GUSTO
Rivista digitale di viaggi, borghi e turismo slow
VENETO,
assaggio a nord-est
TERRE DI CASTELLI,
destinazione gourmet
FRIULI-VENEZIA GIULIA,
sapori di confine
Numero 08 2019 Edizione gratuita
Riso,
borghi in‌ bianco!
San Daniele,
benedetto prosciutto!
Birra,
bionda, rossa o scura?
Tartufi,
prelibatezze in bianco e nero
www.e-borghitravel.com
Malcesine | Lago di Garda | Veneto
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Yulia Grigoryeva/Shutterstock.com
® e-borghi travel 08 www.e-borghitravel.com Publisher Giusi Spina direzione@3scomunicazione.com Coordinamento editoriale Luciana Francesca Rebonato coordinamento@e-borghi.com Art director Ivan Pisoni grafica@e-borghi.com Segreteria di redazione Simona Poerio segreteria@e-borghi.com Hanno collaborato a questo numero Antonella Andretta, Alessandra Boiardi, Simona PK Daviddi, Grazia Gioè, Marino Pagano, Luca Sartori, Nicoletta Toffano, Carola Traverso Saibante Traduzioni Beatrice Lavezzari Revisione Bozze Joni Scarpolini Promozione e Pubblicità 3S Comunicazione – Milano Cosimo Pareschi pareschi@e-borghi.com Redazione 3S Comunicazione Corso Buenos Aires, 92, 20124 Milano info@3scomunicazione.com tel. 0287071950 – fax 0287071968 L’uso del nostro sito o della nostra rivista digitale è soggetta ai seguenti termini: Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di www.e-borghitravel.com può essere riprodotta, memorizzata in un sistema di recupero o trasmessa, in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronica, meccanica, fotocopia, registrazione o altro, senza previa autorizzazione scritta da parte di 3S Comunicazione. Nonostante l’accurata verifica delle informazioni contenute in questo numero, la 3S Comunicazione non può accettare responsabilità per errori od omissioni. Le opinioni espresse dai contributori non sono necessariamente quelle di 3S Comunicazione. Salvo diversa indicazione, il copyright del contributo individuale è quello dei contributori. È stato fatto ogni sforzo per rintracciare i titolari di copyright delle immagini, laddove non scattate dai nostri fotografi. Ci scusiamo in anticipo per eventuali omissioni e saremo lieti di inserire l’eventuale specifica in ogni pubblicazione successiva. © 2019 e-borghi
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Marchio di qualità turistico ambientale per l’entroterra del Touring Club Italiano
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E
picurea, l’Italia dei borghi. Con quella sua sfiziosa inclinazione ad apprezzare i piaceri della vita e a proporre percorsi sensoriali nei quali è protagonista il gusto, vessillo di sapori e saperi tramandati nel tempo. Un patrimonio da preservare, quello enogastronomico italiano, da evidenziare e raccontare, tutto da assaggiare. E questo numero di e-borghi travel è un viaggio alla scoperta di borghi e territori e delle loro tradizioni gourmet di sorprendente unicità, un susseguirsi di paesaggi iconici ed enogastronomia d’eccellenza a iniziare dal Veneto con il suo arazzo di località incastonate a qualsiasi latitudine e longitudine e con altrettante prelibatezze da gustare, una rapsodia di menu d’autore. Si prosegue nel Friuli-Venezia Giulia, mosaico di confine con una miscellanea di tessere e ricette, figlie di una molteplicità di paesaggi, ambienti e climi. Ed è proprio qui che si crea il delicato - e con retrogusto marcato - prosciutto Dop di San Daniele. E poi, più a sud, nel territorio che dalla pianura sale senza fretta fino all’Appennino, vi conduciamo negli otto borghi - in provincia di Modena - di Unione Terre dei Castelli, dal claim irresistibile, “Vivi, Scopri, Assapora”: fra questi Vignola, cui abbiamo dedicato un approfondimento. Dal rosso delle sue ciliegie, dei paladini di Bacco e dell’aceto balsamico ci dirigiamo nel bianco dei borghi del riso, con le campagne illanguidite da canali e risaie, per poi viaggiare nelle tentazioni del tartufo e della sua dicotomia cromatica che spazia dal bianco al nero passando per lo scorzone estivo, con sfumature che dal color crema si stemperano nel marrone. E poi la birra: chiara, rossa o scura? Il nostro servizio vi rivela le sfiziosità del Belpaese con le birre aromatizzate al carciofo oppure alle visciole o ancora al radicchio rosso tardivo Igp. Giallo intenso, invece, è lo zafferano di Città della Pieve, che la destinazione umbra celebra con l’evento “Zafferiamo”, oro verde è il bergamotto della Calabria e un arcobaleno di gusti fa luce su articoli e rubriche con leggende e curiosità inedite sulla buona tavola. Anche oltreconfine, con la Cina e la sua armoniosa ricerca dell’equilibrio fra gli alimenti ying e yang. Un forziere di idee e approfondimenti, questo e-borghi travel dedicato al gusto, per vacanze, week-end e soste golose all’insegna di un binomio inscindibile: sapori e bellezza. Perché «Tutto ciò che è buono è bello», come asseriva - nel suo “Timeo” - Platone. Luciana Francesca Rebonato coordinatore editoriale
Sommario Veneto
Friuli-Venezia Giulia
Prosciutto San Daniele
Montasio
CittĂ della Pieve
Terre di Castelli
Vignola
Tartufo
Birra
Riso
Crai
Azienda Fiore
Bergamotto
Weekend goloso
Arcobaleno di gusti
Oltreconfine: Cina
Peggy Guggenheim
Teatro di Modena
Vacanze fuori posto
Leggende
CuriositĂ
Recensione
In copertina il Montasio Dop sulle rive del lago di Cavazzo Carnico ai piedi del monte Montasio
Luca Sartori
twitter.com/LucaSartoriIT
Veneto,
assaggio a nord-est
Tubito/Shutterstock.com
Ollyy/Shutterstock
Le colline del Prosecco
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ono mille i volti del Veneto. Il mare e i monti, la laguna e le colline, la pianura e i laghi, le città d’arte e i borghi storici compongono uno dei mosaici più variegati d’Italia, una delle sue aree geografiche più conosciute e apprezzate al mondo. Il Veneto è la regione italiana con più presenze turistiche. Una terra che con la sua ricca offerta riesce a soddisfare anche le masse di turisti più esigenti, proponendo differenti alternative di visita e vacanza, da quella balneare a quella culturale, dalla termale alla
sportiva a quella gastronomica. Alle innumerevoli sfaccettature paesaggistiche si accosta infatti quello che è il patrimonio enogastronomico della regione, una moltitudine di eccellenze che vanno dai vini ai formaggi, dai salumi ai tanti piatti tipici. Ogni angolo della regione propone differenti specialità da scoprire e assaggiare. Per non perdersi nulla delle bellezze del Veneto e per conoscere il meglio dei suoi sapori e dei suoi itinerari gastronomici, si può visitare il sito www.veneto.eu.
Laguna regale
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nserito nel 1987 nella lista del Patrimonio Mondiale dall’Unesco, il territorio della Laguna di Venezia è caratterizzato dalla straordinaria alternanza di acque e isole. Un universo liquido con al centro Venezia, aperto all’Adriatico attraverso tre bocche di porto, Lido-San Nicolò, l’accesso settentrionale, Malamocco, quello centrale, e Chioggia, la meridionale. Da Venezia a Burano, da Murano a Torcello, da Sant’Erasmo a San Servolo, dalla Giudecca a San Giorgio Maggiore, solo per citare i luoghi più importanti, la laguna è un tripudio di isole più o meno impor-
Chioggia StevanZZ/Shutterstock
tanti e più o meno popolate. Qui tutto profuma di mare, anche la campagna che ricopre alcune isole e che regala parte delle eccellenze gastronomiche di questa porzione di Veneto, dove alle eccellenze del mare come la seppia bianca di Chioggia e la schia - piccolo crostaceo della laguna veneziana -, si uniscono quelle di terra come il sedano verde, la zucca marina, la patata, la cicoria e il radicchio, e la carota, tutti prodotti di Chioggia - bella città dell’estremo sud della laguna -, oltre al carciofo violetto di Sant’Erasmo e la pesca bianca di Venezia.
Murano trabantos/Shutterstock
Zucca marina di Chioggia Pen_85/Shutterstock
Moleca, specialitĂ di Chioggia freevideophotoagency/Shutterstock
Chioggia Nordic Moonlight/Shutterstock
Formaggio Asiago arjma/Shutterstock
Gallio Ekaterina Polischuk/Shutterstock
Ponte naturale di Veja makalex69/Shutterstock
Vista sulle Dolomiti
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a vasta area montana che dalla grande pianura veneta sale fino alle Alpi, alle Dolomiti, è la terra delle Prealpi. È la fascia montana che dal Lago di Garda corre fino al Friuli, che passa dall’Altopiano di Asiago, con i comuni di Asiago, Rotzo, Roana, Lusiana Conco, Gallio, Foza ed Enego, dal Monte Baldo, fin dal XVI secolo conosciuto come il “Giardino botanico d’Europa”, dalla Lessinia, terra del grandioso ponte naturale di Veja e paradiso per gli amanti degli sport invernali, dalle Prealpi vicentine, con Recoaro Terme e le Piccole Dolomiti e Tonezza del Cimo-
ne, regno della mountain bike, dal mitico Monte Grappa, con il Monte Sacro alla Patria, fino a giungere ad Alpago, Cansiglio e Nevegal, dove sorge lo specchio verdeazzurro del Lago di Santa Croce. In questa terra di monti e panorami, borghi e vallate, verdi prati e fitti boschi, si producono latte e ottimo burro ma anche tanti deliziosi formaggi come l’Asiago Dop, il Morlacco, prodotto sull’altopiano del Grappa, il Bastardo, frutto nelle malghe del Massiccio del Grappa, e il Nevegal, che prende il nome dall’omonima zona montuosa.
Rotzo Polischuk/Shutterstock
Dolomiti
Tre cime
Cattedrali di pietra
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Cortina d’Ampezzo la regina delle Dolomiti, il cuore elegante e mondano di questa zona di Alpi, città d’arte e tradizioni, ricca di appuntamenti culturali e ambita meta per vip e aristocratici. Da dieci anni Patrimonio dell’Umanità Unesco, le Dolomiti sono tra gli scenari naturalistici più straordinari del mondo. La Conca Agordina, la Valle del Biois, Falcade, Arabba e la Valle di Fodom, Auronzo di Cadore, Misurina e le Tre Cime di Lavaredo, monumenti naturali di roccia, poi il Cadore e San Vito di Cadore, la Marmola-
da, la più alta vetta dolomitica, con la suggestiva Val Pettorina, la Val Comelico e Padola, la Val di Zoldo, Alleghe e la Val Fiorentina, compongono il ricco mosaico dolomitico veneto. Paradisi per sciatori, arrampicatori, camminatori e cicloturisti, le valli bellunesi propongono una serie di ottimi formaggi tra cui l’Agordino di malga, prodotto all’ombra della Marmolada, il Casel Bellunese, semigrasso da tavola, e il Dolomiti, di pasta morbida, ma anche miele, ortaggi, frutta e uve dalle quali si ottengono vini di qualità.
Val Badia con la Marmolada sullo sfondo Zocchi Roberto/Shutterstock
Polenta con formaggio a Cortina Doctor_J/Shutterstock
Selva di Cadore milosk50/Shutterstock
Cortina d’Ampezzo
Adria Gaia Conventi/Shutterstock
Ghischeforever/Shutterstock
Spiaggia Rosolina Filippo Carlot/Shutterstock
Giardino Botanico di Porto Caleri Ni_Giri/Shutterstock
Frontiera liquida
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l Delta del Po è un labirinto d’acqua dove la terra si mescola con il mare, angolo del Veneto meridionale dove magia e meraviglia svelano scenari talvolta mozzafiato, dove l’aspetto naturalistico e ambientale si sposa con i continui, importanti, interventi dell’uomo. Il Delta del Po è natura, acqua e terra ma anche molto altro, come la città di Adria, con il suo caratteristico centro storico e dalla lunga storia ben documentata dalle ricche collezioni e dai reperti conservati nel Museo Archeologico Nazionale,
Rosolina, centro situato in un’area caratterizzata da orti ricavati nella grande laguna di Caleri e delle valli da pesca, dove vedere il Giardino Botanico Litoraneo di Porto Caleri, e Porto Tolle, dal territorio caratterizzato da paludi, barene, insenature e isolotti con spiagge sabbiose e lagune tra cui la Sacca degli Scardovari, habitat ideale e luogo di allevamento delle famose cozze di Scardovari a marchio Dop. Tra le altre tipicità locali ci sono il riso, l’aglio, il melone e il miele, prodotti nelle zone del Delta.
Porto Tolle DBRfotograf/Shutterstock
Lago mediterraneo
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l più grande dei laghi italiani, il Lago di Garda, è circondato, nella parte sud, dalle colline moreniche formatesi dal ritiro dei ghiacci e, nella parte nord, più alta e stretta, da monti che lo proteggono e ne rendono il clima di tipo mediterraneo. Più ampio nella parte meridionale, il lago tende a restringersi nella parte settentrionale divenendo così una sorta di fiordo tra i monti. Tra i borghi del versante veneto del lago vi sono Malcesine, perla del lago all’ombra del castello Scaligero, borgo che ispirò Goethe e sul
Malcesine
quale incombe la panoramica funivia Malcesine Monte Baldo, Lazise, importante centro storico della Riviera degli Ulivi, Garda, dagli eleganti palazzi in stile veneziano, il borgo medievale di Torri del Benaco, la città fortezza di Peschiera del Garda, Bardolino, terra di vini, e Brenzone sul Garda, paradiso per chi ama gli sport acquatici come la vela, il windsurf e il kitesurf. Tra le tipicità del luogo vi sono l’ottimo olio extravergine di oliva del Garda Dop e i vini tra cui il Bardolino e il Chiaretto, la sua versione rosata.
Lazise Andrea Berg/Shutterstock
Torri del Benaco DorotaM/Shutterstock
Bardolino a Bardolino Elena Rudakova/Shutterstock
Spiaggia di Jesolo
Corrado Baratta/Shutterstock
Laguna di Bibione MORENO01/Shutterstock
Orizzonti sabbiosi
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i stende dal Friuli alla foce del Po, il litorale veneto. Le acque del Mare Adriatico accarezzano le sue spiagge sabbiose, talvolta con la laguna alle spalle o nei pressi del Delta del Po. Da Jesolo, con un ricco calendario di eventi culturali, sportivi ed enogastronomici, a Eraclea, immersa in un’oasi naturale, da Bibione, con la fitta rete di percorsi cicloturistici, a Caorle, dal bel borgo storico marinaro, dal Lido di Venezia, che ospita la prestigiosa Mostra Internazionale
del Cinema, a Cavallino Treporti, paradiso per chi ama il turismo all’aria aperta, da Rosolina, tra dune e pinete, a Sottomarina, dove effettuare immersioni alla scoperta dei fondali al largo della costa, questa zona di Veneto è terra di mare, spiagge, villaggi vacanze e divertimento, meta estiva di milioni di turisti. È il pesce il re della tavola marinara veneta. Tra fritture e grigliate di pesce scorre a fiumi il vino veneto, tra profumi e pittoresche atmosfere marinare.
Caorle Antonio Filippi/Shutterstock
I colli del Prosecco
Bollicine mondiali
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ra le tante zone collinari del Veneto che vanno dalla Pedemontana Vicentina alla zona della seducente Soave, dai Colli Asolani ai Colli Berici, dai Colli Euganei alla Valpolicella, ci sono le colline del Prosecco, i colli di Conegliano e Valdobbiadene, recentemente inseriti nella lista dei patrimoni mondiali dell’umanità Unesco. A poco più di un’ora da Venezia, a nord della provincia di Treviso, si stendono le magiche atmosfere di questa zona collinare dove s’alternano città d’arte e borghi agricoli, le terre delle bollicine più apprezzate e famose del mondo, quelle del Prosecco. Tra Conegliano, Valdobbiadene, Vittorio
Veneto e Follina si riscoprono i luoghi d’arte e la cultura enologica. È la “Strada del Prosecco e Vini dei Colli Conegliano-Valdobbiadene” ad accompagnare i turisti tra antichi castelli, abbazie, eremi e ville aristocratiche, ma anche tra cantine storiche e luoghi dove gustare le tipicità enogastronomiche locali, tra cui salumi, formaggi e le succulente carni allo spiedo, e assaggiare un buon vino locale, un Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg, un Colli di Conegliano Docg, bianco, un Colli di Conegliano Docg, Rosso, un Verdiso Igt, un Refrontolo Passito Docg o un Torchiato di Fregona Docg.
Follina Mauro Carli/Shutterstock
Prosecco e salumi Elena.Katkova/Shutterstock
Castello di Conegliano Maurizio Sartoretto/Shutterstock
La strada del Prosecco Marco Florian/Shutterstock
Polenta ChiccoDodiFC/Shutterstock
Palazzo dei Rettori, Belluno Kuznetsova/Shutterstock
All’ombra delle Dolomiti
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a più settentrionale delle città venete, Belluno, ai piedi delle Dolomiti, è uno splendido anfiteatro montano. L’interessante centro storico propone la bella Piazza del Duomo, con al centro una delle tante fontane della città vecchia, la fontana di San Gioatà, dove ci si può concedere una sosta, ricca di palazzi storici tra cui Palazzo Rosso, Palazzo dei Rettori, Palazzo Vescovile e la Cattedrale di San Martino. Di struttura rinascimentale è invece Piazza dei Martiri, autentico fulcro commerciale della città. Belluno è legata al famoso
scultore d’epoca barocca Andrea Brustolon, che con la sua arte ha arricchito la città. Molte delle sue opere sono custodite nella chiesa di San Pietro oppure a Palazzo Fulcis, sede del Museo Civico, dove sono esposti anche capolavori di Domenico Tintoretto, Sebastiano Ricci, Ippolito Caffi e altri artisti del periodo compreso tra il XIV secolo e l’inizio del 900. Da assaggiare a Belluno il Pastin, pietanza a base di carne tritata grossolanamente e aromatizzata servita con la polenta oppure spalmata sul pane con il formaggio.
Piazzza Duomo MoLarjung/Shutterstock
Belluno
Canale dei Buranelli, Treviso Walencienne/Shutterstock
Riflessi sull’acqua
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ono magiche le atmosfere di Treviso. All’interno delle sue mura custodisce tanti tesori storici tra cui il bel Duomo con la pala dell’Annunciazione del Tiziano. Il percorso artistico e culturale della città propone anche i Musei Civici, nelle sedi di Santa Caterina e del Museo Luigi Bailo, e Ca’ dei Carraresi, sede d’importanti mostre di livello internazionale. Treviso è una città ricca di storia che merita di essere esplorata e scoperta a piedi, alternando passeg-
giate lungo il corso del fiume Sile e dei canali, che offrono pittoreschi scorci, a visite alle case porticate dalle belle facciate affrescate riflesse sulle acque del Canale dei Buranelli, per respirare l’atmosfera della città legata alle sue acque. Tra i tesori dell’enogastronomia locale vi sono due eccellenze venete, il Radicchio Rosso di Treviso Igp e il famoso e universalmente apprezzato Prosecco Superiore di Conegliano Valdobbiadene Docg.
