ASPETTI DEL GOVERNO SABAUDO IN SICILIA (1713-1718)

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Università degli Studi di Torino Dipartimento di Giurisprudenza

Tesi di laurea in storia del diritto moderno e contemporaneo

Aspetti del governo sabaudo in Sicilia (1713-1718) controversie sulla giurisdizione della Contea di Modica

Candidato

Relatore

Giancarlo Tantillo

Chiar.mo Prof. Enrico Genta

Anno Accademico 2014/2015

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Indice Generale Aspetti del governo Sabaudo in Sicilia (1713 – 1718) Controversie sulla giurisdizione della Contea di Modica Introduzione...............................................................................................4 1 - Cenni sulla Contea di Modica...............................................................6 1.1 Le contee di Ragusa e Modica ..............................................................................6 1.2 La Contea di Modica (1296 – 1812).....................................................................7 1.2.1 I Chiaramonte (1296 – 1392)..........................................................................8 1.2.2 I Caprera (1392 – 1480).................................................................................13 1.2.3. Henriquez de Caprera (1481 – 1703)..........................................................18 1.3 Modica: Un feudo senza Conte (1703 – 1729).................................................22 1.4 L'ultima Contea di Modica (1729 – 1812).........................................................22 2 - La controversa successione spagnola................................................24 2.1 Antefatti .................................................................................................................24 2.1.1 Vittorio Amedeo, Re di Sicilia (1713 – 1718).............................................26 2.1.2 Filippo V, sovrano in terra straniera.............................................................30 2.1.3 Le pretensioni..................................................................................................30 2.1.4 Un conflitto irrimediabile .............................................................................36 2.2 La perdita del Regno............................................................................................37 2.3 Epilogo: L'invasione della Sicilia ed i nuovi negoziati.....................................39 3 - La Giurisdizione del capo X...............................................................44 3.1 Due pretese non conciliabili................................................................................44 3.2 A difesa delle giurisdizione sabauda...................................................................51 3.2.1 Un Re deve tutelare i suoi sudditi ................................................................52 3.2.2 Il Re tutela i miserabili....................................................................................58 3.2.3 Solo il Re può concedere dilazioni e moratorie.........................................62 3.2.4 Spetta alla Regia autorità concedere il benefitio della cessione di beni e della dilazione quinquennale...................................................................................66 2


3.2.5. Un Conte non può aggraziare i delinquenti..............................................72 3.2.6 Il Re solo può delegare la giustizia...............................................................75 3.2.7 Il Re è il solo legislatore.................................................................................77 3.3 Una valutazione in conclusione...........................................................................81 Appendice A: Documenti editi.................................................................84 Documento I - Articolo V del trattato di Utrecht..............................................85 Documento II - Atto di cessione del Regno di Sicilia .......................................87 Appendice B: Documenti inediti..............................................................96 Documento I - Ristretto delle pretensioni del Procuratore Generale di sua Maestà Cattolica in Sicilia ........................................................................................................97 Documento II - Relazione fatta dal Conte di Robilant Consultore al Viceré .........111 Documento III - Consulta delli presidente Drago, Conte di Robilant ed Avvocati fiscali Perlongo e Virgilio divisi in sette articoli............................................................128 Bibliografia..............................................................................................172

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Introduzione Questo lavoro nasce dalla passione per la storia delle mie due terre: la Sicilia, mia terra natia ed il Piemonte, che mi ha adottato nei miei anni di formazione accademica. Iniziai ad approcciarmi a questo studio al terzo anno di università, in cui ancora non sapevo bene cosa avrei voluto fare; dopo qualche mese di riflessione, inquadrato il periodo storico ed il tema specifico, iniziarono le ricerche. Non sapevo dove e come muovermi, e che documenti cercare. Per questo andai in Sicilia e presso il caotico Archivio di Stato di Ragusa, sezione di Modica, iniziai a fare qualche ricerca sul breve Regno di Vittorio Amedeo II nell'Isola (1713 – 1718) e sui rapporti che la Contea ebbe con la Corona. Lì ebbi il colpo di fortuna! Un accademico locale mi suggerì che la storia di quel periodo era ancora fosca per molti storici, pochi erano i contributi degli studiosi e quasi tutto il ricco materiale si trovava a Torino. Ritornai di fretta e furia nella capitale Sabauda e con entusiasmo iniziarono così le mie infinite giornate all'Archivio di Stato in Piazza Castello e lì fu grande lo sgomento: lettere, pareri e relazioni sommergevano il Fondo Paesi – Sicilia. Sapevo dove cercare, cosa cercare ma non cosa trovare. Presa coscienza dei materiali a mia disposizione, negli anni seguenti ho cercato di individuare quelli che, dal punto di vista di un giurista quale mi accingo a diventare, potevano risultare pertinenti ad una tesi di laurea in storia del diritto. Inquadrati dunque i diversi pareri di grandi magistrati, giuristi locali e non, ho deciso di soffermarmi sulle pretese e sugli abusi perpetrati dal Governo Spagnolo su delle terre siciliane (con a capo la Contea di Modica) che lo scaltro Filippo V aveva mantenuto sotto la sua signoria in virtù dell'Atto di Cessione della Sicilia (1713). Le pretese erano molte, alcune più o meno fondate altre puramente strumentali, come si leggerà nelle pagine di questo lavoro; tra di esse particolare interesse da parte del Governo Sabaudo è dato alla giurisdizione ed al diritto di cassa (o di dogana) del Contado, in merito ai quali troviamo diversi pareri monografici, visto l'immensa importanza che questi diritti avevano per la Corona Sabauda. Arrivato a questo punto era tutto a mia disposizione, dovevo solo

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mettermi a studiare e scrivere queste pagine. Nei primi mesi del 2016, data con fatica e gioia l'ultima materia, mi sono dunque dedicato a tempo pieno alla lettura di questi documenti, soffermandomi sui pareri che analizzavano la consistenza e la circoscrizione della giurisdizione dei feudi mantenuti da Filippo V, le sue pretese in merito e le risposte date dal Governo Sabaudo tramite il Viceré Maffei, affiancato dal suo consultore giuridico Conte Nicolis di Robilant. Redatti i primi due capitoli che mi sono serviti da introduzione per dare un contesto a questo studio, ho iniziato un lungo lavoro di ricopiatura di due documenti che sono specificamente analizzati nell'ultimo capitolo, in cui alti magistrati ed il già noto consultore si soffermano con grande competenza ed abilità politica, che si estrinseca in toni estremamente pacati ed accomodanti, sulla giurisdizione del Contado di Modica e delle altre terre “ritenute”. Chi scrive spera che questo possa essere il primo passo per una lunga serie di lavori su questo interessantissimo aspetto del Governo Sabaudo in Sicilia, essendo estremamente ricco il materiale a nostra disposizione, e così poche le menti che ad oggi lo hanno studiato Giancarlo Tantillo

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Capitolo I Cenni sulla Contea di Modica Nel delineare la storia della Contea di Modica ci si limiterà a ripercorrerne le vicende di realtà feudale1, a partire dai feudi che ne rappresentano il preludio e dalla prima investitura della stessa nel 1296 a Manfredi I Chiaramonte, fino alla data dell'abolizione del feudalesimo in Sicilia (1812-1816). 1.1 Le contee di Ragusa e Modica A precedere di circa un secolo l'istituzione della Contea di Modica, troviamo le due contee di Ragusa (costituita dai territori di Ragusa e Gulfi) e Modica (costituita dai territori di Modica e Scicli) quali entità separate, con diversa data di fondazione e diversi signori; i dati al riguardo sono pochi e discordanti, per lo più indiretti. Primo conte di Ragusa è Goffredo d'Altavilla, figlio naturale del Gran Conte Ruggiero I; non vi è certezza sulla data di investitura, che pare coincidere con la data della visita del sovrano in Ragusa nel 1091, tappa nel corso della spedizione contro gli arabi che in quel periodo occupavano ancora l'isola di Malta. A tale Goffredo succede il figlio Bartolomeo morto senza figli, a cui subentra di seguito lo zio Silvestro (fratello del primo investito). Egli ricopre anche prestigiosi incarichi presso la corte del Re e ottiene l'investitura della Contea di Marsico. Ultimo investito è Guglielmo (di Silvestro), accusato di aver tramato una congiura contro l'imperatore Enrico IV, Re di Sicilia, che lo imprigiona in Germania insieme ad altri complici. In seguito a tali eventi, il feudo ragusano è incorporato nel demanio, in conformità con la politica accentratrice dei sovrani della casata di Svevia. La prima2 contea di Modica, invece, ha come primo signore Gualtieri de Mohac, il 1Non mancano autori che nel descrivere la storia del Contado partono dai “primi abitatori” dei suoi territori nella preistoria, alle principali vicende sotto i domini dei Greci, dei Romani, dei Bizantini ed Arabi fino alla discesa dei Normanni, i quali importarono il sistema feudale in Sicilia. Posto il nostro interesse per la Contea quale stato feudale, una tale trattazione risulta superflua; però per approfondimenti in tal senso si rinvia ai seguenti testi: R.SOLARINO, La Contea di Modica, ricerche storiche, Ragusa 1973 (Rist. An. 1885), Vol I; G. RANIOLO, La Contea di Modica nel Regno di Sicilia, lineamenti storici, Modica 1993. 2La storiografia è solita distinguere tra la prima contea di Modica, creata nel 1176 e

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quale ne ottiene l'investitura nel 1176 in seguito ai meriti d'armi riportati nell'esercizio della carica di ammiraglio nella spedizione navale contro l'Epiro e l'Egitto. Pare che a lui sia successo il figlio Arnaldo che perde presto la contea come conseguenza dei provvedimenti riduttivi dei feudi dei sovrani Svevi; anche essa è incorporata al demanio. I territori che costituivano questi due feudi resteranno incamerati nel demanio per tutto il periodo della dominazione sveva (1194-1266) 3 ed angioina (1266-1282) della Sicilia. 1.2 La Contea di Modica (1296 – 1812) Con la cacciata degli Angiò dalla Sicilia nel 1282 viene chiamato come regnante Pietro III d'Aragona, il dominio del cui casato durerà circa tre secoli (1282-1516). A lui si deve la ricostituzione delle contee di Ragusa con Gulfi e di Modica con Scicli, con investitura nel 1282, rispettivamente di Pietro Prefoglio e Federico Mosca, le quali saranno riunite nel 1296 4 e andranno a formare quella stabile identità territoriale, politica ed economica che prederà il nome di Contea di Modica. Suo primo signore è Manfredi Chiaramonte, il quale riunisce in sé i due casati sopracitati; infatti da un lato è figlio dell'ultima discendente dei Prefoglio (Marchisia), dall'altro prende come sua sposa Isabella Mosca, figlia di Federico. Però tale riunione non è affatto un atto dovuto; infatti è ragionevole una sua investitura limitatamente al feudo ragusano mentre più complessa invece è la situazione per la famiglia Mosca, che vedeva ancora vivo il primo titolato. La riunione (ovvero la creazione di un unico feudo) si spiega per contingenti ragioni politiche: Federico Mosca aveva infatti parteggiato per gli Angiò, mentre successivamente incorporata al demanio, dall'omonimo feudo (oggetto del nostro studio) nato nel 1296 con una struttura territoriale, politica e amministrativa che si manterrà omogenea nei suoi tratti essenziali fino al 1812. 3 A quanto detto, però, non manca un'eccezione; infatti dopo la scomunica di Federico II (1250) si colloca la concessione di Papa Alessandro IV di diversi feudi a titolo di retribuzione a coloro che si erano ribellati agli Svevi, tra cui nel 1255 le terre di Vizzini, Modica e Palazzolo al nobile Ruggero Fimetta, il quale pare non ne abbia nemmeno preso il possesso in quanto l'esercito ribelle, a cui era a capo, fu sconfitto nel 1256 dalle truppe sveve con a capo Federico Lanza. 4 Dell'originale atto di non vi è più traccia. Il primo documento in merito è datato 1343, e consiste nella riconferma a Manfredi II dei feudi un tempo tenuti da Manfredi I regnando Federico III.

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Manfredi Chiaramonte aveva valorosamente combattuto contro tale partito. Per cui, il Re Federico III, da un lato premia il valoroso Chiaramonte, e dall'altro priva del suo titolo il Mosca: l'entità creata prende appunto il nome di Contea di Modica e si estende entro i limiti dei due feudi precedenti (Modica, Scicli, Ragusa e Gulfi). 1.2.1 I Chiaramonte (1296 – 1392) Manfredi I, oltre che essere ricompensato dal proprio sovrano con la Contea, ricopre notevoli incarichi di governo. Egli riveste prima la carica di Capitano di guerra5 del Val6 di Noto e Maestro Giustiziere di Palermo, poi Siniscalco (ovvero sovrintendente della Casa reale del Regno) nonché prende parte alla missione diplomatica presso Ludovico VII del Sacro Romano Impero al fine di stringere alleanza tra i due stati; possiede inoltre ulteriori feudi, tra i quali si ricorda la ricca contea di Caccamo. A lui si deve la ricostruzione di Gulfi, distrutta nel 1299, che prende successivamente il nome di Chiaramonte Gulfi nonché del palazzo dello Streri (successiva sede del Vicerè di Sicilia a partire dal 1400). Dimorando in Palermo per gli incarichi ricoperti, amministra il suo stato tramite un governatore affiancato da alcuni funzionari analoghi a quelli che nella capitale governavano il Regno7. Le università (o comuni) del contado sono governate dai giurati, con a capo un sindaco. Questi provvedono alle esigenze della città, deliberando a maggioranza in seguito a discussione nonché si occupano dei processi civili di lieve entità (in tal senso si parla di corte giuratoria), coadiuvati da un maestro notaro, un algoziro ed un monterio. Della piccola giustizia penale se ne occupa invece un capitano di nomina comitale assistito da un giudice laureato in legge, un consultore, un mastro notaio e da una forza di algoziri e guardie, per 5 Responsabile della difesa militare di una provincia, ricomprendente anche funzioni giurisdizionali. 6 Suddivisione amministrativa introdotta in epoca normanna. 7 Tali funzionari erano: Il Maestro Razionale (per la gestione del patrimonio feudale nonché con funzione di giudice in materia fiscale e patrimoniale), il Mastro Segreto (coordinava i Segreti di ogni comune nella riscossione dei tributi e si occupava della manutenzione e costruzione di opere edilizie), il Protonotaro (sovrintendente alle scritture notarili relative alla Contea), il Protomedico (controllore dei medici, cerusici ed ostetriche nonché ufficiale sanitario relativo ai controlli igienici presso le botteghe dei speziali, droghieri e barbieri; provvedeva alle loro licenze), Mastro Giurato (sovrintendente alla gestione dei comuni del Feudo). Cfr. G.RANIOLO, Op. Cit., pp. 61-63.

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arresto e l'esecuzione delle pronunce.8 Nelle mani di questo Casato va dunque a concentrarsi un immenso potere derivante dalla titolarità di feudi (anche al di fuori dei territori modicani) e di cariche che permetteranno de facto un progressivo aumento dell'influenza non solo nei territori limitrofi ai loro possedimenti, ma determinante per le sorti del Regno9. A Manfredi I succede il figlio Giovanni, figura dalla vita assai turbolenta che riceverà addirittura una scomunica dal Papa per aver partecipato nel 1322 ad una ambasceria del Regno di Sicilia in Germania presso Ludovico IV, intenzionato con questa alleanza a rafforzare il partito ghibellino, avverso a quello guelfo rappresentato dalla casa d'Angiò (motivo per cui lo stesso Imperatore era stato anch’egli scomunicato). E' inoltre temporaneamente bandito dal Regno per aver aggredito il cognato Francesco Ventimiglia, il quale ne aveva ripudiato la sorella; ma dietro questo atto vi è più di semplice onore! Infatti il casato dei Ventimiglia Conti di Gangi rappresenta la principale fazione avversa ai Chiaramonte, che come questi ultimi aveva avuto modo ottenere notevoli incarichi e feudi nel Regno. Fallita però l'alleanza matrimoniale, si apre un conflitto diretto tra i due Comites, che vede in un primo momento prevalere i Ventimiglia, con conseguente espulsione dalla Sicilia del Chiaramonte; esiliato e privato del contado, nel 1335 trova riparo alla corte di Napoli ed al servizio del relativo sovrano prende parte ad una spedizione militare contro la Sicilia. Salito al potere Pietro II, ottenuta ora prevalenza il partito dei Chiaramonte, è reintegrato nei suoi

precedenti titoli e possedimenti (eccetto il castrum di

Caccamo). La sua vita si chiude con un ultimo triste episodio, rappresentato dalla battaglia navale di Lipari nel 1339, in cui è imprigionato dal nemico e liberato dietro riscatto di 10.000 fiorini, pagati dal cugino Enrico in cambio del possesso della contea di Modica. Muore poco dopo aver fatto ritorno a casa, nel 1342. Giovanni II muore senza aver avuto un erede maschio, ma il di lui padre valutata 8 Ibidem. 9 Cfr. G.BARONE (a cura di), La Contea di Modica (secoli XIV - XVII), Atti del settimo centenario, Catania 2006, Vol. I pp. 52-59.

