Un giro in macchina 2020

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Pier Luigi del Viscovo con una prefazione di Massimiliano Archiapatti

Un giro in macchina

2020

Articoli pubblicati su Il Sole 24 Ore, il Giornale, Muoversi e Al Volante


Pier Luigi del Viscovo UN GIRO IN MACCHINA 2020 Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche parziale.


SOMMARIO Prefazione 7 Introduzione 9 Un giro in macchina 2020

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Auto, come funzionano le vendite forzate per evitare le multe UE

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Ossessione futuro per l’auto

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Infotainment e connettività, gli automobilisti non lo vogliono più

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se costa più di 400 € Il crollo dell’auto è colpa dei “gretini”

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Fisco e bollo, due colpi bassi che spiazzano tutto il sistema

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Revisioni per l’export, ingorgo sui piazzali

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Company car, le incognite normative frenano le scelte

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Il Covid-19 ferma le vendite di auto, ma non deve bloccare anche

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il progresso Concessionari verso il default, il Covid-19 mette a rischio 3 punti di pil

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e 200mila posti Ibride: le spingono i sindaci, non l’ambiente

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Per i dealer l’offline e l’online sono diventati un unico canale

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Risollevare l’auto per dare un messaggio di fiducia a tutti i consumi

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Auto, la crisi coronavirus accelererà la concentrazione dei concessionari

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L’aria pessima scagiona l’auto

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L’emergenza virus azzera il noleggio e ferma le flotte

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Più vendite online ma il dealer resta centrale

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UN GIRO IN MACCHINA 2020 Se il visrus “salva” l’auto dall’UE

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Auto in crisi, il coronavirus porterà il mercato a 1,1 milioni di unità

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Gli incentivi ora sono una necessità

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Flotte aziendali la sospensione dei canoni agita il mercato

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Il partito anti-auto? Esiste

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Un partito pro-auto? Non esiste

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È il momento di reagire ai colpi bassi

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La ripartenza dell’auto decisiva per la ripresa di tutto il sistema

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Con la pandemia la cartellina “auto nuova” è finita sotto le altre 73 Revisioni rinviate. Uno scandalo

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Auto, la domanda è debole. Anche perchè non si sa cosa comprare

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Auto: crescono le ibride, il diesel resiste nelle flotte ma il mercato

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è in profonda crisi Alfa Romeo campionessa del noleggio

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Cina presa sottogamba: che errore

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Auto alla spina, la rimonta delle ibride plug-in: i motivi della crescita

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Incentivi auto esauriti, ecco perchè sono stati incapaci di rilanciare il 90 il mercato e svecchiare il parco Mercato auto, S&P: 2020 peggio del previsto e nemmeno nel 2022

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si tornerà ai livelli pre-covid Incentivi subito finiti. Malafede?

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Le vecchie auto Euro 0 responsabili del 73% delle polveri sottili

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Business in caduta a sorpresa si risveglia la domanda dei privati

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“Saremo un modello per la sostenibilità”

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Il noleggio a lungo termine mette nel mirino le vetture ibride

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Auto, i costruttori parlano di elettriche ma spingono le ibride plug-in

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Incentivi auto, finiti a sorpresa quelli per la terza fascia di emissioni 110 4


Come sarà il dealer post covid Elettrificate in ascesa L’auto era un bene durevole La crisi sanitaria crea nuove forme di mobilità La mini ripresa estiva cancellata dal ritorno impetuoso del virus Sulle auto in benefit pesa l’effetto covid Mercato auto a valore 2020 Mercato auto a valore 2020 - noleggio

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PREFAZIONE Mentre papà guidava – quando non cercavo di carpire i segreti di quell’arte misteriosa e affascinante – seduto sul sedile posteriore guardavo incuriosito il mondo che scorreva dai finestrini, così vario e colorato… meglio della tv (incredibilmente allora ancora in bianco e nero... ahimè). Tanto da scoprire, da imparare e tanto su cui ragionare: scenari, paesaggi, scorci e vita fluente ma anche automobili, tante, colorate, rombanti, belle da sognare o anche brutte, ridicole o semplicemente strane. In quei frangenti penso sia iniziata la mia passione per le macchine, da quei ricordi di forza centrifuga in curva, rombi, vibrazioni o semplicemente odori di benzina e tappezzeria. All’epoca avevo due preferenze: la Porsche 911 e… l’Ape Piaggio, quale la migliore e soprattutto quale guidare da grande? Il tempo delle scelte difficili era già iniziato…”ci penserò ancora un po’ – mi dicevo – mentre papà guida”. Pur essendo passato al sedile anteriore e avendo appreso l’arte della guida – su una 500 classica – è rimasto il piacere di sfruttare il tempo in auto per guardarmi intorno, scoprire, osservare ma anche parlare e ragionare, magari trovando risposte a nuovi quesiti – certo non all’altezza del dualismo “911 o ape?”. L’auto per me è lo strumento per muoversi, anche semplicemente col pensiero. Curiosità, spirito di osservazione ma anche e soprattutto ragionamento dentro l’auto sono una costante da anni, non solo nelle tante iniziative, ma anche nelle pagine e negli articoli di Pier Luigi del Viscovo, uomo di numeri, grande conoscitore del mondo automotive, brillante studioso e capacissimo narratore – la cui amicizia mi onora. Non è quindi, a mio parere, un caso che alcuni spunti e condivisioni, nati proprio mentre eravamo in macchina, abbiano generato interessanti analisi e studi come quello sull’impatto ecologico 7


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dell’usato ex noleggio capace, qualora andasse a sostituire veicoli diesel di fascia Euro0 / Euro3, di creare benefici pari a 9 (dico nove) mesi di stop al traffico della città di Roma. Pier Luigi in questo “giro in macchina 2020” continua a offrirci lucide prospettive sul mondo dell’auto in un periodo sicuramente non semplice – tra effetti della pandemia e fase di transizione tecnologica – mettendo in risalto, qualora necessario, i rischi che l’intera industria europea e italiana subisce in virtù di scelte non sempre azzeccate. Il costante riferimento a numeri e fatti abbinato ad un gusto per la dialettica e, a volte, l’interpretazione del ruolo di agent provocateur, fanno di Pier Luigi anche in questa occasione un riferimento non solo per le analisi di mercato ma anche e soprattutto per riflessioni e letture dei fenomeni dell’automobile con un punto di vista, anche se non necessariamente sempre condivisibile, sicuramente di stimolo per l’intero settore. Offrire al lettore una prospettiva più ampia del fenomeno contingente: questo è il filo conduttore delle tappe del giro. Discorso a parte meritano gli studi, inclusi anche in questa edizione, del mercato dell’auto a valore, opera unica e meritoria per leggere non solo le macchine ma anche il fenomeno sociale, il costume e i comportamenti di acquisto di un bene che, malgrado i continui attacchi, continua ad essere per importanza il secondo bene durevole delle famiglie italiane dopo la casa. Salite a bordo quindi, buona lettura e soprattutto buon viaggio! Massimiliano Archiapatti Aniasa

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INTRODUZIONE Un anno cominciato sotto la spada di Damocle delle multe dell’UE, che significava forzare le scelte dei clienti, dirottandole dove possibile verso modelli alla spina. Non c’era invece alcun bisogno di spingere le ibride senza spina, visto che già i sindaci delle metropoli avevano seminato abbastanza terrore da generare una domanda spontanea. Clienti che nel complesso apparivano confusi e spaesati, anche per le innovazioni tecnologiche legate alla connettività e all’infotainment. Sembrava uno scenario difficile e complicato, mentre il Covid lo guardavamo al telegiornale, da Wuhan. Quando tutto si è fermato, abbiamo visto i cambiamenti veri e rapidi. In un attimo, anni e anni di negazione delle vendite online sono stati eliminati anche dalla memoria centrale. Le relazioni online con i clienti sono state possibili e integrate, integratissime, con quelle offline. Se fosse stata una fiaba, avremmo con gusto riunito tutti i negazionisti del web, quelli che le-auto-non-si-venderanno-mai-su-internet. Ma questo articolo è l’unico che non troverai nel volume, perché nel mondo reale i conti si fanno ma non si dice. Ma il Covid è stato anche altro, tipo l’aria che restava inquinata nonostante mesi di lock-down. Oppure gli incentivi, pensati come stimolo temporaneo per favorire l’entusiasmo che l’auto si porta dietro e agevolare gli altri consumi. Coi mesi abbiamo scoperto che non ce n’era bisogno, perché fermare i consumi era stato come caricare una molla, che poi è scattata, senza bisogno di stimoli. Invece, gli incentivi sono stati chiesti non come stimolo, ma per spostare sui contribuenti parte del prezzo delle auto elettrificate. Dunque strutturali, altro che promozionali. Il redde rationem scatenato dalla pandemia ha pure fatto emergere la forza del partito anti-auto e soprattutto l’assenza del suo oppositore, 9


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il partito pro-auto, mai pervenuto. Sui numeri, è stato l’anno del sorpasso delle plug-in sulle elettriche, con un biglietto di accompagnamento: non toglieteci il motore termico! Firmato: “gli automobilisti”.

Pier Luigi del Viscovo

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AUTO, COME FUNZIONANO LE VENDITE FORZATE PER EVITARE LE MULTE UE Le immatricolazioni in Italia nel 2019 si attestano a quota 39,6 miliardi (a livello del 2018) solo grazie alla spinta di case e concessionari per evitare le multe Ue.

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’è del fuoco sotto la cenere di un mercato auto che chiude in pareggio a 39,6 miliardi netti di euro, stando alle prime elaborazioni del Centro Studi Fleet&Mobility. I privati hanno speso 21,4 miliardi, come l’anno precedente, ma in realtà la loro domanda di auto è diminuita, visto che l’offerta di km0 rispetto al 2018 si è contratta e dunque chi voleva un’auto doveva più spesso acquistarla nuova anziché già targata. A domanda costante, le immatricolazioni sarebbero aumentate, invece di restare stabili. Nell’altra metà del mercato, le società hanno speso 8,3 miliardi in calo del 6%, mentre il noleggio ha sborsato quasi dieci miliardi, in crescita del 6%. Ma è stato solo grazie a 800 milioni di euro di forzature (km0 e stock) delle case negli ultimi due mesi che il mercato è riuscito a chiudere in pareggio. I concessionari, che sono anche il canale più facile da governare, hanno messo sul piatto 450 milioni di euro per auto-immatricolare nel bimestre novembre-dicembre 20.000 unità di km0 in più rispetto allo stesso periodo 2018. I noleggiatori hanno pure messo mano al portafoglio per 360 milioni, con cui hanno targato 17.000 vetture in più negli ultimi due mesi rispetto allo stesso periodo del 2018. Sia quelli di emanazione bancaria sia quelli captive che obbediscono a un costruttore hanno cominciato negli ultimi anni a tenere un magazzino, ossia a comprare non solo su ordine del cliente ma anche per lo stock. 13


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Per evitare sottovalutazioni del fenomeno, chiariamo che 800 milioni sono il 2% dell’intero mercato 2019 e sono stati ottenuti in soli 2 (due) mesi e in due canali. Premesso che nel mercato ognuno è libero di vendere le proprie auto a chiunque voglia immatricolarle, va detto che queste forzature non nascono dal mercato, nel senso di obiettivi e strategie degli operatori. Queste anomalie, alle quali dovremo abituarci, sono causate da interventi esogeni, da parte del regolatore, che alterano le dinamiche sane. Innanzitutto, ci sono le multe dell’UE che incombono sulle immatricolazioni 2020. Per ridurle, i costruttori hanno provveduto, chi più chi meno, ad anticipare le immatricolazioni delle vetture più penalizzate. Inoltre, l’aumento della tassazione sulle auto aziendali, nella versione che colpisce solo chi la cambia nel 2020, ha consigliato di anticipare le immatricolazioni al 2019. Ma il regolatore interviene, si dirà, per orientare il mercato verso motori a basse emissioni di CO2. Allora sappia, il regolatore e chiunque fosse davvero interessato all’ambiente, che la sconsiderata fuga dal diesel, nel frattempo, ha causato un peggioramento delle emissioni medie per macchina venduta nel 2019, da 115 a 119 gr/km di CO2. Che sia giunto il momento di fare le persone serie e darci un taglio? Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 5 gennaio 2020

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OSSESSIONE FUTURO PER L’AUTO

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’è una voglia di futuro nell’auto che niente ha a che vedere con le innovazioni reali, che sia il motore elettrico o la guida assistita. L’auto elettrica non è il futuro, è la realtà. Aumenterà? Certo che sì. Con tutta la pressione mediatica e commerciale dei costruttori, vuoi che non prenda qualche punto di quota? Allora, nel futuro gireremo tutti con l’auto elettrica? Certo che no. Stesso dicasi per la guida assistita: la macchina diventa ogni anno più “collaborativa” nel senso che non si limita a rispondere agli input del guidatore, ma li stimola e in alcuni casi li anticipa. Dunque, nel futuro andranno da sole, senza pilota? Assolutamente no. Ma possono farlo, già oggi. Sì e non lo faranno. Eppure, la narrazione che abbiamo subìto per un decennio racconta di un motore termico da archeologia industriale e di auto senza volante, per tacere dei droni per trasporto passeggeri. Questa non è innovazione, è Nostradamus. Criticare certe esagerazioni è fin troppo semplice e tutto sommato neanche importante. Ciò che invece interessa è capire perché simili immagini vengono messe in circolazione e, ancor più inquietante, come mai la gente ci creda. Quest’ultima è facile. La gente crede a questo e a ben altro, dandone ampie e drammatiche dimostrazioni. Magari si limitasse ai droni. La ragione è il costante abbattimento del sapere e della conoscenza, ritenuti elitari e pertanto troppo divisivi. Siamo passati da uno status di consapevolezza (non so e so di non sapere) che spingeva le persone ad affidarsi, al parroco o al partito, alla rimozione del concetto stesso di ignoranza (non so e non so di non sapere). Perché l’industria l’abbia agevolato è più complesso. L’avvento del digitale nelle comunicazioni quotidiane ha stravolto gli equilibri tra i ruoli di chi parla e chi ascolta, introducendo la polifonia. Inoltre, ha preso corpo la sensazione di essere attaccati nelle proprie competenze industriali, tanto che s’è parlato di Apple e Goo15


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gle car come se fossero cose vere. Poi, la fine di Kodak e di Nokia ha seminato il panico. L’aver lasciato entrare i croupier della finanza nella stanza dei bottoni ha fatto il resto, producendo quella fuga dalla realtà necessaria affinché ogni bufala stile “pronipoti” diventi potabile. Così, bastano quattro tipi in monopattino per far impazzire la maionese.

Articolo pubblicato su il Giornale, il 15 gennaio 2020

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INFOTAINMENT E CONNETTIVITÀ, GLI AUTOMOBILISTI NON LO VOGLIONO SE COSTA PIÙ DI 400 EURO Una ricerca di Deloitte condotta a livello mondiale evidenzia che 7 acquirenti su 10 non vogliono spendere cifre elevate per i sistemi delle auto connesse.

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hy-pay-more? è sempre una buona domanda di marketing, per quanto poco frequentata in tempi di corsa al ribasso, di pay-less.

Deloitte, una società di consulenza, l’ha posta a circa 35.000 automobilisti di 20 paesi, con riferimento alle dotazioni di tecnologia avanzata per le auto. La risposta, contenuta nel 2020 Deloitte Global Automotive Consumer Study presentato in occasione del CES di Las Vegas, è stata di un netto rifiuto a sborsare più di 400 euro per le innovazioni oggi di moda. Con ovvie differenze tra paese e paese, in media il rifiuto più elevato, intorno a sette su dieci, è toccato all’infotainment, con buona pace di chi pensa che questo sia il terreno di competizione per vendere le macchine. La piazza d’onore spetta alla connettività, per cui sei su dieci non supererebbero quella cifra. Anche la tecnologia legata alla sicurezza non riuscirebbe a far aprire il portafoglio di oltre 400 euro a un automobilista ogni due, allo stesso livello dell’autonomia di guida, qualsiasi cosa essa significhi. Dietro le medie, si sa, si celano le differenze. A grandi linee, le posizioni di chiusura sono molto marcate tra i tedeschi e gli americani e meno tra i cinesi e gli indiani, con giapponesi e coreani a metà, quasi combattuti tra la maturità dei consumi e l’amore per le tecnologie. Ad esempio, i consumatori convinti che una maggiore connettività porti dei vantaggi sono in Germania il 36%, 17


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contro il 76% della Cina e l’80% dell’India. Quanto pagherebbero per un’auto che fosse in grado di comunicare con le altre e con le infrastrutture, la cosiddetta connettività V2V e V2I, per migliorare la sicurezza? In Germania, il 46% dei rispondenti niente e il 38% poco. In America, 31% e 41% rispettivamente. In Cina e in India, quelli che pagherebbero poco sono più o meno sugli stessi livelli, al 35 e al 41%, mentre il grosso dei rispondenti pagherebbe più di qualcosa: il 60 e il 53%, rispettivamente. I numeri delle ricerche vanno presi con le pinze, è vero, ma qualche indicazione generale se ne può ben ricavare. Innanzitutto, la freddezza verso queste tecnologie, che diventa gelo in occidente, porta a chiedersi se per caso non siano superflue, se cioè gli automobilisti non sentano di averla già, la connessione e l’infotainment, nella tasca destra, dove sta lo smartphone. Molti trovano più facile usare il navigatore di Google che quello dell’auto, lo sappiamo. Dunque, perché pagare per qualcosa che ho già? Tuttavia, restano pur sempre differenze marcate tra i mercati di nuova motorizzazione e quelli più maturi. Come noi negli anni ’60 e ’70 ci appassionavamo a un carburatore a doppio corpo, che era la tecnologia dell’automobile, oggi quegli stessi automobilisti prestano attenzione alla tecnologia che gli si propone. Proprio questo è un punto su cui i costruttori dovrebbero riflettere. Il carburatore era parte essenziale dell’auto, che senza nemmeno camminava, e lo costruivano loro, con brevetti e competenze. L’infotainment e la connettività invece, oltre ad essere ancillari alla funzione del veicolo, sono fuori dal dominio industriale dei costruttori di automobili. Competere su questi sistemi, oltre a mettere la dipendenza stessa dell’industria nelle mani di altre industrie, trasmette ai clienti l’idea che le auto, a parte queste tecnologie, siano tutte uguali e anche banali. Cosa falsa, visto che sono 18


ancora tra gli oggetti più complessi e difficili da costruire. Lo studio Deloitte fornisce anche alcune indicazioni interessanti sulla mobilità. Per gli automobilisti di ogni parte del Mondo il modo di gran lunga più efficace per ridurre il traffico è aumentare l’uso del trasporto di massa: lo indica quasi un rispondente su due, con la sola eccezione dell’India, dove appena uno su cinque è di questo avviso. Ultimo ma non meno importante, il dato sull’uso di una mobilità multimodale. In media, uno ogni due sostiene che solo raramente ricorre alla combinazione di più mezzi nello stesso spostamento. Invece, quelli che non vi ricorrono mai sono una percentuale consistente in occidente, intorno a un terzo, ma una minoranza in oriente, intorno al 10%. Poter usare un solo mezzo di trasporto è un privilegio riservato a quelli che abitano e lavorano vicino a una fermata di bus/metro, oltre a coloro che salgono in macchina sotto casa e scendono sotto l’ufficio. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 18 gennaio 2020

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IL CROLLO DELL’AUTO È COLPA DEI “GRETINI”

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antastica notizia ieri per Greta e seguaci (che detti propriamente potrebbero offendersi, per l’assonanza delle radici Greta e creta). Un bellissimo tonfo della produzione automotive lo scorso anno: meno 19% secondo l’Anfia, associazione delle industrie del settore, come non si vedeva dagli anni belli della cura Monti, pur necessaria e vieppiù aggravata dai postumi degli scriteriati incentivi di Tremonti, che qualcuno ancora invoca. Poteva andare anche peggio, meglio per Greta, se non era per il miracolo economico giallo-verde, ma accontentiamoci e godiamoci l’eccezionale risultato. Sicuramente applaudito dai giallo-rossi tifosi del green deal, la nuova e grandiosa ricetta di politica economica, e dai loro sindaci che fanno a gara a bloccare la circolazione delle macchine, anche di ultima generazione, nella vana illusione che possano diminuire l’inquinamento delle città. Ignorando, o fingendo di ignorare, che le auto ne sono responsabili per appena il 10% e che i riscaldamenti fanno cinque volte tanto. Da un sondaggio promosso da AgitaLab, un think tank sulla mobilità, emerge che secondo gli esperti del settore le amministrazioni farebbero meglio a lavare le strade e ad abbassare i riscaldamenti negli uffici pubblici e privati, piuttosto che fermare la circolazione con l’intento dichiarato di scoraggiare l’uso dell’auto, per farla uscire dalle abitudini delle persone. Bene, visto che ci stanno riuscendo, esultino per il risultato industriale e, soprattutto, se lo ascrivano come effetto delle loro campagne ideologiche. Perché la follia non sta tanto nei provvedimenti, pure inutili, quanto nella convinzione che siano gratis, che fermare e danneggiare la vita dei cittadini, per giorni e giorni, non comporti alcun prezzo. Impedire alle persone di portare i figli 20


a scuola e andare a lavorare o a spasso, facendo lavorare negozi e bar, una reazione la produce: diventa difficile entusiasmarsi per un’auto nuova sapendo che l’uso ne sarà inibito. Per qualcuno magari è la strada giusta, ma si sbaglia: si chiama “effetto Cuba”. Finito il divieto, i cittadini continuano a girare con le macchine vecchie, meno sicure e più inquinanti, invece di sostituirle con le nuove, che sarebbero la vera soluzione. Per equità, una parte di merito va agli esponenti dell’industria automobilistica, a cominciare da chi fa, o dovrebbe fare, informazione. Si prendano pure la meritata fetta di gloria, per non aver contrastato, bensì avallato, le crociate contro l’auto, status-symbol borghese mai veramente digerito. Salvo alcuni, tutti parlano di macchine ma non hanno il coraggio di sostenere, contro le facili mode, che l’ambiente debba sì essere tutelato e che tuttavia fermare le auto, e segnatamente le nuove, sfortunatamente non sia la soluzione. Viviamo in un’epoca di cambiamenti veloci, che richiedono adattamento costante e generano un disagio diffuso quanto multiforme, al quale dobbiamo fare l’abitudine. Lo smarrimento rende le persone facili prede delle più svariate bufale, su qualsiasi tema offra loro un bersaglio contro cui sfogarsi. L’ancoraggio alla realtà è più fragile del filo con cui il bambino tiene il palloncino. Chi possiede l’informazione e chi per mestiere la diffonde, entrambi portano un fardello critico e pesante. Non possono cedere al canto delle sirene, altrimenti l’intera barca perde la rotta.

Articolo pubblicato su il Giornale, il 12 febbraio 2020

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FISCO E BOLLO, DUE COLPI BASSI CHE SPIAZZANO TUTTO IL SISTEMA La Legge di Bilancio. Un maggior prelievo fiscale sul dipendente (poi ridimensionato) e l’obbligo di pagare il bollo scatenano una raffica di proteste sui social, fino alla marcia indietro del Governo.

