatori di arricciati, molto attenti alle novità, valorizzino e diffondano questa nuova eccellenza dell’ornitologia italiana.

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CANARINI DI COLORE

Le caratteristiche del Nero opale per esprimere al meglio lo standard Possibile evidenziarle mediante alcune fotografie? testo, foto e allevamento LEONARDO SOLEO

S

pesso mi è stato chiesto quale caratteristiche deve avere un Nero opale mosaico per avvicinarsi il più possibile allo standard, e che consigli poter dare. Spero con questo articolo di dare un contributo a tutte quelle persone che si stanno avvicinando solo ora al nostro hobby, anche grazie a “Italia Ornitologica”, la più importante rivista nel settore, che a me è stata molto di aiuto quando mi sono avvicinato per la prima volta al mondo ornitologico e che ancora oggi leggo molto volentieri (non si smette mai di imparare). Iniziamo nel

dire che essendo di base un Nero, molte delle caratteristiche che ora andrò ad elencare in questa prima parte si possono applicare in tutti i neri a prescindere che sia un opale oppure no, ad eccezione di alcuni che si differenziano solo nell’ossidazione delle parti cornee. Con l’aiuto delle foto iniziamo a descrivere i particolari evidenziati nei cerchi. Come già accennato prima parlando di mosaico, sono rilevanti le zone di elezione quali maschera (foto1), è molto importante che la maschera facciale abbia un bordo netto e chiuda dietro l’oc-

chio a forma triangolare senza prolungamento ciliare, un buon sottogola, fronte alta e senza spaccatura, lipocromo brillante privo di brinature; fondamentale lo stacco tra la maschera del sottogola e la soffusione lipocromica del petto (foto 2) quando si parla di maschi, nel caso delle femmine linea femminile si deve notare un leggero accenno di lipocromo ciliare (foto 3). Le spalline (foto 4) devono mantenere un corretto allineamento delle grandi copritrici secondarie e copritrici primarie superiori, problematica molto fre-

Foto 1 - Maschera facciale

Foto 2 - Stacco tra maschera facciale e soffusione lipocromica del petto

Foto 3 - Accenno di lipocromo ciliare

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Foto 5 -Codione

quente in questa mutazione, codione (foto 5). Fondamentale che la livrea di un Nero debba sempre presentare su tutto il dorso (foto 6), testa e senza interruzione sul collo (foto 7), un disegno continuo con striature lunghe, larghe e nette che si vanno ad assottigliare sulla testa; le striature devono essere ben visibili anche sui fianchi (foto 8). Disegno sulle guance (foto 9) e i mustacchi, che in molti uccelli si presentano come dei veri baffi, mentre nei canarini sono delle marcature più scure alle due estremità del becco (foto 10). L’ossidazione delle parti cornee - becco, zampe e unghie (foto 11), devono avere un surplus di melanina per apparire più nero possibile. E per ultimo, cosa che aiuta a raggruppare e apprezzare il tutto, una buona forma e taglia non guastano mai, anche se spesso vengono sottovalutate (foto 12). Bisogna però fare sempre molta attenzione al piumaggio, che deve rimanere ben aderente sui fianchi. Parliamo ora dell’accoppiamento, nota dolente. Io sono sempre stato un promotore dell’accoppiamento in purezza anche se la maggioranza non la pensa così. Senza contraddire nessuno, io penso che si riesca ad ottenere un buon risultato anche con questo tipo di accoppiamento, l’importante è fare una selezione programmata. Mi spiego meglio; sapendo che si dovrà lavorare in purezza, l’errore che non andrebbe fatto quando si selezionano le coppie è quello di non pensare solamente ad una prole espositiva, in quanto si tenderà

inevitabilmente a selezionare di volta in volta soggetti sempre più carichi di melanina, perdendo quel range di tolleranza, chiaro-scuro, indispensabile per l’accoppiamento in purezza. Quindi è bene programmare coppie con lo scopo di ottenere anche soggetti da lavoro con diluizione melanica del piumaggio più accentuata, che si avvicina di molto al tipo Agata opale, ma comunque con una buona ossidazione cornea (foto 13). Questi soggetti accoppiati con il giusto partner ci aiuteranno a mantenere la giusta tonalità e rifrazione desiderata, senza andare per forza verso il tipo Mogano. Ora diventa un po’ più complicato: mentre a tutto quello che ho descritto sopra è possibile dare una descrizione e valutazione guardando una semplice foto, spiegare ed esprimere invece un giudizio sulla qualità dell’opalescenza mediante una foto è molto più complicato, questo perché sono molteplici le varianti che possono influenzare tale espressione: tipo di luce, naturale o artificiale, angolo di incidenza della stessa, ecc. Come già descritto più dettagliatamente su un altro articolo presente sulla rivista I.O. n°11/2021, il rischio di dare un giudizio non veritiero è molto alto. Quello che possiamo dire è che sicuramente la migliore espressione si ha in quei soggetti con tonalità di Nero non troppo marcati, dove la quantità di melanina è sufficentemente ridotta, assorbendo così solo in parte il passaggio della luce e restituendo quella perce-

Foto 6 - Striature dorsali

Foto 7 - Continuità striature dorso, collo, testa

Foto 8 -Striature dei fianchi

Foto 4 - Spallina

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zione del colore azzurro tipico dell’opale. Per far capire e apprezzare al meglio questa mutazione, il modo migliore resta sempre quello pratico, cioè di fare un confronto dal vivo con due soggetti, metterli separatamente in due gabbie espositive, con luce solare non diretta, uno con tonalità di grigio corretta e un altro con tonalità di grigio fuori standard. Le prime volte è indispensabile la presenza di un allevatore che ha buona conoscenza di questa mutazione, per indirizzare al meglio chi si sta approcciando solo adesso a questa affascinante mutazione. È bene che i canarini vengano lasciati nelle gabbiette qualche minuto in modo tale che si ricompongano per poter apprezzare al meglio le varie voci sopra elencate, in

particolar modo le striature. Si consiglia poi di prendere in mano le gabbie con i soggetti e farle roteare per far sì che vengano colpiti dalla luce con angolazioni diverse; in tale modo il soggetto di buona qualità mostrerà un repentino cambio di tonalità dall’azzurro al viola, mentre nel soggetto con tonalità fuori standard questo effetto si azzererà quasi del tutto. Da far notare anche la differenza di intensità di grigio, in particolare delle timoniere e remiganti più chiare nella pagina superiore della penna e più scure nella pagina inferiore; quando queste due parti si eguagliano vuole dire che ci stiamo allontanando dall’opale. Purtroppo, a mio avviso l’opale, qualunque sia il tipo, è la mutazione più penalizzata nella sua rappresentazione fotografica, per cui è più difficile apprezzarne la qualità ed esprimere un giudizio mediante una foto. Quando ci viene chiesto un giudizio di un soggetto tramite foto consiglio di non trarre conclusioni certe. È anche vero però che chi ha una buona conoscenza e si diletta un po’ a fotografare soggetti opale, avrà sicuramente un occhio più allenato e clinico per carpire particolari che ad altri possono sfuggire. La foto 14, per quanto ne possa esprimere il meglio, ci aiuta ad avere un’idea un po’ più chiara: mette a confronto un soggetto a sinistra di buona qualità, dove si percepisce con molta chiarezza la tonalità azzurro violacea, con un soggetto a destra che ha perso quasi del tutto l’opalescenza.

Foto 12 - Forma e taglia

Foto 13 - Soggetto con diluzione melanica eccessiva nella livrea

Foto 9 - Guance

Foto 10 - Mustacchi

Foto 11 - Ossidazioni delle parti cornee

Foto 14 - Soggetti a confronto - a sx soggetto con buona opalescenza, a dx soggetto con scarsa opalescenza

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Commento della C.T.N. Colore

I

l contenuto dell’articolo di Leonardo Soleo sul Nero opale risulta decisamente apprezzabile e condivisibile sotto il profilo della descrizione delle caratteristiche che corrispondono a quelle individuate nello standard vigente pur riscontrando margini di soggettività laddove si parla della percezione di una tonalità violacea. Ancor più apprezzabile risulta l’esposizione chiara ed esaustiva delle tecniche selettive dallo stesso adottate. Siamo convinti che la divulgazione fondata sull’esperienza diretta costituisca un prezioso punto di riferimento per i neofiti e stimoli l’interesse verso l’ornitofilia. L’importanza dell’argomento (peraltro precedentemente trattato dallo stesso autore e da Giuseppe Passafiume) ci impone alcune considerazioni. Soleo fonda la sua selezione sull’accoppiamento in purezza senza ricorrere all’utilizzo di portatori. Altri allevatori, sia di Nero opale che di Bruno opale, riferiscono la stessa modalità di selezione pur registrando la presenza di un gruppo di sostenitori dell’importanza dell’accoppiamento puro x portatore. Premesso che a noi tecnici, come principio generale, interessa conoscere le caratteristiche fenotipiche del tipo base che genera quel determinato risultato nel tipo aggiunto, in questo caso abbiamo a che fare con una selezione basata sugli accoppiamenti compensativi, tecnica indubbiamente valida e che richiede perizia ed esperienza. Nel caso in cui l’allevatore prediliga l’accoppiamento puro x portatore occorre tener presente che non è semplice individuare il fenotipo del Nero base da utilizzare per generare il Nero opale conforme allo standard. A tal riguardo è utile riportare in estrema sintesi la lunga esperienza del nostro presidente che si è cimentato nella selezione di questo canarino sin da giovanissimo sul finire degli anni ‘70. A quei tempi il tipo base era il nero bruno che presentava la massima espressione della melanina bruna dell’interstria e dell’eumelanina nera del disegno. Ebbene, quel tipo base generava Nero opale con un’espressione dell’azzurro incredibile. Purtroppo, in misura proporzionale all’espressione della melanizzazione delle parti cornee, aumentavano i difetti di piumaggio che, partendo da semplici colpi di vento ai fianchi nei soggetti meno ossidati, arrivavano a sgradevoli arricciature più evidenti su petto e dorso insieme alla deformazione di timoniere e remiganti. A un certo punto abbiamo “cancellato” il Nero Bruno e, per farla breve, utilizzando i nuovi Neri che presentavano sia una conformazione tipica del disegno eumelaninico, sia il “difetto” di una leggera “fasciatura” di melanina bruna, sono stati generati i primi Neri opale tipici e con difetti di piumaggio meno importanti o addirittura assenti. Non vogliamo azzardare ipotesi né aggiungere teorie ad altre teorie: solo un esame delle penne potrà chiarire definitivamente il ruolo della melanina bruna (soprattutto dell’eumelanina bruna) nella manifestazione dell’azzurro e quello dell’eumelanina nera nell’alterazione della struttura della penna. Oggi le cose sono molto più complicate: i fattori di incremento delle melanine non codificati hanno generato una

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vasta, quanto complicata, gamma di fenotipi che si ripercuotono sui tipi aggiunti. Emblematica è per noi la testimonianza riportataci da un allevatore che, nel momento in cui ha riscontrato problemi di allevamento legati alla stretta consanguineità, ha pensato bene di produrre dei portatori introducendo un Nero di buona tipicità. Risultato: soggetti con chiara manifestazione di caratteristiche del Mogano! Ripetiamo un concetto, valido in generale, ma particolarmente importante per la selezione del Nero opale: occorre prestare la massima attenzione all’individuazione delle caratteristiche dei portatori! Per quanto concerne la questione della documentazione fotografica, ebbene sì: i canarini Opale sono maledettamente complicati da fotografare e spesso il risultato è un’immagine poco o per niente fedele. Ci sentiamo di dare qualche suggerimento: - utilizzare fotocamera reflex con ottica di buona qualità - evitare sfondi azzurri - prediligere la luce naturale diffusa - in caso di illuminazione led, utilizzare quelli con temperatura colore intorno ai 5500 Kelvin Ricordiamo, però, che la foto resta unicamente un ausilio, sicuramente importante e prezioso, ma non potrà mai sostituire l’osservazione diretta di un canarino. Concludiamo con un riferimento alle differenze tra lo standard italiano e quello OMJ. Riportiamo in tabella il testo originale in lingua francese e la traduzione in Italiano:

Introduzione

La mutation Opale est un facteur (…) qui, avec l’effet optique, donne un aspect gris-bleuté à l’oiseau chez les noirs et les agates

