Numero 38 del 15 marzo 2021
Cambio!
Sommario l’Editoriale del Direttore/La Restaurazione pag. 3 di Aldo AVALLONE Nessuno cambia da solo! Nuovi localismi e ’soliti’ imperialismi - pag. 7 di Giovanni AIELLO E la chiudo qui - pag. 12 di Antonella GOLINELLI Le varianti virali della diseguaglianza - pag. 16 di Rosanna Marina RUSSO Considerazioni su una Ricostruzione - pag. 21 di Giovan Giuseppe MENNELLA Quale gobba? - pag. 26 di Antonella BUCCINI Evoluzione e non Rivoluzione - pag. 29 di Chiara TORTORELLI Cambierò, giuro cambierò - pag. 32 di Raffaele FLAMINIO Tutti i fiori hanno un calice - pag. 37 di Rosanna Maria RUSSO I diritti degli ultimi - pag. 40 di Aldo AVALLONE Quindici minuti di... immortalità - pag. 43 di Antonella BUCCINI Glamping, il turismo si veste di lusso - pag. 45 di Veronica D’ANGELO Come si cresce - pag. 50 di Lucia COLARIETI 2
l’Editoriale del Direttore
La Restaurazione Aldo AVALLONE
Ci siamo lasciati circa un mese fa in piena crisi di governo con Giuseppe Conte assassinato dal sicario vivaista. Draghi stava lavorando alla formazione del suo governo e fu facile prevedere che tutti sarebbero saltati a bordo. La gestione dei miliardi provenienti dall’Europa è un’occasione irripetibile per soddisfare i tanti appetiti di quella parte del Paese abituata da sempre ad avere voce in capitolo nelle decisioni economiche e che non avrebbe mai permesso a un esecutivo non piegato ai suoi voleri di restare a galla e completare il proprio lavoro in autonomia. Per comprendere come sia cambiato il vento, basta scorrere il curriculum del neopresidente del consiglio. Mario Draghi, tra i tanti incarichi ricoperti, è stato uno dei manager di Goldman e Sachs, una delle più grandi banche d’affari del mondo con sede a New York, poi governatore della Banca d’Italia e presidente della BCE, la 3
banca centrale europea. Un uomo che ha saputo da sempre rappresentare i poteri economici finanziari del mondo. La sua squadra è composta in parte da tecnici legatissimi a lui e da improbabili politici ripescati dalla naftalina, quali Brunetta, la Gelmini e la Carfagna, insieme a personaggi, ad esempio il leghista Giorgetti, da sempre portatore degli interessi di Confindustria. La scelta di Francesco Giavazzi, economista da sempre sostenitore delle teorie ultraliberiste, quale consigliere economico rappresenta un altro segnale inequivocabile dell’indirizzo che Draghi vorrà dare al suo esecutivo. La domanda legittima che ci si pone è perché LEU e il PD siano entrati in questo governo. Da un lato probabilmente è stato giusto provare a portare avanti anche con la nuova maggioranza il lavoro iniziato con il precedente governo. E l’esempio più rappresentativo è il ministro Speranza che ha certamente svolto la sua opera in un momento di tragica difficoltà con dedizione e competenza. Ma, d’altra parte, è davvero difficile digerire il sedere allo stesso tavolo con ministri berlusconiani e leghisti. Per quanto conti, la mia opinione personale è che si sarebbe dovuto far saltare il tavolo e andare a elezioni anticipate. Si sarebbe partiti in salita ma una coalizione coesa PD, LEU e M5S con il valore aggiunto di Conte, che ricordiamolo godeva di grande popolarità, se la sarebbe potuta giocare. E, se si fosse perso, almeno si sarebbe fatta chiarezza nel quadro politico per rafforzare nel tempo quell’alleanza tra forze progressiste che in futuro si sarebbe presentata con tutte le carte in regola per guidare il Paese. So bene che alcuni compagni non hanno in buona considerazione il Movimento 5Stelle e certamente si tratta di dubbi legittimi rispetto ad alcune scelte politiche compiute in passato dal Movimento. Ma oggi i 5 Stelle non sono più quelli che dissero di no a Bersani. Il percorso di parlamentarizzazione iniziato ormai tempo fa è giunto a maturazione, i destri che vi militavano hanno progressivamente lasciato il Movimento e ritengo che oggi ci si possa relazionare con loro in maniera propositiva. La scelta compiuta proprio in questi ultimi giorni di coinvolgere a pieno titolo Giuseppe Conte nella guida del Movimento va certamente in tal senso. Infine, c’è da compiere un’ultima, a mio avviso decisiva, considerazione: senza un’alleanza strategica con i 5 Stelle non si potrà mai competere con la destra in nessun confronto elettorale. Sì, proprio quell’alleanza strategica che fa tanto paura al resto dello schieramento politico italiano e a larghissima parte della stampa che ha massacrato il governo precedente ed è totalmente silente sulle scelte di quello attuale. Si è rimproverato a 4
Conte la mancata condivisione nella stesura del Recovery Plan, oggi si viene a sapere che Draghi ha affidato la riscrittura del piano alla multinazionale americana McKinsey che pare sia stata coinvolta dall’amministrazione Trump nella progettazione del muro tra Stati Uniti e Messico e in altre vicende poco chiare relative al settore farmaceutico. In una nota del MEF si specifica che il contratto di affidamento ha un valore di venticinquemila euro più IVA ed è stato assegnato, in base al codice degli appalti, senza gara perché sottosoglia. Una dimostrazione di incapacità da parte dei ministri economici. Ma Conte non era stato messo in croce perché avrebbe voluto esautorare il Parlamento affidando la stesura del Piano a sei super manager? La cifra davvero irrisoria lascia aperti molti dubbi sulla procedura. Se, come è vero, il metodo è sostanza, appare evidente che anche questa scelta sia un segnale di come il governo intende utilizzare gli oltre duecento miliardi di fondi europei. La società americana è nota a livello internazionale per essere stata decisiva in alcune scelte improntate al liberismo più sfrenato. È legittimo credere che non si discosterà dai propri principi anche nella redazione del piano italiano. Un altro avvenimento altrettanto rilevante ha scosso il mondo della politica in questi ultimi giorni: le dimissioni di Zingaretti da segretario del Partito Democratico, giunte dopo una serie di attacchi provenienti dall’interno. L’ex segretario ha usato parole forti: “mi vergogno del PD”, dilaniato ormai da una guerra tra bande correntizie interessate solo al potere e alle poltrone. Un gesto sicuramente coraggioso che si spera possa aiutare a fare chiarezza nel Partito che, nonostante tutto, resta il fulcro di un’alleanza progressista che possa candidarsi in futuro a guidare il Paese. A questo punto mi auguro che si compia finalmente una scelta precisa del dove intende andare il Partito nei prossimi mesi. Il 14 marzo l’Assemblea nazionale ha eletto, praticamente all’unanimità, Enrico Letta come nuovo segretario. Nelle sue prime dichiarazioni ha indicato la linea su cui intende muoversi in tema di alleanze. Ha parlato di un centrosinistra largo di cui il Pd dovrà essere il perno che si confronterà in maniera aperta e costruttiva con il Movimento 5Stelle. Al di là delle dichiarazioni di facciata, occorrerà attendere qualche tempo per comprendere se il neosegretario vorrà muoversi in continuità con le scelte politiche di Zingaretti o sceglierà di tornare indietro accodandosi a posizioni centriste e liberali. Ma, al di là di quanto avverrà nel Partito Democratico, ritengo che mai come ora sia necessario un poderoso passo in avanti verso la creazione di un nuovo soggetto politico, non 5
importa la forma che intenderà assumere, unitario, pluralista e laburista che possa rappresentare veramente tutte le istanze che provengono dal sociale. C’è forte domanda di sinistra nel Paese, un recente sondaggio SWG dà Articolo 1 e Sinistra italiana al 5,1 per cento, un risultato incoraggiante che deve essere ascoltato da tutte le forze che si riconoscono nei valori del socialismo democratico. La crisi economico sanitaria generata dalla pandemia ha messo in evidenza la necessità del primato di alcuni diritti irrinunciabili e non negoziabili: il diritto alla salute, all’istruzione, al lavoro e la grande questione dello sviluppo sostenibile non possono essere affidati alle sole logiche del mercato. Attorno a questi temi c’è lo spazio per rifondare una nuova sinistra, aperta a chiunque voglia collaborare (non bisogna demonizzare le Sardine per qualche loro ingenuità, ricordiamo il contributo importate fornito nelle elezioni regionali in Emila Romagna), che non potrà fare a meno dell’apporto del PD. Mai come ora, in tempi di restaurazione, c’è bisogno di avere coraggio. Se la sinistra ne avrà, se tutti noi ne avremo, ci sarà ancora speranza per il nostro Paese.