Duomo di Treviso arjma/Shutterstock
Risotto al radicchio rosso ANTONIO TRUZZI/Shutterstock
Lungo il Sile Giovanni Del Curto/Shutterstock
Treviso
BaccalĂ con polenta alla vicentina Claudio Stocco/Shutterstock
Piazza Dei Signori, Vicenza canadastock/Shutterstock
Soppressa vicentina Salvomassara/Shutterstock
Suggestioni palladiane
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ittà Patrimonio dell’Umanità Unesco, Vicenza è uno dei centri più belli e visitati della regione. Autentico scrigno di tesori del famoso architetto Palladio, è una città-salotto che regala scorci mozzafiato su piazze e strade. Un’autentica galleria d’arte che incanta i turisti che rimangono ammaliati dalla magnificenza della Basilica Palladiana che domina Piazza dei Signori, costellata di eleganti palazzi d’epoca, eredità del genio rinascimentale. Romanico, barocco e neoclassico sono gli stili che si alternano a Vicenza in un percorso emozionale
che ha nel Teatro Olimpico, primo esempio di teatro stabile coperto d’epoca moderna, una delle espressioni più alte dell’architettura cittadina. Altra icona dell’opera del Palladio è Villa Capra detta “La Rotonda”, situata a pochi passi dalla città. All’arte Vicenza accosta anche i parchi storici come Campo Marzo e Giardini Salvi, ma anche un ricco ventaglio di sapori, come la soppressa vicentina, grosso salame preparato con sola carne di maiale, e piatti tipici della città come il baccalà alla vicentina con la polenta.
Villa Almerico Capra “La Rotonda“ PHOTOMDP/Shutterstock
Vicenza
Tra Giotto e Sant’Antonio
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adova è una città dalla storia millenaria, uno straordinario percorso tra passato e presente ricco di tradizioni e arte. Sono tante le sue bellezze, dal Palazzo della Ragione alla Loggia dei Carraresi, testimonianze di quello che era lo splendore della Signoria dei Carraresi. Autentico tesoro della città è la Cappella degli Scrovegni con il prezioso ciclo di affreschi del Giotto, poi le sculture di Donatello e le moderne forme del monumento di Libeskind. Candidata al riconoscimento come bene del patrimonio dell’umanità Unesco - lo è già l’Orto Botanico dell’Università
Basilica di Sant’Antonio da Padova AD-ADVANCED/Shutterstock
Cappella degli Scrovegni EQRoy/Shutterstock
-, Padova è anche e soprattutto il suo Santo, quel Sant’Antonio che da sempre porta in città centinaia di migliaia di fedeli, incantati dalla Basilica di Sant’Antonio e dall’Abbazia di Santa Giustina e il Duomo. Incantevole lo scenario di Prato della Valle e suggestiva la passeggiata tra i portici del centro e nelle eleganti piazze del centro come Piazza delle Erbe e Piazza della Frutta. Cacciagione e carni avicole albergano sulla tavola padovana, ma anche salumi e i dolci del Santo come gli amarettoni di Sant’Antonio, il Pan del Santo e i Merletti di Sant’Antonio.
Cacciagione alla griglia a Padova wjarek/Shutterstock
Palazzo della regione EQRoy/Shutterstock
Padova
Sarde in saor
Canal Grande
Spritz in Piazza San Marco Mariam Luso/Shutterstock
Salotto regale
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ra le città più straordinarie del mondo, Venezia è un tripudio d’arte e bellezza, romanticismo e suggestioni. Impagabile apprezzarne la bellezza e l’unicità in gondola, lasciandosi incantare da ponti e palazzi, calli e campielli. Un susseguirsi di emozioni dall’impareggiabile colpo d’occhio del Canal Grande al salotto di Piazza San Marco, dalla vitale bellezza del Ponte di Rialto alla raffinata eleganza del teatro La Fenice, ai tesori del cuore della Serenissima, la Basilica di San Marco, il Campanile e il Palazzo Ducale. Venezia è da sco-
Un ristorante lungo un canale Roman Sigaev/Shutterstock
prire poco alla volta, lasciandosi trascinare dalla curiosità e dalla voglia di scoprirla lentamente. Alle tante gallerie ed esposizioni la città unisce le innumerevoli botteghe artigianali ma anche un susseguirsi di locali dove assaggiare le specialità della tavola locale. Sono i bacari, le caratteristiche osterie veneziane, a custodire la più tipica tradizione enogastronomica della città; qui si assaporano vini in calice, il caratteristico spritz, ma anche spuntini e tante tipicità tra cui le saporite sarde in saor e i crostini di baccalà mantecato.
Piazza San Marco Sergejs Filimon/Shutterstock
Venezia
Arena di Verona saiko3p/Shutterstock
Pasta e fagioli
Piazza dei Signori GoneWithTheWind/Shutterstock
Bollito con la pearĂ Colibryx/Shutterstock
Castelvecchio Aerial-motion/Shutterstock
Arena di meraviglie
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vvolta nel mito dei due giovani amanti protagonisti dell’opera di Shakespeare che l’ha resa celebre come città degli innamorati, Verona è una delle città d’arte più interessanti e apprezzate d’Italia, con il centro storico iscritto nella lista dei patrimoni dell’umanità Unesco. Cuore e simbolo della città è l’Arena, lo splendido anfiteatro romano che, ogni anno, ospita la stagione lirica e numerosi concerti e spettacoli, gioiello di un centro ricco di palazzi nobiliari, testimonianze dell’illuminato passato, e imponenti palazzi militari come Palazzo Barbieri, oggi sede del comune, e Palazzo della Gran Guardia. Numerose le chiese della città
tra cui il Duomo, all’interno del quale è conservata una pala del Tiziano, la basilica gotica di Sant’Anastasia e la Basilica di San Zeno, tesoro romanico che custodisce il trittico del Mantegna. Da non perdere una visita a Castelvecchio, un tempo fortezza scaligera e oggi museo d’arte medievale, rinascimentale e moderna, e all’antichissima Biblioteca Capitolare. Tra i piatti della tradizione veronese vi sono pasta e fagioli, il bollito con la pearà, carne di manzo con una salsa a base di pane grattugiato, formaggio, midollo, brodo e pepe nero, la pastissada de caval, antichissima ricetta a base di carne di cavallo, e la polenta.
Verona
Santuario della Beata Vergine del Soccorso pixelshop/Shutterstock
Atmosfere padane
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a più meridionale delle città venete, Rovigo è per i più un’autentica scoperta artistica, culturale e ambientale. Nata come feudo vescovile, la città si arricchisce di monumenti e palazzi in epoca medievale, tra i quali spiccano il simbolo della città, la Torre Donà, e la Torre Mozza, antica fortificazione medievale. Rovigo custodisce anche dettagli del suo passato legato alla Repubblica Serenissima, come il signorile Palazzo Roncale, e tesori legati all’affermazione dell’architettura ferrarese-emiliana come Palazzo Roverella, nuova sede della pinacoteca
dell’Accademia dei Concordi, tra le principali della regione. Al Santuario della Beata Vergine del Soccorso, dalla planimetria ottagonale, e al Duomo, interessante raccolta di opere d’arte, si uniscono il Monastero Olivetano di San Bartolomeo e il Museo dei Grandi Fiumi, dedicato alla civiltà contadina e alle sue tradizioni. Tra i piatti della cucina locale ci sono il risotto polesano, cucinato con anguilla, cefalo e branzino, la folaga in umido con i fagioli e la faraona “in tecia”, cotta in un tegame di coccio con olio, burro, cipolla e pepe, e la gallina in saor.
Rovigo centro Ihor Serdyukov/Shutterstock
Gallina in saor Agriturismo Corte Carezzabella
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Rovigo Eug Png/Shutterstock
Un intinerario tra le cittĂ murate del Veneto vi farĂ toccare con mano la storia, i miti e l'arte di questo territorio, scrigno di tesori medievali e rinascimentali, da scoprire passeggiando tra castelli, roccaforti e imponenti baluardi difensivi.
Montagnana | Padova | Veneto
Friuli-Venezia Giulia, mille sapori di confine
Luca Sartori
twitter.com/LucaSartoriIT
fabrice_gallina
zakaz86/Shutterstock.com
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n Friuli-Venezia Giulia, estremo nord-est d’Italia, si fondono la cultura mitteleuropea, veneta e slava. Come nell’arte e nelle tradizioni, anche sapori e cucina friulani sono il risultato di una miscela di culture che in quest’angolo della Penisola s’incontrano, dando origine a una regione unica che manifesta la sua unicità anche nella ricchezza dei suoi prodotti e delle tante ricette figlie di una molteplicità di paesaggi, ambienti e climi. Dai prodotti tipici che hanno ottenuto il riconoscimento Dop, come il prosciutto di San Daniele, il formaggio Montasio, l’olio extravergine di oliva Tergeste,
la Brovada e i salamini italiani alla cacciatora, ai vini tra cui il Friulano e la Ribolla Gialla, agli Igp come il prosciutto di Sauris, fino alle tante ricette della tradizione come il frico, il musetto, i cjarsons, la jota, la gubana, il presnitz, la putizza e la polenta di granoturco, il Friuli-Venezia Giulia è un meraviglioso viaggio in una moltitudine di prodotti e sapori, uno straordinario percorso di sorprese ed emozioni, anche per il palato. Per non perdersi nulla dei sapori del territorio si può andare sul sito dedicato ai sapori della regione www.turismofvg.it/ Strada-del-Vino-e-dei-Sapori.
Strada del vino e dei sapori
Parovel vigneti oliveti 1898
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Cividale del Friuli, tra vini e gubana
ra i centri più ricchi di storia e arte della regione, Cividale del Friuli, Bandiera Arancione del Touring Club Italiano, è il cuore dei colli che si estendono a est di Udine. Alla ricchezza architettonica del borgo, che conserva un bel centro storico dalle case con le facciate dipinte in un groviglio di vicoli acciottolati e piazzette - dove sono da vedere, tra gli altri, il duomo del XIV secolo di Santa Maria Assunta, il quattrocentesco Palazzo Comunale e il Museo Archeologico Nazionale -, si uniscono migliaia di ettari di vigneti
Ponte del diavolo xbrchx/Shutterstock.com
che hanno permesso alla zona di divenire una delle terre più rinomate per la produzione vitivinicola. Tra i tanti vini Doc e Docg ottenuti da numerose varietà di vitigni di quest’angolo di Friuli, in provincia di Udine, vi sono il Picolit, il Tocai friulano, la Ribolla Gialla e il Sauvignon. Cividale non è però solo terra di vini ma anche di formaggi e dolci tra cui la gubana, tipico dolce delle valli del Natisone a base di pasta dolce lievitata con un ripieno di noci, uvetta, pinoli, zucchero e scorza grattugiata di limone.
Gubana barbajones/Shutterstock.com
Tra i vicoli del borgo xbrchx/Shutterstock.com
Centro di Cividale del Friuli xbrchx/Shutterstock.com
Castello Villalta Mario Saccomano/Shutterstock.com
Fagagna Bertolutti Serena
Pestat Az. Agricola CASALE CJANOR
Fagagna, formaggio e Pestàt
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accolta intorno a un colle che accoglie i ruderi del castello, Fagagna appartiene a “I Borghi più Belli d’Italia”. Noto per il saporito “formaggio di Fagagna”, tra i PAT friulani - nato nel 1865 presso la Latteria sociale di Fagagna, dalla crosta liscia di colore paglierino, tendente al marrone con la stagionatura -, il borgo propone l’interessante Museo della Vita Contadina, fedele ricostruzione della tipica abitazione rurale e il contesto socio-produttivo della realtà contadina friulana, e la Pieve di Santa
Maria Assunta, dove tratti della pavimentazione in cocciopesto ne fanno risalire le origini al V secolo. Altra prelibatezza tipica del borgo di Fagagna è il “Pestàt di Fagagna”, la conserva condimento pensata per conservare nel lardo di suino i profumi e i sapori delle verdure e delle erbe provenienti dagli orti nel periodo autunnale. Il lardo dei maiali locali viene macinato e miscelato con un trito di verdure e spezie, poi insaccato in un budello naturale e stagionato in cantine umide e fresche.
Fagagna Abbate Paolo
xbrchx/Shutterstock
davidephotonature/Shutterstock
È
un intrico di canali, isole e isolotti. Un’alternanza di dune sabbiose e bacini salmastri. Quella di Grado è la zona umida più settentrionale del Mediterraneo, un ecosistema unico, straordinario. Aironi, alzavole, cormorani, morette grigie, cigni, folaghe e falchi di palude ne compongono il mosaico faunistico che conta anche volpi, faine, caprioli, lepri, scoiattoli e tassi. Pittoresco labirinto di calli e campielli, il suo centro storico è un susseguirsi di architetture tradizionali, tra
Rsphotograph/Shutterstock
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Grado, tra anguille e crostacei
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muri di pietra, piccole scalinate esterne e caratteristici comignoli dove fermarsi per assaporare la sua cucina tipica. Nei suoi migliori ristoranti si servono numerose specialità tra cui il “bisato in speo”, espressione dialettale che sta per “anguilla allo spiedo”, tagliata a pezzi e cotta su uno spiedo di ramo di alloro. La tavola gradese propone ovviamente tantissimo altro pesce tra cui sgombri, aguglie, sardine, cefali, lanzardi e palamiti, oltre a molluschi e crostacei.
Grado Ecoplane
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Gradisca d’Isonzo, gulasch e gnocco di susine
ra i borghi più affascinanti della regione, Gradisca è racchiusa tra torri, bastioni e tratti di mura restaurate, quanto rimane della fortezza quattrocentesca costruita dai veneziani sulla riva destra dell’Isonzo. Terra di memorie della Prima Guerra Mondiale, è un borgo ricco di bei palazzi nobiliari, un paese giardino dal bel centro storico con apprezzabili edifici storici tra cui palazzo Torriani, sede del municipio, d’ispirazione palla-
diana, il Palazzo del Monte di Pietà, dall’elegante portale, e la Loggia dei mercanti, dalla graziosa loggia con tre archi bugnati. Si aggiungono poi il duomo dalla bella facciata barocca e la quattrocentesca chiesa dell’Addolorata. Numerose in questo territorio le cantine che offrono visite e degustazioni di vini bianchi e rossi. Tra i classici della cucina locale il gulasch, lo gnocco di susine, il baccalà, le trippe, i salumi e i formaggi.
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Mauro Carli/Shutterstock
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Asparagi bianchi barmalini/Shutterstock
Terre di pianura, tra brovada e asparagi bianchi
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a pianura friulana è una costellazione di cittadine e borghi, tra mulini e santuari dell’archeologia industriale, ville storiche e castelli, dove esplorare la storia e la cultura di quest’angolo d’Italia a due passi dal cuore dell’Europa centrale. I ristoranti di pianura propongono a turisti e viaggiatori il classico frico, ma anche deliziosi piatti a base di carne suina e insaccati. Tra le delizie di pianura ci sono i prelibati asparagi bianchi di Tavagnacco, celebrati in numerosi eventi
primaverili, poi il salame friulano, la salsiccia, la soppressa, la pancetta, il lardo, il musetto e la “marcundela”, preparata con un trito di fegato, milza, reni e polmoni. Imperdibile un assaggio della storica brovada, da assaporare con un buon arrosto o un buon piatto di polenta, e poi le specialità d’oca come il salame, il prosciuttino crudo e il cotto d’oca, lo speck e il petto affumicato, il tutto da annaffiare con i vini della zona Doc Friuli Grave.
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Frico morbido FVG
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Affumicatoio domestico Massan/Shutterstock
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Il Carso, pesce e formaggi
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e aride terre del Carso raccontano di vini e formaggi ma anche di molto altro. Dal salmone al famoso olio extravergine Dop Tergeste della Val Rosandra, tra un assaggio di jota, la tradizionale minestra di crauti e fagioli, il formaggio Jamar, stagionato per almeno quattro mesi in fondo a una grotta carsica, che in sloveno si chiama appunto jama, tra sottaceti, il saporito prosciutto crudo del Carso, i tanti formaggi da accompagnare con l’ottimo miele di Marasca, poi la porcina, il
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pane fatto in casa, una moltitudine di sapori da abbinare a uno dei vini locali, un Terrano o il più secco, e minerale, Vitovska. Autentica eccellenza locale è il formaggio Monte Re, che affonda le sue radici nel periodo austroungarico ed è prodotto in un unico caseificio. Poi carne e pesce della costa, tra cui le cozze, conosciute come i “pedoci”, le vongole, che qui si chiamano “caperozzoli”, e le alici, che qui si chiamano “sardoni”, preparate “in savor”, cioè fritte e marinate in aceto e cipolla.
Jamar Zidaric
Parovel vigneti oliveti 1898
Prosciutto San Daniele Fabrice Gallina
Rosa di Gorizia Biolab SRL
Vigneti nel Collio Giacinto Bianco/Shutterstock
Le terre collinari, terre da vino
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ra pianura e monti c’è la zona dei colli, terra di vigne e poggi, vini e cantine. Area dove s’intersecano le zone Doc del Collio e del Friuli Isonzo, del Friuli Colli Orientali e del Friuli Grave, assieme alle loro Docg Picolit, Rosazzo e Ramandolo. Un patrimonio vitivinicolo di alta qualità. Una sterminata distesa di vigneti collinari che producono vini di qualità come il Pinot Grigio e il Pinot Bianco, il Sauvignon e il Friulano, la Ribolla Gialla e il Cabernet Franc, il Collio, il Merlot e il Cabernet
Sauvignon. Vini e ancora vini da godere con le meraviglie della gastronomia locale con una delle eccellenze regionali, il Prosciutto San Daniele del Friuli, i formaggi e la Rosa di Gorizia, un radicchio di colore rosso intenso. Qui s’incontrano la tradizione culinaria austriaca, friulana e slovena e nei ristoranti servono il goulash, i blecs, i glizlikrof, una sorta di ravioli farciti, gli gnocchi di pane, i kipfel, piccole mezzelune fritte, gli strudel, la putizza, i krapfen e le palacinke, omelette dolci e salate.
Collio Fabrice Gallina
Pitina Ricantimages/Shutterstock
Tradizionale stanza per la produzione e l’affumicatura del formaggio Massan/Shutterstock
La Carnia, tra Montasio Dop e Pitina Igp
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are, pianure, colline ma anche monti. Il Friuli-Venezia Giulia è anche cime e vallate, parchi naturali e sentieri, laghi e canyon. La parte montana della regione, la Carnia, oltre a custodire una natura incontaminata, propone itinerari slow tra vette dolomitiche e paesaggi rurali, boschi e borghi incantati dove vive una ricca e variegata produzione casearia. Il celebre formaggio Dop Montasio, il Prosciutto di Sauris e la Pitina, entrambi insigniti della certificazione IGP, sono solo una parte dell’eccellenza enogastronomica dei monti dove continua a vivere una ricca tradizio-
Montasio Fabrice Gallina
ne folcloristica. Chi visita la Carnia deve assolutamente assaggiare gli speciali cjarsons, i ravioli semidolci ripieni di un impasto di erbe spontanee varie o di patate, con un misto di uvetta e, talvolta, anche cioccolata, conditi, dopo la cottura, con burro fuso e cannella. Carnia e monti vogliono anche dire fagioli borlotti, “formadi frant”, impasto di formaggi Presidio Slow Food, l’aglio di Resia, il “Radic di Mont”, un tenero radicchio selvatico raccolto sugli alpeggi, il formaggio Asìno, poi il filon, la lombata magra disossata, e la “brusaula”, strisce di carne magra, conciata ed essiccata.
Prosciutto di Sauris LorenzoPeg/Shutterstock
Lago Bordaglia, Carnia William.Vaccaro/Shutterstock
I luoghi del gusto
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er godersi l’universo di sapori del Friuli-Venezia Giulia ci moltissimi luoghi del gusto. Dai monti alle pianure, dalle colline al mare, trattorie, agriturismi, cantine, ristoranti, aziende agricole e botteghe del gusto regalano emozioni uniche. Dal Ristorante al Monastero all’Agriturismo Al Bosco Romagno di Cividale del Friuli, dal Casale Cjanor all’Azienda del Poggio di Fagagna, i prosciuttifici di San Daniele del Friuli, il Bagatto, il Dok Dall’Ava, il Prolongo e la Casa del Prosciut-
to Alberti 1906, il Ristorante La Taverna di Colloredo di Monte Albano, la Cantina Castelvecchio di Sagrado, la Tenuta Borgo Conventi e la Tenuta Villanova di Farra d’Isonzo, poi la Trattoria Al Piave di Mariano del Friuli, il Castello di Rubbia di Savogna, l’Antica trattoria Alla Fortuna e la Taverna All’Androna di Grado, la Pasticceria Mosaico e l’azienda agricola Bellaminut Cristian di Terzo di Aquileia, e molti altri da scoprire e da scegliere sul sito www.turismo.fvg.it.