La mutazione Opale è un fattore (…) che, con l’effetto ottico, da’ un aspetto grigio-bluastro all’uccello nei neri e negli agata (…)

Caratteristiche dell’eccellente

Manifestation maximale de l’eumélanine noire qui, avec la modification de la structure de la plume, assume une tonalité gris foncé bleuté. (…)

Massima manifestazione dell’eumelanina nera che, con la modificazione della struttura della penna, assume una tonalità grigio scuro ossidata bluastra (…)

Avvertiamo subito che circola una vecchia traduzione che parla di “striature grigio nere su un fondo azzurrino” e che non corrisponde al testo vigente. Se coordiniamo la descrizione introduttiva e le caratteristiche del tipo eccellente, nonostante la discordanza che potremmo percepire tra aspetto grigio bluastro e melanina grigio scura ossidata, è evidente che quel “grigio bluastro” dell’aspetto non è affatto distante dalla descrizione da noi preferita e contenuta nello standard italiano “massima manifestazione dell’eumelanina nera che, anche se ridotta e modificata nella struttura, assume una tonalità grigio azzurrino.” Peraltro, dopo il riconoscimento ufficiale del Mogano, è più che mai opportuno operare una netta distinzione delle caratteristiche dell’uno e dell’altro fenotipo anche sotto il profilo descrittivo. La Commissione Tecnica Nazionale Canarini di Colore


ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

Della fecondità degli Ibridi testo di SIMONE OLGIATI, FOTO S. OLGIATI e N. SOSA AGUIRRE

L’

arte dell’Ibridologia in ornicoltura non interessa esclusivamente la creazione di piccoli gioielli alati da presentare alle esposizioni, ma anche lo studio della sistematica e della filogenesi degli uccelli che comunemente si trovano nei nostri allevamenti. Al fine di analizzare le relazioni genetiche e genomiche tra le diverse specie allevate, uno dei modi più usati è quello di accoppiare gli Ibridi di prima generazione sia tra loro che con entrambe le specie parentali per scoprire se siano fecondi o meno. Questi Ibridi vengono chiamati con la sigla F1, ovvero prima generazione filiale (first filial generation) ed ereditano il 50% del proprio corredo cromosomico dal padre, il restante dalla madre. Teoricamente gli F1 ereditano metà delle proprie caratteristiche da un genitore e metà dall’altro, ma nella realtà non sempre è così. Ciò è dovuto alla differente ereditarietà dei caratteri che vanno a comporre il fenotipo dei parentali e al rapporto di dominanza o recessività che intercorre tra questi. Un esempio abbastanza classico è quello della mascherina del Cardellino, che tende ad essere visibile in tutti gli F1 che produce, qualunque sia l’altro parentale. Osservando gli Ibridi di Diamante di Gould a testa rossa x D. di Kittlitz, si vede come gli F1 di entrambi i sessi prenderanno il colore della testa del padre. Invertendo i parentali si vedrà come i figli maschi avranno il capo come quello materno mentre le sorelle lo avranno blu come quello paterno, indicando

A sinistra F1 di Cappuccino testa nera x Passero del Giappone; a destra R1 in direzione P.d.G. portatore di ino

Teoricamente gli F1 ereditano metà delle proprie caratteristiche da un genitore e metà dall’altro, ma nella realtà non sempre è così

come il carattere “testa blu” sia recessivo legato al sesso rispetto a quello “testa rossa”. Dall’unione di due F1 la prole risultante viene chiamata F2: il genoma è lo stesso dei due genitori, ma ne può cambiare l’espressione. Accoppiando

un Diamante codalunga grigio con un Diamante bavetta, tutti i figli F1 saranno eterozigoti per il fattore grigio. Unendo tra loro gli F1, il 25% dei piccoli F2 sarà di colore ancestrale e non porterà il fattore grigio. Questi saranno quindi omozigoti dominanti, cioè possiedono entrambi gli alleli del gene che codifica per il fenotipo grigio non mutati per il grigio. Il 50% invece avrà sì il fenotipo non mutato, ma è portatore per il grigio, quindi ne sarà eterozigote. Il restante 25% espleterà il fenotipo grigio, quindi sarà omozigote recessivo: possiede entrambi gli alleli del gene che codifica per il fenotipo grigio mutati per il grigio, dando quindi come fenotipo quello grigio. L’accoppiamento di un F1 con una

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R2 rosso bruno di Passero del Giappone dal Cappuccino nero. Da notare il disegno ventrale molto fitto e un colore molto intenso

delle due specie che lo hanno generato produce i cosiddetti R1; anche questo termine è una sigla e sta ad indicare reincrocio di prima generazione. Gli R1 ereditano il proprio patrimonio genetico per metà da un genitore e per metà dall’altro. Dato che l’F1 ha il genoma costituito al 50% da quello di una specie e il restante dall’altro, questo trasmetterà all’R1 un quarto dei geni di una specie e un quarto dell’altra. L’altro genitore dell’R1, invece, trasmetterà il 50% del proprio genoma.

Andando a sommare le quantità di corredi genici che l’R1 eredita dai genitori (F1 e specie pura che ha generato l’F1) si giunge alla conclusione che l’R1 ha il 75% dei geni di una specie ed il 25% dei geni dall’altra specie. Accoppiando un F1 di Diamante codalunga x D. bavetta con un D. codalunga, i piccoli R1 avranno ¾ del proprio genoma del D. codalunga ed il restante ¼ del D. bavetta. Un elemento tipico degli R1 è la loro estrema variabilità, maggiore di quella

Maschio R1 bianco dominante di Lucherino testa nera dal Canarino. Foto e allevamento Nahuel Sosa Aguirre

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presente tra gli F1. È frequente che in una nidiata di R1 i fratelli siano molto diversi l’uno dall’altro; infatti, alcuni saranno molto simili all’F1 e altri invece al genitore puro. Questo fenomeno è sempre dovuto alla ricombinazione casuale dei genomi provenienti dai due genitori, che porta alcuni caratteri ad andare in eterozigosi, altri in omozigosi dominante e altri ancora in omozigosi recessiva. La prole nata da un R1 con la specie pura che l’ha generato viene chiamata R2. Usando lo stesso principio analizzato sopra, si può capire come gli R2 abbiano i 7/8 (87,5%) dei geni di una specie e 1/8 (12,5%) dell’altra. Proseguendo con le generazioni e con gli accoppiamenti utilizzando riproduttori di una sola specie da accoppiare

Un elemento tipico degli R1 è la loro estrema variabilità, maggiore di quella presente tra gli F1. È frequente che in una nidiata di R1 i fratelli siano molto diversi l’uno dall’altro

ai reincroci, si arriva agli R3 (15/16, 93,75% di una specie e 1/16, 6,25% dell’altra) ed infine agli R4 (31/32, 96,875% di una e 1/32, 3,125% dell’altra). Le generazioni ibride successive, dagli R5 in poi, vengono ormai considerate pure dal punto di vista genetico. Ciò non vuol dire che lo siano anche dal punto di vista fenotipico: purtroppo è ancora possibile vedere Negriti della Bolivia con evidenti tracce di Ibridazione col Lucherino testa nera. E se invece di accoppiare un R1 di F1 [(Diamante codalunga x D. bavetta) x D. bavetta] con un D. bavetta lo si accoppiasse con un D. codalunga? Come si chiamerebbe la prole risultante? Arrovellandomi nel cercare una risposta, mi accorsi che effettivamente man-


cava un nome o una sigla per indicare questo prodotto di reincrocio. Ragionando su questa lacuna, elaborai una denominazione che potesse essere adatta a descrivere questa situazione, cioè l’accoppiamento di un R1 non con la specie con cui condivide la maggior parte del genoma, ma con quella con cui ne ha meno in comune: R0,5. Un R0,5 ha i 5/8 del corredo genomico di una specie e i 3/8 dell’altra, secondo lo stesso principio enunciato sopra. Con lo stesso metodo si possono poi nominare gli R1,5, R2,5 e così via, come si può vedere dalla tabella allegata. La pratica del reincrocio per alcuni allevatori è molto interessante e stimolante, mentre per altri è fonte di dubbi e perplessità, perché si paventa il ri-

giorno; nei Fringillidi, in particolare tra gli Spinus lungo i confini tra gli areali delle varie specie, sono presenti diverse forme intermedie. Addirittura si è scoperto un Passeriforme sudamericano che è un Ibrido tra tre specie! Si è inoltre scoperto che pure l’Homo sapiens presenta geni ereditati da altri congeneri estinti come l’Homo neanderthalensis: quindi anche noi siamo, in un certo senso, degli Ibridi. In ornicoltura, da quando sono stati scoperti, gli Ibridi fecondi hanno destato curiosità e interesse. I primi Ibridi nati da maschi di Verdone, Cardellino e di altri Indigeni con le Canarine sono però risultati sterili in entrambi i sessi, così come gli Ibridi realizzati tra gli stessi Indigeni. Questo ha radicato la convinzione che tutti gli Ibridi tra gli

uccelli da gabbia e da voliera non fossero capaci di riprodursi, idea che venne però scardinata nei primi anni del Novecento. Infatti, venne casualmente scoperto che gli F1 maschi di Cardinalino x Canarina erano fecondi, almeno alcuni, in una certa percentuale. La notizia si sparse velocemente tra gli specialisti e da qui partì la corsa al Canarino rosso. Le prime femmine ibride fertili arrivarono solo alla seconda generazione di reincrocio, R2, e grazie ad esse fu possibile fissare nel genoma del Serinus canaria i geni per la codifica del lipocromo rosso. Dopo queste esperienze vennero fatti altri tentativi per scovare altri tipi di F1 fertili ed alcune prove diedero esito positivo. Nel gruppo dei Fringillidi possiamo citare la fecondità in entrambi i

La pratica del reincrocio per alcuni allevatori è molto interessante e stimolante, mentre per altri è fonte di dubbi e perplessità

schio di intaccare irrimediabilmente l’integrità genetica delle specie allevate, soprattutto le più rare. Riguardo quest’ultimo aspetto, non si può negare il fatto che andrebbe preservata il più possibile la purezza genica delle singole specie. Questo per mantenere uno stock di uccelletti integri geneticamente in ambiente captivo che potranno essere utili, in un futuro non troppo lontano, per rimpolpare le popolazioni selvatiche minacciate dagli sconvolgimenti ambientali causate dall’uomo. È però ormai accertato che l’Ibridazione avviene ripetutamente in natura e ogni giorno se ne scoprono di nuovi casi: negli Estrildidi si sono riscontrati casi di Ibridi naturali tra Lonchurae; negli Anatidi gli incroci sono all’ordine del

Femmina R1 satiné di Lucherino testa nera dal Canarino. Foto e allevamento Nahuel Sosa Aguirre

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sessi negli F1 intragenerici di Spinus e Chloris ed alcuni intergenerici come il già citato Cardinalino del Venezuela x Canarina. Negli Estrildidi troviamo F1 intergenerici fertili nei generi Lonchura, Poephila, Euodice, Uraeginthus ed Estrilda. Il Passero del Giappone, ancora di più del Canarino, è un perfetto esempio di come la pratica del reincrocio abbia modellato una specie allevata in cattività. Nel corso dei decenni nei ceppi di P.d.G. sono state inserite alcune sottospecie del Passero striato e numerosi Cappuccini, che hanno conferito la taglia, colori intensi e disegni netti, oggi osservabili nelle Lonchura domestica attuali. In ornicoltura gli Ibridi fertili sono stati proficuamente utilizzati per trasferire le mutazioni da una specie all’altra. Non si è trattato di spostare fisicamente un gene tra due esseri viventi, ma di trascrivere l’informazione che codifica per quella variante tra le due specie. Questo processo di trasmutazione ha reso possibile vedere degli uccellini spettacolari: basti pensare ai Lucherini testa nera diluiti, ai Diamanti bavetta grigi, ai Verdoni di Cina agata o ancora ai Cappuccini testa bianca ino. Altre meraviglie aspettano solo di essere create, come gli Spinus ardesia o i Cappuccini becco grosso rosso bruni. Il processo di trasferimento delle mutazioni da una specie all’altra è lungo,

complesso e difficoltoso. Richiede non solo una dose di fortuna non indifferente, ma anche ottime conoscenze teoriche di genetica, di biologia e di etologia delle specie coinvolte. Per poter essere certi di aver raggiunto l’obiettivo bisogna arrivare almeno alla quarta generazione di reincrocio, il cosiddetto R4, che possiede una “percentuale di sangue” della specie con cui si sta lavorando del 96,875%. Per trasmutare una variante autosomica dominante si può procedere accoppiando di volta in volta i vari reincroci sempre con esemplari di specie pura, senza ricorrere ad unioni con soggetti mutati dell’altra specie. Per esempio, se volessimo trasferire la mutazione jaspe dal Canarino al Verzellino, bisognerebbe partire con qualche coppia di Verzellino x Canarina jaspe, ottenendo così un certo numero di F1 già mutati jaspe. A loro volta questi F1 maschi daranno alcuni R1 jaspe quando accoppiati con delle Verzelline. Procedendo con le generazioni, si arriverà ad un punto dove potremo osservare dei Verzellini puri ma col fattore mutato jaspe. Per le mutazioni recessive, autosomiche e legate al sesso, il discorso è più complesso. A volte è necessario accoppiare i reincroci eterozigoti, sicuri o probabili, con la specie che presenta il fattore mutante. Volendo, per pura ipotesi, trasferire