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Politica
Nessuno cambia da solo! Nuovi localismi e ‘soliti’ imperialismi Giovanni AIELLO
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“Nessuno si salva da solo. È il titolo di un famoso romanzo, ma questo concetto lo abbiamo letto e sentito ripetere tante volte dall’inizio dell’emergenza, tra confini chiusi, regioni a semaforo e richiami della politica al senso di responsabilità reciproca. Accade però poi che il commissario Arcuri, incaricato dalla Presidenza del consiglio giusto un anno fa proprio come responsabile “per l'attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica”, venga dimissionato perché coinvolto, sebbene non in qualità di indagato, nell’ambito di un’inchiesta per corruzione da parte della procura di Roma. E come se ciò non bastasse, nel frattempo era già stata portata a compimento, contro ogni logica almeno apparente, una crisi di governo sostenuta (quella sì) ad ampia maggioranza. Mentre di ‘responsabili’ e di costruttori, proclami televisivi a parte, non abbiamo mai visto nemmeno l’ombra. L’Italia finge di cambiare Dal punto di vista del contrasto alla pandemia, infatti, al di là dell’aspettativa collegata ai vaccini, si è costruito davvero poco e la situazione ospedaliera in Italia è oggi paragonabile in certo senso a quella iniziale. Così come emerso dal recente report Altems, pubblicato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, se all’inizio dell’emergenza i posti letto in terapia intensiva erano complessivamente poco più di 5mila, oggi sono stabilmente quasi 9mila, sebbene con grandi differenze a livello regionale (l’incremento in Valle d’Aosta è stato del 230%, in Calabria del 4). Ma anche un altro dato attira l’attenzione, ed è relativo al rapporto numerico fra anestesisti e posti letto nelle TI, che inizialmente si attestava sul 2,5, mentre al 15 dicembre 2020 risultava essere sceso all’1,6, a riprova di come il personale medico non sia stato incrementato in modo sufficiente. A ciò si aggiunga che, come emerso in queste settimane anche con riguardo all’approvvigionamento dei vaccini e per 8
l’organizzazione delle campagne, ancora una volta la situazione è molto differenziata sul territorio nazionale. Veneto ed Abruzzo, ad esempio, hanno assunto i nuovi medici a tempo indeterminato, consolidando il personale, mentre Toscana e Campania si sono avvalse di contratti prevalentemente a tempo determinato e di collaborazione libero professionale. Urge quindi un piano nazionale di investimenti nella sanità, che sia coerente e che superi gli attuali regionalismi, così come invocato dalle associazioni di categoria e anche dallo stesso report della Cattolica. Speranze malriposte Per fare questo però servono i soldi. Ma il famoso Recovery Fund (o Next generation EU, secondo la dicitura della Commissione europea), che comprenderebbe duecento miliardi e passa, tra sussidi e prestiti, sembra sin da adesso ben poca cosa di fronte alle necessità che si prospettano. Tanto più che, per fare un esempio, il neoministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani ha fatto già sapere che a lui ne servirebbero ottanta, di miliardi, come emerso nel corso di una sua conversazione telefonica con l’ex segretario di stato Usa John Kerry, in viaggio nelle capitali europee come Inviato Speciale per il Clima. Questo solo per dire, insomma, che conti non possono proprio tornare. Come confermato recentemente anche dal professore Emiliano Brancaccio, economista dell’Università del Sannio, il quale in uno dei suoi interventi a Radio1 ha affermato che il piano europeo di aiuti è assolutamente insufficiente e che il recovery, qui da noi tanto atteso, potrebbe rivelarsi una grossa delusione, siccome «l’Italia effettuerà (e cita a sua volta previsioni della Banca d’Italia) interventi aggiuntivi per ventinove miliardi all’anno, (…) con una crescita stimata del 2% in cinque anni». Decisamente troppo poco quindi, per attendersi i cambiamenti di cui invece si fa un gran parlare da mesi.
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Una lezione che arriva da lontano E tra i cambiamenti più attesi c’è naturalmente quello legato alle fonti rinnovabili, alla filiera di produzione energetica e soprattutto all’elettrico, che in dieci anni, soprattutto per quanto riguarda la mobilità, dovrebbe diventare prevalente. In Italia, come si diceva, è stato finanche creato un ministero apposito, con la dichiarata missione di trasformare il nostro Paese in chiave “green”. Ma la transizione verso i veicoli a cosiddetto impatto zero si basa soprattutto sulle batterie al litio, la cui costruzione richiede a sua volta l’impiego di due preziose risorse minerarie, spesso chiamate in causa in queste ultime settimane all’interno dei servizi sulla Repubblica Democratica del Congo e sulla tragica morte dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Antonio Iacovacci e del loro autista Mustapha Milanbo Baguna: si tratta, come avrete capito, del cobalto e del coltan. Tutte le tensioni presenti nel Congo sono legate allo sfruttamento di questi giacimenti da parte di poche grandi organizzazioni multinazionali, tra cui la cinese Huayou Cobalt, che forniscono molti dei più grandi produttori di elettronica, in base ad accordi spesso opachi o secretati. Nelle miniere lavorano oltre 300mila minatori, e tra questi decine di migliaia sono bambini ridotti in schiavitù, costretti a scavare praticamente a mani nude dentro cunicoli strettissimi per oltre dieci ore al giorno. In particolare, il coltan viene anche raffinato in aziende tedesche e americane. Non deve stupire dunque se la regione in cui sono presenti la maggioranza di questi giacimenti, controllati dalle violentissime milizie locali, sia proprio quella del Kivu, guarda caso la stessa nella quale si è verificato l’agguato fatale al convoglio Onu in cui sono stati uccisi i nostri connazionali. Ed ecco perché, senza una riflessione onesta da parte dei governi e degli organi internazionali sul cambiamento di questi consolidati meccanismi di sfruttamento, risulta così difficile credere alle presunte rivoluzioni virtuose e alle transizioni ecologiche di casa nostra. 10
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Politica
E la chiudo qui Antonella GOLINELLI
Siamo ai primi di marzo, è tempo di giardinaggio anche se è ancora freschino. Seduta per terra, in altre posizioni mi gira la testa, a stanare foglie secche, strappare edere, ripulire cespugli penso. Non è che si possa fare molto altro con la testa oltre che guardare cosa stai tagliando. Penso a quello che succede, alle novità quotidiane, settimanali, mensili. Penso ai cambi di governo in corsa, cosa incomprensibile fino a poco tempo fa ma che diventa ogni giorno più chiaro. Penso alla fronda dei five stars che rischiano la scissione con turbolenze interne devastanti. Penso alle dimissioni di Zingaretti. Penso che domani è l'8 marzo e come ogni anno un profluvio di amenità sdolcinate si diffonde per l'aere. Penso che la malattia è ancora qui più agguerrita che mai. 12
Per punti (preludio romantico finito): 1.
ogni giorno che il signore (o chi per esso) manda in terra siamo afflitti da una sequenza di dibattiti, inutili, a commento e compendio del fatto del giorno. Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana. Senza soluzione di continuità. Senza che si trovi un bandolo a questa matassa ingarbugliata. Perché farlo in fondo? E' più comodo e utile così. Ognuno prende un filino e tira dalla sua parte o dalla parte che lo paga. Non cambia molto ma alla fine il nodo stretto risultante dovrà essere sciolto in qualche modo. La domanda è: come?
2.
La crisi di governo provocata da un sicario non trovava alcun riscontro logico. Nessuno proprio. Compreso il fatto che installato Draghi e piazzato qualcuno qua e là hanno rinunciato a tutte le richieste. Poi saltano fuori le nomine e qualcosa si capisce. Saltano fuori le sostituzioni e si capisce meglio. Salta fuori McKinsey e si capisce ancor meglio. Escono giustificazioni risibili (sono incaricati di vedere cosa fanno gli altri del RP) (come se non bastasse prendere su il telefono e parlare) (come se avessimo necessità di interventi avanzatissimi. Non scherziamo. Qui siamo indietro di 30 anni e le basi da cui procedere sono sotto gli occhi di tutti). Giustificazioni risibili, dicevo, e compensi ancor più risibili. Si parla di meno di 25.000 euro cifra sopra la quale occorre una gara europea. Perché voi mi/ci volete venire a raccontare che una multinazionale di consulenti si accontenta di un compenso ridicolo? Ma quando mai? Guardate che non siamo tutti come il lobbista misarione. Molti di noi i compensi li conoscono. Siamo seri;
3.
E' andata per la maggiore la teoria che Draghi non si facesse né vedere né sentire perché stava riscrivendo il RP di persona, al chiuso del suo ufficio. Dai! Abbiamo operato la sospensione dell'incredulità e va bene. Al primo DPCM non si è presentato mandando ministri e tecnici. E non va bene. Non è che il signore in questione sia entità separata. Il signore in questione ha degli obblighi verso gli abitanti di questo disgraziato paese, non è che può far finta di nulla chiuso nelle segrete stanze a non scrivere un piano di interventi. Se invece, come pare il piano lo sta scrivendo una multinazionale forse è il caso di cambiare rotta. Questo piano dovrebbe servire al paese non a rimpinguare le 13
tasche di pochi. Tra l'altro i McKinsey boys se li è presi nel governo. Quindi? A che servono questi ministri? A tenere le comunicazioni operative? E i rivoluzionari quotidiani non dicono niente? Né del DPCM, più restrittivo, né della forma della faccenda? E i passaggi parlamentari? E la centralità del parlamento? 4.