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questa eventualità, aveva a suo tempo disposto per testamento che la titolarità sarebbe dovuta passare in tal caso al nipote ex fratre Manfredi II (detto Manfreduccio), fratello del detto Enrico. Rimborsato10 quest'ultimo della somma a suo tempo pagata per il riscatto del cugino ed assicurato un vitalizio alla di lui vedova e figlia ottiene l'investitura nel 1343 11 dal vicario regio e tutore di Re Ludovico, insieme alla contea di Caccamo, che era stata espropriata a Giovanni II e non più infeudata con il suo ritorno in patria in seguito all'esilio. Manfreduccio è uno dei signori feudali più potenti dell'isola sia economicamente che militarmente e per ciò lo si trova coinvolto in prima persona nella guerra civile tra il partito nazionale formato da signori siciliani, detto parzialità latina, contro quelli forestieri di origine catalana ed aragonese, riuniti nella così detta parzialità catalana. Questa contrapposizione ha alla base reciproci sospetti e pretese che vede da un lato i signori indigeni gelosi dei loro privilegi e della loro terra, e dunque ben sospettosi dei nuovi venuti al seguito degli Aragona; dall'altro i forestieri catalani si sentivano orgogliosi di aver essi salvato la Sicilia dalle invasioni angioine, e dunque si ritengono meritevoli di ricompense. Queste stato di cose è destinato a scaturire in un conflitto agitato da violenti tumulti e guerriglie nonché dall'aggressione e reciproca occupazione delle terre. Tale conflitto ha una breve tregua nel 1353, anno di morte di Manfredi II, anche grazie all'intervento energico del Re Ludovico e siglata da matrimoni tra le reciproche famiglie-fazioni. Però la pace è poco duratura, ed il giovane Simone Chiaramonte, nel mentre succeduto al padre, subentra anche nel conflitto che nel frattempo era ripreso. Essendo cresciuto tra le armi e la guerra aveva sviluppando un animo fiero e forte; lo si ricorda come una figura violenta e sprezzante , che al fine di ottenere potere e ricchezze non esita ad occupare terre demaniali e di altri nobili né a parteggiare 10 Il Solarino, nell'opera citata, ritiene che non vi fosse stato alcun testamento a prevedere tale successione. Infatti della relativa (e supposta) clausola non vi è menzione nell'atto di investitura del 1343, e se fosse stata in effetti sussistente e valida, non vi sarebbe stata la necessità di riscattare il feudo dal fratello Enrico (il quale ne aveva il solo possesso a titolo di pegno relativo al credito di 10.000 di cui era titolare il Conte, ora divenuto il fratello) né di comporre la controversia successoria con la zia e cugina tramite la corresponsione di un vitalizio. In sostanza il sovrano fu mosso da una mera valutazione politica, tenuto conto del prestigio e del potere di Manfredi II. 11 Il diploma di investitura rappresenta il più antico documento che ci conferma la titolarità della Contea da parte di questi Signori; inoltre rappresenta la formalizzazione dei poteri acquisiti dagli stessi ed una chiara delimitazione dei feudi di pertinenza, con una dettagliata indicazione dei relativi confini.

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per gli Angiò, che mai avevano rinunciato alle loro pretese in Sicilia; è perciò privato dei beni e condannato a morte dal sovrano. Simone però se ne ride 12 di questi provvedimenti e chiede aiuto a Luigi d'Angiò, facendo sì che la guerra civile si trasformi in un nuovo conflitto tra aragonesi ed angioini. Non manca di essere crudele anche con la moglie, tramandone la morte al fine di ottenere più prestigiosi e lucrosi matrimoni, ma muore improvvisamente nel 1357 (forse avvelenato) prima che potesse raggiungere il turpe scopo. Tra gli altri conti di questa dinastia si ricorda Federico III, zio del Simone, succeduto per mancanza di eredi (ed indicato nel testamento del fratello Manfredi II13). Nonostante fosse di partito angioino ed ancora in conflitto la fazione catalana, l'allora sovrano Federico IV (detto il Semplice), per ingraziarselo e spingere verso la pace con tale fazione, gli restituisce 14 i territori confiscati al nipote ed è inoltre concesso il mero e misto imperio15: con questa concessione inizia quel percorso, che vede un aumento delle prerogative comitali, che porterà la contea di Modica ad essere detta Regnum in Regno. Tramite l'intercessione del sovrano si arriva una volta per tutte a porre fine alla guerra civile nel 1362, anno in cui è siglato un accordo con il capo della fazione catalana Artale Alagona che prevede il mantenimento dei territori demaniali usurpati16, il reintegro nelle cariche pubbliche nonché il diritto alla nomina di due membri della Gran Corte; le due fazioni si impegnano altresì al versamento di un vitalizio al Re Federico IV. Venuto a mancare Federico nel 1363, vi succede Matteo Chiaramonte (detto Mazziotto), sesto Conte dal 1363 al 1377. Diversamente dai suoi precedenti è di indole mite e pacifica ma come ogni predecessore è ricoperto cariche e di onori dal Sovrano, tra cui quello di ospitare il Re nei suoi feudi nel 1366. Non grandi prodezze si devono alla sua persona, che si spegne non lasciando alcun erede maschio. 12 R.SOLARINO, Op. Cit., p.86 13 Testamento rogato dal notaio Bartolomeo Alemagna di Palermo in data 1 Luglio 1343. 14 Atto puramente formale; infatti la Contea era sempre rimasta sotto il controllo della famiglia Chiaramonte. 15 Diploma datato 22 Febbraio 1361. 16 Tra cui la Torre e la foresta marittima di Cammarana.

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Di grandissimo prestigio ed interesse è invece Manfredi III, figlio naturale di Giovanni II ed in quanto tale primo nella linea di successione nei titoli aviti, essendo venuto a mancare il procugino Mazziotto senza discendenza maschile. E' un signore influente e potente, molto temuto dall'autorità sovrana, che in quel periodo era nient'altro che “un'idea astratta, una semplice finzione: di quanto si ribassava il livello della corona, di tanto si ergeva l'aristocrazia feudale, che oramai teneva ogni prerogativa ed adempiva da sola a tutte le funzioni politiche” 17. L'allora sovrano Federico IV molto lo teme e poco può contro di lui; emblematico è il caso dell'assedio di Messina del 1364 da parte degli Angiò in cui il Comites è incaricato di governarne la città; venuta la pace e riottenutone il controllo da parte dell'Aragona, questi lo riconferma in tale carica ed in ogni suo titolo. Alla morte del Semplice, per disposizione testamentaria di quest'ultimo, Manfredi è ricompreso insieme ad Artale Alagona, Francesco Ventimiglia e Guglielmo Peralta nel consiglio di reggenza (i così detti Quattro Vicari) che affianca l'erede minorenne Maria d'Aragona. Oltre provvedere alle esigenze dello Stato, tra i compiti del consiglio vi è quello di trovare un marito alla giovane. Mentre la giovane Regina rimane confinata nel castello Ursino in Catania, sono diverse le proposte di matrimonio che vengono valutate dai Vicari; chiaramente, ognuno ha i suoi interessi e le proprie convenienze, come l'Alagona che si accorda per darla in sposa a Gian Galeazzo Visconi, all'insaputa degli altri reggenti. Essendolo venuto a sapere il potente Chiaramonte, la situazione subisce un drastico cambiamento: Il Conte Guglielmo Raimondo di Augusta, su istigazione del primo, rapisce la giovane Regina; ma anche questi a sua volta cerca di sfruttare la situazione a suo vantaggio recandosi alla corte d'Aragona (con la speranza di un lauto compenso), al fine di darla in sposa al giovane Martino, figlio del Duca di Montblanc e nipote del regnante Pietro IV. L'astuto Monblanc, al fine di ingraziarsi il Conte di Modica, offre onori e convenienti matrimoni per i suoi figli; ma questo non serve a convincerlo. Anzi, dal suo canto porta avanti una politica filo-romana, legandosi sempre di più ad una corte storicamente avversa al casato d'Aragona; a ciò si aggiungono le 17R.Solarino, Op.Cit., p. 97.

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trattative e le successive nozze nel 1389 della figlia Costanza con il sovrano di Napoli Ladislao, nemico giurato della corona siciliana. Il Conte di Modica accresce sempre di più il suo potere con la conquista dell'isola delle Gerbe e l'investitura di Papa Urbano VI, che gli accorda l'assoluto possesso di tali isole. Arrivato il 1390, il progetto di nozze tra la regina di Sicilia e Martino (detto il Giovane) si concretizza; questo non è accettato in alcun modo dal Chiaramonte (restato oramai l'ultima autorità nazionale superstite 18) che nel 1391 riunisce a Castronovo l'aristocrazia siciliana con lo scopo di sovvertire il nuovo regnante; non riesce però a sopravvivere alla sua impresa, morendo nello stesso anno; gli subentra dunque il figlio Andrea, il quale si trova automaticamente a capo di questa difficile operazione. Il nuovo Conte si trova in una situazione difficile, stretto com'era da un lato dal Papa Bonifacio IX, il quale ritiene nullo il matrimonio tra Martino I e Maria in quanto cugini, senza aver ricevuto l'apposita dispensa (o meglio, avendola ricevuta dall'antipapa Clemente VII e non da un papa “legittimo”) e che non mancava di rivendicare l'antica soggezione della Sicilia alla chiesa di Roma; dall'altro dal Montblanc, che arma un poderoso esercito con il sostegno del condottiero Bernardo Caprera, e promettendo immunità e vantaggi a chi si sarebbe schierato dal suo lato. A poco a poco il Conte si trova da solo a portare avanti questa impresa; come ultimo ed estremo atto occupa Palermo, sostenuto dal clero e dal popolo della capitale, ma essendo senza più viveri, è costretto alla resa. Cerca di patteggiare, ma è arrestato, processato e decapitato nel 1392. Il Contado, però, rimane ben poco senza il suo conte (!), titolo che passa nello stesso anno a Bernardo Caprera, come premio per il suo ruolo determinante nella conquista della Sicilia. 1.2.2 I Caprera (1392 – 1480) Come già accennato, in virtù dei suoi meriti, il catalano Bernardo Caprera (o Cabrera) è investito della Contea di Modica nello stesso 1392, a distanza di pochi 18 I Vicari Altare d'Alagona e Francesco Ventimiglia erano venuti a mancare, ed a loro non erano successi figli di uguale spessore mentre il Vicario Nicolò Peralta pattuisce le nozze di suo figlio con la secondogenita del Conte di Modica, parteggiando dunque per quest'ultimo).

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giorni dalla decapitazione del Chiaramonte. Il contado, però, assume una conformazione ben diversa da quella del precedente titolato 19, risultando essere molto più ampio: comprende non solo il nucleo originale di Modica, Scicli, Ragusa e Gulfi ma anche il castrum di Spaccaforno, il feudo di Comiso con castello, edifici e fortificazioni, il castello del Dirillo con fortezze e casali, la torre di Cammarana con foresta ed il pertinente territorio, il feudo di Cifali (detto poi testa dell'acqua) e Gomez (detto poi Iomiso); tutto ciò era nient'altro che la formalizzazione dell'egemonia della Contea che si era sviluppata tra il 1350-1390 20. Ma questo non è tutto: a ciò si aggiunge il diritto di esportare dallo scaro21 di Pozzallo 12.000 salme di grano alla grossa, ogni anno, esenti dall'imposta di dogana dovuta alla Corte del Real Patrimonio, comprensivo della facoltà di estrarre un quantitativo superiore a compensazione di un precedente anno in cui si fosse esportato una misura inferiore (così detto diritto di refezione). Diversamente dalla prassi siciliana, viene concesso anche tutto il perimetro costiero pertinente al contado (solitamente riservato al demanio per la larghezza di “un tiro di balestra”). Al mero e misto imperio, già concesso nel 1361, esercitato tramite la Corte Giuratoria, la Corte Capitanale ed una Gran Corte, si aggiunge il massimo imperio con l'istituzione di una Corte delle appellazioni di I e II grado ed una corte arbitrale (privilegio negato alla stessa città di Palermo, e detenuto dal solo Arcivescovo di Monreale)22. Inoltre, dulcis in fundo, la facoltà di riscuotere censi, affitti, diritto di laudemio per vendita di immobili, diritti angarici per impianti e servizi; d'imporre collette, di assegnare feudi, di concedere asilo ai malfattori salvo rei di lesa maestà ed ai falsari. Ecco che il contado poteva dunque dirsi Regnum in Regno. Alle terre da poco annesse si aggiungono Giarratana nel 1395, Monterosso nel 1397 ed infine Biscari (oggi Acate) nel 1410. Oltre a tali privilegi feudali, il Caprera è chiamato a ricoprire cariche di massimo 19 Cfr. E.SIPIONE, I privilegi della Contea di Modica e le allegazioni di G.L. Barberi in «Archivio storico per la Sicilia orientale» LXII (1966), Fasc. II. 20 Cfr. G.BARONE (a cura di), Op. Cit. pp. 59-67. 21 Caricatore commerciale della città marinara di Pozzallo. Gli scari erano magazzini generali ante litteram, che permettevano la compravendita del frumento senza la materiale consegna della merce tramite una polizza sottoscritta dal venditore e diretta al governatore - magazziniere. 22 Cfr. G. MODICA SCALA, I Tribunali nella Contea di Modica in «Archivium Historicum Mothycense» II (1996).

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rilievo, quale Ammiraglio del Regno, Giustiziere di Palermo e Gran Giustiziere dello Stato. In questo periodo il governo dell'Isola e del contado, però, è tutt'altro che facile: il nuovo sovrano (Martino il Giovane) si trova nel 1392 a fronteggiare signori ribelli, tra cui alcuni vassalli del Conte di Modica, i quali non gradiscono tanto il nuovo sovrano quanto lo stesso Caprera; nel sedare tali rivolte il Comites apporta un notevole sostegno militare al Re, che è premiato con gli incarichi sopracitati. Il Caprera non manca di far sentire il suo peso militare anche in una successiva rivolta nel 1397 di altri potenti signori, tra cui il Conte Moncada, Giustiziere del Regno; ed ancora nel 1408 invia una flotta a sostegno del sovrano in Sardegna, vincendo i nemici genovesi. Morto Martino I di Sicilia (detto il Giovane), vi subentra il padre già Re di Aragona con il nome di Martino I (d'Aragona), poi II (di Sicilia, detto il Vecchio); quest'ultimo conferma quale sua vicaria la vedova Regina Bianca di Navarra, affiancata da un Consiglio di Stato, da cui il Caprera è però escluso. Questo evento, così come l'esclusione dal godimento di alcuni legati che il defunto sovrano aveva distribuito tra i suoi fedelissimi, offende profondamente il Comites; nel frattempo essendo venuto a mancare l'anziano sovrano (1410), il Caprera coglie l'occasione per ritenere decaduta dal suo incarico di Vicaria la Regina Bianca, sostenendo la sua legittimità a governare lo stato quale Gran Giustiziere (sebbene, a rigor di logica, anche il suo incarico sarebbe dovuto decadere per le medesime ragioni...). Forma così un partito contrario alla Bella Navarrina contrastato da una corrente “legittimista” con a capo l'ammiraglio Sancio Lihori. Per porre fine a tale questione, in Taormina è riunito nel 1410 un parlamento con lo scopo trovare un marito, e dunque un nuovo sovrano, alla Bianca. Il Caprera non accetta l'orientamento del parlamento, ma prima di agire con la forza arriva a chiedere addirittura la mano della vedova la quale gli risponde negativamente con tono di sdegno (“Hui senex scabide!”, riporta il Solarino, citando Maurolico). Ella, non sentendosi più al sicuro nel castello Ursino di Catania (dove si trovava al momento della proposta), fugge da castello in castello per tutta la Sicilia, protetta dal partito legittimista, che si fa sempre più forte. 15


Caprera non si rassegna, ed arriva ad assediare Palermo continuando la persecuzione della Regina ma nel 1412, tradito da un soldato, è catturato dal Lihori ed imprigionato a Motta S. Anastasia. La situazione è risolta con la nomina a Re di Sicilia di Ferdinando di Castiglia (detto il Giusto), il quale ordina la liberazione del Conte, lo reintegra nei suoi possedimenti (e conferendogli anche prestigiosi incarichi) ma lo condanna al pagamento di un ingente risarcimento a favore del Lihori e della Navarrina23. Trascorre i suoi ultimi anni nella Contea, ma muore di peste in Catania nel 1423. Al grande condottiero succede il figlio Bernardo Giovanni che però ottiene il possesso del contado solo dopo una lite con il fratello Raimondo, conclusasi nel 1424 tramite mediazione del principe Ferdinando d'Aragona, luogotenente del Regno del fratello Alfonso (detto il Magnanimo); l'accordo prevedeva il versamento a Raimondo di una somma pari a 45.000 fiorini e garantiti dalla cessione di Alcamo, Calatafimi e Mazzara nonché da altri beni appartenenti al fratello. Ad ulteriore garanzia si ha la cessione dei centri di Scicli, Giarratana e Spaccaforno, nei quali il Raimondo dimorerà, tenendole quale suo signore e padrone. Giovanni Bernardo prende possesso della Contea sicuramente in data successiva al 1431, essendo prima stato oggetto di confisca per aver parteggiato per il Re di Castiglia; riottiene la fiducia del proprio sovrano per il notevole contributo militare nell'assedio di Napoli del 1437-38, grazie alla quale otterrà una nuova infeudazione del 1452, dopo una lunga e complessa lite giudiziaria. Alla base di tale controversia troviamo gli abusi perpetrati da Bernardo e continuati dal figlio a danno degli abitanti del contado e del demanio; i primi insorgono chiedendo addirittura l'annessione delle terre comitali al demanio, accusandolo nello specifico di aver alterato il privilegio del 1392, di aver usurpato diritti demaniali e di aver abusato dei propri. Invero il Caprera era già stato processato per accuse simili mosse dal Fisco; in tal sede la Regia Magna Curia nel 1445 accerta alcune illegittimità delle prerogative comitali del 1392, dichiarando alterato l'atto e condannandolo ad un risarcimento da versarsi al fisco di 60.000 ducati. Tutto ciò spinge il Caprera a supplicare il sovrano, il quale, pur essendo 23 Tale condanna ammontava a circa 20.000 fiorini, e per far fronte a tali spese è costretto a cedere in pegno Monterosso, Giarratana e Chiaramonte, riottenendoli qualche anno dopo. A ciò si aggiunge la perdita di Biscari, a seguito di una lite giudiziaria portata vanta da Antonio Castello, il quale ne rivendica e ne ottiene il legittimo possesso.