Ibrido/reincrocio

A sinistra F1 di Donacola petto castano x Passero del Giappone; a destra R1 in direzione P.d.G

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la mutazione agata dal Diamante codarossa all’Astro di Sidney, si accoppiano gli F1 maschi portatori di agata ad una femmina di D. codarossa agata, ottenendo R1 maschi mutati. Unendo questi maschi ad una femmina di Astro di Sidney si ottengono degli R0,5 maschi sicuri portatori di agata e femmine mutate. La generazione successiva, gli R1,5 con l’81,25% dei geni di Astro di Sidney, potrà dare la metà della figliolanza femminile in mutazione agata, plausibilmente fertile. Da questo momento in poi il percorso si renderà più semplice, almeno in via teorica: si sa che la pratica spesso si discosta da ciò che ci si era prefissati e non sempre la fortuna ci accompagna. Però, come ampiamente dimostrato con esempi precedenti, queste imprese non sono impossibili. L’Ibridazione è una tematica delicata, complessa, a tratti controversa; è molto impegnativa in termini di conoscenza teorica e abilità pratiche e richiede spesso una certa dose di fortuna. Spero di aver fornito qualche spunto per nuovi ed intriganti esperimenti. Noi Ibridisti siamo pochi e un poco matti, ma qualche collaboratore in più fa sempre comodo! Non bisogna porre limiti alla propria fantasia, il mondo è ancora pieno di novità tutte da scoprire, di mutazioni da trasferire e rapporti filogenetici tra i nostri amati Uccelli da analizzare.

Percentuale

Frazione in 64esimi

Percentuale rimanente

Frazione in 64esimi rimanente

F1

50

32/64

50

32/64

R0,5

62.5

40/64

37.5

24/64

R0,75

68.75

44/64

31.25

20/64

R1

75

48/64

25

16/64

R1,5

81.25

52/64

18.75

12/64

R1,75

84.375

54/64

15.625

10/64

R2

87.5

56/64

12.5

8/64

R2,5

90.625

58/64

9.375

6/64

R2,75

92.1875

59/64

7.8125

5/64 4/64

R3

93.75

60/64

6.25

R3,5

95.3125

61/64

4.6875

3/64

R3,75

96.09375

61,5/64

3.90625

2,5/64

R4

96.875

62/64

3.125

2/64

R4,5

97.65625

62,5/64

2.34375

1,5/64

R4,75

98.046875

62,75/64

1.953125

1,25/64

R5

98.4375

63/64

1.5625

1/64

Tabella con indicati i valori corrispondenti ai diversi reincroci


Questo mese, il protagonista di Photo Show è: GIANCARLO MARCAZZAN R.N.A 2AEE con la fotografia che ritrae i soggetti “Conuri del sole” Complimenti dalla Redazione!

• Invitiamo tutti gli allevatori a inviare foto di soggetti provenienti dai propri allevamenti, con descrizione della specie, razza e mutazione, all’indirizzo: redazione@foi.it

• All’autore della foto mensilmente prescelta da un comitato interno, verrà offerto in omaggio un libro edito dalla FOI in base alla preferenza e alla disponibilità.

(*) Tutte le foto inviate, anche quelle non pubblicate, rimarranno a disposizione della FOI a titolo gratuito e potranno essere utilizzate, senza alcun limite o vincolo temporale, per pubblicazioni, iniziative e scopi promozionali della Federazione


S pazio Club World Championship Show W.B.O. 2022: un sogno che può diventare realtà!

U

Club di Specializzazione

n Mondiale di specializzazione: una mostra riservata esclusivamente a una specie (seppur nelle sue due varianti, una di colore, l’altra di forma e posizione), con almeno un migliaio di soggetti provenienti da diverse parti del mondo, dal Portogallo agli Emirati, dall’Ungheria all’Egitto, passando per la Slovenia, la Croazia, Francia e Spagna, il Belgio, la Svizzera e altre ancora; con la possibilità di confrontarsi e dialogare con allevatori esperti e delegati di almeno 30 Nazioni; vedendo i propri soggetti valutati da Giudici di comprovate esperienza e capacità, alcuni dei quali provenienti da posti lontani (Sud Africa), talmente lontani da tro-

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varsi addirittura in un altro emisfero (Nuova Zelanda); una mostra breve (tre giorni in tutto tra l’arrivo dei soggetti e la loro ripartenza), svolta in un periodo ideale per i nostri animali; abbinati alla mostra convegni veterinari e tecnici, una lotteria interna con in palio soggetti di pregio, una sezione “scambio” con animali internazionali; il tutto svolto all’interno di un parco termale locato nella suggestiva Toscana, con convenienti convenzioni alberghiere già fissate e offerte a tutti i partecipanti. A noi, come allevatori e ancor più in qualità di allevatori italiani, sembra un sogno! Un Mondiale di specializzazione: una cosa del genere, almeno in Italia, può offrirla soltanto il Club Amici dell’Ondulato! Ma quello che per un allevatore potrebbe essere una favola, cos’è per un organizzatore? In questo caso le cose cambiano e quello che per qualcuno può essere un sogno, rischia di trasformarsi in un incubo! Vanno reperiti i permessi sanitari per la tenuta della manifestazione e per la movimentazione di animali tra Nazioni; va elaborato un piano sicurezza; vanno trasferiti sul posto personale e attrezzature; vanno adeguatamente alloggiati gli ospiti, sia italiani che stranieri; va scelto un menù consono alla manifestazione, che incontri i gusti di genti diverse, che esalti le eccellenze della cucina locale e che tenga conto delle svariate esigenze (vegetariani, vegani, kosher, musulmani); vanno allertate e coinvolte le autorità competenti (dalla Prefettura al Comune, passando per i Carabinieri Forestali e la Polizia Municipale) e altro, tanto altro ancora… Sinceramente però non è questo a preoccupare: noi italiani sappiamo bene come organizzare eventi del genere, l’ospitalità e l’ac-


S pazio Club leghi delle altre Nazioni, potranno “crescere” a livello personale e contribuire alla crescita dei colleghi stranieri. Alle ditte e aziende di settore chiediamo di voler usufruire della vetrina che mettiamo loro a disposizione, legando i propri prodotti e il proprio marchio a un evento mondiale e raro. Infine alla nostra Federazione chiediamo di aiutarci ancor più di quanto già non stia facendo, per saldare i già forti legami internazionali e stabilirne di nuovi; per coadiuvarci nel mostrare la nostra perizia, le nostre capacità, la nostra immensa passione al mondo; per far sì che gli allevatori italiani di ondulati possano affermare, con ancora maggiore orgoglio: “sono un socio FOI!” In sintesi a tutti chiediamo di credere in un sogno e di aiutarci a realizzare una favola! Il Direttivo del Club Amici dell’Ondulato

Club di specializzazione

coglienza poi sono da noi tradizioni secolari, se non millenarie! Quello che preoccupa sono i costi, alti, altissimi, specie in un momento storico come questo in cui tutto aumenta, con una pandemia che non vuole scomparire e una guerra sulla soglia di casa che ci tiene tutti con il fiato sospeso. Costi altissimi (più di 10000, meno di 20000 euro) specie per un Club che non può certo contare sulle finanze di un’Associazione. E allora perché compiere questo salto nel vuoto, perché fare questa follia? Perché laddove alcuni ci vedono una pazzia, noi ci vediamo un’opportunità! Un’opportunità così rara che può, forse, capitare ogni 8/10 anni (l’ultimo Mondiale W.B.O. in Italia si è svolto nel 2013). L’opportunità di condividere, confrontarsi, gareggiare, dialogare, festeggiare con persone diverse e lontane, ma che con noi hanno in comune una grande passione; l’opportunità di emergere e, perché no, fare anche importanti passi avanti in conoscenza e selezione, ammirando e approvvigionandosi di soggetti altrimenti difficilmente visionabili e ancor più difficilmente reperibili. Una grande e rara opportunità, in primis per gli allevatori italiani, ma anche per i nostri Giudici e ancora una vetrina per il Club, per la Federazione e anche per le ditte di settore. A tutti, ma proprio tutti, chiediamo di comprendere quanto rara e grande sia una tale opportunità, di credere nel sogno, di aiutarci a trasformare la favola in realtà! Agli allevatori italiani chiediamo di partecipare in massa alla manifestazione, non limitandosi a iscrivere i soggetti più promettenti, ma garantendo numeri sostanziosi, così che la mostra possa risultare tra le più riuscite di sempre anche per la quantità dei soggetti esposti. Detto francamente: un buon numero di animali in gara ci garantirebbe anche di limitare gli alti costi organizzativi. Lo stesso chiediamo ai Giudici e agli allievi Giudici della nostra specializzazione; a loro che, confrontandosi a Chianciano con i col-

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ONDULATI ED ALTRI PSITTACIFORMI

La scoperta del Pionites melanocephalus Da Linneo a Brisson testo e immagini di FRANCESCO SAVERIO DALBA

Seconda parte

N

el precedente episodio (I.O. 2/2021) si era giunti alla prima descrizione di quel Pionites melanocephalus che Edwards aveva incontrato in un bar di Londra, all’insegna White-Hart Yard, denominandolo White Breasted Parrot (pappagallo dal petto bianco) e producendone un’illustrazione notevolmente accurata. Correva allora l’epoca della cosiddetta Piccola Era Glaciale, quando il Tamigi talora congelava interamente, cosicché questo vessillifero dei Pionites in Europa probabilmente non avrà avuto vita facile, per quanto il venditore potesse aver nutrito il massimo interesse a mantenerlo in buona salute. La sua vicenda ricorda il pappagallo brasiliano della canzone di Sergio Endrigo, risalente ormai a mezzo secolo fa. La dieta del Pionites non era nota e spesso ai pappagalli venivano somministrati alimenti impropri. Ad esempio il Levaillant, nel suo secondo tomo, pp. 49 e ss., dell’Histoire naturelle des Perroquets, che data al 1805, descrive una particolare dieta fornita alla c.d. terza varietà di cenerino: il cenerino a coda gialla. La diluizione del colore delle timoniere era dovuta alla senescenza, più che ad una mutazione, per quanto molti anni fa il mio

La "Terza varietà di cenerino" a coda gialla di Levaillant

amico Franco Gatti mi raccontò di avere visto dei cenerini (giovani) che avevano le ali molto più bianche del normale. A differenza delle vernici sintetiche, le quali scoloriscono con l’irradiazione dei raggi solari (un chi-

mico mi spiegò che colui che dovesse inventare una vernice rossa che non si sbiadisse ne trarrebbe ampi guadagni) negli uccelli il colore si rinnova naturalmente ad ogni muta. Così Levaillant: “Questa terza [oltre al cene-

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Bruegel il Vecchio, Due scimmie incatenate, 1562

rino normale, Levaillant antepone alla terza varietà il cenerino nero ossia il Timneh, il cenerino c.d. tapirè ossia quello screziato di rosso] ed assai interessante varietà del Giaco o pappagallo cenerino ci presenta l’uccello nella sua estrema vecchiezza, nell’età della sua caducità. È la rappresentazione di un pappagallo che ha vissuto trentadue anni ad Amsterdam presso un mercante (il signor Meninck-Huysen), mercante che lo aveva ricevuto in eredità da uno dei suoi zii; che a sua volta lo aveva tenuto nel suo possesso per quarantun anni. Cosicché questo animale ha vissuto settantatré anni in stato di domesticità: senza dubbio ne aveva già due o tre quando fu trasportato dal suo paese natale in Europa; esattamente non ho potuto saperlo. Allorché io vidi questo parrocchetto, esso era ancora vivo, se può chiamarsi vita lo stato di languore e tristezza nel quale mi è apparso che si trovasse. [Il passo del Levaillant rievoca l’espressione dei due Cercocebus torquatus del noto olio di Bruegel il Vecchio, Due scimmie incatenate. Merita qui

