Rivista mensile di Ornitologia Scientifica - Tecnica - Pratica Organo Ufficiale della F.O.I.-Onlus
ANNO XLVII numero 4 2021
Didattica & Cultura
Estrildidi Fringillidi Ibridi
Canarini da Canto
Veterinario
Origini e genetica del Canarino Mosaico
Il Verdone ambra
La Klokkende di qualità: Sessaggio molecolare: gioie e dolori diagnosi precoce
ANNO XLVII NUMERO 4 2021
sommario 3 Origini e genetica del Canarino Mosaico Sergio Lucarini 5 Il Verdone ambra Piercarlo Rossi, Paolo Occhiodoro e Bruno Zamagni 13 Cominciare ad allevare
La Cicoria selvatica
Giovanni Canali
Pierluigi Mengacci
Le più recenti estinzioni di uccelli Roberto Basso e Martina Lando
Recensioni - novità editoriali Gennaro Iannuccilli
Le strategie di muta degli uccelli Dino Tessariol
OrniFlash News al volo dal web e non solo
Il Pulcinella di mare
Didattica & Cultura
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Estrildidi Fringillidi Ibridi
La Klokkende di qualità: gioie e dolori Fausto Bosi
Photo Show Le foto scattate dagli allevatori
Sessaggio molecolare, diagnosi precoce e non invasiva Emanuele D’Anza
Spazio Club Lizard Canary Club Italiano
Conoscere gli errori Giovanni Canali
Voliamo Esagerare Maria Katia Danieli AMMINISTRAZIONE E PUBBLICITÀ: Segreteria F.O.I.-Onlus Via Caorsana, 94 - Località Le Mose 29122 Piacenza Tel. 0523.593403 - Fax 0523.571613 Web: www.foi.it - E-mail: redazione@foi.it
Cinzia Monti
Un curriculum di tutto rispetto Maurizio Manzoni
51 54 57 61
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Photo Show
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Didattica & Cultura
Lettere in Redazione Attività F.O.I. - Verbale Consiglio Direttivo dell’11 marzo 2021
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Italia Ornitologica è la rivista ufficiale della F.O.I. - Federazione Ornicoltori Italiani, pubblicata in 10 (dieci) numeri annuali a cadenza mensile, 2 (due) dei quali in versione bimestrale nel periodo estivo (Giugno/Luglio e Agosto/Settembre). Il numero 4 - 2021 è stato licenziato per la stampa il 26/4/2021
Editoriale
Cominciare ad allevare di G IOVANNI CANALI
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uesto testo non è tanto dedicato a chi alleva già, anche se sotto certi aspetti può essere un promemoria, ma a chi non alleva ancora. Contiene però considerazioni che gli allevatori esperti possono eventualmente suggerire a chi chiedesse loro consigli sull’inizio dell’allevamento o sulla detenzione di alcuni uccelli d’affezione. Certo, allevare o anche solo detenere uccellini è affascinante, sono fra le creature più belle e ci allietano, di volta in volta con le loro colorazioni, gli ornamenti ed il canto. L’allevamento è una attività creativa che può essere di grande soddisfazione. Tuttavia la detenzione e soprattutto l’allevamento comportano un certo impegno. Un problema che si pone è se sia il caso, tutto considerato, di allevare a livello amatoriale o almeno detenere qualche uccellino, come animale d’affezione. Ebbene dico subito che, almeno per l’allevamento, occorre una forte motivazione. Anche per la semplice detenzione di un uccellino occorre attenzione, il luogo adatto e la disponi-
bilità di tempo per accudirlo. Certo, per pochi uccellini il tempo richiesto non è molto e basta un angolo idoneo, tuttavia ci vogliono. Un problema sono le vacanze e, se non si possono portare dietro i piccoli pennuti, necessita avere qualcuno che sostituisca il proprietario, altrimenti si deve ricorrere ad una pensione. Considerato ogni aspetto, si decide ma, se si decidesse di tenere qualche uccellino, bisognerebbe essere certi di fornire le necessarie attenzioni; non è ammissibile che gli animali debbano soffrire per le trascuratezze del proprietario. Per quanto concerne il luogo, come dicevo può bastare un angolo, ma in un sito idoneo, vale a dire: luminoso, niente correnti d’aria, non troppo vicino a caloriferi, con protezioni contro le zanzare e non di passaggio notturno, come vedremo. Vero che a volte gli uccellini, entro certi limiti, si adattano, ma alcuni aspetti sono irrinunciabili. Per uccelli esotici, provenienti da paesi tropicali, è necessario che la temperatura non sia
Bambini in visita alla voliera della F.O.I. a Piacenza
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Editoriale fredda, quindi un locale riscaldato; al contrario, per la fauna locale o per i canarini sarebbe meglio che il locale non fosse riscaldato o almeno non troppo riscaldato, necessario però che la temperatura non scenda sotto lo zero, non tanto per il freddo in se ma per non far gelare l’acqua. Sarebbe anche possibile allevare sul balcone con: protezioni contro il freddo, riparo per il sole, difesa contro le zanzare; ma se l’inverno fosse rigido, specialmente nelle regioni settentrionali, sarebbe un vero problema, visto che l’acqua gelerebbe con facilità non consentendo l’abbeverata, quindi non sempre praticabile. Dove c’è la televisione, il locale non è adatto. Non si tratta di polemica verso i programmi televisivi, ma gli uccelli devono dormire quando fa buio, quindi non ci deve essere luce artificiale, questo anche indipendentemente dalla televisione. Non dimentichiamo che la fisiologia della maggior parte delle specie è legata al fotoperiodo, cioè le ore di luce. Inoltre, i rumori ed i suoni possono infastidire non poco. Un passabile sistema può essere quello di coprire le gabbie con teli che consentano però la respirazione, tuttavia questo protegge dalla luce, non dai rumori; importante non dimenticare di toglierli durante il giorno. Di fatto l’ambiente non illuminato artificialmente, ma luminoso, è di gran lunga preferibile; una soffitta non troppo calda d’estate o non troppo fredda d’inverno può andare bene, come pure una cantina luminosa o un garage con finestra, eventualmente riscaldabili. Si faccia semmai attenzione che, se si dovesse accendere la luce durante la cova, la femmina potrebbe uscire dal nido e poi non più rientrare trovandosi al buio, quindi non sono idonei i servizi igienici o stanze di passaggio. Anche indipendentemente dalla cova, è bene non svegliare i soggetti durante il sonno; può anche accadere che non ritrovino il posatoio e si sbattano o si trovino in un luogo non adatto al riposo. L’angolo di un salotto o di un ripostiglio possono andar bene, specialmente per pochi soggetti detenuti. Si consideri comunque che dalle gabbie possono cadere residui di cibo, gocce d’acqua ecc., quindi è necessario pulire regolarmente. Buona norma è che i membri della famiglia non debbano litigare. Da escludere la camera da letto, sia perché inadatta agli uccellini per via di luci accese, sia perché potrebbe favorire l’insorgere di allergie nei proprietari. C’è poi la conoscenza minima per la gestione, quindi consigli di esperti e qualche testo, possibilmente corposo per gli allevatori e magari più leggero per i semplici detentori. Si tenga presente che l’incompetenza può comportare maltrattamenti, anche non volendo, e questo non deve accadere. Discorso a parte meritano i bambini So di allevatori che hanno fatto di tutto per farsi aiutare dai figli senza esito. Evidentemente la passione è un fatto spontaneo, non possibile da indurre. È anche capitato che un mio
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amico, che aveva il padre allevatore, abbia sempre rifiutato di collaborare, ma poi, quando il padre ha smesso di allevare, ha cominciato lui con grande impegno, ed allora era il padre a collaborare, non il figlio. Quanto al fatto di fare proselitismo, io preferisco astenermi, meglio che la motivazione sia spontanea, altrimenti ci possono essere delusioni o rinunce. Questo non significa che non mi metta a disposizione di chi comincia ad allevare per ogni aiuto, anzi sono sempre disponibilissimo. L’allevatore esperto veda se fare proseliti o meno; certo sarebbe molto bene che aiutasse chi comincia, specialmente i giovani ed ancor di più i bambini, che sono il futuro del nostro appassionato impegno, che forse sarebbe riduttivo chiamare solo hobby. Quando un bambino si dedica ad allevare degli uccellini, è dovere dell’adulto seguirlo. I bambini, per quanto possano essere motivati, restano bambini, pertanto possono commettere errori o distrarsi, quando ben sappiamo che “allevare” e “distrazione” non sono compatibili. Bisogna evitare che gli uccellini subiscano danno, fra l’altro il bambino che avesse combinato un guaio potrebbe poi sentirsi in colpa. Anche il desiderio di accarezzare il piccolo amico pennuto non va soddisfatto, se non una sola volta e con cautela. L’uccellino non deve essere stressato ed è educativo dire anche dei no, meglio se con spiegazione. Di questo argomento ho parlato nel mio secondo piccolo testo “L’ABC del Canarino” ed. FOI 2018, ove ho dedicato il capitolo “Bambini e canarini” a questo delicato tema. Su quel testo ho parlato anche degli argomenti precedenti, cercando come sto facendo ora di segnalare la bellezza della nostra passione, ma anche gli oneri. È perentorio evitare sofferenze ai nostri uccellini. Del resto, il testo citato l’ho scritto più dalla parte del canarino che dalla parte dell’allevatore. Ovviamente importante la parte della medicina veterinaria, che è stata curata dal dr. Tiziano Iemmi, profondo esperto nella patologia aviare, poiché i nostri soggetti hanno diritto alle migliori cure e bisogna diffidare dei praticoni, anche se in buona fede. Io stesso non ho mai dato pareri medici, sarebbe scorretto oltre che reato. Inoltre mi vanto di non aver mai dato farmaci ai miei canarini senza il parere del veterinario. Infine, se qualcuno obiettasse come spesso accade che gli uccelli sono sottratti alla natura ecc., si ricordino gli argomenti da contrapporre. I nostri uccelli sono domestici, cioè nati allo stato domestico. Se alleviamo i polli per la nostra mensa, è anche lecito allevare a scopo amatoriale e d’affezione i galli stessi, se di razze ornamentali, e così ovviamente altre specie. Inoltre l’allevamento difende quella parte della specie che si trova in natura rendendo vano il bracconaggio e difendendola dall’estinzione. Per di più, allo stato controllato si possono fare studi impossibili in natura.
DIDATTICA & CULTURA
Origini e genetica del Canarino Mosaico di SERGIO LUCARINI, foto B. ZAMAGNI ED E. DEL POZZO
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ome ho già ricordato (“I.O.” n° 12/19), il mio primo scritto sul “Mosaico” risale al 1988 (“I. O.” n° 10/88). Rispetto alla disputa che in quegli anni era in essere tra gli esperti del settore sulla possibilità o meno che il Cardinalino avesse trasmesso al Canarino il proprio dimorfismo, nella nota proposi una ipotesi diversa: in concomitanza degli innumerevoli accoppiamenti messi in atto per trasferire la capacità di metabolizzare il colore rosso, il Cardinalino non ha trasmesso anche il proprio dimorfismo e la propria disposizione cromatica ma, per sostituzione, inserendo la giusta chiave genetica, ha solo fatto affiorare nel Serino una forma caratterizzata da un dimorfismo più evidente. A distanza di oltre trent’anni sono tornato sull’argomento perché, imbeccato dal mio amico Gianmaria Bertarini, nel
Il Cardinalino non ha trasmesso anche il proprio dimorfismo e la propria disposizione cromatica Foto 1 - Maschio di Verdone Citrino, foto: B. Zamagni
web sono inciampato in un interessante lavoro dove la Dott.ssa Malgorzata Anna Gazda relaziona su una sua ricerca incentrata sul dicromatismo a livello sessuale nei Fringillidi. In estrema sintesi, possiamo dire che la ricercatrice, dopo aver confrontato il DNA di diverse
specie in possesso di un più o meno spiccato dimorfismo sessuale, giunga, tra l’altro, alla conclusione secondo cui la forma “mosaico” presente nel Canarino di colore derivi dalla introgressione di un tratto genico lasciato in eredità dalle reiterate ibridazioni con il Cardi-
nalino del Venezuela. In pratica, conferma la mia ipotesi del 1988! Giovanni Canali, ritenendo che sia la mia ipotesi sia la conclusione della Dott.ssa Gazda non collimino con i riscontri che possiamo estrapolare dalle esperienze pratiche di allevamento, ha
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pubblicato diversi scritti a confutazione, dove vengono ribaditi i suoi convincimenti in merito. Condensabili in: “mosaico” è una mutazione spontanea, specifica del Canarino, che va con “brinato” ed “intenso” (anche quest’ultima, a suo parere, una mutazione esclusiva del Canarino) a formare quel trittico di forme genetiche (nell’ambiente ritenute tra loro alleliche, ma con qualche dubbio) che nell’ambito della specializzazione vengono inquadrate sotto il nome di categorie. Approccio da una diversa ottica Sono sessant’anni che mi interesso di ornitocoltura. In tutto questo tempo, le sfaccettature legate alle problematiche genetiche sono da sempre state la parte del gioco per me più interessante ed appassionante. In tempi passati, però, se si esclude quanto apparso nei Diamanti mandarino, se volevi ra-
gionare di “tematiche genetiche” era verso il Canarino che dovevi prestare attenzione. Poi, per fortuna, in anni successivi, anche nella “Specializzazione E.F.I.” (Estrildidi, Fringillidi e loro Ibridi) siamo stati travolti da innumerevoli nuovi fenotipi. In questo turbinio di novità, a volte sovrapponibili a quanto conosciuto in canaricoltura, altre volte invece del tutto inedite, pian piano, una acquisizione dietro l’altra, mi si è formata in testa un’immagine di insieme che aveva una sua logica: le mutazioni sono ubiquitarie, vanno cioè oltre la singola specie. Con questa consapevolezza mi si è aperto un mondo. Un solo esempio sulla positività di tale visione: in canaricoltura è ancora oggi attuale un dibattito circa la possibilità che possa esistere il Bruno Satiné. Secondo me, nello specifico, questa situazione è figlia dello schema mentale che agli specialisti del settore induce
Foto 2 - Femmina di Verdone Citrino. Una evidente “mosaico”, foto: B. Zamagni
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la rigida suddivisione nei “4 tipi base”, uno dei pilastri su cui si regge la canaricoltura di colore. Sulla base di quanto acquisito nell’allevamento dei Verdoni, nei primi anni ’90 scrissi una nota in proposito. In ambito E.F.I. tale scritto evidentemente è stato risolutivo, tanto che da allora, per quello che riguarda la genetica legata al fenotipo “satiné” non abbiamo più avuto il minimo dubbio. Questo aneddoto va a rafforzare il mio convincimento che alzare lo sguardo per vedere cosa succede fuori dal proprio orto è una mossa che paga. Tornando all’argomento in oggetto, discorso analogo penso si possa fare anche per lo schema delle “3 categorie”. Personalmente, non credo che a proposito della genetica che lega brinato e mosaico si possa fare una schematizzazione rigida, con netti rapporti di dominanza/recessività come di solito traspare dalle note che a queste forme vengono dedicate. In tali scritti leggiamo infatti che mosaico è dominante su brinato; poi, però, tra le righe viene riferito che nelle mescolanze tra Brinati e Mosaico portate avanti senza precisi intenti selettivi si ottengono soggetti di cui si fa fatica a distinguere la categoria: …Nei ceppi in cui si bada solo all’intenso e si mescola il brinato e il mosaico, gli intensi sono intensi, ma i non intensi si fa fatica a capire quando sono brinati o mosaico (G. Canali – “I.O.” n° 1/20 pag. 52). In materia, uno scritto a mio parere importante è anche quello di Gaetano Zambetta (Presidente della C.T.N. Colore) apparso su “Alcedo” n° 89/2016. In questo articolo, tra l’altro, leggiamo: … Riprendendo il filo del discorso principale, sostengo che la distinzione dei Canarini nelle tre categorie brinato, intenso e mosaico debba essere limitata all’ambito espositivo. A livello genetico, invece, esiste la mutazione autosomica dominante che determina l’intenso e non esiste una ulteriore mutazione dello stesso gene (né di nessun altro), che determina il fattore mosaico. Condivido quello che dice Chillé quando parla di geni quantitativi……L’Autore, nella stessa nota, riporta una sua esperienza di allevamento riguardo ad una selezione portata avanti nell’arco di molti anni
basata su accoppiamenti intenso x mosaico: …In prima generazione, utilizzando un maschio intenso proveniente da un accoppiamento intenso x brinato, con una femmina mosaico (…) i figli non intensi sono una via di mezzo tra il mosaico e il brinato. Nelle generazioni successive, accoppiando i figli intensi di nuovo con soggetti mosaico (…) i figli non intensi assomigliano sempre di più al mosaico con manifestazioni fenotipiche non proprio uniformi. Sulla base della progressività nei risultati descritta da Zambetta, e da quanto scritto da Canali, penso non sia sbagliato, come minimo, parlare di dominanza intermedia tra le forme mosaico e brinato con una discreta presenza di “geni minori”, che con il loro importante contributo vanno a determinare quella base di variabilità sulla quale ha modo di agire la nostra selezione. Ho riflettuto a lungo sulle interazioni a livello fenotipico appena descritte, cercando altresì di collegarle in qualche modo alle risultanze del citato lavoro della Dott.ssa Gazda ed anche alle puntuali eccezioni in merito portate dall’amico Giovanni. Alla fine sono riuscito a farmi un quadro d’insieme che fila abbastanza. Detto questo, il problema non da poco è ora quello di mettere giù questo “quadro d’insieme” in modo comprensibile. Sul brinato Per quello che riguarda questa categoria Canali ha idee nette; è stato infatti da lui ribadito più volte che si tratta di una situazione che il Canarino sia selvatico che domestico condivide senza eccezioni con tutti i Fringillidi. L’idea di base che sta dietro le tre canoniche categorie del Canarino è infatti che sia la mutazione intenso che la mosaico siano manifestazioni genetiche peculiari ed esclusive del Canarino domestico. Cioè a dire che tutti i Fringillidi sia selvatici che di allevamento siano dei brinati. Questa visione “canarino-centrica” secondo me è sbagliata sia per quello che riguarda il mosaico che per l’intenso. Più avanti, parlando del mosaico, proverò ad approfondire il mio pensiero in merito. Qui concentriamoci brevemente sulla genetica del brinato.
Foto 3 – a) Canarino ventregiallo; b) Canarino solforato; c) Canarino di Donaldson. Specie geneticamente affini differenziate nelle manifestazioni cromatiche da specifici alleli. Tavola tratta da CLEMENT, HARRIS e DAVIS - "Fiches & Sparrows"
Il Canarino selvatico è un brinato. In ambito E.F.I., considerando che il suo fenotipo non è soggetto ad alcuna mutazione, rispetto agli altri due componenti del trittico, cioè intenso e mosaico, lo definiremmo il “tipo base”. La sua variabilità a livello di espressione dei lipocromi, cioè maggiore o minore estensione della depigmentazione della parte apicale delle penne tectrici, è addebitabile ad un rumore di fondo dato da un numero discreto di geni e/o di alleli che convergono nella formazione della brinatura. Tra questi geni “minori” o “modificatori”, sono certamente da conteggiare anche quelli correlati che codificano per la qualità delle parti cornee, in particolare per l’estensione delle barbe. Come dal punto di vista biochimico avvenga tale depigmentazione ce lo ha ben spiegato lo studio della Dott.ssa Gazda: è stato individuato un gene, BCO2 (β-carotene ossigenasi 2), che catalizzando la degradazione ossidativa dei lipocromi scinde una molecola di carotenoide in due apocarotenoidi (1), molecole più corte prive di capacità pigmentanti. Il meccanismo è relativa-
mente semplice: mentre l’attività di BCO2 si esplica a livello cutaneo, il suo grado di espressione è mediato da una serie di geni che codificano a monte. In questo caso, i sopra descritti “geni modificatori” o “geni minori” che codificano per le depigmentazioni degli apici delle barbe inviano un segnale che va ad attivare con precise scansioni temporali la capacità di BCO2 di degradare le molecole carotenoidi nella fase precoce della formazione delle penne. Prima di chiudere questa parte, volendo legare geneticamente le tre canoniche categorie, possiamo banalmente dire che è nel genoma del tipo base non mutato, il brinato, che andremo a posizionare i due loci conosciuti tra loro indipendenti “Int” (Intenso) e “Ms” (Mosaico); naturalmente in tale forma base nei due siti saranno presenti i rispettivi alleli non mutati, cioè “Int+” (non intenso) e “Ms+” (non mosaico). Non è quindi giusto parlare di “mosaico” allelico a “brinato”, in quanto “mosaico” è allelico a “non mosaico” che è uno dei tanti geni che danno il loro contributo alla caratterizzazione del fenotipo di base, il brinato.