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convinto degli abusi, raggiri e manomissioni di Bernardo e Giovanni (il quale non aveva nemmeno versato lo ius relevi), conferma nel 1451 tutti i privilegi leciti ed illeciti fino a quel momento goduti, sanando ogni abuso ma confermando la condanna a 60.000 ducati.24 Questa pronuncia andava dunque a confermare, una volta per tutte, il dominio dei Conti di Modica acquisito con la forza e con l'influenza delle cariche svolte. Per far fronte alla forte spesa, il Conte è altresì autorizzato all'alienazione dei propri domini (con diritto di riscattarle una volta trascorso il periodo di ristrettezza); nello specifico sono vendute Comiso, Giarratana, Spaccaforno, Chiaramonte, Dirillo e Monterosso. Chiaramonte e Dirillo sono riacquistate dopo qualche anno, mentre si dovrà attendere il 1508 per Monterosso; le altre terre sono vendute insieme allo ius ludendi, fuoriuscendo per sempre dai domini comitali25. Giovanni Bernardo muore nel 1466, e gli succedono velocemente il figlio omonimo (1466-1474) ed il nipote Giannotto (Giovanni II), che muore ancora minorenne nel 1478. Giovanna Ximenes, vedova di Giovanni I, riceve l'investitura per conto della figlia Anna, e si occuperà di provvedere al governo dei suoi domini e soprattutto di procurarle un buon matrimonio. Le proposte ovviamente non mancavano(!), essendo ella una giovine donna, avvenente ed ereditiera dello stato feudale più importante della Sicilia. Richieste della sua mano vengono da nobili di tutto il Regno e finanche da diverse parti della penisola; addirittura il

vecchio Re

Giovanni di Castiglia fa la sua proposta, per poi ritirarla e proporre al suo posto il nipote Federico Henriquez: quest'ultima è accolta di buon grado dall'energica vedova, la quale si occupa in prima persona della preparazione dei capitoli matrimoniali stabilendo, tra le varie disposizioni, che il matrimonio si sarebbe dovuto tenere in Modica e che il marito avrebbe dovuto aggiungere il cognome “de Caprera” al proprio unitamente al relativo stemma araldico 26. Nel 1481 Anna sposa dunque l'Almirante di Castiglia Federico Henriquez (nipote 24 Per un'analisi approfondita di questo processo, Cfr. E. SIPIONE. Op. Cit. 25 Cfr. G.BARONE (a cura di), Op. Cit, pp. 84-89. 26 Per un'analissi approfondita del contenuto di tali capitoli, Cfr. R.Solarino, Op. Cit., pp. 166-167.

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del Re Giovanni di Castiglia): ha così inizio un nuovo capitolo per la storia di Modica. 1.2.3. Henriquez de Caprera (1481 – 1703) Federico Henriquez de Caprera è il primo conte della sua casata; vive solo per un breve periodo nel contado, per far poi ritorno nel 1486 in Spagna dove è chiamato a svolgere prestigiosi incarichi di governo. Nonostante la distanza si interessa agli affari del suo feudo siciliano, amministrandolo attraverso governatori nominati per breve periodo ai quali dirige dettagliati e minuziosi ordini al fine di ridurre o prevenire gli abusi e fenomeni di malgoverno. Lo si ricorda per aver emanato capitoli ed ordinaze nel 1511 e nel 1520, indicando in modo dettagliato i doveri e compiti dei suoi funzionari 27; ed ancora nel 1523 emana un bando in cui invita ogni suo suddito a denunciare abusi ed illiceità dei suoi officiali. Muore nel 1530. A questi succede Ludovico, nipote ex fratre, che nel 1534 ottiene l'investitura del contado nonché dei feudi di Caccamo e Alcamo (riacquisiti dallo zio) e della baronia di Calatafimi; nel 1541 ottiene inoltre la conferma dei privilegi goduti dai precedenti conti da parte di Carlo V. Nomina come governatore Antonio de Arellano, a cui affida il compito di avviare una rigida e corretta amministrazione dei suoi domini, in prosieguo alla politica iniziata da Federico; questi, però, commette notevoli illiceità ed irregolarità che saranno denunciate dal suo successore Bernardo del Nero. Quest'ultimo si fa carico non solo di regolarizzare la macchina amministrativa, ma anche di riformarla. Tra i primi suoi atti vi è quello di un'analisi della precedente amministrazione Arellano, che è ritenuta non solo “viziata” da notevoli illegittimità ma anche obsoleta e poco efficiente. Per questa ragione porta avanti, con l'aiuto di giuristi locali, una riforma che trova sbocco nelle Ordinanze, Statuti, Capitoli e Pandette dei diritti, ispirati alle più moderne norme amministrative adottate nelle città demaniali. Nonostante gli indiscussi meriti di Bernardo del Nero, per conflitti personali è 27 Cfr. G.RANIOLO, Op. Cit., pp. 93-95.

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rimosso dal suo incarico di Governo che è nuovamente assegnato al predecessore Antonio de Arellano, il quale, al fine di vendicarsi delle censure mosse nei suoi confronti, dispone l'arresto dell'ex governatore accusandolo fittiziamente di appropriazione indebita; essendo la Gran Corte presieduta dallo stesso Governatore, non è difficile ottenerne una condanna. Bernardo, non rassegnatosi, ricorre alla Magna Curia di Palermo accusando gli organi locali di denegata iustitia e di legittima suspicione e dopo un lungo processo e ben 5 anni di prigionia, ottiene la condanna del Conte alle spese processuali nonché ad una indennità per i danni subiti. Questa condanna si ripercuote pesantemente sulle finanze degli Henriquez che per far fronte alle spese sono costretti a vendere alcuni feudi ed a cedere l'amministrazione della contea a dei banchieri, dietro un cospicuo anticipo delle future rendite. In ultimo, l'orgoglioso Conte, in spregio al vittorioso governatore, revoca dunque gli Statuta che qualche anno prima aveva emanato, sebbene saranno in sostanza confermate da successive riforme amministrative del contado. Nel 1565 subentra nella titolarità del contado Ludovico II, ottenendo l'investitura anche delle Baronie di Alcamo, Caccamo e Calatafimi; a questi si aggiungono numerosi titoli spagnoli, tra qui il prestigioso titolo di Almirante di Castiglia e Duca di Medina de Rio Seco (quest'ultima capitale dei domini spagnoli della famiglia Henriquez de Caprera e sede della cappella di famiglia). Ludovico si trova in una triste situazione economica, risentendo ancora delle spese per il processo al governatore del Nero, e per farvi fronte si reca dalla Spagna nei suoi possedimenti nel Modicano nel 1563; qui, per ingraziarsi il suo popolo avvia una riforma amministrativa che introduce nel gretto sistema feudale siciliano un'aria di democrazia: i consiglieri ed i giurati riuniti in collegio elettorale, da ora in poi, avrebbero potuto eleggere le più alte cariche amministrative della città (giurati, avvocato ed procuratore del comune, consultore, capitano etc etc). In cambio a questa notevole concessione, ottiene i proventi di una nuova gabella sull'esportazione e vendita di animali da macello, filati e tessuto oltre ad una imposta per ogni “rotolo” di carne fresca. Ma il suo intento riformatore non si conclude qui; a ciò segue una minuziosa 19


misurazione delle sue terre date in enfiteusi concesse nel periodo compreso tra il 1550 ed il 1564, al fine di verificare usurpazioni ed aumentare i suoi introiti; a ciò si aggiungono ulteriori concessioni enfiteutiche. In tal modo l'astuto Comites riesce a recuperare oltre 4.000 salme28 di terreno! Terzo Conte della sua dinastia, Ludovico III subentra nei titoli del padre nel 1596; da lustro alla sua famiglia, essendo molto legato alla famiglia reale ma proprio per questo si trova (anch'esso!) a far fronte ad una vita dispendiosa, aggravando le già non floride casse familiari; ad esempio di quanto detto, lo si trova

tra i

contribuenti delle spese sostenute per gli oneri delle nozze di Filippo III di Spagna ed è perciò ricompensato con il prestigioso Toson d'oro. Poco si occupa del suo stato, non recandovisi mai nella sua vita; lo governa tramite un procuratore, portando avanti anche lui continua la lotta agli abusi degli enfiteuti. Muore improvvisamente nel 1600, lasciando il piccolo figlio Giovanni Alfonso di soli tre anni, del quale se ne prese cura il Re e la saggia vedova, Vittoria Colonna (figlia del Viceré Marcantonio). Ella governa con saggezza e oculatezza gli stati degli Henriquez fino alla maturità del figlio Giovanni Alfonso; riesce con destrezza a trattare con creditori ed al fine di alleggerire le passività, ottiene una transazione e rateizzazione delle somme dovute, a cui farà fronte vincolando buona parte della rendita della Contea. Sempre in un'ottica di spending review tenta di governala direttamente ma essendo l'attività complessa e difficoltosa, poco dopo si avvale nuovamente di governatori riuscendo però a contrattare salari particolarmente convenienti rispetto a quelli precedenti. La sua oculata gestione patrimoniale le permette così di riscattare alcuni feudi spagnoli, nonché di concordare ottimi matrimoni per i figli. Divenuto maggiorenne nel 1617, Giovanni Alfonso assume la diretta gestione dei propri possedimenti; la madre si ritira a vita privata, dedicandosi alla beneficienza ed al sostegno di istituti religiosi. La si ricorda inoltre per aver fondato nel 1607 l'omonima città di Vittoria sul già esistente feudo di Boscopiano. Oltre ad ereditare i feudi ed i titoli di famiglia, è figura di grande fama e valore, e per ciò riesce ad ottenere la prestigiosa nomina a Viceré di Sicilia (dal 1641 al 28 Antica unità di misura siciliana, la cui entità è suscettibile di piccole variazioni in relazione alle diverse zone dell'Isola; equivale a 2.7985 ettari in Modica e Ragusa.

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1643), dopo aver riportato nel 1638 una vittoria a Fonterabia combattendo contro i francesi, e successivamente Viceré di Napoli (1644-1646). Poco prima di assumere quest'ultima carica scende in Sicilia per far visita nei suoi possedimenti, dove è accolto con grande allegrezza e festosità dai suoi vassalli, e per ciò non manca di far doni e concessioni alle sue città. Durante i tempi in cui riveste le prestigiose cariche, delega alla moglie il governo dei suoi possedimenti; nonostante si continui all'attività di misurazione e di delimitazione delle terre date in enfiteusi, il dispendioso tenore di vita (dovuto anche alle cariche rivestite ed alla vita mondana) gli impone l'alienazione del feudo di Caccamo, che esce una volta per tutte dai possedimenti del contado, non essendo più riscattato. In Madrid, ammalatosi muore nel 1647, compianto dal popolo e dal suo affezionato Re, che gli sta vicino durante il periodo della breve malattia. Poco rilievo ha per la storia del Contado il settimo conte Henriquez, Giovanni Gaspare, che succede nei titoli aviti dal 1647 al 1691, il quale dimorerà per tutta la vita in Spagna; diversamente, un un ruolo centrale per lo studio oggetto di questo studio, è rivestito dal di lui figlio Giovanni Tommaso. Figura di grande rilievo, lo si ricorda per aver rivestito le prestigiose cariche di Viceré di Catalogna e Governatore di Milano. È Conte di Modica dal 1691; solo due anni dopo si trova ad affrontare il terribile terremoto che funesta la Sicilia sud-orientale, che solo nel contado miete oltre 11.000 29 vittime su circa 60.000 complessive e costringendo ad una totale ricostruzione delle sue città, alcune delle quali verranno edificate in luoghi più salubri ed accessibili rispetto gli antichi siti 30. Dimora sempre in Spagna, non godendo però della stima e del prestigio dei suoi antenati; nel 1702 è nominato ambasciatore del Duca d'Angiò (già designato erede di Carlo II al trono spagnolo) presso il Re di Francia; partito per assolvere 29 Cfr. R. PIRRI, Sicilia Sacra, disquisitionibus et notitiis illustrata...Editio tertia emendata et continuatione aucta cura et studio s.t.d.d. Antonini Mongitore (Rist. Anast. 1733), Sala Bolognese 1987. 30 Tra queste, ricordiamo: Scicli, che scende dalla rupe per adagiarsi nella cava che si apre sulla piana che guarda il mare di Donnalucata; Spaccaforno (Ispica) abbandona l'angusto sito difensivo affogato tra le rocce dell'omonima cava, per essere ricostruito nell'altopiano tra Modica e Pozzallo; Modica, dopo lunghe contese rimane nel suo antico sito, tra la rocca e le cave dei suoi due torrenti (solo il secolo XIX lo sviluppo urbanistico farà espandere la città verso il sito alternativo, ovvero la piana che degrada verso Pozzallo); Ragusa, che non accordandosi sul da farsi si divise addirittura in due, rimanendo la vecchia nell'antico sito detto oggi Ibla e costruendosi la nuova nell'altopiano retrostante che si dirige verso il porto di Mazzarelli (oggi Marina di Ragusa).

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l'incarico, in segreto abbandona il suo ufficio e si reca in Portogallo al fine di parteggiare per Carlo d'Arburgo nella pretesa alla Corona spagnola. E' così accusato di fellonia, processato in contumacia, condannato a morte nel 1703 e privato dei suoi titoli e possedimenti, compreso il contado modicano. Muore nel 1705, lasciando (solo formalmente) tutti i suoi beni a all'Arciduca d'Austria. 1.3 Modica: Un feudo senza Conte (1703 – 1729) In seguito alla condanna e confisca di Giovanni Tommaso Henriquez, il feudo modicano non è da ritenersi “estinto” ed incamerato nel regio demanio, così come sostenuto da parte della storiografia 31; invero pare non esserci stata mai un'attenta analisi del punto in termini giuridici, salvo limitati casi 32. In tal senso si può ipotizzare che la Contea mantenga una sua “soggettività feudale”, posto che dal 1704 è amministrata da una giunta sedente in Messina (e ciò equivarrebbe a un'attuale “commissariamento” di un ente), sebbene i termini di tale gestione non sembrano essere stati oggetti di particolari studi. Come avremo modo di vedere nei successivi capitoli, in seguito alla Pace di Utrecht del 1713 la Sicilia passa nelle mani del Duca Vittorio Amedeo II di Savoia sebbene alcuni suoi feudi, tra cui la contea di Modica, rimangono nelle mani di Filippo V di Spagna che ne diviene de facto nuovo Conte e padrone. Dopo un breve periodo (1713-1718) che vede contrapposti il nuovo Re di Sicilia e Sua Maestà Cattolica in una complessa controversia politico-diplomatica ed un tentativo di quest'ultima di occupazione e riconquista dell'Isola, questa è ripresa grazie all'intervento degli Asburgo che ne ottengono il titolo Regio in virtù del patto di Londra del 1718 ed in forza del quale il sovrano Sabaudo è costretto a rinunciare alla turbolenta Sicilia per la modesta ma più pacifica Sardegna, di cui ne entrerà in possesso nel 1720. 1.4 L'ultima Contea di Modica (1729 – 1812) I Regni di Sicilia e di Napoli, dopo secoli, ritornano sotto un unico monarca nel 1721: Carlo VI d'Asburgo, lo stesso sovrano per cui l'ultimo Conte di Modica aveva parteggiato e per il quale era stato privato d'ogni bene; questa è la ragione 31 G. RA NIOLO, Op. Cit., p. 128; R.SOLARINO, Op. Cit., p. 181. 32 G. CHIAULA, Il Regime Comitale di Modica nel rapporto con la Corona, Modica 2006, pp. 84 - 85.

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per cui il nipote, Pasquale Henriquez è premiato riottenendo i titoli e le terre avite, escluso ovviamente quello spagnolo di Almirante di Castiglia. Ad esso succedono senza particolari virtù la nipote Maria Teresa Alvarez de Toledo, sposata de Sylva, che ottiene l'investitura nel 1742 (essendo discendente degli ultimi Conti tramite la nonna Teresa Henriquez); il figlio Ferdinando nel 1775; Giuseppe Alvarez Toledo de Coldera per via della Moglie Maria (di Ferdinando). Venuti a mancare questi ultimi, la contea rimane priva di un titolare ed incamerata nel demanio. Ha così fine la gloriosa Contea, Regnum in Regno: l'abolizione del feudalesimo (1812-1816)33 farà sì che i successivi investiti potranno solo vantarsi di un nome glorioso, nulla più.