I baldi temerari 5 stelline sono alle prese con il disfacimento del loro elettorato attivo e passivo. Come si diceva una volta, sono nel guado. L'inserimento di Conte, che apprezzo ogni giorno di più anche solo per il fatto di aver accantonato il piano Colao McKinsey boy, ha creato problemi seri. Molti degli stellati mal digeriscono l'idea di un referente calato dall'alto. Sono evidentemente affezionati al principio dell'uno vale uno. Non è così, non è mai stato così, ma loro ci credono. La trasformazione in partito non la tollerano. Purini, hanno anche ragione. Io pure non vorrei diventare membro di un partito di centro quando sono partita per cambiare il mondo. Del resto la politica non tollera il vuoto. Se c'è uno spazio libero lo si occupa. Non so come Beppone gliela venderà, lo farà certamente quando si potrà, ma lascerà tanti di quei cadaveri sul terreno da impressionare;
5.
in tutto questo ameno quadretto arrivano le dimissioni a sorpresa di Zingaretti. A sorpresa... si fa per dire. Mesi di attacchi quotidiani a più voci, sconfessioni pubbliche di quanto votato nei luoghi deputati, spartizione tra capicorrente degli incarichi governativi, le rivendicazioni della Conferenza delle donne (un paragrafetto nello statuto) noto feudo franceschiniano, gli attacchi dei giovani turchi, gli attacchi del mascelluto presidente della mia regione e di alcuni sparuti sindaci mi sa che hanno compiuto il mazzo. Zingaretti dice di vergognarsi del suo partito che è diventato luogo di spartizione delle poltrone. Fa male. Chi si dovrebbe vergognare è chi quotidianamente piccona che manco Cossiga ai tempi. Alle dimissioni è seguito il silenzio. Un attimo tramortiti sono rimasti. Poi cominciano ad arrivare le dichiarazioni di sostegno e inviti a ritirare le dimissioni da parte di alcuni, pregevoli, personaggi di rilievo del partito. In seguito le dichiarazioni a sostegno al veleno. Polpette avvelenate. Ma non si vergognano? Evidentemente no. In tutto questo arriva la boutade di Grillo: vengo io a fare il segretario per un anno. Cos'è? la vendetta del rifiuto della tessera 14
del 2009? Ricordate Fassino? Se vuole fare un partito si presenti. Vediamo quanti voti prende. La catastrofe. In alternativa ipotizzo che dopo aver distrutto la sua creatura, perché questo ha fatto, debba contribuire a distruggere ciò che rimane di parte della sinistra, ciò che rimane di un partito di popolo. Non bastava Renzi evidentemente serve pure lui; 6.
in prossimità dell'8 marzo piovono implacabili nobili intenzioni, appelli accorati e buoni sentimenti. Arrivano dai pulpiti più improbabili, Palombelli compresa. Ci si aggrappa a polemiche insulse come quella della declinazione. Ma andate al diavolo. Ma vergognatevi. Ma andate a zappare il mare che è più utile. In un mondo dove gli ex arrivano ad assoldare killer voi blaterate. Siete ridicoli, semplicemente ridicoli;
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noi da domani siamo rossi. Ho capito che nella mia provincia sono nell'ordine di 893 su 100,000 abitanti, ben oltre i 250. Ora, io non vorrei dire ma non c'è arrivato in due giorni a questo livello. E' un po' che siamo oltre i 250. Lascia pur che la variante inglese (sciocca io che mi sono limitata all'amante inglese) sia molto più contagiosa, ma così è tanto. Quindi il mascelluto presidente della mia regione in piena sintonia con i lombardi leghisti una decina di giorni fa voleva aprire tutto. Vedi te come si cambia idea in fretta. In corrispondenza di amorosi sensi con la Lombardia i presidenti attuano a sé stante misure più restrittive. #adesso, io capisco bene la necessità di collaborare con i vicini soprattutto se lombardi (figuriamoci! Io vivo a Massa Lombarda per dire) ma mi pare un filino avventato ignorare deliberatamente i segnali e chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. I buoi sono scappati da parecchio, non si sente nemmeno più la puzza. Forse è il caso che l'autonomia regionale venga praticata sul serio infischiandosene delle altrui necessità e desiderata. Sarà meglio prendere in considerazione di vaccinare a tappeto nelle zone rosse. Perché noi siamo rossi ma non solo per la malattia. Siamo ancora rossi e basta. E siamo dell'idea che chi mettiamo in soglio (passatemi l'espressione) debba badare e provvedere a noi, non a chi passa per la strada e può essere utile alla sua carriera.
E la chiudo qui. 15
Politica
Le varianti virali della diseguaglianza Rosanna Marina RUSSO
Alla parola cambiamento preferisco, ormai, mutamento. È passato un bel po’ di tempo da quando, come tanti, auspicavo una metamorfosi sociale radicale e mi ribellavo alle ingiustizie con clamore, con la forza della giovinezza. Ma poi ho capito, e un po’ tutti lo abbiamo capito, che le rivoluzioni possono sembrare risolutive, ma conservano, spesso, al proprio interno il germe della degenerazione e dell’ingiustizia, insieme al desiderio di squadernare con impeto il presente sbagliato. Non immagino più un cambio repentino delle cose, dunque, non spero più che le diseguaglianze scompaiano solo perché è giusto che scompaiano. Ora anelo alla costruzione caparbia del domani, pezzo a pezzo, al graduale e realistico mutamento del modificabile, appunto. Ciò in cui credo adesso è la possibilità di trasformare con pervicacia il sistema vita e i vasi comunicanti economici che abbiamo creato. Sentii un economista qualche anno fa che spiegò, in buona sostanza, come la ricchezza di un popolo renda automaticamente povero un altro popolo. Anzi usò una metafora particolarissima. Il sistema economico, disse, è fatto come un organo a 16
canne e ogni canna è una Nazione. Ci sono quelle alte, le ricche, e quelle basse, le povere. Ma la musica che ne esce è quella scritta sullo spartito. E se un giorno un Paese divenisse povero, cioè si rimpicciolisse, un altro crescerebbe prendendo il suo posto, perché la musica rimanga fedele a sé stessa. Metafora terribile, ma, credo, veritiera. Però, in questo momento storico, qualcosa d’altro sta accadendo a causa della crisi sanitaria in atto, forse un moltiplicarsi di canne piccole che rendono stonato un sistema perfettamente ingiusto. Il maledetto COVID che contagia tutti, ricchi e poveri, e si insinua in qualsiasi luogo senza guardare in faccia a nessuno e che per vincere sulla nostra specie muta con un numero imprecisato di varianti, al suo passaggio non solo amplifica la distanza economica tra le diverse aree del mondo, ma crea delle profonde spaccature sia in uno stesso paese sia tra i Paesi, delle nuove diseguaglianze, delle varianti che si ancorano, come quelle virali, sui disagi preesistenti. La prima è quella relativa alle condizioni di vita nelle varie parti del Globo. È stato evidenziato più volte: non tutti godono di presidi igienici e strutture sanitarie, di una casa dove rifugiarsi in isolamento e, dunque, della libertà di difendersi dal contagio. Si parla certamente di zone tra le più deprivate del pianeta, dove si vive in condizioni disperate, come le Favelas dell’America Latina, gli slum di Lagos o di Bangkok o di Nuova Delhi, in cui è possibile fruire di un solo respiratore ogni milione di abitanti, in cui i letti di terapia intensiva sono una rarità e l’acqua non è sufficiente per bere, tanto meno per lavarsi frequentemente le mani. Una parte della nostra umanità è indifesa contro tutto, figuriamoci in presenza di una emergenza pandemica. In situazioni così estreme, in cui il virus amplifica a dismisura le problematiche, ci può essere un mutamento? Possono essere risolutivi gli interventi dei tanti Gino Strada che costruiscono presidi sanitari come fossero isole in deserti immensi? Un tempo avrei detto di sì. Oggi, pur convinta dell’importanza di questa rete di volontari che curano malattie fisiche e sociali, non credo che le cose vengano modificate in sostanza. Forse è necessaria una profonda consapevolezza e una forte volontà da parte di tutti. Joseph Stiglitz su Internazionale ha ipotizzato due soluzioni concrete per combattere la povertà nel mondo: Attivazione da parte del G-20 dei diritti speciali di prelievo del Fondo Monetario 17
Internazionale per aiutare i Paesi più bisognosi; Sospensione del debito delle economie in via di sviluppo da parte dei Paesi creditori. Proposte che comporterebbero una vera e propria rivoluzione, un cambiamento immediato e radicale capace, però, di promuovere il miglioramento costante nelle condizioni di vita di molti popoli. Ma c’è un’altra variante che ormai si è diffusa ed è quella del Piano Vaccinale mondiale che più sperequato di così non potrebbe essere. Usa, Uk e Israele dispongono di milioni di dosi, l’Europa arranca, i Paesi poveri stanno a zero. E noi sappiamo che dall’efficacia del piano vaccinale discende linearmente la ripresa economica. Poco prima che esplodesse la pandemia, il 12 settembre 2019, si è svolto a Bruxelles il Global Vaccination Summit, organizzato congiuntamente dalla UE e dall’OMS nel quale si è dato rilievo al problema della recrudescenza di alcune malattie, come il morbillo, e alla disinformazione in ambito vaccinale di molta parte della popolazione. Il documento presentato dalla UE, un vero e proprio decalogo, voleva prospettare modalità funzionali a garantire le vaccinazioni per tutti, contrastando così le malattie prevenibili. E, pur non potendo immaginare tutto lo sconquasso sanitario di qualche mese più tardi, le proposte avanzate appaiono validissime anche per contrastare la pandemia che ci ha assediato e uniformare la distribuzione dei vaccini. In sintesi quelle indicazioni avrebbero potuto garantire una copertura sanitaria universale, creare un sistema di sorveglianza delle malattie, attenuare i rischi di carenza dei vaccini migliorando i sistemi di monitoraggio, proiezione, acquisto, consegna e stoccaggio, sostenere la ricerca, aumentare la fiducia nelle vaccinazioni e promuovere, a livello globale, una leadership politica e, a livello nazionale, regionale e locale, una partnership efficace. Ora quello che non appare chiaro è come mai proprio l’Europa si sia trovata impreparata un anno più tardi e come mai altri paesi si siano arroccati e preoccupati solo dei propri cittadini. Forse l’una è rimasta schiacciata dagli altri a causa di una sorta di sovranismo sanitario? Difficile stabilirlo. Di certo, pur vivendo la stessa tempesta, non si è agito come si fa in mare, salvando prima i più deboli, ma ognuno ha difeso le proprie vie di fuga. 18
Papa Francesco, un anno fa, in una piazza solitaria e livida ci ha ricordato che siamo tutti sulla stessa barca, nella sofferenza. Mi verrebbe da pensare che siamo tutti sulla stessa nave, ma solo alcuni possono tentare di allontanarsi dal naufragio. Devo dire che, smentendo il mio punto di vista iniziale, vorrei adesso un subbuglio radicale, vorrei che si costruissero scialuppe per tutti e tutti insieme si salpasse per una terra che sappia adeguare i propri comportamenti per evitare dolori evitabili. Forse quello spirito rivoluzionario di un tempo era solo sopito ma mai cambiato, mai mutato.