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Foto 4 - Maschio di Carpodaco messicano. Soggetto caratterizzato da un “mosaicismo” naturale molto marcato
Omettendo tutte le considerazioni ed i risvolti che la cosa comporta, è evidente che i sopra evidenziati “geni modificatori”, presenti nel tipo base, gli unici sensibili alla nostra opera di selezione, saranno gli stessi che ritroveremo, più o meno attivi o più o meno silenti, nel genoma delle due forme mutate. Ovviamente anche “Ms” ed “Int” (le due forme mutate) andranno ad impattare con la funzione di BCO2, sommando i propri peculiari input biochimici a quelli trasmessi dai “geni modificatori”, il primo amplificandoli (massiva contrazione delle aree pigmentate), il secondo inibendo il processo (stop alla degradazione dei lipocromi). Sul mosaico Come sopra detto, è ferma convinzione di Giovanni che i Fringillidi, selvatici o domestici, siano tutti dei bri-
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nati. Personalmente non condivido. All’opposto, sono certo che la grande parte delle specie comprese in tale famiglia (ripeto a livello di lipocromi) siano degli evidenti dimorfici. Nei Verdoni il dimorfismo è eclatante (vedi foto 1 e 2). Tra i Canarini africani (Gen. Crithagra) ci sono specie nettamente dimorfiche, a fronte di altre che, altrettanto nettamente, non presentano dimorfismo (vedi foto 3). Stessa situazione di disomogeneità la troviamo negli Spinus: il Cardinalino del Venezuela, ad esempio, è un dimorfico, mentre il Lucherino petto nero non lo è. Ne ho citate solo alcune, ma nella Famiglia Fringillidae quelle da ritenere specie spiccatamente dimorfiche a livello di diffusione dei carotenoidi sono, a mio vedere, la maggioranza. Dal punto di vista genetico come giustifichiamo questa situazione? Più volte nei miei scritti ho evidenziato il
fatto che ci siano sequenze genetiche essenziali che negli esseri viventi sono molto conservate. I meccanismi di produzione e modulazione dei pigmenti, siano essi melanine che lipocromi, sono costituiti da sequenze molto antiche, identiche in un insetto, in un mammifero o in un pesce. In questo ambito di uniformità dei meccanismi, la variabilità sopra descritta è data dalle forme alleliche, forme cioè con diversi gradi di azione codificante (o regolatrice) che mappano nello stesso sito genico. Geni diversi che per la loro parte assicurano quella variabilità che è il motore dell’evoluzione. Nel caso in discussione, la maggiore o minore divergenza cromatica tra i due sessi è data da alleli che hanno un diverso grado di sensibilità nei confronti dell’assetto ormonale. Anche questi sono geni che lavorano a monte di BCO2. Ad esempio, nella femmina di Canarino ventregiallo Crithagra flaviventris (foto 3), evidentemente, c’è un allele che, caratterizzato da una spiccata sensibilità rispetto allo stato ormonale femminile, codifica per una forte attivazione di BCO2, quindi per una degradazione massima dei lipocromi; invece nella femmina di Canarino solforato Crithagra sulphuratus (foto 3) l’allele presente risulta refrattario all’influsso ormonale, quindi il segnale inviato a BCO2 è molto più debole, la degradazione del lipocromo non si attiva e le penne hanno modo di colorarsi in modo consistente. In questi due casi, in una ottica canarinicola, potremmo dire che il Canarino solforato è un brinato, mentre il congenere Canarino ventregiallo, che all’opposto presenta uno spiccato dimorfismo, sempre nella stessa ottica possiamo definirlo un mosaico. Queste manifestazioni fenotipiche anche opposte, che, come detto, sono codificate da alleli diversi, nei casi citati coesistono nell’ambito dello stesso Genere, ma a ben vedere possono coesistere anche nell’ambito della stessa specie, soprattutto se questa abita areali vasti ed è soggetta a periodiche migrazioni con relativo continuo rimescolamento genico. Tra le femmine di Verzellino o di Lucherino europeo possiamo trovare di quelle diffusamente
gialle o, all’opposto, di quelle con il giallo solo nelle canoniche zone di elezione, cioè spalline e sopraccoda. Tra questi estremi c’è tutta una sequenza di forme intermedie. Differenze che sono, appunto, dettate dalla spiccata eterozigosi degli alleli sopradetti presenti nella popolazione. Le specie isolate in areali ristretti, di norma, presentano invece fenotipi molto più uniformi; questa realtà è provocata da un fenomeno che va sotto il nome di effetto del fondatore, dove le frequenze alleliche ereditate dai pochi soggetti isolatisi risultano di norma decisamente meno variegate rispetto a quelle possedute dalla più vasta popolazione originale. Questa, penso, è la situazione genetica che in qualche modo collega il Canarino selvatico con il suo cugino continentale, il Verzellino. In quest’ultimo, per la specifica caratteristica, nel locus “mosaico”, c’è un alto numero di alleli, mentre per il Serino delle Canarie il ventaglio delle possibili alternative è molto più ristretto. Incroci e reincroci Arrivati a questo punto, è evidente dove io stia andando a parare: nel Canarino selvatico, per la funzione di cui ci stiamo occupando, è prevalente un allele relativamente refrattario rispetto allo stato ormonale. Per questo il suo dimorfismo, pur presente, è piuttosto scarso. Nel Cardinalino, invece, nell’omologo locus, è presente un allele che permette l’estrinsecazione di un ben percepibile dimorfismo. Circa cento anni fa, alla ricerca del Canarino rosso iniziarono le massive ibridazioni tra lo Spinus e il Serino domestico. A questo punto del discorso, una delle domande che vengono poste è: come mai i Canarini dimorfici non sono apparsi subito? La risposta credo vada ricercata nel fatto che al tempo non si sapeva della possibile esistenza della forma a dimorfismo accentuato: quello che si cercava era la massima espressione del rosso. Gli F1 maschi, per lo specifico locus del “mosaicismo”, erano degli eterozigoti, in possesso cioè di un allele ereditato dal padre Cardinalino ed uno ereditato dalla Canarina. Data la dominanza intermedia nell’espressione dei due alleli (come sopra
indicato), i maschi ibridi erano difficilmente distinguibili rispetto ad un classico brinato, mentre le femmine erano considerate semplicemente degli inutili soggetti scarichi di colore, da allontanare al più presto dall’allevamento. Data la sterilità di queste ultime, i maschi F1 venivano accoppiati a loro volta a delle Canarine brinate: ecco quindi che metà degli R1 prodotti risultavano essere degli omozigoti per l’allele “non mosaico”, erano cioè dei brinati ben colorati. Essendo questi probabilmente più rossi dei fratelli eterozigoti, erano quelli che venivano di preferenza riaccoppiati, ovviamente sempre con Canarine brinate. Così di seguito anche nelle stagioni successive. In definitiva, per una mera questione probabilistica, la selezione operata dai primi allevatori del Canarino “a fattori rossi”, una stagione dopo l’altra, portava inconsapevolmente ad assottigliare la possibilità che l’allele per il mosaico trasmesso dallo Spinus restasse presente nei successivi reincroci. Fortunatamente, però, queste ibridazioni venivano portate avanti massicciamente, quindi è certamente successo che diversi alleli “mosaico”, nonostante la selezione avversa, ab-
biano potuto insinuarsi clandestinamente nel genoma della popolazione dei Canarini, che nel frattempo stavano diventando sempre più rossi. Il punto di svolta in questa ricostruzione arriva con le femmine di quarta generazione (R3): queste, a volte, cominciano a manifestare un certo grado di fecondità. L’altra variabile, come descritto, è nella possibilità, non alta, che alleli “mosaico” possano essere arrivati nel loro genoma. Quando si verifica questa fortunata coincidenza, tali femmine accoppiate a maschi portatori di analogo assetto genetico hanno un 25% di possibilità di generare figli dimorfici; tra questi rari soggetti, ecco finalmente le prime femmine dimorfiche omozigoti, le prime vere mosaico. Soggetti inediti e vistosi che, fresche di parentela con il Cardinalino, certamente presentavano zone di elezione intense e contrastanti sul piumaggio “bianco gessoso”. L’epopea del Canarino mosaico (lipocromico), anche se faticosamente, aveva a quel punto preso il via. I melaninici, da parte loro, per diverso tempo sono ancora andati avanti senza che gli allevatori stessero troppo a sottilizzare circa la loro appartenenza all’una o all’altra categoria.
Mosaico rosso maschio, foto: E. del Pozzo
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Vecchi mosaico e nuovi mosaico incistate legando il lump e poi inciDopo che furono apparse le prime dendolo, ci siamo cimentati nell’imfemmine vistosamente mosaico, per presa. Io reggevo la povera bestiola anni prevalse negli allevatori la cone mio suocero operava. Alla vista del vinzione che non esistessero maschi sangue mi sono mancate le gambe e mosaico. Idea certo sbagliata: evidenmi è venuto da vomitare. Effettivatemente quei pionieri non erano in mente, se avessi scelto di fare il chigrado di distinguerli. Poi qualcuno più rurgo, sarei morto di fame. Alla beattento si è accorto dello stacco stiola, poveretta, è andata purtroppo bianco all’altezza dell’attaccatura peggio. delle zampe. Furono così finalmente Quello iniziale, per i Canarini lipocroriconosciuti i famosi maschi dimorfici. mici mosaico, nonostante scelte sePrima li chiamavano “Salmonati porlettive poco ortodosse, è stato cotatori di mosaico”, nella convinzione munque un periodo veramente che il fattore coinvolto fosse sessoesaltante. Tutti allevavano mosaico. legato. In proposito, ho condotto una faticosa ricerca tra le mie vecchie riviste stratifi- Mosaico rosso avorio maschio, foto: E. del Pozzo cate alla rinfusa in un armadio. Per il Canarino mosaico, pur fra diverse incertezze circa i meccanismi genetici coinvolti, quello iniziale penso sia stato il periodo migliore, con manifestazioni cromatiche che rispecchiavano il dimorfismo “naturale”. Successivamente, è prevalsa la convinzione che anche i maschi dovessero diventare smaccatamente mosaico ed è stato così che ci si è messi a selezionare i soli geni selezionabili, quelli “additivi” sopra citati, ovvero quelli, come detto, presenti già nella forma base (il brinato), forzandoli in direzione della massima brinatura (ricordo che questi geni concorrono, assieme al gene principale “mosaico”, ad attivare la funzione di BCO2). Con questo obbiettivo da raggiungere, si è arrivati presto a rovinare tutto. In breve, sono stati selezionati piumaggi improponibili, presenza di brinatura nelle zone di elezione, lumps, etc. Ho vissuto in diretta quella fase assieme a mio suocero, che era un appassionato di Canarini mosaico. Ricordo che un giorno, dopo aver letto un articolo che prospettava la possibilità di poter asportare le piume
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Dopo qualche tempo è successo anche un fenomeno nuovo, non compreso ma molto importante: ad un tratto sono comparsi e si sono rapidamente diffusi dei “nuovi mosaico”, animali con una marcia in più in direzione del mosaicismo, con maschi naturalmente predisposti verso cromatismi quasi femminili. Cosa era successo in quel frangente? Sono state fatte molte ipotesi in merito; la più gettonata era quella che vedeva un possibile inserimento clandestino dei Gloster nelle linee selettive. Questo è quanto scriveva in proposito il francese Michel Darriguez (“Uccelli” 7-8/1982): … Fu una rivelazione allorquando l’amico Ascheri portò dall’Italia qualche femmina spettacolare, ma soprattutto qualche maschio. In seguito abbiamo supposto che certi allevatori italiani abbiano captato un secondo dimorfismo sessuale dal Canarino Gloster. Infatti, contrariamente ai discendenti del Cardinalino (piume corte e fini) la piuma del Gloster è lunga e larga, ed è così, con l’addizione di due fattori che sono nati i mosaico di “nuovo tipo”. Al tempo, altri si sono spinti ad ipotizzare l’interazione con l’avorio, o addirittura con il bianco dominante. Ovviamente nulla di tutto ciò! La realtà è che, senza che noi ne avessimo avuto sentore, per lo specifico locus era apparsa una nuova mutazione, un inedito allele (oggi, per tristi consuetudini, diremmo una variante) che, grazie alle preferenze degli allevatori, è andato in breve a sostituire quello vecchio acquisito con le ibridazioni. Ricordo che allora venivano chiamati “mosaico di tipo 2”. Questa nuova situazione non è ovviamente una esclusiva del Canarino, poiché in natura tra i fringillidi ci sono diverse specie che presentano tale tipo di spinto mosaicismo, con maschi caratterizzati da aree di
colore veramente ridotte. L’avvento nel genoma del Canarino di questo nuovo assetto genetico ha consentito, in parte, di superare le vecchie problematiche selettive. Per arrivare a quella che nei criteri di giudizio è ritenuta anche nei maschi l’ottimale contrazione delle zone di elezione, non è più necessaria la esasperata forzatura dei “geni additivi”, tesa a spingere a manetta la funzione di degradazione dei carotenoidi da parte del gene BCO2, con tutti i risvolti sul colore e sul piumaggio che questo comporta. C’è un’ultima osservazione che vorrei condividere con l’amico Giovanni: agli esordi, quando veniva accoppiato un mosaico vecchio tipo con un brinato, il risultato era un intermedio che dai meno esperti poteva essere confuso con un brutto brinato. Lo stesso accoppiamento fatto con un mosaico moderno, quello che dagli argomenti che ho prospettato risulta in possesso di un allele più drastico nella degra-
dazione dei lipocromi, è presumibile che sia in grado di produrre sul mantello dei figli un equilibrio più spostato verso un ben riconoscibile mosaicismo, sia pure con espressioni non canoniche. A questo punto la domanda è: forse questa differenza di risultati tra quello che vediamo oggi e quello che succedeva quaranta/cinquanta anni fa ha originato le nostre differenze di vedute nell’analisi del fenomeno? Arrivato a questo punto, dato che di spunti per nuove discussioni ne ho espressi in abbondanza, magari è meglio fermarsi qui. Ero partito con l’idea di scrivere due righe, invece me ne sono sfuggite un tantino di più. La speranza, quindi, è di non aver abusato della pazienza di quei pochi che hanno la bontà (o l’incoscienza) di andarsi ad impantanare appresso al mio ritorto argomentare. A costoro riservo un caro saluto e tutta la mia più umana comprensione.
NOTA (1) Quando il carotenoide che viene scisso da BCO2 è il beta-carotene, si formano due molecole di vitamina A o retinolo. Questa vitamina ha un’importanza fondamentale per la vista poiché insieme ai suoi precursori, i carotenoidi, fa parte dei componenti della rodopsina, la sostanza presente sulla retina che dà all’occhio la sensibilità alla luce. La vitamina A è inoltre utile per lo sviluppo delle ossa e per il loro rafforzamento nel tempo. Un vantaggio, questo, per le femmine che, presentando meno lipocromo nella livrea, possono disporre di maggiori dosi di vitamina A in circolo garantite dalla forte attivazione del gene BCO2. Cosa certamente utile in fase di importante prelievo di calcio dalle ossa durante la deposizione.
BIBLIOGRAFIA M. A. GAZDA: A genetic mechanism for sexual dichromatism in birds – “Science” 368, 1270-74, 2020 G. ZAMBETTA: Osservazioni sulle varie teorie riguardanti le origini del Canarino mosaico – “Alcedo” 89/2016 G. CANALI: Domande sul mosaico – “Italia Ornitologica” 2/2021 G. CANALI: Considerazioni sul rosso e il mosaico – “Italia Ornitologica” 1/2020
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ESTRILDIDI FRINGILLDI IBRIDI
Il Verdone ambra Una mutazione ormai consolidata di PIERCARLO ROSSI, PAOLO OCCHIODORO e BRUNO ZAMAGNI, foto P. OCCHIODORO e B. ZAMAGNI
I
l Verdone (Chloris chloris), grazie alle ultime mutazioni apparse in ambito ornitologico (ambra, mascherato, pastello etc.) ha trovato nuova linfa vitale e ad oggi il numero di estimatori di questa splendida specie è sicuramente in aumento. Circa quattro anni or sono, sulle pagine della nostra bella rivista scrissi un articolo sulla mutazione AMBRA, con la speranza di aumentare il numero degli estimatori di questa affascinante mutazione e con il tentativo di creare uno standard d’eccellenza. Dopo quattro anni vorrei fare il punto sull’evoluzione di questa mutazione,
Il Verdone è certamente l’uccello che ha la più lunga ed intensa storia di selezione domestica grazie anche all’amico Paolo Occhiodoro che, con la sua travolgente passione, mi ha aiutato in questo mio scritto. Mi chiamo Paolo Occhiodoro, allevo verdoni da circa trent’anni e sono iscritto alla Associazione AORV con RNA 483S. Ho allevato, nel corso degli anni, verdoni in tutte le mutazioni, anche se la mia preferita è l’agata di cui prediligo le femmine con un grigio molto marcato ed un ottimo disegno, di gran lunga, a parere mio, più belle dei maschi. Il Verdone è certamente l’uccello che ha la più lunga ed intensa storia di selezione domestica; deve presentare una strut-
Maschio Verdone ambra, foto e all.: Paolo Occhiodoro
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Maschio di Verdone ambra, foto e all.: Paolo Occhiodoro
tura imponente, che esprima robustezza e forza, mostrando inoltre un disegno ornamentale a “grani” e righe, realizzato dall’addensamento di pigmento eumelanico nero e bruno. Questi disegni devono risaltare in modo netto rispetto al fondo omogeneo e uniforme. Partendo da questi presupposti, negli anni ho sempre cercato di migliorare la selezione di questa specie nelle sue varie mutazioni. Ma parliamo ora dell’ambra: la svolta arrivò una quindicina di anni fa, quando alla mostra di Villa Potenza di Macerata, il Sig. Boccarusso espose tre soggetti, denominati allora topazio… e fu “amore a prima vista”.
Maschio agata portatore di Ambra, foto e all.: Paolo Occhiodoro
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Quello che vinse aveva un’ottima forma ed un gran lipocromo sul petto: mi colpì molto, passai molto tempo ad osservarlo. In quell’occasione ebbi la fortuna di conoscere Federico Boccarusso che, oltre ai topazio, aveva esposto dei soggetti mutati agata molto tipici come colore e disegno e con un ottima struttura. Chiesi informazioni sui soggetti topazio, ma lui rimase sul vago e mi disse che per il momento non ne aveva da cedere. Mi consolai pensando che, negli anni a venire, i soggetti disponibili di questa bella mutazione sarebbero aumentati, ma così non fu; infatti, i pochi soggetti presenti sul mercato avevano comunque un prezzo elevato, visto che si trattava pur sempre di un Verdone. Negli anni seguenti, nella ricerca di qualche ottimo soggetto per poter migliorare il mio ceppo, capitai a casa di Giuseppe Fortuna, dove riuscii a recuperare un bellissimo maschio agata con un lipocromo molto acceso, che in seguito si rivelò essere portatore di lutino.
