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Trading with Enemy Il commercio cinoamericano da Nixon a Trump di Paolo Balmas
L’
elezione di Nixon alla Casa Bianca, nel gennaio 1969, mise fine alla politica di non-riconoscimento e contenimento della Cina comunista iniziata nel 1949. Sin dal principio il nuovo presidente si propose di sfruttare l’antagonismo ideologico e geopolitico cino-sovietico, non solo per dividere il campo socialista ma anche allo scopo più immediato di privare Hanoi del supporto economico e militare cinese. In marzo gli scontri cino-sovietici sull’Ussuri, in settembre l’annuncio ufficiale del graduale ritiro americano dal Vietnam mutarono l’assetto geopolitico dell’Estremo Oriente, e consentirono di ufficializzare le relazioni cinoamericane fino ad allora mantenute a livello di incontri informali (136 in 16 anni) tra le rispettive legazioni a Ginevra (1954-58) e poi a Varsavia (1958-1970)1. L’occasione, passata alla storia come «ping-pong diplomacy», si presentò nell’aprile del 1971, durante un torneo di ping-pong in Giappone, quando la squadra cinese invitò l’americana in Cina. A giugno, negli stessi giorni in cui Washington si impegnava formalmente a restituire al Giappone la sovranità su Okinawa, gli atleti e i giornalisti statunitensi furono i primi americani a rimettere piede in Cina dopo più di vent’anni. Dalla diplomazia del ping-pong al WTO (1971-2001) In concomitanza col torneo, Nixon sospese l’embargo alla Cina in vigore da vent’anni, liberalizzando l’esportazione di tecnologie e prodotti strategici in precedenza soggetta ad autorizzazione del Tesoro. Le partite di ping-pong, inoltre, permisero di gettare le basi per i successivi incontri diplomatici. Il primo ebbe luogo il 9-11 luglio 1971, quando, sotto la coper-
1 Steven M. Goldstein, «Dialogue of the Deaf?: The Sino-American Ambassadorial-Level Talks, 1955–1970», in Robert S. Ross e Changbin Jiang (Eds), Re-examining the Cold War: U.S.-China Diplomacy 1954–1973, Harvard University Asia Center, 2001, pp. 200–37.