POMEZIA-NOTIZIE
Luglio 2021
Nell’ultima parte del libro ci sono i Racconti in versi, vetrina di testi poetici abbastanza elaborati dove la verità dei fatti è stata messa a nudo, troppo denudata da stridere con l’ambientazione ricercata di prima. L’autore sembra sia tornato nel tragico presente, o meglio nel passato della nostra contemporaneità per raccontarci stralci di vita intrecciata ad esistenze meno fortunate. L’ultima poesia del florilegio è dedicata a Renato e il contenuto della narrazione poetica non è dei più felici: storia squallida di un piccolo appartamento concesso ad una ex-professoressa diventata clochard e che, per via legale o non, doveva tornare al legittimo proprietario, anche grazie all’aiuto dell’amico che ha usato maniere non proprio gentili. I protagonisti non assaporeranno il lieto fine e questo lascerà il lettore come estraniato e confuso, forse per indurlo a risalire davvero il fiume, suo malgrado, controcorrente… «[…] Sfondasti con un pugno la porta,/ cambiasti la serratura,/ dopo avere buttato i ‟quattro stracci”/ della donna nell’atrio.// Perciò quel giorno sotto casa/ quando eri già un malato terminale,/ ma io non lo sapevo, m’imploravi/ di non litigare:/ ‟Fabio, non te ne andare, forse è l’ultima/ volta che ci vediamo”.» (Pag. 59). Isabella Michela Affinito
GIANNICOLA CECCAROSSI VOCI (tre poemetti) Ibiskos Ulivieri di Empoli (FI), Anno 2018, Euro 12,00, pagg. 55. La necessità di proseguire oltre il perimetro, che può essere più o meno ampio, di una poesia per sconfinare nell’ambiente poematico può accadere quando si hanno più cose da dire in versi – esiste anche il poema sinfonico quale composizione orchestrale ispirata a qualcosa di artistico o letterario. Nel poema, essendo una distesa indefinita, c’è l’occasione di esporre una parte dell’esistenza trascorsa intessuta di riflessioni, altri accadimenti con la consapevolezza di poter andare avanti, appunto, quasi all’infinito e, perciò, il senso di libertà versificatoria è più assaporabile, più godibile. Il poeta torinese, Giannicola Ceccarossi, residente nella capitale, dopo diverse sue esperienze editoriali tra poesia e diaristica, ha voluto regalarci tre suoi poemetti sotto l’unica titolazione di Voci, per raccontarci del suo tempo quale patchwork di pensieri eterogenei, tra il reale e il come sarebbe stato o il come dovrebbe essere, spostandosi dall’io al noi alla terza persona plurale sempre col suo stile letterario che sa di finestre spalancate, senza la punteggiatura, che in fondo lo rimarca.
Pag. 42
Il prefatore dell’opera poematica in questione, Emerico Giachery, è come se avesse fatto tre/quattro premesse insieme per aver separato con lo spazio bianco il suo testo di presentazione, quasi un proporzionato rispetto d’esamina verso i tre ‘lungometraggi’ in versi, i quali posseggono un’autonomia grazie al proprio sottotitolo: Barche nel cielo, Noi siamo i giovani di questo tempo distorto e Pace. Ancora, ciascun poemetto ha un’immagine “sua” di copertina che sono delle riproduzioni a colori di dipinti d’artisti del passato, come Vasilij Kandinskij, Natalia Goncharova ed Edvard Munch. «[…] Il ribollire delle inquietudini del nostro Novecento postbellico si manifesta e trasfigura in un germinare ininterrotto di immagini. Il continuum che fonda e caratterizza il discorso poetico parrebbe offrirsi, anzitutto, come suggestiva icona del fluire degli anni e della storia. Al lettore spetterà l’impegno di affidarsi ad esso, entrare in sintonia con esso, assaporando come musica le singole immagini e sinestesie, e la misura, sempre giusta, della scansione e del ritmo. » (Dalla Prefazione di Emerico Giachery, pag. 5). Il primo poemetto ‘scaturisce’ dalla libertà compositiva di un quadro astratto di Kandinskij, il padre diremmo dell’astrattismo lirico, autore d’importanti opere letterarie anche a sfondo pedagogico: Lo spirituale nell’arte del 1912 e Punto, linea, superficie del 1926. Non fu solo puro astrattismo quello di Kandinskij, bensì tutto uno studio sui simboli e i colori ognuno interpretato con una specifica personalità, finanche col suono in abbinamento. Il poeta Ceccarossi si pone tante domande col chiaro punto interrogativo durante il suo primo monologo-poema e va avanti spedito, prendendo in considerazione il modo di vivere che s’è espletato finora, il suo e quello degli altri, per poi aggiungere dei consigli che sanno d’evangelizzazione – negli ultimi versi c’è un bellissimo effluvio proveniente dai meravigliosi messaggi della Madonna di Medjugorje – comunque di bene per migliorare sé stesso e gli altri. «[…] Porgete le vostre mani al fratello più debole/ non aspettate che il tempo sani le ferite/ ma risvegliate i sensi/ e facendo sentire acuta la voce/ sarete dannati per le idee/ per l’amore che porterete agli invisibili/ Non rinunciate alla libertà!/ Difendetela come ultimo baluardo/ e non cedete alle lusinghe degli stregoni! […] Non lasciate che il vostro amore/ vi distolga dagli abbracci del sole/ e dallo sconvolgersi degli uragani/ Non aspettate che si separino gli umori/ ma lottate per le vostre intuizioni/ Sarete così liberi di piangere dormire/ entusiasmarvi esprimervi vivere!» (Pagg. 18-21).