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Campi in Friuli-Venezia Giulia zakaz86/Shutterstock
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l Consorzio del Prosciutto di San Daniele affonda le sue radici nel 1961, quando un gruppo di cittadini, tra cui produttori di prosciutto, industriali di altri settori e persone della società sandanielese, decide di unirsi con lo scopo di tutelare e diffondere il nome e il marchio del Prosciutto di San Daniele, stabilendone le regole di lavorazione. Oggi il Consorzio conta tutti i 31 produttori del pregiato prosciutto friulano, dalla qualità riconosciuta dallo Stato Italiano fin dal 1970, attraverso una specifica norma che ha recepito gli usi leali e costanti della produzione tradizionale. E il salume è stato riconosciuto anche dall’Unione Europea nel 1996 come prodotto a Denominazione di Origine Protetta.
Il codice etico del Consorzio si basa sui principi di correttezza, equità, integrità, lealtà, collaborazione e rigore e racchiude i valori condivisi dai vari membri dello stesso. Il prodotto, riconosciuto quale denominazione di origine protetta, è controllato da un organismo terzo e vigilato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali che verifica e certifica la corretta applicazione del Disciplinare di Produzione a carico di tutti i soggetti della filiera produttiva, tutta rigorosamente italiana, composta da allevatori, macellatori, prosciuttifici e laboratori di affettamento. Per sapere tutto sul Consorzio del Prosciutto di San Daniele basta andare sul sito www.prosciuttosandaniele.it.
Il Prosciutto di San Daniele Luca Sartori
La produzione di un’eccellenza
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la selezione delle carni la prima fase di produzione; i suini devono essere nati, allevati e macellati in sole 10 regioni del centro e nord Italia, alimentati con siero di latte e cereali nobili, secondo una dieta ben precisa e definita dal disciplinare. Solo per le cosce che superano il controllo preliminare di conformità inizierà il processo di lavorazione. Le carni scelte vengono conservate per 24 ore tra -1 grado a 3 gradi per essere poi rifilate per favorirne la perdita di umidità. Dopo altre 24 ore si passa alla salatura con sale marino italiano e al riposo per un numero di giorni pari al numero di chilogrammi di peso della coscia. Segue la pressatura e il riposo in saloni dedicati a umidità variabile tra il 70 e l’80% a una temperatura tra i 4 gradi e i 6 gradi, fase che dura fino al quarto mese dall’inizio della lavorazione. Si passa poi al lavaggio, processo tonificante
che, con il cambio di temperatura, porta alla fase di maturazione. Anche la stagionatura, così come tutte le fasi di lavorazione, deve avvenire nel territorio comunale di San Daniele del Friuli in condizioni ottimali di temperatura, umidità e ventilazione. Ultime fasi della produzione sono la sugnatura, l’applicazione della sugna, composta da grasso suino e farina di riso, nella parte non coperta dalla cotenna, per proteggere e ammorbidire quest’ultima, favorendo la perdita di umidità all’interno della coscia ed evitando la secchezza delle carni. A seguito dei controlli qualitativi, è con la battitura e la puntatura con osso di cavallo che si valutano il grado di stagionatura e la bontà attraverso l’olfatto e si verificano i requisiti per procedere con la marchiatura a fuoco, garanzia di qualità del prodotto, al compimento del tredicesimo mese.
La terra del prosciutto
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an Daniele del Friuli è famosa in tutto il mondo per la produzione del prosciutto ma è anche un centro ricco d’arte e tradizione. Una visita al suo elegante e ben conservato centro storico, tra vicoli e piazze, testimonianze storiche e artistiche, consente di fare un viaggio a ritroso nel tempo. Tra i luoghi da vedere ci sono la chiesa di Sant’Antonio Abate, santo patrono di macellai e salumieri, denominata “la Sistina del Friuli”, sede di uno straordinario ciclo pittorico rinascimentale realizzato da Pellegrino da San Daniele tra il 1497 e il 1522, il Portonat, già Porta Gemona, progetta-
to nel 1579 dal Palladio, il Duomo di San Michele Arcangelo, il Palazzo del Monte di Pietà, opera del veneziano Matteo Lucchesi, il campanile cinquecentesco, Villa Masetti de Concina, la chiesa di Santa Maria della Fratta, il Belvedere e la Scala panoramica e il Santuario di Madonna di Strada. Tra i tesori della cultura locale ci sono il Museo del Territorio, la Sala esposizione cimeli storici militari nella Casa del Trecento, e l’imperdibile biblioteca Guarneriana nel quattrocentesco Palazzo della Magnifica Comunità, la più antica del Friuli e tra le prime istituzioni di pubblica lettura in Italia.
Aria di San Daniele
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uella del Consorzio del Prosciutto di San Daniele è una vera missione di salvaguardia di un’eccellenza universalmente apprezzata, dove all’artigianalità, all’unicità e alla storia del prodotto, al legame con il territorio, alla qualità e alla tracciabilità si affianca la promozione e la conoscenza di questa eccellenza friulana. È con la manifestazione itinerante “Aria di San Daniele” che il Consorzio organizza da anni la promozione del prodotto in tutta Italia con serate speciali in selezionati locali e nelle aree metropolitane delle principali città italiane. Eventi dove alla degusta-
zione del prodotto affettato al momento si unisce il racconto di un esperto oste, per far conoscere i segreti della produzione e apprezzarne l’unicità, tra un ricco aperitivo e speciali menù dove protagonista è il San Daniele. Da Milano al Lago di Garda, da Torino a Firenze, poi a Verona, Pescara e Roma, “Aria di San Daniele” è da mesi protagonista, e continua a esserlo anche nell’ultima parte dell’anno: a Bari e Matera a ottobre, a Napoli e Catania a novembre e tra le Dolomiti Bellunesi a dicembre. Il calendario con tutte le tappe del tour è disponibile su www.ariadisandaniele.it.
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Formaggio Montasio Dop: vette di gusto
Luca Sartori
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alla famiglia dei grandi formaggi alpini che appartiene il Montasio. Nato verso il 1200 nelle vallate delle Alpi Giulie e Carniche grazie alla costanza e all’intelligenza dei frati Benedettini, viene oggi prodotto in Friuli-Venezia Giulia, in tutto il territorio delle province di Udine, Pordenone, Gorizia e Trieste, e nel Veneto, nell’area delle province di Treviso e Belluno e, in parte, in quelle di Venezia e Padova. È il Consorzio per la tutela del Formaggio Montasio a vigilare sul suo commercio e sulla produzione, occupandosi della valorizzazione promozionale e della produzione del
prodotto. Il Consorzio svolge una continua opera di assistenza, verifica le lavorazioni, preleva campioni per analisi, sovrintende e coordina l’attività di ricerca e svolge un’intensa attività di vigilanza e di controllo sulla commercializzazione del Montasio a tutela del consumatore finale, con particolare attenzione e verifica delle norme igienico-sanitarie di vendita, dell’uso leale del marchio e il corretto uso della denominazione di origine. Per approfondire la conoscenza dell’attività del Consorzio e le caratteristiche del Montasio Dop si può consultare il sito www.montasio.com.
Eccellenza per il palato
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a definizione Montasio è registrata e protetta dal 12 giugno 1996 a livello comunitario quale Denominazione d’Origine Protetta. Un’eccellenza che diviene la sintesi delle Alpi, del Friuli-Venezia Giulia e del Veneto orientale, tre mondi che con la loro natura, i loro paesaggi, la loro storia e la loro gente danno forma a un grande formaggio. Una meraviglia gastronomica, capolavoro dell’esperienza che si traduce in un formaggio speciale, a pasta cotta, semidura, dal caratteristico sapore morbido e delicato, equilibrato e privo di lattosio.
Un formaggio apprezzabile e gustabile in quattro diverse stagionature e altrettante straordinarie sfumature di sapore. Fresco, stagionato da 60 a 120 giorni, dal gusto morbido e delicato, dalla pasta di color giallo paglierino e compatta, con l’occhiatura omogenea, la crosta liscia e il sapore delicato. Mezzano, stagionato da 5 a 10 mesi, dal sapore pieno e deciso. Stagionato più di 10 mesi, piacevolmente saporito. Stravecchio, con oltre 18 mesi di stagionatura, raffinato e gustoso, ottimo da grattugiare.
La produzione
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a storia della produzione del Montasio ha visto un’evoluzione delle tecniche di produzione, mantenendo intatto il concetto di trasformazione. Il latte viene infatti trasformato in formaggio utilizzando procedimenti che consentono di non sconvolgere la flora microbica e batterica originale. Per questo viene utilizzato latte crudo, fresco, che non ha subito trattamenti energici. Per favorire la moltiplicazione dei fermenti naturali del latte, propri della zona di produzione, delle razze bovine e dei fieni utilizzati, si utilizza un innesto a bassa acidità ottenuto facendo fermentare il latte dopo pastorizzazione a basse temperature. Tecnologia classica che prevede la raccolta differenziata delle due munte e la spannatura serale del latte, messo
poi in caldaie con aggiunta di lattoinnesto, portando il tutto al 32-34 gradi, aggiungendo il caglio. Dopo poco meno di mezz’ora di coagulazione la massa gelatinosa viene tagliata, ottenendo granuli delle dimensioni dei chicchi di riso. Si passa così alla fase di riscaldamento alla temperatura di 44-46 grado. La cottura o spinatura fuori fuoco è il passaggio fondamentale per ottenere il rassodamento e dopo circa mezz’ora, con delle tele, si estraggono i Montasio che vengono deposti nelle fascere che riproducono marchio d’origine, data di produzione e il casello. Seguono la pressatura e la posta in salamoia delle forme per 48 ore, e dopo un’ultima salatura, le forme vengono messe nei magazzini a stagionare.
Un sapore per sempre
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ono innumerevoli le possibilità di consumo del formaggio Montasio. Basta farsi guidare dalla fantasia per gustarlo nei modi più svariati. Una fetta di Montasio fresco con il pane è forse il modo più classico per apprezzare la bontà di tale eccellenza, oppure il mezzano con la frutta, abbinamento leggero e saporito. Ottimo anche per un semplice break in ufficio, oppure a pranzo, aggiungendo il Montasio stagionato a un’insalata. Ideale gustarne qualche scaglia di stravecchio con un buon vino
rosso, oppure il fresco tagliato a listelle con un calice di vino bianco o con le bollicine. E poi ottimo lo stravecchio grattugiato su ogni tipo di pasta o sugo. Tante sono anche le ricette preparate con il Montasio Dop, dagli gnocchi ripieni con vellutata di porro al tortino di spinaci, dalle pere gratinate ai tortelli verdi con aceto balsamico alla minestra, tutto preparato con il Montasio. Per scoprire tutte le ricette con tale straordinario formaggio si può consultare il sito www.montasio.com.
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AR GU
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Antonella Andretta
facebook.com/antonella.andretta
Marco Possieri
Città della Pieve: rossa come l’oro, preziosa come un fiore
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’è sempre un motivo per andare a Città della Pieve, ma in autunno ce n’è uno molto speciale: profumato, colorato, utilizzato da secoli e non solo in cucina. Il suo nome è zafferano e la città umbra lo festeggia nel migliore dei modi, con un evento di tre giorni, intitolato “Zafferiamo”, che quest’anno si terrà il 19 e 20 e poi dal 25 al 27 ottobre. “Zafferiamo” celebra questo pregiato prodotto della terra che per la città umbra non è solo vanto e importante fattore economico (i produttori dei 15 comuni che danno origine al “Croco di Pietro Perugino - Zafferano di Città
della Pieve” sono riuniti in un consorzio che garantisce origine e qualità), ma anche fondamento di storia e cultura. La manifestazione ne ricorda le mille sfaccettature e gli svariati impieghi, a partire dalla gastronomia. Non mancano, infatti, degustazioni di specialità rese uniche dall’inconfondibile profumo (di fieno e iodoformio, come dicono gli esperti, dovuti alle molecole picrocrocina e safranale contenuti nel polline del crocus sativus, il fiore da cui si ottiene appunto lo zafferano) e anche i ristoranti presentano per l’occasione menu studiati ad hoc.
Fiori di Zafferano
“Zafferiamo 2019” tra sapori, suggestioni e laboratori
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a mostra mercato viene allestita nel centro storico dove i produttori del Consorzio propongono ogni genere di prodotti realizzati con la preziosa spezia: dai formaggi ai salumi, dai gelati agli aperitivi, dalle pizze ai dolci. Ma non è tutto, perché lo zafferano può essere un ingrediente nella composizione di tinte, di colori, di cosmetici: per scoprire come fare, basta partecipare ai laboratori di tintura di tessuti oppure a quelli di pittura con la tecnica dell’acquarello per ottenere, dallo zafferano infuso, tutte le tonalità
dell’oro rosso. Chi non se la sente di armeggiare con i pennelli potrà sempre guardare la mostra di opere realizzate da artisti vari o magari sporcarsi di farina al laboratorio di cucina Mani in pasta. L’eclettismo, la varietà di impieghi dello zafferano è parte del DNA stesso di questa bella cittadina, rossa anch’essa per via del laterizio che ne caratterizza le architetture. Un rosso che è più di una variante cromatica, dunque, ma è vero e proprio leitmotiv per scoprirne la storia e le tradizioni.
Sinuosa sopra il verde della Valdichiana
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ittà della Pieve è una di quelle località baciate dalla divinità del paesaggio (se mai esistesse…). Affacciata sulla Valdichiana e sul Lago Trasimeno, al confine cioè tra Umbria e Toscana, consente a chi vi si reca di ammirare, dall’alto dei cinquecento metri su cui si trova adagiato il centro storico, ariosi panorami che spaziano da Monte Cimino ai monti Sibillini, dal Pratomagno al Cetona e all’Amiata. Girare tra le strade del borgo, alzare gli occhi verso facciate in mattoni, ammirare i campanili, curiosare tra i vicoli (uno dei quali, il vicolo Baciadonne, pare sia il più stretto d’Italia),
Via Po di Mezzo
significa anche respirare la stessa aria e lasciarsi permeare dalle stesse sensazioni che hanno segnato l’immaginario del Perugino, il grande maestro che, a dispetto del nome, nacque proprio a Città della Pieve. Chi conosca anche solo un po’ la pittura rinascimentale non può non ricordare gli sfondi immortalati nelle opere degli artisti dell’epoca e quei panorami di colli, cipressi e rocche, altro non sono che la trasposizione pittorica di quanto era sotto i loro occhi, ammantato da quella specialissima luce che rende tutto così bello, poetico e suggestivo.
Via del Profiello
Via Francesco Melosio
Cattedrale e Torre Civica
Viale Icilio Vanni e Chiesa di Santa Lucia
Il battesimo di Cristo
Palazzo della Corgna
La cattedrale, gli affreschi e le celle
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el Perugino, Città della Pieve conserva alcune delle opere più celebri: la “Deposizione dalla Croce”, un affresco danneggiato ma di forte impatto, conservato al Museo Civico Diocesano di Santa Maria dei Servi, la splendida “Adorazione dei Magi”, che si trova nell’Oratorio di Santa Maria dei Bianchi, non lontano dalla Cattedrale, nella quale è invece custodito il “Battesimo di Cristo”. Passeggiando per il borgo la incontrerete sicuramente, si trova proprio al centro, è il fulcro stesso intorno al quale è nata la città. Di fronte alla Cattedrale si trovano poi
il Palazzo dei Priori e il Palazzo della Corgna, un antico edificio a cui si accede attraverso uno scalone affrescato, come affrescati sono i soffitti e le pareti dei vari ambienti. Tra i simboli della città anche la Rocca Perugina, ex fortificazione, ex carcere: la visita si snoda tra saloni, tra stretti cunicoli, antiche celle carcerarie e alcune torri. Anche l’arte contemporanea trova luogo a Città della Pieve: a Spazio Kossuth e nel Giardino dei Lauri è possibile ammirare opere e istallazioni di grande interesse e felicemente “in contrasto” con l’ambiente medievale circostante.
Rocca Perugina
Città “quattro stagioni”
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ome dicevamo, c’è sempre un buon motivo per visitare Città della Pieve: sotto Natale, quindi a breve, nei sotterranei di Palazzo della Corgna, viene allestito il Presepe Monumentale costituito da più di cento statue di grandi dimensioni ambientate con grande perizia artigianale. Emozionante anche la tradizione dei Quadri viventi, che la domenica e il lunedì di Pasqua, mette in scena, nei sotterranei di Palazzo Orca, rappresentazioni che rievocano, con più di 40 figuranti, la Passione e la Resurrezione. Spettacolare poi l’“Infiorata” di giugno, con le strade della città ricoperte di tappeti
di petali che compongono immagini coloratissime. E in agosto, il celebre “Palio dei Terzieri”, rievocazione storica di un’antica tradizione medievale, la “Corsa del Toro”, una specie di corrida che avveniva tra le vie del paese. Oggi l’evento celebra la cultura e le tradizioni del Medioevo e del Rinascimento umbro (da non perdere il corteo in abiti d’epoca) e la caccia al toro è stata sostituita con una competizione durante la quale i partecipanti, in rappresentanza dei vari “terzieri” (quartieri) si sfidano al tiro con l’arco colpendo delle sagome che riproducono le sagome dei tori.
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Nella “Terra dei castelli”
Simona PK Daviddi
facebook.com/simona.pk.daviddi
Castelvetro, Castello di Levizzano Nacchio’sBrothers
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i chiama Unione Terre di Castelli e raggruppa otto borghi in provincia di Modena, distesi lungo un territorio che dalla pianura sale dolcemente verso le colline, via via fino all’Appennino: Vignola, Spilamberto, Marano sul Panaro, Guiglia, Savignano sul Panaro, Castelnuovo Rangone, Castelvetro di Modena e Zocca sono otto gemme incastonate in un paesaggio naturale ancora incontaminato e ricco di charme. Non è un caso, dunque, che il claim di Terre di Castelli sia “Vivi, Scopri, Assapora”: tutti e cinque sen-
si, infatti, vengono inebriati visitando questi piccoli scrigni impreziositi da gemme architettoniche che hanno il sapore della storia, da prodotti enogastronomici sfiziosi, da una natura esuberante e perfetta per passeggiate rigeneranti e trekking tonificanti, il tutto permeato da un’atmosfera che strizza l’occhio al bien vivre e ai ritmi slow del turismo di qualità. Eccoli allora, tutti e otto, in un’affascinante carrellata (a Vignola è dedicato un approfondimento, poco più avanti sulla rivista) tutta da assaporare!
Spilamberto: ritorno al Medioevo
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Rocca Rangoni
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appa di viandanti e pellegrini lungo l’antica Via Romea già prima dell’anno Mille e presidio difensivo a partire dal 200, Spilamberto mantiene intatto il suo fascino antico grazie sia alla poderosa Rocca Rangoni - dal nome dei feudatari che lo governarono per secoli -, con il tozzo corpo centrale ingentilito da un balcone cinquecentesco, e sia soprattutto all’imponente complesso del Torrione trecentesco, che svetta sull’abitato con i suoi merli, rivelando i resti dell’antico ponte levatoio e narrando di un passato oscuro in cui fu adibito a prigione. A tal proposito, è imperdibile una visita alla cella di Messer Filippo, un prigioniero colto
e capace di scrivere in rima, che ha raccontato la propria storia sui muri della prigione, attraverso graffiti che la leggenda vuole scritti con il sangue - e sempre secondo la leggenda, il fantasma di Filippo si aggira ancora tra le antiche mura! -. Le viette di Spilamberto custodiscono altre gemme degne di nota come il Palazzo del Governatore, il Palazzo del Bargello, l’antica filanda seicentesca per la lavorazione dei bachi da seta - allevati sul territorio -, la Chiesa della Beate Vergine del Carmine e il Museo del Balsamico Tradizionale, prodotto di punta della gastronomia locale insieme ad amaretti e nocino.