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Politica e Storia
Considerazioni su una Ricostruzione Giovan Giuseppe MENNELLA
Oggi si sta discutendo sulla ricostruzione dell’economia e della vita italiana grazie all’uso che si dovrà fare dei fondi europei del Recovery Plan. Il Governo di Mario Draghi, quasi un governo di unità nazionale, è stato varato per adottare le misure necessarie a ben utilizzare i fondi europei, valendosi di protagonisti di alto profilo tecnico. La necessità della ricostruzione promana dal verificarsi di una catastrofe, ancora in corso, quale la pandemia da SARS Cov 2. Una ricostruzione ancora più difficile fu necessario affrontarla più di 70 anni fa a seguito delle devastazioni che subì l’Italia nella Seconda Guerra Mondiale. 21
Il Paese era uscito devastato e distrutto dal conflitto, era stato percorso e saccheggiato da decine di eserciti stranieri, devastato dai bombardamenti, ridotto a un disastro come forse non se ne erano visti di uguali dai tempi delle invasioni barbariche. Infrastrutture, linee ferroviarie, ponti, strade di comunicazione, porti, centri urbani, opifici, in larga parte distrutti o gravemente danneggiati. Paradossalmente, le fabbriche, quelle non molte che c’erano, erano state distrutte più nel Mezzogiorno, dove erano stati subiti sia i bombardamenti alleati che le demolizioni dei guastatori germanici. Al Nord gli impianti industriali, molto più numerosi che nel Sud, erano stati colpiti, in misura abbastanza marginale, soltanto dai bombardamenti, mentre gli occupanti tedeschi avevano cercato di preservarle in quanto utili allo sforzo bellico del Reich. Un primo aiuto alla ricostruzione dell’Italia venne dall’E.R.P., l’European Recovery Program, noto anche come Piano Marshall dal nome del politico statunitense George Marshall, il piano di aiuti all’Europa distrutta dalla guerra, ideato allo scopo di arginare la penetrazione ideologica e militare dell’U.R.S.S. in Occidente e per rinforzare economicamente Paesi che avrebbero potuto rappresentare prosperi mercati di destinazione dei prodotti statunitensi, in un’ottica di maggiore liberoscambismo. Oltre agli aiuti dell’E.R.P., utili più che altro a offrire un rimedio immediato e temporaneo alle condizioni di difficoltà dell’economia e di povertà della popolazione, l’Italia si avvalse nel dopoguerra di condizioni sociali, economiche e politiche mondiali talmente favorevoli che non si erano mai verificate in precedenza nella storia e, come si sarebbe potuto constatare, non si sarebbero mai più verificate in futuro. Infatti, dall’inizio degli anni ’50 intervenne nel capitalismo mondiale una congiuntura economica di sviluppo galoppante, definita “età dell’oro del capitalismo”, oppure, come in Francia, “i ruggenti venti (anni)”. Le nazioni capitaliste in quel periodo erano identificabili sostanzialmente solo con quelle dell’Europa 22
occidentale non comunista e con quelle del Nordamerica, con l’aggiunta in Oriente del Giappone, da quando fu ritenuto utile favorirne lo sviluppo economico per fronteggiare la Cina, diventata comunista dal 1949. Tutto il resto del mondo, circa due terzi, era costituito dalle nazioni comuniste, a economia pianificata e che producevano solo per il mercato domestico, e dalle colonie, che producevano per lo più materie prime da inviare alla madrepatria. L’Italia ebbe la possibilità di trovarsi quasi subito nel campo delle nazioni a economia capitalista, integrate in un mercato sempre più liberoscambista instaurato dagli accordi tra le potenze occidentali vincitrici della guerra, soprattutto gli USA. Le condizioni favorevoli furono innanzitutto il crollo dei prezzi delle materie prime, tra cui il petrolio, dopo la fine della guerra mondiale. Un tale andamento favorì le nazioni manifatturiere che avevano potuto iniziare a ricostruire e ammodernare gli impianti industriali con i finanziamenti del Piano Marshall. Poi l’abbondanza di manodopera a buon mercato, costituita da masse che uscivano dalla guerra prostrate e avevano assoluto bisogno di riprendere a lavorare e a guadagnare, nonché dai contadini che abbandonavano le campagne e la vita dura e grama che vi si conduceva, per trasferirsi in prossimità dei grandi centri urbani con la speranza di lavorare nell’industria, per migliorare socialmente ed economicamente. Infine, la disponibilità di finanziamenti particolarmente a buon mercato, a causa del basso costo del denaro, dopo che gli accordi in campo finanziario sanciti a Bretton Woods nel 1944 avevano stabilito un regime di cambi fissi, con il dollaro americano a fare da divisa di riferimento convertibile in oro. Il bene-danaro era stato sganciato dalla competizione liberista e i tassi di costo dello stesso rimasero bassi per un periodo lungo, almeno fino alla crisi petrolifera e alla crisi del dollaro dei primi anni ’70. Anche alcune leggi ad hoc adottate nel New Deal rooseveltiano contribuirono a calmierare il costo del danaro e quindi dei finanziamenti, tra cui importante il Glass-Steagall Act varato dal Congresso U23
SA a metà degli anni ’30, dopo la paurosa recessione economica conseguente al crollo del 1929, per limitare le più azzardate speculazioni finanziarie del sistema bancario. La legge fu abrogata sotto la Presidenza Clinton, negli anni ’90, nel clima di entusiasmo liberista dopo il crollo del comunismo, ma questa è un’altra storia. Valendosi delle predette favorevoli condizioni di base, l’Italia produsse la ricostruzione e poi il decollo economico, con alcuni provvedimenti e azioni positive, veri e propri pilastri per un ammodernamento e miglioramento della vita sociale, che ben presto prese la forma di una mutazione antropologica della società. Sostanzialmente ci fu la transizione da un’economia contadina, di semplice sussistenza in molte regioni, a un’economia su base industriale. I pilastri furono l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, la Riforma agraria, la Riforma tributaria varata da Ezio Vanoni, la politica dell’energia e delle materie prime a buon mercato voluta da Mattei per gli idrocarburi, ma anche da Oscar Sinigaglia per l’acciaio, e, infine, l’adozione del Piano INA-Casa di Fanfani. Tutto ciò fu un volano per l’aumento dell’occupazione, per il miglioramento delle infrastrutture, per il raggiungimento di migliori condizioni di vita dei cittadini. Un ruolo importante lo svolse anche l’IRI, costituito durante il Fascismo per la ricostruzione delle industrie fallite in seguito alla crisi economica, caratterizzato, come la Casmez, almeno fino agli anni ’60, da indipendenza dalla politica e da grande qualificazione tecnico-professionale dei suoi esponenti, uomini validissimi come Alberto Beneduce, Donato Menichella, Pasquale Saraceno, Sergio Paronetto, Gabriele Pescatore. Quella ricostruzione e quel primo sviluppo dell’Italia dopo la crisi della guerra mondiale presentarono anche aspetti oscuri e negativi. Un grande studioso come Paolo Sylos Labini disse che l’Italia nel dopoguerra aveva fatto un grande sviluppo economico ma pochissimo sviluppo civile. I punti critici furono la devastazione dell’ambiente, la repressione dei diritti e dei salari dei lavoratori, 24
l’abbandono di alcune regioni alla criminalità organizzata, la crisi delle infrastrutture, ospedali, scuole, trasporti, alloggi nei grandi centri urbani del triangolo industriale affollati da milioni di nuovi immigrati. Ciò fu causato dall’incapacità di governare con una razionale programmazione lo sviluppo, lasciato invece a se stesso. Uno sviluppo tumultuoso e confusionario, caratterizzato dalla mancata attuazione di riforme fondamentali, come quella urbanistica, da una spesa pubblica ben fuori controllo per i troppi sperperi della politica e della società civile, con il risultato di un debito pubblico il cui peso ha sempre impedito il miglioramento delle condizioni del sistema-paese. Una causa importante di questi intoppi fu dovuta all’eccessiva volatilità dei governi, quasi 50 nel primo mezzo secolo dell’Italia repubblicana, nonché alla litigiosità del ceto politico e della classe dirigente, che hanno frenato l’adozione di misure programmate per durare nel tempo, C’è da sperare che questi difetti e questi scacchi non si ripetano nella fase di uscita dalla crisi pandemica mediante l’utilizzo delle grandi risorse del Recovery Plan. Certo, non ci saranno comunque, a livello mondiale, quelle condizioni favorevoli del dopoguerra, almeno fino a quando ogni potentato economico o politico mondiale continuerà a sfruttare in modo tumultuoso e ingiusto le risorse del pianeta e a ledere i diritti dei lavoratori. Bene ha detto il costituzionalista Luigi Ferraioli nel suo ultimo libro ”La costruzione della Costituzione” che dalle crisi e dal malessere non se ne esce se non si stabiliscono garanzie planetarie, come un Demanio mondiale di beni indisponibili perché comuni e soprattutto se non si costituirà, dopo lo Stato di diritto nato dalle lotte liberali e democratiche del recente passato, anche un “Mercato di diritto”, cioè norme cogenti che impediscano al Mercato di sfruttare a piacimento uomini e risorse naturali di questo pianeta. 25