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entinaia di migliaia di reazioni sui social sono ordinaria amministrazione per famosi rapper e teenagers, ma diventano notizia quando a reagire sono dei manager assegnatari di una company car. È accaduto a cavallo di ottobre e novembre, per un paio di articoli del Sole24Ore che riportavano l’iniziativa governativa di tassare come reddito per il dipendente la company car, non per la parte di uso privato, che è già tassata dal 1997, ma anche per quella parte di uso lavorativo. A conti fatti, un prelievo aggiuntivo da parte dell’erario di alcune migliaia di euro, su persone che in gran parte si trovano sui 50.000 euro lordi all’anno o poco sopra. Non male in un’epoca in cui si vocifera di voler e dover abbassare le tasse sui redditi. Anche grazie a quella sollevazione popolare “social”, alla fine il Governo ha svuotato quasi del tutto il provvedimento: l’uso privato resta convenzionalmente al 30% dell’auto, per le vetture fino a 160 gr/km di emissioni di CO2. “Oggi, non ci aspettiamo grandi cambiamenti, perché meno del 5% dei veicoli della nostra flotta attuale ha un’emissione superiore a 160g/km, che è la soglia fissata per l’aumento della tassazione”, ha detto Emmanuel Lufray di Arval, però aggiungendo che “le aziende clienti hanno adottato un atteggiamento cauto in attesa delle nuove disposizioni contenute nella manovra”. Insomma, il danno è stato fatto, come conferma Alberto Viano, a.d. di LeasePlan: “Le incertezze che hanno caratterizzato gli 22


ultimi mesi del 2019, legate alle misure sul settore nel testo della Finanziaria, hanno creato indecisione e sospensione dei nuovi ordini”. Per dare una misura del disorientamento provocato, basti dire che molte aziende hanno valutato un possibile ritorno all’auto propria del dipendente, a cui riconoscere poi il rimborso chilometrico per gli spostamenti di lavoro. Un sistema decisamente vintage, che avrebbe portato con sé due conseguenze: uso di vetture più inquinanti e meno sicure, a causa del ciclo di sostituzione ben superiore ai tre/quattro anni, e intensificazione delle spese in nero per la manutenzione, visto che il privato non le scarica. Negli affari, una vendita rimandata oggi non si recupera domani e l’industria dell’auto ha accusato il colpo, come ci spiega senza mezzi termini Nicola Pumilia, di FCA: “Il clima di incertezza riguardo le nuove normative sulle emissioni e l’aggravio del peso fiscale del fringe benefit ha portato ad un rallentamento della raccolta ordini da parte delle aziende del territorio negli ultimi due mesi del 2019”. Sarà bene tenerlo a mente, quando poi leggiamo di contrazione dell’industria manifatturiera: gli interventi del regolatore non sono neutri, hanno un costo. Soprattutto per quella parte di mercato che invece il provvedimento ha colpito, anche dopo la retromarcia. La porzione di uso privato (dunque tassata) sale al 50/60% per le auto con emissioni superiori a 160 gr/km, ossia quelle più importanti e costose, come spiega Gianluigi Riccioni di Mercedes: “In generale, l’aumento della tassazione per l’uso privato nel canale flotte impatta soprattutto sulle vetture destinate alle figure apicali delle aziende che richiedono motorizzazioni tradizionali benzina o diesel, per le quali prevediamo una domanda crescente sulle versioni ibride plug-in”. Poteva bastare, invece il DL fiscale di fine anno ha spostato l’onere di pagare il bollo dal proprietario all’utilizzatore. “Un provvedimento nato male e gestito peggio, in totale antitesi con la tanto declamata semplificazione amministrativa – secondo Massimiliano Archiapatti, presidente di Aniasa, l’associazione dei noleggiatori – 23


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visto che aumenta la burocrazia e i costi per chi usa l’auto aziendale e produrrà minori introiti per l’Erario, con il rischio concreto di una forte crescita dell’evasione della tassa automobilistica e di un boom di contenziosi connessi al mancato o non corretto pagamento”. Parole che hanno colpito: il “decreto milleproroghe” ha recepito l’emendamento Aniasa di spostare i termini del pagamento a giugno e convocare un tavolo, in vista di un decreto che sistemi la faccenda. In epoca di stress-test, è probabile che l’uno-due (tassazione e bollo) sferrato al settore delle auto aziendali fosse proprio un tentativo di saggiarne la resilienza, nella filosofia che “ciò che non uccide fortifica”. Differentemente, non si capisce. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 19 febbraio 2020

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REVISIONI PER L’EXPORT, INGORGO SUI PIAZZALI Burocrazia. Caos per un nuovo obbligo a carico delle vetture usate da radiare.

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entinaia di macchine usate bloccate sui piazzali in attesa delle revisioni, senza cui non possono essere radiate ed esportate. È un’altra novità introdotta con la modifica dell’articolo 103 del Codice della Strada. Da gennaio, “per esportare definitivamente all’estero autoveicoli, motoveicoli e rimorchi immatricolati in Italia, l’intestatario o l’avente titolo chiede all’ufficio competente la cancellazione dall’archivio nazionale dei veicoli e dal PRA, restituendo le relative targhe e la carta di circolazione. La cancellazione è disposta a condizione che il veicolo sia stato sottoposto a revisione, con esito positivo. E in data non anteriore a sei mesi rispetto alla data della richiesta di cancellazione”. I noleggiatori, che utilizzano molto il canale dell’export per le auto a fine noleggio, si sono mossi con ritardo e dunque a gennaio si è verificato un accumulo di veicoli da revisionare. Gli specialisti della revisione, a cominciare da Dekra che è in grado di offrire una gestione capillare e al tempo stesso centralizzata, stanno dunque lavorando a pieno ritmo per smaltire l’emergenza e riportare la situazione alla normalità. Ma quale normalità? È proprio lì il vero punto. C’è un aspetto tecnico, operativo. Le macchine fanno la revisione quando sono in uso, quando hanno cioè un driver che le possa guidare presso un centro revisioni autorizzato. Una volta riconsegnate a fine noleggio, devono essere caricate su una bisarca oppure portate una alla volta alla revisione. Entrambe le operazioni hanno un costo, che dopo alcuni giri carsici rispunterà nel canone 25


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di noleggio, pagato dal cliente italiano. È la soluzione adottata da Escargo, leader della logistica auto, come spiega il suo A.D., Silvio Diciolla: “Abbiamo fatto i conti e conviene essere flessibili, anche grazie alla vicinanza dei nostri piazzali con i centri revisione, piuttosto che dotarsi di un impianto interno”. Sia detto per inciso, non si può ovviamente chiedere al cliente di fare una revisione a ridosso della riconsegna, se l’avesse già fatta nei due anni precedenti. Sia perché non sarebbe un suo onere, ma soprattutto perché non sempre viene deciso a quello stadio quale via prendere per quell’auto specifica, se l’export o il mercato nazionale, per il quale vale la revisione fatta nei due anni. Per completezza, citiamo pure quei casi, pochi, in cui il veicolo non sia in grado di sostenere una revisione, perché incidentato, e l’economia suggerisca di portarlo all’estero, dove presumibilmente la riparazione sia meno onerosa. Poi c’è un aspetto sociale. La revisione è un giustissimo obbligo, che tutela la sicurezza delle strade per gli automobilisti, per i pedoni e per chiunque le usi: un bene pubblico. Pubblico italiano. In base a quale principio l’operatore italiano è tenuto a revisionare in anticipo un veicolo, che potrebbe ancora circolare in sicurezza nel nostro Paese fino ad altri 18 mesi, quando deve mandarlo in un Paese terzo, dove magari la disciplina delle revisioni sia addirittura diversa? A sentire quelli del mestiere, perché qualche delinquente radia le auto per l’export, senza rottamarle, e le smonta per vendere a nero i pezzi di ricambio. Un problema di ordine pubblico, dunque, che viene risolto all’italiana, scaricando sulla parte sana ulteriori oneri. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 19 febbraio 2020

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COMPANY CAR, LE INCOGNITE NORMATIVE FRENANO LE SCELTE Lo scenario. Le flotte valutano le auto ibride plug-in e mild-hybrid, ma c’è il rischio che i consumi salgano e con essi le emissioni.

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irando le fila dell’anno appena trascorso, non si può non sottolineare che il 46% della spesa per immatricolare nuove macchine sia venuta da imprese e società, con il 25% in forma di noleggio, secondo le prime stime del Centro Studi Fleet&Mobility. Certo, non tutte sono flotte e neanche company car, visto che negli acquisti delle società finiscono anche le auto a km0, che i noleggi a breve sono un servizio a parte e che in quelli a lungo ormai si contano decine di migliaia di contratti sottoscritti da privati automobilisti, che usano l’auto non per lavoro. Tutto vero, ma il fenomeno resta enorme, tanto da dipingere un mercato ormai sofisticato, dove il canale lungo, i noleggi, ha un peso non preponderante ma molto importante, e in quello corto, i concessionari, è spesso determinante l’intervento del noleggiatore, che fornisce il servizio/contratto e i soldi che mettono l’auto nelle mani del cliente. Purtroppo, dobbiamo registrare come le dinamiche classiche di domanda e offerta, finalizzate alla miglior soluzione di un bisogno, siano spiazzate da interventi normativi. Il provvedimento avanzato dal Governo a ottobre, di inserire nella manovra un inasprimento fiscale a carico del dipendente assegnatario di un’auto aziendale, ha spinto tante imprese a rivedere addirittura il sistema delle company car, valutando se non fosse opportuno rimettere la lancetta dell’orologio al 1990, quando il dipendente usciva per lavoro con la sua macchina e si faceva rimborsare i chilometri dalla sua azienda. Le conseguenze sarebbero state negative, sia sul piano fiscale, visto che la gestione centralizzata delle auto aziendali ga27


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rantisce che non ci siano spese sommerse, e sia su quello della sicurezza e dell’ambiente, dato che le imprese ruotano le macchine a 3 o 4 anni, avvalendosi dei mezzi dotati dei più moderni dispositivi di sicurezza e con i motori Euro 6d, che offrono emissioni pochissimo inquinanti. Poi la retromarcia ha messo tutti molto più tranquilli, fortunatamente, ma l’episodio in sé ha dato il senso di quanto lo stato dell’arte di questo mercato possa essere facilmente rimesso in discussione. Il modello di economia di mercato non viene toccato solo dal governo nazionale, ma anche da quelli locali e comunitario, in una classica tenaglia dove, da un lato, l’UE spinge i costruttori verso i propulsori elettrificati e questi a loro volta premono sui clienti e, dall’altro, importanti amministrazioni territoriali pongono divieti, eccessivi quanto inconcludenti, alla circolazione. Secondo Michele Crisci, presidente di Volvo e di Unrae, l’associazione dei costruttori, “a seconda delle sensibilità locali delle varie aree nazionali, e degli interventi delle varie amministrazioni, il plug-in hybrid si sta muovendo abbastanza velocemente come anche il mild hybrid diesel. I valori residui di queste motorizzazioni stanno diventando molto importanti e, unitamente agli sconti abbastanza aggressivi di alcune case, anche premium, i conseguenti canoni mensili iniziano a diventare molto buoni e spesso sicuramente migliori dei diesel. Naturalmente tutto ciò comporta che nelle policy aziendali per le company car questi modelli plug-in e mild (ma più i primi) si stiano affermando”. È quanto conferma Alberto Viano, a.d. di LeasePlan, un grande noleggiatore: “In questo inizio d’anno, in occasione della revisione delle car policy, i clienti pongono grande attenzione sulle emissioni; le auto ibride o full electric registrano una maggiore richiesta da parte dei driver che hanno facoltà di scelta libera, mentre i fleet manager stanno comunque valutando la possibilità di passare dall’assegnazione ad personam ad un utilizzo in sharing, quasi sempre elettrico”. Gli fa eco Emmanuel Lufray di Arval: “Sempre più le aziende si stanno orientando su veicoli green o comunque a basse emissioni, non impattate quindi dalla nuova normativa”. Che lo sguardo dei fleet 28


manager sia rivolto alle vetture elettrificate è confermato pure da Nicola Pumilia di FCA, il principale fornitore delle flotte: “Con i nuovi modelli della gamma FCA (in particolare gamma Jeep PHEV) si risponde di fatto ad una crescente esigenza del mercato, guardando di fatto in ottica green e di risparmio al mondo delle aziende e ai dipendenti che hanno il benefit dell’auto”. “Ovviamente – precisa Crisci – siamo ancora a livello di policy e possibili ordini: i conti li faremo tra qualche mese sulle immatricolazioni”. Appunto. C’è chi condivide questa prudenza, basandola sul timore che i consumi di questi propulsori si rivelino nella pratica quotidiana ben diversi da quelli indicati dai modelli previsionali. Chi sta usando da alcuni mesi una vettura ibrida riferisce di una spesa di carburante abnorme rispetto non solo alle attese ma anche ai motori diesel. A quel punto, la domanda che sorge non è tanto economica (spendo di più) quanto ambientale: volevo emettere meno CO2, ma se ne emetto di più l’equazione non torna. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 19 febbraio 2020

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IL COVID-19 FERMA LE VENDITE DI AUTO, MA NON DEVE BLOCCARE ANCHE IL PROGRESSO L’emergenza sanitaria mette sotto scacco l’industria e il mercato. L’obiettivo è ripartire il prima possibile evitando derive anti tecnologiche.

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eno 7% a febbraio e meno 7% a gennaio. È costante la flessione della domanda di auto in Europa. Questa sarebbe la cattiva notizia, ma sfortunatamente non lo è. Anzi, rimpiangeremo questi tassi di flessione, visto che ancora non riflettono l’emergenza Coronavirus. Il blocco alle attività, applicato a marzo nel nostro Paese, ha causato un tracollo nelle immatricolazioni. Andrea Cardinali, direttore generale di Unrae, l’associazione dei costruttori, stima “nel mese circa 30.000 unità contro le 194mila del marzo 2019”. Come sappiamo, anche gli altri Paesi stanno seguendo la quarantena, tanto che quasi tuti i costruttori hanno fermato o stanno fermando la produzione. Insomma, si prospetta un anno disastroso, dove l’unica parola d’ordine sarà: ripartire! Prima possibile e più rapidamente possibile. Poi verrà il tempo per i ragionamenti e le riflessioni. Ma dopo. Del resto, quando il Covid-19 c’è arrivato addosso, non è che nella vecchia Europa stessimo facendo baldoria. Nel tempo libero, eravamo intenti al passatempo preferito dei popoli opulenti e decadenti: l’autoflagellazione. Avevamo individuato il peccato del cambiamento climatico, procurato soprattutto da altri Paesi con la produzione di energia elettrica, l’industria e gli allevamenti, ma comunque risolvibile diminuendo solo noi la circolazione delle auto. Pertanto, l’esercizio 30


adesso è collegare il virus con l’ambiente. Innanzitutto, possiamo registrare quanto l’attuale quarantena stia riproducendo quello scenario socio-economico tante volte evocato e da qualcuno pure invocato. Uno studio, per caso finlandese, ha calcolato che a febbraio la Cina abbia emesso 600 milioni di tonnellate di CO2, un quarto in meno del normale. È un’indicazione quanto mai concreta. Sarebbe sufficiente chiudere i cinesi in casa per tutto l’anno, tutti gli anni, per avere 2,5 miliardi di tonnellate di emissioni in meno, pari allo 0,3% della CO2 che ogni anno il pianeta produce. Ovviamente, se il blocco venisse applicato a tutti i Paesi, il beneficio sarebbe ben più sensibile: quasi 7 miliardi in meno, pari allo 0,8% del totale. In proposito, Alessandro Blasi, consulente speciale dell’International Energy Agency, ha sentito il bisogno di fare chiarezza: “Ho paura che ci sarebbe ben poco da festeggiare. Una contrazione delle emissioni dovuta a un crollo economico provocato dal Coronavirus non è un segno che stiamo andando nella giusta direzione. In mancanza di cambiamenti strutturali e misure serie, appena il mondo sarà uscito dall’incubo del virus, meglio prima che poi, le emissioni risaliranno di nuovo”. Quindi no, la decrescita infelice non pare una ricetta per salvare il pianeta. Ma non c’è solo il pianeta, ci siamo anche noi da salvare, i nostri polmoni aggrediti dalle polveri sottili, in particolare in Lombardia. Quella stessa che sta reagendo meglio di chiunque al mondo a un urto drammatico quanto anomalo del virus. Gli scienziati di fama mondiale non sanno ancora spiegare questa speciale virulenza, eppure c’è chi pare abbia trovato la causa. Come sappiamo, è la regione in cui c’è la maggiore concentrazione di polveri sottili, per la grande massa di abitazioni riscaldate e industrie manifatturiere, combinata con una conformazione geo31


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grafica che non agevola la circolazione. Secondo uno studio della Società Italiana di Medicina Ambientale, “le alte concentrazioni di polveri registrate nel mese di febbraio in pianura padana hanno prodotto un’accelerazione alla diffusione del Covid-19. L’effetto è più evidente in quelle province dove ci sono stati i primi focolai”. In effetti, Brescia come provincia ha un numero elevato di entrambi gli indicatori, ma i casi di Corona non sono concentrati solo nei comuni ad alta concentrazione urbana. Mentre la provincia che in assoluto è martoriata dal virus, Bergamo, ha recentemente registrato il livello di PM10 migliore da dieci anni a questa parte. Tanto che Alessandro Miani, presidente della Sima, smorza i toni, affermando che “in attesa del consolidarsi di evidenze a favore di questa ipotesi, la concentrazione di polveri sottili potrebbe essere considerata un possibile indicatore o ‘marker’ indiretto della virulenza dell’epidemia da Covid-19”. Attesa, consolidarsi, condizionale. Aggiungendo che adesso con il blocco “i livelli di inquinamento sicuramente stanno scendendo ma quelli dovuti al traffico veicolare rappresentano circa il 22% del totale”. La conclusione è lineare. Il virus è un dramma che ci è capitato. Decrescere deprimendo le attività non è la soluzione e men che meno fermare le macchine. L’umanità è stata flagellata anche in altre epoche, quando era meno progredita, pagando un prezzo enormemente maggiore in vite umane. Lezioni arriveranno da questa tragedia e andranno capite e apprese, separando le fantasie e le bufale dai miglioramenti apportabili concretamente, per migliorare e rendere più sicura la vita sulla Terra, non per riportarla all’età della pietra. Abbiamo impiegato 200.000 anni per arrivare a 1 miliardo di abitanti, nel 1804. Poi in appena cento anni siamo diventati 6 miliardi, grazie a e non malgrado il progresso. Andiamo avanti. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 18 marzo 2020 32


CONCESSIONARI VERSO IL DEFAULT, IL COVID-19 METTE A RISCHIO 3 PUNTI DI PIL E 200MILA POSTI L’emergenza sanitaria colpisce duramente lo strategico settore dell’automotive.

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utto lo stivale è un cahiers de doléances, ma il settore delle concessionarie auto stavolta rischia brutto. Un rapporto dell’agenzia di rating Crif, sull’impatto finanziario dell’emergenza coronavirus sulle PMI italiane, che Il Sole24 Ore ha potuto visionare, lo annovera tra quelli che già “partono da una situazione più critica sotto il profilo della liquidità”, indicando come “più di un’impresa su due parte già da una situazione di limitata flessibilità finanziaria”. Secondo tale rapporto il comparto, “tra i più vulnerabili nell’attuale contesto economico”, esprime un “fabbisogno finanziario intorno ai 2 miliardi di euro”. Quello che serve è stato indicato da Federauto, l’associazione dei concessionari. Che le agevolazioni sul versamento dei contributi, previste per le imprese fino a 2 milioni di fatturato, siano estese anche alle concessionarie. Che il tetto di 700mila euro/anno per la compensazione dei crediti IVA diventi mensile. Che le concessionarie siano ricomprese nelle imprese che possono beneficiare del supporto alla liquidità, nella forma della garanzia offerta dallo Stato, ex art. 57 del DL Cura Italia. Sono misure urgenti. “Serve un intervento di pronto soccorso per le concessionarie auto, altrimenti molte falliranno”. Così Gianluca Italia, ex numero uno di FCA nel mercato italiano e oggi titolare di Overdrive, una grande concessionaria milanese, uno dei primi gruppi del Paese. 33


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Però, in una crisi tanto grave quanto dalle prospettive ignote, viene spontaneo domandarsi se sia davvero il caso di dare priorità alla distribuzione di auto. Dopotutto, parliamo di macchine, un prodotto di cui gli italiani sono già sufficientemente forniti e un bene durevole il cui acquisto, seppure rimandato di qualche mese, prima o poi arriverà. Innanzitutto, non è questione di dare priorità ma di non dimenticarsene. C’è una bella differenza. In concreto, i provvedimenti governativi rischiano di essere inefficaci verso queste imprese, per una loro particolarità: con un giro d’affari medio sui 30 milioni, non rientrano nel tetto previsto dal decreto di 2 milioni. Dovrebbero invece esservi comprese, perché quel fatturato è gonfiato dal valore delle auto, al netto del quale sono semplici aziende di distribuzione, ognuna in media con qualche punto vendita e un’officina di riparazione. Le auto valgono tanto ma il valore aggiunto per chi le vende è basso. Tant’è vero che il loro utile prima delle imposte viaggia, negli anni buoni, appena sopra l’1%, come riporta l’Osservatorio Bilanci di Dekra. Inoltre, c’è il loro peso sociale. Con circa 50 miliardi di giro d’affari, pari a quasi 3 punti di PIL, i concessionari impiegano oltre 120mila addetti, che arrivano a 200mila con le tante piccole e piccolissime aziende che forniscono loro alcuni servizi reali, dalla logistica al marketing, dal software ai media. Infine, c’è un’ulteriore considerazione. Può anche darsi che l’acquisto dell’auto per il cliente finale non sia né urgente né prioritario, sebbene rappresenti una decisione di spesa molto importante. Anzi, in periodi di crisi, proprio per questo. Però, all’opposto, il mercato dell’auto nel suo complesso è altamente prioritario e la sua ripresa ha il carattere dell’urgenza. Infatti, proprio per il suo valore e per l’indotto che trascina con sé, è un formidabile acceleratore degli scambi e della fiducia, essenziale per tutti gli altri 34


consumi. Per tacere del gettito fiscale che porta dentro di sé. Proprio per tutto quanto sopra, sarà necessario agevolare la ripresa del settore anche attraverso un sostegno ai consumi, ma questa sarà la terapia di reparto, dopo il pronto soccorso. Ci sarà tempo per occuparsene, se l’intervento d’urgenza sarà stato efficace. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 23 marzo 2020

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IBRIDE: LE SPINGONO I SINDACI, NON L’AMBIENTE Sondaggio. I clienti le comprano per evitare i blocchi e i divieti, ma pensano che le diesel consumino meno.