Torrione
Museo dell’Aceto ABTM
Loris Tagliazucchi
Chiesa di San Lorenzo
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n paesaggio ondulato punteggiato da minuscoli agglomerati che invitano, solo ad ammirarli, a rallentare i ritmi: è il territorio di Marano sul Panaro, la cui storia, in realtà, è scandita da episodi non proprio tranquilli, che vedono Modena e Bologna contendersi per secoli il grazioso borgo e il suo castello, risalente addirittura al 1100. Cuore dell’abitato principale è Piazza Matteotti, quasi un libro aperto sulle vicende del paese, dominata com’è dalla Chiesa di San Lorenzo - che custodisce il veneratissimo Cristo Nero, in legno d’ulivo - e dall’Antico Mulino Montecuccoli - il nome deriva dalla Signoria
Piazza Matteotti Nacchios Borthers
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Marano sul Panaro, dove la natura regna sovrana
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che governò Marano nel tardo Medioevo - sotto al quale scorre scenografico il canale omonimo. Lasciando il centro antico, meritano una visita anche Denzano - abbellito dall’alta torre e impreziosito dal castello e dai resti di una parrocchiale, della quale rimane solo l’abside costruita a immagine del prototipo del Duomo di Modena - Villabianca - da dove la vista spazia sulla vallata e sui suggestivi calanchi - e Ospitaletto - con il curioso il fenomeno vulcanico delle “salse” -, mentre da Festà e Casona partono interessanti escursioni lungo il Panaro e all’interno del Parco dei Sassi di Roccamalatina.
Marano Denzano Loris Tagliazucchi
Castello di Guglia
Borgo Sassi, Rocca Malatina
Massimo Bonini
Guiglia: il balcone dell’Emilia
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a vista che si gode dall’abitato e che abbraccia a volo d’uccello le colline - siamo a 490 metri d’altitudine - e la pianura, da sola vale la visita di Guiglia, ma le sorprese che il borgo riserva non si esauriscono certo con il panorama: l’antico castello, con la svettante Torre del Pubblico, narrano di intrighi, guerre tra fazioni, incendi e dominazioni che lasciano le proprie tracce nei rimaneggiamenti architettonici dell’edificio via via fino al 1630, quando il marchese Montecuccoli iniziò un restauro radicale che trasformò la rocca in una sontuosa residenza nobiliare. Ha mantenuto invece le fattezze di un maniero il Castelli-
no delle Formiche - la cui etimologia è frutto di un’errata traduzione medievale del latino formido, “che incute timore” - un piccolo agglomerato dominato dalla torre quattrocentesca arroccata su uno sperone roccioso e trasformata nei secoli nel campanile della Chiesa di Santo Stefano, costruita entro le mura. Infine, è ancora un edificio religioso che merita una tappa a Guiglia, la Pieve romanica di Trebbio, nel cuore del Parco Regionale dei Sassi di Roccamalatina: con il bel portale scolpito, i capitelli antichissimi, le pitture di pregio e le splendide sculture che ne valorizzano l’interno.
La Venere
Savignano sul Panaro: tra castelli ed elefanti quella di Matilde di Canossa, tra le più importanti protagoniste della scena internazionale dei “secoli bui” che, si dice, amasse soggiornare “da queste parti”, tanto che aggirandosi tra le viuzze del borgo ci si imbatterà quasi sicuramente in quella che la leggenda vuole fosse la sua casa. Per gli amanti del buon vino, non si possono non segnalare gli 11 vitigni del territorio, da degustare sotto forma di Doc, in una delle aziende vitivinicole dei dintorni, mentre nella stagione invernale non si può non assaggiare il dolcissimo caco di Savignano.
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e ci fossero dubbi sulle origini antichissime di Savignano, oltre ai resti di insediamenti preistorici, due importanti ritrovamenti fugano ogni dubbio: qui infatti è stato ritrovato lo scheletro di un elefante Mammuthus risalente al Pliocene - e visitabile nel locale Museo dell’elefante - e la Venere di Savignano - una statuetta con sembianze femminili - , databile al Paleolitico, mentre il suo castello medievale - dalla bellissima torre in sasso, sulla quale si possono ancora vedere i resti di pregevoli affreschi - ha conosciuto diverse dominazioni, tra le quali
Nacchio’sBrothers
Castelnuovo Rangone: all’insegna dell’arte contemporanea
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in qualsiasi giorno e a qualsiasi ora, grazie alla disposizione “in vetrine” visibili dall’esterno e sempre illuminate. E a corollario della passeggiata “temporale” non possono mancare una sosta al pozzo “ritrovato” e alla statua in bronzo dedicata al maiale - l’animale-simbolo dell’attività più produttiva del paese, la lavorazione delle carni suine - così come un giro sulla Collina delle Fiabe, per tornare un po’ bambini tra le sagome dei personaggi delle favole disegnate dal noto scenografo Emanuele Luzzati.
Terramara di Montale
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itrovarsi a Castelnuovo vuol dire concedersi una passeggiata lungo i secoli, che inizia idealmente al Museo Archeologico Terramara di Montale, che ospita - open air - la ricostruzione di un insediamento terramaricolo (ovvero un villaggio preistorico fortificato risalente all’età del bronzo) ritrovato in loco, prosegue con i resti delle mura e del castello e con il torrione quattrocentesco a pianta quadrata, e termina al Crac Spazio Arte, dall’avveniristico concetto di fruizione artistica che consente di ammirare le opere esposte
Collina delle fiabe
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Castelvetro di Modena: la patria del Lambrusco
ici Castelvetro e ti viene subito in mente Grasparossa, la varietà di Lambrusco più pregiata, che qui viene coltivata insieme al vitigno del Trebbiano, usato poi per ricavare l’Aceto Balsamico Tradizionale. Immerso in un riposante paesaggio scandito da filari e tralci, il borgo di Castelvetro è dominato da sei scenografiche torri medievali, alcune delle quali affacciate su Piazza Roma, nota anche come Piazza “della Dama” per l’elegante pavimentazione a scacchi neri e bianchi, bordata da edifici degni di nota
Massimo Ferrarini
come il Palazzo Comunale del Secondogenito e il Palazzo Rinaldi, in stile neogotico-medievale. Imperdibile è anche una sosta al Castello di Levizzano, nell’agglomerato omonimo, con la sua cinta muraria e la svettante Torre Matildica. Immersi nel verde, altri due edifici meritano un cenno: il Santuario di Puianello, dalla facciata lineare e dagli interni barocchi, e il delizioso Oratorio di San Michele Arcangelo, da dove la vista abbraccia le colline ricoperte di vigneti.
Santuario di Puianello Venturelli
Castello di Levizzano Nacchio’sBrothers
Montalbano Gian Luigi Olmi
Museo del castagno
Montecorone Gian Luigi Olmi
Zocca: anima rock
i numerosi tesori che ne punteggiano l’orizzonte. Come l’antico fortilizio di Montalbano, con i ripidi vicoli e la chiesa settecentesca. O come il Castello di Montetortore e l’abitato di Montecorone. Una curiosità: il “Vasco nazionale” non è l’unico personaggio illustre al quale Zocca ha dato i natali, sono infatti nati qui anche Maurizio Cheli, astronauta, Massimo Riva, chitarrista e cantautore, gli scrittori Giuliano Pasini e Mauro Santagata, il musicista Giovanni Maria Bononcini e il pittore e architetto Antonio Tesi.
COPR
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er gli amanti della musica, ma non solo, Zocca è diventato quasi un luogo di pellegrinaggio: sono infatti numerosi i visitatori che vi si aggirano per scoprire dove è nato il rocker più amato d’Italia, il grande Vasco Rossi - e magari sperare di incontrarlo tra le vie del centro -. Fama musicale a parte, Zocca merita una visita - magari in estate, per scappare dal caldo cittadino e immergersi in un contesto naturale di raro fascino: siamo a 759 metri d’altitudine, tra castagni e boschi infiniti - anche per l’elegante centro storico e, soprattutto, per
Vigne a Savignano Massimo Bonini
Natura regina
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a natura è la quinta che incornicia gli antichi borghi, facendoli splendere come gemme preziose in un castone color smeraldo, che assume innumerevoli sfumature man mano che il territorio muta: si passa infatti dal verde chiaro e quasi argenteo delle vigne - di rara suggestione in autunno, durante il periodo del foliage, quando si tingono di rosso intenso -, accanto alle quali si sviluppano splendidi percorsi naturalistici perfetti per passeggiate immersive, al verde brillante della natura collinare, da esplorare in bicicletta, al verde intenso e fitto dei boschi,
dove abbandonare pensieri e stress, magari con qualche sessione di forest bathing, ultimo ritrovato tra le pratiche che coniugano natura e wellness. E poi, ovviamente, c’è il Parco Regionale dei Sassi di Roccamalatina, 2.300 ettari di castagneti, faggeti e coltivi, dai quali emergono, come cattedrali naturali, imponenti guglie in arenaria, alte fino a settanta metri, mentre il sottobosco si popola di magnifiche orchidee selvatiche, gigli, ciclamini, anemoni, erica e golosi mirtilli, creando l’habitat ideale per tassi, istrici, volpi, caprioli, daini e faine.
Fiume Panaro Valter Baldini
Elena Lanozzi
Museo della Salumeria
Enogastronomia: a tutto gusto
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gnuno degli otto borghi dell’Unione Terre di Castelli vanta prodotti tradizionali pregiati, la cui fama travalica quella del territorio d’origine, nonché una gastronomia ricca di piatti sfiziosi. Se Vignola, infatti, è sinonimo di ciliegia e di torta Barozzi, Spilamberto è sede della Consorteria dell’Aceto Balsamico Tradizionale - al quale è dedicato anche un interessante museo - e vanta una produzione di golosi amaretti e inebriante nocino. È il caco invece il prodotto principe di Savignano, che condivide il palcoscenico enogastronomico con ben 11 vitigni, tutti riconosciuti come Doc. A Castelnuovo Rangone è la lavorazione delle carni suine - a cui è dedi-
cato anche il MuSa, il Museo della Salumeria - la maggior risorsa, che è valsa al borgo anche una menzione nei Guiness dei Primati per la manifestazione Superzampone. E la carne ben si accoppia con uno dei nettari di Bacco più famosi nel mondo, il Lambrusco, prodotto a Castelvetro di Modena nella pregiata varietà Grasparossa, a cui è dedicato anche il locale Museo Rosso Graspa. Infine, non si può lasciare Guiglia senza aver assaggiato il Borlengo, una sfoglia friabile e sottile condita con pesto di lardo, rosmarino e Parmigiano, mentre passando da Zocca in stagione è la castagna la protagonista della tavola e di un museo dedicato.
Francesco Ferrarini
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Vignola, nomen omen
Simona PK Daviddi
facebook.com/simona.pk.daviddi
Valter Baldini
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a vocazione per i buoni prodotti della terra, Vignola, delizioso borgo collinare del modenese (ma Bologna è solo a una trentina di chilometri), lo porta già nel nome, che deriva dal latino vineola, “piccola vigna”, a indicare l’antica coltivazione della vite, risalente all’epoca romana. Ma la storia di Vignola racconta anche di pievi, castelli e monaci, se è vero che la prima rocca, a strapiombo sul fiume Panaro, venne fatta costruire da Sant’Anselmo, abate del poco distante monastero di Nonantola, intorno all’anno 800 proprio per proteggere il territorio circostante. E poi, an-
cora, il tessuto urbano narra di fazioni guelfe e ghibelline, di signorie e feudatari, dei potenti Estensi e degli illuminati Contrari di Ferrara: proprio a questi ultimi si deve la ristrutturazione del castello, la costruzione di una nuova cinta muraria e l’edificazione di quella che ancora oggi è una delle perle di Vignola, Palazzo Barozzi, dal nome dell’architetto che lo progettò, Jacopo Barozzi, detto - ça va sans dire - Il Vignola. E a proposito di personaggi celebri, non si può non menzionare un altro vignolese Doc, lo storico Ludovico Antonio Muratori.
Palazzo Barozzi
Municipio
Il centro antico: gemme da scoprire
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na passeggiata nel cuore storico di Vignola è in grado di regalate emozioni inaspettate non solo per la bellezza dei monili architettonici che il borgo inanella come se fossero le perle di una collana preziosa, ma anche e soprattutto per l’imponenza e la sontuosità degli edifici, a iniziare dal poderoso castello quattrocentesco, che domina l’ariosa Piazza dei Contrari in un gioco plastico di volumi e torri merlate di raro fascino, al quale fanno eco l’elegante Loggiato cinquecentesco e il famoso Palazzo Contrari-Boncompagni
(noto anche come Palazzo Barozzi), del quale abbiamo già accennato ma che merita un’ulteriore menzione sia per il rigore estetico di questa dimora nobiliare, sia - e soprattutto - per la celebre scala a chiocciola (anch’essa famosa come Scala Barozzi), unico collegamento tra i quattro piani dell’edificio, dalla straordinaria forma elicoidale con 106 gradini autoportanti, un’inclinazione sempre più accentuata man mano che si sale e bellissimi affreschi ottocenteschi a impreziosirne le pareti.
Scala a chiocciola a Palazzo Barozzi
Auris
Giardini pensili e antiche torri
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a il fascino di Vignola non si esaurisce certo in Piazza dei Contrari: anche il resto del borgo merita una visita per ammirare splendidi scorci che, ancora una volta, hanno il sapore della storia. Uno di questi è quello del Giardino Galvani, che narra di quando la famiglia omonima si trasferì da Ferrara a Vignola al seguito dei Contrari: l’orto-giardino pensile, infatti, sorge sulle antiche mura che un tempo cingevano il castello e ingloba la Torre Galvani, costruita in sasso a pianta quadrata, e la Torre “del Polpetta” a pianta rotonda. Se il potere temporale è dunque ben rappresentato
da lasciti storici importanti, anche il potere ecclesiastico non è da meno, a iniziare dalla Chiesa Plebana, risalente addirittura al 1185, abbattuta, ricostruita, ampliata e rimaneggiata più volte nel corso dei secoli fino all’aspetto attuale, dal sapore classico dei colonnati e dei capitelli corinzi della facciata e dagli interni impreziositi da notevoli dipinti - imperdibile la Madonna con Bambino e Santi di Elisabetta Sirani, seguace di Guido Reni - e statue di pregio - bellissima la Pietà in bronzo dorato del vignolese Ivo Soli, che creò anche alcune statue per il Duomo di Milano.
Giardino Galvani
Una tira l’altra
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e il nome di Vignola, come abbiamo detto, riporta all’epoca romana e al vino, oggi lo splendido borgo è famoso soprattutto per la produzione cerasicola e la ciliegia Mora di Vignola Igp - i dolcissimi “duroni” - ha ottenuto diversi riconoscimenti a livello internazionale - anche all’ultima Festa Nazionale Città delle Ciliegie, tenutasi a Vignola a giugno, ad aggiudicarsi il podio di “Miglior Ciliegia d’Italia 2019” è stato proprio un produttore vignolese -; un consiglio: non lasciate Vignola senza aver
comprato almeno un vasetto di ciliegie sotto spirito! Ma la ciliegia non è l’unica golosità che Vignola offre ai visitatori: non si può infatti non assaggiare almeno una fetta della famosa Torta Barozzi, una sinfonia di cioccolato fondente con l’aggiunta di mandorle e arachidi tostate, creata nel 1886 da Eugenio Gollini, proprietario dell’omonima pasticceria, che ancora oggi si trova nel centro storico; da allora la ricetta viene tramandata di generazione in generazione e rimane ancora oggi segreta.
Acetaia comunale
Tra vino e... aceto
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erritorio modenese e buona tavola sono un connubio ormai assodato, che passa spesso attraverso due prodotti che anche a Vignola hanno i propri “rappresentati” di qualità: stiamo parlando del vino e dell’aceto. Per gli amanti di Bacco, quindi, non possiamo non menzionare il fatto che “la città delle ciliegie” si trova all’interno di una zona ad alto pregio vitivinicolo e che il territorio circostante è disseminato di cantine, dedicate soprattutto alla produzione di rossi frizzanti dal caratte-
re deciso - siamo nella zona del Lambrusco Doc -. Per chi invece preferisce il gusto aspro e inconfondibile dell’aceto balsamico, non può mancare una visita all’acetaia comunale, ospitata dal 1999 negli ambienti di Villa Tosi-Bellucci, sede anche del Municipio, dove viene prodotto un aceto balsamico che ha ottenuto la denominazione Dop e una agromela - l’aceto di mele - anch’esso invecchiato in botti costruite con essenze diverse di legno, dal ciliegio al castagno, all’intenso rovere.
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I borghi del tartufo: il profumo della buona terra
Antonella Andretta
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Maurizio Milanesio/Shutterstock.com
Spiaggia dei Conigli VanSky/Shutterstock.com
Piazza Risorgimento, Alba Rostislav Glinsky/Shutterstock.com
Alba Federico Rostagno/Shutterstock.com
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ltre a essere il re della cucina, cos’è esattamente il tartufo? È una specie spontanea di fungo ipogeo: il suo valore deriva dal fatto che non è possibile coltivarlo, quindi va necessariamente cercato, scovato nei boschi (grazie al fiuto dei cani) e infine raccolto rigorosamente a mano. Ce ne sono di diverse specie e, tra le tredici la cui raccolta è consentita in Italia, la palma del più prezioso va sicuramente al Tuber Magnatum, il tartufo bianco. Di rigore quindi iniziare la nostra carrellata proprio dalla Fiera Internazionale del Tartufo Bianco di Alba (Cuneo), in programma quest’anno dal 5
ottobre al 24 novembre. Alla manifestazione è dedicato un padiglione espositivo ma tutto il centro storico diventa un grande mercato all’aperto dove trovare non solo i rari funghi e le preparazioni che lo utilizzano (oli, salse, formaggi, salumi) ma tanti altri prodotti gastronomici e specialità piemontesi. Passeggiando nel borgo alla ricerca di sapori, ci si imbatte nel bel duomo, situato accanto al municipio nell’elegante Piazza Risorgimento, da cui si scorgono spuntare le torri medievali delle vie adiacenti. Non mancano negozi, boutique e, ovviamente, ottimi ristoranti.
Fiera del Tartufo di Moncalvo outcast85shutterstock_335/Shutterstock.com
Parata medievale, Alba Rostislav Glinsky/Shutterstock.com
Sagre piemontesi e meridiane
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elebri e rinomate anche altre fiere piemontesi come le fiere nazionali di Moncalvo, Montechiaro (entrambe in provincia di Asti), Murisengo, San Sebastiano Curone, Trisobbio (provincia di Alessandria) e Rivalba (Torino). A queste si aggiungono tredici fiere regionali tra le quali quella di Montiglio Monferrato (Asti), grazioso borgo dove, le prime due domeniche di ottobre (quest’anno il 6 e il 13), tra bancarelle di specialità e dimostrazioni di antiche attività agricole, si possono mangia-
Pappardelle al tartufo frantic00/Shutterstock.com
re, all’aperto e comodamente seduti, piatti tipici al tartufo in un sontuoso pranzo organizzato dalla Pro Loco. Una visita la merita tutto il centro storico, arroccato su un colle affacciato sulla Valle Versa, che oltre a vantare tre castelli, quattro pievi romaniche (tra le quali, la notevole pieve di San Lorenzo del XII secolo), chiese e palazzi gentilizi, è celebre per essere il paese delle meridiane: sulle facciate delle case e all’interno dei cortili ce ne sono oltre cinquanta, restaurate o create da un artista locale.
Dalle Marche il meglio della buona tavola
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a i tartufi si trovano anche altrove in Italia: approdiamo allora nelle Marche per conoscere più da vicino Acqualagna (Pesaro-Urbino), la capitale del tartufo: in questa zona ricca di boschi si raccolgono infatti circa i due terzi dell’intera produzione nazionale. La cittadina è sede della Fiera Nazionale del Tartufo (quest’anno il 27 ottobre e 1-2-3-9-10 novembre): durante la manifestazione, la piazza principale ospita gli stand, mentre il Palatartufo accoglie i 200mila visitatori. Visitato il borgo e assaggiate le specialità, si può proseguire per la Gola del Furlo, scavata dal fiu-
me Candigliano, riserva naturale e paesaggio di grande rilevanza per la fauna (aquila reale, falco, lupo), la flora e per la presenza di un’antica galleria romana. Per arrivare alla gola si passa vicino alla suggestiva Abbazia di San Vincenzo al Furlo, edificata nel Medioevo sui resti di un tempio pagano e caratterizzata da un insolito presbiterio rialzato, raggiungibile con una scaletta in pietra posta al centro. Nei pressi dell’abbazia, un chiosco dove fermarsi per una sosta sfiziosa e genuina a base di ottime cresce, tipicamente marchigiane e simili alla piadina.