Politica
Quale gobba? Antonella BUCCINI
A chi avrebbe voluto obiettare che la sua non può essere considerata un’attività privata, che non si prendono soldi da chi commissiona omicidi, che evocare un nuovo rinascimento in un paese che viola sistematicamente i diritti umani è quantomeno inquietante, che invidiare il loro costo del lavoro è sospetto, il senatore Renzi ha risposto. 26
Da uomo pratico, senza perdere tempo con gli orpelli della democrazia, pur avendo promesso una conferenza stampa, all’esito della crisi di governo che ha orgogliosamente provocato, si è fatto un po' di domande. Da solo. Ed è riuscito a rispondersi con piglio netto e senza tentennamenti. Anzi, le ha pure numerate, le domande e quindi le risposte, casomai nella confusione esistenziale dei lettori, non fosse tutto chiaro. Si è detto, un po' provocatorio con se stesso in verità, tra l’altro, che lui non scappa mai davanti ai problemi e ha tenuto il punto. Ha aggiunto pure che non è pentito. Precisamente si è detto spiegando per bene per non fraintendersi: “Non sono pentito Vision 2030 è la più grande possibilità per modernizzare l’Arabia Saudita attraverso una serie di iniziative nel mondo del turismo, dell’innovazione, delle infrastrutture, dell’intelligenza artificiale. Ed è una grandissima opportunità per le aziende di tutto il mondo che lavorano lì, tra cui moltissime italiane”. Assolto. Sembra proprio che il senatore Renzi voglia ispirarsi, nella sua attività di parlamentare d’assalto, a Igor (Aigor!). “Quale gobba?” rispose sorpreso Igor al dr. Frankenstein che si offriva di guarirlo dalla voluminosa deformazione che sporgeva dal mantello nero. (Frankenstein Junior di Mel Brooks, 1974)
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Cultura e Politica
Evoluzione e non Rivoluzione Chiara TORTORELLI
Un articolo di Alessandro Baricco uscito qualche giorno fa tra le pagine de Il Post riflette sui nostri tempi e sottolinea la necessità di una nuova intelligenza che prenda il posto dell’Intelligenza del Novecento, Baricco definisce la vecchia intelligenza parcellizzata, focalizzata esclusivamente sulla tecnologia e sulla razionalità. Scrive Baricco: “Una certa ottusa razionalità meccanica si è a tal punto fissata sulla soluzione di un problema, da perdere di vista il quadro più complessivo della faccenda, vale a dire quel che chiamiamo il senso della vita. È già successo ripetutamente con le guerre del secolo scorso: l’ossessiva applicazione razionale alla soluzione di un problema (lì spesso era politico/sociale) portava regolarmente a un crollo del valore della vita umana e a una colossale mortificazione del diritto all’esperienza e alla felicità. È un errore che conosciamo, è generato dall’indugiare eccessivo su un frammento, nell’incapacità di avere uno sguardo generale, più alto, più dall’alto. Un deficit di intelligenza”. Si conclude l’articolo con una domanda, l’autore si interroga se questa nuova Intelligenza non sia l’Intelligenza digitale che si appresta a dominare il mondo. 29
Saremo dunque preda dell’intelligenza artificiale o c’è un altro tipo di Intelligenza che può nascere dalle macerie del pensiero post industriale? Dice il filosofo Galimberti che stiamo vivendo il tempo in cui ci domina un’angoscia esistenziale che non è paura, alle prese con i nostri fantasmi più reconditi. Ma non è nella vita virtuale o nell’intelligenza digitale che possiamo trovare la risposta. Urge un’intelligenza nuova, meno meccanica, iper razionale, scientista. Urge un'intelligenza ad ampio respiro, qualcosa che potrebbe chiamarsi Consapevolezza. Gli antichi insegnamenti spirituali buddisti insistono su un aspetto fondamentale, che sembra richiamare l’iper connessione dei nostri tempi ma che non si lega all’aspetto virtuale, riflette una condizione energetica. Siamo interconnessi e interdipendenti, tutto è interconnesso non c’è divisione se non apparente, quindi ciò che riguarda un aborigeno australiano o un peruviano o un eschimese mi riguarda profondamente perché l’energia che muove il mondo non conosce separazione. Inoltre, si dice nel buddismo che se si vuole cambiare il mondo non serve a nulla partire dal mondo bisogna partire dalle cellule del mondo. E le cellule del mondo siamo noi… Tuttavia io non conosco la cellula di un altro e non posso cambiare certo la cellula di un tizio che vive a Timbuctu… io conosco solo la mia cellula e posso anzi devo partire proprio da lì. Il cambiamento quindi, qualunque cambiamento, parte da me. Ecco perché nel buddismo non si parla di “rivoluzione”, la rivoluzione nasce su un senso di separazione, ci sono io qui e un altro diverso da me, e io devo agire una rivoluzione, qualcosa quindi che ha insito un atto di violenza, per mutare uno status quo. Ma non funziona così. Capita infatti che ogni rivoluzione sia un cambiamento solo apparente, prima o poi tutto ritorna esattamente allo stadio precedente che ha prodotto la rivoluzione, perché nel mondo c’è una sorta di forza di inerzia che riporta allo stato di partenza l’azione. Cosa invece produce il reale cambiamento? Dobbiamo parlare di “evoluzione” non di “rivoluzione” si dice nello Dzogchen, un prezioso Insegnamento del Buddismo tibetano. La rivoluzione è esterna, vuole cambiare il mondo, l’evoluzione invece parte da se stessi, e comincia nel punto esatto dove nasce la consapevolezza. Ma cos’è la consapevolezza? E perché potrebbe essere l’Intelligenza dei nuovi tempi? Siamo abituati a guardare la realtà attraverso degli occhiali, guardiamo il mondo, 30
lo giudichiamo, riteniamo che vada bene o male, e sviluppiamo sempre di più quella che Gurdjieff, un uomo straordinario del Novecento, maestro spirituale e fautore della “Quarta via”, chiamava “considerazione esterna”, una specie di prigione dorata in cui naufraghiamo e dove cerchiamo di cambiare il mondo giudicandolo col filtro mentale e considerandolo in termini dicotomici di bene/male. Ma il mondo è complesso, è oltre la mente che ha davvero pochi strumenti per approfondire la natura verticale dell’esperienza. Serve uno strumento che superi la dicotomia del giudizio che ci fa impantanare nella separazione, che poi diventa posizione, che poi diventa muro, che poi diventa guerra. Bisogna volgere quindi lo sguardo non all’esterno ma all’interno, non guardare il mondo di fuori con degli occhiali, ma metaforicamente servirsi di uno “specchio” si dice nell’Insegnamento Dzogchen. Cosa è uno specchio? È uno strumento che ci permette di non spezzare quel legame che unisce noi e gli altri, ciò che vediamo all’esterno e ciò che avviene all’interno. Nel mondo dell’energia infatti è tutto legato. Immaginiamo un unico campo di neutroni protoni elettroni immerso in un vuoto che non è vuoto ma è realtà potenziale non ancora manifesta. Lo specchio ci permette di conoscere prima di tutto noi stessi e poi di “riconoscere” il riflesso, cioè di vedere che gli altri non sono diversi da noi e che il mondo non è mai un mondo “oggettivo” ma profondamente emozionale, cioè colorato della luce della nostra soggettività. Cosa vediamo dunque “fuori”? Il riflesso di ciò che ci anima, il nucleo caldo delle nostre emozioni negate, le cose che amiamo e che aborriamo, le paure, gli attaccamenti, le impronte e gli idola che proiettiamo esternamente a noi per poterli “conoscere”. Da qui parte la Consapevolezza, un’intelligenza che non si muove sul terreno del contrasto e della dicotomia, ma sulla base dell’incontro e del riconoscimento. Ed è un’Intelligenza potentissima. Perché attraverso la Consapevolezza, possiamo costruire nuove Comunità umane rette da qualcosa di molto diverso dal profitto. Quel qualcosa si chiama rispetto, rispetto tra gli uomini e rispetto profondo e istintivo tra l’uomo e la Natura. Facciamo tutti parte di una stessa barca. E camminando insieme possiamo fare miracoli straordinari, che si chiamano appunto “Evoluzione”, “Nuovo Mondo”. 31
Politica
Cambierò, giuro cambierò Raffaele FLAMINIO
L’unica cosa certa desumibile dal dibattito (Next Generation eu) che si è sviluppato in Europa ai tempi del Covid, sono le cifre che sono ingenti, oltre 700 miliardi di euro con la possibilità di un aumento progressivo via, via, che la crisi sanitaria lo richieda. Al nostro Paese ne sono stati destinati oltre 200 miliardi di euro. Le linee guida espresse dalle autorità continentali raccomandano di stilare, per i Paesi membri, dei piani nazionali. Il nostro è chiamato PNRR (Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza). Questa immensa mole di danaro a cosa deve servire? A quali impegni dobbiamo far fronte? Di chiacchiere sull’argomento ne sono state fatte tante, uno Tsunami di parole e buoni propositi sfociati nell’onda lunga di una crisi di Governo e Istituzionale che noi cittadini ed elettori non abbiamo capito. Non abbiamo capito il perché la politica non l’abbia compreso e non l’abbiamo capito per la scelta temporale se, consideriamo la gravità dei tempi che sono drammatici. Ai sondaggi erogati, post crisi di Governo, le nostre risposte sono state sempre le stesse, lavoro si32