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osa ha determinato l’impennata di vendite di vetture ibride nei primi mesi dell’anno? I provvedimenti di blocco della circolazione adottati da alcuni sindaci delle più importanti città italiane, secondo gli addetti ai lavori del settore automotive, coinvolti da AgitaLab, un think tank, attraverso un questionario online curato dal Centro Studi Fleet&Mobility. Le auto equipaggiate col doppio motore, termico e elettrico, già nel 2019 erano il 6% del mercato, poco sotto il 9% di quelle a gas metano/Gpl, ma con ritmi di crescita a due digit: +31% le ibride plug-in, quelle con la spina, e +34% quelle senza spina, le cosiddette full o mild hybrid. Nei primi due mesi dell’anno i tassi di crescita sono stati, rispettivamente, del 310% e del 79%. Il sorpasso sui motori a gas c’è già stato, visto che più di un’auto su dieci è ibrida, ben sopra l’8% di quelle a gas. Un fenomeno che si afferma nonostante gli elementi di complicazione. Innanzitutto, è un’innovazione significativa, che modifica il sistema di propulsione, aggiungendo un motore elettrico a quello termico che tutti abbiamo studiato al tempo dell’esame di guida. Inoltre, non è una innovazione ma sono tre, viste le differenze anche marcate tra l’energia accumulata da un’auto mild hybrid e le ben più capaci batterie di una plug-in. In un simile scenario, dove le informazioni tecniche e di performance devono passare dal costruttore al cliente, diventa cruciale il ruolo degli intermediari commerciali. Proprio per questo è stato opportuno misurare quale fosse il livello di conoscenza che questi operatori hanno dei diversi tipi di motori ibridi e delle motivazioni che 36


spingono i clienti verso queste auto. Partendo dalle aspettative, più della metà (57%) dei rispondenti indica la possibilità di evitare i blocchi alla circolazione come spinta all’acquisto di una vettura ibrida. Questo, insieme alla possibilità di accedere alle ZTL (indicata da un altro 11%), mette le azioni amministrative dei sindaci al centro delle scelte dei clienti, per due operatori su tre. Uno su cinque ritiene invece che gli automobilisti che scelgono un’auto ibrida siano spinti dalla determinazione di inquinare meno. Appena uno su dieci punta il dito sui minori consumi attesi. Sebbene ritenuti meno basilari per la migrazione verso le auto ibride, i consumi rappresentano un tema pregno di ulteriori distinguo. C’è differenza tra un motore mild hybrid e uno plug-in, che trasporta batterie per centinaia di chili le quali però riescono a fornire energie per decine di chilometri. E c’è anche differenza se la macchina gira in città oppure su strade extra-urbane. Sulle brevi percorrenze cittadine, la quasi totalità (90%) dei rispondenti è convinta che le full hybrid e le plug-in consumino meno delle stesse vetture solo termiche, mentre sulle mild hybrid il campione si spacca, con il 54% che indica consumi minori della corrispondente auto termica, mentre il 39% afferma che i consumi si equivalgano. Sui percorsi extra-urbani la foto cambia. Per le plug-in, circa metà ritiene che consumino meno di una corrispondente versione termica, contro un terzo che dice che sia sugli stessi livelli e uno su cinque che invece consumino di più. È quanto emerge anche a proposito delle full hybrid, sebbene appena maggiormente sbilanciati verso l’idea che queste consumino quanto (35%) o più (25%). Le mild hybrid, quando usate su strade extra-urbane, consumano quanto le corrispondenti versioni termiche per il 59% dei rispondenti, mentre gli altri si dividono equamente tra più e meno consumi. Alla domanda su quale sia il motore che assicura minori consumi sulle percorrenze medio-alte fuori città, oltre la metà del campio37


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ne indica il diesel, seguito da un 24% a favore del gas metano o Gpl, mentre meno di uno su quattro indica le auto ibride. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 24 marzo 2020

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PER I DEALER L’OFFLINE E L’ONLINE SONO DIVENTATI UN UNICO CANALE Scenari. Un’analisi Bain conferma la digitalizzazione della concessionaria come nuova frontiera. La distribuzione affronta il nodo della generazione di utili con l’integrazione tra digitale e fisico.

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ella vendita delle macchine, online (web) e offline (salone) non sono due canali, ma solo due facce, due momenti dello stesso canale. È questo il risultato di un’analisi recente di Bain, una società di consulenza. I clienti sono intervistati sui due canali, ma emerge un flusso incrociato continuo tra online e offline. Poi, è chiaro che indichino dei limiti forti del web. Alcuni sono oggettivi (non posso vedere e toccare la macchina, mi fido del venditore o del meccanico) ma altri sono voluti: detto chiaramente, oggi i siti web delle auto sono solo delle brochure digitali o poco più. Non ci sono informazioni sul prezzo, almeno non quelli veri, con gli sconti e una valutazione della permuta, come invece fanno ormai gli specialisti dell’usato. La configurazione dell’auto viene fatta prevalentemente online, sul sito della casa, e meno in concessionaria con l’assistenza di un venditore, ma è quest’ultimo che i clienti però suggeriscono (53 di net promoter score), magari perché sui siti non vengono indicati chiaramente alcuni vincoli o pacchetti. Come pure, non vi si trova nulla di concreto sulla pronta consegna e sui tempi di attesa: paradossalmente, c’è di più sui quotidiani la domenica, ma perché sono pagine della concessionaria. Infatti, la raccomandazione di Bain è rivolta proprio ai concessionari, che “devono fare un passo avanti nella digitalizzazione”. L’analisi abbraccia gli ultimi quindici anni della distribuzione, ma il periodo significativo è l’arco che dai giorni nostri va indietro al 39


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2007, momento di massimo fulgore del settore, con 2,5 milioni di auto vendute per un controvalore netto di 45 miliardi di euro, secondo i dati del Centro Studi Fleet&Mobility. In poco più di un decennio è cambiato il mondo per i concessionari, ma non è facile accorgersene a prima vista. Partendo dalle vendite, oggi sono quasi a 2 milioni di pezzi, ma sfiorano i 40 miliardi di euro, mentre quando nel 2010 si vendevano le stesse macchine i miliardi erano poco più di 33. Confrontando il 2018 col 2007, i ricavi per auto venduta risultano aumentati del 22% e l’utile medio (EBT) delle concessionarie è passato dall’1,1 all’1,3%, mentre il ritorno sul capitale investito è diminuito dal 5,4 al 4,1%. Dentro questi indici medi, la situazione è ancora diversa. Per l’EBT, il calo è stato determinato dai concessionari piccoli e medi, passati rispettivamente da 1.4 a 0.5% e da 1.1 a 0.9%, laddove i grandi hanno migliorato, da 1.1 a 1.6%. Stessa storia, ancora peggiore, per il ROI: i piccoli sono passati da 5.9 a 2.0%, i medi da 5.0 a 3.0% e i grandi da 5.1 a 4.4%. Le cause? Lo stock ipertrofico ha gonfiato magazzino, attivo e debiti, soprattutto verso le case, come emerso già dall’Osservatorio Bilanci di Dekra. Si conferma la validità di quel processo di crescita della concessionaria, che la rende più forte e solida ma non risolve la vera sfida della distribuzione, che non è la trasformazione della customer experience da fisica in digitale, quanto l’integrazione delle due dimensioni: phygital. A sostegno di tale raccomandazione, vanno guardati insieme due indicatori, il fatturato medio del dealer e il fatturato di pareggio a livello di EBIT. Nel 2007, anno di grande splendore, la concessionaria media generava ricavi per 28 milioni di euro e il suo punto critico stava al 71% di quel valore. Nel 2018, quando ancora qualcuno piangeva per i 2 milioni sfiorati e non superati, i ricavi medi erano a 40 milioni con un punto di pareggio al 78%. È il segno, secondo gli analisti di Bain, che la sola crescita dimensionale aiuta, ma non basta. 40


Le dimensioni offline e online si aiuterebbero a vicenda: sempre aperti 24/7, consegne quando e dove servono, customer journey continuativa, anche per tracciare l’assistenza della propria macchina. Questo si aspettano i clienti e questo avrebbero già dovuto fare i concessionari, se non fossero stati spiazzati dalle case per dieci anni con la favola incredibile, alla quale pure hanno voluto credere, tanto appariva rassicurante: le auto non si venderanno mai online. Della serie: dealer, stai sereno. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 24 marzo 2020

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RISOLLEVARE L’AUTO PER DARE UN MESSAGGIO DI FIDUCIA A TUTTI I CONSUMI La crisi del coronavirus ha devastato il mercato automotive e occorre un rilancio per “riavviare la macchina” più velocemente possibile prima che sia troppo tardi.

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8.500 immatricolazioni, meno 85%. Come mai la cifra confermata dai dati ufficiali è la stessa che ormai circolava da giorni? Perché se fino a metà marzo qualche immatricolazione è stata fatta, sulla base delle auto ordinate e arrivate e grazie al fatto che in molte zone ancora si potevano consegnare e ritirare, dopo c’è stato il blocco totale, delle immatricolazioni e soprattutto degli ordini. Il settore è in ginocchio e questo ha delle forme ben precise. Le fabbriche sono chiuse e i dipendenti in cassa integrazione. Anche le concessionarie sono chiuse e i dipendenti in cassa integrazione. Pure tutti i servizi che ruotano attorno alla vendita e all’assistenza delle macchine sono fermi, con la differenza che non tutti i lavoratori sono dipendenti e in cassa integrazione. Centinaia di migliaia di famiglie, che adesso sono assistite. Ma nessun sistema economico regge a lungo assistendo le persone invece di metterle nella condizione più favorevole per produrre, indipendentemente dalla capacità di debito del suo Governo – e la nostra è piuttosto limitata, Europa o non Europa. Presto, appena possibile, meglio prima che poi, dovranno tornare a essere operative, con tutta l’energia di cui dispongono. Il settore deve essere aiutato, nell’interesse delle imprese che operano sul territorio e dei loro occupati, ma soprattutto dell’economia in generale. Non è un mistero che l’auto faccia notizia. Quando i mercati riapriranno, farà differenza se le famiglie a cena sentiranno al TG che le vendite di macchine sono in fortissima crescita op42


pure in graduale recupero. Il messaggio di fiducia nell’andamento dell’economia sarebbe profondamente diverso, condizionando le decisioni d’acquisto su decine di altre spese, dalla lavatrice al week-end. Tutto il Paese dovrà reagire il più velocemente possibile e il sentiment sarà determinante. Se ognuno aspetta l’altro, rischiamo di soffrire di più e più a lungo. No, questa è una gara per centometristi, non per maratoneti. Per servire l’obiettivo, gli incentivi dovranno avere alcune caratteristiche e non altre. Innanzitutto, essere concentrati nel tempo: ordini entro ottobre targati al massimo entro dicembre. Chi volesse cambiare l’auto nell’estate del 2021 non dovrebbe essere agevolato, bensì forzato ad anticipare al 2020. Perché è adesso che abbiamo bisogno. Dopo, saranno capaci tutti. Il business si fa anche con i soldi, per quanto prosaico possa apparire al cospetto di altri valori. In queste settimane i concessionari hanno i bilanci gonfi di magazzino (auto sui piazzali) mentre stanno bruciando cassa, che dovrà essere ricostituita alla velocità della luce. Come? Vendendo macchine. Quali? Quelle in stock, appunto, quali che siano, ibride o turbodiesel. Anche perché, con la chiusura delle fabbriche, alla ripresa i tempi di consegna per il built-to-order (vetture prodotte su un ordine del cliente) schizzeranno da un paio a otto/dieci mesi: ma il registratore di cassa deve suonare subito, prima che sia troppo tardi. Inoltre, le risorse che i contribuenti potranno mettere in campo per il settore saranno limitate, se per l’intero Paese parliamo di decine di miliardi, molti dei quali assorbiti per sostegni ai redditi. Dunque, sarà opportuno concentrare i soldi, quali che siano, in un periodo limitato, puntando a far ripartire la macchina dei consumi e spiegando bene l’effetto volano che l’auto riesce ad avere. Infine, gli incentivi dovrebbero essere riformulati eliminando ogni vincolo di emissioni di CO2, per varie motivazioni, prima fra tutte che non siamo nella condizione di poter rifiutare (o non 43


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incentivare) il cliente che volesse un bel turbodiesel. Potremmo non essere lì quando dovesse tornare dieci mesi dopo. Poi, diciamo anche che almeno per quest’anno il tributo al Greta-pensiero è già stato pagato col blocco forzato. Oggi il titolo non è ambiente ma sopravvivenza. Ciò che aveva un senso a gennaio è stato spazzato via dal Covid-19, che sta riordinando molte priorità. Se prima noi europei ci sentivamo talmente satolli da illuderci di ridurre la CO2 da soli e con qualche macchina, ora dovremmo aver capito, chi prima chi con un aiutino, che siamo in una tempesta economica in cerca di un approdo: tecnicamente, si salvi chi può. Tempesta perfetta non è un’affascinante espressione, ma una cosa precisa, che può uccidere, nel senso che dopo non ci sei più. Chi va per mare lo sa. A onor del vero, nessuno o quasi degli addetti ai lavori credeva alle favole ma obbediva alle minacciose pretese dell’UE di stare dentro dei limiti, pena multe miliardarie. Ufficialmente, quei limiti stanno ancora là. Eppure, risulta difficile immaginare che l’Europa possa andare in soccorso della sua economia nel 2020, con centinaia di miliardi di extra-debito, per poi multare quelle stesse aziende l’anno dopo. Sarebbe troppo anche per i furori ideologici di Bruxelles. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 1 aprile 2020

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AUTO, LA CRISI CORONAVIRUS ACCELERERÀ LA CONCENTRAZIONE DEI CONCESSIONARI La drammatica situazione porterà nei prossimi 18/24 mesi alla creazione di grandi dealer-hub in grado di avere la sufficiente massa critica.

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a chiusura forzata sta portando l’economia al collasso, ben oltre il periodo di fermo. Alla riapertura mancheranno all’appello una miriade di piccole e piccolissime attività, che neanche si possono definire aziende, perché i loro addetti si saranno disaggregati, ciascuno per sé alla ricerca di un approdo. La maggior parte delle imprese invece sarà pronta a ripartire, non senza aver eliminato ogni grasso superfluo, che in gergo macroeconomico significa meno addetti. In sintesi, tante famiglie in seria difficoltà che si tradurranno in un contenimento dei consumi, che a sua volta rallenterà il ritorno al livello pre-crisi dell’economia, suggerendo infine a una parte dei clienti, magari pronti a cambiare la macchina, che sarebbe opportuno rimandare. In un mercato di sostituzione, l’acquisto di un’auto è una bellissima esperienza, eppure meno necessaria di quanto piaccia pensare a chi le vende. Tolte le aziende, circa 4,5 milioni di persone ogni anno compie tale scelta, tra auto nuove e usate, perché sente che la sua situazione economica non gli dà particolari grattacapi. Nel prossimo futuro, i mal di testa sono previsti in aumento esponenziale. Le case andranno in aiuto di quei concessionari più in difficoltà, come hanno sempre fatto, allentando la loro pressione sui margini e sui costi, a cominciare dallo stock e finendo col chiudere un occhio su altre cose. In alcuni casi il sostegno sarà determinante per rimettere in sesto l’azienda, ma come sempre accade i più deboli non daranno segnali di potercela. Intorno a loro comincerà 45


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la danza delle possibili fusioni e acquisizioni. Con la collaborativa regìa delle stesse case, interessate a tenere ben coperta la zona di competenza, si valuteranno soluzioni diverse. La più immediata è la fusione col vicino che sta meglio, ma pochi saranno in condizione di spiegare alle banche che la puntata vale la pena. Così si faranno sotto i grandi gruppi, per ’acquisizione, totale o parziale, della concessionaria in difficoltà. Questi hanno una capacità finanziaria solida, fondata non tanto sul patrimonio quanto sulla capacità organizzativa e gestionale, che garantisce ai finanziatori che l’aggiunta di un’ulteriore attività porterà utili. In Italia operano 1428 concessionarie, di cui il 42% multibrand, con un fatturato medio poco sotto i 40 milioni, secondo l’Osservatorio Bilanci di Dekra. Di questi, 16 (sedici) hanno un fatturato medio di 318 milioni, più di nove volte la media degli altri 1412. Già a livello di margine commerciale questi mega dealer, col 14,7%, trattengono circa un punto in più degli altri, che nel business dell’auto fa la differenza. Ma è sui costi di struttura, dove i grandissimi sviluppano economie di scala e sinergie, che le distanze si ampliano: fatto cento il margine, riescono a produrre un risultato di gestione corrente pari al 16,6%, doppio rispetto agli altri. Da un lato, le case sono affascinate dai concessionari che producono valore aggiunto, perché in questi anni vogliono lasciare sempre meno punti di margine alla distribuzione, da investire nelle politiche di elettrificazione. Dall’altro, se il valore aggiunto del concessionario non arriva da fattori ideali ma dalla sua dimensione e capacità imprenditoriale e manageriale, il fascino diminuisce e di molto. Più il dealer è forte e capace di pensare, specie se consapevole di esserlo, meno diventa controllabile. Già in questi giorni alcuni dei grandi stanno alzando la testa per criticare le politiche commerciali che, nel mondo che fu, tendevano a forzare la vendita di auto a basse emissioni, indipendentemente dalla richiesta del mercato. Secondo loro oggi non sono una priorità. 46


Dunque, proprio l’ulteriore crescita dei principali gruppi spingerà i costruttori a mettersi davanti al problema, piuttosto che rincorrerlo, accelerando la ridefinizione del modello distributivo. Un’ipotesi, già allo studio da almeno un anno, sarebbe il dealer-hub. Un concessionario a cui farebbe capo una rete di altri più piccoli, i quali avrebbero ancora un rapporto formale di mandato direttamente con la casa, ma dentro un’architettura organizzativa e commerciale in cui l’hub coordina alcune politiche commerciali e mette a fattor comune servizi di back-office e logistici. La finalità sarebbe di generare tutte le efficienze possibili, consentendo quindi alla rete di lavorare bene con margini più bassi, senza trovarsi però a confrontarsi solo con pochi grandi. Vedremo nei prossimi due anni quali esperimenti ci presenterà il mercato. Articolo pubblicato su Il Sole24 Ore, il 3 aprile 2020

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UN GIRO IN MACCHINA 2020

L’ARIA PESSIMA SCAGIONA L’AUTO Ecco la realtà sullo smog.

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volte, dare una notizia diventa per sé una notizia. Nel senso che svela una realtà, al di là del contenuto della notizia stessa. Nei giorni passati i media hanno riportato un fatto: l’inquinamento nelle città è rimasto a livelli molto alti, nonostante il traffico sia crollato. L’hanno trattato come una notizia: cosa vera, nuova e rilevante. Concludendo che non siano le macchine responsabili dell’inquinamento dell’aria che respiriamo. Le cose non stanno così, in quanto il fatto è sì vero e rilevante, ma non nuovo. Questa verità è stata dimostrata, scientificamente ed empiricamente, e comunicata dagli esperti da e per anni. La quantità di polveri sottili (PM) attribuibile al traffico su gomma è intorno al 10%, di cui oltre metà derivante non dagli scarichi ma dal sollevamento di particelle da terra. Infatti, la stazione sotterranea della metro è un posto ad elevatissima concentrazione di PM che, sollevato dal vento all’arrivo del treno, arriva secondo le misurazioni di Dekra a 655 microgrammi per metro cubo, oltre 16 volte quel limite di 40 che porta i sindaci a fermare le auto. Per gli ossidi di azoto (NOx), la provenienza dalle macchine era del 16% pochi anni fa e prevista in discesa al 7% nel 2030, grazie alla sostituzione di vecchie auto con quelle equipaggiate con motori nuovi a emissioni ridotte. Sì, perché l’industria continua a fare progressi enormi. È stato appena divulgato uno studio empirico (su strada) svolto con tre vetture Mercedes, da cui emerge che la più inquinante, quella a benzina, scarica emissioni di NOx e di PM inferiori ai limiti di legge venti e cinquanta volte, rispettivamente, mentre quella diesel emette la metà del PM di quella ibrida plug-in. Dunque, la notizia non è il fatto in sé bensì che sia comunicato 48


adesso. Finché si poteva, è stato meglio tacerlo, visto che il pubblico si aspetta il male dalle macchine. L’automobile, così chiamata quando certe idee prendevano forma, è un oggetto tollerato ma non accettato con piacere. Vuoi perché l’ideale sarebbe di correre nei prati, vuoi perché antitetico a un pauperismo nascosto, il suo ruolo è quello del maggiordomo nei gialli: colpevole. Eppure, nei gialli d’autore l’assassino è colui che non ti aspetti, similmente a quello che sarebbe il giornalismo: l’uomo che morde il cane. Invece i media sono pieni solo di cani che mordono l’uomo. Molti scelgono di servire al proprio pubblico conforto e condivisione, in luogo della verità, nuova e inaspettata che sia. La verità sarà pure scomoda per chi ne è oggetto, l’assassino, e per chi la riporta, se l’assassino è potente, ma in realtà chi la soffre di più è il destinatario, costretto a rivedere le sue opinioni: credevo che…, sembrava tanto una brava persona… Così, per tenere il pubblico agganciato, si provvede a dargli quelle notizie che sono solo tessere dello stesso puzzle ideologico, in modo che possa completare il quadro che già aveva in mente. C’è differenza tra apprendere ciò che non si sa e apprendere ciò che non si pensa. L’ideologia è utile per orientarsi verso il futuro, però non deve fare da filtro alla lettura del presente, nel suo stesso interesse, visto che dal confronto con la realtà umana ne uscirebbe rafforzata. Piuttosto di stare ibernata nella mente, senza alcuna chance di realizzarsi, e diventare fanatismo. In questa vicenda di traffico e inquinamento, la notizia non è la macchina, ma l’ideologia di chi ne scrive e di chi ne legge. Ed è rilevante, perché non si limita alle macchine. Articolo pubblicato su il Giornale, il 6 aprile 2020

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UN GIRO IN MACCHINA 2020

L’EMERGENZA VIRUS AZZERA IL NOLEGGIO E FERMA LE FLOTTE Scenari. A picco la domanda aziendale: i manager lavorano da remoto e sfruttano il telefono. Il crollo del turismo colpisce i servizi a lungo termine.