Negli anni ho sempre cercato di migliorare la selezione di questa specie nelle sue varie mutazioni
Femmina di Verdone ambra, foto e all.: Paolo Occhiodoro
Da questo maschio, accoppiato con una mia femmina, ottenni delle femmine lutino molto tipiche e di taglia. Alla fine della stagione riproduttiva, visto che non amo la mutazione lutino, decisi di tenere soltanto un maschio ancestrale, sempre bello carico di giallo. La successiva stagione cove accoppiai quel maschio ad una Verdona agata più chiara ed ottenni un numero importante di soggetti molto chiari, sia maschi che femmine (forse mascherate). Non convinto del risultato ottenuto, visto che ciò che volevo ottenere era l’ambra, decisi di cedere questi soggetti. La scarsità di soggetti presenti in mostra, mi convinse ad andare a Fringillia con la speranza di riuscire a trovare qualcosa di interessante. Vorrei soffermarmi solo per un attimo su questa manifestazione che, grazie al suo ideatore Bruno Zamagni, bravissimo allevatore ed ottimo giudice, negli anni, con la collaborazione di un team di collaboratori tra cui Renzo Esuperanzi, sempre prodigo di consigli, ha saputo regalare a tutti gli appassionati del settore una vetrina unica per tutte le nuove mutazioni, e soggetti sempre al top per quelle già consolidate. Ma tornando agli ambra, la svolta arrivò nel 2016 quando, sulle pagine di Italia Ornitogica, lessi l’articolo di Piercarlo Rossi proprio sulla mutazione ambra e riuscii a scoprire come era nata: da un
Femmina di Verdone ambra, foto e all.: Paolo Occhiodoro
maschio agata portatore di lutino per una femmina lutina, e che il soggetto l’anno successivo fu accoppiato ad un ancestrale, per verificare se si trattava realmente di una nuova mutazione. Così avvenne, ed il maschio più bello fu accoppiato alla madre, ottenendo così i primi “ambra”. Leggo e rileggo l’articolo… l’arcano era svelato, l’ambra non era più un tabù. A seguito delle diverse prove genetiche, si è capito che questo fattore è allelico all’agata, con la seguente scala AGATAMASCHERATO-AMBRA E LUTINO. Ora sapevo come muovermi, mi sarei accontentato di un semplice portatore, oppure di un soggetto non proprio al top. Purtroppo, per impegni personali, non riuscii a recuperare nulla quell’anno e decisi di rimandare il tutto al 2017. Con la solita euforia che ci pervade, eccomi di buon mattino in viaggio alla volta di Morciano di Romagna: alle otto ero già in mostra, ma dovetti aspettare l’apertura ufficiale delle 9. Entrato in mostra scambio, incontrai Sandro Smeraldi che aveva alcuni soggetti, ambra appunto, da cedere; mi consigliò di andare a vedere quelli esposti e, come spesso accade, persi di vista l’obbiettivo recandomi in mostra. Osservai molto attentamente diversi soggetti ingabbiati ed una volta tornato in mostra scambio, con estremo rammarico, verificai che tutti i soggetti ambra
Maschio Verdone ambra, foto e all.: Bruno Zamagni
erano stati venduti; unico soggetto rimasto, un maschio agata sicuro portatore, che acquistai immediatamente. Tornai in mostra con Sandro che, vista la mia caparbietà e la mia passione per questa mutazione, mi cedette inizialmente una femmina e poi, tartassato dalle mie richieste, anche un maschio, molto probabilmente della stessa covata. Tornai a casa molto soddisfatto: finalmente ero riuscito a reperire dei soggetti di questa splendida mutazione, anche se sapevo che la strada era ancora lunga ed il lavoro selettivo solo all’inizio. I soggetti recuperati si adattarono presto alla nuova alimentazione e, grazie all’abbondanza di erbe prative fornite, raggiunsero in breve tempo un’ottima forma fisica ed un ottimo stato di salute. Nella prima stagione cove (2018), ottenni cinque soggetti ambra e diversi portatori; fui molto soddisfatto ma, come dice il buon Renzo Esuperanzi, fui colto da “raptus dell’allevatore “ ed anche quell’anno a Fringillia acquistai un
I soggetti recuperati si adattarono presto alla nuova alimentazione
Femmina Verdone ambra, foto e all.: Bruno Zamagni
buon numero di soggetti mutati sempre da Smeraldi, così da giungere alla successiva stagione riproduttiva “strapieno” di soggetti ambra. Il mio spazio di allevamento mi permette di allestire un numero limitato di coppie, e così ad inizio stagione, a malincuore, cedetti alcuni dei soggetti ambra, quelli che avevo cercato per anni. Allestii otto coppie formate da maschi agata portatori per femmina ambra e maschio ambra per femmina agata. Fu un’ottima annata che mi permise di ottenere una quarantina di soggetti, alcuni molto ben disegnati, di qualità sicura-
Maschio Verdone ambra, foto e all.: Bruno Zamagni
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mente superiore a quella da cui ero partito. A parere mio questa mutazione si manifesta al meglio dal secondo anno di vita, quando il lipocromo giallo raggiunge il suo massimo splendore ed i disegni sono maggiormente apprezzabili. Nella stagione riproduttiva 2020, a causa degli sbalzi climatici primaverili, i soggetti messi in riproduzione sono partiti tardi ed ho ottenuto venticinque soggetti; non mi lamento, anche perché ho ancora tutti i riproduttori e dei soggetti novelli interessanti su cui lavorare. Dopo questa bella chiacchierata sull’ambra, sperando di fare cosa gradita ai lettori, vorrei raccontarvi quali sono le mie metodologie d’allevamento e quale alimentazione fornisco ai miei verdoni. Il mio allevamento è posto all’aperto e le coppie sono poste in voliere artigianali, con il solo frontale in rete zincata 8x8 con le seguenti misure: 160 cm di lunghezza 80 cm di altezza e 70 cm di profondità. Sul fondo amo porre rena
Super Nidiata di 6 Verdoni ambra, foto e all.: Bruno Zamagni
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Il mio allevamento è posto all’aperto e le coppie sono poste in voliere artigianali, con il solo frontale in rete zincata 8x8
molto fine; per evitare fughe, ho costruito sportelli molto piccoli che nel tempo mi sono accorto risultano poco pratici per il recupero dei soggetti con il guadino. Durante il periodo riproduttivo utilizzo sia nidi a gabbietta, sia i nidi a cestino, un paio per voliera, sempre posti all’interno, adeguatamente infrascati con vecchi alberi di Natale o altro materiale verde, sempre in plastica. Per la costruzione del nido fornisco muschio, erbette secche, sisal e fibre di
cocco. Le Verdone costruiscono degli ottimi nidi, anche se a volte un po’ di materiale viene sprecato. Negli anni non ho mai utilizzato balie. Definirei la mia alimentazione spartana, infatti somministro un comune misto per canarini, con l’aggiunta di girasole nero e striato, di quello che si trova nei consorzi in proporzione di 3 parti di nero ed 1 di striato. Fornisco inoltre, durante tutto l’anno, erbe prative in base al periodo e verdure di stagione soprattutto durante il periodo riproduttivo, alcune le coltivo io, di altre ne faccio incetta negli incolti. Condivido pienamente quanto asserito da Pierluigi Mengacci, l’orto-ornitologo, circa il loro utilizzo che ha effetti benefici sulla salute e sul piumaggio degli uccelli. Le erbe prative che utilizzo abitualmente sono: crespigno infiorescenza e foglie, tarassaco, senecio, centocchio, cicoria coltivata e selvatica: l’infiorescenza si trova da metà giugno a tutto agosto, io la raccolgo al mattino quando i fiori sono aperti, una parte la somministro e il restante lo pongo in un secchio con l’acqua che cambio giornalmente. Così facendo la posso somministrare per due o tre giorni; lo stesso sistema lo adotto anche per l’infiorescenza delle lattughe. Uso inoltre la portulaca che cresce abbondante in estate, bietole, spinaci, l’infiorescenza della colza, di cui i verdoni ne vanno matti, il panico selvatico che cresce nelle stoppie alla fine dell’estate; sono un vero maniaco delle erbe prative e mi piace molto fermarmi ad osservarli mentre se ne cibano, potrei definirle indispensabili nel delicato periodo della muta. Nel periodo estivo, inoltre, fornisco girasole immaturo: taglio le teste ricche di semi e poi le divido in base alle dimensioni, una volta poste nelle voliere vengono immediatamente prese d’assalto dai miei beniamini. In questo momento, mentre sto scrivendo, si fanno delle vere e proprie scorpacciate di piracanta insieme alla cicoria ed alle foglie di cavolo. Durante l’allevamento dei nidiacei utilizzo anche del pastone secco con i semi germinati, ma da sempre lo considero una cosa complementare, visto il numero abbondante di erbe prative e le verdure fornite.
Fornisco inoltre, durante tutto l’anno, erbe prative in base al periodo e verdure di stagione
Vitamine antibiotici etc. è un mondo che non conosco e che non mi appartiene; mi piace allevare in modo naturale, le mie nidiate sono composte da 2 o 3 soggetti, lascio che la natura faccia il suo corso. Ho deciso di scrivere queste mie esperienze con il Verdone ambra, con la speranza che le nuove leve, o allevatori già consolidati, possano essere invogliati ad intraprendere questa nuova avventura, come era successo a me dopo aver letto l’articolo di Piercarlo, e fare selezione puntando alla qualità e non alla quantità.
Nido con pulli di Verdone ambra (1 maschio e 2 femmine), foto e all.: Paolo Occhiodoro
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Penso inoltre che il benessere animale sia fondamentale, è una cosa a cui tutti noi dovremmo sempre fare riferimento. Mi auguro inoltre che la CTN EFI si impegni al più presto a realizzare uno standard d’eccellenza, per una selezione sempre più mirata, per tutti gli allevatori che come me “vivono” giornalmente questa mutazione. Dopo questa interessante esperienza raccontataci da Paolo, vorrei riportare, a conclusione dell’articolo, le opinioni di Bruno Zamagni, altro grande estimatore di questa mutazione. Bruno partì da un soggetto di sesso maschile donatogli dal Signor Boccarusso, il “creatore” di questa mutazione nata nel suo allevamento, denominata inizialmente topazio, ed esposta a Fringillia nel 2007. Grazie a quel maschio, Bruno, alla successiva stagione cove, si rese conto che la mutazione aveva una trasmissione di tipo recessiva sesso legata. Ulteriori prove hanno dimostrato essere allelica ad agata, mascherato e lutino, piazzandosi essa tra mascherato e lutino. Il colore degli occhi nei pulli appare di un rosso scuro che li fa assomigliare al colore dei pulli di Cardellino aminet, tanto da pensare trattarsi della stessa mutazione (come si evince dalla foto). Bruno, che è un pratico, sta pensando
Pullus a confronto: a destra Verdoni ambra a sinistra Cardellini aminet
per il 2021 a una prova di complementazione per l’opportuna verifica. Per quanto riguarda gli accoppiamenti, Bruno mi dice di prediligere ambra x ambra perché questo gli consente di tenere meglio sotto controllo il processo di miglioramento. Talvolta intro-
La mia esperienza con i colombacci
C
on particolare emozione, vi invio questa foto scattata da un mio amico durante un momento di allenamento del mio grandissimo esemplare di colombaccio. Era un colombaccio cresciuto nel mio allevamento che ho usato come “volantino” e “zimbello”. Avendo contattato amici del club del colombaccio, mi hanno confermato che un soggetto del genere è rarissimo averlo allenato come “volantino”. Sono un vostro socio con sigla 51MS e continuo ad allevare colombacci, ma difficilmente avrò un soggetto come Cocò (così lo chiamavo). Non vi nascondo che, dopo la sua morte, non ho più avuto voglia di averne altri di quel valore, anche perché non è per niente facile reperirli. La foto è stata scattata nei boschi di Tricarico in provincia di Matera. Un abbraccio e buon lavoro a tutti. VITO TESTONE
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duce femmine agata per perfezionare il disegno dorsale e il colore di remiganti e timoniere. Esse devono essere un compromesso tra melanina nera e bruna: è proprio questa combinazione che dà il nome alla mutazione.
CANARINI DA CANTO
La Klokkende di qualità: gioie e dolori di FAUSTO BOSI, foto R. GABRIELE
L
a nostra amata Klokkende, come deve essere emessa dal nostro canarino per essere valutata di ottima qualità? Acqua, profondità, cadenza, vocali: sono le caratteristiche in ordine di priorità che contraddistinguono la qualità di una ottima Klokkende.
Acqua Può sembrare semplice spiegare che durante l’emissione di questa fantastica nota si deve sentire il suono dell’acqua emergere in netta evidenza rispetto alla forma (flauto) che compone la Klokkende. Non tutti riescono a comprendere questo aspetto e confondono il suono cupo del flauto profondo con il suono dell’acqua. Capisco che se non si è abituati o non si ha la possibilità di aver ascoltato Klokkende di alta qualità, questo aspetto non è semplice da comprendere. L’apertura mentale e la voglia di capire sono risvolti fondamentali per essere predisposti a comprendere la bellezza e la qualità di un’ottima Klokkende. Certamente con le parole non è per niente semplice spiegare. Cercherò di farlo con il cuore… Ho impiegato tantissimi anni per capire bene quale fosse il metodo migliore per far emettere un’ottima Klokkende ai miei cantori. Beh, ho ancora tanto da capire, ma i miei soggetti hanno sempre emesso Klokkende di qualità. “Non sono completi, però”… commentavano molti. Nessuno però ha mai
Scuola canto
detto “non hai delle belle Klokkende”. Per tanti anni ho scelto di non essere competitivo con i miei cantori ai concorsi, pur di concentrarmi e curare Klokk acquose, lente e prolungate. Brividi! Brividi! Brividi! quando sul ta-
Non tutti riescono a comprendere questo aspetto e confondono il suono cupo del flauto profondo con il suono dell’acqua
volo di ascolto i canarini mi hanno entusiasmato con le loro meravigliose e profonde Klokkende. Torniamo a noi. Abbiamo parlato della componente “acquosa”, priorità di un’ottima Klokk. Profondità Pensiamo alla Klokkende come ad una grossa goccia d’acqua che cade in un contenitore. Questa grossa goccia d’acqua deve sentirsi cadere in un grande recipiente, non in un bicchiere, differenza sostanziale per una Klokk profonda. Più il recipiente è grande più la nota assume profondità e qualità. Se questo recipiente si trovasse in una grotta sotterranea invece che all’aperto, farà suonare la goccia in modo ancora più profondo.
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Cadenza La goccia che cade nel grande contenitore, nella grotta sotterranea, deve cadere in modo lento, con pause ben percettibili e nette. Più queste gocce cadranno lentamente, più la nota assumerà qualità. La goccia però non dovrà perdere acqua durante il percorso impiegato per raggiungere il recipiente, altrimenti la forma (flauto) che prima era sommersa dall’acqua, verrà fuori evidente e abbasserà il valore della nota; delle volte perderà tutta l’acqua durante il percorso e la nostra meravigliosa Klokkende si trasformerà in un ottimo flauto. Ora vi domanderete, come si fa a non far perdere l’acqua durante l’emissione della nota al nostro cantore? Eccoci, entriamo in gioco noi allevatori che, con la selezione intensa, accurata, il lavoro duro, costante, lungo, cercheremo di formare gole con ca-
… noi allevatori che, con la selezione intensa, accurata, il lavoro duro, costante, lungo, cercheremo di formare gole con caratteristiche tali da non far perdere acqua durante l’emissione della nota ai nostri cantori
ratteristiche tali da non far perdere acqua durante l’emissione della nota ai nostri cantori.
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La consultazione è abilitata a tutti, anche se non registrati
Vocali Di conseguenza, se la nostra goccia cade in un grosso recipiente (nella grotta), suonerà con vocali o-u-ouuo-tali da valorizzare la nostra nota. Se invece la nostra goccia cadrà in un bicchiere all’aperto, suonerà con vocali i-ui-oi che, come tali, faranno perdere qualità alla nostra Klokk. Semplice, vero? Può sembrarlo ma, capisco, non lo è. Il punto da cui partire è capire dove vogliamo arrivare. Se non abbiamo chiaro l’obiettivo, dove andiamo? Spero che il mio cuore abbia parlato in modo semplice, chiaro ed efficace, per chiarire meglio quale sia l’obiettivo da raggiungere. Buon lavoro a tutti, e spero di incontrarvi in quella grotta sotterranea ad ascoltare insieme quelle meravigliose GOCCE.
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Risposta all’articolo “Il Canarino Malinois Waterslager: La Klokkende” (pubblicato su Italia Ornitologica, numero 12 – anno 2020)
H
o letto l’articolo in disamina e mi sarei aspettato dall’autore un testo incentrato su consigli per allevatori novizi e pareri riguardo l’allevamento del Malinois, ma soprattutto permeato di opinioni personali nell’addestramento al canto dei canarini e su esperienze genetiche fatte in questa magnifica nota (Klokkende). Invece ho trovato tutt’altro… In risposta asserisco che: “L’aspetto Tecnico lasciamolo trattare ai Giudici della categoria e in modo particolare alla Commissione Tecnica Nazionale. Come stabilito dall’articolo 2 e dall’articolo 7 del Regolamento CC.TT.NN. – F.O.I.” Ho letto: • critiche sui criteri di giudizio, ma non si è capito se l’autore si riferisse ai criteri di giudizio dell’edizione 1995 o ai nuovi criteri di giudizio, redatti dall’ultima Commissione Tecnica Nazionale Canto, ancora in fase di pubblicazione dalla F.O.I. • citazioni da testi oramai obsoleti, “tramontati” in quanto risalenti l’anno 1970 • notizie che non conoscevo sui “meticciamenti” Veniamo al dunque: Sono trascorsi 50 anni da quando l’apprezzatissimo Giuseppe Mignone scrisse il testo citato. Amici, giudici, allevatori e appassionati, questo meraviglioso canarino da canto nel corso di questo mezzo secolo è cambiato e lo abbiamo ripetuto per anni. Se ascoltassimo registrazioni o dischi incisi in quel periodo, noteremmo che la citata nota “Klokkende” non era che un flauto molto profondo. Dov’era la nota d’acqua? Per merito di alcuni allevatori, purtroppo pochi, bisogna ammetterlo, si è arrivati ad oggi, dopo un’attenta e perseverante selezione, ad ascoltare delle Klokkende completamente diverse: profonde, lente, morbide, ricche di risonanza acquosa. Nulla a che vedere con quelle di 50 anni fa. Dalle vocali i, ui, oi si è passati a
quelle o, u, uo, ou che conferiscono profondità, rotondità e, insieme alla componente prevalente d’acqua, danno qualità alla nota. Un’evoluzione di riguardo che non è stata minimamente considerata dall’autore dell’articolo. Nel corso degli anni la C.T.N. ha cercato, con sforzi non indifferenti, di mettere in evidenza tutto questo tramite ascolti con gruppi di allevatori, presenze alle Mostre del Club Malinois e soprattutto aggiornamenti con i colleghi Giudici della categoria. Speriamo di riprendere nell’immediato futuro, pandemia permettendo, il precedente progetto. Purtroppo molti allevatori, non riuscendo ad ottenere risultati altamente positivi, cercano di portare avanti ancora teorie vecchie e superate, creando disorientamenti agli allevatori novizi e, a volte, anche dubbi agli allevatori esperti. Riguardo la monotonia del canto, argomento molto complesso e direi strettamente personale, dico solo che può essere monotono per molti un soggetto che ripete spesso la Klokkende; per altri, invece, è monotono il canto di un canarino che ripete continuamente le melodie secondarie del repertorio Malinois. I gusti non si discutono! La cosa che piuttosto tutti dovremmo perseguire è la qualità, nonché la priorità di una gola geneticamente costruita per emettere note profonde e acquose, caratteristica peculiare del Malinois. Bellen, Belrol, Fluitenroll e Flauti possono essere emessi anche da Sassoni, Timbrado ecc. Mentre le note Klokkende, Bollende, Rollende, Tiokken possono essere emesse solo da Malinois, perché solo loro sono dotati di una “siringe” capace di emettere certi particolari tour. Veniamo ora all’argomento “meticciamento”: non capisco con quale supponenza si scriva e si dichiari tutto ciò. Il motivo è l’aver ascoltato qualche flauto che ricorda l’Harz Roller? Ipotizziamo anche che il nostro meraviglioso cantore sia stato incrociato con l’usignolo… Spesso, in realtà, possiamo ascoltare dai cantori Malinois delle meravigliose Tiokken e suoni metallici che ci ricordano molto il canto dell’usignolo, ma speriamo che non venga scritto che ci sia un meticciamento anche in questo caso. Per concludere, vorrei invitare tutti gli appassionati, allevatori e giudici a scrivere su Italia Ornitologica, tenendo sempre presente che il nostro obiettivo è quello di scrivere per formare e non quello di scrivere per demolire. Il Commissario Tecnico Canto GABRIELE ROBERTO
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Questo mese, il protagonista di Photo Show è: ANTONIO VITRANO RNA FZ51 con la fotografia che ritrae il soggetto “AGI (femmina)” Complimenti dalla Redazione!
• Invitiamo tutti gli allevatori a inviare foto di soggetti provenienti dai propri allevamenti, con descrizione della specie, razza e mutazione, all’indirizzo: redazione@foi.it
• All’autore della foto mensilmente prescelta da un comitato interno, verrà offerto in omaggio un libro edito dalla FOI in base alla preferenza e alla disponibilità.
(*) Tutte le foto inviate, anche quelle non pubblicate, rimarranno a disposizione della FOI a titolo gratuito e potranno essere utilizzate, senza alcun limite o vincolo temporale, per pubblicazioni, iniziative e scopi promozionali della Federazione
VETERINARIO
Sessaggio molecolare, diagnosi precoce e non invasiva testo e foto di EMANUELE D’ANZA (*)
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primi sistemi di selezione e miglioramento genetico applicati sia per scopo ludico che per necessità zootecnica, storicamente, sono stati quelli messi in pratica nell’allevamento avicolo. Troviamo tracce di domesticazione e allevamento di volatili già nel Paleolitico. Le dimensioni degli animali, la semplicità di gestione e la velocità nella riproduzione hanno influito tanto e positivamente sulla diffusione di questo tipo di allevamento. L’obiettivo di appassionati e allevatori è permettere la riproduzione dei propri uccelli con continuità e cadenza temporale. L’assenza di dimorfismo sessuale o la manifestazione di tale dimorfismo solo negli stadi adulti, soprattutto se prendiamo in analisi alcune specie esotiche, rende necessario il ricorso a sistemi diagnostici, clinici o chirurgici per la determinazione certa e/o rapida del sesso. Nel caso degli uccelli, a differenza dei mammiferi, il sesso eterogametico (quello che presenta due cromosomi differenti) è quello femminile, rappresentato dalla coppia di cromosomi sessuali ZW, l’omogametico (due cromosomi uguali) quello maschile rappresentato dalla coppia ZZ. Basandosi su questa differenza, è stato scelto il gene CHD1 localizzato su en-
(*) Medico Veterinario, PhD, Postdoc Researcher
Fig. 1: esempi di campioni effettuati in maniera corretta, penne grandi, calami con cellule o con sangue.
L’assenza di dimorfismo sessuale o la manifestazione di tale dimorfismo solo negli stadi adulti, rende necessario il ricorso a sistemi diagnostici, clinici o chirurgici
trambi i cromosomi sessuali (Z e W) ma differente per lunghezza ed è stata messa a punto una PCR (Reazione a Catena della Polimerasi) che evidenzia questa differenza. Pertanto, dopo amplificazione ed elettroforesi, si individueranno due bande per il sesso femminile ed una banda per il sesso maschile. Il margine di errore di questa tecnica è pressoché nullo, purché si faccia attenzione a non confondere i campioni. Gli aspetti positivi sono molteplici: non è invasivo e pericoloso per la salute dei
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Fig. 2: esempi di campioni effettuati in maniera NON corretta; con questo tipo di campionamento è difficile assicurare il recupero di un quantitativo di DNA sufficiente ad effettuare un sessaggio molecolare
soggetti, anche se si consiglia di far effettuare il prelievo al Medico Veterinario o a personale esperto; si può effettuare su soggetti di qualsiasi età purché abbiano piumaggio; le specie su cui praticarlo sono moltissime ed è un processo in continua evoluzione; si può praticare senza movimentare gli animali, semplicemente spedendo penne e piume.