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notare che almeno le scimmie (per quanto inumanamente incatenate) erano tenute in coppia. Ciò dovrebbe sempre avvenire per i pappagalli, affinché abbiano delle interazioni con i propri simili. La pratica dell’ “allevamento allo stecco”, che dovrebbe costituire l’extrema ratio per salvare pulli defedati o per salvaguardare specie assai rare, viene invece praticata spesso senza criterio, creando in tal modo animali per così dire confusi. Se un pappagallo allevato allo stecco costa il doppio di uno allevato dai genitori, forse che il sovrapprezzo compensa in qualche modo il disadattamento che può derivare all’animale? Alcuni Stati europei hanno già da molto tempo emanato atti legislativi in materia. I Paesi Bassi hanno rigidamente regolamentato l’allevamento a mano, mentre la Confederazione elvetica, con la Tierschutzverordnung del 2018, oltre a vietare i trespoli, consente la detenzione dei pappagalli solo se tenuti in coppia. L’art. 13, all. 2, tab. 2, requisiti particolari, n. 19) afferma che i pappagalli sono uccelli sociali ed impon-

gono che debbano essere tenuti almeno in coppia. L’art. 3, primo comma e l’art. 25 impone che l’allevamento miri a selezionare pappagalli sani e che gli uccelli giovani debbano essere allevati in modo che si abituino alla convivenza con i loro conspecifici. Per non divertire troppo dall’oggetto della trattazione, la questione della legislazione europea sarà affrontata in separata sede]. Non si posava più sul posatoio ormai da due anni, periodo nel quale tutte le sue facoltà, che per quattro o cinque anni erano insensibilmente andate declinando, lo avevano ormai abbandonato. Aveva perso le sue forze, la memoria, la vista e da questo momento l’esistenza non fu per lui che uno stato di letargia continua. Negli ultimi tempi non mangiava che del biscotto imbevuto nel vino di Madeira”. L’autore dà poi conto delle notevoli capacità intellettive del pappagallo, che aveva nome olandese Kaarle, della sua capacità di portare il berretto da notte o le pantofole a richiesta o di chiamare in stanza la domestica quando abbisognava la sua presenza. Conservò la capacità di apprendere parole nuove sino all’età di sessant’anni (in lingua olandese che, secondo l’autore, si presta bene ad essere imparata dai pappagalli), epoca in cui iniziò il declino. “Il pappagallo perde dunque la memoria e la facoltà di apprendere a sessant’anni. Non credo che le medesime facoltà si conservino più a lungo nell’uomo” (p. 51). Per finire Levaillant si sofferma sul colore delle piume della coda: il pappagallo compiva regolarmente la muta sino al suo sessantacinquesimo anno, poco dopo perdette questa facoltà. Le penne che cadevano non venivano più rimpiazzate da quelle nuove. Quelle della coda talora si rinnovavano, ma una alla volta, in periodi irregolari; quelle neoformate, anziché essere rosse, erano di colore giallo. Dopo tre anni la coda divenne così, poco alla volta, interamente gialla, per poi non mutare più. Una volta morto venne fatto impagliare dalla famiglia, ma il rivederlo esanime accentuava il dolore, cosicché fu con-


segnato a Levaillant, sotto l’espressa condizione che lo conservasse e ne eternasse la memoria. L’autore tenne fede alla promessa e, ripercorsi gli eventi della sua vita, ne dipinse una illustrazione a corredo della sua opera. Tornando all’alimentazione storica dei pappagalli, anche il bel volume A Century of Parrots di R. Low si diffonde sulle diete fornite in passato. Molte specie, come noto, non si trovano in allevamento proprio per questioni legate alla corretta dieta: si pensi alle Micropsitta, alle Pyrilia, al Bolbopsittacus od all’Agapornis swindernianus. Non è molto che è stata messa a punto una dieta equilibrata per i Lori: nei libri degli anni ‘90 si trovano riportate elaborate ricette domestiche. Dopo Edwards il melanocephalus ricompare tra i 37 pappagalli descritti da Linneo, nella fondamentale X edizione del Systema Naturae del 1758, qui occupa il 33° posto. A quell’epoca tutti i pappagalli erano ascritti al genere Psittacus, oggi riservato unicamente alle due specie di cenerino: Psittacus erithacus e Psittacus timneh. La sistematica dei pappagalli è di recente andata soggetta a molteplici modificazioni: alcuni Generi un tempo monolitici, come l’Aratinga si sono frammentati in Eupsittula, Thectocercus e Psittacara. Ad essere maggiormente esploso è stato il genere Charmosyna, che oggi suddiviso tra Charminetta, Hypocharmosyna, Charmosynopsis e Synorachma, quest’ultimo il genere più recente tra i pappagalli, introdotto nel 2020 da Joseph, Merwin e Smith su Emu 120, n. 3, p. 210. Synorachma è un genere monotipico, comprendendo solo la Synorachma multistriata. Questo è un uccello assai particolare: ha la mandibola superiore bicolore, blu metallico ed arancione (la cromia ricorda alcune gomme per cancellare) estremamente lunga rispetto a quella inferiore, similmente al Nestor productus. Porta poi delle piume sul petto somiglianti a delle fiammelle o striature gialle, particolarmente simili a quelle che si vedono in Chalcopsitta scintillata, alle guance di Charmosyna

Linneo, Systema Naturae, X edizione, p. 102

Linneo, Systema Naturae, X edizione, p. 101

placentis ed alle piume retrooculari di Psittaculirostris edwardsii, alle strisce gialle caratteristiche di Neopsittacus. Essendo una colorazione tipica di uccelli appartenenti a generi differenti, ma tutti dislocati sull’Isola di Papua Nuova Guinea è logico presumere che il tratto risponda a ragioni adattative. Quando i pappagalli appartenevano ad un unico, onnicomprensivo genere, in una nota a piè di pagina 101 Linneo ne delinea i tratti con esaustiva brevitas, in latino: “I pappagalli sono monogami e si spostano in coppia, sono garruli e loquaci, docili, longevi, si nutrono primariamente di noci,

ghiande, semi di zucca, cardamomo, si arrampicano col becco, se irati sollevano le piume, sono riflessivi”. Del melanocephalus scrive, sempre latinamente: “Pappagallo dalla coda corta, verde, al di sotto è giallo, con un cappuccio nero, dal petto bianco. Mus. Ad. Fr. 2. p.” e poi soggiunge: “Pappagallo scarlatto [coccineus], dal ventre bianco”. Edw. av. 169 t. 169 “abita in Messico”. Tra i colori del melanocephalus il rosso, non fosse per l’iride, è in realtà assente. Linneo, con ogni probabilità, si è confuso tra le tavole dell’Edwards, subito dopo il nostro Pionites, infatti, si trova illustrato il Lori dal

Linneo Museum Adolphi Friderici, p. 15

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Statius Muller, Vollstaendiges Natursystem, suppl., p. 80

cappuccio nero (Lorius lory), nel quale il colore rosso prevale e, immediatamente dopo (p. 171), vi è un’altra immagine che effigia un Lorius chlorocercus con il petto giallo molto chiaro. A questa svista va dunque attribuito il coccineus.

Planche enluminee del Daubenton, n. 455

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Linneo trae la propria (corretta) descrizione - limitata agli aspetti cromatici dell’animale – da un esemplare impagliato collocato al secondo piano del Museum Adolphi Frederici, la raccolta del re di Svezia, che nel giro di un decennio dall’arrivo

a Londra del primo pappagallo di ‘Carraccos’ si era arricchita di un suo proprio specimen, questa volta impagliato. Per certo il melanocephalus non vive in Messico. Forse l’esemplare svedese era partito da un porto messicano o forse Linneo aveva semplicemente ricevuto un’informazione errata. Lo svedese rettifica entrambe le imprecisioni, quella sul colore e quella sul Messico, della decima edizione del suo Systema naturae nell’opera bilingue (in svedese ed in latino) di otto anni successiva: Museum S:ae R:ae M:tis Adolphi Friderici regis Svecorum, Gothorum, Vandalorumque: In quo animalia rariora, imprimis & exotica: aves, amphibia, pisces describuntur, tomi secundi prodromus, chiamandolo però melanocephalos. Questa la descrizione: “Pappagallo dalla coda corta, verde, giallo al di sotto, dal cappuccio nero, col petto bianco, Nat. 10, p. 102, n. 33, Edw ornith 169, t. 169. Abita in Suriname. È grande quanto una tortora, ha la testa nera, il collo giallo ed i femori gialli, il petto bianco, tendente al giallo, verdi sono il dorso, le ali, la coda e la macchia retrooculare, le remiganti nerocerulescenti, col margine esterno verde, le timoniere verdi e corte”. La tortora viene molto spesso evocata quale unità di misura per comprendere le dimensioni dei pappagalli, così nell’elenco di quelli presso il museo di Adolfo Federico di Svezia lo Psittacus nobilis è grande come una tortora, così pure lo Psittacus alexandri (lo Psittacus garrulus ha invece la dimensione di una colomba). Questo costume ricorda quello delle esplorazioni del capitano Cook, dove molti animali vengono paragonati alla grandezza di un greyhound, che è ad esempio il metro per descrivere la dimensione del canguro. All’epoca era ben più facile che le biblioteche pubbliche o private avessero una copia della X edizione del Systema naturae che non del volumetto sul regio museo svedese, cosicché per molti anni la patria del melanocephalus restò tralatiziamente il Messico, anziché il Suriname.


Nel 1760 torna a comparire nel tomo dell’opera di Buffon, lo Psittacus peII, p. 122 dell’Ornithologia Sive Synopsis ruvianus viene indicato correttamente Methodica: Sistens Avium Divisionem in come nativo di Tahiti, mentre nell’ilOrdines, Sectiones, Genera, Species, Iplustrazione è sovrastato da un Forpus sarumque Varietates, di M-J. Brisson passerinus (animale sudamericano), (1723-1806). Al numero 42 si trova lo qui indicato come Petite perruche du Psittacus Mexicanus pectore albo, in cap de Bonne-Esperance. La questione francese Le Perroquet a poitrine blanmerita maggiore approfondimento in che du Mexique. Il passo deve molto un prossimo articolo. Altro pappagallo all’Edwards (a cominciare dal richiamo di Tahiti, un Cyanoramphus ormai alle dimensioni di una tortora), ma parestinto, viene denominato da Latham rebbe che il Brisson abbia a sua volta come Cyanoramphus novaezelandiae, avuto la facoltà di esaminare un esemcon la specificazione che Habitat in plare in vita, come sembrerebbe ponova Zealandia. tersi desumere dalle numerose misuPiù curiosa è la storia del kookaburra, razioni delle principali parti del corpo: Dacelo novaeguineae, che si trova nar“Becco 9 pollici e ½ linea, coda 2 pollici rata nella piacevolissima monografia e ½ ecc…”, sia dall’annotazione “EdKookaburra king of the Bush di Sarah wards avec une figure exacte” ma soLegge. Dacelo è l’anagramma di Alprattutto dall’indicazione corretta del cedo, mentre si direbbe che novaeguicolore delle pupille e delle palpebre, neae stia ad indicarne la provenienza. che, notoriamente, non si conserva suPierre Sonnerat (il cui nome evoca sugli animali impagliati o, peggio, in bito il Gallus sonneratii) diede alle pelle. L’areale indicato viene fatto corstampe, nel 1776, il libro Voyage à la rispondere al Messico ed alla Caracanouvelle Guinée, con un’illustrazione rum regione (ancora oggi la diocesi di Caracas è detta Archidiœcesis Caracarum; mentre è una mera assonanza il nome comune del rapace Caracara, mutuato da un’onomatopea del verso della lingua Tupí) e la seconda indicazione, in effetti, è corretta seppure parziale. Nel Settecento non è raro imbattersi in indicazioni geografiche inesatte. Tra i pappagalli viene subito alla mente Vini peruviana, St. Muller, nel Vollständiges Natursystem, Suppl., p. 80 attribuisce il nome di Psittacus peruvianus, in tedesco Langschwanzsittich, ossia pappagallo dalla coda lunga, quantunque esso abitasse all’epoca a Tahiti ed in altre Isole dei mari del Sud. Per giunta Muller cita Buffon, che lo aveva chiamato Petite Perruche de l’Isle de Taïti (nel testo, invece, viene descritto col nome locale di arimanon ossia uccello della palma da cocco). Per un curioso sommarsi di imprecisioni, alla Sonnerat, Voyage a la Nouvelle Guinée, Parigi, 1776. Planche enluminee n. 455 Illustrazione del tipo di Dacelo novaeguineae