33 Il tutto avviene in un complicato contesto internazionale, che vede la Sicilia quale sede dell'esule Ferdinando IV, essendo stata occupato il Regno di Napoli da Napoleone. In questo clima, per via delle pressioni inglesi, esercitate tramite l'ammiraglio Lord Bentick (interessati a mantenere l'indipendenza del piccolo Regno) nel 1812 viene approvata una costituzione di stampo liberale, che tra le notevoli riforme introdusse l'abolizione del feudalesimo, a cui segue il decreto di conferma ed attuazione del 9 dicembre 1816. Fino a questa data il feudo modicano è oggetto di molteplici rivendiche, il cui titolo (ormai solo quello!) è riconosciuto a Carlo Michele Fitz James-Stuart (unitamente alla proprietà di qualche bene privato), discendente in linea di primogenitura dall'ultima investita. Tale casato, ancora oggi, vede riconosciuto in Spagna il titolo puramente formale di Conte di Modica.

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Capitolo II La controversa successione spagnola Le sorti della Contea di Modica sono destinate ad intrecciarsi con la complessa successione al trono ed agli altri domini spagnoli di Carlo II d'Asburgo; infatti Filippo V di Spagna (indicato dal primo quale unico suo successore) in seguito alla c.d. guerra di successione spagnola è costretto a cedere la Sicilia a Vittorio Amedeo II in virtù del trattato di Utrecht (1713). L'atto di cessione dell'Isola, però, prima della ratifica è soggetto alla modifica unilaterale di Filippo V che gli permette di rimanere in possesso del contado modicano insieme ad altri feudi minori. In tal modo si viene a creare una vera e propria exclave spagnola in terra straniera destinata ad essere utilizzata quale avamposto per una futura riconquista dell'Isola, rendendo difficile e turbolento il breve regno di Vittorio Amedeo II. 2.1 Antefatti Ancor prima della morte di Carlo II i sovrani europei iniziano a pianificare la futura spartizione dei domini spagnoli in quanto il malato sovrano, pur avendo contratto due matrimoni, non aveva avuto discendenti né aveva ancora designato alcun erede. I principali pretendenti sono rispettivamente Filippo XIV di Francia e Leopoldo I del Sacro Romano Impero34, che ne avevano sposato le sorelle maggiori, Maria Teresa35 e Margherita; invero ogni casato europeo poteva vantare una parentela, e dunque una pretesa nei confronti di tali domini: tra questi anche il Duca di Savoia Vittorio Amedeo II, il quale discendeva da Caterina d'Asburgo, figlia del Re Filippo II di Spagna e sorella di Filippo III da cui discendevano poi tutti gli altri pretendenti. Dunque, all'insaputa del Sovrano spagnolo, si avviano trattative volte a definire la futura ripartizione dei suoi ampi possedimenti; ma i due tentativi del 1698 36 sono 34Le pretese dell'Imperatore erano volte a favorire la successione del suo secondogenito Carlo. 35Al momento del matrimonio Maria Teresa aveva rinunciato al suo diritti successori in cambio di un indennizzo pecuniario, il quale invero non era stato mai pagato. 36Cfr. S. CANDELA, I Piemontesi in Sicilia 1713-1718 , Caltanissetta-Roma 1996, pp. 11 e ss.

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destinati a fallire, essendo stati scoperti dallo stesso Carlo II. Questi, andato su tutte le furie, con il beneplacito del Papa, designa (finalmente!) il suo erede: il figlio minore del Delfino di Francia ovvero il Duca d'Angiò (futuro Filippo V di Spagna). Una tale decisione non è priva di conseguenze; infatti, al fine di evitare la riunione del trono di Spagna e Francia, nel 1701 l'Inghilterra, l'Impero, la Prussia e l'Olanda danno vita alla così detta Grande Alleanza; al fronte opposto, ovviamente, troviamo Francia e Spagna sostenute in un primo momento dal Duca di Savoia che, a sigla di questo accordo, aveva dato in sposa sua figlia Maria Luisa Gabriella a Filippo V; successivamente, rendendosi conto degli esigui e poco concreti vantaggi che ciò gli avrebbe permesso di ottenere, è indotto a cambiare bandiera e a sostenere la Grande Alleanza che gli promette alcuni territori in Piemonte ed il Vigevanasco, unitamente alla successione al trono di Spagna. Ha così inizio, nel 1702 la c.d. guerra di successione spagnola, che si concluderà dopo lunghi negoziati durati dal 1712 al 1714 con i trattati di Utrecht (1313) e Rastad (1714). Invero già nel 1707, al termine della guerra d'Italia, il Duca di Savoia entra in possesso dei territori piemontesi che gli erano stati promessi, salvo il Vigevanasco in quanto il nuovo Imperatore Giuseppe I, rivalutando la situazione, ritiene tale cessione eccessivamente pregiudizievole per i suoi domini in Italia. Delle sorti della Sicilia, però, ancora nulla si sapeva: era certo solo che non sarebbe rimasta alla Spagna. Si dovrà attendere 1712 per avere maggiore chiarezza: in seguito a lunghe trattative, spinte dall'Inghilterra (intenzionata ad avvalersi dell'Isola quale suo protettorato), si decide di assegnare la Sicilia al Duca di Savoia. Dopo notevoli resistenze (soprattutto da parte di Filippo V che si vedeva privato di uno storico dominio spagnolo e dell'Imperatore, che riteneva fosse a lui pregiudizievole la separazione del Regno di Napoli da quello di Sicilia), l'11 aprile del 1713 è ratificato ad Utrecht un trattato che determina le sorti dei domini spagnoli. Il seguente 10 giugno il sovrano di Spagna rinuncia formalmente alla Sicilia in favore del Duca di Savoia sebbene al momento della ratifica modifichi unilateralmente l'atto di cessione della Sicilia inserendo, tra l'altro, l'articolo X in virtù del quale 25


tutte le dignità, le rendite, signorie e sostanze di ogni genere che si trovassero confiscate in Sicilia all'Almirante di Castiglia, al Duca di Monteleone, al Contestabile Colonna, al Principe di Bisignano ed altri personaggi incorsi nel delitto di fellonia, avendo seguito la causa dell'Arciduca Carlo, dovessero rimanere a libito di Sua Maestà Cattolica, in mano agli stessi ufficiali che l'amministravano attualmente e per farsene l'uso che più alla Sua Maestà Cattolica sembrasse opportuno.

Filippo V mantiene così il controllo di un ingente quantitativo di feudi siciliani per un estensione pari ad 1/10 dell'intero territorio dell'Isola. Tra questi, appunto, la Contea di Modica: Feudo controverso 37, privilegiato e che da sempre aveva contribuito a determinare le sorti del piccolo Regno, ora in mano ad uno dei sovrani più influenti d'Europa. Per il Duca di Savoia non si prospettava una un facile futuro. Questo colpo di mano avrebbe potuto far ricominciare da capo le trattative ma Vittorio Amedeo per la fretta di terminare la negoziazione, accetta il trattato mosso dall'esigenza di entrare subito nella disponibilità del Regno e dalla speranza di potersi impossessare successivamente dei territori e diritti che Filippo V si era ritenuto. Chiaramente, una clausola così vaga da adito ad una controversia interpretativa su quale fosse la consistenza dei diritti e privilegi in Sicilia di Filippo V; nondimeno si cerca anche di sviare l'ipotesi di una nuova concessione di questi territori al Marchese d'Alcagnizes, nipote dell'ultimo Conte di Modica e suddito spagnolo (ed in quanto tale potenzialmente legittimato a pretendere la contea nella misura in cui era stata concessa al suo avo Bernardo Caprera con privilegio del 1392, e successive conferme). Nell'archivio di stato di Torino si trovano notevoli documenti a sostegno delle tesi contrapposte (e relative confutazioni) e che ci illustrano la storia di tali vicende, molte delle quali sono ancora oggi in buona parte oscure. 2.1.1 Vittorio Amedeo, Re di Sicilia (1713 – 1718) Il 10 ottobre del 1713 Vittorio Amedeo giunge a Palermo insieme alla moglie; i vascelli che lo trasportano si fermano a poche miglia dalla costa, dove sono salutati da 5 colpi a salve sparati da Castellammare. Il sovrano fa dunque 37 Vedi Supra, Cap. I.

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comunicare alla terraferma la sua intenzione di sbarcare il giorno seguente, in cui sarà accolto con grande allegrezza dal popolo e dalla nobiltà, rimanendone sinceramente stupito38. Il solenne ingresso è fissato per il 21 di dicembre ed a seguire l'incoronazione nella Cattedrale il 24 dello stesso mese. Terminate le formalità ed insediatosi sull'Isola, il nuovo sovrano non perde tempo e già nei primi di gennaio del 1714 convoca il parlamento che delibera un donativo a suo favore di 400.000 scudi; in cambio di ciò si impegna ad accogliere una serie di suppliche39, che il breve periodo di regno non gli permetterà di realizzare. I Savoia sono di certo dei signori del tutto estranei alla Sicilia; per questo dispongono il compimento di apposite e specifiche indagini volte a scandagliarne ogni aspetto: da un'analisi dei principali signori (con una valutazione della loro indole, capacità e ricchezza) a quella del suo territorio (da ricordare è la minuziosa descrizione dello stato dei porti e delle fortificazioni costiere delle principali città); così ancora cercano di capirne le potenzialità economiche (analisi delle produzioni, tecniche utilizzate, popolazione attiva etc) non mancando di fare ipotesi di investimenti al fine di modernizzare le tecniche produttive ed incentivare il commercio, punto forte dell'isola vista la fortunata ubicazione. Viene dunque redatto un vero e proprio inventario40 della Sicilia, riflesso del grande interesse mostrato sin da subito per il nuovo possedimento, per volontà del nuovo sovrano di averne una profonda conoscenza al fine di portare avanti il suo disegno di riforma ed accentramento. Per portare avanti i suoi obbiettivi, Vittorio Amedeo, dopo aver convocato il parlamento ed ottenuto il donativo, per determinarne una giusta suddivisione tra i sudditi avvia un programma di censimento (che non veniva fatto dal 1681): questo è già un segnale dell’obiettivo di dar luogo ad una amministrazione moderna ed efficiente. 38 Per una minuziosa descrizione dell'ingresso di V.A. In Sicilia, Cfr. S. CANDELA, Op. Cit., pp. 20 e ss. 39 Il parlamento richiede al Sovrano il divieto di introdurre nel Regno merci di cui la Sicilia era produttrice; l'eliminazioni debli abusi del porto franco di Messina; l'incentivazione al trasferimanto in Sicilia di Mastri setaiuoli; l'istituzione a Torino di un ministero per provvedere ai bisogni del Rengo; l'istituzione di reggimenti in di fanteria o cavalleria formati da siciliani etc etc. Cfr. S.CANDELA, Op. Cit, p 27. 40 ARCHIVIO DI STATO DI TORINO (d'ora in poi ASTo), Sezioni Riunite, Paesi, Sicilia Inventario I e II.

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Il bilancio dell'Isola è in negativo; e le ingenti spese da dover affrontare non permettono di poter cambiare le cose; bisogna però ricordare che la nuova amministrazione sabauda, sin dall'anno del suo insediamento, avvia un programma volto a combattere gli abusi (derivanti soprattutto da funzionari corrotti, poco efficienti, in soprannumero ed eccessivamente pagati), eliminare privilegi di origine feudale (molti dei quali abusivi ed a favore degli enti ecclesiastici) e di riottenere la gestione statale degli uffici addetti alla riscossione delle imposte (molti dei quali erano del tutto inefficienti, posto che il concessionario aveva diritto ad una piccola percentuale delle entrate, raggiunta la quale non si curava più della riscossione della restante parte). Per quanto questi piani fossero un primo esempio di una mentalità moderna, non manca per ovvi motivi di suscitare dei malcontenti, soprattutto dopo la scelta (dovuta) del sovrano di ritornare nei suoi domini continentali, che avviene il 19 settembre 1714. Questa decisione deriva dalla necessità di curare i suoi interessi minacciati dall'Imperatore (se non addirittura anche dalla Francia); infatti un suo colpo di mano in terra ferma era ipotesi tutt'altro che inverosimile. Questo allontanamento diffonde un generale malcontento del popolo, orgoglioso e nazionalista, che finirà per interpretare negativamente il rigore amministrativo del sovrano, senza apprezzarne gli indubbi vantaggi che ciò avrebbe dato nel lungo periodo; a far precipitare la situazione sarà nel 1717 l'istituzione di un consiglio supremo per gli affari di Sicilia, che farà sentire gli isolani ancor più umiliati ed abbandonati A fare le veci del sovrano troviamo Annibale Maffei (che si ricorda per aver svolto le funzioni di ambasciatore della corte sabauda ad Utrecht), nominato Viceré il 28 agosto del 1714. Nonostante i prestigiosi poteri di cui storicamente questa carica aveva goduto (si sostanziava nell'essere a tutti gli effetti esso stesso un sovrano), il Maffei vede le sue prerogative limitate da un sovrano accentratore, il quale gli dirige dettagliati ordini operativi accompagnati da una serie di limitazioni; il Re, muovendosi in controtendenza con la tradizione, si riserva poteri come quello di riunire il parlamento isolano o di graziare i condannati a more ed all'ergastolo, così come 28


altre prerogative, ponendo notevoli problemi di governo per il nuovo Viceré (che chiaramente non poteva attendere immediatamente alle esigenze del Regno, dovendo chiedere sanzione regia ed attenersi alle istruzioni del lontano sovrano). Tra i problemi che Maffei deve affrontare vi è quello di una riorganizzazione del sistema giudiziario, ancora pesantemente gravato da retaggi feudali: quasi tutti i signori del regno avevano ricevuto il mero ed il misto imperio, a cui si andava ad aggiungere un alto numero di supreme corti regie (che erano sette!), all'interno delle quali brulicava un numero esorbitante di membri togati e laici (non contando coloro a cui i primi delegano, dietro pagamento, le loro funzioni). Il clientelismo è la chiave di volta dell'intero sistema, a cui si uniscono riti processuali obsoleti ed oscuri, che i magistrati piegano a loro vantaggio al fine di allungare i tempi e di ottenerne, di conseguenza, lucrosi compensi. Sebbene si prenda atto della situazione, e si individuino magistrati locali degni delle più alte cariche41 la giustizia prosegue il corso che sempre aveva avuto; infatti il sovrano regnando da poco su quest'isola turbolenta, ritiene più opportuno non porsi immediatamente contro le supreme magistrature (molte composte da potenti signori feudali). A rendere ancora più complessa la situazione è la Contea di Modica, che da secoli godeva di una particolare autonomia giudiziaria 42 e non solo (esperienza del tutto sconosciuta e poco comprensibile agli occhi dei nuovi dominatori), che veniva rivendicata dal suo nuovo signore, Filippo V, il quale nella clausola 10 del trattato di cessione della Sicilia rimarcava ed anzi ampliava tale giurisdizione estendendola ad ogni causa riguardante i beni confiscati ed attribuendola ad una sua apposita giunta formata da ministri da lui nominati. Tutto ciò lede fortemente la sovranità siciliana, e sarà uno dei punti di maggiore attrito tra la corona ed il sovrano spagnolo43.

41 Tra questi troviamo l'avvocato fiscale del Tribunale del Real Patrimonio Antonino Virgilio, l'avvocato fiscale del Tribunale della Regia Gran Corte Ignazio Perlongo ed relativo presidente Casimiro Drago, autori del parere analizzato nel terzo capitolo di questo lavoro. 42 In virtù del privilegio di Re Martino I dato Bernardo Caprera del 1392 (Cfr. Supra, p.) e confermato con nel 1451, il contado godeva del mero, misto e massimo imperio esercitato tramite una gran corte, una corte di appellazione di I e II grado ed una corte arbitrale; ciò dava luogo ad un sistema giudiziario parallelo ed indipendente da quello del Sovrano. 43 Infra p.