La procedura è molto semplice: basta inviare, in una bustina chiusa e ben identificata, un campione di PENNE con calamo sufficientemente grande; il calamo, a sua volta, conterrà le cellule che useremo per l’estrazione del DNA. È importante effettuare il campionamento in maniera corretta (Fig. 1), inviando almeno 2 o 3 PENNE e un nu-
Fig. 3: Esempio di elettroforesi per sessaggio molecolare. Le frecce indicano il diverso profilo dei due sessi: una banda sesso maschile, due bande sesso femminile
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mero consono di piume. Le piume più piccole che spesso vengono spedite sono inutili (Fig. 2). In laboratorio, il campione viene sottoposto ad estrazione del DNA ed amplificazione tramite PCR ed elettroforesi (Fig. 3). Il Servizio di Diagnostica Genetica viene svolto presso il Laboratorio di Genetica Veterinaria (GENENVET) del Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali, Università degli Studi di Napoli “Federico II”. GENENVET si interessa da 15 anni di genetica e citogenetica animale. Nel 2018, al fine di fornire al territorio un servizio di consulenza e diagnostica genetica ulteriore, GENENVET ha attivato presso l’OVUD (l’ospedale veterinario
Nel 2019 è stata stipulata una convenzione tra la F.O.I. e il Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali (GENENVET)
didattico universitario) il servizio di Sessaggio Molecolare dei volatili, con la possibilità di ampliare, nel prossimo futuro, le tipologie di analisi di cui poter usufruire. Nel 2019 è stata stipulata una convenzione tra la FOI e il Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali (GENENVET) che offre la possibilità di avere uno sconto sull’acquisto di pacchetti di analisi. I soci FOI possono acquistare pacchetti da 10 analisi al costo di 55 euro iva compresa (5,50 euro a sessaggio). Dall’acquisto del pacchetto si avranno 12 mesi per usufruire delle analisi, 24 mesi se l’ordine supera 100 analisi. Il referto ufficiale sarà inviato via e-mail entro 10 giorni lavorativi dal ricevimento del campione e comunque dopo il pagamento, da effettuare esclusivamente via bonifico. Per contatti: https://www.mvpa-unina. org/Ospedale/diagnostica_genetica.xhtml e-mail: genenvet@unina.it Tel: 081.2536502 Lun-Ven, 9:00-13:00
S pazio Club I
l giorno 8 ottobre 1989 si è costituito a Firenze il Club Allevatori e Amatori del Canarino di forma e posizione Lizard, denominato “Lizard Canary Club Italiano”, con sigla L.C.C.I. Nel primo statuto veniva specificato che “il Club non ha fini di lucro ed ha quale scopo di facilitare e stimolare iniziative atte a diffondere la diffusione, la conoscenza e i relativi aggiornamenti dello standard, nonché la tecnica espositiva del canarino Lizard”. Lo statuto specificava inoltre che “possono far parte di questo Club allevatori regolarmente iscritti ad Associazioni italiane a loro volta regolarmente iscritte alla F.O.I.”. I soci fondatori del Club sono stati: Benussi Ernesto, Fanfani Piero, Giordano Nicola, Passignani Giuliano, Fermi Fernando, Lucarelli Ermindo, Malinconi Ferdinando, Bartalini Andrea, Moretti Mario, Migliori Elio, Iaconi Pierluca, Scaperrotta Angelo, Pacini Mauro, Falchini Gianpietro, Castellucchio Antonio, Cammilli Francesco, Palumbo Antonio, Anceschi Walter, Ferrantini Maurizio e Lorenzo Favia. Il primo presidente è stato Ernesto Benussi e il primo segretario Piero Fanfani. Negli anni il Consiglio direttivo del Club ha visto l’alternarsi di varie figure di Allevatori, giudici, amanti della razza Lizard e tutti hanno operato con competenza e dedizione; l’ultimo presidente è stato il primo, Ernesto Benussi.
Da sinistra Giammarco Orazi, Furio Coppelli, Piero Fanfani, Nicola Giordano, Benedetto Bianco, Guglielmo Carillo - al centro Giorgio Massarutto
Negli ultimissimi anni il Club ha presentato, purtroppo, una battuta d’arresto e di recente è risultato dimissionario tutto il Consiglio direttivo. Pertanto, Il giorno 10 Gennaio 2021, presso l’abitazione privata del socio Fanella Marco (Art. 2366 c.c.) si è riunita l’Assemblea Straordinaria dei Soci del Lizard Canary Club Italiano, Assemblea tenuta con modalità telematica per rispettare i protocolli anti Covid 19. Dopo la disamina della situazione del momento, i soci sono pervenuti alla determinazione unanime di riprendere tutte le attività di un Club di specializzazione, affiliato alla F.O.I. Dopo successive riunioni telematiche e l’approvazione dei soci aventi diritto a partecipare all’Assemblea, è stato eletto il Consiglio direttivo del Club, che poi ha distribuito le varie cariche come segue: Presidente: Piero Fanfani; Vice-Presidenti: Giorgio Massarutto e Guglielmo Carillo; Segretari: Benedetto Bianco e Nicola Giordano; Consiglieri: Furio Coppelli e Giammarco Orazi. Il Lizard Canary Club Italiano ha già redatto una bozza di programma che verrà inviato per la pubblicazione in tempi brevi. Si fa presente che è stato aperto un nuovo sito (www.lizardcanaryclubitaliano.it) e che è attivo il nuovo indirizzo e.mail (segreteria@lizardcanaryclubitaliano.it); il numero per messaggi WhatsApp è il seguente 3474651796 (vice-presidente Guglielmo Carillo). Coloro che desiderano iscriversi al Club devono compilare e rispedire alla segreteria del club un apposito modulo, che verrà esaminato dal Consiglio Direttivo; tale modulo può essere scaricato dal sito alla pagina https://www.lizardcanaryclubitaliano.it/iscrizioni o richiesto tramite WhatsApp (3474651796). Il Direttivo del Club si augura di poter operare con rinnovata energia, con entusiasmo e trasparenza, in un clima di vera amicizia e al servizio dei soci, con l’unico fondamentale obiettivo di salvaguardare e promuovere il canarino Lizard.
Club di specializzazione
Lizard Canary Club Italiano
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DIDATTICA & CULTURA
Conoscere gli errori testo di GIOVANNI CANALI, foto E. DEL POZZO e S. GIANNETTI
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i dice: “historia magistra vitae”, certo, però perché la storia sia maestra bisogna conoscerla. Altrimenti si tende a ripetere sempre gli stessi errori. Esiste anche una tendenza personale alla ripetizione di certi errori, legata al carattere, e non sempre l’esperienza riesce a contenere tale tendenza. È un aspetto psicologico che non è il caso di affrontare in questa sede, del resto non ne sarei ben capace. Quello che intendo sottolineare è che bisogna conoscere la storia. Diverso, ma non troppo, è lo studio di un fenomeno. Anche quando si studia un certo fenomeno è bene partire dall’inizio; infatti,
Nero ala grigia mosaico rosso, foto: E. DEL POZZO
spesso ci sono delle concatenazioni o comunque dei precedenti che bisogna conoscere. Per quanto mi riguarda, di regola, parto dall’inizio per affrontare qualsiasi tema. Talora sono stato perfino scherzosamente criticato; un conoscente mi disse che quando mi chiedeva una cosa, per rispondere partivo sempre da Adamo
Un erroraccio tipicamente italiano è l’esterofilia
ed Eva. Gli spiegai che è necessario partire dall’inizio, altrimenti è facile che le spiegazioni non siano veramente tali ma diventino affermazioni, magari corrette, ma non ben argomentate e che quindi possono lasciare dubbi. Un erroraccio tipicamente italiano è l’esterofilia. Si guarda con favore o almeno interesse a tutto ciò che ci proviene dall’estero, mentre si tende a sottovalutare ciò che è italiano. Anche le persone rientrano in questa pessima ottica, ed è l’aspetto più grave. Questo accade, incredibile a dirsi, anche nei campi ove siamo all’avanguardia.
Nero mosaico rosso maschio, foto: E. del Pozzo
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Nel nostro ambiente di allevatori amatoriali, di errori ne sono stati commessi moltissimi e talora con gravi conseguenze. Tali errori riguardano diversi campi; ne citerò alcuni, partendo dal ramo che mi è più vicino e cioè il canarino di colore. Sperando di fornire una bussola utile. Un primo errore riguarda il mosaico a tutto campo. Il primo aspetto è stato quello di chiamare il mosaico così; infatti, in campo scientifico per mosaico si intende altro, cioè un soggetto in parte di una caratteristica ed in parte di un’altra. Per rimanere nel campo delle categorie, un vero mosaico “naudiniano” dovrebbe essere metà intenso e metà brinato o qualcosa di simile. Il nostro mosaico avrebbe dovuto essere chiamato in modo diverso, ad esempio: gessato, per indicare l’aumento di brinatura fino al bianco gessoso che mette in evidenza (ma non aumenta realmente) il dicromismo sessuale. Ulteriore aspetto gravemente errato si ebbe nel ritenere che fosse il dimorfismo del cardinalino a generare il mosaico e, addirittura, che il maschio cardinalino fosse intenso, mentre l’intenso è mutazione dominante e sub letale che non può certo essere forma selvatica, come si nota anche considerando la normalità delle produzioni cutanee, segnatamente delle penne, non certo paragonabili a quella dell’intenso canarino. Questo inizio sbagliato ha favorito altri errori, come gli standard stessi, che prevedono caratteristiche impossibili da realizzare in maschi e femmine, circostanza che induce a seguire due linee selettive, una per i maschi ed una per le femmine. Non vado oltre avendo già ampiamente parlato di questi aspetti in altre sedi. Un secondo errore è stato quello di cambiare il nome e la linea selettiva del nero – bruno chiamandolo nero, come se la feomelanina fosse un’intrusa, mentre fa parte integrante del piumaggio
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del canarino selvatico. Si consideri che la natura non si può prendere in giro e non serve cambiare i nomi. Il primo tipo originale è il nero – bruno. Fra l’altro, i fautori del nero con minima feomelanina non argomentavano in modo tecnico ma si riferivano alla necessità, solo presunta, di uniformarsi all’estero, dicendo anche che erano più belli ecc. ma niente argomenti veramente tecnici. Collegato a questi discorsi, un altro errore, vale a dire quello di un presunto fattore ottico, in realtà inesistente, che avrebbe generato il nero. Da non confondere con il mono melanico che invece esiste ed è una mutazione, oggi difficile da far riconoscere proprio perché simile agli attuali neri con poca feomelanina. Ci sarebbe da dire molto di più, ma rimando ad altre precedenti pubblicazioni per ragioni di spazio. Un terzo errore riguarda la varietà a tutto campo. Recentemente è stato cambiato l’ordine
Yorkshire lipocromico, foto: S. Giannetti
Lizard dorato, foto: S. Giannetti
L’alimentazione colorante da nido danneggia l’estetica
della classificazione mettendo la categoria prima della varietà. C’è poco da girarci intorno, nel canarino di colore ciò che contano principalmente sono i colori e, poiché i colori sono generati da melanine e da carotenoidi, non può esservi dubbio alcuno che le voci principali siano: il tipo, attinente alle melanine, e la varietà, attinente ai carotenoidi. La categoria non è certo secondaria, anzi importantissima, poiché agisce a tutto campo ed interferisce anche sull’espressione di tipo e varietà, ma un’interferenza non può essere più importante di ciò su cui interferisce. Inoltre, non si può certo dire che un giallo bri-
nato sia simile ad un rosso brinato, più di quanto non lo sia nei confronti di un giallo intenso. Aspetto gravissimo è dato dal fatto che la varietà è incredibilmente sottovalutata: 10 punti nei melanici sono del tutto inadeguati. Così facendo, la varietà viene dopo due voci morfologiche quali il piumaggio e la “proporzioni e forma”, nonché messa alla pari del portamento. Come minimo si dovrebbe ridurre il portamento a 5 punti ed aumentare la varietà a 15, anche se 15 punti, secondo me, sono ancora pochi. C’è chi sostiene un aspetto molto dubbio, cioè che la varietà sia facile da selezionare. Non condivido affatto questa tesi, ma anche se la varietà fosse più facile da selezionare delle voci morfologiche, sarebbe comunque più importante in una razza di colore. Il peso di una caratteristica è dato dalla sua importanza estetica, non da vere o presunte difficoltà selettive.
Non confondere le somiglianze con le identità
Un quarto errore lo commettono all’estero già da tempo ed è quello di considerare l’ali grigie tipo staccato dal pastello, di fatto una mutazione allelica. Lo segnalo per evitare tendenze ad uniformarsi, poiché non ci si deve uniformare agli errori. L’ali grigie è prodotto dall’effetto di geni modificatori che agiscono sul carattere prodotto dal pastello, creando tutta una serie di gradazioni. Se fosse una mutazione allelica potremmo avere solo 2 tipi di femmine: la pastello e l’ali grigie, niente intermedie; fra i maschi al massimo 3 espressioni, quindi anche l’intermedio. All’estero evidentemente non conoscono gli
Arricciato del Sud lipocromico, foto: S. Giannetti
Gibber italicus lipocromico pezzato, foto: S. Giannetti
studi miei e di Alfonzetti. Un quinto errore riguarda l’alimentazione colorante da nido, che danneggia l’estetica ed ostacola una buona selezione delle varietà. Ne ho disquisito ampiamente. Un sesto errore è stato quello di accettare il disegnino nell’isabella opale, che comporta minore diluizione del tipo base. Questo al fine di assecondare l’estero, ove questo canarino non era mai stato apprezzato. Quando si è dalla parte della ragione non ci si deve flettere, meglio rinunciare. Un settimo errore gravissimo lo si commette nell’agata di diversi tipi aggiunti, quali pastello, opale e topazio, andando verso disegni pesanti, vale a dire poco diluiti come tipo base; poi ci si lamenta se i portatori non son tipici. Nell’opale addirittura si sottovaluta talora l’azzurro, che è fondamentale. Nel topazio si è cambiata la descrizione di “testa di moro”, che andava bene, per sostituirla con “seppia” che si badi, per una certa scala di colori, spesso usata in botanica, andrebbe benissimo (è una tonalità di marrone), ma pochissimi la conoscono e quasi tutti pensano al nero di seppia che non c’entra nulla, creando un equivoco. Un ottavo errore gravissimo, uno dei più gravi in assoluto, è stato quello di veder premiare, specialmente all’estero, come opale, sia nei neri che nei bruni, canarini in realtà non opale ma appartenenti a mutazioni alleliche o ingannevoli intermedi, dimenticando l’azzurro e, soprattutto, il fatto che l’opale abbassa l’eumelanina nella pagina inferiore della penna ed i suoi alleli no. Uscendo dal campo canarini di colore, almeno in prevalenza, segnalo alcuni errori, talora gravi. Il primo può riguardare anche il canarino di colore ma è più noto per indigeni ed esotici. Non bisogna confondere le somiglianze con le identità. Essere simili o so-
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miglianti non significa essere uguali. Spesso è capitato di ritenere corrispondenti mutazioni che erano in realtà solo simili. È capitato con il pastello ed anche con l’opale. Chiamare con il nome di un’altra mutazione una nuova simile, significa aumentare la confusione. Potrebbe volerci molto poi a rimediare. Basti pensare al nero pastello scambiato per agata nell’organetto ed altro ancora. Il fatto ulteriore è che, quando le mutazioni scambiate seguono linee compatibili si rimedia abbastanza bene, ma quando le linee sono opposte, come nero pastello ed agata, la storia si fa dura come il ferro. Sarebbe bene dare lo stesso nome, per evitare confusioni di segno opposto a quanto detto sopra, quando le mutazioni sono veramente le stesse. Si deve quindi fare un esame comparato attento e, in caso di dubbio, dare un nome diverso e provvisorio, magari anche un numero, alla mutazione probanda. È in uso l’accoppiamento ibrido per valutare se esiste o meno complementazione. Oggi si parla di gene Himalaya nel canarino, ma probabilmente è solo una somiglianza. Il secondo direi che spetta al Lizard. Razza straordinaria che presenta caratteristiche uniche. Ebbene c’è chi indulge a meticciamenti, circostanza da riprovare fermissimamente. Il Lizard è in un equilibrio delicatissimo, pertanto è un gravissimo errore accettare caratteristiche diverse da quelle tipiche. Fra l’altro, per avere le migliori scaglie, il nero è il più adatto per il migliore contrasto. Un ulteriore errore è commesso proprio dagli inglesi che dovrebbero essere i più attenti; infatti, usano l’alimentazione colorante rossa. Tale circostanza nasconde il fondo giallo, che ha caratteristiche uniche nel Lizard per mancata elaborazione dei carotenoidi, ed è più carico rispetto a quello degli altri canarini. Sporcarlo di rosso vanificandolo è pessima cosa, spero che non ci sia nessuno che voglia adeguarsi, ma non ci metto la mano sul fuoco. Il terzo lo commisero i tanto decantati allevatori inglesi con lo Yorkshire, facendo estinguere il bellissimo York
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Per avere una nuova razza occorrono caratteristiche nuove e trasmissibili, ma non possono essere i difetti di altre
dell’anello, sottile ed elegante, considerato non più moderno. Da bambino ricordo di aver visto gli ultimi esemplari. Dopo il meticciamento con il Norwich, lo York si è modificato molto, avendo principalmente una testa ed una parte superiore in genere ben diversa. Ebbene, avrebbe dovuto essere evidente che era stata creata una nuova razza, anche molto bella; invece si decise che il primo York dell’anello fosse un modello superato. Sarebbe stato molto meglio che si considerasse il nuovo canarino così prodotto come qualcosa di diverso, una razza diversa e pregiata quale è, e dargli un nome diverso. Al limite “carota”, visto che all’inizio lo si descriveva come una carota capovolta. Invece si condannò a morte un canarino bellissimo ed elegante, considerando il nuovo come un superamento e non come una diversa realtà.
Oggi ritroviamo alcune caratteristiche dello York dell’anello in altre razze, come il Bernois ed il Llarguet. Il quarto è riconoscere come razze stirpi di canarini che altro non sono che difettosi rispetto ad una razza consolidata. Per avere una nuova razza occorrono caratteristiche nuove e trasmissibili, ma non possono essere i difetti di altre. Inoltre, occorre una riconoscibilità abbastanza evidente e soprattutto caratteristiche degne di nota. Vogliamo parlare di Melado tinerfeño e Gibboso rispetto all’Arricciato del sud ed al Gibber? Questo non significa che si debba essere contrari alle novità, ad esempio io vedo con qualche interesse il TorZuino, che ha in effetti caratteristiche particolari. Il quinto e generico, è che sarebbe bene non esagerare con certe forme e con certi piumaggi. Ad esempio, io non vedo con favore le razze che hanno un ciuffo o un piumaggio tale da coprire gli occhi. Una condanna alla cecità, anche se parziale e solo di alcuni mesi, non la ritengo pregevole. Ritengo che la funzionalità non debba mai essere sacrificata. Vi sarebbero anche altri temi, ma penso di aver dato un quadro sufficiente. Sperando in confronti costruttivi, concludo.
I NOSTRI LUTTI
In ricordo di un Amico
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l 15 marzo scorso è deceduto ad Andria (BT), Giuseppe Aruanno, socio da oltre 20 anni dell’Associazione Ornitologica Nord Barese - A.O.N.B. - Trani (BT) e sempre presente nelle varie manifestazioni del nostro sodalizio. Ai familiari esprimiamo profondo cordoglio per la triste circostanza luttuosa. Il Consiglio Direttivo e tutti i soci dell’A.O.N.B. con sede in Trani
CRONACA
Voliamo Esagerare testo e foto di MARIA KATIA DANIELI
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li uccelli da compagnia possono certamente essere una fonte di benessere mentale ed emotivo per i loro proprietari e quanti ne entrano in contatto. Per chi è timido e introverso, un pappagallo sulla spalla apre un nuovo mondo di opportunità facilitando l’interazione con le persone incuriosite dall’animale. Il velo della depressione che alcuni portano, specialmente gli anziani all’interno delle strutture residenziali, viene sollevato quando un pappagallo dice “Ciao” o si accoccola sulla loro spalla. Nei bambini con mancanza di auto stima, un pappagallo che sceglie di posarsi su di loro piuttosto che su qualcun altro diventa motivo di orgoglio diminuendo la tensione. In genere, gli animali sono capaci di percepire le emozioni dell’uomo e di mostrare il loro affetto tramite gli occhi e il linguaggio del corpo, a differenza del pappagallo che può anche esprimere verbalmente la sua empatia. Da un’attenta osservazione dei pappagalli in relazione a diverse tipologie di persone, nasce il progetto ludico ricrea-
Attività presso la struttura per disabili gravi “Suor Armanda”, nel progetto sostenuto dalla F.O.I.