del Daubenton (il cui nome evoca altrettanto immediatamente la Daubentonia, ossia l’aye-aye) con la legenda: ‘Grand martin-pêcheur de la nouvelleGuinée’. Sonnerat riferisce di avere osservato il kookaburra nella foresta dell’isola della Nuova Guinea. Fatto sta che il Dacelo novaeguineae vive solo in Australia e che la nave di Sonnerat non aveva navigato più ad est delle Molucche, Sarah Legge chiosa: “La storia ha dimostrato che l’ambizione di Sonnerat talora lo portava ad essere fantasioso riguardo alla realtà e l’introduzione del Kookaburra sghignazzante nel mondo scientifico sembra costituire proprio il caso. In realtà Sonnerat aveva probabilmente ricevuto la pelle da Joseph Banks, quando la nave di Sonnerat incontrò l’Endeavour di Cook al Capo di Buona speranza, nel 1770, al suo ritorno dal viaggio agli Antipodi. Allo scandalo del kookaburra, come l’altro simile, consistito nel sottrarre alcune pelli di pinguino dal collega Commerson e farle passare per uccelli della Nuova Guinea. Le autorità soprassedettero allo scandalo del kookaburra, come ad un altro, simile, consistito nel sottrarre alcune pelli di pinguino al collega Commerson e farle passare per uccelli della Nuova Guinea. Ciò perché il Francesi, incluso Sonnerat, aveva finalmente rotto il monopolio delle specie degli olandesi, contrabbandando alcune preziose piante dalle isole delle spezie”. Così in meno di due decenni sono registrati in Europa tre esemplari di Psittacus melanoleucus, uno dei quali sicuramente giuntovi vivo e vivente (Edwards), un altro verosimilmente visto in vita (da Brisson) ed un terzo impagliato (l’olotipo svedese). Ma ben presto sarebbero pervenute sul Vecchio continente delle curiosissime notizie relative ai suoi costumi e sarebbe stato chiamato Maipouri, ossia pappagallo-tapiro. Di questo nel prossimo episodio.

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P agina aperta Gene Himalaya e canarino perla

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Argomenti a tema

l gene indicato con la lettera “C” è quello che mutando produce l’albinismo (nel qual caso si indica con una “c” minuscolo ed altri alleli che si indicano con “c” minuscolo e varie potenze). Altre mutazioni dello stesso gene sono note e danno caratteri diversi, come l’Himalaya che di conseguenza è allelico all’albinismo. Questo aspetto è ampiamente discusso sull’articolo: “Affermazioni, dubbi, domande” apparso su I. O. n°4 del 2020. Sintetizzo: la mutazione Himalaya è caratterizzata da una fortissima sensibilità alla temperatura. Riduce fortemente le melanine, ma non nelle zone periferiche, che di conseguenza restano pigmentate: zampe, orecchie, muso,

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Nero perla bianco dominante, foto: A. J. Sanz

coda. Questo perché tali zone sono più fredde; è segnalata in diversi mammiferi. Recentemente negli uccelli, come la tortora dal collare africana mutata, con la mutazione “testa di prugna” ed anche forse “testa grigia”, si è parlato di tale gene, almeno come paragone (“Tortora dal Collare” di Luca Carusio - I.O. n° 3/2022, pag. 51) È stato sperimentalmente dimostrato che rasando il pelo nei gatti siamesi (sono affetti da tale mutazione, come alcuni conigli ed altro) la crescita è di colore diverso a seconda delle stagioni e quindi della temperatura. Il pelo rasato d’inverno nelle zone chiare cresce scuro, mentre il pelo rasato nelle zone scure d’estate cresce chiaro. Che la mutazione perla corrisponda all’Himalaya è da taluni affermato ma, secondo me, è molto dubbio. Non corrisponde la maschera grigia del perla tipico; il canarino nella maschera ha poche melanine ma evidenti carotenoidi. Pare quindi che il perla aumenti la melanina in quella zona e non si abbia di conseguenza una mancata inibizione tipica dell’Himalaya, ma un vero aumento. La coda dei mammiferi è costituita da ossa, carne, vene, arterie ecc.; negli uccelli invece sono penne timoniere, vale a dire produzioni cutanee. Un paragone appare quindi azzardato. Inoltre la coda dei mammiferi è tutta nera, mentre nel perla abbiamo le punte. Anche nell’arto superiore, le remiganti hanno le punte più scure, non l’intera penna. Le punte di tali penne, specialmente le remiganti, hanno una situazione di pigmento melanico abbastanza particolare, come si nota in diversi casi (ali grigie, satiné senza disegno ed anche in alcune specie nel piumaggio normale). Nel canarino perla, fino ad ora e per quello che ne so, non si segnalano differenze di pigmentazione delle penne eventualmente estirpate in condizioni diverse di tempera-


P agina aperta

Altro aspetto Oggi si parla del cosiddetto perla tipo 2 che, da quanto ho sentito dire, si vorrebbe dato dall’interazione con fattori di aumento delle melanine. Ora se il perla 2 fosse l’esito di una interazione fra il perla ed un fattore di melanizzazione, non so se potrebbe essere riconosciuto come tipo a sé stante, essendo appunto un’interazione. Inoltre, prima di fare certe affermazioni, sarebbe necessario definire il fattore di melanizzazione responsabile, che dovrebbe agire anche sui classici, a meno che non si volesse ipotizzare una mutazione recessiva ed in linkage con il perla. Fattori di melanizzazione possono esistere ed in effetti alcuni particolari esistono, ad esempio nell’organetto, ma questi non mi risulta che siano stati rilevati, almeno per ora, nel canarino.

Nel canarino sono stati rilevati 2 fattori di melanizzazione: l’all black ed il mulatto. Quest’ultima mutazione è recente, dominante e legata al sesso, segnalata tempo fa su I. O. Caso diverso e particolare, il pelle nera. Personalmente non ho alcuna idea su cosa possa determinare il perla 2; se fosse un’interazione con un fattore di melanizzazione da determinare, sarebbe interessante appunto per determinare tale fattore anche nei classici. Sperando che non sia recessivo ed in linkage con il perla. Per ulteriori aspetti o chiarimenti sono, come sempre, a disposizione. GIOVANNI CANALI

Nero perla rosso mosaico maschio, foto: A. J. Sanz

Argomenti a tema

tura, come accade con il pelo dei mammiferi. Sarebbe un esperimento molto interessante ed indicativo. Mi risulta invece, che differenze di pigmentazione in penne cambiate, siano state notate nella tortora dal collare africana mutata “testa di prugna” e “testa grigia” a seconda dei cambiamenti di temperatura. Da considerare che nella tortora suddetta tutta la testa è più scura e le penne di ali e coda non paiono interessate. Non mi sento di escludere con certezza che il perla possa corrispondere all’Himalaya, ma lo ritengo molto dubbio. Rilevo somiglianze nell’aspetto generale, ma le somiglianze non sono identità. Quello che mi intriga è l’occhio che nel perla sarebbe bluastro nel novello, aspetto di somiglianza con l’Himalaya, non conservata nell’adulto. In ogni caso, in un eventuale standard non ritengo sia da usare almeno per ora il termine Himalaya, poiché almeno dubbio. Per lo stesso motivo, neppure altre indicazioni che si usano per la mutazione suddetta come “colourpoint”.

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CANARINI DA CANTO

La musica, forma d’arte la musica, parente dello spirito di FRANCESCO DI GIORGIO, foto G. MARSON

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e genti di tutto il mondo amano particolarmente la musica per il suo suono gradevole e per il ritmo. Dunque essa, compagna delle nostre ore più intime, è un fenomeno artistico universale: anche se gli uomini parlano lingue diverse, tutti comprendono la musica. Anche quella che promana da canarini selezionati, appunto, per il canto.

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Anche se gli uomini parlano lingue diverse, tutti comprendono la musica

Un canarino capace di esternare al meglio e senza inibizioni “il proprio

io” è un canarino genuino, sano, equilibrato, in una parola “armonico”, capace di porsi come “elemento attivo” e dunque desiderabile e prezioso. La musica è, tra i linguaggi, quello che maggiormente coinvolge a livello senso – percettivo ed emozionale perché grazie alla sua particolare struttura arriva a “toccare” e a stimolare più efficacemente della parola la nostra sensibilità, le nostre emozioni,


il nostro “dentro”; inoltre, essendo un “atto creativo” in continua evoluzione anche nel canarino cantore, si presenta a tutte le età come “linguaggio aperto alla ricerca e all’invenzione”. Dunque, parlare del repertorio melodico canaricolo in termini di creatività, di sviluppo, di stimolo, vuol dire credere nell’educazione musicale come “azione capace di coinvolgere l’alato nella sua interezza” e anche in grado di facilitare l’integrazione tra congeneri. È fondamentale tener presente l’importanza, anzi, la necessità di “star bene in gabbia”, cioè in un ambiente sereno, affinché i giovani canarini studino bene e rendano al meglio. Il mondo acustico e musicale, connesso al sentimento estetico, contribuisce naturalmente a creare nel gruppo un clima distensivo e coinvolgente, gratificante e stimolante, in

Occorrono maestri canarini eccellenti che siano in grado di instaurare un rapporto diretto con gli allievi in una sorta di gerarchia orizzontale

grado di incentivare negli uccelli il piacere della dolce compagnia, di essere attivi… L’iter che concretizza il progetto “saper cantare per vivere serenamente” è caratterizzato da proposte operative strutturate in forma ludica, gradualmente ordinate e finalizzate alla fruizione degli essenziali canali d’espressione del linguaggio sonoro

adulto (maestro di canto); proposte che, una volta coordinate, dosate e attuate nel rispetto dei modi e dei tempi di apprendimento, agevolano un progressivo avviamento del canarino alla produzione di suoni, secondo la via d’acquisizione che è innata: ascolto, imitazione e creatività. Sono formativi solo gli ascolti di canti acconci, cioè in sintonia con le potenzialità del canarino che deve imparare. Riescono bene solo gli ascolti in assoluta concentrazione e sistematicamente ripetuti. Occorrono maestri canarini eccellenti che siano in grado di instaurare un rapporto diretto con gli allievi in una sorta di gerarchia orizzontale. Malinois: basta la parola! Gocciano giù le note… con quella continua invenzione di timbro, di foga, di accordi che è rimasta inimitabile.