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2.1.2 Filippo V, sovrano in terra straniera Tramite la già ricordata clausola X dell'Atto di cessione della Sicilia il Re Cattolico si riserva las dignidades, rentas, titulos senorios, y otros vienes que en a quel Reyno di coloro che avevano parteggiato per l'Arciduca Carlo d'Asburgo prevedendo pure la possibilità di nominare ministos, jueces o tribunales, per pronunciarsi in ordine alle liti riguardanti tali beni. In un primo momento Vittorio Amedeo II fa buon viso a cattivo gioco, ordinando il 26 novembre del 1713 che tali beni fossero amministrati in piena libertà dai ministri del Re Cattolico 44; ma più spazio e libertà a questi si dava, più ne pretendeva: ha così inizio una lunga controversia politico-diplomatica tra i due sovrani. Vittorio Amedeo II, tramite il suo Viceré Annibale Maffei, non nega a priori qualsiasi pretesa spagnola ma ritiene che in Sicilia Sua Maestà Cattolica debba essere trattato come suo vassallo, essendosi limitato a subentrare nei feudi che egli aveva “dedotto” all'atto della cessione; dal suo canto Filippo V, per mezzo dei suoi rappresentanti Don Merino de Roxas e di Gaspare Narbona, fa di tutto per ostacolare e creare problemi al nuovo Re di Sicilia, non mancando di avvalersi di pretese talvolta strumentali o fittizie; per perseguire questo scopo ha strumento che da secoli creava problemi alla Corona: La Contea di Modica. 2.1.3 Le pretensioni I Piemontesi si dedicano con estrema cura e precisione a smontare, o perlomeno a limitare, le singole pretese dei procuratori spagnoli poste in un arco di tempo che va dal 1713 al 1717, che i funzionari sabaudi suddividono in punti al fine di facilitarne l'analisi giuridica e la relativa confutazione, conferma o delimitazione. I ristretti delle pretensioni in cui risultano schematizzate le pretese, talvolta con criteri e numerazione diverse, ma sostanzialmente analoghi in quanto a contenuti, riportano le argomentazione di una pluralità di soggetti dotati di diverse competenze; tra questi la Giunta di Spagna 45 sedente in Palermo ed i Ministri di

44Cfr. S.CANDELA p. 224; ASTo, Sezioni Riunite, Paesi, Sicilia, Inventario I, ctg. 2, m. 6. 45ASTo, Sez. Riunite, Paesi, Sicilia, Inventario II, Cat IX, m.1, f.5 Ristretto delle rispettive

pretensioni de Ministri di Spagna, e di Sicilia, per li beni confiscati in Sicilia.

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Torino46, che sostanzialmente esprimono una valutazione per lo più di tipo politico o dotti giuristi, locali e non, che invece apportano pareri di carattere tecnico-giuridico47. A dare un'idea generale di quali fossero i termini della controversia è il “ Ristretto delle respettive pretensioni [di Don Gaspare Narbona] Procuratore Generale di sua Maestà Cattolica in Sicilia intorno agli stati alla medesima riservati con li sentimenti della Giunta di Spagna, del Supremo Consiglio di Sicilia, e de' ministri di Torino.” 48; in questo documento, seppur in modo agile e non approfondito, troviamo espressi i punti di conflitto tra i due sovrani e manifestato il sintetico parere49 di più soggetti contrapposti. Il primo punto che viene toccato pare racchiudere e sintetizzare tutti i seguenti; infatti il documento si apre con l'esposizione della pretesa del Procuratore Generale, che il Re Cattolico havesse la sovranità degli stati e beni confiscati e riservati nel capitolo X della cessione.

In effetti questa pretesa pur non espressamente rivendicata, veniva dedotta dai funzionari Piemontesi dal fare di Filippo V per mezzo dei suoi procuratori. Nei fatti il Narbona, se nel rivendicare le particolari prerogative della contea di Modica si arrocca dietro una interpretazione del trattato di Utrecht, questo al suo articolo V inequivocabilmente afferma che il Prince Philippe V, par la grace de Dieu Roy Catolique des Espagnes et des Indes, à cedé et transporté a Son Altesse Roiale de Savoie et à ses Successeurs l'isle et Royaume de Sicilie, et isles en dependantes, avec ses appartenances et dependances, nulle exceptéè en toute souvranaineté;

se però la sovranità non è pretesa in termini espliciti, la Giunta di Spagna, sedente in Palermo, ammette che l'intera sovranità del Regno è stata ceduta à Sua Maestà; soltanto però l'amministrazione economica degli stati, e de beni riservati, per cui dice essersi Sua Maestà Cattolica ritenuta una giurisdizione indipendente, e suprema, e tutti li privileggi fiscali di sovrano, che prima della cessione le 46 ASTo, Ivi, f..6 Copia del parere delli Ministri di Piemonte sopra le pendenze con il Re di Spagna per

li beni confiscati in Sicilia. 47 Alcuni esempi: ASTo, Ibidem, f.4 Relazione fatta dalla Conte di Robilant consultore al Viceré

dell'operato sovra la pretensioni del procuratore generale di sua maestà Cattolica in Sicilia; Copia della rimostranza dell avvocato fiscale Aguirre, la quale a unita alla consulta del supremo consiglio del febbraio 1718 intorno alle pretensioni del procuratore generale di sua maestà.

48 ASTo, Ivi, f.1.; Il testo inegrale è trascritto in Appendice B, Doc. I, p. 97 e ss. 49 Non mancano documenti in cui troviamo espresso in modo monografico il parere dei singoli soggetti che qui intervengono, con un'analisi più complessa ed articolata; questi, però , risultano a noi superflui, servendo a noi solo una visione generale.

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competevano.

Questa affermazione ha dell'ironico, perché da un lato si ammette formalmente la cessione della sovranità, dall'altro però se ne svuota il contenuto, posto che le principali prerogative sovrane (giurisdizione suprema e diritti fiscali) sono pretese e rivendicate dalla Spagna. E' dunque questo semplice punto di per se bastevole per capire il tenore dell'intera controversia che si gioca tra ambiguità, doppi sensi, forma e sostanza, senza addivenire mai ad una soluzione, perché in vero questa non voleva essere trovata: era tutto dunque un pretesto per mettere in discussione l'autorità regia di Vittorio Amedeo, al fine di ostacolarne l'attività di governo. Capito dunque il contesto generale in cui si muovono le rivendicazioni degli amministratori spagnoli, possiamo passare ad una breve disamina di quelli che sono i principali punti che vanno ad erodere la sovranità siciliana, a danno del nuovo Re. Una delle principali cause di conflitto è rappresentato dal diritto di cassa [o di dogana] per le introduzioni, ed estrazioni, che si fanno, delle merci alle marine del contado di Modica, per dentro e fuori il Regno.50

Don Gaspare Narbona, pretende che spetti agli arredentari (amministratori) del contado l'esercizio del diritto di cassa sulle merci che si importano ed esportano dalla Contea per dentro e fuori il Regno, sostenendo che questo diritto lo si godesse da oltre 300 anni in forza della concessione del 1932 fatta a Bernardo Caprera e successivamente confermata da Re Alfonso. Dal loro canto, i piemontesi tendono a delimitare la portata di questo diritto, ritenendo esistente un diritto di cassa vecchio ed uno nuovissimo; il primo riguarda solo le esportazioni ed importazioni intra-regno, limitato alla vendita dei soli beni stabili (e non per le merci) e per disposizione del capitolo del Re Alfonso 461 [...] conceduta a tutti li Baroni, e Prelati del Regno,

e non dunque particolare privilegio di Modica; mentre il secondo verte sulle estrazioni extra-regno, imposto a favore della Regia Corte dal parlamento del 1562 50 Sul diritto di cassa, Cfr. G. POIDOMANI, Storia di una querelle politico-diplomatica. La Contea di Modica nel periodo del governo sabaudo in Sicilia (1713-1720), in «Archivium Historicum Muthycense» III (1997), pp. 33-44.

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(e dunque in un periodo ben successivo ai privilegi modicani). In effetti eccessiva risulta la pretesa del Narbona: Modica gode del privilegio di estrazione (esportazione) di salme 12.000 alla grossa di frumento, espressamente affermato nella concessione del 1392, che di per se confuterebbe l'esistenza di un generale diritto di cassa infra-extra-regno, posto che quest'ultimo da solo ricomprenderebbe il primo! Ma anche su questo non mancano controversie; posta l'incontestabilità del diritto di esportare esentasse le 12.000 salme di frumento, il Narbona pretendeva che questo diritto potesse essere esercitato in ogni scaro (porto commerciale del Regno); ed ancora che il diritto di poter estrarre una misura maggiore a compensazione dell'anno precedentemente potesse essere esercitato in modo libero ed indisturbato dalla corona (c.d. diritto di refezione).

Ma anche qui i

Piemontesi hanno a che ridire: il Consiglio di Sicilia afferma che la pretesa refezione [deve essere goduta] nella forma praticata con li Conti di Modica, cioè riservandosi prima dal Viceré l'ordine di Sua Maestà, la quale la regolerà secondo le circostanze de' tempi, e necessità del Real patrimonio,

mentre da Torino i Ministri aggiungono che però il non haver goduto delle tratte non sia provenuto da negligenza degl'amministratori,

circoscrivendo dunque lo spazio di operatività ed esercizio di tale diritto. E ciò non era tutto: in ultimo si riteneva che alcuni capi delle istruzioni date da Sua Maestà al Mastro Portulano 51 del Regno fussero contrari alli privilegi del contado di Modica,

pretesa in effetti fondata, posto che dagli stessi litiganti “si da per terminato questo punto”. Altro punto lungo e controverso è quello della giurisdizione. Da secoli, infatti, il contado modicano gode di particolari privilegi giurisdizionali, espressi nel privilegio di Re Martino I , che prevede quem comitatum, casta et loca predicta nobis concedimus et donamus ut supra cum mero et mixto imperi, maximo medio e minimo et omni jurisdictione et dominatione tam civili quam criminali et cum appellationibus quibuscumque; 51 Magistrato antico e potente sedente in Palermo, con giurisdizione su tutte le marine del Regno e su ogni porto, caricatoio e spiaggia, dove aveva alle dipendenze degli ufficiali. In effetti, vi erano luoghi in cui tale giurisdizione non si estendeva, tra cui il porto di Pozzallo (ovvero il porto commerciale della Contea di Modica).

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a cui si aggiunge la clausola X dell'atto di cessione della Sicilia in cui il Sovrano Spagnolo afferma che qualora un qualsivoglia dubio, eccezione, od interpretazione che per qualunque persona, ò pretesto, possa introdursi su i beni, rendite, ed effetti, che siano stati, possano, e debbano, esser confiscati, sequestrati e rittenuti di tutte dette cause, e dipendenze, non si potrà riconoscere, sentenziare, ed intervenire per altri Ministri, Giudici e Tribunali di quelli che io nominerò.

Nel Ristretto si leggono una serie di “pretesa cognizione” 52 del Narbona riguardanti casi differenti (nascenti da concrete controversie) che esorbitano in effetti da qualsiasi privilegio o diritto che a Filippo V si sarebbe potuto accordare; infatti i piemontesi non negano in toto la particolare autonomia giurisdizionale del contado (ex privilegio del 1392) ed in generale degli stati riservati (ex clausola X dell'Atto di Cessione della Sicilia) ma sottoliano come alcune prerogative siano e debbano rimanere della Corona in quanto sue manifestazioni; volerle negare equivarrebbe al mancato riconoscimento della sovranità, dell'autorità e dell'esistenza stessa di Vittorio Amedeo in Sicilia. In sostanza il Narbona pretende una plenaria, ed indipendente giuristizione riguardande qualsiasi causa relativa a qualsiasi materia, riguardi gli stati ritenuti ed le persone in esse abitanti, senza che il governo centrale possa in alcun modo ingerirsi: si pretendeva davvero di essere un Regnum in Regno. Le pretensioni sembrano non aver fine; infatti non solo si cerca di aumentare a dismisura i privilegi degli stati ritenuti, ma si cerca di estenderne i confini e la consistenza. La clausola X dell'Atto di Cessione della Sicilia è chiarissima, prevendo che las Dignidades, rentas, titulos senorios, y otros vienes que en aquel Reyno han sido confiscados al Almirante de Castilla, al Duque de Monteleon, al Condestable Colona, al Principe de Visigniano, y otros sugetos seculares y las que han sido sequestradas al Cardenal Colona, y otros Eclesiasitcos, por hauer faltado al juramento de fidelidad, è incurrido en el delito de felonia, y traicion, ayan de quedar vajo de mi mano.

E' in forza di detto articolo che Filippo V mantiene il controllo degli stati riservati, sebbene il Narbona giochi sulla “vaghezza” della stessa: era incontestabilmente chiaro che si riferisse agli stati di tutti coloro che avessero commesso fellonia e tradimento per aver parteggiato contro di lui a favore dell'Arciduca Carlo 52 Per un'analisi approfondita del punto, cfr. Capitolo III.

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d'Asburgo all'interno della successione spagnola, posto che tutti i nomi elencati riguardando soggetti rei di tali colpe. Ciò non fa demordere lo zelante amministratore il quale sostiene che la clausola di chiusura ricomprenda in generale chiunque abbia commesso un delitto di fellonia nei confronti di Sua Maestà Cattolica (e dunque anche al di fuori della successione Spagnola). Sulla scorta di questa interptreazione viene preteso che sotto la riserva de beni confiscati cadano quelli che sono rimasti confiscati per gli accidenti di Messina,

ovvero in seguito così detta per la rivolta antispagnola che creò disagi nel priodo che va 1674 al 1678; a ciò si aggiunge la pretesa reintegrazione de' sequestri sovra li beni de' napolitani e milanesi

ovvero il ripristino del sequestro dei beni a suo tempo disposto dal Re di Spagna ai napoletani e milanesi residenti in Sicilia in seguito al passaggio all'Austria del Ducato di Milano e del Regno di Napoli avvenuto tra il 1706 ed il 1707; ma qui giustamente il Consiglio di Sicilia ed i ministri di Torino non mancano di far notare l'intrinseca contraddizione: Ammessa e non concessa l'interpretazione del Narbona, i beni in questione non erano stati confiscati per fellonìa o tradimento. Voler strappare regalie ed ampliare beni ritenuti non bastava: si richiedeva pure il rimborso di alcune somme esatte quantunque maturate in tempo del dominio spagnuolo sino alli 10 ottobre 1713; che non si molestino li debitori del precedente governo, li quai sono stati dal Re Cattolico liberati, e che inoltre siano dalla Sua Maestà soddisfatti li creditori del medesimo.

Con abile colpo di mano, prima della ratifica dell'atto di cessione della Sicilia, tra le disposizioni vi è anche questa: la liberazione di ogni debitore e la promessa di soddisfare (i non pochi!) creditori del precedente governo. La malafede di Filippo V non aveva avuto alcun limite, cedendo in tal modo uno stato ancor più indebitato di quanto lo avesse lui stesso e cercando di strappare qualche altro quattrino al Duca di Savoia ponendosi esso stesso quale creditore di millantati crediti; prontamente i piemontesi affermano che i crediti pretesi non si potrebbero mettere a calcolo della Sua Maestà mentre si deve attendere il giorno, in cui scadea il termine del pagamento, il quale scadde in tempo che Sua Maestà aveva di già preso il possesso del Regno; e non solo, incalzando si ricorda si dovrebbe procedere semmai alle restituzioni delle somme provenute dalle gabelle, che anticipatamente si esigevano come sono

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state quelle del tabacco,ed altre di Messina, e che dal precedente governo sono state esatte quantunque il frutto di esse maturasse che in tempo, che Sua Maestà era di già entrata nel possesso del Regno.

Dulcis infundo: Lo zelante amministratore ritiene di non dover concorre al donativo deliberato dal parlamento del 1714 a motivo dell'aggravio loro fatto in detto riparto. Questo pare davvero assurdo ai piemontesi. Non si voleva pagare, solo perché per ragioni contingenti questo era di una misura superiore a quello degli anni antecedenti: cos'era questo se non un mero pretesto per cercare un (ulteriore!) litigio? In effetti la tassazione piemontese risulta più gravosa rispetto a quella precedente, ma ciò di per se non rendeva in alcun modo legittima tal pretesa. 53 In tal modo si è fatta una veloce panoramica delle pretensioni Spagnole, che il buon senso di chiunque porta a capire che altro non sono se non meri pretesti di liti e conflitti della Corte di Madrid, mai rassegnata alla perdita del più bel gioiello della Corona Spagnola. 2.1.4 Un conflitto irrimediabile Per quanto ragionevoli fossero le argomentazioni dei funzionari sabaudi, questi si muovono su un binario ben diverso da quello Spagnolo. Nelle loro argomentazioni si cerca di riportare Filippo V alla dimensione di vassallo del nuovo Re di Sicilia; e per quanto il diritto e la logica astratta avrebbero dovuto confermarlo, questo andava contro non solo le pretese dello stesso Re Cattolico ma contro una realtà di fatto. Infatti i territori ritenuti, ed in specie il contado di Modica, erano de facto amministrati in tutta indipendenza e senza tener conto delle regalie che su di esse Vittorio Amedeo avrebbe potuto esercitarvi. Filippo V, come dicevano i funzionari sabaudi54, voleva fare (e faceva) il sovrano in altrui Regno. Ciò viene a creare una sitauzione di stallo in cui ogni parte dava una propria interpretazione alle clausole del trattato di cessione della Sicilia, sordo delle altrui pretese. Stanco di sconti diplomatici, Sua Maestà Cattolica, per mezzo dei suoi rappresentanti, compie una serie di colpi di mano: il 29 marzo del 1716 ordina ai suoi amministratori in Sicilia di non avvalersi, per le cause riguardanti i beni 53Per un'analisi approfondita del punto Cfr. S.CANDELA, Op. Cit. pp 226-230. 54ASTo, Sezioni Riunite, Paesi, Sicilia, Cat. I, Copia del parere dato dal Presidente avvocato fiscale D. Nicolò Pensabene lì 23 maggio 1715.