Gli animali sono capaci di percepire le emozioni dell’uomo tivo “Voliamo Esagerare” che nel 2019 diventa anche un’associazione di promozione sociale. Negli ultimi sette anni è stato svolto un lavoro di ricerca da parte di un’equipe multi-disciplinare for-
mata da veterinari e coadiutore dell’animale, i quali hanno dimostrato gli straordinari benefici che la presenza di questo animale può portare al benessere delle persone. Le attività svolte dall’associazione sono di tipo ludico/ricreativo e zooantropologiche, gestite da una equipe multidisciplinare che scrive e svolge il progetto avvalendosi essenzialmente di due figure: il veterinario, che sarà responsabile del progetto e dell’approvazione
Novembre 2019, presentazione del progetto “Voliamo Esagerare”. Grazie alla F.O.I. e al Rotary Club di Pomigliamo d’Arco (NA)
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Attività zooantropologica in voliera con i ragazzi presso la sede dell’Associazione
delle specie con cui verranno svolte le attività, valutandone caratteristiche ed aspetti etologici e comportamentali, e il coadiutore dell’animale, anch’egli responsabile dell’attività, che si occuperà di seguire il pappagallo durante lo svolgimento del progetto. Ci si avvale anche di una terza figura professionale interna alla struttura alla quale ci si rivolge, che conosca le persone con le quali verrà svolta l’attività; nel caso di una scuola, un insegnante o un’educatrice, mentre in altre strutture, il professionista addetto a stare con i pazienti. La F.O.I. (Federazione Ornicoltori Italiani) da due anni sostiene il progetto Voliamo Esagerare donando fondi per
Attività zooantropologica e ricreativa nelle scuole
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la realizzazione di incontri all’interno di istituti per disabili e case di riposo. Il progetto più recente sostenuto dalla F.O.I. si sta svolgendo presso la Residenza Suor Armanda, gestita dalla cooperativa Socioculturale S.C.S. di Mira, dove hanno residenza 20 persone con diverse disabilità anche gravi. La finalità del progetto è quella di migliorare la qualità di vita delle persone residenti e stimolarle attraverso un percorso di conoscenza, confidenza e gioco, evocando il sorriso. Si vuole fornire alle persone ricoverate l’opportunità di sperimentare il contatto con i pappagalli, attraverso l’osservazione diretta, la conoscenza della specie e so-
prattutto la relazione interspecifica (uomo-animale). Le attività proposte saranno sia individuali che di gruppo, poiché la relazione con l’animale diviene uno strumento di mediazione per creare a sua volta una dimensione di relazione e condivisione tra tutti i partecipanti. Con le attività proposte alla singola persona, si vuole dare l’opportunità di sviluppare una relazione diretta con il pappagallo e di godere delle sue attenzioni. Un altro obiettivo del progetto è la realizzazione nella sala polifunzionale di uno spazio stabile, specificatamente a disposizione dei pappagalli, nella prospettiva di poter accogliere dei pappagalli all’interno della struttura. A tale scopo, il personale che si dedicherà al loro accudimento verrà opportunamente formato con corsi specifici organizzati dall’Associazione Voliamo Esagerare per fornire le necessarie competenze. L’obiettivo di questa parte del progetto (creare la ‘stanza dei pappagalli’) è quello di dare la possibilità alle persone residenti nella struttura di prendersi cura di qualcun altro, di avere durante l’arco della giornata delle piccole responsabilità nell’accudire gli animali con l’aiuto degli operatori e, cosa più importante, di creare un legame affettivo tra il pappagallo e la persona, che porti un cambiamento volto a migliorare le sue condizioni in termini di ‘benessere’. I pappagalli sono animali straordinari che, attraverso la loro relazione con le persone, riescono a stemperare le tensioni e migliorare l’umore; i benefici di questa relazione sono rivolti sia ai residenti, sia gli operatori della struttura che, a contatto con loro, possono contrastare la fatica e lo stress del lavoro rimanendo semplicemente in compagnia di questi amici con le piume, migliorando il tono dell’umore e creando un ambiente rilassante e divertente. Ogni laboratorio avrà la durata di circa un’ora e si strutturerà in diverse tipologie di attività, tutte attraverso il contatto con l’animale in un arco di tempo indeterminato definito dalle esigenze della struttura. I protagonisti di questa avventura saranno 10 stupendi pappagalli di specie diverse: cacatua, ara ararauna, grandi alessandrini, caicco testa nera e un ecletto.
Uno degli obbiettivi dell’associazione è anche quello di restituire una nuova vita a pappagalli recuperati da maltrattamenti o nati con malformazioni incompatibili con la vita in natura; tra questi, Chicco, cacatua galerita eleonora di 25 anni abbandonato dal suo proprietario precedente, dopo una vita di reclusione in una gabbia di dimensioni ridotte, o Sansone, piccolo cacatua roseicapilla nato, tra le altre cose, senza occhi. Le attività sono ricominciate recentemente dopo la chiusura causata dall’epidemia di covid-19; l’entusiasmo degli ospiti della struttura è stato grande e tutti hanno partecipato con trasporto e passione ai giochi proposti dalla coadiutrice degli animali. A inaugurare le attività è stato Blu, un pappagallo ara ararauna di un anno e mezzo con un’apertura alare di circa 70cm, che ha volato sopra le teste dei ragazzi suscitando meraviglia e emozione con i suoi colori sgargianti e la sua maestosità.
Sansone e i centri estivi presso la Sede dell’Associazione Voliamo Esagerare
Ogni lunedì i nostri amici piumati, a rotazione, faranno visita ai ragazzi della Residenza Suor Armanda per mantenere la promessa fatta di portare gioia
e allegria nelle giornate di queste persone. Grazie alla donazione F.O.I. tutto questo sarà possibile nei prossimi mesi.
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ALIMENTAZIONE
La Cicoria selvatica Un’erba amara di virtù antica testo e foto di PIERLUIGI MENAGCCI
Premessa Ogni qualvolta, mia mamma o mia nonna Ersilia, mi portavano con loro a raccogliere le erbe di campagna, per me, da piccolo, era un gran sacrificio. Dovevo tenere le borse e stare lì, fermo, a loro disposizione in attesa della raccolta e “conciatura” dei caspi; avrei preferito correre per i campi dietro ai “soffioni”…. Quelle “uscite obbligate” mi erano diventate quasi indigeste; poi, pian piano, raccolta dopo raccolta, ho iniziato ad essere “caccianès” (ficcanaso) e chiedere quali erbe fossero, a riconoscere quelle mangerecce ed infine a divertirmi nel cercarle e raccoglierle. Oggi, ripensando a quei pomeriggi passati nei campi, mi ritengo fortunato perché devo loro la conoscenza di alcune erbe selvatiche commestibili e, col passare degli anni, la voglia sempre maggiore di andare in campagna a cercarle e raccoglierle, non solo per la soddisfazione culinaria ma anche come esercizio fisico. Mi ricordo che un giorno, dovendo eseguire un rilievo topografico per la confinazione di un appezzamento di terreno agricolo, abbandonai la stadia e il rilievo si è trasformato nella raccolta di due sporte fra crespigno, tarassaco, radicchio e cicoria selvatici. Il mio collega topografo Corrado, a cui dissi che raccoglievo solamente due erbe per una cottura e per i canarini, dopo una mezz’oretta, spazientito, mi urlò:-” Dai Gigi, che… (tralascio le altre parole), finiamo questo rilievo o dai da mangiare a dei conigli, al posto dei canarini?!”Tanto era pieno quel campo di erbe commestibili che non avrei mai smesso
di raccoglierle! Questo per dirvi che per me ogni occasione è buona per una raccolta di erbe di campagna, comunque, sempre lontano da fonti inquinanti. Il tarassaco (i piscialèt), il caccialepre, gli stridoli, le rosette di papavero (le pavet), l’inconfondibile malva (di cui ho pubblicato su I.O. nelle annate 2016 e 2018 proprietà ed utilizzi), il crespigno, oltre alla cicoria selvatica (“i grogn” in dialetto, o “radèc”), erano le erbe ricorrenti che mi sono rimaste impresse per le loro diversità biologiche ed organolettiche. Per me i più difficili da riconoscere, finché non avevano emesso il fiorellino azzurro, erano i “grogn”, poi, pian piano l’occhio si è affinato e la cicoria selvatica è diventata una delle erbe selvatiche che raccolgo più volentieri, an-
«Le piante più umili sono a volte le più ricche di proprietà nascoste.» M. MESSÉGUÉ
che durante l’infiorescenza, per uso non solo culinario, ma per farne gustare oltre alle foglie anche i semini immaturi ai miei canarini. Nei miei appunti di “orto-ornitofilo”, ho raccolto nel tempo dati botanici, storici, curiosità e proprietà di quest’erba amara ma di virtù antica, che vado a descrivere nella speranza di fare cosa gradita ai lettori della nostra bella rivista Italia Ornitologica.
Cicoria in fiore
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Alcuni cenni botanici A questa famiglia di Asteraceae appartengono le cicorie selvatiche con nome scientifico Cichorium intybus L., (specie, sottospecie e varietà sono molto numerose). Per descrivere in maniera esaustiva botanicamente questa famiglia, bisognerebbe soffermarsi su tutte le tipologie di cicoria selvatica normalmente raccolte a scopo alimentare; ovviamente non è il caso, per cui vi racconterò solamente le mie esperienze con quelle più comuni di cui nel tempo ho conosciuto proprietà e qualità culinarie. Tra le varietà più diffuse di cicoria selvatica, nella mia zona c’è il cosiddetto radicchio selvatico (dalla foglia prevalentemente allungata e tondeggiante e con radice sottile) ed i “grogn” (dalla foglia invece frastagliata e con una radice più carnosa, a fittone, di colore scuro con varie radici secondarie). La cicoria selvatica o cicoria da campo, è una pianta erbacea perenne ed è definita tale poiché cresce allo stato brado; la troviamo in tutte le zone verdi erbose, nei prati e nei campi incolti, dal livello del mare fino ad alta quota, in qualsiasi tipo di terreno esposto o meno al sole, ricco di acqua o scarso. I suoi fiorellini azzurro-chiaro compaiono anche lungo i bordi delle strade, marciapiedi, percorsi pedonali, verdi condominiali, parchi, nelle crepe dei
Cicoria selvatica appena raccolta
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Fiore di cicoria
muri di case coloniche abbandonate, ecc. a dimostrazione che siamo di fronte ad “erbacce” molto rustiche, resistenti e tenaci. Io ho raccolto le infiorescenze con i semini in un appezzamento di terreno incolto nelle vicinanze della mia abitazione, le ho disseminate nel mio giardino ed oggi ho a disposizione, soprattutto in primavera ed autunno quando le foglie sono più tenere, cicoria selvatica anche per i miei canarini. La fioritura avviene da Giugno ad Ottobre e in quel periodo raccolgo anche gli steli con le sommità sfiorite ma ricche di semini che metto a disposizione dei canarini in voliera. I fiori sono capolini multiflori ermafro-
diti di color azzurro ceruleo con rigature bianche e assumono tonalità diverse nelle varie ore del giorno; pur essendo autofertili, vengono impollinati anche dalle api. Una particolarità: si aprono al sorgere del sole e si richiudono al tramonto. I frutti sono acheni ovoidali angolosi, allungati e lisci terminanti con una coroncina di squame. Ciascun apice dei frutti è sormontato da un breve pappo (appendice che favorisce la dispersione dei semi o dei frutti che la posseggono), tipo paracadute, simile al tarassaco; così, i semi trasportati dal vento si diffondono lontano dalla pianta madre, colonizzando nuovi territori. Oltre alle foglie, anche la radice, di sapore amarognolo, è commestibile; viene raccolta durante l’estate e si presta, essiccata, ad essere utilizzata come surrogato del caffè, per realizzare creme cosmetiche, per decotti o sciroppi che hanno proprietà diuretiche, depurative, ipoglicemizzanti, e che agiscono positivamente su fegato e bile. Curiosità storiche e credenze varie La cicoria selvatica, tra le piante spontanee che la natura ci offre dalla primavera fino a tutto l’autunno, era sicuramente conosciuta fin dai primi tempi della civiltà umana ed ha una lunga storia alle spalle. Viene citata addirittura, per le sue proprietà medicinali, nel papiro Ebers, il primo trattato medico egiziano pervenuto e risalente a 4000 anni a.C. Anche Plinio il Vecchio, grande naturalista, nella sua “Storia Naturale”, ne elogia le proprietà diuretiche, stomachiche e colagoghe. Mentre Galeno, famoso medico greco, la descrive come “amica del fegato”. Per queste ed altre proprietà, la cicoria veniva prescritta molto spesso sia dai medici greci che latini e con essa venivano curate molte malattie dell’addome. Nella mensa dei Romani, non mancava mai questa verdura che tenevano in grande considerazione per le sue proprietà, e veniva consumata in grandi quantità durante i famosi pasti luculliani. Apicio, nelle sue ricette, consigliava di usare infusi di cicoria e lattuga selva-
Proprietà e benefici della cicoria selvatica anche nell’alimentazione dei volatili Nella sottostante tabellina sono riportati i componenti chimici di questa pianta erbacea che apportano benefici all’organismo sia umano che dei volatili. Composizione chimica per 100gr di cicoria Fonte: USDA Database 100 grammi di cicoria hanno un apporto calorico di 23 k Ca. Proteine
g
1.7
Grassi
g
0.3
Carboidrati
g
4.7
Fibra
g
4
Zuccheri
g
0.7
Calcio
mg
100
Ferro
mg
0.9
Magnesio
mg
30
Fosforo
mg
47
Potassio
mg
420
Sodio
mg
45
Manganese
mg
0.42
Zinco
mg
0.42
Vitamina A
IU
5717
B1
mg
0.06
B2
mg
0.1
B3
mg
0.5
B5
mg
1.159
B6
mg
0.105
Vitamina C
mg
24
Vitamina E
mg
2.26
Vitamina K
mcg 297.6
Vitamina J
mg
Beta Carotene
mcg 3430
Luteina Zeaxantina
mcg 10300
Folati
mcg 110
Minerali
Cespuglio di cicoria fiorito lungo un sentiero di campagna
tica, contro gonfiore e cattiva digestione. Molte sono le credenze popolari di virtù medicinali e magiche tramandate nel tempo. Ad esempio, nelle credenze popolari germaniche la cicoria era considerata una pianta magica, e la radice, sotterrata il giorno di San Pietro e Paolo avvalendosi di un pezzo d’oro e delle corna di un cervo, veniva usata per spezzare incantesimi, per diventare invisibili e invulnerabili e, con infusi e decotti, per provare il piacere dell’amore. Uno “sciroppo per eccitare i sensi” veniva ricavato macerando assieme cicoria selvatica, semi di cipolla, rughetta, asparagi, carote e radici di ortica, zenzero ed altre erbe selvatiche. Nel medioevo, mangiare un piatto di cicoria oltre che essere considerato salutare per il fegato, aveva anche la funzione di rito propiziatorio e porta fortuna. Anche i monaci erboristi utilizzavano il decotto di radici come depurativo dell’organismo, contro il diabete, contro l’inappetenza e contro l’itterizia.
Vitamine
12.8
Aminoacidi: arginina, treonina, triptofano, valina, leucina, istidina, isoleucina, fenilalanina e lisina. La ricerca scientifica nel corso degli anni ha riconosciuto e confermato molte proprietà terapeutiche della cicoria, già note e tramandate dalla medicina popolare. I suoi benefici sulla salute sono molteplici, ma mi limito ad elencare quelli più comuni e che sono utili anche nell’alimentazione dei nostri volatili. L’elemento principale, di cui la cicoria è ricca, è l’inulina, responsabile del suo sapore amaro. È definita prebiotico, in quanto favorisce lo sviluppo della flora batterica positiva del colon (Lactobacillus e Bifidus). Questi batteri sono utili per l’organismo, facilitano l’assorbimento delle sostante nutritive presenti nei cibi e nelle piante medicinali; favoriscono il processo digestivo stimolando la secrezione di succhi gastrici, sono utili a ridurre i livelli di colesterolo cattivo LDL e combattono i tumori intestinali). Sembra inoltre, da alcuni studi, che l’inulina sia in grado di inibire la proliferazione di alcuni batteri dannosi, come clostridi e salmonelle. Le altre sostanze amare presenti nella cicoria stimolano la digestione, riducono il senso di fame e danno sensazione di pienezza. La cicoria aiuta l’organismo ad assimilare i sali minerali e, secondo studi ancora non confermati, l’acido cicorico è un potente afrodisiaco (…non tutte le credenze sono poi infondate!) L’acido organico presente nell’estratto di cicoria fresca, testato nei confronti di alcuni batteri come lo Streptococcus mutans ed il Actinomyces naeslundii, ha mostrato proprietà utili a contrastare questi batteri. I polifenoli presenti in questo vegetale hanno dimostrato proprietà antinfiammatorie con effetti benefici anche su dolori artritici. L’acido cicorico ha dimostrato proprietà antibatteriche. In particolar modo nei confronti dei batteri che si trovano nella cavità orale e vicino ai denti. È dimostrato che il consumo regolare di cicoria migliora la frequenza di evacuazione e riduce i sintomi della stitichezza. Non ultimo, essendo un alimento ipocalorico, la cicoria viene consigliata a chi si sottopone ad una dieta dimagrante (detox) in quanto favorisce la riduzione
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Cicoria con infiorescenze a disposizione nella voliera
della cellulite e dei liquidi accumulati. Nell’allevamento dei nostri volatili, è consigliabile fornire erbe prative con continuità, senza abusarne e non occasionalmente, così che l’organismo possa beneficiare delle proprietà sopra elencate; oppure, in mancanza, fornire i classici semi della salute, o condizionatori che di seguito richiamo. In natura le erbe prative a crescita spontanea, molto appetite da tutti gli uccelli selvatici, determinano, nei vari stadi della loro crescita, un ottimo stato di salute, un potente impulso alla riproduzione, una più rapida crescita dei piccoli ed una migliore muta del piumaggio. Le infiorescenze con i capolini contenenti i semi allo stato lattiginoso sono il massimo concentrato di principi attivi. I semi di cicoria e di radicchio, molto graditi ai cardellini, lucherini, verzellini, organetti, stimolano l’appetito, la digestione e sono dotati di effetto depurativo e rinfrescante. L’industria mangimistica, anche per chi non ha la possibilità di reperire erbe di campagna o i suoi capolini e vuole usufruire delle proprietà di queste ed altre erbe commestibili, mette a disposizione una miscela di semi della salute o condizionatori in cui oltre ai semi della cicoria, sono presenti semi di molte erbe prative e aromatiche. Detta miscela, fornita in apposita mangiatoia due o tre volte la settimana, svolge un’importante azione benefica per l’attività digestiva e rappresenta un bioregolatore intestinale naturale per tutti gli uccelli dei nostri allevamenti.
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Io, nel mio allevamento, aggiungo 4 o 5 cucchiai di detti semi ogni Kg. di pastone da cui traggo la quantità che inumidisco con il cous-cous e l’acqua di cottura delle verdure, che servo giornalmente ai canarini, durante le cove. Un suggerimento per chi ha la possibilità di andare in campagna a raccogliere, a tempo debito, i capolini della cicoria, del tarassaco, del crespigno, della lattuga selvatica ed altre piante simili ed aromatiche e li vuole conservare, con alcuni sistemi molto semplici: dopo raccolti, metterli in un sacchetto di plastica ben chiuso e tenerli nel frigorifero o in barattoli di vetro a chiusura ermetica, o meglio ancora sotto vuoto; mantengono le loro peculiarità e possono essere utilizzati all’occorrenza.