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’impatto del Coronavirus non è uguale su tutti gli operatori economici. Come per ogni forza, dipende dal corpo che la riceve, se sia più o meno in grado di assorbirla senza farsi abbattere. Nel sistema delle flotte, ci sono tre principali soggetti: noleggiatori a breve (RAC), noleggiatori a lungo (NLT) e costruttori. Il RAC, che vive degli spostamenti di corto raggio dei clienti, più di tutti sta subendo il fermo delle attività e nei prossimi mesi sarà peggio. Adesso manca soprattutto la domanda corporate, visto che i manager lavorano da remoto, parlando con i clienti al telefono ma senza muoversi. Quando la tempesta sarà passata e le relazioni torneranno a essere fisiche, auspicabilmente anche le auto verranno noleggiate negli aeroporti, dove dai tabelloni scompariranno le scritte “cancellato” che oggi affiancano circa 4 voli su 5. Certo non si potrà parlare di recupero, ma forse almeno di ritorno alla normalità, archiviando la perdita di fatturato. È la parte bella della storia. Quella davvero triste la domanda che proviene dai turisti in vacanza. Sono i clienti che noleggiano per più giorni e pagano meglio, magari pure vetture familiari. Il primo appuntamento che salterà è Pasqua. Poi c’è il resto di aprile, con i suoi ponti, che è già andato in fumo. Il Bel Paese si chiama così perché è bello e tutti dall’estero vengono a vederlo e a goderlo, nei mesi prima del caldo torrido dell’estate. Succede tutti gli anni in cui non c’è un virus, dunque non in questo. Come ha detto Massimiliano Archiapatti, presidente di Aniasa, l’associazione dei noleggiatori: “Abbiamo messo in quarantena il business e il persistere dell’attuale situazione renderà la stagione disastrosa. Fuor di metafo50


ra, e col massimo rispetto per le emergenze sanitarie che stiamo fronteggiando, le nostre previsioni sono di un calo del giro d’affari nell’ordine dell’80% ad aprile e poi auspicabilmente un po’ meno peggio a maggio e giugno, fino a meno 50%. Questo si riverbera ovviamente sulla filiera a monte, avendo in pratica bloccato l’acquisto di auto dai fornitori, e a valle, verso tutti quegli operatori piccoli e meno piccoli che ci danno i servizi essenziali per far funzionare il sistema del renta-car. In proposito, abbiamo chiesto al ministro De Michieli, con cui ci siamo già incontrati, di attivare tutti gli interventi necessari a livello nazionale - e non solo nelle aree maggiormente colpite dal virus - per assicurare la tenuta di un settore strategico per la mobilità cittadina, turistica e aziendale del Paese”. Passando al NLT, il calo economico non mancherà di urtare pure gli operatori del lungo termine “a cominciare dal credito – puntualizza Archiapatti – dove i livelli di sofferenza si alzeranno per le difficoltà dei clienti a onorare gli impegni”. Inoltre, c’è da mettere in conto la possibile diminuzione degli occupati, che si tradurrebbe in un dimagrimento delle flotte aziendali. Usiamo il condizionale, confidando sulla rassicurazione del Governo, secondo cui nessuno dovrebbe perdere il posto. L’intera vicenda però rende possibile misurare la differenza tra una vendita e una somministrazione. Una flotta resta comunque nella disponibilità del cliente e continua a generare fatturato, come è tipico di un servizio di uso dei veicoli. Il NLT è un business molto più stabile e resiliente delle normali vendite, anche nella parte servizi, dove gli interventi di manutenzione sono già programmati e pagati. Quello che sicuramente accadrà sarà un rallentamento nei rinnovi. Se dieci anni fa erano i noleggiatori che spingevano i clienti a prorogare i contratti attivi, adesso saranno le aziende a chiederlo, per avere la flessibilità di adeguare la flotta alle esigenze effettive del dopo-Corona. Come ci ha detto un importante costruttore, le imprese dopo la bufera si metteranno in modalità wait-and-see. Le case auto sopporteranno il danno maggiore, dopo il RAC, da questo fermo. Vero è che l’acquisto di un bene durevole come 51


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l’automobile può essere rimandato di qualche mese, ma non cancellato come una vacanza, e dunque è lecito attendersi un rimbalzo. Tuttavia, le fabbriche hanno bisogno di funzionare tutti i giorni e non sarà certo possibile recuperare in tempi rapidi le consegne sospese in primavera. Poi c’è l’altro problema, di dover immatricolare vetture elettrificate per limitare le multe, su cui le flotte non sembrano rispondere adeguatamente. Oggi sembra strano ipotizzare che la Commissione possa davvero applicare le multe all’industria dell’auto, mentre gli Stati faranno ogni sforzo per tutelarne l’occupazione e la sopravvivenza. Magari, questo virus potrebbe portare consiglio e rimettere le cose nella giusta priorità. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 7 aprile 2020

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PIÙ VENDITE ONLINE MA IL DEALER RESTA CENTRALE Il lockdown accentua le relazioni a distanza tra autosalone e clienti.

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a dimensione online nella vendita di auto crescerà, grazie anche a questo periodo di chiusura dei luoghi fisici imposta dall’emergenza sanitaria del Coronavirus, ma la componente offline non scomparirà, anzi. L’indigestione di rapporti online di queste settimane spinge molti a ritenere che ormai sarà questa la cifra della nostra normalità. È improbabile. Quando usciremo di prigione, ricorderemo (forse) con simpatia le abitudini che ci hanno aiutato e ce l’hanno resa sopportabile, ma sentiremo pure il bisogno forte di tornare a una vita piena di fisicità, com’è nella nostra natura. Il processo di scelta e acquisto di una macchina nuova non farà eccezione. Tuttavia, con tutta la prudenza dovuta, certe pratiche saranno diventate familiari ed è improbabile che vi rinunceremo. Anche perché, prima del Coronavirus, la dimensione online nell’automobile era indietro rispetto ad altri prodotti e adesso dovrà, per forza di cose, adeguarsi rapidamente. I più veloci saranno i grandi concessionari, quelli che decidono per se stessi, velocemente e sono in possesso di maggiori tecnologiche e capacità di marketing rispetto ai dealer di piccola taglia. Intergea, uno dei principali gruppi, ha messo i suoi venditori al computer a chattare con i clienti: funziona, anche se pochissimi optano per la video-call, forse per i noti problemi di barbiere. Authos, concessionaria Ford di Torino, la più innovativa ed avanzata nelle formule di vendita, tanto da essere apripista mondiale 53


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del brand, sta vendendo alacremente in questo periodo, online e al telefono. I suoi venditori con il cellulare fanno vedere al cliente, a casa, tutti i dettagli dell’auto. Questi non sono investimenti sulla tecnologia ma sulle risorse umane: quanti venditori di concessionaria saranno disposti, alla riapertura, non ad alzarsi dalla sedia per mostrare il vano bagagli a un cliente che ha una curiosità, ma a rispondergli al telefono senza dirgli: «Guardi, è meglio che viene in salone»? Ciò non significa che sia colpa loro, ultimo anello di una catena al cui capo c’è l’idea che ha informato, e in parte ancora sta informando, la vendita delle macchine: mettere al centro lo show-room, arricchito di strutture e arredi imponenti, per comunicare al cliente quanto sia opulenta la casa dentro cui è entrato e quanto egli sia piccolo al cospetto, quasi che non vendano macchine ma progetti di architettura. Oggi i nuovi format mettono al centro il cliente. In quello Mercedes, ad esempio, i venditori stanno tutti nel back-office davanti al pc a dialogare coi clienti da remoto. Poi però, quando il cliente entra per vedere l’auto, e continuerà a farlo, è lui al centro, trattato come un ospite di riguardo. In conclusione, l’agenda sembra essere chiara. Prima di tutto, online e offline non sono due canali alternativi, ma due momenti, due strumenti della stessa relazione con lo stesso cliente. Inoltre, mentre vendere online implica un impianto tecnologico, logistico e legale, gestire anche online la relazione commerciale è alla portata di tutti e richiede un cambiamento di mentalità, più che di tecnologia. Infine, il salone deve essere ridisegnato sul cliente. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 13 aprile 2020

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SE IL VIRUS “SALVA” L’AUTO DALL’UE

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ual è la differenza tra un tappeto e un virus? Che sotto il tappeto ci puoi nascondere la polvere. Fuor di metafora, il 26 febbraio era un mercoledì e a cena, guardando il TG, gli italiani appresero di 322 casi accertati e 11 decessi, poi chiesero di passargli il pane e continuarono senza panico. Difficile credere che nei due giorni successivi un cliente privato su cinque abbia rinunciato a immatricolare un’auto, che ovviamente aveva già pagato. Ancor più se mettiamo il -19% di febbraio dopo il -14% di gennaio. Nel primo bimestre i privati hanno acquistato 35.000 auto in meno e non è colpa del virus. Una causa è certamente la domanda asfittica, originata da un’economia che nell’ultimo trimestre è stata negativa, grazie a quelle politiche economiche giallo-verdi che avrebbero dovuto sconfiggere la povertà. Però stavolta anche l’offerta ci sta mettendo del suo, cincischiando su quali macchine vendere e quali non vendere in base alle emissioni di CO2, così da limitare le multe della UE, tralasciando i desideri dei clienti. Una strategia fondata sulla presunzione di poter orientare la domanda. Non funziona e non funzionerà, nei saloni come nelle flotte. Da un’indagine di AgitaLab curata da Fleet&Mobility, viene fuori che gli acquisti di vetture ibride sono motivati, per due operatori su tre, dal fatto di poter circolare durante i blocchi e nelle ZTL. In questi giorni, i responsabili delle case auto esasperati per il fermo da Coronavirus hanno smesso l’aplomb composto e si sfogano, dicendoti quanto maggiori siano i loro obiettivi di auto elettrificate rispetto alla domanda, quanto l’equazione economica non stia in piedi, né per i loro costi di fabbrica né per il cliente e quanta pressione pubblicitaria servirebbe per convincerne qualcuno di più. Esattamente quelle risorse che sono già saltate per i tagli post-Corona. Ma proprio il Corona potrebbe offrire il piano B. 55


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Gli Stati stanno mettendo centinaia di miliardi nell’economia per salvare le imprese. Ma allora, infliggere miliardi di multe all’industria più importante, che impiega 3,2 milioni di addetti, per qualcosa che, ricordiamolo sempre, avrebbe un impatto risibile sul clima, che senso avrebbe? Già, il buon senso. Proprio una delle due merci più rare in circolazione. L’altra è il coraggio. Articolo pubblicato su il Giornale il 22 aprile 2020

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AUTO IN CRISI, IL CORONAVIRUS PORTERÀ IL MERCATO A 1,1 MILIONI DI UNITÀ Gli operatori del settore vedono fosco e chiedono un incentivo per il nuovo e per l’usato.

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n milione e centomila vetture nuove immatricolate quest’anno. Ad oggi sembra una stima realistica, formulata dal Centro Studi Fleet&Mobility sulla base delle indicazioni fornite da un sondaggio online di AgitaLab, un think tank di settore, su 240 esperti e operatori del mondo auto. Nel trimestre maggio/luglio metà dei rispondenti prevede un crollo del 50% rispetto ai volumi dello scorso anno, mentre uno su tre indica addirittura un meno 70%. Dopo l’estate, da settembre a dicembre, le cose dovrebbero migliorare, attestandosi su un calo del 30% per i due terzi del campione, ma con l’altro che indica ancora meno 50%. La ponderazione di questi valori porterebbe a una stima di chiusura intorno a un milione. Considerando tuttavia che il noleggio a lungo termine dovrebbe esprimere performance decisamente meno critiche, e nonostante che il rent-a-car si terrà ben lontano dal mercato e che le auto-immatricolazioni dei concessionari (alias km0) sembrano a dir poco improbabili, la cifra di 1,1 milioni potrebbe stare a portata di mano. A bocce ferme. Sarebbe dunque opportuno uno stimolo forte che, secondo un interpellato su due, avrebbe la finalità allargata di far ripartire velocemente i consumi, accelerando la ripresa dell’economia. Uno su tre punta anche il dito allo smaltimento dello stock già disponibile nella rete. Ma che tipo di stimolo, se fossero gli esperti a deciderlo? Nell’ordine, il 41% darebbe la priorità alle auto nuove e il 38% a quelle usate recenti, Euro 5 e 6, mentre il 23% privilegerebbe gli incentivi fiscali sulle auto aziendali, quali l’IVA de57


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traibile al 100%, il super-ammortamento e un’elevata deducibilità del costo. Visto il momento eccezionale, il sondaggio ha anche verificato se gli incentivi all’acquisto di un’auto nuova dovessero tener ancora conto delle emissioni di CO2, come usava prima della pandemia. Quasi uno su due ha indicato che dovrebbe comprendere le vetture fino a 160 gr/km, che sono circa l’80% del mercato auto, mentre il 29% ritiene che tutte le auto dovrebbero essere incentivate, senza distinzioni di emissioni, posizione questa che privilegia evidentemente le ragioni della ripresa e dello smaltimento dello stock, rimandando il salvataggio del pianeta a un secondo momento. Il 22% limiterebbe l’incentivo alle vetture sotto la soglia dei 95 gr/km, dove stanno tutte le ibride e qualche utilitaria a trazione solo termica. L’ultima indicazione fornita dal sondaggio riguarda la durata di un eventuale incentivo, all’acquisto o fiscale che sia. Nonostante abbiano indicato l’urgenza di far ripartire i consumi e di smaltire lo stock, quattro su cinque opterebbero per una durata lunga, fino a dicembre del 2021, laddove solo uno su cinque vorrebbe gli incentivi fino a ottobre, con immatricolazioni entro fine 2020. È un’indicazione oggettivamente sorprendente, visto che trasmette ai clienti potenziali la tranquillità di aspettare oltre 18 mesi prima di decidersi a comprare, vanificando la pressione che una promozione deve esercitare e trasformando il suo costo in un puro regalo a chi vorrà alla fine cambiarsi la macchina. A spese dei contribuenti, senza che questi ne ricevano in cambio quella spinta alla ripresa generale che un mercato auto di nuovo scoppiettante potrebbe dare. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 1 maggio 2020

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GLI INCENTIVI ORA SONO UNA NECESSITÀ Fase 2: incentivi forti per ripartire.

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l mercato auto valeva 40 miliardi, che diviso per il Pil fa 0,023, ossia il 2,3%. Non sarebbe una priorità nazionale, se i soldi si contassero e basta. Però, l’auto fa notizia: quando il mercato va male deprime e quando scoppietta produce fiducia, spingendo poi magari le persone a cambiare il frigorifero o il telefonino. D’ora in avanti, dovremo far ripartire tutti i consumi, nessuno escluso, e questo prodotto può fare da volano. Questi soldi si pesano, non c’è niente da fare. Per farlo ripartire velocemente occorre puntare su chi potrebbe acquistare un’auto nel 2021, spingendolo con un forte incentivo ad anticipare al 2020. Ben 240 esperti e operatori del mondo auto interpellati da AgitaLab, un think tank di settore, hanno dato priorità agli incentivi per l’acquisto di un’auto nuova (41%) o anche usata, Euro 5 e 6 (38%). Meno di 1 su 4 ha indicato come priorità gli incentivi fiscali sulle auto aziendali, quali l’Iva detraibile al 100%, il superammortamento e un’elevata deducibilità del costo. Sebbene sia probabilmente la misura più giusta, sarebbe per sua natura stabile e dunque di scarso impatto. Ma quali macchine incentivare? Negli ultimi tempi, l’industria, per inseguire i limiti irraggiungibili fissati dall’Ue, aveva prodotto una discreta confusione, tra emissioni di CO2 e propulsori ibridi, pienamente ibridi, ibridi a metà e ibridi con la spina. Ma il lockdown, si sa, porta consiglio e gli esperti hanno suggerito di tornare con i piedi per terra. Poco meno della metà di essi incentiverebbe le auto fino a 160 g/km di emissioni di CO2, che rappresentano l’80% del mercato, mentre un altro 29% non porrebbe nemmeno quel limite. 59


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Senza un incentivo forte, gli esperti si aspettano una flessione tra maggio e luglio superiore al 50% rispetto allo scorso anno, che dopo l’estate si manterrebbe ben sopra il 30%. Su queste basi, tenendo conto di una flessione del noleggio a lungo termine ben più contenuta, ma anche che dal rent-a-car e dai «Km 0» non arriveranno volumi significativi, il Centro Studi Fleet&Mobility stima che le vendite quest’anno sarebbero intorno a un milione e centomila macchine. L’incentivo, sconsigliabile se la crisi fosse solo del settore, sembra quanto mai opportuno in questa situazione senza precedenti. Articolo pubblicato su il Giornale, il 6 maggio 2020

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FLOTTE AZIENDALI LA SOSPENSIONE DEI CANONI AGITA IL MERCATO Effetto Covid-19. Durante il lockdown molte imprese hanno congelato i pagamenti per fronteggiare la crisi di liquidità e ora puntano ad allungare i contratti.

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e flotte sono una dotazione dell’impresa che non si riduce per due mesi di smart working. Questo dà una forte stabilità al business dei noleggiatori, almeno nel breve. Eppure, le questioni sul tavolo non mancano. Quando l’intero sistema economico si ferma, la prima responsabilità degli amministratori delegati è mettere in sicurezza l’azienda, proteggendo la cassa e massimizzando la liquidità, per far fronte il più a lungo possibile alle spese non differibili. Questa esigenza ha spinto “i clienti a chiedere il congelamento o la sospensione dei canoni di noleggio a lungo termine, almeno nel periodo di lockdown”, spiega Andrea Croce, da poco a capo delle vendite fleet di FCA, secondo cui “il tema delle linee di credito impatta anche sul rating, creando un circolo vizioso: il noleggiatore, che è una banca, alza i canoni perché l’azienda cliente rischia di essere meno solvibile”. Sul punto dei pagamenti c’è anche una discreta confusione, come fa notare Alberto Viano, A.D. di LaesePlan: “L’incerta comunicazione del Governo ha spesso ingenerato l’erronea aspettativa, soprattutto tra piccoli utilizzatori, che la sospensione del canone fosse un diritto”. Il riferimento è alla natura non finanziaria del noleggio, che vale la pena chiarire. Il decreto “Cura Italia” prevede misure di sostegno finanziario alle PMI, stabilendo all’art. 56, comma 2, che possano avvalersi di alcune misure di sostegno finanziario, in relazione alle esposizioni debitorie nei confronti di banche, intermediari finanziari previsti dal Testo Unico Bancario e altri soggetti abilitati alla concessione di credito. Alla successiva lettera c) stabilisce che il pagamento delle rate o dei canoni di leasing, in scadenza prima 61


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del 30 settembre 2020, sia sospeso sino al 30 settembre 2020 e che il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione sia dilazionato, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti. Ora, va chiarito che tale normativa non contempla le attività di noleggio veicoli, in quanto non soggette alla normativa del Testo Unico Bancario, nonostante le banche siano tra i maggiori azionisti di aziende NLT. Bisogna poi aggiungere che alcuni settori, primo fra tutti il comparto del turismo ma non solo, hanno visto diminuire le attività in modo più drastico e per loro non basterà una sospensione. Pertanto, sebbene il noleggio a lungo termine non sia un acquisto che si attiva o disattiva nell’arco di settimane, resta da vedere qual è il comportamento delle imprese sui contratti che scadono in questi mesi. In tempi normali, andrebbero rinnovati, ma adesso c’è grande incertezza, come spiega il direttore generale di Arval Italia, Štefan Majtán: “Le aziende ci chiedono soprattutto di prorogare i contratti in essere, per rimandare alcune decisioni strategiche a quando saranno fuori dalla fase emergenziale, dando loro modo di capire meglio come ripartire, anche a livello strategico. Ma ci aspettiamo che, con la riapertura e con il ritorno all’attività di molti settori, nel giro di qualche tempo le aziende tornino a programmare lo sviluppo della propria flotta”. Invece per Croce questo “rallentamento dei rinnovi si riscontra solo per le PMI. Le grandi corporation stanno portando avanti gare e rinnovi con un focus molto importante sul saving. In alcuni casi abbiamo rivisto una riorganizzazione delle car policy con un downgrading su versioni e vetture”. Ma il futuro prossimo potrebbe avere dei contorni più ampi, almeno secondo Viano: “Anche il NLT sarà colpito dalla richiesta di maggiore efficienza e produttività delle imprese. Quindi dovremo cambiare le nostre strategie e la nostra proposizione commerciale per incrementare la flessibilità dei contratti ed incrociare la domanda di mobilità individuale, che crediamo aumenterà. Il tutto supportando l’obiettivo della riduzione delle emissioni di clima alteranti e CO2”. Sulla stessa prospettiva del cambiamento anche l’analisi di Majtán: “Probabil62


mente cambieranno anche alcune modalità di accesso ai veicoli. Penso a un possibile aumento del ricorso a soluzioni di medio termine, più flessibili e che possono anche consentire alle aziende di rinviare le scelte di più lungo periodo”. A completare il quadro, oltre alle flotte ci sono i professionisti, gli artigiani e le partite IVA, che scelgono anche in base al sentiment che hanno verso la loro capacità di reddito futura. Per loro arriva da Hyundai una soluzione molto innovativa, messa a punto con AON, primo broker mondiale. Regalano ai clienti una copertura di 2.500 euro per l’eventuale chiusura della partita IVA, laddove le cose dovessero andar male. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 26 maggio 2020

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IL PARTITO ANTI-AUTO? ESISTE

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’è in Italia un partito anti-auto. Nulla di dichiarato, ovviamente. Roba fluida, che non fa capo a niente e a nessuno. Anche perché non ha una missione positiva. Non deve costruire. Vuole sì sostituire l’auto con altri mezzi, ma non nel senso solido, compiuto, di spostare l’efficienza e la ricchezza che l’auto esprime su uno o più altri sistemi. Se n’è parlato alla Capitale Automobile, in un’edizione solo online, in cui sono intervenuti alcuni dei più grandi concessionari del Paese, insieme ai vertici dei più importanti costruttori esteri. Questo partito inconsapevole ha la maturità economica di un bambino che chiede il giocattolo, senza interrogarsi sul suo prezzo e sulla convenienza di quell’acquisto. Segue l’istinto. Il monopattino è cool? La macchina è démodé? Allora dai, leviamole di mezzo, che aspettiamo? Poco importa se le persone fanno 30 km al giorno, portano la borsa della palestra e poi la spesa, accompagnano dei bambini. Tra macchine nuove e usate, assistenza, ricambi e carburanti il settore produce ricchezza per circa 120 miliardi di euro, sette punti di PIL. Ogni anno. 365 giorni e poi ricomincia. Di quei miliardi, 43 vanno a finire nelle casse dello Stato in forma di IVA e accise. Si pagano tanti stipendi con 120 miliardi. Grazie a quelle odiate macchine, centinaia di migliaia di famiglie, forse un milione, vivono e spendono. Però le bici elettriche e i monopattini sono belli e cool, moderni. Per produrre la stessa ricchezza se ne dovrebbero vendere tanti, ma proprio tanti, nell’ordine di 240 milioni di pezzi, l’una per l’altro. Ogni anno. Più che tanti, sembrano troppi. Illudere l’opinione pubblica che stiamo cambiando forma di mobilità è una menzogna. La verità è che qualcuno sta seminando povertà, avvelenando l’acqua che irriga quel campo da cui le persone si aspettano il proprio sostentamento, offrendo in cambio una 64


piantina di mentuccia. È la decrescita infelice. A chiedere in giro, nessuno vuole la fine dell’auto e tantomeno la povertà, ma è ciò che avremo grazie a quest’ideologia a metà tra il bucolico e il salviamo-il-mondo. C’è un intero secolo a testimoniare cosa può fare un’ideologia, se solo qualcuno si prendesse la briga di ricordarcelo. Già, ma chi? Ci vorrebbe un partito pro-auto, ma questo lo vedremo prossimamente… Articolo pubblicato su il Giornale, il 27 maggio 2020

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UN PARTITO PRO-AUTO? NON ESISTE

