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Il «cluster» di guerra economica nel Comando ISAF in Afghanistan del Gen. D. (ris.) Luigi Scollo
C
ome scrive il generale inglese Rupert Smith1, «la guerra come una serie di battaglie campali tra uomini ed equipaggiamenti, la guerra come evento decisivo di una controversia internazionale, la guerra industriale – una cosa del genere – non esiste più». Pur essendo la più vistosa, la forza armata è stata sempre soltanto uno dei tanti fattori del potenziale bellico e della preparazione e condotta della guerra. Ma dopo la fine della guerra fredda e la (temporanea) scomparsa di sfide globali all’Occidente, la nostra supremazia militare è risultata sempre meno dissuasiva, risolutiva ed efficace nel prevenire, affrontare e risolvere i conflitti sempre più complessi e interdipendenti scoppiati dopo il 2001 nel MENA (Middle East and North Africa) e gradualmente estesi fra il 2008 e il 2014 alla linea dell’Intermarium (dal Baltico al Golfo/Caspio) che da due secoli (dal 1807) rappresenta la cruciale linea di collisione geopolitica tra Occidente ed Eurasia. In questi conflitti – che la letteratura politico-strategica e le dottrine militari occidentali si sono invano arrovellate a definire nei modi più fantasiosi (asimmetrici, post-eroici, di quarta generazione, ibridi, ecc.) – hanno assunto crescente importanza le dimensioni meta-militari, tra cui il controllo delle attività economiche e finanziarie per colpire le fonti e le reti di finanziamento di organizzazioni terroristiche e insurrezionali e combattere abusi e corruzione che ostacolano il nation building nei teatri operativi. Questo articolo è appunto dedicato all’esperienza ISAF in Afghanistan.
1 Rupert Smith, The utility of force, A. Knopf, 2006