L'autore nella raccolta di cicoria selvatica
Ed eccoci all’acqua di cottura, che nomino sempre quando si tratta di verdure, dove si concentrano tutti i principi attivi componenti le piante. Soprattutto l’acqua di cottura della cicoria non andrebbe mai buttata. Nella fase di cottura, la cicoria rilascia nell’acqua vitamine e sali minerali, sostanze preziose per l’organismo, ma soprattutto, tutti i principi attivi dell’inulina sopra richiamati. Conserviamola in bottiglia e beviamone un bicchiere ogni mattina, o prima di pranzo. È amara, ma l’amico Massimo mi ha consigliato di mettere in ogni bicchiere un po’ di succo di limone ed un cucchiaino di miele. Risultato: è meno amara e un po’ più asprigna. Dopo qualche bicchiere ci si fa il palato, va giù meglio e ne gode la nostra salute! Con la stessa acqua, diluita al 30%, faccio un trattamento di tre giorni ai miei canarini; questo avviene ogni qualvolta faccio una raccolta di sola cicoria. Ah, dimenticavo, l’uso culinario: la cicoria è molto versatile, in misticanze di insalata o cotta sola o con altre verdure, si presta a molte ricette che non sto ad elencare, in quanto note per la maggiore. Vi do solo la ricetta di un piatto tipico del mio paese fatto a base di cicoria selvatica: “la bagèna”, un piatto dove i sapori agro-dolci di verdure e fave si fondono con il profumo della pancetta per deliziare olfatto e palato. Lessate separatamente cicoria selvatica, i talli dell’aglio (germogli che crescono al centro della pianta) e fave novelle. Ripassate il tutto in un soffritto con olio “evo”, uno spicchio d’aglio e della pancetta a dadini e, in un paio di minuti, il piatto è pronto. Vi garantisco, da leccarsi i baffi! Chiudo rinnovando il consiglio di sempre: non gettiamo l’acqua di cottura delle verdure, utile in svariati modi, (vedi mio art. su I.O. dic. 2019); soprattutto quella della cicoria, adoperiamola non solo per i benefici che apporta al nostro organismo, ma anche a quello dei nostri volatili sia utilizzata come bevanda, come detto in precedenza, sia per inumidire i pastoncini di allevamento. Sicuramente, l’organismo dei nostri volatili ne trarrà un ottimo giovamento. Ad maiora semper
DIDATTICA & CULTURA
Le più recenti estinzioni di uccelli Cause e strumentalizzazioni di ROBERTO BASSO e MARTINA LANDO, foto COLLEZIONI CIVICO MUSEO DI JESOLO
S
ono decenni che l’Associazione Nazionale A.R.C.A, Associazione per la Ricerca e la Conservazione Ambientale, che oggi gestisce il Civico Museo di Storia Naturale di Jesolo, ricerca dati e informazioni attendibili su questo delicato e complesso fenomeno. Tanto si è detto, tanto si è scritto in epoca storica e contemporanea cercando a volte di strumentalizzare le cause dirette e indirette di queste estinzioni. Seppur vero che a monte la causa o concausa veda come costanza l’invadenza della specie umana, è anche vero che l’alterazione dell’ambiente e i danni a volte insanabili perpetrati a danno della biodiversità ne hanno fortemente condizionato gli esiti. Oggi vi sono nuove e ulteriori aggravanti che pongono a rischio d’estinzione molte specie sul pianeta, non solo animali ma anche vegetali. Ci si riferisce ai cambiamenti climatici, alle crescenti fonti di inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo ma anche alla colonizzazione di specie alloctone invasive che stanno stravolgendo equilibri e dinamiche di popolazione. Vedremo qui di seguito in ordine cronologico le estinzioni di alcune note specie di uccelli a partire da circa due secoli fa, dati sintetizzati anche da tesi sperimentali condotte da studenti universitari e ricercatori con cui si è potuto in più occasioni lavorare e confrontarci. Alca impenne (Pinguinus impennis, Linnaeus, 1758) L’alca impenne si è estinta nel 1852; è
Fedele ricostruzione di alca impenne adulta, collezioni Civico Museo di Jesolo
una specie che apparteneva alla famiglia degli Alcidae, viveva nelle acque settentrionali dell’Oceano Atlantico e si poteva trovare comunemente lungo le coste europee e mediterranee, atlan-
tiche e del nord America. Si pensi che sono stati rivenuti dei fossili anche nella penisola Salentina all’interno della Grotta dei Cervi. Specie inetta al volo ma abile nuotatrice soprattutto in immersione, si recava a terra solitamente durante il periodo di nidificazione, in cui si riuniva in grandi colonie. La sua popolazione originaria si presume fosse costituita da qualche milione di esemplari, ma nei secoli decrebbe, soprattutto per mano dell’uomo. L’estinzione della specie fu dovuta principalmente al fatto che il suo piumino molto pregiato venisse utilizzato per la realizzazione di cuscini o coperte imbottite. Già a partire dalla metà del sedicesimo secolo, tutte le colonie europee di alca impenne erano state sterminate proprio per la grande richiesta delle sue penne e carni, che venivano lavorate e salate dagli equipaggi dei naviganti e ritenute sostanziose proteine. Fu già nel 1553 che la specie venne protetta in Gran Bretagna, vietandone la sua uccisione. Sulle coste nordamericane la specie visse invece per lo più indisturbata sino agli anni ’70 del Settecento, quando anche lì gli esploratori e commercianti di penne iniziarono a perseguitarla. La popolazione dell’alca impenne iniziò inevitabilmente ad avere un rapido declino e, data la sua rarità, ben presto musei e studiosi di tutto il mondo cercarono di acquisire pelli salate o uova per le loro collezioni scientifiche. Le colonie di questa specie andarono sempre più rarefacendosi:
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Due maschi adulti di anatra del Labrador, collezioni Civico Museo di Jesolo.
l’ultima coppia di alca impenne fu uccisa nel 1844 nell’ultima colonia a largo dell’Islanda. L’ultimo esemplare fu avvistato nel 1852 sulle coste dell’isola canadese di Terranova e a seguito di questo la specie fu dichiarata estinta. Anatra del labrador (Camptorhynchus labradorius, Gmelin, 1789) L’anatra del Labrador era un’anatra endemica nordamericana, la cui estinzione è avvenuta più di un secolo fa nel 1878. Quest’anatra deve il proprio nome alla penisola canadese del Labrador, in quanto si pensava nidificasse nelle isole della costa meridionale di questa regione. Tuttavia, non vi sono dati certi in merito alla sua presenza in questa penisola ed oggi si può affermare che in realtà il suo areale di distribuzione si estendesse dalle coste atlantiche meridionali del Canada fino alla baia di Chesapeake (Virginia, USA), comprendendo perciò tutta la costa nord-orientale statunitense. Fu osservato che l’anatra del Labrador si presentava solo stagionalmente lungo le coste atlantiche statunitensi; ciò confermò che fosse di fatto una specie migratrice. Questa specie, di fatto, nidificava a nord, presso il Golfo di San Lorenzo e le coste meridionali canadesi, successivamente, migrava e durante la stagione
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L’anatra del Labrador era un’anatra endemica nordamericana, la cui estinzione è avvenuta più di un secolo fa nel 1878
invernale svernava lungo le coste orientali degli Stati Uniti. È interessante notare come l’anatra del Labrador sia stata dichiarata estinta nel 1878, poco meno di un secolo dopo la sua scoperta, avvenuta nel 1788. Dopo il 1871 furono avvistati solo due esemplari: uno fu ucciso da un cacciatore di Long Island (New York) nel 1875, l’altro fu avvistato a Elmira (New York) nel 1878. La causa principale di estinzione della specie è ad oggi ancora poco chiara, in quanto essa risultava già in difficoltà prima dell’arrivo dei coloni europei. Si può affermare che l’uomo ebbe però un ruolo decisivo, creando delle criticità. Vi sono infatti testimonianze secondo cui, presso i mercati alimentari di New York e Baltimora, tra il 1840 e il 1870 comparvero numerosi esemplari di anatra del Labrador. Quest’anatra non era principalmente cac-
ciata per scopi alimentari; la carne, infatti, era stopposa e aveva un forte sapore di pesce, dovuto alla sua dieta a base di fauna marina. In quel contesto storico, vi erano invece molti commercianti di penne ornamentali che causarono la diminuzione di diversi uccelli acquatici della costa atlantica, tra i quali anche l’alca impenne. Molti zoologi ipotizzano che l’uomo influì sul destino di quest’anatra non solo mediante la caccia ma anche diminuendo la sua principale fonte di cibo. I molluschi, infatti, erano la base della sua dieta alimentare, in quell’area allora, come ancora oggi, erano pescati in grande quantità da cui nacque una vera e propria economia. L’anatra del Labrador, a differenza di altri uccelli acquatici, risultò altamente specializzata e dipendente dai molluschi, per cui la sua estinzione è stata inarrestabile. Si può quindi comprendere come l’azione dell’uomo possa impattare notevolmente su una specie già in difficoltà, provocando severe conseguenze non solo sul singolo elemento ma sull’intero ecosistema. Colomba migratrice (Ectopistes migratorius, Linnaeus, 1766) La colomba migratrice era una specie di origine nordamericana molta diffusa in passato ma che, nonostante ciò, agli
inizi del Novecento si estinse. La specie apparteneva alla famiglia dei Columbidae e, a dispetto del nome volgare, il suo aspetto si avvicinava di più a quella di una tortora. La colomba migratrice viveva tipicamente nella parte centroorientale del Nord America, anche se nei secoli è stata talvolta avvistata in centro America (Cuba, Mexico). Agli inizi del diciannovesimo secolo era considerata l’uccello più diffuso al mondo, con una popolazione costituita da più di tre miliardi di individui. Vi sono inoltre alcune testimonianze di coloni europei dell’epoca secondo cui, già durante il Seicento, la colomba migratrice era ampiamente diffusa. Furono osservati branchi in migrazione o erratici lunghi chilometri, che oscuravano il sole e il rumore delle loro ali era così assordante da udirlo a grande distanza. Quindi com’è possibile che si sia estinta? E soprattutto, perché così rapidamente? L’estinzione della colomba migratrice si può infatti considerare come il risultato di una serie di diversi fattori tra loro concatenati. Con l’arrivo dei coloni europei si ridussero, a causa della caccia, i predatori di questa colomba e allo stesso tempo anche i suoi competitori che si alimentavano degli stessi semi. Inizialmente la specie perciò crebbe enormemente ma la disponibilità di cibo nelle foreste risultò insufficiente a mantenere la sua numerosa popolazione. Ad aggravare la situazione ormai precaria si aggiunse, inoltre, il fenomeno della deforestazione che andò a depauperare gli alberi ad alto fusto, su cui la specie nidificava in immense colonie. Con la distruzione dell’habitat e la diminuzione di risorse alimentari, la colomba migratrice si trovò così in estrema difficoltà. Questa fase di declino repentina si accentuò tra il 1870 e il 1890: il prelievo venatorio fu determinante, in quanto si sa che la sua carne era molto apprezzata. Decisiva fu sicuramente la stagione venatoria del 1878 in Michigan (USA), durante la quale si stima sia stato ucciso almeno un milione di esemplari. L’estinzione della colomba migratrice è stata convenzionalmente individuata nell’anno 1914, quando il 1° settembre morì nello zoo di Cincinnati (Ohio, USA) quello che si riteneva fosse l’ultimo esemplare della specie, chia-
L’anatra testarosa è un’anatra tuffatrice che vive per lo più nelle zone umide del nord-est dell’India
mato “Martha”. Il caso della colomba migratrice ci insegna quindi come una qualsiasi specie, anche quella che sembra la più numerosa e inattaccabile, può essere messa in pericolo dal sovrapporsi di più cause o concause; la natura è basata su equilibri che possono essere talvolta molto fragili. Anatra testarosa (Rhodonessa caryophyllacea, Latham, 1790) L’anatra testarosa è un’anatra tuffatrice che vive per lo più nelle zone umide del nord-est dell’India, in particolare nella zona che confina a sud con il fiume
Gange e a est con il fiume Brahmaputra. L’habitat tipico di questa specie è rappresentato da stagni appartati e ricoperti di fitta vegetazione, acquitrini e paludi, presenti nelle foreste planiziali o in alte praterie. L’anatra testarosa risulta attualmente una specie in pericolo d’estinzione o addirittura estinta: ciò è confermato dalla red list della IUCN, secondo cui viene considerata “in pericolo critico” (CR). La situazione risulta essere concretamente allarmante, in quanto l’ultimo avvistamento accertato è avvenuto tra il 1948 e il 1949 presso il lago Manroopa (Bihar, India). La specie, già in passato, era considerata poco comune ma si può associare l’inizio del suo declino con la fine del diciannovesimo secolo, quando il suo habitat fu drasticamente ridotto per l’ampliamento dell’aree coltivate dall’impero coloniale inglese. Si pensa, inoltre, che la rarità della specie incentivò ad offrire alte ricompense per la cattura di questi esemplari, destinati poi ad essere esportati in diversi zoo di tutto il mondo. L’intensa pressione di
Fedele ricostruzione di maschio adulto di anatra testarosa, collezioni Civico Museo di Jesolo
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raccolta sulla popolazione rimanente potrebbe pertanto aver segnato ulteriormente il suo destino. Durante gli anni Sessanta del secolo scorso ci sono stati alcuni presunti avvistamenti che però non sono stati riconosciuti dalla maggior parte della comunità scientifica. Questo ha fatto sì che, per molti, la specie sia da considerare già estinta a partire dagli anni Cinquanta. D’altra parte, però, visto il comportamento particolarmente schivo, ad oggi non vi è ancora la concreta certezza che la specie sia completamente scomparsa. L’anatra testarosa fu oggetto di ripetuti tentativi di riproduzione da parte di appassionati allevatori, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, anche in diversi zoo e giardini zoologici d’Europa e dell’India. Caso emblematico fu l’allevamento creato dall’esperto avicoltore Alfred Ezra, che nel 1925, presso la sua casa a Foxwarren, in Inghilterra, creò un grande recinto in cui inizialmente inserì cinque esemplari di anatra testarosa, che gli furono mandati dal fratello che viveva a Calcutta. Ezra constatò come gli esemplari in suo possesso, se da una parte si dimostravano piuttosto longevi (vissero all’incirca 10-12 anni), dall’altra non tentavano in alcun modo di riprodursi, nonostante vivessero in condizioni eccellenti. La riflessione che ne emerse fu che se è vero che sia stato possibile
La casarca crestata è un’anatra di superficie di origini orientali, la cui esistenza oggi risulta essere gravemente minacciata
detenere questa specie in cattività così a lungo, facendole raggiungere una longevità ragguardevole, ciò significava che le condizioni di stabulazione e alimentazione erano sicuramente ottimali, mentre la loro indole schiva e timorosa ne ha compromesso la riproduzione. Negli anni a seguire Ezra si fece spedire diversi esemplari ma tutti non si riprodussero. Si ha testimonianza che suo fratello, Sir. David Ezra, avesse nel 1945 un maschio nelle sue voliere a Calcutta. Quest’esemplare era stato catturato agli inizi degli anni ’30 del secolo scorso al confine tra l’Assam e il Bengala e perì l’11 novembre 1948. Sulla base delle informazioni presenti, quest’ultimo individuo coincide con l’ultima registrazione di anatra testarosa tenuta in cattività. Cosa ancor più sconcertante sarebbe scoprire che forse era anche l’ultimo membro vivente della specie. La rarità di questa
Fedele ricostruzione di maschio adulto di casarca crestata, collezioni Civico Museo di Jesolo
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specie è associabile alle sue abitudini etologiche piuttosto singolari e altrettanto specializzate, per cui la sua sopravvivenza, al di fuori del suo habitat naturale, risulta essere particolarmente difficile, come testimoniato dai diversi tentativi di allevamento avvenuti nella prima metà del secolo scorso. Ma proprio per questi motivi e abitudini di vita così schive e notturne che diversi ricercatori sono convinti che la specie non sia ancora estinta, ma che sia relegata ad alcuni ambienti scarsamente esplorati e di non facile accesso, perché trattasi di biotopi ricchi di vegetazione acquatica e impenetrabile, se non da guide del posto particolarmente pratiche. Casarca crestata (Tadorna cristata, Kuroda, 1917) La casarca crestata è un’anatra di superficie di origini orientali, la cui esistenza oggi risulta essere gravemente minacciata e secondo alcuni studiosi potrebbe essere addirittura estinta. La red list della IUCN classifica, infatti, la specie come “in pericolo critico” (CR) e stima che ad oggi la popolazione sia inferiore ai 50 individui. L’areale di distribuzione della casarca crestata comprende la Russia orientale, la Corea e il Giappone. Oggi si conosce ancora poco in merito all’etologia di quest’anatra e questo è dovuto ai suoi rarissimi avvi-
Bella preparazione di chiurlottello, collezioni Civico Museo di Jesolo
stamenti. Si ipotizza che sia una specie migratrice che si riproduce in Russia nord-orientale per poi svernare in Giappone, Corea e in Russia meridionale. Vi sono diverse ipotesi in merito all’attuale status di popolazione della casarca crestata, ma nessuna di queste può essere confermata con certezza. I pochissimi avvistamenti sono infatti avvenuti per la maggior parte più di 60 anni fa. Alcuni propongono che la specie si sia drasticamente ridotta a partire dagli inizi del ventesimo secolo, in quanto si ha testimonianza che, all’incirca due secoli fa, fosse effettivamente più abbondante e con una distribuzione più ampia. Nel Settecento, infatti, diversi esemplari furono catturati ed esportati a scopo ornamentale dalla Corea in Giappone. Fino al 1854, in Giappone molti esemplari furono catturati a questo scopo, tanto che sono stati raffigurati in un importante trattato giapponese di avicoltura del-
Raro esemplare del 1857 di colomba migratrice, collezioni Civico Museo di Jesolo
l’epoca. È proprio per la rarità degli avvistamenti che nel 1916, a seguito dell’uccisione di un esemplare femmina in Corea del Sud, la casarca crestata fu dichiarata estinta. Inaspettatamente, a quasi trent’anni da quell’evento, nel 1943 fu nuovamente avvistato un esemplare in Corea del Sud, tanto che allora crebbe la speranza che la specie fosse effettivamente più numerosa di quanto previsto. A questo avvistamento segue l’ultima testimonianza accertata, avvenuta nell’estate del 1964 vicino a Vladivostok: due studenti russi videro un gruppo di tre individui, due femmine e un maschio. Ad oggi non si sa ancora con certezza quale sia il motivo principale della riduzione di popolazione, ma sicuramente si può affermare che la sua sopravvivenza sia stata messa in pericolo nei secoli scorsi a causa dall’uomo e più recentemente dalla perdita del proprio habitat. Negli anni ’80 del secolo scorso si cercò di
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ottenere maggiori informazioni riguardanti la specie e il suo status di popolazione con due campagne di volantinaggio. Purtroppo, non si ebbe un significativo riscontro e l’unico risultato fu un singolo avvistamento non confermato in Corea del Nord. Purtroppo, negli ultimi anni la comunità scientifica non si è più attivata per effettuare delle verifiche in merito; ciò non consente di sapere se la specie sia effettivamente estinta o ancora presente in piccoli nuclei. Fondamentale sarebbe effettuare delle spedizioni scientifiche nelle aree in cui la specie è stata maggiormente avvistata in passato, così da verificarne la sua presenza ed eventualmente studiare in dettaglio la sua etologia e le strategie di conservazione. Ciò permetterebbe di ipotizzare un tentativo di riproduzione in cattività e successiva reintroduzione nell’habitat naturale, così come in passato è avvenuto con successo per diverse altre specie ritenute a rischio. Chiurlottello (Numenius tenuirostris, Vieillot, 1817) Il chiurlottello è un uccello appartenente alla famiglia degli Scolopacidi e attualmente risulta essere estinto dagli inizi del terzo millennio. L’areale di distribuzione della specie coincideva perlopiù con l’Europa orientale ma comprendeva anche parte dell’Europa
Il chiurlottello è un uccello appartenente alla famiglia degli Scolopacidi e attualmente risulta essere estinto dagli inizi del terzo millennio
centro-meridionale; sono anche stati avvistati degli esemplari in alcuni stati nordafricani, in particolare in Marocco. Questo areale così vasto è giustificato dalle sue abitudini migratorie. Il chiurlottello durante l’estate si riproduceva per lo più in Russia (nella regione di Omsk) per poi spostarsi verso sud-ovest, verso le sue aree di svernamento, tra le quali vi era anche l’Italia. Quest’uccello viveva in un’ampia varietà di habitat: solitamente prediligeva le aree umide come lagune, paludi e praterie. Agli inizi dell’Ottocento la specie era considerata piuttosto comune ma in un solo secolo la sua popolazione ebbe un rapido declino, tanto che durante la seconda metà del Novecento era già considerata molto rara. Sono state individuate diverse possibili cause di questo decremento: tra le più avvalorate vi è la distruzione degli habitat di nidificazione e svernamento, con la conversione delle
aree umide in terreni agricoli. Da sottolineare che il chiurlottello era conosciuto per la sua natura molto confidente e gregaria, perciò, riducendosi in piccoli nuclei, ne è derivata un’alterazione dei suoi schemi sociali, come ad esempio individuare adeguate aree di sosta durante la migrazione e colonie di nidificazione ove poter difendere uova e pulli dai predatori naturali. Nel 1996, quando ormai la situazione era diventata più che allarmante (si stimava fossero rimasti solo un centinaio di esemplari), fu avviato un piano d’azione internazionale che consisteva nell’individuare delle aree a protezione speciale (siti di nidificazione, svernamento e migrazione del chiurlottello) e nell’educare i cacciatori e le popolazioni locali in merito allo status di popolazione della specie. I risultati furono ben scarni: gli ultimi avvistamenti accertati pare ci siano stati in Ungheria. Anche per questa specie si ha perciò conferma di come le bonifiche e il dissodamento delle aree umide siano state le cause principali e più impattanti per la sua sopravvivenza. Il ruolo della specie umana, mai come oggi, risulta determinante per poter salvaguardare non solo le specie animali e vegetali, ma il bene più importante, che è la biodiversità. Si dovrà porre il massimo impegno a non commettere gli stessi errori del passato e, nell’immediato futuro, agire con tempestività e competenza.