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i vuole coraggio, tanto coraggio a schierarsi a favore dell’auto e degli automobilisti. Quand’era di moda e le stelle del cinema si facevano fotografare sulle fuoriserie, era facile promuovere e vendere auto molto inquinanti e poco sicure. Poi le mode passano e oggi le nipoti di quelle macchine, enormemente meno inquinanti e più sicure, sono all’opposto delle mode trendy e affascinanti. Nel nuovo secolo si sono incrociati due fiumi, due movimenti di opinione. Da un lato, la strisciante nostalgia di un’epoca meno frenetica e impegnativa, meno contemporanea. Dall’altro, la spinta a comportamenti eco-compatibili. Desideri e spinte vanno benissimo, ma poi la realtà ti dice cosa sia davvero accettabile. Nessuno vuole andare a vivere in campagna né spegnere la luce elettrica o i riscaldamenti. Mentre l’auto, inquinante strumento della frenesia quotidiana, è sacrificabile. Così un gruppo di privilegiati, nipoti dei VIP anni ’60, possono prendere le distanze e farne un’icona del male. Sono educati, vivono e lavorano in centro, quello ormai vietato alla massa, e hanno chi gli fa la spesa e gli accompagna i figli. Come nell’Atene di Pericle, sono belli e virtuosi, dettano le mode, indicano i valori, fanno tendenza e producono consenso, cibo primario della politica. Non è facile, per chi fabbrica e vende macchine, andargli contro. Affermare che l’auto è un mezzo comodo, che dà libertà e autonomia. Dire che no, le nuove non sono più inquinanti o clima-alteranti della pentola della pasta. Congiungere i puntini degli airbag con quelli dei bambini: ce li devi portare, in macchina, sennò a che servono. La scelta più comoda finora è stata quella classica, di non scegliere. Un sindaco vuole mandare tutti in bici? Bene, non abbiamo niente contro le bici. Solo, se poteste anche comprare comunque un po’ di macchine, grazie. Ma non perché a noi piac66


ciano, sia chiaro. Viva le bici. È che… ci sarebbero le fabbriche, che continuano a sfornare macchine. Non dovrebbero, giusto, e ci stiamo lavorando. Insomma, il tipico approccio maschile di tenere il piede in due scarpe. Del resto, che il mondo dell’auto sia troppo maschile l’abbiamo sempre saputo. Nel nuovo secolo, che sia tempo di dare spazio alle donne, che sono molto più nette e decise? E hanno coraggio. Articolo pubblicato su il Giornale, il 3 giugno 2020

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È IL MOMENTO DI REAGIRE AI COLPI BASSI

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’hanno presa male nel mondo dell’auto questa storia di Sala che rifiuta i loro soldi accomunandoli a pornografia, tabacco e odio razziale. Reagendo d’istinto hanno fatto il suo gioco. Senza le macchine nessuno se lo sarebbe filato, mentre a lui interessava la bagarre mediatica, visto che quello più che un bando è un manifesto ideologico. All’uomo sta stretto Palazzo Marino, soprattutto quando vede la prateria del centrosinistra, piena di voti ma assolutamente sgombra di politici spendibili nel prossimo futuro. Così prepara l’immagine: una pista ciclabile qua, un’esclusione da un bando là. Menando dove è facile. Sull’auto è fin troppo facile. Avevamo appena scritto che il partito pro-auto, che dovrebbe fronteggiare quello anti, nemmeno esiste. Infatti, l’hanno presa come un’offesa, uno sgarbo. Invece, come diceva Don Corleone, non è personale, è solo business. La vendita di auto nuove vale 40 miliardi di euro. Se un’amministrazione ti colpisce, c’è poco da mettere il broncio e molto da reagire. Ma da noi regna l’idea che l’industria debba restare neutrale e cercare l’armonia. Questa posizione ha più di un fondamento, poiché il piano della politica e quello del business sono diversi. Tuttavia, non può essere un dogma assoluto. L’industria non deve entrare nelle questioni della politica, giusto. Ma se è la politica a entrare nelle vicende dell’industria? A quel punto, non si tratta più di etica ma di sopravvivenza: più che l’amor poté il digiuno. Chi va a lavorare ogni giorno e fa il suo dovere si aspetta che anche ai piani alti facciano il loro, il cui risultato in sintesi consiste nel permettere al lavoratore di tornare anche il giorno dopo: ossia, tenere in vita l’impresa e con essa il suo lavoro. Se qualcuno piccona il tuo business devi reagire, per responsabilità e con forza. Se non sei terzo, non puoi agire da terzo. Porgere l’altra guancia non può essere un’opzione. 68


Non chiederti cosa fa il tuo Comune per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo Comune. Mesi fa, quando Roma vietava la circolazione alle auto Euro 6d, si discuteva sull’opportunità che l’industria si offrisse di pagare le multe prese dai suoi clienti. Sarebbe stato uno schiaffo in piena faccia. Ovviamente, non se ne fece niente. Adesso, col senno di poi e dopo quest’altro colpo basso… Articolo pubblicato su il Giornale, il 10 giugno 2020

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UN GIRO IN MACCHINA 2020

LA RIPARTENZA DELL’AUTO DECISIVA PER LA RIPRESA DI TUTTO IL SISTEMA Il dibattito sulle misure da adottare per stimolare la crescita. I dati evidenziano il ruolo chiave del settore ma ci sono posizioni ideologiche contro l’automotive. Stride la differenza tra i pochi fondi dell’Italia e i maxi-piani di Francia e Germania.

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l settore auto non va per niente bene. A una crisi già conclamata s’è aggiunta la pandemia, che frena la domanda dopo averla bloccata e che fa emergere contraddizioni e divergenze, quando invece servirebbe unità d’intenti. I vertici di importanti costruttori e concessionarie, incontrati a porte chiuse, hanno dipinto un quadro realistico. Il Covid-19, dopo aver costretto il settore a fermare le attività distributive, ha lasciato sul campo una domanda che stenta a riprendersi, per due fattori. Il più evidente, largamente previsto, è quello economico. Produrre 150 miliardi in meno di ricchezza qualche colpetto lo dà alle tasche di chi avrebbe cambiato la macchina. Tanti hanno subito e stanno subendo un calo di reddito e altri lo temono. A questi ultimi sono destinati quei prodotti assicurativi di copertura dal rischio di perdita della fonte di reddito, busta paga o partita Iva che sia. L’altro fattore, meno evidente e più subdolo, è psicologico. La sospensione dalla vita sociale ha prodotto nella popolazione un distacco dai consumi generalizzato, per cui diventa facile rimandare un acquisto impegnativo come l’auto. Secondo alcuni, l’insieme potrebbe accentuare il gap tra il cliente che coglie il fascino dell’auto ma acquista pur sempre un prodotto utile, e chi invece guarda alla macchina come piacere, puntando spesso ai modelli premium e alto-di-gamma. Questa riflessione porta i concessionari a suggerire una strategia nuova per il settore. Basta reggere l’industria sui volumi e puntare piuttosto ai margini e alla redditività. Secondo loro, occorre prendere atto che l’eccesso 70


di capacità produttiva ha imposto una strategia push che è insostenibile economicamente. La coda di tale pressione, le vetture a km zero, avrebbe messo in ginocchio la salute della distribuzione, forzando un livello di prezzi che lascia poco e nulla alla remunerazione del capitale proprio, che invece dovrebbe essere la prima chiave di misurazione del business. Tutti concordano che se non riparte la fiducia nella situazione economica il segno resterà negativo. L’opinione è che, dopo gli interventi a pioggia, sarebbe opportuno un approccio più verticale, sui singoli settori, visto che non tutti sono e saranno colpiti allo stesso modo. Una farmacia e uno stabilimento balneare hanno prospettive diverse, eppure entrambi i titolari ogni tanto comprano una macchina. Questa visione macroeconomica dura diversi minuti, prima di lasciare spazio a un più italico ognunoper-sé-e lo-Stato-per-tutti. Incentivi, che mai come stavolta potrebbero avere un senso macroeconomico. Già mesi fa avevamo suggerito che una spinta forte sull’auto creerebbe un riverbero positivo sull’intero sistema dei consumi. Una scossa allo stato di sonnacchioso torpore indotto dal lockdown, che rischia di farci fare la fine della rana bollita. Le nostre economie stanno in equilibrio a un ritmo frenetico di consumi, grazie al quale una gran parte di noi riesce a guadagnarsi da vivere. Se addirittura aumentasse, altri verrebbero inclusi nel processo di produzione della ricchezza. Sfortunatamente, congiunzione astrale vuole che questa crisi epocale si consumi proprio negli anni in cui tanti nel Palazzo non gradiscono affatto questa equazione socioeconomica, di cui l’auto è assunta a simbolo. Più esplicitamente, i nostri interlocutori hanno evocato l’esistenza di un partito anti-auto, trasversale agli schieramenti politici e sotterraneo, espressione di un’ideologia che vorrebbe meno automobili e più trasporto collettivo o, se individuale, condiviso. Qualcuno ha esplicitamente ricondotto a tale pregiudizio, evidentemente non solo italiano, la miopia che ha impedito di leggere nel diesel-gate un attacco americano all’in71


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dustria europea e tedesca, e nella spinta all’elettrico il tentativo cinese di azzoppare la tecnologia termica, per loro inarrivabile. Dietro la riluttanza del Governo a mettere dei soldi nel settore c’è tutto questo e anche una mancanza di orgoglio nazionale per una filiera di eccellenza. Fossero trattori invece di macchine, il sostegno sarebbe già stato decretato. I lavoratori interesserebbero pure, il problema è il prodotto. Poi alla fine qualcosa arriverà. Si parla di cifre piuttosto modeste, un paio di centinaia di milioni, buoni a muovere meno di 200.000 veicoli. Considerando che, come in tutte le promozioni, una parte andrà a beneficiare chi avrebbe comunque comprato, la spinta aggiuntiva sarà nell’ordine di centomila pezzi, concentrati nella fascia bassa, dove si guadagna poco o nulla. Il confronto con gli altri due grandi mercati, Germania e Francia, in cui i Governi hanno annunciato interventi miliardari, fa solo risaltare la dimensione sistemica e macroeconomica di questa pandemia, da cui chi era forte e ricco uscirà ancora più forte e più ricco. Articolo pubblicato su il Giornale, il 23 giugno 2020

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CON LA PANDEMIA LA CARTELLINA “AUTO NUOVA” È FINITA SOTTO LE ALTRE I FATTI

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’è un segnale positivo che arriva dal mondo dell’auto: è il solo mezzo di mobilità a uscire rafforza-

to dalla pandemia. Tutte le indagini, che si aggiungono alla percezione diretta, confermano come le persone tendano a usare l’auto propria più di prima, laddove altri servizi, dal car sharing ai mezzi pubblici, vengono evitati quando e per quanto possibile. Alla base c’è ovviamente un bisogno di sicurezza sanitaria. Tornare a muoversi va bene, se proprio si deve, ma usando tutte le precauzioni possibili. Entrare in un autobus anche non affollato, incrociando decine di persone, magari senza mascherina, qualche ansia la dà, inutile negarlo. Dunque, auto personale a-go-go. Purtroppo, è l’unico segnale positivo. Tanto per cominciare, questo accresciuto utilizzo dell’auto propria non si accompagna con una maggiore domanda di acquisto, che anzi viaggia a ritmi piuttosto bassi. Le previsioni del Centro Studi Fleet&Mobility, basate su un’indagine AgitaLab presso 250 operatori del settore, proiettano un mercato 2020 intorno a 1,1 milioni di immatricolazioni, che non arriva al 60% di quanto fatto nel 2019. Le vendite di maggio e di giugno sono anche sopra tali previsioni, scontando però un effetto rimbalzo di consegne ritardate. Come mai questo strabismo, tra il mezzo che incontra il favore crescente dei cittadini e la scarsa domanda per averlo? Nessuno strabismo, gli italiani la macchina ce l’hanno già. Sì, molte saranno anche ultradecennali e come tali meno sicure e meno eco-compatibili, ma quanto valgono simili argomenti per spingere uno a firmare un contratto? Uno dei popoli meno assicurati 73


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dell’occidente è di fondo fatalista: se sto attento, ed io sto molto attento, gli incidenti capitano agli altri. L’ambiente poi, è da decenni un ottimo argomento di facciata, che serve a dare un vestito razionale a una scelta che resta in molti casi di pancia: voglio una macchina nuova perché questa che ho è vecchia e superata, non piace più e non ha tutte quelle cosine cool che oggi sono irrinunciabili. Il bluetooth vende più della CO2, piaccia o non piaccia. Ma la pancia, prima di essere soddisfatta con una nuova auto deve essere riempita. Oggi che il reddito è scomparso o diminuito, e se non è successo c’è il rischio concreto che accada nei prossimi mesi, la cartellina “macchina nuova” finisce sotto a tutte le altre, come emerge chiaramente da un’indagine Ipsos condotta a livello europeo. La ricerca conferma pure la natura emotiva dell’acquisto. Coloro che dichiarano di aver mantenuto/incrementato la propensione a compiere il passo verso una nuova macchina adducono, come principale motivazione, proprio quella sicurezza che solo il veicolo privato può dare. Ora, considerando che costoro avrebbero acquistato anche senza la pandemia, pare lecito concludere che stanno sostituendo qualche altra motivazione con quella ben più attuale della sicurezza. Non prendiamoci dunque in giro: chi compra la macchina nel 2020, come nel 2010, lo fa perché è un oggetto di consumo bello e seducente. Purtroppo, ha bisogno di giustificazioni razionali, perché le viene associato un peccato imperdonabile: icona di uno stile non pauperistico, mostra troppo evidentemente le differenze socioeconomiche. Chi guida un’auto da ricco e chi un’anonima utilitaria, chi un ultimo modello e chi una vecchia, fino alla madre di tutte le differenze: chi è ancora seduto dietro a un volante e chi invece è talmente ricco che riesce a farne a meno, tanto ha tutto a portata di piede o al massimo di pedale. Questo è il problema, a cui presto o tardi i costruttori dovranno mettere mano: l’automobile, sempre desiderata e posseduta eppure mai accettata. 74


LE POLITICHE Per tutto quanto sopra, la vendita di automobili è un indicatore diffuso di come stia andando l’economia. Forse per la memoria di quel “ciò che va bene per la Fiat, va bene per l’Italia”, quando la gente sente al TG che le vendite di macchine vanno alla grande capisce che il denaro gira e, prima o poi, anch’egli ne beneficerà. Così, può decidersi a acquistare quel telefonino nuovo o fare quella vacanza che progettava da tempo. Questa è ciò che si chiama visione sistemica di un’industria, incastrata nello scenario complessivo dell’economia. Sfortunatamente, non se ne vede traccia nei due protagonisti cui spetta di intervenire: il Governo e gli operatori, rappresentati dalle rispettive associazioni. Il primo è chiaramente allo sbando. Questa crisi ha mostrato tutta l’infondatezza dell’idea che il primo che passava per strada potesse egregiamente guidare un ministero o addirittura il Paese. Qui non è questione di brave persone ma di competenze accumulate in decenni di mestiere. Chi non ha mai prodotto un valore aggiunto ha oggettive difficoltà a inquadrare i problemi, figuriamoci a individuare le soluzioni. Come qualsiasi naufrago, si aggrappa a ciò che trova. Oggi la merce che circola nel mare della nostra società è il sogno ideologico di un mondo più giusto, equo e sostenibile, dove appunto i meno competenti potrebbero, nella loro illusione, avere un maggiore confort. È quello che esce dal Palazzo, in forma di monopattini e biciclette ma pure, su altri tavoli, di scolari mandati in gita nei musei invece che nei banchi a rompersi la testa sulla matematica. Anche gli operatori fanno fatica. Sanno benissimo quale sia il problema e hanno competenze da vendere, ma si sono legati un braccio dietro la schiena, tutti. I più colpevoli sono indubbiamente i concessionari, che non trovano il modo di fare squadra e dunque non riescono a far sentire la loro voce, visto che solo chi esiste parla. I costruttori avrebbero pure voce, ma dicono troppe cose e finiscono col non farsi capire. Si sono fatti mettere all’angolo dalla 75


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UE, che li multerà pesantemente, pure dopo questo anno di crisi, per non aver venduto quelle macchine che solo nell’immaginario ideologico della politica, scollegata dalla realtà, i clienti avrebbero chiesto. Non hanno voluto denunciare che far muovere le auto con le pile non era né fattibile né, soprattutto, risolutivo per l’ambiente; nemmeno che truccare una centralina era sì peccato, ma non poteva essere punito con la distruzione di una tecnologia ottima e competitiva a livello mondiale. Invece, si sono avventurati in investimenti miliardari che difficilmente vedranno un ritorno. Adesso, si muovono in ordine sparso per favorire qualche vendita di nicchia, piuttosto che mettere sul tavolo delle trattative un sostegno unico, per la sola cosa che avrebbe un mercato: quello che c’è in salone e che il cliente è disposto a comprare. Sarà pure basic marketing, ma il Mondo, diceva un saggio, l’hanno fatto una volta sola. E in alternativa? No, spiacenti, l’alternativa l’abbiamo finita il mese scorso. O ci date questo o vanificheremo con le nostre politiche commerciali qualsiasi altra misura che vorrete adottare. Come si dice? Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Articolo pubblicato su Muoversi, trimestrale di Unione Petrolifera, a luglio 2020

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REVISIONI RINVIATE. UNO SCANDALO

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e macchine vecchie, se tenute bene e in ordine, sono inquinanti e poco sicure. Se tenute male e non revisionate, peggiorano e di molto. Sul fronte inquinamento, un motore vecchio si aggiunge alle caldaie, alle fabbriche e alle centrali elettriche. Sul versante sicurezza l’impatto è diverso. Pneumatici molto usurati e freni non funzionanti fanno la differenza tra un tamponamento e un incidente mortale. Non si ammala nessuno: muore. Eppure, se uno volesse continuare a girare su un’auto vecchia di oltre 16 anni e con più di 250mila chilometri sul groppone, potrebbe tranquillamente, senza nemmeno bisogno di fare la revisione. L’Italia è stata la prima, col Decreto 18 Cura Italia, a posticipare a ottobre tutte le revisioni scadute fino a luglio. Ci poteva stare e anche bastare, in tempi di lockdown. Ma il Governo non si accontenta e vuole sempre il massimo per i suoi cittadini. Così, quando la Commissione Europea, con il Regolamento 698, ha prorogato di 7 mesi le Revisioni in scadenza da febbraio ad agosto 2020, l’Italia è stata ad oggi l’unico Paese a non “decidere di non applicare” tale proroga, come previsto dalla stessa Commissione per quei Paesi che avessero già adottato simili provvedimenti. In pratica, per revisioni in scadenza a agosto si può circolare fino a marzo 2021. Non parliamo di piccoli numeri. Secondo un’analisi di Dekra, sono circa 4,2 milioni le vetture interessate da questo inopinato salvacondotto, a danno della sicurezza dei cittadini; soprattutto i più esposti, quelli che girano su due ruote. Oltre alla sicurezza, il cuore tenero verso i possessori di questi mezzi inadeguati procura anche un danno economico, alle centinaia di migliaia di officine che con quelle revisioni (costo unitario 60 euro) avrebbero dovuto pagare lo stipendio dei dipendenti: circa 100 milioni di euro. Ma questi non sono problemi per Governo e amministrazioni 77


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locali, sensibili alla salute dei cittadini solo per poter sventolare bandiere ideologiche. Fanno a gara a chi è più solerte e rigoroso a scoraggiare l’uso dell’auto; non incentivano l’acquisto di quelle nuove, sicure e pochissimo inquinanti; però buttano centinaia di milioni per finanziare i benestanti che vivono in centro e che adesso vogliono muoversi in bici senza sudare, che fa tanto chic. Articolo pubblicato su il Giornale, il 1 luglio 2020

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AUTO, LA DOMANDA È DEBOLE. ANCHE PERCHÉ NON SI SA COSA COMPRARE Nel mercato domina l’incertezza anche sul fronte della scelta della motorizzazione: termica, ibrida o elettrica.

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ilanciare le vendite di automobili è cruciale per la ripresa veloce e frizzante dei consumi, lo diciamo da mesi. Probabilmente, serve un intervento congiunto del Governo e degli stessi operatori, non solo di natura economica ma pure di chiarezza su cosa acquistare. L’analisi delle vendite di giugno, confrontate con quelle pre-Covid di gennaio/febbraio, mostra alcuni dati interessanti. Le vendite a società di rent-a-car e le auto-immatricolazioni fatte dal sistema, anche in forma di noleggio, sono in grandissima sofferenza. Questo è fisiologico, visto che la capacità di questi operatori di assorbire nuove macchine è ridotta al lumicino. Anzi, è sorprendente in positivo che siano già sul mercato, sebbene a volumi molto ridotti. Questa è una parte del problema e la soluzione sta nella ripresa degli altri canali, che dovrebbero fare molto di più, se vogliamo che l’intero sistema distributivo tenga, senza provocare ulteriori danni a un tessuto economico abbondantemente in affanno. Questo è il momento in cui chi è in grado di produrre ricchezza e guadagnarsi da vivere sia messo in condizioni di farlo. Veniamo dunque agli altri canali, quelli che risentono direttamente della domanda dei clienti e che dunque con qualche approssimazione possiamo definire pull: i privati innanzitutto e poi anche le società, sia che acquistino direttamente sia che ricorrano alla formula del noleggio a lungo termine. Qui, bisogna ammetterlo, il mese di giugno ha sorpreso un po’ tutti, segnando un meno 12% che fa il paio col meno 11% del primo bimestre. Un risultato frutto principalmente della flessione del 22% dei noleggiatori, a fronte di una 79


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crescita del 18% di inizio anno. Il fenomeno si spiega col fatto che le aziende hanno rimandato il rinnovo dei noleggi in scadenza, anche per schivare brutte sorprese al momento della rivendita dell’usato, in tempi di vacche molto magre. Anche le società hanno tirato i remi in barca, a meno 18%, ma già a gennaio e febbraio stavano sul meno 10%. Un po’ come i privati, che a giugno hanno fatto meno 8%, una flessione che è la metà di quanto registrato a inizio anno. Questa fotografia sicuramente contiene anche un effetto-rimbalzo dei mesi di lockdown e dunque potrebbe peggiorare nel secondo semestre. Di conseguenza, è assolutamente necessario incentivare chi può acquistare a farlo, lasciandogli piena libertà su cosa acquistare. Ogni ulteriore distinguo su emissioni, pettinatura del venditore e giorno della settimana appare davvero fuori dalla realtà critica di questa congiuntura. Vieppiù perché l’analisi manda anche un altro messaggio: questa domanda pull era fiacca, molto fiacca, già prima della pandemia. Dunque, se è vero l’adagio latino post hoc ergo propter hoc, è vero anche il suo contrario: questi clienti comprano poco per ragioni che non dipendono dalle difficoltà economiche sorte dalla crisi Covid. Ma questo lo sapevamo allora e lo sappiamo oggi. Il cliente è confuso, non sa che macchina scegliere, perché gli sono arrivati troppi messaggi contraddittori e fuorvianti. Allora sarà bene che l’offerta si decida a fare chiarezza, una volta e per tutte. Abbandoni definitivamente l’espressione “neutralità tecnologica” che non è decifrabile dalla gente comune. Dica se il diesel fa parte o no del futuro dell’automobile, e se no smetta di venderlo, giacché è un po’ troppo pretendere che i clienti lo comprino se chi lo vende non ci crede o mostra di non crederci. Se piacciono tanto le elettriche, seguano la strada di Smart, che ha escluso dalla produzione quelle col motore termico e si accontenta del 10% dei volumi. Insomma, scelga una posizione e la occupi con convinzione: i clienti, pochi o tanti che siano, aspettano solo di sapere cosa acquistare. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 2 luglio 2020 80


AUTO: CRESCONO LE IBRIDE, IL DIESEL RESISTE NELLE FLOTTE MA IL MERCATO È IN PROFONDA CRISI Il 98% delle vetture immatricolate nei primi sei mesi del 2020 è spinta da un motore termico. Il lockdown ha abbattuto la fiducia dei consumatori e la propensione all’acquisto.