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ALIMENTAZIONE

Lo scalogno Un mix di cipolla ed aglio, un vero “laboratorio chimico” testo di PIERLUIGI MENGACCI, FOTO P. MENGACCI e ILROMAGNOLO.INFO

Premessa Tutti gli anni, i primi di novembre, a luna calante, interro i bulbi di aglio e scalogno dopo aver seminato le fave, seguendo il detto Per San Luca la fava nella buca. Aglio, cipolla e scalogno, dopo i Santi, nella buca tutti quanti. Quest’anno, dopo due stagioni consecutive in cui riutilizzavo i bulbi dell’anno precedente, mi sono recato nel solito negozio di prodotti agricoli per acquistarne di nuovi. Mentre discuto con mia moglie se acquistare anche una confezione di scalogno francese, un signore si avvicina, e con accento prettamente romagnolo, mi indica un ripiano con, in bella vista, confezioni retinate con su scritto “Scalogno di Romagna IGP” e ci dice: -Scusate se mi intrometto, lasciate stare il francese, prendete la “scalogna” romagnola: è una bomba aromatica in cucina e un vero laboratorio chimico per la salute-. I nostri sguardi si incrociano e dopo un po’ si presenta: -Piacere, sono… e vi garantisco che oltre ad essere aromatico, leggero, depurativo, questo scalogno ha altre preziose qualità, che sono sempre utili! Ha anche un’ottima riuscita come coltura e conservabilità; se ci rivedremo, me ne darete atto!” - Lo ringrazio del consiglio, ci saluta e si allontana. Dopo un breve consulto con mia moglie, decidiamo di prenderne alcune confezioni che metto nel carrello e proseguiamo per completare gli acquisti. Mentre siamo in fila alla cassa, ecco la voce inconfondibile dell’amico Massimo con una mano sulla spalla: -Ciao, bella coppia. Vi ha consigliato bene il romagnolo, ho ascoltato la vostra conversazione, ero dietro lo scaffale con un

Parte aerea di scalogno

Dal libretto dei miei appunti orto-ornitofili e non solo

cliente. Comunque, va detto: è il migliore scalogno sotto tutti i punti di vista ed è veramente un laboratorio chimico, dalle proprietà impensabili! Ciao, ciao, vado di fretta!-. Non mi ha dato nemmeno il tempo di salutarlo! Durante il ritorno a casa, nel silenzio della macchina, i miei pensieri vanno alla conversazione sostenuta poco prima e soprattutto alla definizione di “laboratorio chimico”, riferita sicura-

mente alle proprietà dello scalogno. A metà strada Angela interrompe il silenzio: -Gigi, questo scalogno romagnolo sarà come dicono? Lo piantiamo domani? –. -Hai letto nei miei pensieri - le rispondo. –Va bene domani. Poi, per quanto riguarda i risultati, resa e conservazione, lo vedremo l’anno prossimo. Per il resto ho un’idea: questa sera per cena, se ti va, possiamo verificarne il profumo ed il sapore in una insalata di tonno, con il sedano che hai acquistato questa mattina dal verduraio, ed un paio di bulbi della scalogna romagnola IGP al posto della solita cipolla-. L’idea è piaciuta ed il risultato è stato un’insalata molto saporita, interes-

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Piantine di scalogno nel giardino dell’autore

sante e stuzzicante, con un gusto molto fresco ed un profumino invitante, dove la “scalogna romagnola” ha confermato la leggerezza e l’aroma delicato elencati dal suddetto mentore. Si dice che la notte porti consiglio, invece per me quella notte è stata alquanto agitata fra un continuo arro-

Bulbo di scalogno aperto a metà

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vellarmi nella ricerca dei contenuti di quel “laboratorio chimico” e l’interramento dei bulbi. Ad un certo punto, la voce di Massimo mi redarguisce: Uomo di poca fede… La scalogna di Romagna, fin dall’antichità, è rinomata per le sue virtù; è definita laboratorio chimico perché possiede …-. Uno scossone di mia moglie mi fa sussultare: Che cos’hai che ti muovi di continuo? Non hai digerito il tonno o la scalogna?. Mi giro dall’altra parte brontolando: Eh?! Lasciami stare! Domani questa “scalogna” me la tolgo dalla testa- e riprendo a dormire. Alcuni cenni botanici-storici-leggendari Prima di addentrarmi in questo “laboratorio chimico”, così come è definito in Romagna lo scalogno, ritengo opportuno, ai fini di una trattazione più completa, riportare sommariamente alcuni dati botanici, storici e leggendari su questo prezioso bulbo. Lo scalogno (Allium ascalonicum) botanicamente appartiene alla famiglia delle Amaryllidaceae o Liliaceae, come la cipolla, l’aglio, il porro e l’erba cipollina. È una pianta erbacea poliennale, ma viene coltivata annualmente per moltiplicazione vegetativa previo l’inter-

ramento dei suoi bulbi nel periodo autunnale (ottobre-novembre) o inizio primavera, a seconda del clima o zona geografica. È molto rustica e può raggiungere un’altezza massima di 30 cm. Non ha particolari esigenze di concime o climatiche, ma è favorita da una buona fertilità del terreno. Necessita solamente di alcune sarchiature per eliminare eventuali erbacce e soprattutto non va coltivata nello stesso terreno per almeno due anni (il disciplinare IGP romagnolo ne prevede 5). La parte aerea è costituita da foglie erette, cave e cilindriche, come quelle della cipolla, ma più numerose. Le foglie giovani sono commestibili e dal sapore aromatico e si possono usare per rendere gustose le insalate. La parte sottoterra è formata da più bulbi globosi, allungati e tunicati, ossia fasciati alla base da un involucro comune, a somiglianza dell’aglio, ma differente della cipolla, che ha un unico bulbo. Una stranezza dello scalogno: a differenza delle altre piante della sua famiglia, come aglio e cipolla, generalmente non produce fiori, o sono sterili, per cui le varietà selezionate per l’ alimentazione non sono diffuse allo stato selvatico. Secondo l’etimologia, il nome scientifico (Allium ascalonicum) indica che questo ortaggio sia proveniente da Askalon, città dell’antica Palestina, antico porto del Mediterraneo, situato nella parte meridionale dell’odierno Israele, a Nord di Gaza. Sembra, secondo alcuni studiosi, che da questa città portuale, dove avvenne la famosa battaglia di Ascalona, i Crociati nel XII secolo importassero lo scalogno in Italia e da qui in Francia, dove ebbe un grande successo. Secondo altri studiosi, lo scalogno sarebbe stato portato in Europa dai popoli che migrarono dal Medio Oriente. Il termine allium invece è una parola celtica che significa “bruciante”. Anche i Greci, al pari dei Romani, ne apprezzavano non solo il sapore ma veniva anche utilizzato e consigliato come stimolante delle funzioni sessuali, come riportato negli scritti di Ovidio. Anche L. Moderato Columella,


Scalogno di romagna,fonte: ilromagnolo.info - autore: Dell’Aquila

scrittore romano, già nel I secolo d.C. sosteneva le virtù dello scalogno, affermando che fra tutte le varietà di cipolle lo scalogno fosse la migliore. Plinio il Vecchio invece scriveva che i Greci avevano sei tipi di cipolla, fra cui la scalogna era la più utilizzata. Anche nella cultura contadina italiana, a partire dal Medioevo e nella medicina popolare dell’epoca, lo scalogno, oltre ad essere utilizzato come cibo (era il companatico povero dei contadini) veniva anche consigliato per le sue proprietà digestive e per le sue proprietà afrodisiache. Il medico romano Castore Durante riporta gli effetti eccitanti dello scalogno in un libro pubblicato nel 1586. Ritornando alle caratteristiche botaniche di questo bulbo che ha una storia plurimillenaria, riporto a titolo di conoscenza anche le sue varietà, che sono divise in due gruppi principali: - a buccia grigia, dalla forma bislunga, con un aroma più intenso e una consistenza molto dura. - a buccia dorata, suddiviso a sua volta in tre varietà in base alla forma del bulbo: lunga, semi-lunga e rotonda. A quest’ultima varietà a forma semi-lunga appartiene lo scalogno IGP di Romagna. Proprietà e utilizzo dello scalogno La sottostante tabella, in cui sono elencati i componenti chimici principali, ci permette di comprendere quanto sia stato “azzeccato” l’epiteto di “laboratorio chimico” dato a questo tubero.

Bulbi vari di scalogno

Composizione Chimica per 100 gr di scalogno edibile * (Fonte: USDA) Acqua g . . . . . . . . . . . . .79,80 Proteine g . . . . . . . . . . . . .2,5 Carboidrati g . . . . . . . . . . . . .16,80 Grassi g . . . . . . . . . . . . .0,10 Fibra g . . . . . . . . . . . . .3,2 Zuccheri g . . . . . . . . . . . . .7,87 Minerali Calcio mg . . . . . . . . . . . .37 Sodio mg . . . . . . . . . . . .12 Ferro mg . . . . . . . . . . . .1,2 Fosforo mg . . . . . . . . . . . .60 Potassio mg . . . . . . . . . . . .334 Zinco mg . . . . . . . . . . . .0,4 Magnesio mg . . . . . . . . . . . .21 Manganese mg . . . . . . . . . . . .0,3 Selenio mcg . . . . . . . . . . .1,1 Vitamine Vitamina A IU . . . . . . . . . . . . .4 Vitamina B1 mg . . . . . . . . . . . .0,06 Vitamina B2 mg . . . . . . . . . . . .0,02 Vitamina B3 mg . . . . . . . . . . . .0,2 Vitamina B5 mg . . . . . . . . . . . .0,3 Vitamina B6 mg . . . . . . . . . . . .0,34 Vitamina C mg . . . . . . . . . . . .8 Vitamina E mg . . . . . . . . . . . .0,04 Vitamina K mcg . . . . . . . . . . .0,8 Folati mcg . . . . . . . . . . .34 Aminoacidi: acido aspartico, acido glutammico, fenilalanina, arginina, alanina, glicina, isoleucina, leucina, istidina, prolina, metionina, lisina, serina, triptofano, treonina, tirosina. Contiene inoltre , un flavonoide con proprietà molto importanti ai fini salutistici. Calorie: 100 grammi di parte edibile hanno una resa di 72 kcal.

Fra le innumerevoli proprietà di questo prezioso bulbo, che diversi studi scientifici hanno dimostrato e avvalorato, mi preme riportare quelle che a mio avviso sono utili non solo per il nostro organismo ma anche per quello dei nostri volatili: - Antiossidante - Antiallergica - Antibatterica - Antivirale - Disintossicante - Utile per le ossa e le vie respiratorie Uso terapeutico Come detto in precedenza, le sue proprietà sono legate alla particolare composizione chimica che rende lo scalogno un alimento con grandi poteri nutrizionali, ma soprattutto molto prezioso per le svariate proprietà disintossicanti, diuretiche, digestive, ecc.; è un tubero quasi indispensabile per la salute dell’organismo. - Per beneficiare per intero delle sue proprietà, lo scalogno va consumato crudo, in quanto la cottura riduce di gran lunga i suoi benefici, in modo particolare la vitamina C - È composto da sostanze derivanti dallo zolfo (solfuro di allile), responsabili del suo odore tipico, che si manifesta quando viene tagliato o schiacciato, e del suo sapore raffinato. Questa sostanza è utilissima al nostro organismo: è un efficace disinfettante intestinale, favorisce le funzioni digestive, è vermifuga, bat-

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B e C, K, E ed aminoacidi, importanti per il metabolismo; le antocianine, preziose per i capillari e circolazione in generale; i flavonoidi, con la loro azione antibiotica; la quercetina, che con le sue proprietà rende lo scalogno uno dei migliori antiossidanti naturali. Per un aiuto alle difese del sistema immunitario, viene consigliata una tisana allo scalogno, semplice da preparare. È sufficiente far bollire una tazza d’acqua con qualche fettina di scalogno per circa 10 minuti, aggiungere uno o due cucchiaini di miele e bere appena tiepido. Scalogno a forma rotonda

tericida, diuretica, disintossicante e un buon fluidificante del sangue. - Può essere di aiuto per chi soffre di problemi respiratori e grazie alla componente solfidrica (sostanza presente anche nelle acque termali) può svolgere un’azione atta a prevenire e trattare l’invecchiamento cutaneo. - È ricco di acqua e di fibre, per cui può essere utile per un intestino pigro e per ridurre l’assorbimento dei grassi. - Infine, si consideri l’ottimo contenuto in potassio, calcio, fosforo, magnesio, le varie vitamine del gruppo