I NOSTRI LUTTI
In memoria di Gabriele Rodella
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el pomeriggio del 26 Marzo 2021 comincia a girare tra noi soci una notizia tremenda: Gabriele ci ha lasciato, si Gabriele Rodella, a soli 64 anni improvvisamente se n’è andato. Incredulità e sgomento colpisce tutta l’Associazione Ornitologica Legnaghese. Amico di tutti, sguardo sempre sorridente, attento osservatore della realtà, all’interno della nostra Associazione è stato sempre disponibile per qualsiasi necessità. Dispensava con generosità consigli e pareri spassionati a chi gli chiedeva di ornitologia o di meccanica, il lavoro di una vita. Gabriele è sempre stato in prima linea per allestire le mostre, mettendosi a disposizione senza orari, senza mai tirarsi indietro. Se subentrava un problema o difficoltà lui era presente per dare il suo contributo. Caro Gabriele, tu non ci sei più, ma tra di noi rimarrà vivo non solo il tuo ricordo, ma anche il tuo esempio. Ti ricorderemo come una persona molto sincera, di cui si poteva avere piena fiducia, una persona che, una volta data la sua parola o la sua disponibilità, potevi essere sicuro che sarebbe andata fino in fondo. Ciao Gabriele riposa in pace Gli Amici e Soci dell’Associazione Ornitologica Legnaghese
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R ecensioni Estrildid Finches of the World Autore: G. Jelmer Huisman di GENNARO IANNUCCILLI iceviamo e con piacere divulghiamo la segnalazione inerente un libro che verrà pubblicato a breve, per ora solo in inglese e in olandese: il titolo è “Estrildid Finches of the World” e tratta, come si evince chiaramente, di tutti gli estrildidi conosciuti a livello mondiale. Il volume consta di ben 396 pagine, con oltre 1.000 foto, stampato in carta di alta qualità, ed è dedicato non solo agli appassionati allevatori ma anche agli ornitologi ed esperti in materia. Gli estrildidi sono tra le famiglie di uccelli più affascinanti del mondo, con caratteristiche sorprendenti e speciali. Tutte le 145 specie e le loro sottospecie sono descritte in dettaglio, unitamente alle mappe di distribuzione che rappresentano la diffusione di tutte le sottospecie. Le descrizioni delle specie sono supportate da bellissime fotografie degli uccelli nei loro areali. Queste foto rappresentano il lavoro di quasi 300 fotografi di 40 Paesi del mondo, il cui risultato è stato di vitale importanza per questo progetto. Infatti, alcune specie non erano mai state finora ritratte fotograficamente. Nel libro sono presenti anche molte foto di nidiacei in diversi stadi del loro sviluppo; tali immagini sono state scattate presso diversi allevamenti per non disturbare inutilmente gli uccelli nidificanti nei loro habitat naturali. Dettagli tecnici - Formato A4 - 396 pagine, stampate su carta di alta qualità e rilegate con una copertina rigida laminata - 1.052 fotografie scattate da circa 300 fotografi di 40 Paesi - 146 mappe che mostrano la distribuzione delle specie e sottospecie in dettaglio e a colori - Il libro può essere ordinato attraverso il sito web www.finches.nl
Novità editoriali
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DIDATTICA & CULTURA
Le strategie di muta degli uccelli di DINO TESSARIOL, immagini LUCAS JENNI E RAFFAEL WINKLER - MOULT AND AGEING OF EUROPEAN PASSERINES
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uando durante le uscite di inanellamento scientifico degli uccelli organizziamo qualche sessione di didattica, quasi tutti si meravigliano del fatto che gli uccelli, se non sostituiscono parzialmente o integralmente le penne almeno una volta all’anno, vanno incontro a morte sicura in quanto il piumaggio si usura durante il volo e, nella normale vita sulle piante o a terra, non permette più la termoregolazione, funzione importantissima, che negli uccelli è assicurata dal piumaggio. Ho avuto modo numerose volte di vedere in che condizione arrivano certe sterpazzole quando in primavera sostano sulle isole del Tirreno dopo aver attraversato non stop il deserto del Sahara ed il mar Mediterraneo, tanto che molte di loro, se riusciranno a sopravvivere, difficilmente po-
Struttura ala Passeriforme
Gli uccelli, se non sostituiscono parzialmente o integralmente le penne almeno una volta all’anno, vanno incontro a morte sicura
tranno riprodursi; oppure qualche maschio di merlo d’estate dopo la stagione degli amori col piumaggio completamente consumato e che, se non sostituito d’autunno, non permetterebbe certo di superare il freddo invernale. Gli uccelli passeriformi, seppur con diverse strategie che qui sotto elen-
cherò, normalmente mutano parzialmente, completamente o anche più volte il piumaggio con cadenza annuale. In via normale, il periodo della muta avviene alla fine della stagione riproduttiva e prima del viaggio per le specie migratrici, che nel Paleartico corrisponde ai mesi di agosto e settembre; alcune specie migratrici però eseguono anche una muta parziale o totale nei siti di svernamento, quasi generalmente Africani. Prima di passare a descrivere le diverse strategie di muta bisogna definire alcune terminologie: si definisce come muta parziale la sostituzione delle sole piume di copertura di tutto il corpo e non delle penne timoniere e remiganti, mentre la muta totale è la sostituzione dell’intero piumaggio, muta post nuziale quella, appunto, eseguita dopo la
Codifica penne ala passeriforme
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Ala di Beccamoschino in muta
stagione riproduttiva e pre nuziale quella eseguita nei luoghi di migrazione. (Sussiste anche la cosiddetta muta ruptila - o per abrasione - che consiste nel rimaneggiamento del piumaggio usurato. NdR) Per quanto riguarda le diverse strategie di muta, gli uccelli passeriformi possono essere divisi fondamentalmente in cinque gruppi: - il primo gruppo effettua una muta giovanile parziale nel primo anno di vita, mentre gli adulti effettuano una muta completa; le specie comprese in questo gruppo sono molte e comprendono sia uccelli stanziali che uccelli migratori quali per esempio il pettirosso, la passera scopaiola, l’usignolo, il fringuello, il frosone, il lucherino, la peppola, il merlo, il tordo e tanti altri. I nostri stessi canarini adottano questa strategia di muta. - il secondo gruppo, già dal primo anno di vita effettua una muta completa, che tale proseguirà negli anni successivi; anche in questo caso ne fanno parte sia specie stanziali che migratrici quali l’allodola, il passero, lo storno, il forapaglie, lo strillozzo e altri. - il terzo gruppo non effettua nessuna muta post nuziale e rinvia la muta completa che effettuerà nei siti di svernamento Africani; le specie di questo gruppo sono prettamente migratorie come la rondine, il cannareccione, il canapino, il luì grosso, il beccafico e altri.
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Ala di Venturone in muta
Riguardo le diverse strategie di muta, gli uccelli passeriformi posso essere divisi fondamentalmente in cinque gruppi
- il quarto gruppo ha una strategia uguale al primo ed al secondo gruppo ma, prima di partire per il viaggio primaverile di ritorno dalla migrazione, effettua una muta parziale pre nuziale; anche queste sono specie migratrici quali la pispola, il prispolone, le ballerine, le cutrettole, il luì piccolo, lo stiaccino, il culbianco, l’ortolano e altri. - il quinto gruppo inizia una muta completa nei luoghi di nidificazione, per poi sospenderla e finirla nei siti di svernamento. Relativamente a questo gruppo, bisogna precisare che non tutti gli individui di una specie seguono tale strategia ed anche le specie possono alquanto variare; ciò si riscontra spesso negli individui delle ultime covate o in quelli che nidificano più a nord che non hanno il tempo sufficiente per completare la muta. Per esperienza, si è riscontrato che individui di sterpazzola, pigliamosche, bigiarella, possono sospendere la muta durante il viaggio di
migrazione per poi completarla nei siti di svernamento. Tale variazione può essere anche determinata da altri fattori quale la difficoltà di reperire nutrimento adatto, maltempo o grosse perturbazioni che inducono gli uccelli a partire velocemente per la migrazione. Si tratta comunque di una minoranza di individui in quanto, in via generale, gli uccelli migratori preferiscono mettersi in viaggio a muta ultimata o comunque non durante il cambio delle penne. Quanto detto sopra vale per gli uccelli passeriformi di taglia medio piccola, mentre nei grossi passeriformi e nelle altre classi di uccelli quali i rapaci, i corvidi, uccelli marini e in generale negli uccelli di grossa taglia, la muta non viene completata nell’anno ma può durare anche tre, quattro anni; in questo caso, ad un’analisi in mano, si nota una certa differenza tra le penne vecchie più sbiadite ed usurate e quelle nuove. Gli anatidi, invece, perdono contemporaneamente tutte le remiganti e le timoniere e, non essendo più in condizioni di volare, vivono il periodo nascosti tra la vegetazione, da cui il termine di “periodo eclissale” che definisce il tempo della muta delle anatre. Alquanto interessante è anche la modalità che seguono gli uccelli passeriformi per eseguire la muta completa. Per quanto riguarda le piume del corpo, è molto difficile determinare un ordine preciso, mentre per
Ala di Bigiarella in piena muta
quanta riguarda le penne remiganti e timoniere, l’ordine è preciso e tassativo. Nell’ala, la caduta delle penne inizia dal centro, cioè dall’ultima primaria e la prima secondaria per poi proseguire a ventaglio verso l’interno e verso l’esterno: questo tipo di muta è definita “discendente”; unica variante a questa strategia si riscontra nel pigliamosche che segue un ordine esattamente contrario e, quindi, la sua muta viene definita “ascendente”. Nella coda, la muta inizia dalle timoniere centrali per proseguire a ventaglio da entrambi i lati. In ogni caso, tutti i passeriformi durante il periodo della muta sono in grado di volare, anche se spesso in maniera più incerta e meno performante. Per noi “inanellatori” è di fondamentale importanza conoscere a fondo le strategie di muta degli uccelli, perché solo attraverso l’analisi della diversa consistenza e delle diverse generazioni di penne è possibile stabilire l’età degli uccelli che inanelliamo. Volendo fare alcuni esempi: se ci troviamo di fronte ad un maschio di merlo in autunno e notiamo una differenza tra il colore e la consistenza delle piume del corpo, di un bel nero lucente rispetto alle penne remiganti e timoniere più sbiadite ed usurate, siamo sicuramente davanti ad un individuo giovane; mentre se le piume e le penne sono tutte nuove e poco usurate, saremo di fronte ad un merlo adulto. Invece, se stiamo ina-
Ala di Saltimpalo
Nella coda, la muta inizia dalle timoniere centrali per proseguire a ventaglio da entrambi i lati
nellando un passero, sempre in autunno, non riusciremo a dare un’età certa in quanto sia il giovane che
l’adulto di questa specie eseguono una muta completa e, quindi, tutto il piumaggio sarà della stessa generazione. Concludendo, possiamo ancora una volta affermare quanto vario ed affascinante sia il mondo degli uccelli per noi appassionati e quante cose rimangano ancora da sapere e scoprire sulle creature alate. E c’è una frase di Osho che mi piace molto: “Guarda gli alberi, guarda gli uccelli, guarda le nuvole, le stelle… e se hai occhi potrai vedere che l’esistenza intera è ricolma di gioia”.
Disegno di Stiaccino in volo
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O rniFlash Scoperta nuova specie di uccelli
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n team di ornitologi provenienti da Stati Uniti, Canada, Brasile e Paraguay ha descritto una nuova specie di Trogon dalla Foresta Atlantica del Brasile nord-orientale. I trogoni e i loro parenti stretti, i quetzal, sono membri di un ordine di uccelli distribuito pantropicamente costituito da un’unica famiglia, i Trogonidae, che contiene almeno 43 specie e 109 sottospecie. Sono tra gli uccelli più colorati al mondo: i maschi sono modellati con sfumature di verde iridescente, blu e viola sopra, e un addome rosso, giallo o arancione brillante; le femmine hanno il piumaggio grigio o marrone. La quinta popolazione isolata dalla foresta atlantica montuosa dello stato brasiliano di Alagoas aveva una combinazione precedentemente sconosciuta di caratteristiche morfologiche, canore e mitocondriali del DNA e rappresentava una specie completamente nuova. Denominato trogon dalla gola nera di Alagoas (Trogon muriciensis), può essere distinto da tutte le altre specie di trogoni, oltre a Trogon rufus, T. chrysochloros, T. tenellus e T. cupreicauda, dalla combinazione della testa verde e giallo agrumato della pancia. È noto solo dall’Estação Ecológica de Murici nello stato di Alagoas, a poco più di 500 m di altitudine, dove si trova a metà dei livelli della foresta atlantica montana. Presumibilmente era ancora una volta diffuso in questo habitat nel Pernambuco Center of Endemism prima della deforestazione della regione. Secondo gli autori, lo stato di conservazione del trogon dalla gola nera di Alagoas è preoccupante poiché tutti i documenti provengono da una sola località. Fonte: https://www.rsvn.it/scoperte-nuove-specie-di-uccelli/
Svelato il mistero del ronzio dei colibrì
È
risaputo che il colibrì è solito produrre un particolare ronzio quando volteggia fra i fiori. Ma solo adesso è diventato chiaro come le ali del piccolo uccello generano questo suono unico. I ricercatori della Eindhoven University of Technology (Olanda) e della Stanford University (Stati Uniti) hanno osservato meticolosamente i colibrì utilizzando 12 telecamere a alta velocità e ben 2176 microfoni. Con questa ricca attrezzatura hanno scoperto che le ali dei colibrì, malgrado la grande quantità di piume distribuite sulla loro superficie, generano un suono in modo simile a quello generato dalle ali più elementari degli insetti. Per la prima volta il team di ingegneri è riuscito a misurare la precisa origine del suono generato dalle ali in movimento di un animale in volo. Il ronzio del colibrì si origina dalla differenza di pressione fra la parte superiore e quella inferiore delle ali, che cambia sia in importanza che in orientamento quando le ali battono avanti e dietro. I ricercatori hanno combinato le diverse misurazioni in un modello acustico 3D delle ali di uccello e di insetto, offrendo importanti informazioni su come gli animali producano il suono sbattendo le ali. Per arrivare a questo modello, gli scienziati hanno esaminato sei colibrì Anna – la razza più diffusa nel Nord America. Hanno fatto bere acqua zuccherata da un finto fiore in un ambiente naturale ricreato artificialmente dove, nascosti, vi erano telecamere, sensori e microfoni pronti a riprendere ogni battito d’ali dei piccoli uccelli. Oltre ad utilizzare strumentazioni di altissima tecnologia per catturare il ronzio dei colibrì, è stato necessario anche misurare le forze aerodinamiche che gli uccelli producono volando – e per questo è stato creato uno strumento apposito dal team di ricerca. Benché non sia stato l’obiettivo principale della ricerca, la conoscenza ottenuta con questa analisi può essere utile anche per creare, in futuro, apparecchi elettronici più silenziosi – come droni, aspirapolvere o ventole dei computer. Fonte: https://www.greenme.it/informarsi/animali/svelato-mistero-ronzio-colibri/
O rniFlash Una grande moria di aquile calve spiegata 25 anni dopo n articolo del New York Times del primo febbraio del 1998 parlava di come il mistero dietro alla morte di una settantina di aquile calve in alcuni stati del sud-est degli Stati Uniti fosse diventato quasi un caso nazionale: l’aquila calva è il simbolo del governo degli Stati Uniti, protetta da diverse leggi federali, e gli scienziati di tutto il Paese non riuscivano a capire cosa avesse provocato una moria così diffusa di uccelli. Circa venticinque anni dopo, un approfondito studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Science ha ricostruito la complessa catena di eventi dietro al mistero, causata da «un’insidiosa combinazione di fattori». A partire dal 1994 decine di aquile calve, o aquile di mare dalla testa bianca, vennero trovate morte in alcuni laghi artificiali nel sud-ovest dell’Arkansas: le prime al DeGray Lake, nel nord della contea di Clark, e altre ancora poche decine di chilometri più a nord. Prima di morire, i rapaci avevano mostrato comportamenti insoliti, che gli scienziati non sapevano spiegarsi: volavano andando a sbattere contro gli argini del lago e gli alberi, le loro ali erano indebolite e non funzionavano più. Era come se fossero ubriache. Dalle ricerche degli scienziati è emerso che la responsabile della morte delle aquile calve fu una particolare specie di batteri (cianobatteri o alghe verdi-azzurre) che cresce su una particolare pianta infestante (Hydrilla verticillata) e che in presenza di specifiche sostanze inquinanti (bromo) sviluppa una particolare tossina, all’epoca sconosciuta. La morte sopraggiungeva a causa della mielopatia vacuolare, una malattia che provocava lesioni nel cervello che faceva sembrare gli uccelli ciechi e scoordinati. Non è ancora chiaro da dove arrivino gli atomi di bromo che permettono lo sviluppo della tossina, ma secondo gli scienziati la sua origine ha a che fare con la «combinazione letale» di alcuni eventi, tra cui molto probabilmente la modifica dell’ecosistema a causa dell’attività umana. Nello studio si ipotizza che il bromo possa provenire dall’industria chimica, dagli additivi per carburanti oppure, curiosamente, dagli stessi erbicidi che vengono impiegati per distruggere la hydrilla invasiva. Fonte: https://www.ilpost.it/2021/04/06/aquile-calve-moria-stati-uniti/
Cambiamenti delle vie di volo guidati dal clima
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n gruppo di 18 ricercatori, cinesi, russi e britannici, ha firmato un lavoro pubblicato sulla rivista Nature il 3 marzo 2021, dal titolo Climate-driven flyway changes and memory-based long-distance migration, in cui è stato stabilito un sistema di migrazione su scala continentale utilizzando il monitoraggio satellitare per seguire 56 falchi pellegrini (Falco peregrinus, fam. Falconidi) appartenenti a sei diverse popolazioni che si riproducono nell’Artico eurasiatico, ‘risequenziando’ 35 genomi da quattro di queste popolazioni (rieseguire la sequenza del genoma di molti individui, per i quali esiste un genoma di riferimento, consente lo studio della relazione tra variazione di sequenza e fenotipi normali o patologici). I ricercatori hanno scoperto che il gene ADCY8 è associato a differenze a livello di popolazione nella distanza migratoria. Questo gene, che in noi umani si trova sul cromosoma 8, codifica per la adenilato ciclasi, enzima che catalizza la formazione di AMP ciclico dall’ATP ed è controllato da diversi ormoni. Studiando il meccanismo di regolazione di questo gene, hanno scoperto che è la memoria a lungo termine l’agente selettivo più probabile per la divergenza in ADCY8 tra le popolazioni esaminate. Si prevede che il riscaldamento globale influenzerà le strategie di migrazione e ridurrà gli intervalli di riproduzione delle popolazioni di falco pellegrino dell’Artico eurasiatico. Sfruttare le interazioni ecologiche e i processi evolutivi per studiare i cambiamenti dovuti al clima sulla migrazione può facilitare la conservazione degli uccelli migratori. Fonte: Marco Baldanzi / https://www.nature.com/articles/s41586-021-03265-0 - Foto: www.altosannio.it
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DIDATTICA & CULTURA
Il Pulcinella di mare Un piccolo pinguino dal becco di pappagallo di CINZIA MONTI, foto COLLEZIONE F.O.I.
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l Pulcinella di mare è un simpaticissimo uccello, che ha preso in prestito, non a caso, il suo nome volgare da una delle più conosciute maschere italiane. Il suo nome scientifico è Fratercula arctica, appartiene alla Famiglia degli Alcidi. Esistono ventidue specie di Alcidi, delle quali la maggior parte vive nelle regioni fredde dell’Emisfero settentrionale. Molti di essi appaiono deliziosamente goffi e quasi comici, ma suscitano altrettanta simpatia. Buffi e tristi in egual misura, eseguono danze magistralmente preparate; parecchi di loro sono anche fonti di alimentazione umana ancora oggi.