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e vendite di auto nuove segnano ancora il passo. Al giro di boa del semestre, non siamo nemmeno a 600mila targhe, mezzo milione in meno rispetto al 2019. Poiché la prima metà dell’anno è quella che vale in genere quasi il 60% del totale, pare probabile che alla fine si conteranno 1,1 milioni di vendite; 1,2 se va bene. Il rapporto semestrale di Anfia, l’associazione dell’industria automobilistica, guarda alla composizione delle vendite e alle componenti dello scenario economico, per fare luce sulle dinamiche che stanno dietro alle scelte degli italiani di entrare o non entrare nel mercato. Il primo dato da osservare è il clima di fiducia dei consumatori e delle imprese, registrato dall’Istat, che fissa a 100 il livello del 2010. Entrambe in comprensibile flessione dai primi mesi del 2018, la curva delle imprese si posiziona costantemente dieci punti sotto quella dei consumatori, il cui ottimismo poggia in parte sui milioni di redditi da pensione e da pubblico impiego. Il lockdown ha ovviamente colpito duro, con un picco negativo a maggio, quando il pericolo sanitario era ormai stato sostituito da quello economico. Ma l’intensità del problema è stata percepita in maniera diversa. La fiducia delle imprese è sprofondata di oltre 45 punti, da quasi 100 a poco più di 50, mentre i consumatori hanno diminuito il sentiment da 110 a 95, appena 15 punti. A giugno, 81


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sono già risaliti a quota 100, della serie: va tutto bene. Di diverso avviso le imprese, che stanno recuperando lentamente; il clima di fiducia a giugno è risalito, ma a 65: no, non va tutto bene. A parte le macchine, queste curve raccontano perfettamente quale sia lo scollamento dei cittadini dalla realtà economica del Paese. Stringendo invece sulle automobili, pare lecito concludere che gli acquisti delle imprese mancano perché per loro non è proprio il momento di pensare a cambiare la macchina. Infatti, la loro quota che era il 45% nel 2019 è adesso al 42. Passato il lockdown sanitario, fanno fatica a tornare perché non stanno producendo quel livello di ricchezza al quale erano abituate e, di conseguenza, non lo distribuiscono in forma di spesa e di investimenti. La fotografia dei consumatori è un’altra. Già a giugno avevano comprato appena l’8% meno del giugno 2019. Un incentivo all’acquisto potrebbe incoraggiare quelli che ancora esitano. Il condizionale dipende dal fatto che le misure di supporto proposte nel DL Rilancio e previste per agosto, fa notare Anfia, sono corredate da “pochissime risorse che difficilmente riusciranno a dare un contributo fattivo alla ripresa del mercato”. Significa che le agevolazioni ci sono ma i soldi no. Sempre sui privati, è interessante leggere i dati degli acquisti dal punto di vista delle motorizzazioni. Come sappiamo, l’industria racconta da anni che ormai le macchine sono elettriche. Ancora non tutte, ma manca poco. Quanto poco non si sa. La novella poggia sul presunto valore di impatto ambientale delle auto a pile. I cittadini hanno ascoltato e recepito, alla loro maniera, questa indicazione. Non rinunciando ovviamente ad avere un motore termico nel cofano, che manda avanti le ruote: lo scorso anno nel 99,4% delle auto c’era e, nei primi sei mesi, la quota è scesa al 98,3. Piuttosto, hanno scoperto il valore delle motorizzazioni ibride, che soddisfano quel bisogno di ambiente, che va tanto, senza rinunciare alla comodità e alla tranquillità di far rifornimento e ripartire in due minuti. Erano il 6% nel 2019 e nei sei mesi sono passate quasi al 12%. L’adozione delle ibride è un fenomeno 82


presente quasi allo stesso modo tra i privati e nelle imprese, molto più delle altre motorizzazioni. Il diesel, ad esempio, è scelto da un privato su quattro, mentre lo preferisce un’impresa su due, per le sue prestazioni sulle percorrenze extra-urbane. Il tipo di motore normalmente è un dettaglio da addetti ai lavori, ma quando diventa il fulcro della comunicazione ai potenziali clienti assume un peso significativo. Se la narrazione propone motorizzazioni che le persone, pur apprezzandole concettualmente, faticano a vedere efficaci nell’uso quotidiano, l’effetto è di rendere la loro scelta difficile e dunque rimandabile. Sono molti mesi che gli operatori registrano un elevato livello di incertezza nel processo di acquisto. Se novantotto italiani su cento acquistano un motore termico, significa che ogni 100 macchine prodotte 98 hanno un motore termico. Non dovrebbe essere motivo di imbarazzo. Non per chi le fabbrica, almeno. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 20 luglio 2020

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ALFA ROMEO CAMPIONESSA DEL NOLEGGIO

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lfa Romeo è il brand che destina al noleggio la quota maggiore di auto: il 54% delle vendite in valore, nel 2019. Lo riporta l’analisi sul mercato a valore, curata dal Centro Studi Fleet&Mobility col sostegno di Dataforce e Viasat, che vede in seconda posizione Audi e poi Volvo, rispettivamente col 45 e col 40%. Il prodotto aiuta: Giulia e soprattutto Stelvio sono molto orientati a quel target. Tra le 15 auto più vendute nel noleggio, Stelvio ha la quota a valore più alta insieme a Jeep Renegade, 3,4%, ed è quella col più elevato valore medio a listino, quasi 53.500 euro. Ma non è solo questo. Alessandro Grosso, da diversi mesi a capo del brand ma con anni di esperienza nel mercato flotte a livello EMEA, sottolinea l’importanza delle politiche commerciali: “Stiamo puntando ai professionisti e alle PMI, con la formula Noleggio Chiaro ma non solo. I clienti stanno rispondendo molto bene, sia alla nostra captive Leasys sia agli altri noleggiatori. Ma anche la rete dei broker, in sinergia con i nostri concessionari, contribuisce a coprire bene il territorio locale”. Alfa Romeo, inutile nasconderlo, è qualcosa di più di un marchio automobilistico: è l’icona di quella sportività accessibile che un popolo di appassionati ai motori vuole e deve avere. Clienti o non clienti, molti fanno il tifo per il biscione. Ma non è facile, con due soli prodotti, belli finchè si vuole, sostenere gli economics del brand. Ne è consapevole Grosso: “La rete deve continuare a credere e sostenere il brand in attesa che arrivi il Tonale. È questa la mia sfida, che si traduce in obiettivi concreti di volume”. Ma stimolare le vendite di un brand premium è affare delicato, perché il rischio di svenderlo e pregiudicarne l’immagine, per l’ennesima e forse ultima volta, è sempre dietro l’angolo. Con oltre la metà vendute a noleggio, l’impatto sul valore residuo innescherebbe una spirale negativa difficile da recuperare. Qual è allora la strategia di FCA? 84


“Stelvio va sostenuto – conclude Grosso – ma è da Giulia che possiamo aspettarci molto di più. Ci lavoriamo ogni giorno affinché esprima tutto il potenziale d’immagine. Sono innamorato di Giulia, perché è un prodotto bellissimo, elegante e di incomparabili emozioni, ma è adatto a un pubblico ben definito che vogliamo scovare e intercettare”. Articolo pubblicato su il Giornale, il 19 agosto 2020

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CINA PRESA SOTTOGAMBA: CHE ERRORE

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’industria automobilistica cinese galoppa e punta sull’Europa, il ventre molle dell’Occidente. Quando i libici acquisirono un pacchetto della Fiat, si scatenò un baccano. Ora che i cinesi hanno quote molto importanti in gruppi altrettanto importanti, vere e proprie bandiere dell’industria franco-tedesca, nessun clamore. I titoli ci sono stati, ma senza montare quel caso che il grande pubblico avrebbe notato. Dietro tale quiescenza c’è magari che per una volta la minaccia non arriva dagli USA, simbolo di un capitalismo mai accettato, sebbene ci viviamo e bene. Ma soprattutto, la Cina è il più grande mercato in espansione del mondo. Da inizio secolo molta ricchezza creata là è stata scambiata con prodotti occidentali. Anche con la quota più grossa del debito pubblico americano, e questo forse una lampadina poteva accenderla. L’idea era che la supremazia industriale e finanziaria dell’Occidente non potesse essere messa in discussione, che la musica fosse cessata nell’89 e ognuno avrebbe mantenuto la sedia. Invece la musica continuava, solo che a suonarla non eravamo noi. A 20 anni dall’ingresso nel WTO, la Cina aveva una quota sul commercio mondiale di auto pari al 6% in importazione e appena dello 0,6% in esportazione. Come pensare che a Pechino stesse bene così? No, il piano elaborato dal capitalismo di Stato è ampio e disteso nel tempo. Nel lungo periodo, si punta ad annichilire il vantaggio tecnologico dell’industria motoristica europea, spostando quanta più parte sulla propulsione elettrica. Beninteso, dopo essersi accaparrati una quota fondamentale del cobalto e altre terre rare necessarie alle batterie. Per inciso e purtroppo, i cinesi non sono gli arabi. Nel breve, i grandi gruppi francesi e tedeschi si indeboliscono per finanziare una transizione verso le batterie che il mercato non accetta, aprendo le porte ai capitali cinesi. 86


Spesso si critica l’industria europea di non aver resistito a questo attacco, ma in verità non spettava a lei, essendo una questione di politica economica. L’UE avrebbe dovuto capire la posta in gioco e non inseguire un’ascetica salvezza del pianeta, che sta quasi del tutto fuori dall’Europa. Ma la politica di oggi non guida, segue. Da qui l’importanza dei media: far aprire gli occhi alla gente. Avercene, di media. Articolo pubblicato su il Giornale, il 2 settembre 2020

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AUTO ALLA SPINA, LA RIMONTA DELLE IBRIDE PLUG-IN: I MOTIVI DELLA CRESCITA Nel mercato italiano crescono le vetture elettrificate ed è un vero boom per le cosiddette Phev, cioè le ibride ricaricabili.

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’è l’auto elettrica, BEV, e poi ci sono le auto elettrificate: ibride plug-in e mild-hybrid. Ora pare si stiano muovendo alcuni equilibri. Come sappiamo, i costruttori in Europa da alcuni anni sono presi dalla passione per la propulsione elettrica, un po’ per sensibilità ambientale e molto perché minacciati dalla UE con multe salatissime, nell’ordine di centinaia di milioni ciascuno. La propulsione mild-hybrid permette di recuperare parte di quell’energia che il motore sviluppa in eccesso e che normalmente viene dispersa. Una soluzione che non fa lievitare i costi e che non impone all’automobilista cambiamenti di abitudini o limitazioni. Non sorprende che sia arrivata al 12% delle vendite, il doppio di un anno fa, e sia probabilmente destinata a crescere ancora. Per le macchine alla spina il discorso è diverso. Negli ultimi anni sembrava andare meglio l’elettrico puro, senza motore termico. Nel 2018 c’era stato il sorpasso in volata: 5.000 BEV con un balzo del +150% contro 4.600 plug-in in crescita del +60%. Ma i numeri erano ancora insignificanti: insieme facevano mezzo punto di quota di mercato. L’anno dopo c’è stato addirittura l’allungo delle BEV: 10.000 unità con un +110% contro 6.500 unità delle plug-in in crescita del 30%. È vero, gli incentivi premiavano le prime, ma non è solo quello. Era il frutto dell’offerta dei costruttori, la cui opzione iniziale era di offrire ai clienti le macchine equipaggiate solo col motore elettrico, nonostante i limiti oggettivi e ben noti: tempi di ricarica, autonomia, costo. La ragione era 88


che anche poche vendite sarebbero state sufficienti a bilanciare le emissioni totali del gruppo ed evitare le multe. Sfortunatamente, neanche quelle poche vendite si sono materializzate e i costruttori l’hanno capito. Già due anni fa alcuni top manager sia francesi che tedeschi avevano esternato serie perplessità che il mercato potesse accogliere tutte le elettriche ipotizzate. Così hanno iniziato a sviluppare seriamente un’offerta di vetture plug-in, che in questi mesi stanno arrivando nei saloni. In effetti, pare che i clienti stiano rispondendo. Nei primi otto mesi, registriamo una vera rimonta delle ibride plug-in sulle elettriche. Non tanto in quantità assoluta (9.500 rispetto a 13.500) quanto nel ritmo di crescita: +196% le prime rispetto a +108% le seconde e nonostante gli incentivi premino di più le elettriche pure. Incentivi che restano in buona parte inutilizzati, come denunciano gli stessi costruttori, che chiedono di poter spostare quelli che restano sulle altre fasce di emissione. È un segno che la domanda è ancora molto inferiore a ciò che si vorrebbe, magari perché espressa da una classe sociale piuttosto esigua. In effetti, le auto alla spina che crescono del +137%, in un mercato che segna meno 40%, fanno supporre che questi clienti siano forse tra i meno colpiti dalla crisi. In conclusione, sembra iniziato il momento delle ibride plug-in, su cui paiono convergere sia le esigenze dei clienti, interessati al clima e soprattutto a evitare i blocchi nelle città e ogni altro fastidio, sia quelle dei costruttori di abbassare la media delle emissioni. Sarebbero più contenti di vendere le elettriche, ma se non le comprano allora ci si accontenta delle plug-in. Come si dice? Piuttosto che niente, meglio piuttosto. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 2 settembre 2020 89


UN GIRO IN MACCHINA 2020

INCENTIVI AUTO ESAURITI, ECCO PERCHÉ SONO STATI INCAPACI DI RILANCIARE IL MERCATO E SVECCHIARE IL PARCO Gli operatori di settore lanciano l’allarme sulla situazione del mercato automobilistico italiano.

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enerdì 11 settembre sono finiti gli incentivi all’acquisto di macchine tra 91 e 100 gr/km di CO2. Cosa significa questa notizia?

Primo. Una promozione che finisce dopo poche settimane ha il sapore della presa in giro. La stima è che circa 100.000 vendite abbiano beneficiato degli incentivi di quarta fascia: quante di queste sarebbero state fatte lo stesso è la domanda del secolo, nel marketing. Ora, un mercato che perde 600.000 auto non lo risollevi aggiungendo 50/60mila unità, nei segmenti di prezzo intorno ai 20.000 euro dove i margini sono risicati e imponendo agli operatori un contributo medio di 1350 euro, con/senza rottamazione. Secondo. Non si può andare contro la volontà dei consumatori. Pochissimi scelgono le vetture elettriche o ibride plug-in, le fasce fino a 20 e da 21 a 60 gr/km, nonostante per queste gli incentivi vadano da un minimo di 3.500 a un massimo di 10.000 euro. Infatti, i fondi stanziati ci sono ancora e lì resteranno. Michele Crisci, presidente di Unrae, sostiene che “l’impossibilità di travasare le risorse da una fascia di emissioni all’altra rende l’incentivo incoerente rispetto alle sue finalità di ripresa del mercato e rinnovo del parco circolante”. Terzo. I limiti alle emissioni di CO2 non sono dei numeretti con cui giocare ma l’oggetto di ingenti investimenti. Da anni l’UE ha fissato un limite a 95 gr/km che, come spiega Fabrizio Faltoni, 90


presidente di Ford Italia, “è infatti il valore obiettivo medio che tutte le case sono chiamate a rispettare nel 2020, verso il quale con largo anticipo ogni costruttore aveva investito. Molte auto, quindi sono state costruite pensando a questo limite e molte di esse rientrano proprio nella fascia 90-95”. Aver posto il limite tra la terza e la quarta fascia di incentivi a 90 gr/km ha spiazzato tutti. Molte vetture che stanno tra 90 e 95 gr/km attingono così alle risorse della quarta fascia, che infatti è andata esaurita oggi, mentre avrebbero potuto usare i fondi della terza fascia, meno affollata come offerta e, soprattutto, come domanda. Ultimo, ma non ultimo. L’effetto sui clienti è devastante. Molti vanno in concessionaria attirati dalla pubblicità del costruttore sugli incentivi. Una volta lì, si sentiranno opporre che i fondi sono finiti. Quanti penseranno che sia il concessionario a rifiutare l’accesso perché non disponibile a metterci la sua parte? Giocare con la fiducia dei clienti è quanto di più lontano si possa fare per rilanciare i consumi. In conclusione, la fine degli incentivi per la quarta fascia è il frutto di approssimazioni e scarsa conoscenza delle dinamiche dei consumi. Se si vuole che i mercati rispondano, bisogna parlargli nella loro lingua. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 13 settembre 2020

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MERCATO AUTO, S&P: 2020 PEGGIO DEL PREVISTO E NEMMENO NEL 2022 SI TORNERÀ AI LIVELLI PRE-COVID Uno studio agenzia di rating SP Global Ratings lancia l’allarme sul comparto automotive a livello mondiale Standard & Poor’s.

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li impatti della pandemia sul mercato auto mondiale potrebbero essere due, a guardare bene l’ultima previsione rilasciata giorni fa da Standard & Poor’s, un’agenzia di rating: uno congiunturale, legato al lock-down, e uno più strutturale, legato a un ripensamento dell’automobile nella vita delle persone. Quest’ultimo è tutto da verificare e in ogni caso si tratterebbe di un fenomeno lento e strisciante, che tuttavia è sconsigliabile non monitorare, anche solo per smentirlo. L’analisi aggiorna le previsioni fatte a marzo, quando poco o nulla si conosceva di quale sarebbe stato l’impatto del Covid. Nell’immediato, il 2020 dovrebbe chiudere con una flessione intorno al 20% delle vendite, molto peggio del meno 15 previsto sei mesi fa, con delle differenze tra le aree geografiche. In Cina e negli Stati Uniti le cose stanno andando meglio del previsto: meno 6-9 e meno 20-22 rispettivamente, in luogo di meno 8-10 e meno 25%. Potrebbero aver giocato positivamente, per i mercati, l’efficace gestione cinese della pandemia e quel diffuso rifiuto degli americani di accettare l’esistenza stessa del virus e di piegarsi alle necessità della profilassi. All’opposto, l’Europa e il Resto del Mondo andranno peggio, a meno 20-25 e meno 25%, laddove a marzo si prevedeva meno 20 e meno 15. Sulle cause ognuno può speculare. Per l’Europa, possiamo includere senz’altro la difficoltà di recupero dei consumi, originata da un ricorso allo smart working prolungato oltre misura e certamente non prevedibile. Per gli altri mercati, gioca un ruolo il fatto che la pandemia sia oggettivamente sfuggita in molti casi al presidio sanitario, colpendo più duramente di quanto gli stessi dati ufficiali dicano. 92


A settembre, non è rischioso fare previsioni sulla chiusura dell’anno; sono le stime sui successivi 24 mesi a richiedere ben altre valutazioni. Tutti i mercati sono previsti in ripresa, ovviamente, ma con un passo diverso e con aggiustamenti differenti rispetto all’outlook formulato sei mesi fa. Complessivamente, le vendite nel 2022 potrebbero attestarsi intorno al 93% rispetto al livello del 2019, con l’eccezione della Cina, unico mercato che potrebbe ritornare a quei livelli. Il condizionale nasce dalla prudenza degli analisti, che tengono sotto osservazione quel mercato, che tra l’altro ha perso il primato delle vendite di vetture elettrificate (new energy vehicle, NEV) a causa del crollo del 42% seguito alla riduzione degli incentivi. Ma la Cina resta un’economia fortissima e in espansione, i cui abitanti vogliono la prima macchina. Questo occorre tenerlo a mente, nel confronto con l’Europa e gli Stati Uniti, per i quali le previsioni sono di arrivare tra due anni al 92 e al 94% delle vendite 2019. Previsioni formulate su tassi di ripresa aggiustati al ribasso, ossia meno espansivi di quanto ipotizzato sei mesi fa. Cos’hanno visto a settembre gli analisti in queste economie, che non era evidente a marzo? Il rapporto si limita a specificare, per gli Stati Uniti, che arrivare a un livello di vendite in linea con la media del secolo di 16 milioni al momento appare almeno incerto, mentre per l’Europa nemmeno con gli incentivi le vendite riusciranno a fare meglio di un meno 8% rispetto al 2019. Entrambi i mercati si reggono soprattutto sulla sostituzione, visto che la penetrazione dell’automobile ha abbondantemente raggiunto un livello oltre il quale, specie nel Vecchio Mondo, difficilmente si riuscirà ad andare. In funzione dell’andamento dell’economia e degli stimoli dell’offerta, gli automobilisti sentono più o meno impellente il bisogno di cambiare l’auto con una più nuova. Gran parte di questi bisogni sono legati, oltre che alla oggettiva incapacità della macchina di svolgere la sua funzione, alle percezioni soggettive, su parametri legati alla sicurezza o all’ambiente, oltre che all’estetica e alla moda. Il tutto, intorno a un oggetto che ha una precisa centralità nella vita quotidiana delle persone. E qui arriva l’impatto meno visibile della pandemia e del suo reciproco, il lock-down. L’uomo è un animale resiliente e ha 93


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dimostrato di poter sopportare la clausura. Ma è anche e soprattutto abitudinario. Se la clausura dura poco, riesce a tornare ai comportamenti precedenti, come una molla. Se invece si prolunga troppo, la molla si adatta alla nuova posizione e perde elasticità. Ci si abitua a un new normal e si inizia a guardare alle abitudini precedenti con spirito analitico, quando non addirittura critico. Lo scenario del post-Covid sarà dunque il frutto di un’elaborazione, non lo scatto di una molla, almeno a giudicare dalla permanenza a casa dei genitori mentre i figli vanno a scuola. Però, l’automobile ha una tale funzione essenziale nella mobilità che la rende poco soggetta a ripensamenti radicali. Certo, si vedono tante soluzioni prendere forma concreta, dai monopattini alle bici assistite, ma difficilmente saranno loro i soli e i principali detrattori delle vendite di auto. L’attenzione dovrebbe andare a quei bisogni intangibili che finora sono stati i veri driver delle vendite. Mettendo in discussione la centralità dell’auto, anche l’importanza e l’urgenza di tali bisogni ne uscirebbero ridimensionate. Un modello alla moda avrebbe ancora il suo fascino, ma sarebbe meno cogente di prima. Il confort di viaggio dei nuovi modelli, in particolare l’info-tainment, continuerebbe a premiare, solo un po’ meno. La sostenibilità ambientale, stimolata dagli incentivi, resterebbe un motivo di scelta, che tuttavia potrebbe aver luogo anche in un tempo più lungo, seppure di mesi. In conclusione, le previsioni per il mercato auto in occidente sono di una crescita nei prossimi anni meno effervescente di quanto precedentemente ipotizzato. Ciò potrebbe essere legato a una rivisitazione dell’auto da parte dei consumatori, in senso più distaccato. I bisogni alla base della sua sostituzione potrebbero perdere di enfasi e dunque togliere frenesia e urgenza agli acquisti. Insomma, bisogno sì, ma con un distacco che prima mancava e che rallenta la decisione finale. Ricordiamo in proposito che un mercato non si regge su tot milioni di clienti che acquistano, ma su tot milioni di clienti che acquistano in dodici mesi. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 21 settembre 2020 94


INCENTIVI SUBITO FINITI. MALAFEDE?