Tartufo delle Marche luri/Shutterstock.com
Buffy1982/Shutterstock.com
Gola del Furlo Alessandro Pierpaoli/Shutterstock.com
Lago di Laceno gigadesign/Shutterstock.com
Scorci campani e tante specialità
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ora, in Campania per raggiungere Bagnoli Irpino (Avellino), una delle cinquanta località che fanno parte dell’Associazione Nazionale Città del Tartufo che promuove e valorizza il prodotto, i territori, la cultura e le fiere legate al prezioso fungo. Il piccolo comune è noto per la produzione di castagne e per il tartufo nero cui ogni anno è dedicata, nell’ultimo fine settimana di ottobre, la celebre mostra-mercato, un appuntamento gastronomico imperdibile con più di 200 stand, spettacoli e mostre di artigianato: da assaggiare
assolutamente la pasta con tartufo nero, il “Sacco del brigante” (un piatto a base di carne e tartufo nero) e persino il liquore al tartufo. Dopo la visita alle bancarelle e al borgo con i suoi suggestivi scorci, si può abbinare un’escursione al poco distante Lago di Laceno dove vi accoglieranno tranquilli paesaggi montani (siamo circa a 1.000 metri di altitudine), sentieri dove passeggiare, andare in mountain bike o a cavallo (c’è un maneggio e vi sono percorsi adatti anche ai meno esperti).
Sacco del brigante Lucamato/Shutterstock.com
Bagnoli Irpino gigadesign/Shutterstock.com
Tartufo nero di Sardegna fabiano caddeo/Shutterstock.com
Morano Calabro leoks/Shutterstock.com
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Rovine del castello nel parco Aymerich Paolo Certo/Shutterstock.com
Il tartufo che non ti aspetti: Calabria e Sardegna
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oncludiamo il nostro percorso con una curiosità: forse non tutti sanno che i tartufi si trovano anche in Calabria e in Sardegna. I boschi del Parco Nazionale del Pollino sono ricchi di tartufi neri ed esistono numerose associazioni legate alla raccolta del tartufo a Castrovillari, Morano e anche a Saracena, un piccolo borgo in provincia di Cosenza che vale davvero la pena di visitare per il suo reticolo di viuzze di forte suggestione mediorientale (la tradizione vuole che il borgo sia stato fondato dai saraceni), intessuto di scale esterne che collegano strade e abitazioni. Anche
in Sardegna il più diffuso è il tartufo nero estivo (lo scorzone), ma si trova anche il bianchetto, che assomiglia al tartufo bianco più pregiato, e il raro tartufo nero invernale: è diffuso soprattutto nel Sarcidano e nell’Alta Marmilla. A Laconi (Oristano), un gioiellino di borgo da duemila abitanti immerso in un bosco, si organizza ogni anno tra giugno e luglio la Sagra del Tartufo. Qui, da non perdere, è una visita al civico museo archeologico della statuaria preistorica, allestito nell’antico palazzo Aymerich: ospita 40 monoliti (alcuni dei quali giganteschi) risalenti al III e IV millennio a.C..
marco mayer/Shutterstock.com
Antonella Andretta
facebook.com/antonella.andretta
Un viaggio tra le bionde, le rosse e le scure
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a birra piace sempre di più. È record per gli acquisti di birra in Italia che nel 2018 hanno raggiunto per la prima volta il miliardo di euro, con un consumo pro capite medio di 32 litri, il più alto di sempre. E con una forte diversificazione dell’offerta: dalla birra aromatizzata alla canapa a quella pugliese al carciofo oppure alle visciole, al radicchio rosso tardivo IGP o al riso. C’è persino la prima agri-birra terremotata che nasce a 1.600 metri di altitudine sulle montagne tra Amatrice e Leonessa, ottenuta utilizzando lo scarto del pane e che cambia e modifica
sapore, colore e consistenza a seconda del tipo di pane che l’azienda riesce a raccogliere dai residui di vendita. Intanto il numero dei birrifici cresce: una stima recente li attesta intorno a 850 realtà, sparse un po’ su tutto il territorio nazionale. Noi ne abbiamo scelti quattro, due al nord, uno al centro e uno al sud, che si trovano in borghi e cittadine, tutte località suggestive adatte a rappresentare il punto di partenza o una tappa da cui procedere alla scoperta del territorio. Partendo questa volta da uno spunto particolarmente “frizzante”!
DisobeyArt/Shutterstock.com
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niziamo da un birrificio storico, uno dei primissimi: il Birrificio Agricolo Indipendente Baladin, di Piozzo (Cuneo). Nato negli anni 90 dalla passione di Teo Musso, oggi uno dei più importanti e premiati mastri birrai d’Italia (i cui prodotti girano per il mondo e i cui locali si moltiplicano un po’ ovunque), è un punto di riferimento per tutto il settore con una storia alle spalle fatta di perseveranza e innovazione. Oltre a godersi una Isaac e una Xyauyù, mangiare allo storico pub Baladin, dove tutto
è nato, o cenare a Casa Baladin (un ristorante con camere), si può visitare il birrificio. Tutto questo a Piozzo, un piccolo borgo delle incantevoli Langhe dove vale la pena di fermarsi non solo per la birra (possiede tredici chiese, un castello ed edifici storici) e dove ogni anno, la prima domenica di ottobre, si svolge la Fiera Regionale della Zucca: 500 le varietà di zucche esposte di tutte le forme e colori, bancarelle e piatti a base del più scenografico tra gli ortaggi.
Forni di Sopra Davide Marson/Shutterstock.com
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postiamoci ora a nord-est: incastonato nelle Dolomiti friulane a Forni di Sopra (Udine) si trova il Birrificio Artigianale Foglie d’Erba. Ognuna delle birre prodotte dal mastro birraio Gino Perissutti (Mastro Birraio dell’anno 2011) racconta qualcosa del territorio da cui nasce, tra boschi e montagne, dove tutto sa di fresco, dove l’attenzione all’ambiente è innata. Dopo aver provato una delle premiate specialità presso lo spaccio o aver fatto una visita guidata al birrificio, si può pro-
seguire per il borgo, ammirare la quattrocentesca Chiesa di San Giacomo Apostolo o dirigersi verso una delle attrazioni della zona, tra cui un parco avventura, il Dolomiti Adventure Park (adatto a grandi e piccoli) e soprattutto percorrere gli spettacolari sentieri tra boschi e radure: in un paio d’ore di camminata non particolarmente impegnativa, si arriva ad esempio al Rifugio Alpino Flaiban Pacherini, dove concedersi una saporita sosta a base di tagliatelle ai funghi!
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al Friuli passiamo alle Marche per approdare a Fabriano (Ancona) dove, in località Collegioni, immerso nel verde di dolci colline, si trova Ibeer. Cinque ettari di campi coltivati a orzo, un laboratorio per la produzione della birra (ospitato in un ex fienile ristrutturato), una casa colonica attrezzata a punto vendita e degustazione (la visita va prenotata), l’accoglienza e la disponibilità dei titolari, sono il biglietto da visita di questa impresa che realizza tutte le fasi della produzione. Da assaggiare una serie di birre classiche e special di grande raffina-
tezza anche nel packaging. E tutt’intorno una serie di luoghi da visitare, a partire proprio da Fabriano, località che non ti aspetti, con un centro storico da percorrere a piedi tra i vicoli medievali delle Porte del Piano e del Borgo, una scenografica Piazza del Comune con la fontana del Trecento e il Palazzo del Podestà. Attrazione principale è il Museo della Carta (ideale anche con bambini per i numerosi laboratori dedicati). E a pochi chilometri di distanza, le spettacolari Grotte di Frasassi, il complesso carsico più grande e più famoso d’Italia.
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ltima tappa di questo tour (che potrebbe durare molto di più) è la Puglia, per giungere in un paesino in provincia di Bari, Triggianello, situato vicino a Polignano a Mare, con le sue scogliere a picco sul mare, e a breve distanza dalle spettacolari Grotte di Castellana (con la famosa grotta bianca che di per sé vale un viaggio). Ma torniamo al birrificio: Birranova è una realtà che nasce nel 2007 per volontà del mastro birraio Donato Di Palma, amante della birra in una terra che
produce secolarmente vino. Da qualche tempo al birrificio, che produce anche una birra con acqua marina (la Margose), si è affiancato anche un pub, sempre a Triggianello, dove non solo bere una delle tante etichette della casa, ma dove gustare anche un’ottima pinsa (una sorta di pizza quadrata) o un buon hamburger. Ogni anno a luglio inoltre il piccolo borgo ospita Birranova Beer Fest, una grande festa dedicata alle birre artigianali con bancarelle e stand gastronomici.
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Fra le terre del riso
Alessandra Boiardi
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È
un gioco di riflessi tra acqua, terra e cielo quello che si staglia sino all’orizzonte in quel triangolo di pianura tra Novara, Vercelli e la Lomellina, conosciuto per l’eccellenza della produzione del riso. Un territorio di pianura disegnato da canali e filari e puntellato da cascine, pievi, mulini e castelli da scoprire tutto l’anno, anche a tavola. È uno specchio che unisce pianura e cielo, lo spettacolo che non ti aspetti davanti a una distesa di risaie. Lo si può ammirare in primavera, quando l’acqua riempie i campi coltivati con le piantine che solo in autunno daranno i loro frutti migliori, preziosi chicchi di riso che concludono il corso di una delle produzioni d’eccellenza del Made in Italy. Nell’arco dell’anno le risaie regalano uno spettacolo diverso
e, quando tra settembre e ottobre le giornate si fanno più brevi, anche le temperature sono quelle giuste per gustarsi un piatto di risotto fumante. Andare alla scoperta delle zone che tra Novara, Vercelli e la Lomellina hanno fatto della coltivazione del riso una tradizione secolare significa scoprirne luoghi e usanze, ma soprattutto abbandonarsi a una vacanza all’insegna di ritmi rallentati, per prendersi il tempo di risvegliare i sensi tra cultura, natura ed eccellente gastronomia. Tra Piemonte e Lombardia la tela è riempita di acqua e terra che a tratti si confondono e disegnano distese costellate da cascine, un colpo d’occhio stupefacente in cui restano i dettagli la parte migliore. Tra rogge e canali, argini e alberi, cicogne e aironi.
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Sotto la cupola di Novara
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a prima cosa che si scorge - da fuori - di Novara è la cupola di San Gaudenzio, firmata da quell’Alessandro Antonelli cui si deve la celeberrima Mole, il simbolo di Torino. Si sale per ammirare dall’alto dei suoi 121 metri il paesaggio, tra una passeggiata sotto i portici, uno stop per gustare i tipici biscottini e un aperitivo. Ma è uscendo dalla città che si rallentano i ritmi sulle “vie verdi del riso” alla scoperta di borghi, monumenti e cascine che punteggiano le campagne su “I Strai di Mundini”, le strade delle mondine. Un percorso segnato da pannelli informativi come per la Cascina La Graziosa, la chiesa romanica a Casalino, la Cascina Carrera e più in là la Calcinara, dove si facevano le feste
alla fine della stagione di monda. Si gira in auto o si sceglie un percorso in bici per ammirare un paesaggio che in primavera pare moltiplicarsi in giochi di specchi, con la suggestione delle Alpi sullo sfondo, quando i campi vengono completamente allagati. Vista e immaginazione fanno a gara con il gusto, curioso di lasciarsi deliziare da piatti tipici come la cassoela con carne d’oca e la paniscia, che nel novarese si fa con riso, fagioli, verdure e carne di maiale. Qui ci si può fermare ad acquistare il riso direttamente dai produttori e se ci capitate d’autunno sarete ripagati dalla mancata vista dei campi allagati con la possibilità di acquistare il riso appena mietuto.
Paniscia marcovarro/Shutterstock.com
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Briona Arcansel/Shutterstock.com
Briona, tra campagna e storia
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irando tra le campagne novaresi ci si imbatte in Briona, un paese che nasconde più di una curiosità per gli amanti della storia, ma non solo. A dominare è il castello, che dalla sua posizione privilegiata controlla la pianura sottostante e lo fa probabilmente sin dal tempo dei Longobardi. Oltre al castello, visitabile all’interno solo occasionalmente, sembra di vedere ancora i contadini pagare i dazi sul ponte medievale a schiena di mulo della frazione di Proh, tanto che un tipico detto del basso novarese è “va piài sul punt da Proù“, cioè “vai
a prenderli sul ponte di Proh”, alludendo a soldi prestati che probabilmente non si rivedranno più. Sotto il ponte, dal tredicesimo secolo scorre la roggia Mora - un tempo era forse un canale navigabile - e sempre nella stessa frazione si trova la Pieve, testimone del territorio quando al posto delle risaie c’erano i boschi a dividere la rete idrica che comprendeva alcuni torrenti naturali e artificiali, anticipatori di quello che sarebbe stato il destino di trasformazione del territorio nel paesaggio risicolo che conosciamo.
Castello di Briona marcovarro/Shutterstock.com
Tra terra e acqua: Fontanetto Po
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Debernanrdi Augusto
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a pianura di Vercelli, come quella di Novara, è tutta una distesa di risaie e un susseguirsi di lunghi filari di pioppi e canali d’irrigazione, da scoprire con un viaggio che è anche quello nel tempo che inizia nel Basso Medioevo, quando si realizzano le prime infrastrutture che porteranno poi nel Rinascimento alla coltura del riso. Tra i centri risicoli più importanti della bassa vercellese c’è Fontanetto Po, un borgo dal grande passato in bilico tra terra e acqua, attraversato un tempo da un fitto reticolo di rogge: lo raccontano la grande ruota sulla Logna e la turbina che alimen-
tava quello che oggi è un ecomuseo e che agli inizi del 900 era il Mulino Riseria San Giovanni, una testimonianza unica di riseria azionata dalla forza motrice dell’acqua, tappa fondamentale per conoscere e capire un po’ di più la tradizione della lavorazione del riso. Un processo fino ai chicchi che ci troviamo nel piatto, da gustare in alcune prelibatezze tipiche del vercellese come la panissa vercellese, da non confondere con quella novarese, che dal 700 si cucina con riso, salamino della duja e fagioli di Saluggia, sempre della zona.
Antica Molassa Mauro Gardano
Basilica di Santa Maria Maggiore Steve Sidepiece/Shutterstock.com
Risotto con le rane studiogi/Shutterstock.com
Lomello, il borgo leggendario
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omello è il centro che dà il nome a quel territorio che, in provincia di Pavia, costituisce insieme a Novara e a Vercelli il cosiddetto “triangolo del riso”. La Lomellina è suggestiva, distesa tra il Sesia e il Po, tra risaie e castelli e dove Laumellum, ai tempi dei Romani, era già un importante centro commerciale. Non un posto qualunque, scelto addirittura per le nozze della regina dei Longobardi Teodolinda con il duca di Torino Agilulfo. A Lomello si può andare alla scoperta della basilica di Santa Maria Maggiore e del battiste-
ro di San Giovanni ad Fontes, per ammirarne le architetture importanti e anche qualche suggestione. Quella, per esempio, delle leggende che si tramandano intorno alla chiesa, tra le quali ce n’è una che non perde mai il suo fascino e secondo la quale le colonne e le volte della struttura portante cambiano di posizione (ma in realtà è un effetto prospettico). E già che siete in Lomellina, potreste provare il tipico risotto con le rane, che a proposito di matrimoni, era un piatto tipico proprio per festeggiare le nozze.
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Crai, nel cuore dell’Italia Alessandra Boiardi
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i sarà capitato di vedere in televisione il film di animazione che racconta attraverso un viaggio fantastico profumi, sapori e tradizioni della nostra bella Italia. Un furgone Crai percorre le strade del Belpaese addentrandosi nel cuore dell’Italia, tra i campi e le lievi colline emiliane, dove le balle di fieno sono nidi di tagliatelle, lungo strade piemontesi lastricate di crumiri e percorse da gianduiotti con ruote di nocciole. E poi i centri storici, dove si respira la nostra storia e i sapori sono autentici. «La qualità è un viaggio che non finisce mai», spiega
Mario La Viola, direttore marketing, format, rete e sviluppo Crai, parlando della campagna pubblicitaria dello storico gruppo italiano della distribuzione moderna. E infatti il furgone continua il suo viaggio infinito nella Penisola, come infinito è quello di Crai, che non si ferma perché la ricerca della qualità è una scoperta dei tesori enogastronomici italiani che si rinnova ogni giorno. Questo, grazie all’impegno delle persone di Crai che selezionano i prodotti migliori, riscoprendo ricette locali, mettendo cuore e passione in ogni attività.
Casa Crai: la prima web serie al supermercato
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a qualità è un valore imprescindibile per l’insegna - ribadisce Mario La Viola -, come la vicinanza ai nostri clienti. Da oltre 40 anni siamo al fianco degli italiani con oltre 2.200 negozi Crai negli angoli più remoti del nostro Paese, offrendo professionalità, cordialità e servizio, oltre a prodotti genuini e controllati. Non è un caso che il nostro pay off sia Crai, nel cuore dell’Italia». Proprio tra gli scaffali di un supermercato Crai, nel cuore dell’Italia, si svolge la web serie “Casa CraiI”, la prima ambientata in un supermercato e in procinto di andare online con la terza stagione sulla pagina Facebook, sul canale Instagram, sui siti web CasaCrai.it e Craiweb.it e sul canale YouTube di Crai.
Mario La Viola racconta che ancora una volta è un progetto pensato per sottolineare la vicinanza di Crai ai consumatori, parla in modo diretto, semplice e simpatico, ma soprattutto rappresenta come i negozi siano un importante luogo d’incontro per il cliente, accogliente e ospitale proprio come a casa.
I consumatori sono i protagonisti
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on la web serie, attraverso lo sguardo ironico e brillante della regia di Maurizio Simonetti, la supervisione e organizzazione di Ince Media e naturalmente la verve degli attori, le risate sono assicurate anche in questa terza stagione. Dopo il grande successo di pubblico della prima e della seconda stagione, in occasione della terza (che andrà in onda a dicembre 2019) Crai ha lanciato il contest online “Comico Tipico”, facendo decretare ai consumatori 20 vincitori tra le persone comuni che avranno l’opportunità di rappresentare ciascuno la propria regione entrando ufficialmente a far parte del nuovo cast di “Casa Crai 3” e diventando i protagonisti delle nuove puntate insieme a Pino Insegno e Roberto Ciufoli. L’appuntamento settimanale sarà imperdibile: cinque minuti di pura allegria per interrompere la monotonia della giornata. Da laptop, da tablet, ma anche da smartphone, è un gioco da ragazzi seguire le avventure dei “dipendenti” di Casa Crai, ma anche dei loro clienti, che dall’altro lato della “barricata”, rappresentano l’altra metà dell’anima del racconto: persone di ogni età e ceto sociale che, quotidianamente, entrano nel supermercato per fare la spesa.
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Qualità ed eccellenza
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ualità e vicinanza ai clienti non sono solo temi di comunicazione, sono valori dell’insegna, di chi l’ha creata e di chi oggi continua questo percorso: i nostri imprenditori», spiega Mario La Viola, che conclude: «Il lavoro di tutti noi ma anche la fedeltà dei clienti che entrano ogni giorno nei nostri negozi ci hanno permesso di ottenere nel 2016 il più alto riconoscimento per chi si occupa di commercio: il Premio Eccellenza
nel Commercio, assegnato da Confcommercio in occasione del suo settantennale e consegnato dal Presidente di Confcommercio e dal Presidente della Repubblica». E per essere ancora più vicino ai suoi clienti, nel mese di settembre Crai ha lanciato la nuova App, gratuita su App Store e Google Play, dove trovare tutto sul mondo Crai, fare la spesa online, conoscere le promozioni e persino provare nuove ricette.