Questi uccelli sono, per l’emisfero settentrionale, i corrispondenti ecologici dei pinguini Uccelli molto affini ai gabbiani e alle sterne, ma più simili ai minuscoli pinguini, tanto che il più grande alcide vivente ha appunto le dimensioni del più piccolo dei pinguini. Tuttavia, mentre i pinguini sono uccelli inetti al volo e appartenenti ad un altro gruppo assai diverso da loro, gli alcidi volano nei cieli come proiettili. La somiglianza tra essi deriva forse dal fatto che entrambi sono uccelli marini, in prevalenza bianchi e neri, coda molto corta, piedi palmati, portano sulla testa o sul becco degli ornamenti, hanno gambe articolate molto indietro nel corpo, ali ridotte, gregari
Pulcinella di mare (Fratercula arctica)
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e abilissimi nuotatori. Queste somiglianze ed altre ancora stanno ad indicare che questi uccelli sono, per l’Emisfero settentrionale, i corrispondenti ecologici dei pinguini. Tra questi la maggior parte nidifica sulle coste scoscese o sulla sommità di isole oceaniche. Per lo più sono dei migratori, e vivono a terra solo nel periodo di riproduzione. In primavera, alle Farne Island (patrimonio naturale e paesaggistico della Gran Bretagna), urie, gabbiani tridattili, marangoni dal ciuffo, cormorani, gazze marine,edredoni e Pulcinella di mare ritornano sulle “cliffs”, alte pareti rocciose a strapiombo sul mare dove sono nati, spesso sullo stesso scoglio. Le colonie di solito sono disposte a ripiani, ed ogni specie rimane più o meno raccolta nella stessa zona, medesima fila. Soltanto i Pulcinella, che occupano le posizioni più alte, costruiscono i nidi scavando profonde gallerie, sia il maschio che la femmina si alternano nel lavoro, usano anche le tane dei conigli selvatici per deporvi una o due uova ovali debolmente macchiate; al contrario degli altri alcidi che nidificano sugli scogli deponendo un solo uovo abbastanza
Pulcinella di mare
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Il becco dei Pulcinella di mare assume dei colori particolarmente vivaci
grosso, a forma di pera. Nel canale di Bristol c’è un’isoletta rocciosa, Lundy, che accoglie lungo le sue coste frastagliate milioni di Pulcinella, poiché vi possono, da sempre, nidificare in pace, e ancora oggi costituiscono un richiamo turistico importante, tanto che l’ufficio postale di Lundy affranca la corrispondenza con francobolli dedicati al lundi ( cosi lo hanno battezzato gli isolani), molto apprezzati dai collezionisti. Il Pulcinella di mare ha un aspetto simpaticissimo, quasi un piccolo pinguino in miniatura col becco simile ad un pappagallo. Oltre al particolare becco (grosso e solcato da pieghe) in gran parte rosso,come i piedi e le gambe, anche il piumaggio è caratterizzato da distinte porzioni di bianco (il petto e intorno agli occhi) e di nero (nel dorso, capo e collo). Raggiunge un’altezza che varia dai 26
ai 30 cm, con un peso variabile dai 300 ai 450 grammi. Simbolo dell’Arcipelago delle Vestmann, protagonista assoluto di molte copertine di libri, riviste, guide turistiche e pagine web sull’Islanda, tanto che gli islandesi lo hanno soprannominato ironicamente Profastur (il Preside). Qui si trova ovunque, ma preferisce vivere e nidificare sulle pareti a strapiombo, ed ogni anno, a fine maggio, il lundi vi giunge per accoppiarsi. Stesso posto, stesso nido: una galleria profonda più di un metro o due con quindici cm di diametro, rivestendone il fondo di piume e foglie secche. Se al ritorno primaverile questi cunicoli sono stati ricoperti da uno strato di lava (cosa facile in un paese come l’Islanda), pur di nidificare nello stesso incavo entrambi i sessi scavano fino allo sfinimento. In questo periodo dell’anno il becco dei Pulcinella di mare assume dei colori particolarmente vivaci e vistosi, dal rosso, al giallo e grigio-blu oltre al vistoso color argento dei lati, che col sopraggiungere dell’inverno sbiadiscono tutti. In questa fase amorosa, maschio e femmina- che talvolta rimangono fedeli per anni-si strofinano a vicenda il becco l’un contro l’altro, scrollando la testa con movimenti rapidi. Qualora un maschio, che non è stato in grado di procurarsi una femmina, si avvicinasse troppo a quelle altrui, nascono furibondi litigi; in quell’occasione il becco diventa un arma fondamentale di difesa e attacco. In colonie numerose composte da milioni di esemplari, ove corrispondono migliaia di gallerie-nido, ognuno sa sempre individuare il proprio figlio. In assenza dei genitori, le nidiate sono circondate dai rimanenti Pulcinella che scoraggiano i ripetuti attacchi dei gabbiani, che oltre agli uomini sono i predatori più consistenti. Nella cova partecipano entrambi i genitori per sei settimane. Alla nascita il pulcino si presenta con un piumino bianco e nero e pesa circa 45 grammi, ma con l’abbondante alimentazione giornaliera di pesce fresco fornitagli, in sei mesi raggiunge i 400 grammi. A questo livello di sazietà, il giovane Pulcinella comincia a rifiutare il cibo
Gruppo di Pulcinella di mare su una scogliera
Alla cova partecipano entrambi i genitori per sei settimane. Alla nascita il pulcino si presenta con un piumino bianco e nero
dei genitori, indicando loro che è sopraggiunto il tempo di abbandonarlo. Dopo la prima settimana di giugno, senza che nessuno gli abbia insegnato a volare o a pescare, il giovane Pulcinella si lancia nel vuoto dalla scogliera, forse attratto dal suono dell’Oceano o per sfuggire all’assalto dei gabbiani. Solo dopo tre o quattro anni il Pulcinella di mare farà ritorno alla sua scogliera natale, ma per riprodursi dovrà attendere almeno il compimento del quinto anno. La tecnica di pesca è assai semplice, sguazzando nell’acqua e, nel momento che avvista la preda, si tuffa a picco. Grazie alla particolarità della mandibola inferiore ed alla sua lingua ruvida, può immagazzinare sino ad una dozzina di pesciolini, anche se
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nella sua bocca ve ne sono già 7 o più; solo allora con un guizzo d’ali veloce raggiunge il suo nido. Oltre al volo anche l’atterraggio è degno di nota: si posa velocemente al suolo, quasi atterrasse con un paracadute. Purtroppo, osservare questi uccelli non è semplice o per lo meno bisogna portarsi sulle coste del nord Europa, dove se ne conta una popolazione che aggira tra gli otto e i dieci milioni di esemplari, e dove ogni anno una schiera di appassionati di birdwatching, soprattutto in primavera è sempre ben appostata. Il Pulcinella è un amabile soggetto da fotografare. C’è una speciale organizzazione turistica proprio per questo scopo. Un’altra curiosità assai sgradevole per questo bellissimo uccello è che la sua carne, lì, sia molto apprezzata e la sua caccia è altrettanto praticata. Per attirare le prede i cacciatori fissano dei retini su un lungo bastone utilizzando delle bandierine rosse e dei lundi imbalsamati piazzati sui dirupi; quando gli uccelli si avvicinano incuriositi, i cacciatori li catturano al volo. Il record di catture di un solo cacciatore in un giorno, è stato di 1.204 esemplari, numero sconcertante anche se la popolazione di Pulcinella è ancora numerosissima. Un interessantissimo libro su questa popolazione di uccelli è stato scritto dall’ornitologo inglese R.M. Lockley dopo più di venti anni di appostamenti e di studio. Chi scrive ha osservato, per passione di birdwatching, questi uccelli da un barcone a motore che ondeggiava pericolosamente contro le onde di un mare perennemente agitato, destinazione isole Farne; ma anche nella scogliera fra Sistiana e Trieste, la mia città, con il binocolo, una coppia di Pulcinella di mare nel mese di agosto, posati su un cornicione a picco. La coppia vi restò per parecchi giorni, dove aveva a disposizione un’area di mare assai pescosa e fitta di pergolati di mitili. Durante l’inverno scendono verso sud e si possono incontrare, qualche volta, in certe zone del Tirreno e dell’Adriatico, ma si hanno avvistamenti occasionali anche in primavera e nell’estate.
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Fratercula arctica
Un’altra curiosità assai sgradevole per questo bellissimo uccello è che la sua carne, lì, sia molto apprezzata e la sua caccia è altrettanto praticata
Il Pulcinella di mare non ha mai smentito la sua fama di uccello amabile, le sue forme che lo fanno apparire quasi un piccolo bambino, mite e confidente, suscita in tutti un particolare senso d’affetto. Konrad Lorenz, il padre della moderna etologia, ha descritto molto chiaramente questo fenomeno: esistono caratteri fisici che producono nell’uomo una naturale buona disposizione d’animo: il Pulcinella di mare è l’esempio lampante.
CRONACA
Un curriculum di tutto rispetto di MAURIZIO MANZONI
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ono stati ricordati in Portogallo, nel gennaio 2020, i 25 anni di attività di Gino Cortese nella Confederazione Ornitologica Mondiale. A consegnare il riconoscimento con un attestato, il presidente generale della confederazione Carlos Fernando Ramoa durante lo svolgimento del congresso statutario tenutosi a Matosinhos, fiera internazionale di Porto. Cortese ha coltivato la sua passione per lo studio e l’allevamento degli uccelli fin da ragazzo. Frequentare l’Associazione Romana Ornicoltori, nell’allora prestigiosa sede della Capitale che si affacciava su Piazza Venezia, nel 1972 lo ha invogliato ad iscriversi alla FOI - la cui finalità è quella di allevare per contribuire alla tutela dei volatili preservandoli dal rischio di estinzione. Gino Cortese con il Presidente C.O.M. Carlos Fernando Ramôa
La forte passione di Cortese per l’ornicoltura lo ha portato a specializzarsi e diventare quindi giudice nazionale nel 1977 e internazionale nel 1980. Dal 1978 al 1989 è stato presidente della Commissione Tecnica Nazionale del settore fauna europea, esotici e ibridi, della quale è stato anche presidente del Collegio dei giudici dal 1989 al 1995. Nel 1995 ad Udine è stato eletto membro del comitato esecutivo dell’Ordine Mondiale dei Giudici (O.M.J.) per le categorie fauna europea e ibridi, di cui nel 2005 ha assunto la carica di vice presidente, carica riconfermata fino alla fine del mandato. Tra gli impegni profusi vi è stato anche quello di consigliere federale FOI, eletto per tre mandati consecutivi, dove nella veste di vice presidente, insieme al suo
valido collega Ezio Parise, aveva avuto incarico di curare i rapporti con il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Rimangono importanti i vari incontri a Roma con l’allora Direttore Generale del Corpo Forestale dello Stato del settore CITES, ing. Ugo Mereu, ottenendo importanti risultati, chiarendo in maniera inequivocabile la figura di noi ornitofili, distinguendola dai bracconieri e trafficanti di uccelli protetti, questi ultimi destinatari della normativa CITES. Un riconoscimento speciale gli è stato conferito anche dall’Ordine dei Giudici della FOI con la nomina a Giudice Benemerito nell’aprile del 2014, con un attestato consegnato a Piacenza durante l’assemblea annuale dal Presidente Salvatore Cirmi, riportante la seguente motivazione: “Conferiscono al geometra Gino Cortese il titolo di giudice benemerito in segno di profonda gratitudine e riconoscenza per l’attenzione e il sostegno sempre profusi nei pluriennali impegni assunti a favore della categoria giudici e dell’ornitologia italiana.” A riconoscere il suo ruolo importante, anche il giornalista Piero Angela, massimo divulgatore scientifico italiano, che lo elogiò in occasione di un evento pubblico con la speciale dedica «a Gino Cortese che di “abitanti” dell’atmosfera se ne intende». «Grazie all’impegno profuso nei vari campionati mondiali» dice Cortese «ho avuto modo di conoscere a fondo quasi tutte le capitali europee, tanto da sentirmi un vero cittadino di questa importante istituzione che per alcuni può sembrare lontana, ma è a noi molto vicina con aiuti concreti specialmente ora in piena pandemia».
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Il profilo del Giudice F.O.I. di S ERGIO PALMA
I
Lettere in Redazione
l presente articolo tende a delineare gli aspetti normativi legati all’area Giudici della FOI, con particolare riferimento al loro ruolo all’interno dell’attività espositiva. L’interesse ad approfondire tale argomento si fonda sulla constatazione dell’assenza di un solido impianto normativo e dell’inesistenza di un codice operativo o di una casistica che dir si voglia. A fronte della tradizionale importanza attribuita dagli operatori del settore alla scheda di giudizio, nonché in base ad esperienze strettamente personali, ho individuato un oblio relativo a tutti gli atti obbligatori e non. Tutto ciò dovrebbe far riflettere. La mancanza di una norma capace di legittimare una Commissione con il compito di comminare sanzioni certe per eventuali irregolarità commesse con dolo o per imperizia/incompetenza, sia dagli Operatori che dagli Espositori, ancorché dagli organizzatori di eventi espositivi, fa porre alcune domande.
Commissario di Mostra Art. 22 R.G.M. “In caso di irregolarità riconosciute all’ingabbio, il Comitato Organizzatore dovrà escludere il soggetto dalla manifestazione. Se le irregolarità saranno rilevate durante o dopo il giudizio, il Comitato dovrà, in ogni caso, escludere i soggetti dalle classifiche e dalla premiazione. Nel caso l’irregolarità sia considerata dolosa, cioè nel caso di provata frode intesa ad ingannare il Comitato Organizzatore od il Giudice, l’esemplare dovrà essere eliminato da qualsiasi classifica o premio. Le infrazioni dolose ed espressamente palesi, rilevate durante il giudizio, dovranno essere verbalizzate e sottoscritte dal Responsabile di Giuria, dal Giudice interessato e dal Direttore Mostra. Gli atti relativi dovranno essere inviati alla Segreteria FOI per l’adozione dei conseguenti provvedimenti disciplinari. L’attualità complessiva della tematica è resa ancor più rilevante dall’attuale discussione sul disegno normativo in esperimento, per modificare il sistema di giudizio, a confronto o ancor meglio con sistema misto, cioè giudicare solo i migliori con scheda analitica. L’esistenza di uno ius tacendi affonda le sue radici già nel diritto romano, che prevedeva cause legittime di esenzione, introdotte con eccezioni e finalizzate a rispettare il segreto imposto a determinate categorie di persone con l’impossibilità di far valere le ragioni delle norme applicate durante il lavoro svolto
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Deferimenti Con questo scritto si vuole analizzare l’approccio allo strumento “deferimento-squalifica” da parte degli operatori del giudizio e, soprattutto, come esso viene utilizzato nella fase della comminazione di sanzioni. Inoltre, si è cercato di capire se e come sia possibile sfruttare le potenzialità del Giudice, rendendole più trasparenti e funzionali all’attività svolta ed efficaci sotto il profilo dell’utilizzabilità nella fase sanzionatoria. In sostanza, si cerca di verificare se lo strumento (rapporto di giudizio), conformemente all’attuale quadro normativo ed alla interpretazione sistematica che in esso viene data, sia relegato a mero supporto per l’attività medesima o meno. Nello specifico si è dato valore – superando una tradizionale considerazione della materia più vicina all’area del buonismo della commiserazione (interessata?) - alla diversità del ruolo che il Giudice riveste, rispettivamente, nell’ambito dell’acquisizione di iniziativa di elementi da parte del collegio giudicante, volti a raccogliere elementi utili a ricostruire le modalità esecutive che il deferito utilizza per contravvenire alle regole evidenziandone le criticità. Attività e dipendenza funzionale dal Presidente di Giuria Il Giudice F.O.I., oltre al primario ma non esclusivo compito di giudizio dei soggetti esposti è l’Elemento del procedimento, incaricato a collaborare con il Presidente di Giuria nell’evidenziare violazioni normative. L’individuazione dei presunti autori delle violazioni e l’assicurazione delle fonti di prova con l’assolvimento di compiti meramente esecutivi, intesi a dare procedibilità ai provvedimenti della Commissione predisposta dal Consiglio Direttivo Federale, rende quanto sia importante la figura del Presidente di Giuria. Tra le attività ad iniziativa del Giudice, l’attività informativa assume un’importanza prioritaria e può identificarsi nell’esercizio di due distinte funzioni: una di individuazione del problema e l’altra di comunicazione dello stesso alla Commissione competente tramite il Presidente di Giuria. Lo stesso articolo 55 del Regolamento Generale Mostre descrive le funzioni e precisa che il Giudice “ha l’obbligo, pena provvedimento disciplinare, di compilare il verbale delle infrazioni”. La notizia costituisce l’informazione destinata alla Commissione competente che la acquisisce come propria attraverso il verbale stesso.
“Il Giudice deve astenersi dall’iniziare o proseguire il giudizio: a) di soggetti appartenenti a specie o razze per le quali non è abilitato; b) di soggetti appartenenti a specie o razze non previste a concorso; c) in ambienti non idonei, o comunque con luce insufficiente o a temperatura inadeguata (per le razze da canto vale quanto disposto dal Regolamento speciale); d) quando infrazioni regolamentari impediscano od ostacolino gravemente il suo operato. Al termine del giudizio il Giudice compilerà le classifiche ufficiali, secondo quanto stabilito dal regolamento-programma della manifestazione ed un verbale, in triplice copia, su modello federale, sul quale vanno annotati il numero dei soggetti giudicati, quelli dichiarati primi classificati, nonché una relazione sull’andamento del giudizio. La consegna del suddetto verbale sancisce l’ufficialità e la chiusura delle operazioni di giudizio.”È sottolineata dalla scelta del “regolamentatore” di vincolare all’osservanza delle decisioni prese tutti gli attori della scena mostra, nonché la possibilità di continuare a svolgere l’attività di iniziativa fino alla comunicazione ufficiale della fine lavori con apposito verbale. Queste norme, di fatto, riconoscono una potestà autonoma al Giudice che assume pregnanza di significato, nell’ambito del procedimento disciplinare, solo nella misura in cui il Giudice sia in grado di raccogliere di iniziativa quello che di fatto non è acquisibile attraverso il compimento di meri atti di Giudizio. L’espletamento di una efficace attività di iniziativa presuppone un’autonomia che è sancita, bensì non in maniera soddisfacente per le fasi successive. (Art. 56 R.G.M.) Le infrazioni al presente regolamento ed ai regolamenti speciali… commesse dalle Associazioni… vengono perseguite dal Consiglio Direttivo Federale” La dipendenza funzionale comporta la “subordinazione” di chi è tenuto al rispetto delle regole ma, di contro, non ha la possibilità nei confronti dell’autorità sovraordinata di far valere il lavoro e gli accertamenti svolti in sede di comminazione di eventuali sanzioni. Tale subordinazione non rappresenta un modello di subordinazione gerarchica. I compiti istituzionali demandati dai vari regolamenti ed enfatizzati dalla legittimazione a compiere giudizi e redigere verbali, o quanto altro
si renda possibile per l’accertamento di infrazioni e lo svolgimento del giudizio, enfatizzano ulteriormente il ruolo di soggezione rispetto ad altri organi, anche alla luce dei più ampi poteri che dovrebbero essere riconosciuti per l’acquisizione di elementi probatori destinati a confluire all’attenzione del C.D. Il giudizio, il rilievo di infrazioni, l’accertamento di esse e la comminazione di sanzioni, non possono essere considerate come entità distinte, poiché rappresentano fenomeni in interazione tra loro. Nelle riunioni delle varie Commissioni, non sempre è possibile evincere dagli atti quanto l’informazione diretta potrebbe avere sul procedimento stesso, in quanto il giudizio finale può trovare fondamento unicamente nel valore oggettivo delle prove formatesi durante la discussione. Nella fase di valutazione, momento naturale di formazione del quadro probatorio, sulla cui base il Presidente della Commissione formerà il proprio convincimento per il giudizio finale, l’attività del Giudice avrà già esaurito la propria funzione con il contenuto di quello che era il verbale, e potrà comparire in tale fase mai sotto forma di testimonianza dello stesso Giudice divenuto testimone o del Presidente di Giuria. La figura del Giudice non risulta compresa in alcuna fase e, di fatto, la sua figura è marginale rispetto al procedimento. L’attenzione su alcuni aspetti significativi e, in particolare, sull’analitica individuazione degli elementi distintivi del fatto sanzionato, è del tutto avulsa alla figura del Giudice stesso. L’utilizzabilità delle notizie inserite nel verbale di accertamento della infrazione Oggi non possono giungere avanti alla Commissione entità probatorie formatesi al di fuori del verbale stesso. Alla luce di tale considerazione, emerge una chiara svalutazione di tali notizie nel contenuto delle norme stesse che non prevedono la diretta citazione del Giudice o Presidente di Giuria ma solo l’ammissibilità della deposizione e relative controdeduzioni del deferito. Tecnicamente, qualora i deferiti non siano esaminati, le informazioni fornite con il verbale del Giudice non solo non possono essere “utilizzate” ma neanche “acquisite”. Si sente quindi la necessità di una Giuria che non sia formata dai Giudici, come di fatto avviene; la disparità tra accusa e difesa è di contrappeso notevolmente a favore dei primi, in quanto verbalizzanti e sanzionatori. Il rappresentante dell’Ordine dei Giudici fungerà da Pubblica accusa durante i vari procedimenti disciplinari; si avverte anche l’esigenza di conoscere, da parte dei Giudici, l’esito dei propri verbali di contestazione delle varie infrazioni anche quando sono archiviati.
Lettere in Redazione
L’attività informativa che il Giudice può fare rappresenta un insostituibile motore di ricerca nella fase dei primi accertamenti, se non funzione preventiva. L’autonomia riconosciuta in questa fase al giudice dall’art. 45 del R.G.M.
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Attività F.O.I. Sintesi verbale del Consiglio Direttivo Federale dell’11 marzo 2021 (La versione integrale è pubblicata sul sito www.foi.it/verbali) - Campionato Italiano: rinuncia pervenuta dal Comitato Organizzatore di Montichiari, determinazioni; Il CDF, preso atto della rinuncia pervenuta dal Comitato Organizzatore del Campionato Italiano 2021 a Montichiari, al fine di evitare di sovraccaricare le associazioni federate o gli eventuali Comitati di gravosi impegni organizzativi ed economici in un momento di ancora oggettiva difficoltà, ritiene di organizzare il Campionato Italiano 2021 in chiave istituzionale ovvero avocandone a sé l’organizzazione. Si riserva di attivare indagine conoscitiva
in ordine alla sede ed alla disponibilità di strutture, all’uopo privilegiando la città di Piacenza che ospita la sede Federale. - Elenco e calendario delle mostre internazionali pervenuto dal Presidente della COM-Italia; Il Presidente della COM-Italia Ignazio Sciacca ha comunicato l’elenco definitivo ed il calendario – in dettaglio riportato nel prospetto di seguito riprodotto – delle mostre internazionali che sarà inviato alla COM-OMJ entro il 31 marzo 2021.
MOSTRE INTERNAZIONALI richieste alla C.O.M. in ITALIA - anno 2021 Mostra Internazionale:
località
Associazione organ.
ingabbio
chiusura
note
"In Sicilia 2021"
Letojanni (ME)
Acese-Misterb.
13/10/21
17-Oct-21
***
Expo Venezia Or. "Senza confini" Caorle (VE)
AOVO-B.P.-M Trevig.
12/10/21
17-Oct-21
Camp. Europeo Razze arricciate
Città di Salerno
Salerno
Salernitana
18 e 19/10/21
24-Oct-21
Camp. Europeo Gloster e Diam. Gould
Trentina
Riva del Garda
Trentina
19 e 20/10/21
24-Oct-21
***
Cesena
Cesena
Cesenate
21/10/21
24-Oct-21
Camp. Europeo Agapornis e Ond. Col e di FP
Del Mediterraneo
Bari
Pugliese
24 e 25/10/21
31-Oct-21
Camp. Europeo Fife Fancy
Tre Mari
Catanzaro
Catanz. e ass.ni consorz.
1 e 2/11/21
7-Nov-21
Camp. Europeo Arlecchino Portoghese
Città del Tricolore
Reggio Emilia
S.O.R.
14 e 15/11/21
21-Nov-21 ***
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