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ritenuti, di ministri o tribunali del Re di Sicilia; esse dovevano essere unicamente di cognizione di una Giunta formata da ministri da lui nominati (giudicante in I e II grado). Nel seguente 1717 il procuratore generale Gaspare Narbona ordina che siano considerate nulle tutte le decisioni della Gran corte di Palermo e tutti i decreti vicereali riguardanti i beni ritenuti; forma senza l'autorizzazione di nessuno una apposita giunta per giudicare alcuni funzionari del Contado 55 e dispone per suo conto la riscossione del diritto di cassa per le estrazioni infra ed extra regno delle merci. Per cercare una mediazione a fronte di questa situazione, il secreto di Noto Barone di Lorenzo del Castelluccio, è nominato commissario generale con lo scopo di riportare a ragione gli ufficiali del Contado Modicano; arrivato in dette terre, però, è accolto con minacce e con toni di sdegno da parte dei funzionari del contado ed accusato di ledere le prerogative che da secoli erano proprie di tale feudo. Il Narbona non si lascia in alcun modo scomporre e continuava dritto sulla sua linea: gli stati ritenuti erano da considerasi come posti fuori dal Regno, ed il suo comportamento ottiene il placet da Madrid. Anzi, nel rivolgersi al detto commissario non manca di esprimere velate minacce al Di Lorenzo, in cui afferma che sarebbe stato giudicato per i suoi comportamenti in un verosimile e futuro ritorno del sovrano spagnolo nella Sicilia. La situazione non poteva essere dunque risolta entro i limiti del Regno: Vittorio Amedeo, per poter addivenire ad una soluzione avrebbe dunque dovuto rivolgersi direttamente alla Corte di Madrid. Tutte queste dispute tra politica e diplomazia rimangono senza alcuna soluzione e le ipotesi di un conflitto militare con la Spagna (anche alla luce delle minacce del Narbona) iniziano seriamente ad essere prese in considerazione. 56 2.2 La perdita del Regno La posizione dei Savoia non era mai stata particolarmente solidia, ed inizia ad incrinarsi ben presto; infatti nel 1714 muore Maria Luisa Gabriella, figlia di Vittorio Amedeo II e moglie di Filippo V, ripercuotendosi sui rapporti dei 55 Ad essere giudicato è Andrea Monelli, capitano d'armi di Modica, che era soggetto all'Audienza Generale di Palermo. Inoltre si iniziò a non mandare più i rapporti settimanali sullo stato della giustizia penale alla Gran Corte di Palermo, giustificandolo sulla base del mero e misto imperio concesso. 56 ASTo, Sez. Riunite, Paesi, Sicilia, Cat. I, M. 9 , fasc. 29 Discorso politico e militare concernente la difesa del Regno in caso vi sia guerra. Fatto nel 1718.

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rispettivi stati; a ciò si agginge la morte, nello stesso anno, di Anna Stuart che era stata la promotrice dell'assegnazione della Sicilia al Duca di Savoia, a cui succede il lontano cugino Giorgio Hannover, principe tedesco molto vicino all'Imperatore. A sancire la legittimità del nuovo sovrano inglese viene sottoscritta la convenzione di Hannover (1716), a cui il Reggente francese è obbligato ad aderire (per vedersi a sua volta riconosciuta la propria successione e difendersi dalle pretese spagnole); a questa seguirà la sottoscrizione, nel 1717, da parte dell'Olanda: prende così vita la c.d. Triplice Alleanza. Per il momento ne rimane fuori l'Imperatore, il quale pone come sua condizione per la sottoscrizione la rinuncia della Sicilia e della successione al Regno di Spagna da parte del Duca di Savoia. Anche la Spagna non si trova in una situazione particolarmente felice: il suo sovrano è infatti estremamente indignato dalle trame ordinte dagli altri sovrani, e ritenendosi umiliato e tradito da questi, ritiene che non vi è altro mezzo se non prendere le armi: nel 1717 decide dunque di riprendere con la forza la Sardegna, che capitola ben presto con ben poca resistenza da parte delle forze imperiali. Posto che lo scopo dell'Alleanza è stabilire una volta per tutte la pace in Europa, questa non può essere chiaramente ottenuta senza l'adesione dell'Imperatore ed una riconciliazione di quest'ultimo con Filippo V ed il Duca di Savoia. Il 4 aprile del 1718, l'Imperator dopo lunghe trattative aderisce all'alleanza, rinunciando ai suoi diritti al trono spagnolo e ponendo la condizione che il Duca di Savoia avrebbe dovuto rinunciare alla Sicilia in cambio della Sardegna. Il tutto si fa all'oscuro di Vittorio Amedeo, che sul tavolo europeo è il più debole dei regnanti (ed in quanto tale destinato a pagare con le proprie tasche il prezzo della pace). Vittorio Amedeo, venutone a conoscenza va su tutte le furie: si era disposto dei suoi beni e dei suoi diritti senza nemmeno ascoltarlo; per questo cerca invano di far osservare gli impegni presi ad Utrecht nel 1714, senza ottenere alcun risultato. A fronte di questa situazione gioca un'ultima carta portando avanti una spregiudicata attività diplomatica, spedendo i propri plenipotenziari in Spagna ed a Vienna. A Filippo V fa recapitare la proposta di un'alleanza anti-austriaca al fine di 38


conquistare il Ducato di Milano; in cambio di ciò il Duca di Savoia avrebbe restituito la Sicilia al suo “legittimo” proprietario; d'altro canto, a Vienna, avanza la tanto spregiudicata proposta: la cessione di ogni suo dominio avuto in cambio della Sicilia, Napoli e Sardegna. In un tale clima Filippo V era tutt'altro che ben disposto nei confronti del Duca di Savoia; infatti questi aveva acquisito la Sicilia parteggiando per il nemico rompendo un alleanza che da poco era sorta tra i due. Inoltre, ottenuta la tanto agognata Isola, non aveva (a suo dire) rispettato i trattati di Utrecht, violando i diritti sui beni riservati che gli spettavano in virtù delle clausole dell'atto di cessione. Ma ciò non era tutto: a ciò si aggiunse il vocio, circolante nei salotti dei diplomatici, che Vittorio Amedeo trattava con l'Imperatore per cedervi la Sicilia (notizia che chiaramente era falsa, ma che nel contesto di caos e belligeranza andò ad aggiungersi ai tanti addebiti mossi al detto Duca). In ultimo, venuto a conoscenza dei termini che erano alla base dell'Alleanza va su tutte le furie: non poteva in alcun modo accettare ciò che si era disposto intorno alla Sicilia, che reputava ancora un prezioso gioiello della sua corona; anzi, questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. Sebbene ne fosse venuto a conoscenza per vie traverse, a dare notizia ufficiale del contenuto degli accordi sono il Reggente di Francia ed il nuovo Re d'Inghilterra; con tale comunicazione lo invitano ad aderire; a risposta negativa ricevuta, rispondono con la dichiarazione di guerra. A tal punto Filippo V riprende i negoziati con Vittorio Amedeo nei termini in cui sopra è stato prospettato, chiedendo un'alleanza di orientamento anti-austriaco ed offendo il suo aiuto per la conquista del ducato di Milano, da scambiare poi con la Sicilia. Nel frattempo le ambiguità ed in controsensi non mancano nemmeno alla corte spagnola, la quale in parallelo arma una flotta a scopo non molto chiaro: logorare l'Imperatore nei suoi domini italiani...o riottenere manu militari la Sicilia? 2.3 Epilogo: L'invasione della Sicilia ed i nuovi negoziati Il 17 giugno del 1718 la flotta salpa dalle rive spagnole, per comparire dinnanzi a Palermo il primo del luglio seguente. Il Viceré Maffei non dà molto peso alla situazione, sicuro dei rapporti pacifici con 39


la Spagna, sentendosi rassicurato dalle negoziazioni in corso con la stessa. Nel mentre, la flotta si sposta verso Bagheria e nelle vicinanze inizia lo sbarco di truppe spagnole; a questo punto il Viceré, essendone venuto a conoscenza, manda una spedizione di dragoni a prendere atto della situazione; questi però sono respinti dalle truppe spagnole: vi era in atto l'invasione della Sicilia, fatto che venne accolto come incredibile in quanto (a suo dire) imprevedibile. In un primo momento Maffei pensa di difendere la città, ma consultatosi con la nobiltà locale e con il pretore, il Conte di San Marco, capisce che la città non poteva reggere l'invasione: troppo tardi si era scelto di agire. Con un piccolo esercito lascia dunque la città insieme ad un modesto seguito di fedeli, senza che nessun nobile locale si fosse degnato anche solo di salutarlo: i signori siciliani erano rimasti legati ai vecchi dominatori, e questo evento alimentava la speranza di un nuovo ritorno; tale operazione aveva come fine quello spostare la difesa sulla costa orientale, più facilmente difendibile, e nelle principali piazze d'armi, tra cui Messina. Rimasta la capitale in mano alla nobiltà locale, questa si premura immediatamente di mandare una rappresentanza al marchese de Lade, comandante delle truppe spagnole; offrendo la città, pregano di non arrecare alcun danno ad essa ed alla sua popolazione, e di poter godere dei privilegi che questa aveva avuto sotto il dominio spagnolo; il de Lade fu ben felice di accogliere le richieste, negando privilegi ai soli piemontesi rimasti in città insieme la libertà di risiedere o partire a loro arbitrio. La flotta fa dunque ritorno dinnanzi ai mari di Palermo, mentre nel frattempo alcune truppe spagnole, precedentemente sbarcate, occupano il palazzo reale ed il relativo quartiere; la città capitola pacificamente ed il Marchese de Lade, assunte de facto le funzioni di Viceré, invia lettere a tutte le città annunciando il “nuovo” possessore dell'Isola: Sua Maestà Cattolica Filippo V di Spagna. Non essendo mai troppe le risorse in guerra, al contempo si ordina il sequestro del denaro contenuto nelle pubbliche casse nonché si invita la nobiltà riunire truppe a favore del nuovo Re. Preso il possesso della città, il 4 luglio si svolgono le consuete cerimonie per formalizzare la sua posizione.

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Nel mentre Maffei marcia per Siracusa, tagliando in diagonale l'Isola e passando per il suo entroterra. Il cammino è difficile e privo di sostegni da parte della popolazione, che non aveva tardato a cambiare bandiera; così è Caltanissetta, che si rifiuta di dare aiuto al suo Viceré ma questi non si lascia intimorire e con le armi viene preso quanto serviva; il 14 dello stesso mese la marcia ha fine a Siracusa. Da lontano Vittorio Amedeo seguiva la vicenda, ma ormai era troppo tardi per contrastare gli invasori; poco dopo Palermo, cade anche Castellammare per la resa ordinata del suo comandante, successivamente sottoposto a giudizio militare e condannato a morte dai Savoia. Gli spagnoli portano avanti con audacia il loro progetto di recupero dell'Isola da un lato tramite atti politici, quali la nomina di un commissario per ogni Vallo (provincia) della Sicilia, con lo scopo esplicito di fomentare la rivolta contro i vecchi sovrani, e dall'altro portando avanti continue operazioni militari. La tappa successiva a Palermo era Messina, che è raggiunta nel 23 di Luglio e velocemente sottomessa per il 29 del mese seguente 57; infatti la città non era nelle condizioni di poter sostenere un assedio: poche erano le risorse finanziarie ed il tempo necessario per apprestare le difese necessarie tant’è che sin da subito si valuta la possibilità di una negoziazione al fine di far capitolare la città pacificamente, cosa che in effetti avviene, dopo notevoli scontri. La diplomazia però si era data da fare: il 2 Agosto 1718 viene siglata la quadruplice alleanza da parte dell'impero, Francia ed Inghilterra; l'Olanda, sottoscriverà solo in febbraio del 1719. Questa prevedeva la rinuncia da parte dell'Imperatore ai suoi diritti sulla Spagna, la quale avrebbe dovuto, a sua volta, rinunciare ai Paesi Bassi ed agli Stati d'Italia. A Vittorio Amedeo si riproponeva il sacrificio della Sicilia per la Sardegna ed il diritto di succedere al trono spagnolo; questi prova una mediazione per ottenere qualche vantaggio ma non avendo alcun potere contrattuale le sue proposte58 non hanno alcun seguito. Al fine di strappare quanto chiesto, si cerca di agire tramite l'Inghilterra; per 57 Cfr. A. LO FASO DI SERRAFALCO, I Piemontesi in Sicilia. L'assedio di Messina (luglio-settembre 1718) in «Studi Piemontesi» II (2003). 58 Vittorio Amedeo propone di togliere la reversibilità della Sardegna alla Spagna o ancor meglio di ottenere il Ducato di Parma e la successione di Toscana col titolo di Re di Etruria (l'ultimo Gran Duca, Gian Gastone. non aveva eredi e sarebbe morto nel 1737).

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accaparrarsene le simpatie, il plenipotenziario sabaudo fa presente il rifiuto di aderire agli accodamenti di Filippo V e millanta il contestuale invio a Vienna di plenipotenziari per ricevere truppe imperiali in Sicilia (cosa che in effetti avviene poco più tardi). Sebbene si ottiene in questo modo l'appoggio degli inglesi contro la Spagna, essi spingevano per l'adesione alla pace ai termini della quadruplice alleanza così per come era stata delineata. Dopo aver tentato inutilmente di trovare appoggio in Francia, Olanda e nell'Inghilterra, Vittorio Amedeo manda un suo plenipotenziario a trattare con l'Imperatore in ordine alle sorti della Sicilia; questi è ben lieto di accogliere la richiesta di aiuto sabauda. Invero il Duca di Savoia era indeciso e titubante ma l'aiuto austriaco era determinante, sebbene così si sarebbe potuto correre il rischio di occupazione dell'isola da parte di Carlo VI. Si era giunti ad una situazione di stallo. I Piemontesi rimasti in Sicilia, giunti in Siracusa, sono privi di ogni risorsa e difficile era far arrivare approvvigionamenti, posto che i mari erano presidiati da navi nemiche. La via più conveniente è quella della Calabria di levante in cui si poteva godere di prezzi migliori (quella di ponente era impegnata ad approvvigionare le truppe Imperiali, ed i prezzi, vista la maggiore domanda, erano meno convenienti), e si cerca di sfruttare ciò che vi era in città tramite il sequestro di quanto necessario e l'occupazione di abitazioni per adibirle a ricovero delle truppe. Oltre ai viveri si sentiva la necessità dare qualche soddisfazione allo stesso esercito, che poteva tuttalpiù essere data con una maggiore razione di cibo; mancavano infatti anche le monete necessarie per la loro retribuzione. Si studia l'opportunità di far venire un mastro coniatore da Napoli, cosa che non si riesce a fare; ci si avvale per cui di carcerati di origine Maltese ricoverati presso le carceri della città a cui si assegnerà il compito di provvedere alla battitura di nuove monete. Anche per gli spagnoli la situazione iniziava a mettersi male; l'assistenza dei siciliani, la cui fedeltà mai era venuta meno, andava ad affievolirsi: maturava la consapevolezza che l'Isola non poteva andare a Filippo V. La stessa Spagna si rende conto che nonostante avessero le vittorie riportate e l'occupazione di Palermo e Messina, era difficile resistere e che era molto 42


probabile un successo militare da parte degli imperiali: si deciderà dunque di aderire alla quadruplice, nei termini sopracitati, cosa che avverrà, dopo alcune titubanze, il 17 febbraio del 1720. La diplomazia oramai era l'unica via anche per il Duca di Savoia: non riesce ad ottenere quanto chiesto ed è costretto a firmare l'8 novembre del 1718 subendo quanto sancito dalle altre potenze: questa era l'unica via, la guerra non poteva andare più avanti. I conflitti proseguo no ancora per poco, giusto il tempo per rendere operativo quanto stabilito con la quadruplice alleanza; le ostilità cessano definitivamente il 3 maggio del 1720. Nello stesso giorno, le potenze interessate, concordano i termini di evacuazione. La Sicilia era ormai Imperiale: l'11 maggio ha luogo in Palermo il giuramento di fedeltà al nuovo Re di Sicilia Carlo III d'Asburgo.

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Capitolo III La Giurisdizione del capo X Tra le pretensioni sollevate dal Procuratore di Filippo V, particolare attenzione è data al così detto diritto di cassa ed alle circoscrizioni e consistenza dei poteri giurisdizionali delle due Maestà; infatti presso l'Archivio di Stato di Torino è cospicua la documentazione su tali punti, essendo stati oggetto di approfondimenti monografici in chiave tecnico-giuridica da parte dei più importanti magistrati dell'Isola e del consultore giuridico del Viceré, il piemontesissimo Francesco Antonio Nicolis di Robilant. In particolare ci si è soffermati sull'analisi di due documenti aventi oggetto i delicati confini giurisdizionali tra i magistrati siciliani, espressione del nuovo governo sabaudo, ed i vetusti tribunali feudali del contado di Modica e baronie dipendenti fondati su antichi privilegi ed affiancati dalla Giunta di Spagna, nominata da Filippo V per amministrare e risolvere le controversie riguardanti gli stati e beni riservati, in forza dell'atto di cessione della Sicilia. Gli ultimi retaggi del feudalesimo si intrecciano con il diritto internazionale, rendendo poco chiare le prerogative dei rispettivi contendenti; troviamo accavallate più sovranità in senso verticale (tra signore feudale e sovrano) ed in senso orizzontale (tra le due Maestà, Filippo V e Vittorio Amedeo II) ; capire chi è il signore e chi vassallo è un'impresa difficile, posto che in questo contesto la formalità del diritto cade, lasciando spazio alla politica e diplomazia: tutto si riduce ad un braccio di ferro tra due Sovrani, che troverà fine (e non risoluzione!) in un conflitto bellico. 3.1 Due pretese non conciliabili Prima di approcciarsi all'analisi dei singoli punti, bisogna capire in termini generali qual è il fulcro dell'intera “questione giurisdizionale” su cui ruotano le reciproche pretese. In questo ordine di idee si muove il Consultore Robilant, che in apertura alla sua Relazione59, afferma che 59 ASTo, Sez. Corte, Fondo Paesi, Sicilia, Inventario II, Cat. IX, M. 1, f. 4 Relazione fatta dal Conte

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Per risolvere con una sola risposta tutte le pretenzioni, che sotto questo titolo di giuridizione si propongono dal Procuratore Generale [di Sua Maestà Cattolica], conviene riconoscere qual sia la giuridizione che può pretendersi sovra li beni confiscati in seguito alle riserve portate dal Capo X° della Cessione.

