Le date da ricordare di Monica Argenta
Novembre: occasione per ripensare ai nostri avi, alle nostre radici.
C
erto che nelle nostre vite frenetiche non è semplice trovare un momento per ricordare i defunti, per riflettere almeno qualche minuto sulle persone che ci hanno preceduto e in particolar modo su quelle persone sono state parte della famiglia in passato. Forse l'unico appuntamento che un pochino ci riavvicina alla commemorazione dei nostri antenati è la giornata del 2 novembre che da oltre un millennio, grazie all'iniziativa di un abate benedettino dell'Abbazia di Cluny poi estesa a tutta la comunità della Chiesa Cattolica Romana, ci può offrire questa occasione. Da dopo l'anno 1000 c.a. infatti venne istituita la giornata “pro requie omnium defunctorum” e da allora tutti i cattolici hanno avuto l'usanza di visitare i cimiteri, risistemare la tomba dei propri avi, mettere fiori nuovi e, presumibilmente, volgere loro una preghiera o semplicemente un pensiero. Purtroppo, anche in Italia questo rituale sta scemando, vuoi per una minore considerazione dei dettami della Chiesa, vuoi per un numero sempre maggiore di persone dislocate geograficamente, per scelta o necessità, oramai è difficile raggiungere il luogo di sepoltura dei propri avi. Ne consegue che anche quell'opportunità di riflessione individuale su un tema generale che il rito collettivo è capace di generare, si dissolva del tutto. Ovvero non vi sia più nulla per rimpiazzarlo. Meditare sulle nostre “radici” per le nuove generazioni è sempre più difficile, anzi peggio. Negli ultimi decenni l' Occidente vive l'elogia del futuro, sempre più spesso declinata (e sovra semplificata) dal dictat del “qui e
ora”. E non importa più a nessuno perdere del tempo a ricordare le vite dei nonni e dei bisnonni, e soprattutto, a cercare di capire e re-attualizzare al nostro presente le loro esperienze. Poco importa che in realtà nell'estremo oriente- da dove alcuni sostengono esista la panacea del vivere “nel qui ed ora”- il culto degli antenati è ancora molto sentito e presente. Pochi sanno, o vogliono ammettere, che in moltissime case orientali esistono degli altarini davanti ai quali ci si siede con estrema umiltà e quotidianamente si prega e si pensa ai propri avi. Simili all'avere le fotografie sul frigorifero dei cari defunti e accendere lumini ponendo dei fiori come facevano le nostre nonne, quest'abitudine in Occidente è oramai abbandonata. Dedicare uno spazio, se pur piccolo, sia mentale o fisico, alla commemorazione di quelli che non ci sono più invece è importante e probabilmente intrinseco nel DNA dell' homo sapiens. Di recente è apparso un articolo divulgativo sul prestigioso quotidiano britannico The Guardian: vi si legge che secondo le ultime investigazioni di paleo-antropologi sugli spostamenti stagionali dei popoli di tutta Europa di 15,000 anni fa, grande attenzione veniva riposta a specifiche “tombe”. Per ragioni ancora (forse mai)
chiare, i nostri antichissimi avi transitavano ritualmente e stagionalmente su percorsi che includevano luoghi sepolcrali particolari. Sorprende quindi che in quest'epoca di un Occidente che si proclama attenta alla rivalutazione dei valori e delle risorse naturali invece ci sia così poca attenzione e rispetto verso il percorso fisico o mentale per quelli che ora non ci sono più. In fin dei conti, novembre è il mese quando alle nostre latitudini la natura si ritrae: le foglie degli alberi oramai son cadute, le poche piante di ortaggi dell'orto son ripulite. Chiunque abbia ancora il piacere di dedicarsi a queste faccende agricole è conscio che a novembre c'è spazio solo per le radici che sopravviveranno e permetteranno alle piante di rifiorire la prossima primavera: novembre è quindi il giusto per ragionare e pensare a quel che fu e domani sarà. Siamo tutti frutti caduti vicino alle nostre piante: meditarci sopra, almeno ogni tanto, non potrà far altro che favorire la nostra fioritura.
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