Inverno
la citta smarrita nella neve
D
i solito a svegliarci è un rumore, ma quel mattino, alle prime ore, a svegliare Marcovaldo fu il silenzio che di qualcosa di strano aveva il senso. Come sempre aprì la finestra e si mostrò a lui tutta un’altra vista: le case, le finestre, le auto e le strade pareva fossero state cancellate. Al loro posto c’era un foglio bianco e Marcovaldo, preso dall’incanto, chiamò la moglie tentando di gridare, ma gli uscì solo un lieve sussurrare.
Pure il disoccupato Sigismondo quella mattina era assai contento, perché grazie a quella nevicata, aveva la giornata di lavoro assicurata.
Come aveva fatto sulle forme e i colori, la neve era caduta pure sui rumori, in quello spazio morbido e imbottito qualunque suono veniva attutito.
Marcovaldo, con colpi di pala a caso, il suo spazio di neve aveva invaso e Sigismondo, dapprima un po’ arrabbiato, pensò che come fare andava a lui spiegato.
Quella mattina, andando al lavoro, si sentì molto più libero e leggero, padrone di tutta quanta la città, pareva fosse un’altra la realtà.
Il manovale non si scoraggiò affatto e ammucchiando la neve fece un muretto, poi un altro ancora e gli venne in mente di far viuzze dove andar lui solamente.
Vedeva la città molto diversa, ma la sua ditta era là, sempre la stessa e, ad aspettarlo, c’era una pala alta e pesante per spalare lo spazio circostante.
Mentre era intento in questo suo progetto e stava per livellare un altro mucchietto, si accorse che lì sotto c’era qualcosa: era una macchina potente e lussuosa.
Ma lui sentiva che la neve gli era amica, che gli rendeva più lieve la sua vita e, cancellando muri e recinzioni, gli procurava bellissime emozioni.
A Marcovaldo passò allora per la testa che non sarebbe stata cosa molesta fare una macchina a quella tale e quale: avrebbe creato certo un’opera originale.
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