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POMEZIA-NOTIZIE

Luglio 2021

LAURA PIERDICCHI IL PORTALE di Domenico Defelice

P

OESIE senza titolo, brevi, a volte lapidarie; linguaggio chiaro, anche se non privo di sfumature ermetiche, d’altronde sempre presenti nella poesia di Laura Pierdicchi. Il titolo è evocativo, pertinente al contenuto, che coinvolge il lettore richiamandogli il mistero e invogliandolo a varcare la soglia; sfidandolo nel contempo, giacché l’oltrepassare contiene sempre in sé brividi d’ansia e sottile paura; realtà sconosciute, impalpabili, particolarmente precarie, come lo sono ai nostri giorni, in cui la pandemia inorridisce con le migliaia e migliaia di morti, che tiene in scacco ormai da troppo tempo, che gioca come il gatto col topo, che sembra regredire e spinge alla speranza, per poi, improvvisa, repentina, tornare aggressiva attraverso mutamenti sempre nuovi e impensati. Va subito precisato che la pandemia con la poesia di Laura Pierdicchi non c’entra, che non è il tema della raccolta, non è mai neppure menzionata. O meglio: c’è a nostro avviso, e si tratta di un’altra e più sottile e perniciosa: quella dello spirito, dell’esistenza, del dolore, della precarietà, della vacuità del nostro affannarci, sicché, spesso, il presente sembra elastico, continuamente teso e rilassato, rilassato e teso, e con l’Aldilà, che, forse, è la sola “oasi/che rimpiazza l’arsura”, cioè, la sola capace di estinguere la nostra sete di assoluto,

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sempre vigile e fibrillante alle continue e impietose sollecitazioni del tempo. Non pandemia da Covid, allora, ma anche, giacché i versi risentono del dramma che l’umanità sta vivendo, se non altro perché scaturiti proprio in questi giorni incerti e dolorosi, sicché, “dopo 5 anni – ci scrive l’Autrice in una lettera - ho sentito nuovamente il desiderio della poesia”. Varcare “Il Portale” significa iniziare un cammino che, breve o lungo, è sempre un’incognita, materializzato com’è da pochi rettilinei e tante svolte (“il sentiero è tortuoso -/ad ogni curva/tutto può cambiare”), sempre e comunque, imprevisti; luoghi, immagini, persone e cose con cui prender confidenza, che ci tocca esplorare e sondare, conoscere a fondo nell’indole e nell’intimo, nelle molecole della materia come nel soffio dello spirito. Le presenze son sempre reali ed evanescenti nel contempo; nella stanza c’è lei, in carne e ossa, ma ci sono anche “figure” eteree che interagiscono con i suoi “pensieri/e smuovono esperienze vissute”, separate da labilità: “Il velo che ci divide/ti ha lasciato passare/e mi chiami/con segnali concreti”. Sembra un paradosso, ma a noi paiono più reali e palpabili le figure e non lei, giacché non è tanto concreto danzare “tra realtà e illusione”; la stessa poetessa, d’altronde, aggiunge che “Un essere è un insieme/di percezioni accostate/per successione logica” e la stessa cosa non sono – almeno non sempre - “realtà e illusione”. Accennavamo al Covid-19, non presente realmente nella silloge ma latente, sotterraneo, nel dolore che ha fatto fiorire questi versi e che ha liberato la poetessa dal blocco, dal trauma causatole da un recente passato. È stato come se una sorgente, a causa di una frattura del terreno, si fosse improvvisamente prosciugata e poi, per altro trauma (la pandemia), improvvisamente sbloccata, ed il canto è così tornato a scorrere, limpido, ma misto a invisibili pagliuzze di minerali disciolti: i dolori, le pene, che non permettono il torpore e spingono a riassaporare la vita. E la “luce intravista lontano” non è altro che la speranza ansiosa che il tunnel finalmente finisca e torni a investirci la luce nella sua totalità. Covid è nell’atmosfera


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