curo e certo, fiscalità equa, e ambiente. Tutte legate ad uno stesso filo: la rivoluzione verde che è la premessa di tutti i documenti editi dalle autorità continentali e nazionali. Le urgenze rilevate, poi, dai rapporti Istat, Cnel. Bankitalia, Eurostat, Commissione Europea e altri istituiti di ricerca statistica, sono relative ai cambiamenti climatici e l’utilizzo corretto e responsabile delle risorse del pianeta, indicando anche le strade e le strategie da percorrere per avviare e accompagnare il Cambiamento. Il nostro Paese nei suoi fragili e friabili intendimenti sulla transizione ecologica ha appostato nel PNRR circa 69 miliardi di euro, un terzo circa di tutte le risorse disponibili per l’Italia. Le industrie dell’energia in Italia sono tutte di Stato, sarà pur possibile imbastire uno straccio di programma che non sia solo pubblicità ingannevole? È possibile creare una sinergia tra i due colossi dell’energia nazionali, con progetti condivisi e consequenziali alle riduzioni delle emissioni di CO2 in linea con la Conferenza di Parigi? Sembra che gli avvitamenti della politica, denunciati in questo frangente, non affrontino né la verità dei numeri né la strutturalità dei fenomeni climatici. Il tentativo, misero, della messa al bando del CTS (Comitato Tecnico Scientifico) nel nostro Paese ne è l’emblema. Non si capisce perché i numeri dell’economia siano cifre più attendibili di quelli che riguardano quelli della scienza che studia i fenomeni dell’emergenza climatica. I numeri che la natura ha proposto durante il prolungato blocco delle convenzionali attività umane, sono stati inoppugnabili e chiari. Tutti gli indici di monitoraggio dell’inquinamento sono velocemente precipitati, un’indicazione chiara e inappellabile: il nostro modello di sviluppo è vetusto, costoso, mortale. E’ di soli pochi mesi fa l’applauditissimo discorso di Greta Thunberg, la giovanissima attivista svedese per lo sviluppo sostenibile, intervenuta all’assemblea Onu su cui incombeva l’imbarazzante presenza di Donald Trump. Ora lo scenario è di nuovo cambiato. L’ultimo brandello di scuse possibili è stato, dolorosamente, estirpato; dunque, gli accordi sanciti dalla conferenza di Parigi possono viaggiare spediti. Ognuno deve fare la sua parte. Quale parte vorrà svolgere l’Italia è scritto nel PNRR, un documento di 160 pagine stilato dal precedente Governo e ritenuto utile e valido, suscettibile di poche modifiche, dal nuovo Presidente del Consiglio incaricato. Diviso in molti capitoli di spesa descrive e circoscrive le aree d’intervento, tentan33
do di individuare il da farsi, la lettura delle sue pagine appare semplice e scontata e non può essere che così. Gli indirizzi sono tracciati e identificabili. Gli interventi primari sarebbero da definirsi sulla salvaguardia del territorio (coste, montagne, bacini idrici, fiumi) tutti interventi già sentiti e urgenti. Quali invece le competenze e le intelligenze da utilizzare sono un mistero, o forse no. Le parentele e i nepotismi sono noti; è solo questione di peso e forse di prezzo da pagare. Terremoti e disastri accaduti sono ancora lì, difficili da dimenticare e digerire. Speriamo nel tempo stabile e sereno dopo i nubifragi da incentivi ed eccezioni. Un Paese come il nostro che è in decrescita demografica, affetto dal terrore dell’altro, con una scuola senza indirizzo e abbandonata ‘all’autonomia’, una pubblica amministrazione che si regge ancora sui timbri, che favoleggia di magnifiche e miracolose app, come può sostenere la digitalizzazione strombazzata? Provate a fare lo spid con la app delle poste e ditemi se non è meglio fare la fila fuori all’ufficio postale piuttosto che sentirsi ripetere riprova. Dal nulla alle stelle, le idee senza infrastrutture sono chimere. La crisi del clima è incombente, come è più della crisi sanitaria che stiamo attraversando. Sono previsti aumenti della temperatura di circa tre gradi centigradi rispetto all’epopea preindustriale, almeno fino al 2050. È facile ipotizzare l’effetto a catena che si produrrà sul Pianeta. Le emissioni globali, dei gas serra, continuano ad aumentare, sono circa 50 miliardi di tonnellate ogni anno rilasciate in atmosfera, nonostante la ratifica del trattato di Parigi. In sette anni, secondo il calcolo compiuto dagli esperti, possiamo giocarci o no il jolly di contenere il surriscaldamento a 1,5 gradi centigradi. Le fonti di energia rinnovabili per i sistemi produttivi ed infrastrutturali comprendono l’energia idroelettrica, solare, eolica, geotermica, bioenergetica, del moto ondoso e delle maree. Tutte materie prime disponibili e biocompatibili. Parliamo di economia circolare e di risorse fino ad oggi ritenute perpetue se responsabilmente utilizzate. Proviamo a pensare all’acqua delle continue alluvioni che colpiscono il nostro Paese se fossero convogliate e sfruttate correttamente quale giovamento ne trarremmo. Proviamo a pensare alle legislazioni emergenziali continue che divorano spaventose quantità di risorse economiche. Proviamo a pensare di immettere in atmosfera vapore acqueo, piuttosto che anidride carbonica. Proviamo a progettare un mondo nuovo indirizzato al Cambiamento. Resta da vedere se il calo delle emissioni da carbonio sia contingente alla pandemia o un ripensamento generale sia in atto. Il ritorno degli U.S.A. negli ac34
cordi di Parigi e l’intenzione cinese di anticipare il calo delle emissioni nocive entro il 2030, potrebbe far ben sperare ma, siamo, purtroppo solo nelle ipotesi. Decarbonizzare velocemente le attività umane è un imperativo, partendo dalle principali che sono la generazione elettrica e di calore (30%) agricoltura e allevamento (18%) trasporti (18%). Il Grenn New Deal Europeo, l’impegno della Cina ad azzerare entro il 2060 le sue emissioni nette e i duemila miliardi, corrisposti in un piano pluriennale, dalla nuova amministrazione Biden lascerebbero ampi spazi al Cambiamento. La banalità del cambiamento delle nostre abitudini alimentari rispetto, anche solo al consumo delle carni (rosse prevalentemente) al netto della conservazione, delle lavorazioni, degli imballaggi, consumo di suolo, contribuirebbe a ridimensionare quel 18% attribuito, dagli studi, all’allevamento e all’agricoltura con le mono colture. Il circuito economico attuale è circolare, come circolare è il ciclo naturale, se si estrae fossile, si riceve carbonio nelle sue più svariate composizioni, la siccità, per esempio, è un agente e un reagente di ritorno. Dell’inquinamento dei trasporti e dell’industria sappiamo numeri, statistiche, malattie e conseguenze, il Covid 19 ha poi amplificato i fenomeni ma dibattiamo ancora, tutti e dovunque, di come arrivare al lavoro, a scuola, o solo fare una commissione. La risposta possono essere solo i monopattini? Oppure, sarebbe possibile immaginare e progettare le superfici delle città con i tram invece che con i bus, con traversine invece che asfalto? Con aiuole invece che transenne, con polizze assicurative senza RCA auto e polizze invece che promuovono la sostenibilità? Erogazione del credito che convogli il risparmio verso la produttività imprenditoriale ai fini della sostenibilità educando? Ciò si riferisce alla RSI (Responsabilità Sociale d’Impresa). Il compito della Politica è di affiancarsi alla scienza, saper leggere i numeri disponibili in gran quantità, per coniugarli con scelte coraggiose e responsabili con lo sguardo avanti e la schiena diritta, senza paternalismi, superbia e autoreferenzialità contribuendo, se è possibile, a coltivare un Cambiamento a cui noi ci dobbiamo affidare e contribuire a proporre. Se i partiti entusiasti e voltagabbana riusciranno a metterlo in atto questo e tutto da vedere. 35
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Religione e Politica
Tutti i fiori hanno un calice Rosanna Marina RUSSO
Immaginiamo un campo sterminato di fiori. Ogni fiore ha il suo profumo, la sua forma, il suo colore, un numero diverso di petali, l’altezza diversa; alcuni fiori sono terrestri, altri acquatici. Immaginiamo, insomma, che ci siano tutte le specie presenti sul nostro pianeta. Ebbene, la scienza ci dice che quella distesa colorata è composta di fiori e non di altro, perché spogliando i fiori dei loro colori e dei loro profumi, della loro altezza e del luogo in cui vivono, rimangono delle caratteristiche essenziali e comuni. Non è, infatti, possibile che i fiori esistano senza polline e senza un calice che lo raccolga. Il fiore, anche se vestito in maniera diversa, anche se ci appare diverso, anche se vive in zone diverse, anche se si rivela a noi con un linguaggio diverso, è sempre fiore. Questa la ragione del viaggio di Bergoglio in Iraq, questa l’essenza del suo discorso prima della partenza: mettere in evidenza il nucleo fondativo 37