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Alessandra Boiardi
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a cucina di una volta, la tradizione casearia del Gargano, piatti tipici pastorali, pan cotto fatto ad arte. Sono tanti i prodotti che l’Azienda Fiore mette a disposizione dei palati curiosi di conoscere un territorio anche attraverso i suoi sapori, sapori autentici come quelli della tipica crema di ricotta di pecora e di capra, dei caciocavalli e delle scamorze garganici, ma anche dei salumi e dei vini selezionati. Tutti prodotti e scelti con cura e tanta passione, perché quella dell’Azienda Fiore
è una storia di famiglia e coraggio imprenditoriale. Gli inizi come produttori negli anni 70 poi la visione di Giovanni Fiore, che ha dato nuova vita all’impresa, che oggi distribuisce i suoi prodotti nei sui punti vendita nella città di Foggia e in alcuni comuni della provincia, nelle provincie di Bat e Bari, e con molto orgoglio anche nella bella Roma. È Giovanni Fiore che ci racconta la storia dell’azienda, sin dalle origini. «L’Azienda Fiore nasce da tre generazioni di allevatori del Gargano
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Azienda Fiore
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- spiega - ed è stata fondata alla fine degli anni 70 da mio padre Matteo che staccatosi dalla famiglia, intraprese questo cammino con al suo fianco mia madre Maria Vinciguerra, ancora oggi presente attivamente e fondamentale nell’azienda, con grande sacrificio e passione». Ma è nel 2013 che inizia un nuovo corso imprenditoriale. «Dopo essermi dedicato ad altri tipi di lavoro - continua Giovanni - ma senza particolari soddisfazioni, nel 2013 decisi di dedicarmi totalmente alla nostra vecchia tradizione. Ritornai in pratica sui miei passi e mi misi a lavorare nell’azienda di famiglia con un obiettivo preciso, quello di recuperare il tempo perduto cercando di portare la nostra impresa
sempre più in alto. Non fu una scelta facile, il momento non era molto propizio per fare crescere un’azienda, ma io ci credevo profondamente». In questo percorso Giovanni non era solo, ma come egli stesso ricorda, i suoi collaboratori furono indispensabili per il successo imprenditoriale. Nel nuovo corso, un anno dopo, Giovanni acquisisce anche un’azienda casearia a San Nicandro Garganico e nasce così il suo primo “Caseificio Gargano” Azienda Fiore. «Con l’aiuto di persone che lavorano con volontà, carica e forza d’animo - ricorda Giovanni - e che soprattutto hanno creduto e credono in noi anche nei momenti più difficili, il mio sogno è diventato realtà. Tutti diamo il massimo
perché l’azienda cresca e migliori. E ringrazio di cuore mia sorella Tonia, che ha cominciato con me questa avventura e mi è stata vicino nei primi tempi, mia moglie Anna Rita Argentino che è sempre al mio fianco, mio zio Franco Vinciguerra, da sempre con noi e insieme a mia madre responsabile della lavorazione casearia, e Laura Guarini, che da otto anni, imperterrita e ostinata, si occupa della distribuzione nonostante non manchino i momenti faticosi. E Gina de Cillis, che guida il
nostro punto vendita di Foggia “La Gastronomia del Gargano” come responsabile con tenacia, determinazione e voglia di mettersi di gioco, con la collaborazione di Rachele Patruccelli, Luigi Botticelli insieme alla moglie Antonella Del Duca che da due anni mi aiutano nella gestione della “Gastronomia dell’Isola”. Un punto vendita che è nato da una mia visione e nel quale ho creduto fin da subito, sito a San Domino sulle Isole Tremiti. Ed è così che, guidati dalla voglia di fare e dal cuore, è nata la “Fiore New Life”.
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Grazia Gioè
linkedin.com/in/grazia-gioè
Bergamotto,
l’oro verde di Calabria
Giulia Bevilacqua/Shutterstock.com
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poeti hanno definito il bergamotto “il più splendido dei frutti” o, addirittura, il “pomo di Afrodite” al fine di rinnovarne il mito nel tempo. La sua origine, ancora incerta, etimologicamente lo identifica con il turco “berga-mundi”, o con il “pero del signore” proprio per la tipica forma della pera bergamotta. In Calabria, a Reggio Calabria e solo nella sua fascia costiera jonica, si hanno notizie del bergamotto sin dalla fine del ‘400 quando, innestato su una pianta di limone, il bergamotto
La raccolta del bergamotto in Calabria COULANGES/Shutterstock.com
venne coltivato in maniera estensiva per estrarre dalla buccia - di un penetrante profumo - la sua preziosa essenza: l’olio essenziale, indispensabile oggi per fissare i profumi e di enorme valore commerciale. Fino a poco tempo fa, peraltro, si riteneva che l’agrume potesse essere utilizzato solo nei settori della cosmetica e della medicina, mentre ormai è stato ampiamente provato che il bergamotto è oltremodo rinomato anche nel settore del gusto e quindi della gastronomia.
Olio essenziale al bergamotto leonori/Shutterstock.com
Bova monticello/Shutterstock.com
I borghi della “Terra del bergamotto”
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a storia del bergamotto è antichissima come i suoi borghi dove cresce in esclusiva, fra i quali: Melito Porto Salvo, Palizzi, Bova, Pentedattilo, Bagaladi e Roghudi, dove ancora vivono gli ultimi Elleni d’Italia. Anche in campo gastronomico, però, la storia di questo agrume è molto antica. Già nel ‘600, per esempio, i primi canditi e babà erano prodotti unicamente a base di bergamotto e si racconta che questi non potessero mai mancare alla corte del Re Sole. Le qualità aromatiche del frutto sono del tutto peculiari,
a cominciare dalla sua capacità di mitigare i sapori troppo dolci. Da qui il suo impiego nell’arte della pasticceria e dell’industria conserviera. Per quanto riguarda la cucina, sono almeno 150 i prodotti - finora - derivanti dal bergamotto il quale, oltre a stuzzicare i palati più fini, annovera come suoi ambasciatori nel mondo diversi chef famosissimi. Ed è indubbio che l’intera offerta enogastronomica della Calabria, con i suoi itinerari del gusto, rappresenti una carta vincente per la regione.
Melito di Porto Salvo Dionisio iemma/Shutterstock.com
Roghudi Antonio Arico/Shutterstock.com
Risotto ai tartufi con crema di bergamotto e porri anistidesign//Shutterstock.com
Le ricette al bergamotto
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umerose sono le ricette a base di bergamotto che testimoniano anche il gusto gastronomico europeo: dalla cucina rinascimentale a quella povera calabrese; dalla “nouvelle cousine” alle preparazioni più esotiche. Del resto, come altro potremmo definire il succo e la “julienne” di scorza di bergamotto, dal gusto aspro e aromatico che accompagnano - oppure sostituiscono l’arancia e il limone nelle marinate e negli arrosti di carne? O ancora, che aromatizzano crostate, ciambelloni e “profiteroles”, oppure definiscono
quel gusto squisito del famoso liquore “Bergamino”? Per non parlare degli accostamenti più audaci, quelli che accostano il bergamotto al caviale, alle ostriche, alle lenticchie, ai ricci di mare, al pesce spada e al salmone. Ma il senso del sublime viene certamente raggiunto in ricette esclusive, rare e antiche, come quelle degli involtini di riso in foglie di bergamotto, oppure del pollo con il succo di melagrana e bergamotto e, ancora, del tacchino tonnato e dell’anatra al succo di bergamotto.
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Una Calabria stellata
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on molto tempo fa, il prestigioso “New York Times” ha inserito la Calabria fra le mete imprescindibili del gusto e dell’enogastronomia italiana, incoronando la regione «regina della gastronomia italiana». Ed “emozioni di gusto” nascono proprio dalle ricette qui citate: ricette molto antiche, accompagnate persino da dotte citazioni letterarie di Tomasi di Lampedusa, Gabriele D’Annunzio, Carlo Emilio Gadda, Manuel Vazquez Montalban, Andrea Camilleri e Jorge Amado. Al-
Natalia Bochkareva//Shutterstock.com
cuni illustri nomi, solo per andare oltre l’area geografica propria del bergamotto e della tradizione gastronomica locale e anche per rinnovare il mito del frutto tanto caro ad Afrodite. Ricette, dicevamo, ormai acclarate come delle vere “chicche” di eccellenza gastronomica, di un “itinerario esperienziale” unico. Nate da un’attenta ricerca storica “del tempo che fu” e reinterpretate per ottenere le caratteristiche esclusive di “Sua Maestà il Bergamotto”: l’agrume più blasonato al mondo.
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Luca Sartori
twitter.com/LucaSartoriIT
tra Langhe e Monferrato: poesia d’autunno
Le Langhe StevanZZ/Shutterstock.com
Via Vittorio Emanuele, Alba Kennerth Kullman/Shutterstock.com
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ono emozioni forti quelle che i paesaggi delle Langhe e del Monferrato sanno regalare tutto l’anno. Ma è in autunno che la bellezza si trasforma in poesia e i luoghi vengono avvolti da un’atmosfera magica, unica. Un weekend nel cuore del vecchio Piemonte, tra poggi vitati, borghi storici, cantine e ristoranti è un’esperienza che accarezza l’anima. Ottobre è il mese ideale per riscoprire il profumo e il sapore del tartufo, prezioso frutto di queste terre, celebrata meraviglia gastronomica che da Alba a Moncalvo d’Asti, per settimane, è assoluto protagonista di fiere di portata internazionale.
È da Alba, capitale delle Langhe, che inizia il nostro weekend. Ci accolgono le sue torri medievali, sulle quali si appoggia l’ultimo sole del tardo pomeriggio del venerdì. Una passeggiata tra i vicoli dell’Alba antica ed eccoci alla Trattoria del Bollito dove ci facciamo servire un piatto di vitello tonnato, per proseguire con una battuta di fassona che accompagniamo con un buon bicchiere di Barbera. Dopo una passeggiata in Via Vittorio Emanuele raggiungiamo piazza Rossetti, all’ombra del duomo, per trascorrere la notte all’Albergo San Lorenzo, elegante dimora che un tempo era una cascina.
Vitello tonnato lacucinaitaliana_it
Alba Rostislav Glinsky/Shutterstock.com
Battuta di fassona tasteofrunway_com
Sabato, tra plin e tartufi P
er la colazione torniamo nella centralissima Via Vittorio Emanuele ed eccoci alla Pasticceria Pettiti, locale storico di Alba, dove assaggiare e acquistare le classiche torte di noci, i baci di dama e il torrone. Gran parte della mattinata la dedichiamo alla visita della località, dove si respira l’aria della Fiera Internazionale del Tartufo Bianco, grande appuntamento culturale che per oltre un mese - dal 5 ottobre al 24 novembre 2019 - celebra i sapori piemontesi e il prezioso fungo ipogeo. Tra i tesori da non perdere c’è sicuramente il duomo di San Lorenzo, bella espres-
Chiesa di San Domenico, Alba Claudio Divizia/Shutterstock
sione del gotico-lombardo, la Chiesa di San Domenico, dalla bella facciata, tripartita da lesene, adorna di uno scenografico rosone e un bel portale sormontato da una lunetta affrescata. Il cuore storico della destinazione presenta pittoresche torri e case-forti, ed è un intreccio di vicoli dov’è d’obbligo fermarsi per qualche acquisto goloso in una delle enoteche o gastronomie. All’Enoteca Le Torri si trova il meglio dei vini e delle specialità al tartufo, al Pastificio Corino tanta pasta fresca, mentre all’Agrisalumeria Luiset ottimi salami e salsicce. Per il pranzo ci fermiamo all’O-
Ravioli del plin walterferretto_com
Bunet lacucinaitaliana_it
steria dell’Arco dove assaporiamo la carne cruda all’albese battuta al coltello e i tipici ravioli del plin con tartufo. Nel primo pomeriggio si parte alla volta di Asti. Poco più di mezz’ora di viaggio tra campagne, borghi, vigne, frutteti e poggi. Città dalle grandi tradizioni e dalla particolare vivacità culturale, Asti accosta al ricco patrimonio artistico e architettonico una grande tradizione enogastronomica celebrata, nel corso dell’anno, da numerose fiere. Nel vivace sabato pomeriggio astigiano ci perdiamo tra Piazza Alfieri, la piazza del Palio, incorniciata dai caratteristici portici sui quali s’affacciano eleganti negozi e bot-
teghe, e Corso Alfieri, che divide in due il centro storico, lasciandoci attirare dalla storica Pasticceria Giordanino, dove acquistiamo i tartufi d’Asti e la polentina delle tre mandorle. Per l’acquisto di qualche prestigiosa etichetta di vino astigiano ideale è una visita all’Enoteca La Cantina, a due passi dal Battistero di San Pietro in Consavia. Cena al Ristorante La Grotta di Corso Torino, dove ci gustiamo la rolata di coniglio marinata, un buon riso allo spumante brut e uno dei classici dolci regionali, il bunet. Nei pressi del ristorante c’è il B&B I Glicini, antico casale d’inizio 900 immerso nel verde dove trascorriamo la notte.
Torre Troyana, Asti Luigi Bertello/Shutterstock
Cattedrale di Santa Maria Assunta Iakov Filimonov/Shutterstock
Domenica, tra vigne e castelli L
a mattinata è tutta dedicata alle meraviglie architettoniche di Asti antica, a iniziare dalla Collegiata di San Secondo, in forme romanico-gotiche, a tre navate con interessanti capitelli decorati, resti di affreschi medievali di scuola lombardo-piemontese, l’altare maggiore di epoca barocca e la cripta dove sono custodite le reliquie del santo patrono. Poi è la volta della splendida cattedrale, la più grande chiesa del Piemonte, esempio di arte gotica, con pareti e volte decorate, tre fonti battesimali, capitelli decorati con motivi antropomorfi, zoomorfi e vegetali, il bell’esterno e l’imponente torre
campanaria. Dolce sosta alla Caffetteria Mazzetti, elegante caffè letterario. Poi la Torre Troyana, la Torre Rossa, Palazzo Alfieri, Palazzo Malabaila, Palazzo Ottolenghi e il Museo del Risorgimento, la cripta e il Museo di Sant’Anastasio, solo per citare alcuni dei tesori cittadini. Pranzo al Ristorante Campanarò tra un assaggio di peperoni con bagnetto verde, un piatto di agnolotti gobbi monferrini e una mousse al Giandoja. Ultima parte del weekend la trascorriamo a Moncalvo d’Asti, dov’è in corso la Fiera del Tartufo di Moncalvo - 20 e 27 ottobre 2019 -, delizioso centro monferrino tra colline, vi-
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gneti, borghi arroccati e splendidi castelli. Indiscussa capitale gastronomica della zona, Moncalvo è terra di tartufo ma anche di grandi carni che celebra in dicembre con la sagra del bue grasso. Giunti in paese ci immergiamo nella vivace fiera tra i numerosi espositori di formaggi, vini, salumi, confetture, cioccolatini, dolci e liquori, il meglio dei sapori piemontesi. Tra le emergenze architettoniche locali c’è la Chiesa di San Francesco, situata in posizione dominante, autentica galleria di opere di Guglielmo Caccia detto il Moncalvo, considerato il Raffaello del Monferrato. Per acquistare qualche prelibatezza locale ci sono il Pastificio Ron-
dano, dove comprare gli storici agnolotti locali, e la Bottega del Vino di Moncalvo, tra le cui etichette spiccano grignolino d’Asti, Freisa d’Asti e Barbera del Monferrato. Cena alla Trattoria Vineria Corona Reale, locale storico del centro dove Cortese, Chardonnay, Grignolino e Malvasia sono i vini dei produttori locali, tra una frittata alle erbette, il salamino caldo di Moncalvo con crema di patate e un assaggio di zuppa di trippa. Scende la sera sulle colline del Monferrato, mentre il nostro sguardo si appoggia sulle prime luci dei borghi appoggiati sulle colline, ennesimo dettaglio di quest’angolo di Piemonte che sa ancora d’antico.
Il Monferrato Claudio Giovanni Colombo/Shutterstock
Carola Traverso Saibante
Un arcobaleno di gusti
Jiri Hera/Shutterstock.com
Un arcobaleno di gusti Nitr/Shutterstock.com
S
crivere una rubrica sui sapori in un monotematico dedicato al gusto - e per di più in Italia - è un po’ come dover parlare dei colori della natura stando seduti a cavalcioni dell’arcobaleno. Che fare, dunque? Una passeggiata freestyle tra i nostrani paesaggi culinari. Iniziando dagli antipasti, naturalmente. Un rustico sempreverde: salumi e formaggi. Tutti conoscono la piccante ‘Nduja calabra, ma chi ha mai assaggiato la ‘Nnuglia? È fatta con parti di maiale di terza scelta, inclusi lingua, rene, stomaco bollito, cuore, il tutto aromatizzato con aglio, pepe,
peperone rosso, semi di finocchio e anice, insaccato a mano nel budello legato con spago naturale. È vero, è meno pregiata, ma vale la pena provare un sapore della cucina povera contadina, non certo meno sana della maggioranza di cibi industriali. In Lombardia eccelle lo stracchino, anzi gli stracchini - come quello dalla crosta rosa che si produce nel territorio di Monte Bronzone, nel bergamasco. Ma conoscete lo strachet? È anch’esso uno stracchino, anomalo. Prodotto in territorio montano, è preparato col latte parzialmente scremato invece che con l’intero.
Un arcobaleno di gusti
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Un arcobaleno di gusti Hibiscus81/Shutterstock.com
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Pane, pasta e niente pesto P
er il nostro pasto scegliamo un pane sardo. Niente carasau: il pane ammondigadu o “pane tundu”, dalla forma di questa pagnottona di grano duro, è sfornato nel caratteristico borgo di Osilo, nell’alto Logudoro, impastato con le sue acque sorgive. Attraversiamo il mare e sbarchiamo a Genova. Una bella pasta al pesto? Niente affatto: salsa di noci, storico e delizioso condimento vegetariano, che arricchisce qualsiasi pasta fresca ma che qua si usa per condire i pansoti, dalla forma panciuta ripieni di “prebuggiun”, ossia misto di erbe selvatiche. In
alternativa, il tipico tajarin - taglierino - piemontese, che non inganna mai. La “morte sua” è il tartufo. Benissimo, ma per riempirci le narici con quell’aroma di terra divina, andiamo nelle Marche, dove tra il tartufo bianco (“Tuber magnatum pico”) e il tartufo nero estivo (“Tuber aestivum vitt.”), scopriamo il tartufo nero pregiato (“Tuber melanosportum vitt.”). O ci spingiamo fino a Cervara, borgo dalla bellezza pittorica, il più elevato della provincia di Roma, nelle cui terre cresce l’omonimo tartufo, dal sapore di fungo molto profumato.
Un arcobaleno di gusti
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Un arcobaleno di gusti
Secondo e con tordo G
ià che siamo in Lazio, ci fermiamo qui per il secondo. Dai budellucci - applicazione estrema del motto secondo cui «del maiale non si butta via niente», dato che si tratta della parte interna del suo intestino tenue condita con olio, sale, pepe e finocchietto selvatico - al guanciale (in particolare quello del borgo di Amatrice), il suino è ben presente nella cucina laziale. Così come lo sono bovini e suini. Noi però assaggiamo il Tordo Matto di Zagarolo, che non è un volatile, ma un involtino di carne
Zagarolo Ragemax/Shutterstock.com
equina ripieno di un battuto di prosciutto e aromi quali aglio, coriandolo e prezzemolo. La tradizione di questo borgo dalla bellissima architettura vuole che la carne sia previamente macerata nel vino e poi cotta su braci di tralci di vite. E cosa c’è di meglio come contorno di una buona patata? La batata! Oggigiorno in auge come prodotto tropicale importato, la batata dell’agro leccese è invece una patata dolce, zuccherina e nostrana che cresce in Salento accanto ai paesaggi di ulivi secolari.