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li stadi esistono fin dall’antichità per sfogare i furori irrazionali, in modo che poi ci sia lucidità nella gestione degli affari importanti, tipo gli incentivi per le auto. Diciamo subito che non sono un buon farmaco, perché drogano e alterano il mercato, che ne esce in genere peggio di prima. Tuttavia, per riprendersi da un lock-down anche una medicina forte e cattiva può essere un’opzione. Così si è deciso di dare un contributo a chi acquisti un’auto nuova: obiettivo uno. Poi, essendoci sempre quella questione delle emissioni delle macchine vecchie, marginale nei numeri ma totalizzante e simbolica nell’immaginario, si è deciso di raddoppiare il contributo a fronte di una rottamazione: obiettivo due. Fin qui la ragione. Poi, orfani delle curve calcistiche, sono arrivati i ciechi furori. I clienti devono comprare le auto che diciamo noi, anche se siamo un’economia liberale, cosa mai ben digerita, tra l’altro. Va bene, ma se non lo fanno? Se non lo fanno ci prendiamo il pallone, i contributi, e non si gioca più. Tradotto: mettiamo fondi ridicoli per le macchine che si vendono e abbondiamo per quelle che pochi vogliono. I primi sono finiti venerdì 11 settembre, mentre i secondi resteranno in buona misura inutilizzati. Ma non si doveva rilanciare l’economia, obiettivo uno, per mitigare la tragedia dei nuovi disoccupati? No, no, prima di tutto viene l’ambiente: in curva c’è tanto di striscione con “save-the-planet”. Chiudendo le centrali elettriche? Ma no, quali centrali elettriche? Fermando le machine. Giusto! L’obiettivo due, togliere dalle strade quelle vecchie e sostituirle con quelle nuove, che hanno emissioni bassissime, eco-compatibili. Sbagliato! O comprano quelle elettriche o ibride, oppure tanto vale che continuino a inquinare. Smarrimento della ragione. 95


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Almeno, si poteva portare la 4° fascia fino a 120 gr/km di CO2 e la 3° fino a 95, come il limite imposto dalla UE. Invece no, massimo 110 gr e 3° fascia a 90 gr. Così tante auto 111/120 gr restano completamente fuori incentivo, mentre le 91/95 gr sono dentro ma prosciugano il fondo di dotazione di quelle più richieste, che infatti è esaurito da venerdì 11. Insomma, pare che nell’impostazione di questi incentivi siano mancate lucidità e competenze. L’alternativa è la malafede, anche possibile. Articolo pubblicato su il Giornale, il 29 settembre 2020

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LE VECCHIE AUTO EURO 0 RESPONSABILI DEL 73% DELLE POLVERI SOTTILI Le auto altamente inquinanti sono solo il 9% del parco circolante ma l’impatto ambientale è enorme. l’intero parco circolante fosse sostituito da vetture di ultima generazione, le emissioni di polveri sottili si abbatterebbero del 93%.

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i tutte le tonnellate di polveri sottili emesse dall’intero parco circolante italiano, solo l’1,6% proviene dalle nuove Euro 6 che pesano il 23% del parco, mentre le Euro 0 vecchie di trent’anni, ancora il 9% del circolante, sono responsabili del 73% delle emissioni di PM. È quanto riporta un’analisi del Centro Studi Fleet&Mobility su dati ACI, presentata nel corso della decima edizione della Capitale Automobile dedicata alle vetture usate e al parco circolante italiano, ospitata da Mercedes Benz Roma perchè “non possiamo nasconderci”, ha commentato il suo presidente Benito De Filippis. In effetti, ritrovarsi in presenza per la prima volta dopo mesi di forzata lontananza è stato il beneficio più grande, per le decine di persone che hanno fortemente voluto esserci, pur nel rispetto delle corrette norme di sicurezza. Tornando all’analisi, il suo corollario è che se l’intero parco circolante fosse sostituito da vetture di ultima generazione, le emissioni di polveri sottili si abbatterebbero del 93%, che significa una cosa semplice: problema risolto. Che è poi la conclusione di diversi studi sulle emissioni di polveri sottili, secondo cui ormai il ricambio fisiologico porterà nel giro di pochi anni alla soluzione. Per gli ossidi di azoto (Nox) l’analisi fissa al 4,7% il contributo delle Euro 6 e dunque l’abbattimento, in caso di totale sostituzione del parco, sarebbe dell’80%. Purtroppo, l’Italia si caratterizza per un’eccessiva conservazione di 97


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vetture Euro 0 e Euro 1, antecedenti al 1995. Quando si afferma che il parco circolante italiano invecchia e l’età media ha superato gli 11 anni, non si coglie appieno la reale dimensione del problema. Partendo da inizio secolo, le vetture con più di vent’anni nelle ruote sono aumentate di 2,5 volte, arrivando a 7 milioni. Il motivo è che non vengono rottamate. Ai ritmi attuali, per espellere le Euro 1 impiegheremo 22 anni, mentre per le Euro 0 ci vorranno due secoli. In conclusione, il tema dell’inquinamento è serio e seriamente andrebbe affrontato. La sua soluzione sta nella rimozione dalle strade delle vecchie auto, inquinanti e poco sicure. Litigare su quale tipo di Euro 6 debba essere immatricolato, se termico, elettrico o ibrido, più che una soluzione sembra essere parte del problema, nella misura in cui getta il consumatore nell’incertezza e lo allontana dal mercato. Collegato a questo fenomeno della conservazione delle auto vecchie, c’è il tema dell’anzianità delle auto vendute e acquistate come usato. Nel 2010, una su quattro aveva oltre dieci anni: nel 2019, una su due. Guardare questa realtà ha preoccupato gli speaker intervenuti, che hanno avanzato delle motivazioni. Innanzitutto, la scarsa disponibilità economica di certi clienti, tra cui gli immigrati di prima generazione, che li spinge a considerare l’acquisto pure di un’auto ultradecennale e chilometrata. In secondo luogo, il fatto che l’auto per tanti non sia più uno status symbol ma un oggetto di convenienza razionale, per cui anche un buon usato va bene. Questo si collega all’altra motivazione: il buon invecchiamento delle vetture. Grazie alla migliorata qualità d’origine e alla diffusione della manutenzione preventiva, molte vetture superano i dieci anni in buona forma e trovano mercato. Però, c’è un però: queste auto, pur in buone condizioni di funzionamento e dotate di molti confort, sono obsolete dal punto di vista delle emissioni inquinanti. Il fatto che tanti italiani le preferiscano indica una scala delle priorità abbastanza esplicita. 98


Ultimo ma non ultimo, le previsioni dei partecipanti, sia in presenza che in diretta streaming, raccolte attraverso il televoto AgitaLab su tre argomenti di attualità. I prezzi delle vetture usate non dovrebbero risentire degli incentivi, o al più in maniera lieve, con un ribasso inferiore al 5%. Nel 2024, la quota di ibride e plug-in, che adesso viaggia verso il 13%, potrebbe superare il 35% delle immatricolazioni, anche se tanti ritengono all’opposto che non supererà il 20%. Infine, nei prossimi dieci anni la penetrazione di auto per 100 abitanti, che adesso è a 66, dovrebbe diminuire, a 63 o addirittura a 59 auto ogni 100 abitanti. Vedremo: nella storia italiana non è mai accaduto. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 7 ottobre 2020

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BUSINESS IN CADUTA A SORPRESA SI RISVEGLIA LA DOMANDA DEI PRIVATI Il mercato. Nei primi otto mesi dell’anno immatricolazioni in calo del 40%.

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ei primi 8 mesi le immatricolazioni di auto segnano un -40%, dopo che agosto è riuscito ad andare appena in pari rispetto allo stesso mese del 2019, grazie agli incentivi. Anno critico: colpa del Covid, si dirà. Fino a un certo punto. Dentro il numero ci sono tante realtà che si muovono in direzioni diverse: ci sono i privati, i noleggi e i km0; ci sono le ibride, le elettriche e le plug-in; c’è l’usato. Partiamo proprio dall’usato, le cui transazioni al netto dei km0, che sono già calcolati nelle immatricolazioni e dunque non possono essere contati due volte, mostrano un calo del 20% negli 8 mesi, esattamente la metà della domanda di auto nuove. Sembrerebbe un campanello d’allarme, l’ennesimo, sull’incertezza degli italiani verso le macchine nuove. Tuttavia, forse le cose stanno meglio di quanto indichi il numero complessivo. Innanzitutto, bisogna mettere in conto che l’acquisto di un usato si conclude in pochi giorni mentre dall’ordine di un’auto nuova possono passare settimane o mesi. In secondo luogo, ed è l’analisi più rivelatrice, gli acquirenti di usato non corrispondono esattamente ai clienti del nuovo. I noleggiatori e le società, per dirla semplice, non comprano macchine usate. Allora, guardando ai soli clienti privati, scopriamo che da gennaio manca un terzo delle immatricolazioni, non il 40%, tanto che la loro quota del totale è risalita quasi al 63% del mercato. Gli incentivi una mano la stanno dando, ma non è solo questo. Parlando con gli operatori, si registra un sentiment sorprendentemente positivo, confermato pure dalla domanda di finanziamenti, termometro della salute del 100


mercato. Secondo Valerio Papale, direttore automotive di Agos: “I privati stanno ritornando ad acquistare auto, sia nuove che usate, e stiamo erogando volumi di credito davvero impensabili solo pochi giorni fa. Certo, servono strumenti digitali aggiornati e una flessibilità aumentata, per adeguarsi alle esigenze del singolo cliente”. La domanda business invece viaggia appena alla metà dei primi otto mesi del 2019. Sul noleggio, il Centro Studi Fleet&Mobility ha misurato per conto di Aniasa l’impatto del Covid. Il rent-acar ha registrato nel trimestre marzo/maggio un calo del 70% dei ricavi: non sorprende che le immatricolazioni nell’anno siano a -60%. Per il noleggio a lungo termine il discorso è diverso. Nei mesi del lock-down la flessione del fatturato è stata impercettibile, -1%. Di contro, in quei mesi hanno fermato gli acquisti al 27% di quanto fatto l’anno prima. Nessuna sorpresa che ad agosto siano ancora sotto di un terzo, prolungando molti dei contratti in scadenza, per reciproca convenienza. Le aziende non hanno le idee ben chiare su quanti e quando usciranno dalla caverna dello smart working, dunque aspettano a ordinare la nuova macchina. I noleggiatori non chiedono di meglio, per schivare un mercato dell’usato a prezzi inferiori a quelli attesi, per la crisi e per gli incentivi. Per soprammercato, va ricordato che quando il contratto si prolunga il suo margine schizza in alto. A mancare poi ci sono anche le auto-immatricolazioni, che includono i km0: in otto mesi quasi 100.000 e 50.000 targhe in meno, rispettivamente. La rete non è in grado di assorbirle, finanziariamente se non economicamente. Dunque, pare che i privati stiano tornando a comprare dopo il lock-down, aiutati anche da modestissimi incentivi, sebbene con qualche esitazione eccessiva e non del tutto ascrivibile al Covid. Ma cosa comprano? I propulsori termici classici intercettano oltre l’86% degli acquisti, 8 punti meno di un anno fa. Le ibride senza spina sono passate da 5 a 11% di quota, con una crescita del 37% sugli otto mesi del 2019, mentre il restante 3% se lo dividono le vetture alla spina, in fortissima crescita. Qui una novità c’è: le ibride plug-in hanno triplicato le vendite mentre le elettriche pure, 101


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nonostante incentivi più aggressivi, le hanno raddoppiate. Prima non era così. Le elettriche pure avevano negli ultimi anni un tasso di crescita che era tre/quattro volte quello delle plug-in. È il risultato dei tanti modelli plug-in messi sul mercato, per offrire ai clienti la scelta di andare a pile senza rinunciare alla comodità del serbatoio. Ora, la vera domanda è se questa preferenza per i motori ibridi, con o senza spina, sia intesa dagli automobilisti come un avvicinamento al motore solo elettrico, ovvero come un’alternativa, che soddisfa un feeling ecologico senza troppi disturbi e sacrifici. In gioco ci sono investimenti miliardari. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 6 ottobre 2020

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“SAREMO UN MODELLO PER LA SOSTENIBILITÀ” Alain Vin Groenedael (Arval).

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rval beyond. Forte della sua leadership e della sua stabilità, Arval rilancia, “per rafforzare il suo storico business model e andare oltre, diventando la società di riferimento per le soluzioni di mobilità sostenibile”. Così ci ha detto il presidente e CEO Alain Van Groenedael, rispondendo ad alcune domande in esclusiva per IlSole24Ore. Partiamo dal noleggio di macchine e furgoni. A fine 2019 avevate una flotta di 1,3 milioni di veicoli: a cosa puntate? “Per il 2025 il nostro obiettivo è arrivare a 2 milioni. L’ambizione è che un quarto sia elettrificato, però sono i clienti a decidere. Noi saremo a disposizione per aiutarli a scegliere la miglior tecnologia di propulsione per i loro bisogni specifici e in linea con i target di mobilità sostenibile che vorranno darsi”. Una su quattro. Le ibride hanno una domanda robusta, ma che mi dice delle elettriche pure? “Noi crediamo che il 4/5% della flotta sarà solo elettrica. Certo, le colonnine stanno aumentando, ma pensare che saranno disponibili a breve ovunque è un’illusione. Noi però vogliamo facilitare l’adozione di queste auto dando al cliente la possibilità di avere a disposizione un veicolo ad alimentazione tradizionale per alcune settimane all’anno”. Restando sulle ibride, sono un’alternativa alle elettriche oppure una tappa di avvicinamento? “Premesso che su questo tema stiamo tutti imparando giorno per giorno, noi per quanto vediamo oggi siamo portati a ritenere che le auto ibride siano un prodotto di transizione”. 103


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Il 75% della flotta avrà solo il motore termico. Che mi dice dei divieti in molte città? “Ne teniamo conto nei consigli che diamo al cliente, affinché scelgano al meglio”. Andare oltre, verso soluzioni di mobilità: che significa, in concreto? “Entro il 2025 l’80% della flotta sarà connessa. Potremo così offrire al cliente tanti servizi per migliorare le vita dei guidatori, dal pagamento dei parcheggi al lavaggio dell’auto, dalla ricerca di strutture all’assistenza, fino alla consegna di pacchi in auto”. Servizi vostri o di terzi? E come funzionerà la connessione? “Arval sarà l’integratore di diversi partner, com’è nella nostra natura. La connessione avverrà attraverso la black box nostra o del costruttore o anche usando lo smartphone. Poi, saranno il driver e il fleet manager a scegliere i servizi”. Come ha sintetizzato Gregoire Chovè, managing director Europe: “Il momento migliore per cambiare è quando sei in forma”. Testualmente, en plein forme. Articolo pubblicato su il Sole 24 Ore, il 27 ottobre 2020

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IL NOLEGGIO A LUNGO TERMINE METTE NEL MIRINO LE VETTURE IBRIDE Il mercato. Noleggiatori e aziende sono attratti dalle auto elettriche e dai modelli plug-in, con batteria ricaricabile e motore termico.

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el mese degli incentivi il mercato si è un po’ ripreso e anche il noleggio a lungo termine ha segnato +5%. I 9 mesi però risentono molto della crisi, con -30% di immatricolazioni, che sarà probabilmente la cifra dell’anno. Con meno 29 e meno 47% a settembre e nei nove mesi, le aziende che acquistano direttamente fanno ancora peggio del lungo termine. In parte perché molte di esse, al posto di una policy che impone di cambiare l’auto, hanno un padrone con ben altro a cui pensare. Ma questo è anche l’anno delle ibride, favorite dall’offerta dei costruttori e dagli incentivi. Il mercato preferisce quelle senza spina, offerte da anni e nelle fasce delle city-car e delle utilitarie. Noleggiatori e aziende in genere invece sono attratti, in proporzione, molto più dalle auto solo elettriche e da quelle plug-in, con batteria ricaricabile e motore termico insieme. Sono macchine di fascia medio-alta, con un significato ben preciso per chi le guida e dunque ideali per manager che possono scegliere e accedere a una spesa importante. Molti costruttori hanno messo nei saloni in questi mesi le versioni plug-in di modelli di successo. Questa offerta, sostenuta da incentivi robusti, ha portato nei 9 mesi gli acquisti del mercato e dei noleggiatori a tre volte e mezzo il livello di un anno fa. Considerando che dentro il noleggio c’è anche il renta-car, che invece resta fedele al motore termico, possiamo concludere che i clienti del NLT stiano andando su queste auto ben oltre la media del mercato. Alberto Viano, A.D. di LeasePlan afferma che le ibride in generale e le elettriche pesano per un quarto sulle 105


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scelte dei clienti e a Milano si arriva quasi a un terzo. Per dare una grandezza a queste considerazioni, diciamo che il noleggio da gennaio a settembre ha una quota generale delle immatricolazioni del 23%. Ora, mentre sulle ibride senza spina sta al 16%, sulle plug-in sale al 28 e sulle elettriche al 35%. Tornando al meno 30% di acquisti, è opportuno chiarire che il settore non se la sta passando male, almeno per ora, sebbene gli incassi dai clienti comincino a diventare difficili e il quadro economico generale per il 2021 sia ovviamente fosco. Ma nei primi sei mesi di quest’anno il fatturato del noleggio a lungo termine, dunque con dentro tutto il lock-down che ha steso molte industrie incluso il rent-a-car, ha registrato un incremento del 3% rispetto ai primi sei mesi del 2019. Un’anomalia spiegabile col fatto che un contratto di noleggio continua a generare fatture mensili, anche durante la chiusura del Paese, e con altri motivi più tecnici. Innanzitutto, la flotta era già aumentata del 4% nel secondo semestre 2019 e poi ancora quest’anno, nei primi due mesi e alla riapertura con gli ordini in portafoglio. Certo, tra marzo e maggio sono mancate la raccolta di nuovi ordini e, soprattutto, la sostituzione di auto in scadenza con modelli nuovi. La flessione del canone medio rispetto al 2019, intorno al 6% da fonte Aniasa, è spiegabile anche con questa mancanza di veicoli nuovi in ricambio di quelli di quattro anni fa. Il fenomeno, iniziato come una forzatura durante la chiusura, ha preso poi una piega più strutturale. Le aziende si sono trovate di fronte a uno scenario economico che definire incerto è un eufemismo e, ancor più stringente, non sanno ancora oggi quanti quadri e dirigenti saranno in organico il prossimo anno, tra smart working e licenziamenti. In questo contesto, estendere di qualche mese i contratti esistenti della flotta pare la decisione più saggia. I noleggiatori dal canto loro sono sempre felici di prolungare la fatturazione di veicoli scaduti, sia perché il margine in quei mesi extra schizza in alto e sia perché sanno che su cento in scadenza potrebbero vedersene rinnovare 80 o 90 se va bene. Oltre a ciò, in estate sono arrivati gli incentivi, 106


che per un noleggiatore significano una cosa sola: le auto usate che dovrà vendere avranno un prezzo troppo vicino al nuovo. Stavolta la questione è controversa, anche perché gli incentivi sono concentrati sulle auto piccole e hanno risorse ridicole, già esaurite a inizio settembre. Un sondaggio fatto da AgitaLab tra addetti ai lavori ha fatto emergere che, per uno che ritiene che i prezzi dell’usato resteranno inalterati, ce n’è un altro che invece prevede una flessione tra il 5 e il 10%. Però, perché andare a vedere se i clienti sono contenti di prolungare? Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 27 ottobre 2020

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AUTO, I COSTRUTTORI PARLANO DI ELETTRICHE MA SPINGONO LE IBRIDE PLUG-IN Bev e Phev, due sigle dietro alle quali si celano le dinamiche del mercato dell’auto.

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costruttori di automobili sembrano aver ingranato la quarta sulle ibride plug-in, più che sulle elettriche. Partiamo dalle vendite. Le auto elettriche (BEV, solo motore elettrico) stanno raddoppiando le immatricolazioni, come del resto avevano fatto lo scorso anno e quello prima. Considerando che una bella mano la danno i robusti incentivi, non c’è notizia. Che invece c’è sulle ibride plug-in (PHEV, motore termico più motore elettrico). Anch’esse aiutate dagli incentivi, meno robusti, stanno più che triplicando le immatricolazioni, a differenza di quanto avevano fatto negli anni precedenti, quando crescevano sì, ma del 60 o 30%. Sotto la pressione delle multe sulle emissioni, le case auto hanno aumentato l’offerta per entrambe le tecnologie. I modelli full electric erano 18 un anno fa e adesso sono 31, mentre quelli ibridi plug-in sono passati da 26 a 48. Stesso aumento, ma il parallelo finisce qui, come rivela un’analisi del Centro Studi Fleet&Mobility presentato alla Capitale Automobile. Premesso che parliamo di macchine costosette, che niente hanno a vedere con quelle normali il cui listino medio ponderato non arriva a 26.000, la soglia che divide il mercato può essere fissata a 50.000 euro di listino, come fece anche il Governo al momento di fissare l’accessibilità agli incentivi. Rispetto a questo discrimine, le due tecnologie muovono da posizioni opposte. L’offerta di BEV è concentrata entro i 50.000 euro di listino, dove stanno i due terzi dei modelli, nonostante quest’anno abbiano raddoppiato l’offerta di vetture oltre tale so108


glia. Sono macchine pensate per la mobilità urbana, fatta di poche decine di chilometri e ricarica domestica notturna, senza l’ansia di restare a piedi. L’offerta di PHEV appare invece concentrata sopra i 50.000 euro di listino, con due terzi dei modelli. Nonostante adesso abbiano quasi triplicato l’offerta sotto questa soglia, a meno di 50.000 euro di listino si trova un terzo delle macchine, ma erano meno di un quarto l’anno scorso, e sotto i 30.000 neanche una. Il posizionamento è diverso. Sono macchine proposte per il lavoro e la famiglia, che possono sostenere viaggi senza fare la caccia al tesoro per le colonnine e soste improbabili a giocare a carte all’Autogrill. L’analisi dei prezzi a listino, non ponderata sulle vendite, conferma la strategia di offerta. La media dei listini dei modelli full electric si è mossa verso l’alto, da meno di 50.000 a oltre 54.000 euro. All’opposto, la media dei listini dei modelli plug-in si sposta verso il basso, essendo passata da oltre 78.000 a 66.000 euro. Più si scende, più la domanda potenziale si allarga. È probabile che questi propulsori abbiano ancora tanta strada da fare. Anche in senso non figurato.

Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 2 novembre 2020

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INCENTIVI AUTO, FINITI A SORPRESA QUELLI PER LA TERZA FASCIA DI EMISSIONI Esauriti i fondi per l’acquisto di auto con emissioni 61 a 90 gr/ km, in pratica vetture ibride.

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eri si sono esauriti gli incentivi per l’acquisto di auto a emissioni contenute, quelle da 61 a 90 gr/km di CO2, la cosiddetta terza fascia, dopo che quelli per le vetture da 91 a 110 gr/km erano finiti già a settembre. Pazienza, tutti gli incentivi prima o poi finiscono e non è questa la notizia. La notizia è che i fondi a sostegno del mercato auto non sono affatto finiti. Erano stati stanziati 400 milioni e circa un centinaio dovrebbero essere ancora lì, dove resteranno fino alla fine, poiché sono riservati a vetture a emissioni basse e bassissime, le fasce uno e due. Sono le auto elettriche e ibride plug-in per cui la domanda è largamente inferiore alla cifra stanziata, cioè non ci saranno abbastanza clienti disposti a comprarle e beneficiare degli incentivi. Vediamo un po’ di numeri, per rendere comprensibile una materia forse troppo tecnica. La cifra complessiva è stata ripartita in modo uguale a 4 fasce di emissioni: 100 milioni ciascuna. Purtroppo, la domanda dei clienti non si distribuisce in modo uguale. La quarta fascia pesa il 39% degli acquisti, la terza il 10%, la seconda poco più dell’1% e la prima poco meno del 2%. Metà del mercato sta fuori da queste fasce e dagli incentivi. La notizia è che, nella peggiore crisi economica dal dopoguerra ad oggi, l’obiettivo perseguito non sia aiutare un mercato chiave a risollevarsi, bensì forzare, con la scusa della crisi, l’acquisto di certe macchine a scapito di altre, ossia falsare il mercato. 110


Eppure, qualsiasi auto costruita oggi è infinitamente più sostenibile della corrispondente vettura di venti o trent’anni fa, come un’analisi del Centro Studi Fleet&Mobility su dati ACI ha dimostrato. Se tutte le auto circolanti fossero Euro 6, le polveri sottili allo scarico sarebbero il 93% in meno di quelle oggi emesse, di cui tre quarti sono prodotte dai 9 milioni di macchine Euro 0, vecchie di trent’anni. Intendiamoci, non che sia un vero problema, visto che il PM riconducibile alle auto è intorno al 5% del totale e di questo solo una minima parte viene dagli scarichi, mentre la maggior parte è data dal sollevamento delle polveri dal suolo: lavare le strade, quello le abbatterebbe. Ma di poco, non certo quanto sostituire le caldaie dei riscaldamenti. Se tutte le auto circolanti fossero Euro 6, gli ossidi di azoto sarebbero l’80% meno di quelli oggi emessi, di cui metà da vetture Euro 0 e Euro 1, immatricolate fino al 1996. La notizia è che l’obiettivo non sia neanche ridurre l’inquinamento o la CO2 visto che, tra continuare a girare con un’auto di venti o trent’anni o sostituirla con una nuova non elettrica o ibrida, la scelta sia di non aiutare l’automobilista a cambiare. Tradotto: meglio una vecchia insicura e inquinante che una nuova non elettrificata. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 6 novembre 2020

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COME SARÀ IL DEALER POST COVID

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utto. Resterà tutto”. Benito De Filippis, Presidente di Mercedes Benz Roma, intervistato alla Capitale Automobile non ha dubbi sul lascito del lock-down. Tutte quelle pratiche innovative, parlare coi clienti via web, scambiare foto delle macchine, avviare e seguire una trattativa tra una zoomata e un whatsapp, fino a concludere una vendita da remoto. Per la vendita di automobili, la pandemia è stata una tragedia ma sarà ricordata come una benedizione, per l’accelerazione sul quel digitale che troppo a lungo era stato ignorato e sbeffeggiato. Anche le attività fisiche dovrebbero adattarsi, per cui non necessariamente è il cliente a recarsi presso la concessionaria. Secondo 2/5 degli esperti interrogati da Fleet&Mobility per AgitaLab, un think-tank, gli investimenti della concessionaria andrebbero orientati soprattutto a fornire interventi a domicilio, quando ciò sia possibile. Ad esempio, il controllo dei livelli, dello stato di usura delle parti e la sostituzione di filtri e altri materiali di consumo. Quando gli interventi di meccanica o carrozzeria sono più complessi e richiedono strumenti e tempi lunghi, allora la soluzione è di prendere l’auto presso il cliente e poi riportargliela a lavoro ultimato. L’altra indicazione forte è di investire sulle relazioni da remoto col cliente: video-call e trasmissione di foto e filmati. Questo non solo nelle fasi della vendita ma pure nel post-vendita. Il cliente deve poter vedere alcuni degli interventi sulla sua macchina e ricevere spiegazioni, poter accedere all’officina senza metterci piede. Lo sviluppo della concessionaria vede dunque una concentrazione delle strutture di vendita e di assistenza. Quasi nessuno pensa a investire in tanti show-room costosi, visto che poi vi si accede attraverso una wi-fi per incontrare i venditori e guardare le macchine, anche da dentro. Sì, sul profumo di nuovo c’è ancora da lavorare, 112


in effetti. Non serve nemmeno avere tante officine con annesso magazzino ricambi, perché è più efficiente un centro unico con tanti furgoni attrezzati che girano. Ma allora cosa resterà delle tante location fisiche? Certo non spariranno, ma diventeranno punti di assistenza per la mobilità dei clienti: un parcheggio, un cambio auto con un mezzo da città o una ricarica. E ci voleva il Covid? Articolo pubblicato su il Giornale, l’11 novembre 2020

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ELETTRIFICATE IN ASCESA Qual è la tipologia di auto che cresce di più nel noleggio? Le ibride, anche plug-in. Che nelle flotte hanno un tasso di crescita più che doppio rispetto al mercato. Trattandosi di una novità, la formula del noleggio solleva il cliente dall’incertezza. Per dare un’idea, la LeasePlan ha dichiarato recentemente che su Milano più di un ordine ogni tre quest’anno riguarda un’elettrificata. Quali le tendenze in termini di telematica? La black box è da anni presente nelle vetture aziendali. I noleggiatori stano lanciando anche software proprietari. Come il “connected&flexible” di Arval che offre al driver nuovi servizi. La mobilità fa sorgere nuovi bisogni fra i professionisti e dunque opportunità di offerta per soddisfarli. Dopo il lockdown, come ha reagito in noleggio? Sul fronte acquisizione ordini, la ripresa cominciava a dare buoni risultati. Ora vedremo con queste nuove chiusure. Intervista pubblicata su Al Volante, a dicembre 2020

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L’AUTO ERA UN BENE DUREVOLE

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l governo per decenni ha chiesto di comprare il diesel e i cittadini l’hanno fatto”. Da questo mea culpa di Macron, Quattroruote di dicembre presenta il conto del disorientamento degli automobilisti alla politica perché, quando annuncia di vietare la circolazione dei motori termici in contraddizione con quanto sostenuto finora, non saprebbe spiegarne il fine della sostenibilità. I clienti, davanti a un’incomprensibile imposizione, si terrebbero la macchina vecchia provocando ciò che anni fa definii “effetto Cuba”. Un tema importantissimo, che merita alcune considerazioni. Uno. Inquinamento ed effetto serra sono prioritari, non si discute, ma eliminare le auto termiche in Europa non è la soluzione. L’equazione meno auto uguale più ambiente non regge. Poco più dell’1% della CO2 antropogenica viene dalle vetture europee. Centrali elettriche, caldaie dei riscaldamenti e allevamenti pesano il 50%. Le polveri sottili dovute alle auto pesano meno del 5% di cui quelle allo scarico sono una frazione e comunque riguardano le auto vecchie: quelle in vendita oggi sono assolutamente sostenibili. Due. Da tempo denunciamo come la confusione tenga i clienti fuori dal mercato, ma non perché non capiscano la filosofia ambientalista. Piuttosto, non rischiano di spendere per un bene durevole che poi non dura e si tengono ciò che hanno. Tre. La politica contraddice se stessa. Verissimo. Ma la politica si ciba di consenso, non di coerenza. Se l’opinione pubblica coltiva l’idea, del tutto sprovvista di supporto scientifico, che l’auto termica sia il demonio, la politica dovrebbe seguire i soldi. Partendo da chi finanzia la produzione e la diffusione delle bufale, per risalire a chi guadagnerà dallo smantellamento dell’industria più importante e competitiva del continente con 3,2 milioni di addet115


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ti. Ma è tanto impegno e magari alla fine dovrebbero minacciare lo spegnimento dei riscaldamenti. Molto più facile cavalcare la disinformazione. Quattro. Le case auto pure hanno un problemino di contraddizione, visto che quando hanno venduto le auto circolanti e incriminate si erano scordate di metterci la data di scadenza. I clienti questa contraddizione la guidano ogni giorno. Forse una parola se l’aspetterebbero, dai costruttori. Peccato che abbiano fatto il voto del silenzio. Assordante. Articolo pubblicato su il Giornale, il 9 dicembre 2020

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LA CRISI SANITARIA CREA NUOVE FORME DI MOBILITÀ Stili di vita. Molte imprese hanno già dichiarato che una certa quantità di lavoro sarà da remoto.

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l ritorno all’uso dell’auto propria indotto dalla paura del contagio sta terremotando i sistemi di mobilità urbana. Ma forse proprio il Covid offre la soluzione, con il ricorso allo smart working.

Molte imprese hanno già dichiarato che una certa quantità di lavoro sarà svolta da remoto, con turnazioni varie e assetti ancora non ben definiti, che forse non lo saranno mai del tutto, è questa la novità. Fatto sta che alcuni desideri inconfessabili oggi sembrano a portata di mano. Da un lato, i pendolari che ogni giorno erano imprigionati nel traffico o stipati nei mezzi pubblici hanno scoperto che lavorare potrebbe non significare “andare a lavorare”, non tutti i giorni almeno. Secondo uno studio di Ernst&Young, una società di consulenza, le persone che lavorano esclusivamente da casa sono aumentate di nove volte, dal 4 al 35%, mentre si sono dimezzati quelli che per recarsi al lavoro impiegano oltre 5 ore a settimana, dal 60 al 29%. Dal nuovo modo di lavorare uscirà una nuova mobilità. I flussi in entrata-uscita dalle metropoli saranno trasformati, nelle quantità e negli orari. Le città delle fabbriche e dei centri direzionali somiglieranno a quelle che già vivono di lavori terziari non concentrati negli uffici. Dall’altro, i veri abitanti delle città, i privilegiati che vivono e lavorano in centro, vedono concretizzarsi la possibilità di riappropriarsi dei “loro” quartieri. Le mura cittadine rese anacronistiche dalla rivoluzione industriale, con i suoi operai che arrivavano da fuori, adesso possono ritornare, non in forma di mattoni ma come riserva di spazi. Il sogno di tanti è che chi abita altrove non invaderà con la macchina le strade del quartiere, che potranno essere riservate alla 117


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mobilità dei residenti, fatta al massimo di un paio di chilometri. È proprio su questa micro-mobilità che la novità dello smart working si lega all’altra, quella della mobilità individuale. Per paura del contagio i cittadini hanno abbandonato i mezzi pubblici e i taxi, riscoprendo l’auto privata. Questo non era previsto e per molte città non sarebbe neanche sopportabile, data la cronica mancanza di parcheggi e il conseguente utilizzo delle strade per la sosta. I parcheggi di scambio, costruiti alla fine del secolo, servivano proprio a lasciar entrare solo le persone, senza la macchina. Ma se i lavoratori dovessero insistere a voler usare l’auto propria, non resterebbe che pregarli di restare nelle loro periferie, diminuendo invece di aumentarla l’offerta di viabilità e di parcheggi, destinando porzioni crescenti di asfalto a bici e monopattini. Dando così anche il segnale tangibile che il quartiere è riservato ai residenti. Non è un messaggio piacevole e dunque, nella civiltà della democrazia e della comunicazione, le cose vanno incipriate e raccontate, affinché ciò che ha un gusto amaro possa diventare accettabile. Ecco allora questo fiorire di sondaggi e ricerche, per far dire direttamente alle persone quanto serva progettare una nuova mobilità. Quanto si voglia e si debba recuperare la dimensione umana delle città, come se i pendolari fossero alieni. Intendiamoci, non è mai sbagliato dar voce ai cittadini, con qualche avvertenza etica. Quando si chiede se sia opportuno potenziare le piste ciclabili, occorre costruire il campione in maniera che sia rappresentativo di tutti i cittadini interessati, non solo di chi può usare la bici perché in pensione o perché abita a mezzo chilometro dal lavoro e non ha bambini da accompagnare. Questo distingue la ricerca sociale scientifica e seria dalla propaganda a gettone. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 15 dicembre 2020

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LA MINI RIPRESA ESTIVA CANCELLATA DAL RITORNO IMPETUOSO DEL VIRUS Lo scenario. Mentre i clienti si rialzavano, una mano forte li ha rimessi a sedere.

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’è nervosismo nell’industria automobilistica e sarebbe facile addebitarlo alla pandemia. La domanda è stata letteralmente azzerata per quasi tre mesi, tanto da chiudere il semestre a meno 35/50%, a seconda dei Paesi. Sì, perché il problema non può essere compreso restando nei confini nazionali, visto che ormai nessuna casa auto pensa e agisce in termini di Stati ma di regione europea. Con l’estate era arrivata una ripresa, agevolata dagli incentivi ma non da questi determinata. Parlando a settembre con gli esponenti delle case e con importanti concessionari, ti rappresentavano un entusiasmo nei clienti che veniva da dentro, non dalla mente ma dal cuore. Non è retorica, nei cuori non c’era l’auto, bensì un senso viscerale di aver superato una minaccia epocale, che nessuno aveva messo in conto. Che proprio per questo aveva costretto tutti a farseli, due conti, non sui soldi ma sui fatti della vita. Erano questi i pensieri che poi spingevano alcuni a celebrare la nuova alba con una bella macchina. È stato allora che la dimensione emotiva dell’automobile è riemersa, uscita da quella soffitta in cui la mente l’aveva relegata. Nonostante un decennio di calcoli e convenienze sulle emissioni, sulla CO2, sull’autonomia, sulle diavolerie degli informatici e sulle rate di un noleggio che, con la formula “non ci pensi più”, faceva di tutto per tagliare quel cordone ombelicale con l’auto. Tutto questo aveva sopito ma non cancellato quel piacere genuino che può dare “la macchina nuova”. Non è soddisfazione, è felicità. L’hanno capito tutti e molti l’hanno pure ammesso: la macchina nuova dà gioia. Anche chi acquista quella meno bella e meno cool è felice e la famiglia con lui. 119


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Purtroppo, dopo l’estate è tornato il virus. Mentre i clienti si stavano rialzando, una mano forte li ha rimessi a sedere, li ha scoraggiati. Non c’era più nulla da celebrare. Anzi, c’era da interrogarsi sui tempi e quindi sulla capacità di resistere. Il fiato per un primo lockdown l’avevamo avuto, ma la seconda apnea poteva essere fatale. Meglio accantonare il discorso auto. Ora c’è mestizia nei dialoghi tra addetti ai lavori. Per evitarla si fa finta di niente, ci si tuffa nei programmi dei prodotti: un lancio qua, un face-lifting là, poi un’offerta che scimmiotta un incentivo. Ce ne sarebbe in abbondanza, per essere nervosi. Eppure, la tensione che circola sembra più profonda, non di quelle “adda passà ‘a nuttata”. Non è la resistenza a preoccupare, ché l’industria avrebbe la tenacia e la forza. Le antenne di chi sta da trenta o quarant’anni nel settore percepiscono dei piccoli segnali, magari impercettibili ai più o anche liquidabili con una motivazione di superficie, accettabile. Quello che dà da pensare è proprio il cliente. Si avverte un suo disallineamento con la narrazione costruita per questi anni a venire. Adesso la coltre del Covid tende a coprire, ma i bravi ricordano ciò che avevano sentito già prima. I campanelli avevano suonato. Paradossalmente, proprio la ripresa estiva, per quanto effimera, ha dato quel segnale descritto sopra, che se fosse diffuso sarebbe un problema. Se il cliente associa alla macchina sentimenti di gioia, di pancia, di vita piacevole, vuol dire che tanti bei discorsi di testa hanno meno corso legale di quanto si era immaginato. Tuttavia, si tratta di pensieri e come tali possono essere scacciati facilmente. I dati oggettivi stanno lì apposta. Le immatricolazioni di vetture ibride ed elettriche sono raddoppiate, in un anno in cui quelle con il solo motore termico sono a -38%. Le vendite di auto elettriche sono due volte e mezzo quelle dell’anno precedente, nonostante la pandemia. Le ibride plug-in sono 4,5 volte quelle di un anno fa. Ecco, proprio loro sono uno di quei segnali. Stanno incontrando troppo favore. Qualcosa vorrà dire. Alcuni importanti esponenti dell’industria hanno dichiarato a La Capitale Automobile che per i clienti acquistare un’auto 120


ibrida plug-in può rappresentare il loro contributo alla sostenibilità, senza rinunciare alla comodità del motore termico. Alcuni think-tank di parte hanno già cominciato a strillare, nelle sedi istituzionali, che non va bene, che così il motore termico, quello che gli europei sanno costruire così bene e i cinesi no, buttato fuori dalla porta starebbe rientrando dalla finestra. La posta in gioco è la sopravvivenza dell’industria con oltre 3 milioni di addetti. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 15 dicembre 2020

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SULLE AUTO IN BENEFIT PESA L’EFFETTO COVID Canali business. Alla fine del blocco dei licenziamenti è molto probabile l’avvio di robusti piani di ristrutturazione.

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ell’annus horribilis anche i canali business sono in profondo rosso. Il noleggio a breve, con 85.000 immatricolazioni, viaggia alla metà dello scorso anno. Le flotte, sia in proprietà che in noleggio a lungo termine, hanno immatricolato 258.000 macchine, pari al 73% di un anno fa. Per il NLT ci sono due fattori. Molte aziende hanno congelato i rinnovi delle auto in scadenza, in attesa di capire quale sarà il reale fabbisogno del dopo-Covid. Da un lato, quando il blocco dei licenziamenti terminerà, è probabile che partiranno dei piani di ristrutturazione. A questa incertezza va aggiunta quella riorganizzazione del lavoro che vedrà un massiccio ricorso allo smart working, con un uso degli uffici meno intensivo e più flessibile. Tutto questo avrà un impatto sulla dotazione di company car. Quando tante scrivanie non saranno assegnate a una persona, ci si chiederà se sia ancora il caso di assegnare un’auto, ovvero non sia opportuno potenziare quelle in sharing. Dal lato dell’offerta, nessun noleggiatore vuole rinnovare una flotta che avrà una consistenza del 90% rispetto a quella in fatturazione. Pertanto, più tardi è, meglio è. Inoltre, le auto a noleggio, come le cause civili, più durano e più rendono in termini di margini. C’era anche la preoccupazione che gli incentivi potessero deprimere i prezzi dei veicoli usati, causando delle perdite nella vendita delle auto a fine contratto. Ma si è sgonfiata quando è stato chiaro che gli incentivi avrebbero fatto il solletico al mercato vero, quello delle auto che la gente compra. 122


Proprio le auto elettrificate sono in controtendenza rispetto al mercato, in generale e nel canale flotte. Tra auto elettriche e ibride di ogni tipo il noleggio nel suo insieme ha acquistato 48.000 vetture, l’85% più dello scorso anno, portando la quota di questi propulsori nel canale al 17%, dal 6% di un anno fa. “Il noleggio conferma, pur in una fase economica di forte criticità, la carica innovativa e il ruolo di volano per la diffusione delle vetture elettrificate nel nostro Paese”, commenta Massimiliano Archiapatti, presidente di ANIASA. Va messo nel conto che nel noleggio sono comprese sia le immatricolazioni del NLT che quelle del rent-a-car, che limita la sua offerta a qualche mild-hybrid. Inoltre, le elettriche non sono particolarmente adatte ai clienti del NLT che, dovendo macinare chilometri, hanno bisogno di autonomia e non hanno tempo di cercare la colonnina e ricaricare. Si aggiunga pure che ad oggi l’offerta di elettriche è molto concentrata su utilitarie, proprio per la mobilità urbana. Quindi, tutta la crescita è fatta con le ibride e soprattutto con le plug-in, che hanno quadruplicato le immatricolazioni nel noleggio. La spinta è venuta in particolare da clienti privati, che volendo scegliere una ibrida plug-in optano per il NLT. Secondo Alberto Viano, A.D. di Leaseplan, “Nei primi 11 mesi i clienti privati che hanno scelto il noleggio sostenibile di LeasePlan sono quasi il 50%. Il noleggio può essere una soluzione rispetto all’alto investimento che oggi richiede un veicolo elettrico o ibrido. Trasferire alla società di noleggio le incognite e il rischio di un cambiamento tecnologico può essere un volano per rendere concreto anche in Italia il mercato della mobilità sostenibile insieme ad un disegno nazionale e organico di infrastrutture e incentivi”. Gli fa eco il D.G. di Arval, Štefan Majtán: “Le immatricolazioni di veicoli elettrici e ibridi ad oggi rappresentano poco meno della metà dell’ordinato sul mercato dei consumatori privati”. Chi ricorre al noleggio è per lo più residente nei grandi centri urbani, è un guidatore “evoluto”, pronto a sperimentare forme di mobilità innovative e sostenibili, rendendolo così particolarmente adatto all’adozione 123


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di veicoli elettrici o ibridi plug-in. Per quanto concerne i veicoli full electric, si registrano buoni volumi sulle citycar, che si prestano in modo ottimale proprio a un utilizzo urbano. Ma in questa partita giocano molto anche le società di noleggio captive che, per aiutare le case a immatricolare quante più elettriche e plug-in possibile, stanno offrendo su questi modelli dei canoni addirittura inferiori alla versione con motore termico corrispondente, evidentemente accollandosi il rischio di valori residui troppo alti. È probabile che stiano aiutando molto anche i noleggiatori indipendenti a tenere i canoni competitivi. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 15 dicembre 2020

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MERCATO AUTO A VALORE 2020 Mercato auto e fuoristrada - valori assoluti

Rapporto tra performance a valore e volume

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Gruppi automobilistici e alimentazione

Top 15 brand e model

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MERCATO AUTO A VALORE 2020 - NOLEGGIO Mercato auto e fuoristrada - valori assoluti

% noleggio su vendita in valore - top 15 brand

Nlt e Rac

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Top 15 brand e model

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