delle tre religioni monoteiste più grandi al mondo, rappresentato dalla venerazione per il profeta Abramo, in una terra che è la loro culla. Il papa, con questo suo pellegrinaggio, ha raccolto il grido che viene da più parti, non solo dai cristiani, e si è fatto cassa di risonanza per promuovere la pacificazione e la stabilità di questo luogo martoriato, esigenze che appartengono a tutti. E proprio delle differenze che contengono l’uguale ha parlato Francesco, quando nella cattedrale di Qaraqosh ha detto : “Vedo le diversità culturali e religiose di Qaraqosh e questo mostra qualcosa della bellezza che questa vostra regione offre al futuro. La vostra presenza qui ricorda che la bellezza non è monocromatica, ma risplende per la varietà e le differenze.” Il Papa è atterrato proprio lì, nella città della piana di Ninive, dove vive la maggioranza cristiana più grande dell’Iraq. Ed è stato accolto dai cristiani siriaci come fu accolto Gesù al suo ingresso a Gerusalemme, come fu accolto Giona, il predicatore della verità: con palme agitate e canti in aramaico. Ma i canti, stavolta, sono stati composti anche dai musulmani, perché la tranquillità, la serenità del vivere quotidiano non è il desiderio solo di una parte, ma dell’intera umanità. Visibili sono ancora in quelle zone le ferite causate dall’odio religioso o che appaiono motivate da risentimento religioso. La stessa cattedrale di Qaraqosh, ora ricostruita, fu bruciata. Le sue statue vennero decapitate, i libri sacri furono buttati al rogo e il coro fu usato come poligono di tiro. È a Mosul, dove ancora sono presenti le macerie della guerra, che il Papa ha detto: “Qui a Mosul le tragiche conseguenze della guerra e delle ostilitá sono fin troppo evidenti. Com’è crudele che questo Paese l’Iraq, culla di civiltá, sia stata colpita da una tempesta così disumana, con antichi luoghi di culto distrutti e migliaia di persone, musulmani, cristiani, jazidi che sono stati annientati.” Questa è la Mesopotamia, terra che per secoli è stata pacifica e che ha visto nascere e poi farsi florida una civiltà multietnica e multireligiosa, ma che poi ha subìto delle brusche interruzioni in questo suo percorso di crescita. E molto è successo negli ultimi 30 anni. Abbiamo visto la drammaticità di ciò che è accaduto durante e dopo le operazioni militari americane, quelle definite Desert storm del 1990-91 e la Iraqi freedom 38
del 2003, e tutte le guerre che portarono alla fine del regime di Saddam Hussein e poi l’invasione da parte dell’Isis dal 2014 al 2017 che ha sparso delirio e terrore un po’ in tutto il paese. Prima del 2003 i cristiani erano circa 1 milione e mezzo e ora sono 300.000. Un esodo che non ha fatto del male solo a chi lo ha vissuto, ma che ha impoverito lo Stato islamico che li ha rifiutati. Da quel momento in poi il problema della mancanza di sicurezza e di stabilità ha favorito la crisi economica e l’avanzata della disoccupazione e della corruzione e il dramma di questo milione e mezzo di sfollati cristiani interni ha ovviamente messo a dura prova i progetti di sviluppo dell’Iraq. Ricordiamo che la pace non è soltanto una richiesta dell’anima, lo è certamente in maniera prioritaria, ma è il terreno nel quale tutte le potenzialità di un popolo possono liberamente svilupparsi. il Papa ha messo l’accento proprio su questo a Mosul. Lì ha incontrato Najeeb Michaeel, Arcivescovo di Mosul e Aqra dei Caldei, ma anche Gutayba Aagha, musulmano sunnita, Capo del Consiglio Sociale e culturale indipendente per le famiglie di Mosul che ha invitato la comuntá cristiana a ritornare a Mosul e ad assumere “ il ruolo vitale che le è proprio nel processo di risanamento e di rinnovamento”. Ma Francesco ha aperto un dialogo anche col mondo sciita, divenendo ponte al contempo, tra sciiti e sunniti. Ha, infatti, visto il grande ayatollah Alì al-Sistani, un incontro di particolare significato dopo la dichiarazione del 2019 di fratellanza con i sunniti di Al-Azhar. E storico per più versi, visto che lo ayatollah per la prima volta si è alzato in piedi all’ingresso di un capo di stato. Tutti hanno espresso la volontà di costruire un futuro fatto di unità, di collaborazione e di pace. Papa Francesco, che ha innalzato in questi luoghi una preghiera per tutte le vittime delle guerre, ha soprattutto espresso un concetto che si collega strettamente al pensiero di un altro Francesco che intraprese un altro viaggio per la pacificazione di un altro territorio. “Se Dio è il Dio della vita – e lo è –, a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome. Se Dio è il Dio della pace – e lo è –, a noi non è lecito fare la guerra nel suo nome. Se Dio è il Dio dell’amore – e lo è –, a noi non è lecito odiare i fratelli». 39
Lavoro
I diritti degli ultimi Aldo AVALLONE
Marco Tuttolomondo è un signore quasi cinquantenne con una folta barba bianca a incorniciare un viso aperto e gioviale. Fino a pochi mesi fa era uno sconosciuto che in sella al suo ciclomotore consegnava cibo a casa dei palermitani per la Glovo, la multinazionale spagnola leader delle consegne a domicilio. Dal novembre scorso è diventato il rider più famoso d’Italia. Licenziato senza alcun preavviso, con il pieno appoggio del suo sindacato, la Cgil – Nidil, e si è rivolto alla magistratura per ottenere il riconoscimento dei suoi diritti. E parafrasando Brecht possiamo affermare che esiste un giudice a Palermo. Il Tribunale del Lavoro, con una sentenza mai emessa prima per un rider, ha ordinato l’assunzione a tempo indeterminato di Marco con inquadramento nel sesto li40
vello del contratto collettivo del Terziario. Ora non lavorerà più a cottimo ma con paga oraria. Appena tre mesi dopo il Tribunale di Milano ha erogato ammende per ben 733 milioni di euro alle aziende proprietarie delle piattaforme digitali di consegne a domicilio, con l’obbligo di assumere con contratto di collaborazione coordinata e continuativa entro tre mesi i sessantamila rider che, finora, hanno prestato la loro opera come lavoratori autonomi. Si tratta di due provvedimenti diversi ma sinergici che hanno avuto il merito enorme di scoperchiare quella grande pentola, finora ermeticamente chiusa, nella quale si sono bruciati per anni i diritti dei tanti lavoratori del settore che negli ultimi tempi, anche a causa delle restrizioni dovute alla pandemia, ha avuto uno sviluppo rilevante. Un esercito di sessantamila uomini, la maggior parte ragazzi ma come si è visto con Marco Tuttolomondo anche non più giovani, che ogni giorno, a qualsiasi ora, con la pioggia o con il sole, ha consentito agli italiani di avere il cibo, ogni tipo di cibo, fino dentro casa, guadagnando due o tre euro a consegna. Naturalmente senza ferie né alcuna tutela per le malattie, che rischia ogni giorno anche aggressioni e rapine. Ora la parola deve passare alla politica. È doveroso un intervento per giungere a una soluzione definitiva della questione e che, soprattutto, garantisca effettivamente l’applicazione delle norme a tutela dei lavoratori. Occorre una forte mobilitazione, e la sinistra dovrà farsene promotrice, affinché venga finalmente ridimensionato il ruolo predominante del “capitalismo digitale” delle piattaforme in nome della lotta al precariato e della difesa dei diritti del lavoro. 41
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Cultura
Quindici minuti di… immortalità Antonella BUCCINI
“Tutto si cancellerà in un secondo. Il dizionario costruito termine dopo termine dalla culla all’ultimo giaciglio si estinguerà. Sarà il silenzio, e nessuna parola per dirlo. Dalla bocca aperta non uscirà nulla. Né io né me. La lingua continuerà a mettere il mondo in parole. Nelle conversazioni attorno a una tavolata in festa saremo soltanto un nome, sempre più senza volto, finché scompariremo nella massa anonima di una generazione lontana” (Gli anni di Annie Ernaux). E invece no. A sostenerlo è Pupi Avati nel film “Lei mi parla ancora”. Il racconto di un malinconico spaesamento nello scenario, caro al regista, della pianura padana. In un’atmosfera rarefatta di nebbia, neve, freddo, Nino continua a tenere vivo il dialogo con la sua sposa che dopo sessantacinque anni lo ha lasciato per sempre. Lo ha lasciato ma è ancora con lui, ne è convinto, in nome di quel patto stretto il 43
giorno del matrimonio: se ci doneremo amore infinito saremo immortali. A fronteggiare la quieta e straziante solitudine dell’uomo arriva Amicangelo un non più giovane ghostwriter ingaggiato dalla figlia per spingere il padre a dettare le sue memorie e sedare in qualche modo la sofferenza. Sulle note di “Non partir”, canzone celebre degli anni ‘50, i flashback raccontano gli incontri di Nino e Caterina sulle rive del Po, le origini benestanti di lei, il sospetto della più umile famiglia di lui, la felicità nella casa della vita, casa museo per le tantissime opere d’arte che raccoglierà. La vita sentimentale e professionale dell’aspirante scrittore, pure aggrovigliata in un’irreparabile frustrazione, e quella dell’anziano farmacista, ancora stretta ad un amore che la morte non consuma, alla fine, troveranno una comune assonanza. Quando si è vecchi non ci si abbraccia più, è la cosa che non riesco a perdonarmi, scrive Amicangelo nell’ultimo capitolo suggerendo al vecchio farmacista una nuova consapevolezza. Una seduzione che lo scrittore mancato ha subito dal racconto di un amore difeso e custodito con pazienza, comprendendone il senso e la leggerezza. Nino congederà il nuovo amico per l’ultima volta con le parole di Cesare Pavese: L’uomo mortale non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia. Ne avevamo bisogno. Di una favola, forse, di una speranza sicuramente. In questo tempo effimero e doloroso, provando a non abdicare alla solidarietà, alla responsabilità, all’accoglienza, magari, a quella tavolata in festa evocata da Annie Ernaux, avremo lasciato ancora un ricordo prima di scomparire “nella massa anonima di una generazione lontana”, e potremmo guadagnarci una quindicina di minuti di immortalità. 44