Elementi e pastoncino allo scalogno

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Uso in cucina Essendo un mix di cipolla ed aglio trova svariati utilizzi in cucina, in sostituzione soprattutto della cipolla. Infatti, ci sono due peculiarità che lo distinguono e lo fanno preferire alla cipolla: l’aroma e le qualità nutrizionali. L’aroma è molto più delicato e meno pungente per le narici e sul palato. Dal punto di vista nutrizionale, è migliore rispetto alle cipolle per l’apporto di vitamine, antiossidanti, minerali, ecc. e, tra l’altro, è più digeribile della cipolla e impatta meno sull’alito. Nella scelta dello scalogno, va tenuto presente che il bulbo deve essere duro, ben asciutto, privo di germogli e rico-

perto di una pellicina, senza segni o increspature. Generalmente viene utilizzato tritato o tagliato a fettine sottili, privando i bulbi della pellicina suddetta, come ingrediente per soffritti; per insaporire misticanze di insalata; nella preparazione di ragù, di salse, zuppe, torte rustiche, ripieni e farciture varie. In alcuni libri di cucina di mia moglie l’ho trovato in varie ricette di stufati, brasati, lessi, arrosti, cacciagione e piatti di pesce. Oltre ai bulbi, anche le foglie giovani sono commestibili e con il loro sapore aromatico rendono molto gustose le insalate. Infine, non va dimenticato il suo utilizzo arrosto e caramellato. Un piatto che gradisco per il sapore delicato e profumato, che prepara mia moglie, è un risotto allo scalogno ed erbe aromatiche (salvia, timo, prezzemolo), sfumato con un buon Bianchello del Metauro, cotto in un brodo vegetale e servito con abbondante grattugiata di parmigiano. Uso per i canarini Nella letteratura ornitofila, non ho trovato alcun utilizzo dello scalogno nell’alimentazione o terapie per i nostri volatili; in prevalenza vengono consigliati l’aglio e la cipolla. A tal proposito, riporto quanto scritto nel Trattato Enciclopedico di Canaricoltura di V. Menassé a p.78: “La popolare cipolla è assai ricca di vitamine, ha proprietà diuretiche e tenifughe ed esercita azione stimolante ed antisettica sulle mucose dell’apparato respiratorio. Di tanto in tanto è bene somministrare una fetta di questo bulbo ai canarini, alcuni dei quali lo gradiranno subito ed altri dopo un certo tempo. Quasi uguali virtù possiede l’aglio, che non può essere però utilizzato quale alimento per i canarini; se ne possono sfruttare le virtù acaricide e l’azione profilattica nei confronti di varie malattie infettive, nonché quella antisettica e stimolante sulle mucose dell’apparato respiratorio, aggiungendone periodicamente una fettina nell’acqua da bere”. Essendo lo scalogno un mix fra cipolla ed aglio può a mio avviso sostituire nell’uso i due tuberi e con un’unica so-


luzione apportare all’organismo le stesse proprietà di cipolla ed aglio come elencate dal Menassé. Di fatto, lo scalogno risulta essere efficace come disinfettante intestinale, per l’apparato respiratorio, nelle funzioni digestive ed è anche considerato un ottimo vermifugo, battericida, diuretico, disintossicante, ecc., qualità molto utili nell’allevamento dei nostri volatili da compagnia. Nel mio piccolo allevamento di canarini di colore ho sperimentato lo scalogno in due modi: a fettine e tritato in una mangiatoia a disposizione in voliera, ma non ha avuto risultati apprezzabili. Invece, frullato o grattugiato e mescolato al cous-cous per inumidire il pastoncino secco, è stato gradito. Sono alcuni anni che saltuariamente, durante tutto l’anno ma soprattutto nel periodo autunno-inverno e pre-cove, alimento i miei canarini con bulbi di scalogno ancora duri e senza increspature. Questa

Essendo lo scalogno un mix fra cipolla ed aglio può a mio avviso sostituire nell’uso i due tuberi è la mia ricetta per circa 30/35 canarini (vedi foto pagina precedente): - 1 cucchiaio di cous-cous biologico - 2 o 3 bulbi medi di scalogno grattugiati - 2 o 3 cucchiai di acqua di cottura di erbe o in alternativa acqua potabile - 1 cucchiaino abbondante di niger germinabile - 4 o 5 cucchiai di pastoncino secco - 1/4 di cucchiaino di tritato di guscio di uova di gallina strerilizzate Metto in ammollo il cous-cous assieme allo scalogno grattugiato finché non ha assorbito tutta l’acqua; aggiungo il

niger, il tritato di guscio di uova e il pastoncino secco; mescolo il tutto e lascio riposare per qualche minuto finché non ho ottenuto una consistenza soffice, leggermente umida e non appiccicosa al cucchiaio ed il pastoncino è pronto per essere servito e consumato nell’intera giornata. È appetito dai canarini e a tutt’oggi non ho riscontrato controindicazioni. Chiudo con questo proverbio riadattato per l’occasione: Se hai male alla panza mangia aglio in abbondanza; se hai male alla testa aggiungi aglio alla minestra, ma se bene vuoi sempre stare, lo scalogno devi mangiare! Ad maiora, semper. Alcune fonti: - www.taccuinigastrosofici.it/ita/news/antica/ aromi-orto-frutti/Scalogno-di-Romagna-Igp.html - * https://www.mr-loto.it/scalogno.html ; - https://antropocene.it/2020/06/16/scalogno - Trattato Enciclopedico di Canaricoltura di V. Menassè - Ed. Encia Udine

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O rniFlash Così un paese tedesco vuole difendere l’allodola

News al volo dal web e non solo

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ella città tedesca di Walldorf hanno deciso di imporre una sorta di lockdown per i gatti della durata di sei mesi. L’estrema richiesta delle autorità, trasformata poi in un’ordinanza ufficiale, ha l’obiettivo di tutelare l’allodola crestata, specie di uccello a rischio di estinzione, durante tutto il periodo della sua riproduzione. L’uccello, infatti, fa il nido a terra ed è perciò a forte rischio attacco felino. E dato che la popolazione di volatili è notevolmente diminuita negli ultimi decenni nell’Europa occidentale, anche l’amministrazione di Walldorf ha deciso di fare qualunque cosa per difendere la sopravvivenza della specie proteggendo fino a «ogni singolo uccellino». Anche perché studi scientifici dimostrano che il benessere umano aumenta lì dove c’è maggiore varietà di volatili. L’ordinanza ha disposto anche una multa salata per coloro che violeranno la norma: 500 euro se l’animale esce di casa e fino a 50mila nel caso dovesse ammazzare uno degli uccelli. Ovviamente non tutti sono d’accordo con l’idea di dover tenere sotto chiave per mesi i gatti di casa e i malumori hanno già iniziato a farsi sentire. L’associazione locale per la protezione degli animali ha annunciato di voler ricorrere alle vie legali per impugnare il decreto che contiene questa azione sproporzionata. Pur essendo considerata a livello globale dalla IUCN come specie “Least Concern” di “minor considerazione”, la popolazione di Allodole (Alauda arvensis) è diminuita in Europa di almeno circa il 55% nel periodo 1980-2014, e del 20% nel periodo 2005-2017. Fonte: https://www.kodami.it/gatti-chiusi-in-casa-per-sei-mesi-lanno-la-soluzione-di-un-paese-tedesco-per-difendere-lallodola/

A Varenna riapre il museo ornitologico dedicato a Luigi Scanagatta

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omento da ricordare per Varenna: riapre e torna a brillare il museo ornitologico Luigi Scanagatta. Il museo, dedicato al maestro varennese, ornitologo e personaggio televisivo (partecipò a Lascia o Raddoppia con Mike Bongiorno) Luigi Scanagatta, ha riaperto lo scorso 22 maggio 2022. La riapertura è solo l’ultimo passo di un percorso che ha visto: l’istituzione nel 2018 di una commissione comunale consultiva, un attento restauro della collezione col supporto di professioniste (Gaia Bazzi e Cinzia Bergamino) incaricate dall’Università del Piemonte Orientale, la riprogettazione del percorso museale anche mediante la collocazione di nuovi pannelli bilingue, l’impegno di alcuni volontari del Cros Varenna (in particolare Roberto Brembilla), e la creazione di un nuovo logo museale (Mos) per rilanciare le campagne comunicative. Il museo è fruibile in autonomia grazie ai sapienti pannelli didascalici che sono parte attiva e riqualificante della nuova progettazione realizzata dalle ricercatrici, elementi che stimolano la curiosità del visitatore e calano l’avifauna negli habitat tipici. Un’esperienza unica per famiglie, appassionati di natura e semplici curiosi, che potranno ritrovare, fuori dal museo, molte specie di uccelli: si potrà camminare in riva al lago, sui sentieri, ma pure tra le contrade del paese, con uno sguardo nuovo e più attento all’ambiente. “Un progetto fondamentale per la nostra amministrazione - afferma l’assessore alla cultura Nives Balbi - che ha visto anche la pubblicazione, nello scorso anno, della checklist di tutti gli uccelli presenti nelle province di Lecco e Como (disponibile presso l’infopoint di Varenna). Siamo convinti che investire nel museo faccia da volano per sviluppare altre iniziative culturali, con effetti benefici per i cittadini e per un turismo più consapevole”. Fonte: https://www.leccotoday.it/notizie/riapertura-museo-ornitologico-scanagatta.html


O rniFlash Il nibbio reale torna a nidificare in Ticino è del nuovo nei cieli della Svizzera italiana. Ficedula, associazione per lo studio e la conservazione degli uccelli della Svizzera italiana, comunica infatti che, finalmente, dopo molta attesa, il nibbio reale è tornato a nidificare anche lì. Negli ultimi anni il nibbio reale ha espanso il suo areale al Nord delle Alpi, e sono aumentate sempre di più le segnalazioni anche in Ticino, dapprima di individui solo svernanti e poi estivanti. Ficedula stava tenendo d’occhio già da tempo alcuni siti soprattutto in alcune vallate del Sopraceneri. Quest’anno, finalmente, una coppia sta nidificando con successo.Il nibbio reale, a differenza del più comune nibbio bruno – diffuso principalmente lungo il Verbano e il Ceresio – è più grande e facilmente riconoscibile per la colorazione rossiccia e la coda molto forcuta da cui il suo nome in inglese ‘kite’ ossia aquilone. Raggiunge un’apertura alare fino a 160 cm; tra i rapaci nidificanti in Svizzera si piazza al terzo posto per dimensioni dopo gipeto e aquila reale. Dopo 30 giorni di incubazione delle 2-3 uova nascono i piccoli che, dopo meno di due mesi di permanenza, lasciano già il loro nido. Il nido ticinese si trova sulla biforcazione centrale di una conifera a circa 7 metri dal terreno. La nidificazione su conifera è comune a molti rapaci diurni che in questa maniera si sentono più protetti all’inizio della nidificazione quando le latifoglie sono ancora spoglie. Fonte: https://www.laregione.ch/cantone/ticino/1585518/nibbio-ticino-svizzera-ficedula-conifera

La democrazia dell’involo delle taccole

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n inverno, le taccole (Corvus monedula) si appollaiano in gruppi di centinaia o addirittura migliaia ed è comune che la maggior parte o tutto lo stormo prenda il volo con partenza di massa improvvisa intorno all’alba, con scarse condizioni di visibilità. Lo studio “Vocally-mediated consensus decisions govern mass departures from jackdaw roosts”, pubblicato su Current Biology da team delle università britanniche di Exeter e di Cambridge e del Centre de Recerca Ecològica i Aplicacions Forestals (CREAF), ha registrato un crescente aumento delle vocalizzazioni di massa delle taccole prima della partenza dal posatoio comune. Mettendo insieme questo e i risultati di test durante i quali richiami preregistrati di taccole sono stati riprodotti in una loro colonia, il team ha scoperto prove che i richiami degli uccelli «Vengono utilizzati come una forma di processo decisionale di consenso. Inoltre, lasciare il posatoio insieme ha vari vantaggi, tra cui la sicurezza dai predatori e l’accesso a informazioni come dove trovare cibo.». Il team di ricerca britannico-catalano ha anche riscontrato che «Le partenze di massa sono avvenute quasi istantaneamente, con tutti gli uccelli in partenza in aria in media in meno di 5 secondi. Queste partenze sono avvenute nel periodo da 45 minuti prima dell’alba a 15 minuti dopo. Pioggia e nuvole abbondanti tendevano a ritardare le partenze. Quando l’intensità del richiamo aumentava più rapidamente, gli uccelli partivano prima. La riproduzione di registrazioni di uccelli appollaiati ha anticipato l’ora della prima partenza di massa di una media di oltre 6 minuti». Le taccole non sempre lasciano il loro posatoio con involi di massa. Se il livello dei richiami non aumenta sufficientemente, le taccole dello stormo non riescono a raggiungere il consenso e si involano in piccoli gruppi. Ciò a ulteriore prove del fatto che le vocalizzazioni sono davvero fondamentali nel consentire ad alcune specie di prendere decisioni di gruppo; quindi dobbiamo indagare su cosa succede quando noi umani creiamo inquinamento acustico che potrebbe influenzare il modo in cui le informazioni si diffondono attraverso questi gruppi sociali. Fonte: https://greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/la-democrazia-dellinvolo-delle-taccole/