Questi afferma che al Contado di Modica, e baronie dipendenti, possano attribuirsi due ordini di giurisdizioni. La prima è quella tipica e propria di ogni barone i cui feudi sono stati confiscati e ritenuti da Sua Maestà Cattolica, per cui quest'ultima si sarebbe limitata a subentrarne nella titolarità così per come essi erano al momento della confisca, con le relative prerogative e diritti feudali nella misura stessa che i lor signori avevano goduto in virtù degli specifici privilegi. Ciò vuol significare che in Modica, e terre dipendenti, Filippo V altro non è che un successore “atipico” dei suoi Conti, che gode dunque delle particolari prerogative giurisdizionali che questi avevano ricevuto nel 1392 in virtù del già più volte menzionato privilegio di Re Martino I, il quale attribuiva - e giova ricordarlo - il mero et mixto imperi, maximo medio e minimo et omni jurisdictione et dominatione tam civili quam criminali et cum appellationibus quibuscumque.

Ciò equivale a dire che il primo tipo di giurisdizione che in Modica, e terre dipendenti, Filippo V avrebbe potuto esercitare, consisteva in un sistema equivalente a quello che per secoli ha caratterizzato la Contea, e ciò non era di certo poco: questa, appunto, godeva del privilegio di una corte di appello di primo e secondo grado, dando vita ad un sistema di giustizia ordinaria suddivisa in tre gradi di giurisdizione. In tal modo la giustizia sia civile che penale si decideva, e si definiva, entro i limiti del contado. Con toni concilianti ripromette alla Maestà Cattolica che intorno à questa sorte di giurdizione non ha mai inteso, ne intende il Re di Sicilia che sia fatto alcun minimo pregiudizio agli Ufficiali, e Tribunali, di detti Baroni, che hanno patita la confisca, ed ove mai venga data la notizia di qualsisia causa che ivi contro ragione a detti Ufficiali, e Tribunali, ritroverà sempre il Procuratore Generale dell'amministrazione tutta l'attenzione nei Ministri di Sua Maestà per impedire si fatti pregiudizi.

di Robilant Consultore al Viceré dell'operato sovra le pretensioni del Procuratore Generale di Sua Maestà Cattolica in Sicilia. Vedi appendice documentaria nelle pp. x-y

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In tal passo si tocca con mano la sincera volontà di riconoscere l'autorità di Filippo V in Sicilia, relegandola alla figura di mero vassallo ed impegnandosi però al rispetto delle particolari prerogative che i suoi feudi avevano ottenuto a suon di abusi degli antichi Conti; privilegi di certo odiosi per il Re e che un accentratore come Vittorio Amedeo avrebbe sicuramente combattuto se il suo titolare non fosse stato un suo pari. Chiaramente, se da un lato si riconosce la giurisdizione del Re Cattolico, dall'altro se ne delimitano i confini non solo in positivo circoscrivendoli ai privilegi comitali, ma anche in negativo ricordando che tutto ciò che non era stato espressamente a lui attribuito, era e rimaneva nella disponibilità della Corona; infatti ovunque si tratterà di cause, alle quali non poteva estendersi la giuridizione de Baroni che hanno patita a confisca, non può pretendersi che i detti Tribunali del Contado, ed altre Barone confiscate, possano mettervi la mano.

Il Consultore, nel riportare espressamente questi limiti, pone solo alcuni brevi esempi su cui poi ritorna con maggiore analiticità in un altro parere scritto a più mani insieme a prestigiosi magistrati Isolani, che è oggetto di analisi nel paragrafo successivo del presente lavoro. Il secondo ordine di giurisdizione che afferma spettare alla Mestà Cattolica è quella che trova la sua legittimazione nell'Atto di Cessione della Sicilia al suo capitolo X, nella parte in cui si afferma che qualora sorgesse un qualsivoglia dubio, eccezione, od interpretazione che per qualunque persona, ò pretesto, possa introdursi su i beni, rendite, ed effetti, che siano stati, possano, e debbano, esser confiscati, sequestrati e rittenuti di tutte dette cause, e dipendenze, non si potrà riconoscere, sentenziare, ed intervenire per altri Ministri, Giudici e Tribunali di quelli che io nominerò.

Anche qui non viene negata in toto una speciale giurisdizione a Filippo V, ma si ammette che la Giunta dei Ministri da lui nominata debba limitarsi a subentrae nei poteri che i Ministri Regi, nel breve periodo che va dalla confisca dei feudi ai Signori rei di fellonia (1703) alla cessione della Sicilia a Vittorio Amedeo (1713), avevano esercitato su detti beni. Questi erano il Tribunale della Gran Corte Criminale, il quale par esser quello che aveva dichiarate le dette confische, provedeva anche a tutte le cause

che, verosimilmente in ambito penale, avevano luogo all'interno di tali feudi,

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nonché i così detti Ministri Deputati60, che avevano [...] un altra giuridizione per cui venivano costituiti Giudici di tutte le cause che concernevano [...] [gli] accensamenti, li concorsi de' Creditori, suggiogatari ed altri simili.

In sostanza oltre alla giurisdizione feudale propria degli stati

ritenuti, si

riconosceva un'ulteriore giurisdizione limitata a quella dei magistrati che avevano amministrato la giustizia61 nel periodo di “commissariamento” 62 di tali “enti feudali”. Ciò che legittima questa interpretazione è un punto dell'atto di cessione, che l'abile Consultore non manca di ricordare, in cui Filippo V afferma che i beni e stati confiscati debbino restare sotto mia mano, come sono oggidì, e con li medemi Ministri, ò quei che stimerò di ponervi.

Posto dunque che al momento della cessione (l'oggidì a cui si fa riferimento) i beni confiscati ai rei di fellonia vedevano le loro cause ordinarie soggette alla cognizione di quei “Ministri”, allora tutt'alpiù la speciale giurisdizione rivendicata da Filippo V doveva (per sue parole!) essere circostritta a quella di detti magistrati. Dal canto suo il Procuratore Generale di Sua Maestà Cattolica, Don Gaspare Narbona propone un'interpretazione ben diversa, come si legge nell'allegato 63 al suddetto parere. Lo zelante amministratore parte da una prospettiva diametralmente opposta a quella del Consultore Robilant, aprendo il suo discorso affermando 60 Questi erano dei magistrati “ibridi” i quali svolgevano la funzione di amministratori, “che secondo il notorio uso di quel Regno nel Governo precedente” comportava l'esercizio di funzioni giurisdizionali nelle materie relative all'amministrazione economica del feudo (censi, soggiogazioni etc). 61 Non ci è nota, però, la consistenza effettiva di tali poteri giurisdizionali, posto che verosimilmente tal giurisdizione essendo stata esercitata in sostituzione a quella dei tribunali feudali (essendo detti stati confiscati e privi di titolare), almeno in parte sicuramente vi coincideva. 62 I feudi confiscati nel 1702 ai vassalli rei di fellonia per aver parteggiato a favore di Carlo IV d'Asburgo sono soggetti all'amministrazione di una speciale “Giunta dei beni confiscati” sita in Messina fino al 1713. Questo è un ente già esistente, istituito per amministrare i beni sequestrati ai messinesi al seguito della così detta rivolta antispagnola (1674-1678). Essa è composta “d'un capo ecclesiastico, tre giudici, un avvocato fiscale, due procuratori fiscali, un proconservatore ed un sollicitatore fiscale.” Cfr. AsTo, Sez. Corte, Fondo Paesi, Inv. I, Cat. I, M. I, Relazione dell'origine, prerogative e giuridizione della Giunta de Beni confiscati, e di quanti ministri sia composta. Mandata dal Conte, e senatore Dentis, mentre dimorava in Milano, qual l'hebbe dal Conte Ayroldi. 63 ASTo, Ivi, B. Addizione rimessa dal Procuratore Generale al Consultore

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che la [....] Maestà [Cattolica] ha la plenaria giuridizione e privativa in detti stati, senza che potessero ingerirsi in cosa alcuna i ministri e Tribunali del Regno.

Non si legge nelle sue parole alcun atteggiamento di conciliazione o di contentamento, ma al contrario pretende più di quanto fosse possibile immaginare; ciò mette in rilievo l'evidente strumentalità di tal pretesa di giurisdizionae, posto che altro non si sosteneva se non che Filippo V fosse sovrano in terra straniera, senza che ciò venga mai espressamente reclamato 64 . Il discorso che pone segue un percorso assai diverso da quello del Consultore; apre infatti la sua lettera con tal assoluta pretesa, argomentando che su questa materia giuridizionale [...] non si deve da parte de' Ministri del Governo stare su la supposizione che il Re Cattolico nei stati confiscati e riservati si debba considerare come herede anomalo,

come nei fatti abbiamo visto sostenere il Robilant, ma come quello a cui pleno jure li riferiti effeti fecero reversione jure devolutionis Real Corona per la fellonia de vassalli.

A sostegno di questa interpretazione troviamo un parallelismo con l'istituto dell'enfiteusi, in forza del quale mancando [...] il concessionario, [il bene] torna nel suo primiero stato jure devolutioni et reversionis alla Reggia Corona, e si fa de' Regio demanio, con togliersi tutti li pregiudiyzy, sovranità, ipoteche ed ostacoli che medio tempore dalla possessione del feudatario si fossero introdotte.

Seguendo questo ragionamento i feudi riservati, prima della cessione, sarebbero ritornati de jure nella disponibilità del concedente (la Real Corona), essendo mancati i loro titolari, rei di fellonia. Ma non solo: un ulteriore titolo che confermerebbe tale ritorno alla corona è rapprestanta dalla sentenza in cui il Consiglio Supremo di Castiglia che Declara[...] aver incurrido el dicto D. Juan Thoas Enriquez de Caprera in el delicto di lesa Maestà in primo capite ex cuyas consequencia le condenams en lapena ordinaria de muerte de cuchillo y en confiscation de todos sus bene s assilibres como de maioranza que plicamos para la camera de su ma: et y mandamos que todas ellos hagar reversion a la real Corona.65 64Nella documentazione consultata presso l'Archivio di Stato di Torino non è stata rinvenuta una pretesa in cui in termini espliciti venga pretesa la sovranità. Questa particolare prospettiva la si può comprendere prendendo atto che ci si trova di fronte agli ultimi retaggi di un sistema feudale, in cui il potere sovrano si articola e si distribuisce tra i c.d. corpi intermedi (la nobiltà), non esistendo un soggetto in cui si concentrano unicamente le tutte funzioni sovrane. 65Consiglio Supremo di Castiglia, 17 Agosto 1703. Questa pronuncia conclude un breve processo iniziato nel 1 Ottobre del 1702 con l'ordine d'arresto del ribelle e fellone Almirante di Castiglia. La lettera del Narbona ne riposta solo questo estratto. Per il testo integrale Cfr. R.SOLARINO,

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Felice di tali argomenti, il Narbona afferma che sono dunque due i titoli che legittimerebbero la sua tesi, ovvero una “automatica” incorporazione ex lege ed una in forza di una pronuncia giurisdizionale. Questa argomentazione pare però un po' ritondante, visto che il ritorno ex-lege del feudo al concedente, nel tal caso, postula la detta sentenza. In tal modo i due titoli si integrano a vicenda (e non concorrendo in modo autonomo alla produzione della medesima conseguenza), riducendosi il lungo discorso ad un goffo sofismo. Questa argomentazione sembrerebbe cozzare con il fatto che gli stati e i beni sono stati soggetti all'amministrazione “speciale” (diremmo oggi un commissariamento di un ente) da parte di un'apposita Giunta 66 sedente in Messina nel periodo che va dal 1702-0367 al 1713, suggerendo l'interpretazione già prospettata che tali feudi abbiano mantenimento di una particolare “soggettività feudale” 68. Questa prospettiva potrebbe confutare l'assunto sostenuto dal Narbona che però abilmente cerca di prevenire una deduzione in tal senso affermando che i particolari privilegi di questi feudi, Contado in primis, sono stati manentenuti in vita per rispetto degli abitanti di tali territori, non essendo di giustizia che per la fellonia, e colpa del loro padrone, portassero i fedeli la pena [e] che perciò si continuò nell'antico sistema, senza che da ciò s'abbia inferito menomo pregiudizi al Re Cattolico ne suoi dritti.

Per cui, seguendo la logica del Narbona, tali feudi, pur incorporati alla Corona ed in quanto tali verosimilmente estinti nella loro originaria conformazione, hanno mantenuto una loro “individualità” solo per non far torto ai loro abitanti, per via di graziosa concessione di Filippo V che ne ha tollerato de facto l'esercizio dei privilegi che per secoli vi si erano osservati. Fatta questa lunga premessa, il Narbona tira fuori nuovamente a sostegno della sua tesi la controversa clausola X, in cui Filippo V, come abbiamo già visto, afferma che tali feudi “debbino restare sotto mia mano, come sono oggidì”. La Op. Cit., pp. 181-182, nota I). 66 Cfr. Nota 62. 67 Mancano studi che indichino con precisione il momento a partire dal quale tali beni inizino ad essere amministrati da tal Giunta, posto che un sequestro potrebbe essere stato operato anche nelle more del processo. 68 Ipotesi ragionevole ma non documentata, prospettata da G. Chiaula, Op. Cit. pp.. 84-85.

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vaga clausola è interpretata dall'amministratore nel senso che, essendo questi feudi ritornati nella piena disponibilità di Sua Maestà Cattolica nel 1703, ella ne ha conseguentemente acquistato la assoluta sovranità. Per cui, all'atto della cessione nel 1713 utilizzando la locuzione como lo estas oy, altro non voleva intendere che mantenerne gli stessi poteri (assoluti!) che fino a quel momento vi aveva esercitato. Ecco dunque che ogni conto torna, che si spiega ogni pretesa e ragionamento del Narbona. Questa interpretazione della clausola X sarebbe corroborata, secondo il Narbona, dallo stesso fatto che espressamente (come abbiamo visto) Filippo V si riserva la facoltà di nominare ministos, jueces o tribunales per le controversie relative a tali beni; infatti,con non poca ironia, il Procuratore si domanda allora quale senso avrebbe potuto avere una tal disposizione, e la conseguente costituzione di una Real Giunta di Spagna, se i tribunali dell'Isola si fossero potuti ingerire nella giustizia di detti stati ritenuti; una tale ingerenza vorrebbe significare l'esser reputati in conformità delli altri Baroni, [ed in tal caso] avrebbe bastato il mero giudice deputato,

ma se semplici baroni si fosse davvero stati, allora la creazione della Giunta di Spagna non avrebbe alcun senso d'esser stata preveduta. La previsione di tal Giunta nasce invece dalla necessità di apprestare una corte a gli stati che ne erano rimasti privi, dovendo quelli avere un tribunale maggiore indipendente, in cui s'avesse trasferita la total giuridizione tanto per via di giustizia quanto per via di governo, si come il capitolo di cessione dichiara.