Turismo
Glamping, il campeggio si veste di lusso Veronica D’ANGELO
Siamo a marzo, l’estate non sembra poi così lontana e il bel tempo comincia a farci sognare spostamenti senza restrizioni e, magari, finalmente una vacanza. Diciamoci la verità. Chi di noi in questi mesi non ha immaginato di rilassarsi in un luogo incontaminato, circondato dalla natura, dove placare al contempo il bisogno di spazi aperti e le ansie da distanziamento sociale? Il 2020 è stato caratterizzato dalla crescente attenzione verso forme di turismo len45
to e green, passeggiate giornaliere nei parchi, pic-nic in campagna, trekking, cammini di più giorni. Eppure, non tutti hanno la preparazione e la tempra fisica per affrontare lunghe camminate, magari con lo zaino in spalla. La soluzione per non rinunciare né al comfort né alla natura esiste. Avete mai sentito parlare del Glamping? Nuovo termine, nato dalla fusione di glamour e camping, per descrivere i campeggi caratterizzati da tende e alloggi eco-compatibili super accessoriati e immersi nel verde, con letti soffici, bagno in camera e altri tipi di comodità. L’idea, che riprende la formula dei lodge africani, asseconda l’esigenza di un turismo alternativo che coniuga la voglia di contatto con la natura e il bisogno di dormire in un ambiente comodo e rilassante, e si è evoluta fino a contemplare servizi di lusso. E allora dimenticate i bagni comuni, le piazzole, i sacchi a pelo, il libretto di istruzioni per montare la tenda…il vecchio campeggio ha ceduto il passo ad alloggi degni di una stanza d’albergo e curati nei minimi dettagli: tende di lusso, dotate di aria condizionata, doccia idromassaggio, barbecue in giardino o terrazza vista mare. Ma anche casette con bagno, cucina moderna e spazio esterno attrezzato, oppure sospese in aria! Un campeggio chic, direi, che combina comfort, lusso, design ed ecologia. La caratteristica di queste strutture, infatti, è che sono ideate per essere ben integrate con l’ambiente circostante, costruite con materiali eco-compatibili e a basso impatto ambientale. In alcuni casi anche gli arredi sono fatti di materiale riciclabile o biodegradabile. Ma non si tratta solo di lusso. Col tempo, infatti, dalle tende si è passati ad alloggi 46
di ogni tipo, purché adattabili all’ambiente da un punto di vista estetico ed energetico. Si può dormire in tende tepee indiane, molto di moda nei glamping in America, safari lodge, ma anche in comode grandi botti all’interno di un vigneto, come tra le colline del prosecco, o in “bolle” trasparenti da cui poter guardare il cielo come se fossimo distesi su un plaid in mezzo al bosco, ad esempio in Cile o in Basilicata. Tra le opzioni ci sono perfino autobus, pulmini o vecchie carrozze-treno dismessi, soprattutto nel Regno Unito. Per non parlare delle case sugli alberi, le Glamping Tree House: ce ne sono dappertutto, dalla foresta australiana a Viterbo. Certo, non sono quelle che ricordavo. Molti anni fa, in Turchia, ho dormito in una casetta di legno sull’albero, era così piccola che c’entrava quasi solo il materasso. Non c’erano finestre e di notte, nel buio più assoluto, scendere con la torcia per cercare il bagno fu un’esperienza piuttosto avventurosa! Oggi anche le case sugli alberi sono diventate confortevoli, a uno o due piani, con toilette e porte-finestre per godersi il panorama. Perché non approfittarne? I costi del glamping, infatti, sono variabili, in proporzione all’esclusività del luogo, alla tipologia di alloggio e ai servizi offerti. Ce n’è per tutte le tasche. Si va dai 20 euro al giorno a persona, per una tenda confortevole e accessoriata su una spiaggia pugliese, fino ai 2.000 dollari a notte, che per un periodo hanno contraddistinto l’esperienza di urban outdoor più esclusiva di New York: dormire all’aperto sul terrazzo di un noto albergo con vista sul Central Park, dotato di caminetto e telescopio per osservare le stelle. Eccessivo? Forse sì. Infatti, è durato poco. Quel che conta, in fondo, è il fatto che il concetto di lusso si sia evoluto e che possa coniugarsi con quello di turismo sostenibile e rispetto per l’ambiente, che ci sia una ricerca di materiali che limitino il più possibile l’impatto sulla natura e il consumo di energia. E se di certo manca un po’ il fascino rude del campeggio 47
“classico”, a chi non piacerebbe poter dormire in un bosco, ammirando il cielo stellato da un comodo letto e vedersi arrivare una ricca colazione in camera il giorno dopo? Perché, in fondo, come disse qualcuno, tutti vogliono tornare alla natura, ma nessuno vuole andarci a piedi.
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Racconto
Come si cresce Lucia COLARIETI
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La piccola Ester avrebbe ricordato molto bene quel giorno: avevano consegnato a casa sua il primo apparecchio radiofonico. Stava osservando incantata il grande mobile al centro del soggiorno che era enorme e molto più alto dei suoi cinque anni, quando dal corridoio delle stanze si affacciò Enrico, il giovane la guardò con un sorriso canzonatorio mimando una grande meraviglia e scimmiottando la sua espressione stupita. L’appartamento all’ultimo piano di Piazza teatro San Ferdinando, dove Ester abitava con la sua famiglia, era grande abbastanza da consentire di fittare due stanze agli studenti fuori sede, Enrico era uno di loro. In quei tempi, un po’ difficili per le leggi fasciste, il papà commerciante di fiori di stoffa arrotondava le entrate con i soldi degli studenti. La mamma, nei giorni precedenti, aveva parlato di un nuovo ragazzo che veniva da un paese del Cilento, ma la bambina non lo aveva ancora visto. Lei era piccola ma osservava molto in quella casa piena di gente: clienti del padre, amiche della mamma, gli studenti seri, compassati, allegri, spensierati. Lui, l’ultimo arrivato dal Cilento, si stava dirigendo verso il bagno con l’asciugamano sulle spalle e il sapone tra le mani, era l’ora di prepararsi per uscire. Lei sostenne lo sguardo e gli domandò a raffica: «Chi sei, che fai, cosa studi, da dove vieni?» «Ciao, mi chiamo Enrico Briganti» rispose lui. «Piacere Ester». «Studio, ingegneria». Lei lo fissò stupita, sembrava una cosa davvero difficile. Per quanto si sforzasse, quella materia strana non aveva a che fare con nessun mestiere che lei conoscesse 51
da vicino. Il giovane si accovacciò sul pavimento al fianco della radio, iniziarono insieme ad osservare meravigliati quel gigante di legno e ottone con due grandi manopole. Furono interrotti dal padre che chiese il silenzio a tutta la famiglia, fece accomodare la moglie sul divano e la sorella di Ester su una sedia. Si avvicinò all’apparecchio e con un gesto solenne girò una delle manopole, immediatamente un gracchio fortissimo invase la stanza e, sotto il gesto paziente dell’uomo, si trasformò nella voce di un signore che annunciava: “le cronache del regime”. La bocca spalancata di Ester fece morire dalle risate Enrico che la afferrò per la mano per andare a guardare il retro della radio. «Vedi» le sussurrò con aria complice «sai come funziona?» Di fronte agli occhi spalancati della bambina continuò: «Lì dentro ci sono dei piccoli uomini che parlano, cantano e suonano». La piccola non avrebbe mai osato mettere in dubbio quello che diceva un uomo grande e per di più studente di ingegneria, ma dentro di lei non era convinta di quella spiegazione. Non era possibile che un uomo entrasse là dentro, era semplicemente assurdo. Ma lui rideva e continuava a spiegarle di questi omini radiofonici e intanto lanciava occhiate furtive al balcone di fronte, dove si affacciava la giovane figlia dei vicini. Ester avrebbe voluto fare altre mille domande ma ormai l’interesse del ragazzo era rivolto altrove, lo lasciò alle sue storie e rimase ancora ad osservare e ascoltare il miracoloso apparecchio che continuava a riversare in casa le note di una canzonetta. Avrebbe ricordato per sempre il giorno in cui portarono il primo apparecchio ra52
diofonico in casa, quel giorno fu anche quello in cui Ester decise che avrebbe studiato ingegneria o come diavolo si chiamava. Avrebbe studiato tanto da avere gli argomenti per spiegare ad Enrico che la stava imbrogliando! (Dedicato alla mia mamma, laureata in Chimica Industriale il 21 marzo 1961)
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