News al volo dal web e non solo

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Italia Ornitologica è ora disponibile anche in edizione digitale, consultabile da smartphone, tablet e computer. Tutti gli iscritti alla Federazione Ornicoltori Italiani possono accedere a INTRANET FOI per visualizzare articoli e immagini in una nuova e più agevole modalità. L’evoluzione di Italia Ornitologica continua… in esclusiva per gli allevatori FOI

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DIDATTICA & CULTURA

Il collezionismo ornitologico Articoli per fumatori testo e foto di FRANCESCO BADALAMENTI

Quindicesima parte

H

o ritenuto di dedicare questa nota agli articoli per fumatori, poiché dopo quindici pubblicazioni sul collezionismo vanno via via affievolendosi le idee sulle varie forme del collezionismo ornitologico (a tal proposito rinnovo l’invito a contattarmi, per chi avesse suggerimenti, foto o materiale vario, riproponendo il mio indirizzo di posta elettronica: badalamenti@foi.it). Per chi non è fumatore, oltre a fare male alla salute, il fumare costituisce esclusivamente un vizio, mentre per

Foto di un adesivo

chi fuma è un piacere, un momento di distensione e di relax, l’occasione per una pausa di riflessione, la condivisione con amici di un break dal lavoro. Ai collezionisti tutto ciò ovviamente non riguarda, a loro interessa ricercare ciò che orbita attorno a questo variegato comparto del mondo del fumo che costituisce l’ennesima opportunità per creare una collezione personalizzata di articoli per fumatori, caratterizzata da accessori raffinati che richiamano stili del passato, spesso considerati glamour. Cigarette Cards Invito chi fosse interessato ad andare a rispolverare un mio vecchio articolo avente per titolo”Una collezione orni-

tologica di Cigarette Cards” (pubblicato su Italia Ornitologica n. 3 del marzo 2009) corredato da alcune immagini di antiche cards dedicate ai Canarini di razza Inglese. Ma in sintesi cosa sono queste Cigarette Cards? A partire dal 1875 e fino agli anni ‘40 del secolo scorso, le grandi compagnie di produzione di tabacco, prevalentemente degli Stati Uniti d’America, del Canada e del Regno Unito, solevano includere nei loro pacchetti di sigarette delle piccole carte da collezione. Set di cards che documentavano con immagini ben definite e curate la cultura popolare dall’inizio del secolo, raffigurando attrici, costumi, sport

Cigarette cards

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del periodo, oltre a offrire spunti sull’umorismo tradizionale e sulle norme culturali; non potevano naturalmente mancare anche le serie dedicate ai volatili domestici di più comune allevamento, canarini, piccoli esotici e pappagalli. La più importante e nota raccolta di Cigarette Cards è quella di Mr. Edward Wharton-Tigar: si tratta di una collezione internazionalmente riconosciuta dal Guinness dei primati come la più grande nel suo genere. La raccolta dal 1995, dopo la morte del suo originario proprietario, è stata trasferita, a seguito di successione ereditaria, al British Museum di Londra.

Scatole di tabacco e sigari

Accendini da collezione ZIPPO

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Tabacco e sigari Il tabacco, introdotto in Europa intorno alla seconda metà del ‘500, grazie alle imprese di Cristoforo Colombo, era inizialmente in prevalenza da fiuto e veniva usato per scopi lenitivi e medicinali; solo in seguito cominciò a essere fumato, sotto forma di sigari. Si narra che la Regina Caterina de Medici, che fumava frequentemente sigari per combattere le emicranie, venisse rifornita del suo “medicinale” da tale Jean Nicot, diplomatico e accademico francese, da cui ha poi preso il nome la nicotina. Sembra che la Regina Caterina non


apprezzasse il fatto che le sue dita si ingiallissero durante le sue frequenti fumate e così cominciò ad avvolgere i sigari in piccole strisce di canapa all’altezza del punto in cui le dita lo avrebbero toccato; quest’accorgimento, nato per scopi pratici, venne presto utilizzato per pubblicizzare la marca del sigaro. Nacquero così le fascette di carta litografata, ricercatissime dai collezionisti, che si collocano sul sigaro per identificare e pubblicizzarne la marca e la provenienza. Colorate e artistiche, le fascette attorno al sigaro diventarono da subito la firma che identificava il marchio dell’azienda manifattrice; bandelle che rappresentavano in modo artistico, città e paesaggi, campagne e paesi, fiori e piante, ma anche i volatili più comuni del paese produttore del tabacco e del sigaro. L’idea della fascetta divenne nel tempo un modo

Gli accendini si diffusero nel secolo ‘800 diventando presto oggetti di pregio

per sviluppare nei consumatori il gusto riconducibile al proprio marchio preferito. Nella foto allegata, un’intera scatola di sigari made in Nicaragua, con in evidenza la fascetta che raffigura un Ara. La marca: “Paradiso Revolution”, sigari dagli aromi amabili, dal profumo di cioccolata, inizialmente dolce con leggera speziatura, una fumata piacevole con note fresche, dalla combustione regolare. Molto collezionate sono le scatole di sigari e le confezioni di tabacco di latta e di cartone, caratterizzate da colori variegati e da apprezzabili disegni . Accendini e fiammiferi Gli accendini si diffusero nel secolo ‘800 diventando presto oggetti di pregio, veri e propri gioielli e quindi articoli da collezione; molto più tardi arrivarono i modelli usa e getta. Gli

Fiammiferi Minerva anni 60 - Collezione FOI

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sforo e s’incendiano solamente se sfregati su una superficie fosforica, o ancora, quelli identificabili come fiammiferi familiari (Svedesi o Minerva). Di particolare interesse collezionistico per il nostro settore è la serie di fiammiferi Minerva posta in vendita intorno agli anni ’60, in collaborazione con la Federazione Ornicoltori Italiani, costituita da n. 12 differenti confezioni raffiguranti prevalentemente canarini e riportanti sul retro una breve descrizione.

Fiammiferi scatola da collezione

accendini più diffusamente collezionati sono gli Zippo a benzina: tra questi non potava mancare una serie dedicata agli uccelli (nella foto tre bei soggetti raffiguranti grandi pappagalli). I fiammiferi sono un’invenzione del 1827, anche se la prima fabbrica italiana degna di nota risale agli inizi del Novecento (la Saffa) e le scatole di cerini e fiammiferi con la pubblicità sovraimpressa (di particolare pregio estetico) risalgono al dopoguerra. Esistono tre categorie di fiammiferi, classificabili in base alla natura dello stelo (di legno o di carta imbevuta di paraffina, come ad esempio i comuni cerini), in base alla natura della capocchia (quelli a capocchia fosforica, che si accendono sfregandoli su qualsiasi superficie ruvida, oppure fiammiferi che non contengono fo-

Fiammiferi del 1957

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Accessori e varie Come spesso avviene nel variegato mondo del collezionismo, diverse sono le valutazioni che contribuiscono a conferire particolare pregio o ricercatezza agli oggetti della collezione; tra questi incidono in maniera significativa lo stato di conservazione, l’epoca di produzione e il numero di pezzi prodotti, ma bisogna guardare anche ai materiali utilizzati, alla fattura (industriale o artigianale) e alla presenza di decorazioni, immagini o altri elementi quali incisioni, fregi, decorazioni ecc., che rafforzano il valore estetico dell’articolo considerato. Tra gli articoli più ricercati e costosi vi sono le pipe (in radica arborea, in terracotta, di pannocchia, ecc.), con prezzi e quotazioni talvolta impegnative, i pacchetti di sigarette, i posacenere, le piccole scatole per cartine e tutti gli altri svariati accessori per fumatori, quali portasigari e portasigarette, borsette porta tabacco,

Posacenere in ceramica

pelletterie varie e persino i narghilè, veri e propri articoli da collezione che a volte sono autentici pezzi da museo.

Pipa-fischietto


UCCELLI IN NATURA

Chi c’è in giardino? testo di PIER FRANCO SPADA, foto CRISTIANA VERAZZA

Cardellino

C

i sono due modi per identificare un uccello sconosciuto: sfogliare un libro di ornitologia fino a trovare la fotografia di un probabile candidato, oppure chiedere a un esperto birdwatcher. Entrambi i metodi daranno esito positivo soltanto se si osserverà attentamente il volatile annotando le caratteristiche principali che ne confermeranno l’identità. Le caratteristiche fisiche evidenti di un volatile, oltre le dimensioni, sono anche il canto, il volo, la posizione di riposo, il modo di camminare quando scende a terra e le caratteristiche dell’habitat dove l’avete visto.

La varietà degli uccelli che si posano nei nostri giardini dipende dal luogo dove essi sono situati. In un giardino in campagna, per esempio, gli uccelli saranno certamente più numerosi che in un giardino di città

La varietà degli uccelli che si posano nei nostri giardini dipende dal luogo dove essi sono situati. In un giardino in campagna, per esempio, gli uccelli saranno certamente più numerosi che in un giardino di città. Il tipo e il numero degli uccelli che visitano regolarmente un giardino di campagna dipende inoltre dalla natura dei territori circostanti, se si tratta, per esempio, di una zona boscosa o paludosa, oltre che dalla stagione. Dove attualmente abito, ai piedi delle montagne di Villacidro, un paese di 14.000 abitanti nella provincia di Cagliari, una coppia di poiane vengono ad appollaiarsi sulla re-

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Verzellino

cinzione del giardino di casa e nelle sere d’estate volano sopra di noi. Il tipo di uccelli che frequentano il nostro giardino dipenderà quindi dalle caratteristiche del luogo dove abitiamo, tuttavia è sempre possibile che uccelli rari o poco comuni vengono a farci visita. Come ad esempio qualche uccello migratore costretto ad interrompere il suo viaggio a causa del maltempo o per rifocillarsi per poi riprendere il suo viaggio. Un giardino di medie dimensioni riceve regolarmente la visita di una ventina di specie, anche se in genere si registra qualche visitatore in meno nei giardini di città rispetto a quelli di campagna. Si tratta per lo più di uccelli comuni, ma a volte anche lì arrivano visitatori occasionali. Un recente studio che trattava della presenza degli uccelli migratori comuni nei giardini, rilevava che un totale di 118 specie visitano durante la stagione invernale 293 giardini in vari Paesi europei dalla Finlandia al nostro Paese. I dieci visitatori più assidui risulteranno: la cinciallegra, il merlo, il passero domestico, la cinciarella, il

Pigliamosche

Scricciolo

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pettirosso, il fringuello, il verdone, il passero mattugio, la tortora dal collare, lo scricciolo. Gli uccelli dei nostri giardini rientrano in tre categorie: visitatori invernali, riproduttori estivi e uccelli di passo, che attraversano i nostri paesi nelle loro migrazioni primaverili o autunnali. Si ha una certa sovrapposizione di presenze, specialmente tra i residenti estivi e quelli invernali, perché cince, pettirossi e merli, ad esempio, durante l’inverno vengono a cibarsi nei nostri giardini, delimitando spesso i propri territori e trattenendosi fino a nidificare. Alla fine dell’inverno alcuni uccelli scompaiono dai giardini perché migrano verso i luoghi di riproduzione, come i tordi, oppure perché semplicemente ritornano nelle campagne, come il migliarino di palude e le cince. I visitatori estivi, come il pigliamosche, il balestruccio e la rondine, prendono il loro posto. A differenza di quanto accade d’inverno, dove una grande quantità di volatili visita i nostri giardini alla ricerca di cibo, il comportamento ter-

Passero comune

Occhiocotto, coppia

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ritoriale durante la primavera e l’estate ne limita il numero delle presenze. Nella tarda estate e in autunno, il numero dei volatili aumenta perché si aggiungono gli uccelli di primo volo che si spostano un po’ ovunque in cerca di una casa indipendente. In questi periodi molte varietà di uccelli possono comparire in giardino e vale quindi la pena di tenere gli occhi ben aperti. Bisogna includere tra essi anche casuali presenze di uccelli provenienti dai nostri allevamenti, compresi anche pappagalli e canarini. Talvolta il periodo delle migrazioni porta la presenza di uccelli inusuali per i nostri territori che hanno perso la rotta. Non è possibile comunque calcolare visite inaspettate perché possono arrivare nei nostri giardini persino il pappagallo del nostro vicino e amico allevatore o una specie esotica fuori rotta mai vista prima in Europa.

Fringuello

La prima piattaforma di annunci on-line per lo scambio di uccelli da gabbia e da voliera, di attrezzature e accessori ornitologici OrniScambio è raggiungibile cliccando il banner sul sito

www.foi.it

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