Un arcobaleno di gusti
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Un arcobaleno di gusti
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San Miniato StevanZZ/Shutterstock.com
Dessert, quando nord e sud si confondono D
ella Sicilia tutti ben conosciamo e amiamo i cannoli, ma che dire dei cannilieri? Vengono da Villarosa, borgo rurale nel cuore dell’isola, provincia di Enna. Sono dolci di farina, zucchero e lievito, con semi di sesamo e ripieni di uova sode. E per accompagnare accostiamo il limoncello? No, il sidro di mela limoncella. Tipico del nord, si direbbe… Invece no. È Made in Campania: la frizzante bevanda, dolce e aromatica, a bassa gradazione alcolica, viene fatta con questa mela giallina
del sud. E a questo punto viene anche voglia di un biscottino… Un cantuccio, magari, ma non i classici, che sono di Prato, bensì quelli di San Miniato, splendido borgo arroccato nelle terre di Toscana: croccanti, ambrati e naturalmente biscotti. E la frutta? Il Trentino è fin troppo famoso per le mele, ma offre anche squisite pere antiche. E a questo proposito: la varietà Spadone, meridionale, dalla grana finissima, è una pera antica estiva ideale per preparare… lo strudel di pere!
Un arcobaleno di gusti
kuvona/Shutterstock.com
Nicoletta Toffano
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Lago Hangzhou 4045/Shutterstock.com
Oltreconfine: Oltreconfine: Francia Cina
Quattro cucine in Cina
Paesaggio di Guilin e il fiume Li aphotostory/Shutterstock.com
Ying Yang Red Fish XO tolin168/Shutterstock.com
Oltreconfine: Cina
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ospendiamo qualunque immagine abbiamo negli occhi della Cina moderna, di città immense e di infrastrutture da guiness dei primati. E dimentichiamo anche involtini primavera e riso cantonese. Iniziamo invece a immaginare villaggi ricchi di storia dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, immersi in paesaggi fantastici (basti pensare che le montagne fluttuanti di Avatar si ispirano alle formazioni carsiche del Guilin) e poi l’esperienza di una cucina antichissima, in un paese dove il cibo svolge un ruolo prioritario nei rapporti sociali. La Cina,
mosaico di etnie, lingue, climi, culture e colture, è naturalmente espressione di tante diverse cucine che tuttavia condividono un principio comune: i cibi si suddividono in alimenti ying (umidi, soffici, freschi) e alimenti yang (fritti, speziati, caldi) e ogni pietanza deve armonizzare, nella ricerca dell’equilibrio, i due gruppi. Armati quindi di bacchette e di spirito per l’insolito vi proponiamo di seguito un’esperienza del gusto che hai i suoi riferimenti nei quattro punti cardinali, corrispondenti alle aree dove sono nate le correnti di pensiero della cucina tradizionale.
Anatra alla pechinese vsl/Shutterstock.com
Dall’Hèběi alla Mongolia: storie di carne
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el nord si coltivano miglio, sorgo, mais e orzo con cui vengono prodotti diversi tipi di pane come i màntou o i bĭng. Ma l’alimento principale, che qui ha ispirato l’antica cucina imperiale, legata alle dinastie Yuan, Ming e Qing, è senza dubbio la carne: arrostita, brasata, affumicata o grigliata e accompagnata sempre da spezie. Tra le specialità spicca l’anatra alla pechinese, cotta in un forno alimentato dal legno di alberi da frutto e servita con crespelle di grano, cipollotti e salsa fermentata. Una preparazione da provare a Chéngdé, cittadina a nord-est di Pechino, sede della dimora imperiale
estiva, la Bìshu Shānzhuāng, circondata da giardini fantastici, Patrimonio dell’Umanità. Ancora la carne, stufata con latte di capra e yogurt, è protagonista della cucina dei nomadi mongoli, un gusto da scoprire all’estremo confine con la Mongolia, nel villaggio Hemu della minoranza Tuwa, sulle rive del lago Kanas: un agglomerato di tipiche case in legno, tuttora abitato dai discendenti delle truppe di Genghis Khan, e uno dei posti più autentici di questa immensa nazione che rientra nella classifica, stilata dal “China National Geography Magazine”, dei borghi più belli della Cina.
Oltreconfine: Cina
Torre Jinshan a Chèngdè aphotostory/Shutterstock.com
I Tuwa del villaggio di Hemu outcast85/Shutterstock.com
La cucina incendiaria dello Sìchuān e dello
Yunnán
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a Cina occidentale è popolata da gruppi etnici minoritari con culture contrastanti, ma che in fatto di cucina condividono lo stesso gusto per l’ultrapiccante. I sapori dominanti sono infatti il peperoncino rosso (introdotto dai commercianti spagnoli durante la dinastia Qing) e il pepe di Sìchuān, dalla fragranza anestetizzante: le due spezie danno luogo ai piatti tipici come la suāncàigú, zuppa agropiccante di pesce e cavolo e la cosiddetta “frittura esplosiva” di carni marinate e saltate in olio bollente. Immancabile accompagnamento al piccante è il riso: si trova qui, in-
Chengdu, Sichuan Meiqianbao/Shutterstock.com
fatti, la contea di Yuanyang, nota per i suoi meravigliosi campi di riso terrazzati che, scendendo dai pendii dei Monti Ailao fino alle rive del Fiume Rosso, creano straordinarie forme geometriche e scenari spettacolari. Costruiti 1300 anni fa dalla minoranza etnica degli Hani, si estendono su oltre 16mila ettari. Il modo migliore per ammirare quest’area è organizzare un escursione a piedi di otto chilometri, partendo dal villaggio di Yishu fino ad arrivare al villaggio di Bada. Nel tragitto si possono visitare alcuni degli 82 borghi antichi ancora abitati dagli Hani.
Oltreconfine: Cina
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Dim Sum KPG_Payless/Shutterstock.com
Oltreconfine: Cina
L’ora del tè alla cantonese
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a scuola di cucina del sud, quella cantonese, fu la prima ad essere conosciuta in Occidente. La specialità per eccellenza è costituita dai dim sum, spuntini vari da accompagnare al tè: i guōtiē (ravioli fritti), i shāomài (ravioli aperti farciti), i xiăolŏngbáo (ravioli al vapore), i chāshāobāo (panini ripieni di maiale) e i chūnjuăn (involtini). Si tratta di preparazioni delicate dove predominano la freschezza degli ingredienti che arrivano dalle belle zone di campagna della
contea di Wùyuán. Si trova qui l’antico borgo di Huánglíng, custode di un’antica tradizione legata alla civiltà contadina che consiste nell’essiccazione al sole di alcuni prodotti agricoli, come peperoncini, fiori di colza, mais, soia e crisantemi, che comincia il primo giorno d’autunno del calendario cinese. I prodotti vengono sistemati dentro dei grandi cesti di bambù e posti a essiccare sulle terrazze delle abitazioni del villaggio, creando un immenso tripudio di colori.
Granchi pelosi del lago Yangcheng HelloRF Zcool/Shutterstock.com
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I sapori dell’acqua dello Zhèjiāng
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a cucina dell’est, tendenzialmente dolce, è incentrata su ricette a base di pesce e frutti di mare, com’è ragionevole aspettarsi data la prossimità dell’oceano e l’abbondanza di fiumi, laghi e canali. Il pesce può essere cotto a vapore, saltato nel wok, fritto o grigliato. La specialità immancabile sono i dàzháxiè, i granchi pelosi del lago Yangcheng (che si mangiano da ottobre a dicembre) conditi con soia, zenzero, aceto e accompagnati da vino caldo di Shàoxing. In tema d’acqua e nel sud della Cina
d’obbligo è la visita di Xitang nello Zhèjiāng, una delle water town più belle e meglio conservate della nazione, con una storia antica che risale a 700 a.C.. Attraversata da nove fiumi, la cittadina si estende su otto quartieri, collegati da vecchi ponti in pietra del periodo Ming e Qing (alla cui epoca appartengono anche numerosi edifici e templi) e caratterizzata dalla presenza dei langpeng, lunghi viali coperti da tetti di legno sotto i quali è piacevole passeggiare al riparo dal sole e dalla pioggia.
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Huanglong, Sìchuān PARINYA ART/Shutterstock.com
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Oltreconfine: Cina
Alessandra Boiardi
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“Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa”
Peggy Guggenheim in gondola, Venezia, 1968 Foto Tony Vaccaro
“Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa”
L’esposizione, fruibile anche con presentazioni tutti i giorni - alle 15.30 -, conta una sessantina di opere - tra dipinti, sculture e lavori su carta selezionate tra quelle acquisite nel corso degli anni 40 e il 1979, anno della scomparsa di Peggy Guggenheim. Tra queste, celebri capolavori da rivedere come “L’impero della luce” di René Magritte e “Studio per scimpanzé” di Francis Bacon, accanto a opere raramente esposte, come “Autunno a Courgeron” di René Brô, “Serendipity 2” di Gwyther Irwin, e ancora “Sopra il bianco” di
Peggy Guggenheim a Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, anni ’50. Alle sue spalle, a sinistra, Edmondo Bacci Avvenimento #247, 1956. Photo Roloff Beny / courtesy of Archives and National Archives of Canada.
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eggy Guggenheim ha trascorso a Venezia un intero trentennio - dal 1948 al 1979 - e oggi la sua permanenza nella laguna è raccontata in una mostra con cui la Collezione Peggy Guggenheim omaggia la sua fondatrice. Fino al 27 gennaio 2020 “Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa”, infatti, è dedicata al collezionismo post 1948 della mecenate, dopo la sua partenza da New York, la chiusura della galleria-museo Art of This Century (1942-47) e il trasferimento a Venezia. La mostra rientra nel più ampio programma di celebrazioni con cui quest’anno il museo rende omaggio a un doppio anniversario - i settant’anni dal trasferimento a Palazzo Venier dei Leoni di Peggy Guggenheim e dalla prima mostra qui realizzata e i 40 anni dalla sua scomparsa - che comprende anche i Public Programs, una serie di attività gratuite per il pubblico, dentro e fuori il museo, dal titolo “La continuità di una visione”.
Jackson Pollock Circoncisione Circumcision, gennaio / January 1946 Olio su tela / Oil on canvas 142,3 x 168 cm Collezione Peggy Guggenheim, Venezia © Jackson Pollock, by SIAE 2019
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Kenzo Okada e “Deriva No 2”. di Tomonori Toyofuku. L’esposizione si apre con un omaggio alla XXIV Biennale di Venezia, la prima presentazio-
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ne della collezione in Europa dopo la chiusura della galleria-museo newyorkese Art of This Century e il trasferimento in Italia, un evento
René Magritte L’impero della luce (L’Empire des lumières) Empire of Light, 1953–54 Olio su tela/ Oil on canvas 195.4 x 131.2 cm Collezione Peggy Guggenheim, Venezia © René Magritte, by SIAE 2019
“Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa”
Piero Dorazio Unitas, 1965 Olio su tela / Oil on canvas 45,8 x 76,5 cm Collezione Peggy Guggenheim, Venezia © Piero Dorazio, by SIAE 2019
“Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa”
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Emilio Vedova Immagine del tempo (Sbarramento) Image of Time (Barrier), 1951 Tempera d’uovo su tela / Egg tempera on canvas 130,5 x 170,4 cm Collezione Peggy Guggenheim, Venezia © Fondazione Emilio e Annabianca Vedova
Tancredi Parmeggiani Composizione Composition, 1957 Tempera su tela / Oil on canvas 130,4 x 169,4 cm Collezione Peggy Guggenheim, Venezia
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importante per avere ospitato opere dell’Espressionismo astratto americano e per avere segnato il debutto europeo di Jackson Pollock. Ad aprire il percorso espositivo sono le opere di Arshile Gorky, Robert Motherwell, Mark Rothko e
“Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa” sarà accompagnata da una nuova pubblicazione, a lungo attesa, sull’intero percorso di Peggy Guggenheim quale gallerista, mecenate e collezionista.
Clyfford Still, le stesse esposte nella rassegna del ’48, affiancate da due artiste astratte, testimonianza del sostegno di Peggy alle figure femminili nel mondo dell’arte: Grace Hartigan e Irene Rice Pereira. Tra le tele di Pollock presenti, vi sono due capisaldi, “Alchimia” e “Foresta incantata”, a ricordare la prima personale in Europa dell’artista americano organizzata proprio da Peggy Guggenheim nel 1950 nell’Ala Napoleonica di Piazza San Marco. Gli scrapbooks, album di articoli di giornali, fotografie ed effimera, sono invece una preziosa testimonianza di episodi inediti che vedono la collezionista anche nei panni di appassionata filantropa. La mostra è anche
un’occasione unica per vedere esposta nelle sale di Palazzo Venier dei Leoni quasi nella sua totale interezza la storica collezione delle opere acquistate tra il 1938, quando a Londra Peggy apre la sua prima galleria Guggenheim Jeune, e il 1947, anno in cui si stabilisce a Venezia, tra cui alcuni capolavori come “Scatola in una valigia” (Boîteen-Valise), realizzata per lei da Marcel Duchamp nel 1941. In riferimento agli anni 50, sono da ammirare lavori di Pierre Alechinsky, Karel Appel, e Asger Jorn, appartenenti al gruppo CoBrA, accanto agli inglesi Kenneth Armitage, Francis Bacon, Alan Davie, Henry Moore, Ben Nicholson,
Graham Sutherland. L’esposizione include un focus sull’Arte cinetica e Optical art, genere che interessò particolarmente Peggy Guggenheim nel corso degli anni 60, con i lavori di Marina Apollonio, Alberto Biasi, Martha Boto, Franco Costalonga, recentemente scomparso, Heinz Mack, Manfredo Massironi e Victor Vasarely. Tutti loro utilizzarono forme geometriche, strutture e materiali industriali per creare effetti ottici e illusioni percettive, sfruttando le proprietà trasparenti e riflettenti di materiali quali l’alluminio, la plastica, il vetro, per dare ai propri lavori, o “oggetti”, un aspetto volutamente “spersonalizzante” in contrasto con l’emotivo linguaggio visivo dell’Espressionismo astratto.
Peggy Guggenheim seduta sul trono nel giardino di Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, anni ’60. Photo Roloff Beny / courtesy of Archives and National Archives of Canada
“Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa”
Pierre Alechinsky Vestaglia Dressing Gown, 1972 Acrilico su carta montata su tela / Acrylic on paper, mounted on canvas 99,5 x 153,5 cm Collezione Peggy Guggenheim, Venezia © Pierre Alechinsky, by SIAE 2019
Teatro Comunale di Modena Luciano Pavarotti Alessandra Boiardi
twitter.com/aleboiardi
U
n’importante stagione lirica sta per essere inaugurata presso il Teatro Comunale di Modena Luciano Pavarotti. Una delle iniziative dell’ampia attività promossa dalla Fondazione Teatro Comunale di Modena che dal 2002 presenta al pubblico una programmazione aggiornata alle novità più recenti del panorama internazionale, che dall’opera lirica spazia al teatro musicale, dalla musica sinfonica tradizionale ai generi di confine e alla sperimentazione, dalla danza contemporanea al balletto classico. Intitolato al grande
tenore dal 2007, a cui quest’anno - come vedremo - sono dedicate le celebrazioni nel contesto di Modena Città del Belcanto, il teatro fa parte della storia della città a partire dalla sua inaugurazione, avvenuta il 2 ottobre 1841, intrecciando la sua storia con le vicende del nostro Paese, passando attraverso la chiusura a cavallo delle due guerre mondiali, la ripresa negli anni 60 quando iniziò a essere gestito dal Comune di Modena, fino a una vera e propria seconda inaugurazione nel 1999, quando fu ristrutturato in ogni sua parte.
Camerata Salzburg
La stagione lirica 2019-2020
L
a nuova stagione lirica, che come di consueto prevede incontri di presentazione al pubblico per tutti i titoli in cartellone con la rassegna “Invito all’opera”, in collaborazione con l’associazione Amici dei Teatri Modenesi, sarà inaugurata venerdì 11 e domenica 13 ottobre 2019 con “La bohème”, in un nuovo spettacolo prodotto dal teatro modenese in coproduzione
con Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Pergolesi Spontini e, per il solo allestimento scenico, con l’Opéra de Marseille. Il titolo, presentato proprio nell’ambito delle celebrazioni dedicate a Luciano Pavarotti, inaugura un nuovo progetto che prevede la rappresentazione delle opere liriche interpretate dal tenore in ordine di debutto. È proprio con il capolavoro puccinia-
Turandot
no che Pavarotti cantò infatti il suo primo ruolo, a Reggio Emilia nel 1961. La regia è firmata da Leo Nucci, vera e propria star del mondo della lirica. Saranno ben tre i titoli pucciniani nel cartellone che proseguirà, sempre il 25, 27 e 29 ottobre con “Tosca” in un nuovo spettacolo in coproduzione con la Fondazione Teatri di Piacenza e il Teatro Regio di Parma dove ha debut-
tato con successo lo scorso aprile. L’allestimento è stato ideato da Alberto Fassini nel 1998 e ripreso da Joseph Franconi Lee con le scene e i bellissimi costumi d’epoca di William Orlandi e luci di Roberto Venturi. Nel cast si ascolterà Ainhoa Arteta, che ha già cantato il ruolo del titolo nel 2018 al Teatro San Carlo di Napoli. Sul podio, Matteo Beltrami. Il 27, il 29 novembre e il
primo dicembre, l’appuntamento sarà con “Rigoletto”, uno dei titoli più amati del grande repertorio presentato in una nuova coproduzione con il Teatro Comunale di Ferrara e il Teatro del Giglio. L’allestimento è curato dal teatro di Modena per la regia di Fabio Sparvoli, artista attivo a livello internazionale recentemente applaudito al Teatro Colòn di Buenos Aires e al Teatro Regio di Torino. Nel ruolo del titolo canterà il baritono Marco Caria, uno degli allievi di Mirella Freni che si sta affermando in teatri come La Fenice di Venezia, la Staatsoper di Vienna e la Deutsche Oper di Berlino. La bac-
Tosca
chetta è affidata a David Crescenzi. Il 15 dicembre andrà in scena “La Notte di Natale”, nuovo titolo fuori abbonamento commissionato e prodotto dal Teatro dell’Opera Giocosa di Savona in coproduzione con il Teatro Comunale di Modena. L’opera, liberamente ispirata all’omonima novella di Nikolai Gogol, è ambientata fra i nostri giorni e la San Pietroburgo del XIX secolo, mettendo in contrapposizione i sentimenti positivi del Natale con il degrado della sua versione commerciale. Compositore di prestigio nazionale, Alberto Cara ha scritto nel 2007 la fiaba musicale “Il colore di cenerentola” su com-
Nordwestdeutsche Philharmonie diretta da YAbel AVolodin Rolando Paolo Guerzoni
missione del Teatro Regio di Torino e del Teatro Comunale di Bologna. La stagione ritorna sulle orme di Giuseppe Verdi nel nuovo anno, il 14 e 16 febbraio, con “Falstaff”, il capolavoro comico del compositore bussetano assente da vent’anni dal palcoscenico modenese. Il ruolo del titolo sarà interpretato da Luca Salsi, baritono parmigiano al culmine di una brillante carriera che lo vede ormai di casa al Metropolitan di New York come alla Scala di Milano. L’allestimento nasce a Piacenza in coproduzione con Modena e Reg-
gio Emilia; firma la regia Leonardo Lidi con la direzione musicale di Jordi Bernàcer. Il terzo appuntamento con Giacomo Puccini a marzo sarà una “Turandot” firmata da Giuseppe Frigeni nel 2003, ispirata nelle sue linee forti ed essenziali alle leggi estetiche e filosofiche che sottendono alla tradizione culturale cinese, dove è ambientata la vicenda. France Dariz canterà il ruolo del titolo nel quale ha debuttato nel 2017 al Macerata Opera Festival e che riprenderà nel 2019 al Festival Puccini di Torre del Lago. La produzio-
Tosca
ne partirà questa volta dal Teatro Regio di Parma in coproduzione con Modena e Piacenza. Il 3 e il 5 aprile andrà in scena “Pelléas et Mélisande”, uno dei grandi capolavori del repertorio francese. Unico titolo operistico nel catalogo di Claude Debussy, scritto nel 1902 per l’Opéra Comique di Parigi, è intriso del misterioso simbolismo francese di quegli anni e pervaso dal sublime sinfonismo del compositore de “La Mèr”. Il cartellone si chiuderà l’8 e il 10 maggio 2020 con “Crossopera”, nuovo titolo presentato a fianco del Landestheater di Linz e del Serbian National Theatre di Novi Sad. La coproduzione
internazionale, guidata dal teatro modenese, è risultata vincitrice del prestigioso bando della commissione europea Creative Europe 2018 e vivrà dello scambio di musicisti, cantanti e artisti che viaggeranno fra i tre teatri. L’opera ha per oggetto l’integrazione culturale al cui tema, sotto il titolo di “Fear and discovery”, paura e scoperta, hanno reagito in diversa maniera tre compositori che firmeranno i corrispettivi atti dell’opera: Luigi Cinque per l’Italia, Valentin Ruckebier per l’Austria e Jasmina Mitrusic per la Serbia. La regia è affidata a Gregor Horres e la direzione musicale a Mikica Jevtic.
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Chamber Orchestra of Europe Julia Weselyi
Orchesrte des Champs-ElysĂŠes e Collegium Vocale Gent diretti da P. Herreweghe Rolando Paolo Guerzoni
f o t o R o l a n d o P. G u e r z o n i
VENERDÌ 11 OTTOBRE I ORE 20 DOMENICA 13 OTTOBRE I ORE 15,30
DOMENICA 15 DICEMBRE I ORE 17
Modena
FUORI ABBONAMENTO
Luciano
Prima esecuzione
Claude Debussy
Alberto Cara
FUORI ABBONAMENTO
Giacomo Puccini
LA BOHÈME Direttore Aldo Sisillo Regia Leo Nucci
Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Modena Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Pergolesi Spontini Allestimento in coproduzione con Opéra de Marseille
NUOVO ALLESTIMENTO
VENERDÌ 25 OTTOBRE I ORE 20 I TURNO A DOMENICA 27 OTTOBRE I ORE 15,30 I TURNO B MARTEDÌ 29 OTTOBRE I ORE 20 FUORI ABBONAMENTO
Giacomo Puccini
TOSCA Direttore Matteo Beltrami
Regia Joseph Franconi Lee da un’idea di Alberto Fassini
Coproduzione Fondazione Teatro Regio di Parma Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Comunale di Modena Allestimento della Fondazione Teatro Regio di Parma
LA NOTTE DI NATALE
Favola musicale in un atto su libretto di Stefano Simone Pintor liberamente tratta dall’omonimo racconto di Nikolaj Vasil’evič Gogol’
Direttore Diego Ceretta Regia Stefano Simone Pintor Coproduzione Teatro dell’Opera Giocosa di Savona Fondazione Teatro Comunale di Modena
NUOVO ALLESTIMENTO
VENERDÌ 14 FEBBRAIO I ORE 20 I TURNO A DOMENICA 16 FEBBRAIO I ORE 15.30 I TURNO B
Giuseppe Verdi
FALSTAFF Direttore Jordi Bernàcer Regia Leonardo Lidi
Coproduzione Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia
NUOVO ALLESTIMENTO
MERCOLEDÌ 27 NOVEMBRE I ORE 20 I TURNO A VENERDÌ 29 NOVEMBRE I ORE 20 FUORI ABBONAMENTO DOMENICA 1 DICEMBRE I ORE 15.30 I TURNO B
VENERDÌ 13 MARZO I ORE 20 I TURNO A DOMENICA 15 MARZO I ORE 15.30 I TURNO B
RIGOLETTO Direttore David Crescenzi
TURANDOT Direttore Valerio Galli
Giuseppe Verdi
Regia Fabio Sparvoli
Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Modena Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, Azienda Teatro del Giglio
NUOVO ALLESTIMENTO
fondatori
VENERDÌ 3 APRILE I ORE 20 I TURNO A DOMENICA 5 APRILE I ORE 15.30 I TURNO B
Giacomo Puccini
Regia Giuseppe Frigeni
Coproduzione Fondazione Teatro Regio di Parma Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione Teatri di Piacenza Allestimento della Fondazione Teatro Comunale di Modena
PELLÉAS ET MÉLISANDE Direttore Marco Angius Regia Renaud Doucet
Coproduzione Fondazione Teatro Regio di Parma, Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Comunale di Modena
NUOVO ALLESTIMENTO
VENERDÌ 8 MAGGIO I ORE 20 I TURNO A DOMENICA 10 MAGGIO I ORE 15,30 I TURNO B
Prima assoluta in coproduzione con l’Altro Suono festival 2020 Luigi Cinque (Italia) Valentin Ruckebier (Austria) Jasmina Mitrusic Djeric (Serbia)
CROSSOPERA Otherness, Fear and Discovery
Opera in tre episodi su libretto di Sandro Cappelletto, Valentin Ruckebier e Jasmina Mitrusic Djeric Progetto vincitore del bando di cooperazione internazionale “Europa Creativa”
Direttore Mikica Jevtic Regia Gregor Horres
Ensemble del progetto CrossOpera: Modena, Linz, Novi Sad Cast “giovani interpreti” del progetto CrossOpera: Modena, Linz, Novi Sad Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Modena Landestheater di Linz, Serbian National Theatre di Novi Sad
Gli abbonamenti alla Stagione lirica 2019 - 2020 sono in vendita: da sabato 7 a venerdì 20 settembre per gli abbonati alla Stagione precedente, da martedì 24 settembre anche per i nuovi abbonati. Biglietteria del Teatro Comunale Corso Canalgrande 85 ı Modena ı telefono 059 2033010 ı fax 059 203 3011 biglietteria@teatrocomunalemodena.it ı Acquisto telefonico: 059 2033010 ı Informazioni: www.teatrocomunalemodena.it La direzione si riserva di apportare ai programmi eventuali modifiche che si rendessero necessarie per cause di forza maggiore.
i m m a g i n e c o o rd i n a t a : w w w. a v e n i d a . i t
2019.2020
TEATRO COMUNALE LUCIANO PAVAROTTI
Antonella Andretta
facebook.com/antonella.andretta
E Z N A VAC
o t s o P i Fuor
In viaggio con tutti i sensi
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tupire ed entusiasmare le papille con un tour di sapori è il leit-motiv di questo numero. Ma il gusto non è l’unico dei sensi che può (e deve) essere stimolato durante una vacanza: anche gli altri quattro meritano di essere altrettanto soddisfatti!
Michael Shilyaev/Shutterstock.com
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niziamo con l’udito per parlare di un luogo straordinario: il Giardino sonoro di Pinuccio Sciola, scultore e grande artista, celebre per i murales a San Sperate (borgo non lontano da Cagliari e suo paese natale), e per le sue sculture sonore, esposte in tutto il mondo. Sciola era capace di lavorare, fino a farli vibrare, calcari e basalti, in grado, dopo il suo intervento, di emettere note melodiose. Il museo all’aperto si trova proprio a San Sperate: le guide accompagnano i visitatori tra i grandi menhir alla scoperta dei suoni che materiali e lavorazioni differenti producono. Un modo diverso di assaporare l’arte, un luogo dove provare l’emozione
VACANZE FUORI POSTO
In viaggio con tutti i sensi
Villa Reale a Marlia, Lucca zummolo/Shutterstock.com
di scoprire il suono rimasto rinchiuso per millenni all’interno della materia inanimata per eccellenza. Passiamo ora all’olfatto: nel borgo di Marlia (frazione di Capannori in provincia di Lucca), si trova Villa Reale, antica dimora di campagna, che è appartenuta nella sua lunga storia a mercanti, banchieri e regnanti, tra cui Elisa, la sorella di Napoleone Bonaparte, appassionata di botanica. Nel magnifico parco della villa, un po’ in disparte rispetto ai classici itinerari turistici toscani, è stato realizzato, proprio in ricordo di Elisa, un percorso olfattivo tra piacevoli scorci e inebrianti profumi. Ogni stagione vede una fioritura diversa: si comincia
Pinuccio Sciola a San Sperate Patrizio Martorana/Shutterstock.com
In viaggio con tutti i sensi
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In viaggio con tutti i sensi
Galleria degli Uffizi, Firenze Detyukov Sergey/Shutterstock.com
a marzo con la mimosa e le camelie (la cui varietà è vanto del parco), in aprile è la volta del glicine, in estate dell’ibisco e così via fino all’autunno quando protagonista diventa il foliage con i suoi mille colori. Al percorso olfattivo, è stata dedicata mappa e il parco è aperto tutti i giorni dal primo marzo al 31 di ottobre. Per quanto riguarda il tatto, non mancano nel nostro paese importanti esempi di musei che hanno inaugurato percorsi tattili per non vedenti e ipovedenti e che offrono la possibilità di toccare opere d’arte o di ascoltare percorsi espositivi. Tra gli altri ricordiamo il Museo Omero di Ancona con una collezione che comprende 300 opere fra arte e reperti archeologici; gli Uffizi di Firenze con Uffizi
da toccare un percorso per persone con disabilità visiva che offre l’opportunità di toccare in autonomia sedici originali scultorei di epoca classica appartenenti alla collezione dei Medici; e i Musei Capitolini a Roma, dotati di un ricco allestimento didattico consistente in libri-guida in caratteri leggibili e in braille, CD, mappe in rilievo, pannelli e modellini di statue e di architetture. Esperienza di grande impatto è anche quella che offre il Calarcheo, parco archeologico subacqueo situato a Reggio Calabria che promuove una fruizione senza barriere per tutti, compresi subacquei neofiti o con disabilità visive. A tal fine è stato realizzato un vero e proprio itinerario archeologico e gli utenti disabili vengono dotati
In viaggio con tutti i sensi
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Rovine ai Musei Capitolini Mazur Travel/Shutterstock.com
di comunicatori subacquei, attraverso i quali vengono fornite informazioni storiche, biologiche e tecniche per arrivare a toccare con mano la storia e provare l’emozione dell’immersione con le bombole. Finiamo con la vista e non c’è niente che riempia gli occhi più di un bel panorama! Nella personale classifica di chi scrive, la medaglia di bronzo va alle Tre Cime di Lavaredo, emblema delle Dolomiti, da ammirare percorrendo i sentieri o, da fondovalle, da un belvedere situato vicino al borgo di Dobbiaco (Bolzano). Al secondo posto i Faraglioni di Capri, da contemplare dai Giardini di Augusto, costituiti da una serie di terrazze dalle quali si può ammirare anche la Via Krupp,
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Val d’Orcia FranciscoMarques/Shutterstock.com
costituita da una serie di tornanti che si snodano sulle rocce con un dislivello di circa 100 metri da percorrere a piedi per raggiungere la baia di Marina Piccola: spettacolo indimenticabile! Il podio va infine ai paesaggi della Val d’Orcia: filari di cipressi che conducono ad antichi casali in pietra, chiesette solitarie su colli (la cappella della Madonna di Vitaleta, vicino a San Quirico, è l’immagine-simbolo della zona), borghi medievali appollaiati sulla cima di dolci alture come Pienza e Montalcino, così belli da sembrare finti, così autentici e immutati da potervi riconoscere i paesaggi che fanno da sfondo ai quadri del Quattrocento e del Cinquecento.
Faraglioni di Capri freevideophotoagency/Shutterstock.com
Tre cime di Lavaredo kan_khampanya/Shutterstock.com
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In viaggio con tutti i sensi
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Panorama a Capri Sergio Monti Photography/Shutterstock.com
Ivan Pisoni
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Leggende gustose
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Leggende gustose
Il canto della sirena e la Pastiera napoletana F
u la bellezza del golfo incastonato tra Posillipo e il Vesuvio che fece innamorare la sirena Partenope di quei luoghi, al punto di convincerla a fissare lì la propria dimora. La bellissima creatura, ogni primavera, emergeva dalle acque del mare per allietare le felici genti del golfo con il suo magico canto. Un giorno il canto della sirena era così soave e melodioso, la sua voce così dolce e le sue parole così ricche d’amore e di gioia, che la popolazione ne rimase affascinata e rapita. Tutti accorsero verso il mare per ascoltare meglio il magico canto che la creatura stava loro dedicando. Per ringraziarla di tale diletto, decisero di offrile ciò che avevano di più prezioso e incaricarono sette tra le
Fabio Di Natale/Shutterstock.com
più belle fanciulle di consegnarle i doni: la farina, che rappresentava la forza e la ricchezza della campagna; la ricotta, omaggio di pastori e pecore; le uova, simbolo della vita; il grano tenero bollito nel latte, prova dei due regni della natura; l’acqua di fiori d’arancio, omaggio dei profumi della natura; le spezie, a rappresentare i popoli più lontani; lo zucchero, per esprimere la dolcezza del canto stesso della bella Partenope. Felice di tanti preziosi doni, la sirena si inabissò portandoli al cospetto degli dei, i quali, anch’essi inebriati dal canto della creatura, mescolarono con arti divine gli ingredienti, creando così la prima Pastiera, dolce e soave come il canto della bella Partenope.
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L’ombelico che diede origine al tortellino E
re la sfoglia fino a riprodurre un ombelico di pasta bello quanto quello della giovane dama. Non sapendo come servire quei pezzi di pasta così com’erano, decise di riempirli con della carne e così nacquero i prelibati tortellini ripieni. C’è chi dice che a ispirare il locandiere non fu la giovane marchesina ma la dea Venere, a sottolineare la bellezza della dama che diede origine a uno dei più rappresentativi piatti della nostra cultura.
Leggende gustose
ra circa il 1200, quando a Castelfranco Emilia, una giovane e bella marchesina, decise di fermarsi in una locanda per riposare. Il locandiere accompagnò la dama alla sua camera e, rimasto così affascinato dalla sua bellezza, decise di spiarla dalla serratura. E così, lo vide... Quell’ombelico che lo stregò. Tornato in cucina per preparare la cena per la marchesina, il locandiere non riusciva a togliere quella celestiale visione dalla propria mente, tanto da tira-
Leggende gustose kuvona/Shutterstock.com
Il pittore che inventò il risotto alla milanese A
i tempi della costruzione del Duomo di Milano, tra gli artisti impegnati alla lavorazione, vi era una comunità di belgi - guidata da Valerio di Fiandra -, responsabili di lavorare le vetrate colorate che dovevano rappresentare episodi della vita di Sant’Elena. Tra i discepoli del Valerio, ce n’era uno di grande talento che usava mescolare dello zafferano alla pittura per dare più tonalità ai colori. Per questo i suoi colleghi lo sopranno-
minarono “Zafferano”. Nel 1574, il giorno del matrimonio della figlia del maestro vetraio, il giovane discepolo convinse il cuoco ad aggiungere la “sua” spezia al risotto che stava preparando e che sarebbe stato servito solo con del burro. Per i commensali la sorpresa per il colore, simile all’oro, e per il gusto, speziato e ottimo, fu tale da far entrare questo piatto, nato quasi per caso, tra le leggende della cucina tradizionale italiana.
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Leggende gustose
Dentro il Duomo di Milano red-feniks/Shutterstock.com
Ivan Pisoni
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lo sapevate che...
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lo sapevate che... con gusto...
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primi spaghetti alla Carbonara si preparavano con la pancetta invece che con il guanciale. Piatto sacro della cucina italiana, nato forse nelle miniere appenniniche intorno all’800, è diventato famoso in tutto il mondo nell’immediato Dopoguerra, quando gli ingredienti erano scarsi e in gran parte offerti dalle truppe americane, soprattutto uova in polvere e bacon. Fu così che, a quel tempo, venivano conditi gli spaghetti e, grazie ai soldati alleati, questo piatto prese, letteralmente, il volo.
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L
a patata era considerata cibo del demonio. Arrivata in Spagna intorno al 1573, la patata, deforme e irregolare, non presente nelle sacre scritture, era temuta come portatrice di lebbra e considerata cibo del demonio. Solo nel XVIII secolo si riconobbero i benefici di questo tubero anche grazie al fatto che era più conveniente in termini di resa per ettaro e calorie fornite.
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I
l Gorgonzola era tra le pietanze del menu del Titanic. È provato che uno dei nostri formaggi più famosi fosse presente nel menu della prima classe del famoso transatlantico che affondò lungo il suo viaggio inaugurale, nel 1912. La prova ne è una copia del menu stesso che scampò al naufragio.
igorgorgonzola.com
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M
angiare qualcosa con diverse posate ne cambia la percezione del gusto. Secondo un team di ricercatori della Oxford University, mangiare lo yogurt con un cucchiaio di plastica gli darebbe un sapore più denso e ricco. Se il cucchiaio è bianco, lo yogurt bianco sarà più dolce di quello rosa, se il cucchiaio è nero, lo yogurt rosa sembrerà più dolce. Al contrario, mangiare il formaggio con il coltello avrebbe un sapore meno salato che mangiandolo con uno stuzzicadenti, una forchetta o un cucchiaio.
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L
e “Fettuccine Alfredo” nascono davvero in Italia. Questo primo piatto, famoso sopratutto in America come piatto tipico italiano - ma che non lo è qui da noi, ed è anzi, quasi sconosciuto -, è stato creato dallo chef Alfredo di Lelio, ristoratore romano, che inventò questo primo a base di fettuccine, parmigiano e burro, come piatto rinvigorente per la moglie debilitata dopo la nascita del figlio. Il piatto fu un tale successo anche nel ristorante dello chef, soprattutto grazie ai turisti che “esportarono” queste fettuccine oltremare.
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lo sapevate che... con gusto...
U
n cucchiaino al posto del tappo di una bottiglia di spumante? Bufala! Quante volte lo avrete fatto o ve l’avranno consigliato? Beh, potete anche smettere di farlo, è una cosa inutile. Non c’è nessuna prova che l’aria si fermi a contatto con il metallo, anzi, l’aria non ha paura delle vostre posate e può passarci attorno senza problemi.
Recensione
L’assaggiatrice di Giuseppina Torregrossa
C
ibo e sesso, passione e carnalità. Amore, gusto, creatività. Gioca su queste comunanze d’amorosi sensi (è proprio il caso di dire!) il romanzo dal titolo “L’assaggiatrice”, a firma dell’autrice siciliana Giuseppina Torregrossa. Un titolo, a dirla tutta, che è già tutto un programma. L’assimilazione eros-pietanze non è nuova, c’è tutta una storia culinaria e sensuale insieme che spesso unisce i due temi, giocando magari sul particolare “potere” di qualche alimento stimolante o afrodisiaco. Però il libro supera questa difficoltà originaria di base, addivenendo, grazie allo stile fresco e brillante, nonché
ammiccante e molto ironico, a una godibilità (non siate maliziosi, ora, con le parole!) di lettura molto elevata. La storia è quella di una coppia in crisi, con un marito che sparisce all’improvviso. E così, Anciluzza, nome dal tipico suono siciliano, è costretta, per andare avanti economicamente, a rifarsi una vita. Quale miglior strada del cibo preparato e venduto? Ecco allora dipanarsi le sue avventure, tra il gastronomico e l’erotico. Inizia anche una sua vita, per così dire, libertina: i clienti, c’è da giurarne, ne usciranno soddisfatti. In ogni senso. La putìa di Anciluzza domina le pagine. Cos’è la putìa? La bottega, il locale, il luogo dove la nostra protagonista profonde… amore. In questo senso si fondono, in perfetta osmosi, il gusto del buon mangiare con quello del piacere sessuale. Ma senza alcuna volgarità, questo occorre sottolinearlo. Un testo, tutto sommato, sobrio: barocco, semmai, come buona cultura siciliana vuole, nel rimarcare la qualità di ciò
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Marino Pagano
facebook.com/marino.pagano.3
Balaguta Evgeniya/Shutterstock.com
avverti l’espressione più dinamica del “genio” locale, il valore di un territorio e dei suoi frutti. Pagine dunque di passione, anche quella, soprattutto quella, espressa in tutti i sensi, ça va sans dire.
Recensione
che si mangia, la sua provenienza, la sua rintracciabile genuinità. Sfogliando il libro, allora, ti sembrerà di vivere tra le strade della magnifica Sicilia, se è vero che nell’elemento del cibo sempre