Sua Maestà Cattolica, a dire del Narbona, avrebbe potuto costituirvi l'equivalente delle supreme magistrature dell'Isola; infatti il Re cattolico potea /si come può/ bene fare la sua Gran Corte il suo Tribunal del Patrimoio, suo Concistoro ed altri [supremi tribunali] per li stati riservati

ma si è contenuto dal farlo per ovvie ragioni d'economia: gli stati ritenuti hanno una superficie assai ridotta e sarebbe stato eccessivo un tal provvidimento; si è dunque preferito costituire un'unica corte, delegandovi le funzioni di ogn'una di esse. 50


Ecco dunque che, esposte le ragioni dei due contraddittori, si ha modo di prendere atto di come sulla base della stessa clausola si arriva a rivendicazioni, pretese, ed interpretazioni, l'una ben lontana dall'altra; è sì vero che i toni e le richieste del Narbona sono sicuramente eccessivi, ma non ci si può nascondere nemmeno dalla realtà: de facto questi beni hanno continuato ad essere amministrati dagli spagnoli, che mai li avevano del tutto abbandonati; e la rivendica del dominio da parte dei Savoia sulla base di un trattato sembrava alla Maestà Cattolica ben poca cosa, convinto com'era di essere gli stesso legittimo proprietario, spodestato con la forza. Bisogna pure riconoscere che risulta difficile in questo contesto dire cosa sia giusto o meno, posto che ci si trova di fronte a clausole vaghe ed indefinite, inserite unilateralmente ed in malafede da Filippo V, ma pur sempre accettate senza troppe riserve da Vittorio Amedeo. In sostanza il problema sta alla base del trattato stesso, concluso di fretta tra due parti portatrici di una diversa (se non opposta) volontà. 3.2 A difesa delle giurisdizione sabauda Nel portare avanti la sua interpretazione dell'Atto di Cessione della Sicilia, il governo sabaudo si arma di abili e fini giuristi al fine di reclamare e difendere le prerogative regie di Vittorio Amedeo; sul punto della regia giurisdizione troviamo redatto un parere da parte dell'Avvocato fiscale della Regia Gran Corte Ignazio Perlongo, l'Avvocato Fiscale del Tribunale del Real Patrimonio Antonino Virglio, il Presidente della Regia Gran Corte Casimiro Drago insieme al Consultore giuridico del Viceré Maffei, il noto Conte Nicolis di Robilant. Questo parere, in circa 40 pagine, tocca sette punti controversi a cui corrispondono altrettante regalie violate dagli amministratori spagnoli. L'analisi di tali punti nasce da singoli casi concreti che rappresentano l'occasione per esporre in linea teorica le origini stesse della sovranità e le sue concrete esplicazioni; non mancano infatti citazioni delle sacre scritture e di antichi autori, le cui teorie talvolta rasentano la teologia, per poi introdurre, nelle ultime pagine di ogni singolo paragrafo, il singolo caso concreto che è brevemente affrontato e risolto. Troviamo dunque una comune struttura argomentativa, che parte da astrazioni teoriche e teologiche per poi ricondursi alla fattispecie concreta; tale coerenza è 51


mantenuta nonostante gli autori siano ben quattro, e la loro formazione talvolta radicalmente riversa. Seppur possa apparire superfluo, non bisogna dimenticare che questo è (e rimane) un parere di parte, che per essere compreso presuppone l'interpretazione dell'atto di cessione della Sicilia così per come in grandi linee è stato esposto nel paragrafo precedente. Ultimo punto da notare è che le principali controversie ruotano intorno alla Contea di Modica, sede del Procuratore Generale di Sua Maestà Cattolica, senza che si dia particolare attenzione agli altri beni confiscati, sicuramente di minore entità e con minori privilegi, e per questo difficilmente strumentalizzabili al fine di rivendicar pretese ed erodere la sovranità di Vittorio Amedeo II. 3.2.1 Un Re deve tutelare i suoi sudditi Il primo punto che viene analizzato funge da introduzione e chiave di lettura dell'intera relazione, potendosi nella sua ampiezza ricomprendere tutti i successivi; questo lo si può ben dire non solo per quanto concerne la materia stessa oggetto di trattazione, ma anche per i toni e le argomentazioni che vengono utilizzate per introdurre l'argomento, che permettono di comprendere ed esplicare il generale fondamento ed i compiti irrinunciabili del Sovrano. Tra le funzioni di un buon Principe vi è quella di tutelare ogni suddito da qualsiasi oppressione o sopruso, accordando a questi la possibilità di poter proporre un ricorso diretto alla corona per esporre le loro suppliche. Questo è, dicono i nostri Autori, il principale se non il più antico compito di ciascun sovrano. Il concetto è posto in maniera tale da far apparire questa prerogativa regia non tanto un semplice potere del Principe, quanto un dovere impostogli dall'alto; è dunque solo seguendo questa prospettiva che non si potrà mai negare la competenza del sovrano, posto che egli è investito del compito divino d'invigilare nella custodia de sudditi, di sovvenirli nelle necessità, e sollevarli dalle loro oppressioni.

Infatti trovasi imposto ai Re dal sommo Dio, perché non lascino perire nelle oppressioni gl'uomini nati sotto la loro custodia

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Egli è dunque titolare di un “obbligo naturale” connaturato alla sua stessa carica, portatrice di doveri prima che di poteri, con conseguente impossibilità di abdicare da quella special giurisdizione, al cui esercizio corrisponde un opportuno rimedio al suddito ricorrente, che si vede spesso vessato in primis dai corpi intermedi - la nobiltà -, a cui il sovrano ha concesso terre in vassallaggio. La trasgressione di tal obbligo da parte del Principe porta con se la violazione delle stesse sacre scritture; infatti se sarà omesso e trasgredito, renderebbe deforme la sacra condizione del principato, secondo quanto scrisse S. Paolo: qui suorum curat et defensionem non prestat infideli deterior est.

Gli eruditi Autori, dunque, tratteggiano l'origine divina del Principe per poterne fondare l'autorità e le sue prerogative; in questo modo rendono indisponibili ed immanenti le sue funzioni, ponendole come postulato della sua esistenza. Dalle sacre scritture, leggi fondamentali di ogni buon cristiano, si passa gradualmente al diritto “positivo”, utilizzando quale tramite l'Imperatore, rappresentante in terra dell'autorità divina 69. Con molta astuzia si trova il perfetto raccordo per scendere dalle massime teologiche alla concretezza del

diritto,

citando il testo normativo tradizionalmente posto a fondamento del sistema del diritto comune, il Corpus Juris Civilis di Giustiniano; più nello specifico oggetto del richiamo sono le Novellae Constitutionaes, al cui titolo secondo è sancita la seguente massima Nam et nos propterea eam poscimus ut et Iustitiam que in lege est valeamus domino Deo venere, et nos metipsos et nostrum commendare imperium, et non videmur despicere homine oppressos quos nobis tradidit Deus. Ideoque quantum ad nos consecratur hec lex Deo, quod nihil in mentem nostram veniens boni pro tuitione subiectorum relinquibus.

Trovata dunque la divina volontà recezione nelle disposizioni normative, gli Autori proseguendo la trattazione, delineando le modalità con cui la giustizia trovi esplicazione nel mondo concreto. Si afferma infatti che tale prerogativa sia (e rimanga) nelle mani del Principe, senza che la concessione di feudi ai Baroni

69 Nella cultura giuridica europea medievale questo è il ruolo che tradizionalmente ha assunto la figura dell'Imperatore. Chiaramente nel '700 queste erano concezioni obsolete e lontane , sebbene resistano ancora (come lo si nota dal tenore di questo parere) gli ultimi strascichi di antiche concezioni. Cfr. P. GROSSI, L'ordine giuridico Medievale, Roma – Bari, 2006 (III edizione).

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sarebbe di per se bastevole per privarsene. In tal senso si muove la communis opinio70 dei giuristi italiani, che gli Autori non mancano di citare nella loro estrema erudizione e che trova espressione nelle parole del napoletano Gian Francesco Capoblanco il quale esprime tale principio in una delle sue sentenze. Ac conseguenterliet terram infeudando concesserit in naturam francam, ac cum reggia et omnimoda potestate non per hoc abdicata erit abeo potestat direchti domini quod dirctum dominium principaliter respicire audientiam querelarum

Anzi, incalzano gli Autori, con l'infeudazione si acquisterebbe addirittura l'ulteriore dovere, e potere, di tutelare il suddito dalle quelle vessazioni che i Baroni potrebbero lor far patire. Chiaramente il sovrano, essendo uno in tutto il Regno, non ha possibilità di andar incontro alle esigenze d'ogni suo suddito ricorrente; per questo - ricordano gli Autori - si creò la Regia Gran Corte, Magistrato […] collaterale [al Principe] cui fu dalle costituzioni dell'Imperador Federico communicata questa regaglia di sentir le querele dell'oppressi e di giudicarle.

Definita una regalia, individuato l'organo per mezzo della quale essa si deve esercitare, si cerca di confutare tesi volte a spogliare il Principe di questa regalia. Si afferma, infatti, che il sovrano dovrà apprestare tutti i rimedi necessari per tutelare i suoi sudditi dagli abusi dei Baroni, cui mai potrà essere delegata questa funzione, qualunque sia il tenore del suo privilegio ed anche se con esso gli sia delegata l'esercizio della giurisdizione nei loro feudi (e qualsiasi sia il tenore del loro mero e misto imperio). Per quanto ampia possa essere tal delega di giurisdizione ad essi fatta, la relativa clausola attributiva mai potrà ricevere una sì ingiusta ed inigua interpretazione d'essersi egli spogliato [il Principe] della sua suprema autorità di provvedere sopra le querele de sudditi, e di dargli remedio e sollievo nelle loro oppressioni

perché ciò equivarrebbe ad una deformazione del modello divino della monarchia. Si dubita, dunque, della possibilità stessa di potere il sovrano delegare questa 70Vengono citati i seguenti autori: A. CAPYCIUS, Investitura feudalis, Napoli 1570, Versic. ad instantiam ecclesiast., Versic. feudorum.; M. AFFLITTO (DI), Commentaria ad Constitutiones utriusque Siciliae, Neapoli 1620, Tit.43; P. BELLUGI, Speculum principum ac iustitiae , Parigi 1530. Rubr. 38; B. UBALDI (DEGLI), Lectura Feudorum, Tit. De Pace Tenenda 71G.F. CAPOBLANCO, Tractatus de iure et autctoriate baronum erga vassallos burgenses, Napoli 1622, Pragm. 3-8.

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particolare forma di giurisdizione, posto che sarebbe illogico delegare ad un Barone la risoluzione di un abuso che potrebbe anche da lui stesso essere perpretato; invero in Sicilia non mancano casi 72 del genenere che hanno fatto discuterei più abili giuristi, e ben presenti agli erudidi Autori, ma si pongono per lo più come eccezioni controverse, inquadrabili alla stregua di abusi perpretati nel tempo e rivendicatei dai loro “titolari” in virtù di antica consuetudine. Chiarita la teoria, in forza del quale tale prerogativa è, e rimane, sempre e comunque incorporata alla figura del Principe, con toni ironici si introducono le pretese del Procuratore Generale di Sua Maestà Cattolica, che ostinatamente vuol ancora oggi riproporre le antiche pretese del contato di Modica tante volte rigettate e sempre fatte sopire.

Per quanto dunque possa essere stata generosa di poteri e privilegi l''infeudazione del Contado di Modica fatta da Martino il Giovane a Bernardo Caprera nel 1392, nel suo testo non si riesce a scorgere alcuna clausola che neghi svelta della Sovrana Autorità del concedente la ricognizione delle querele de' vassalli oppressi.

Per poter sostenere una tale tesi si passa dunque ad una accurata “anatomia di parte in parte” del privilegio martiniano, analizzandolo nelle sue singole locuzioni. Non si nega la particolare ampiezza dei poteri giurisdizionali goduti storicamente dal Contado, ma si cerca di definirne i confini; infatti si afferma che la locuzione cum mero et mixto imperio, maximo medio et minimo, sta ad indicare semplicemente la natura “composta” della giustizia delegata ed i livelli in cui essa si articola. Quella del contado ha lo speciale privilegio di una massima giurisdizione, che si estrinseca in un terzo grado di giurisdizione ordinaria ma Non potranno senzo produrre le connotate parole, che una pienissima, ed in altro modo spiegata, ominimoda potestà, e pur simile senzo non potrà venir estorto ad un distruggimento totale dell'altissima autorità del Prencipe.

Tal punto, per'altro, non è di certo controverso tra i giuristi dell'epoca, non mancando una letteratura73 che vi si soffermi; tra i diversi giuristi citati, particolarmente pregnante è un passo di Garzia Mastrillo in cui in chiare lettere si afferma 72 In particolare i casi citati riguardano le città demaniali di Messina e Palermo. 73 A sostegno di quanto detto dal Mastrillo è citato G.F. CAPOBLANCO (Cfr. nota 71).

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Viderimus quintus casus est quod per quantumuis verba generalia nel pregnantia concedat rex alicui jurisditionem ac merum et mitum imperium nunquam tamen censetur ademptum vassallis, ius recurrendi pro gravaminibus illatis ed principem.74,

La delega di giustizia, per quanto ampio possa essere un privilegio, si limita a conferire al feudatario la semplice giurisdizione “ordinaria”; tutto ciò che non è espressamente ricompreso nel privilegio rimane nella disponibilità del sovrano; mai potrà dirsi il contrario. E' dunque chiaro, ed incontestabile, il significato del primo passo del privilegio del 1392, essendo legittimata questa sua interpretazione restrittiva dalla communis opinio. Non di diverso avviso pare essere la seguente parte di tal privilegio in cui si legge la locuzione et cum appellationibs quibuscumque, che appare una semplice specificazione di quanto sopra afferamato; essa esplica un “massimo” imperio che si estrinseca in un secondo grado di appello. Gli abili Giuristi conclusa l'analisi anatomica del privilegio martiniano, non mancano di precisare che Non potrà distendersi però il senso della parola appellazione al remedio di gravame ed alla querela, essendo comunqmene conosciuti da giuristi come due ricorsi e due remedj di diversa natura e di diversissimo effetto e benefizio

Il Conte, tramite i suoi giudici, può dunque conoscere le cause in primo e secondo grado d'appello ma questo istituto non potrà mai essere confuso con la querela (ovvero il ricorso diretto al sovrano) che ogni suddito potrà proporre al Re. Ad ulteriore conferma di questa interpretazione, si cita il giurista Antonio de' Ballis (o Ballì), che nella sua fondamentale opera 75 riporta un caso avvenuto nella Contea di Alcamo, dipendenza del contado di Modica, in cui i preposti Uffiziali “osarono affermare” che tali querele dovessero essere conosciute al Governatore di Modica (che faceva le veci del Conte) ma [si] conchiude non esser pertinente tal conoscimento fra il giudice medemo inferiore e superiore quel era il Conte o il di lui governatore ma che tocchi solo Prencipe lasciando coloro l'uso della appellazione. 74 G. MASTRILLO, De magistratibus, eorum imperio, et jurisdictione, Lione 1621, Lib. 4. Cap. 16, N. 260. 75 A.BALLI', Variorum tractatuum libri sex omnem fere materiam criminalem iudiciorum et torturae complectentes. Cum argumentis, summariis et duplici indice quaestionum et omnium sententiarum, Palermo, 1606, lib. II, quest. 27, n. 21 e 22.

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Conclusa questa analisi del docunto che legittima e delega il Conte di Modica a far giustizia nei suoi domini entro precisi limiti, i nostri Autori, seppur consci di poter qui terminare la trattazione, portano avanti la loro opera cercando di prevenire eventuali risposte dal loro furbo contraddittore, arrivando ad affermare che seppur potrebbero intravedersi dei privilegi tali da attribuire ad un barone tal prerogativa, come è stato per il Principe di Salerno nel Regno di Napoli, questo di per se non negherebbe alcuna competenza del Principe posto che mai la larghezza di quella clausola può distendersi a privare il Prencipe che condette il privilegio della superiorità sopra del concessionario e ciò fusse compreso nel privilegio potrebbe revocarsi

Dunque il Principe essendo il concedente di ogni privilegio, vede compresa nella sua autorità la facoltà non solo di delegare, ma anche di revocare ogni privilegio goduto da qualsiasi Barone del suo Regno. Se così non fosse, e dunque il Conte di Modica godesse di un massimo imperio, pari o superiore a quello del Principe, ciò equivarrebbe a renderlo Signore senza alcun superiore, titolare di un potere e di una giurisdizione assoluta. Questo sarebbe assurdo perché in qualsiasia cincircostritta concessione si devono sentir riservate ed escluse le raggioni di suprema Maestà[...], diversamente verrebbe prodotto un mostruoso inconveniente di vedersi due supreme giurisdizioni, o due sovranità, sotto uno impero d'un Re.

Infatti il Conte di Modica altro non è che vassallo del Re di Sicilia, il cui feudo è soggetto alla regia autorità; anche volendo non potrebbe essere diversamente, posto che non rientra nella competenza di un Re l' erezzione in Ducato, Principato o Contado assoluto di quei che l'Imperatori sogliono fare

Ad ulteriore conferma della storica e continuata subordinazione del Conte di Modica al Re di Sicilia, gli Autori ricordano che mai è stato messo in dubbio l'esercizio di una serie di regalie 76 entro i limiti del Contado, tra cui le più evidenti sono il concorso al pagamento del donativo deliberato dalle Assemblee degli Stati 76 Nel parere si ricordano: “La concesione di potestà di procedere ex abrupto nelle cause criminali come comprese nella generale concessione del mero misto; il continuato pagamento dei tributi ordinari et extraordinari; le collette patrimoniali o siano tasse risultanti dalla numerazione delle anime che noi dicamo pesi per deputazione del Regno; la concessione delli Regi indulti come dell'ultimo che si è fatto a quei vassalli criminosi; il mantenimento di un Capitano d'armi a guerra per la custodia di quelle marine.”

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ed il servizio militare. Dunque, in conclusione, gli Autori affermano che non si può in alcun modo sostenere che le clausole del privilegio del Caprera possano trovare interpretazione tale da lorogorare o addirittura disconoscere, l'esistenza della giurisdizione Regia che sempre può conoscere un ricorso promosso da qualsiavoglia suddito che si ritenda da chiunque vessato. 3.2.2 Il Re tutela i miserabili Definita in ampi termini l'irriducibile giurisdizione del sovrano in ordine a qualsiasi doglianza di un suddito, si passa all'analisi di alcune singole prerogative in cui essa si scompone, a cui corrispondono un numero uguale di pretese da parte del Narbona. Il primo specifico argomento che viene affrontato è quello della tutela dei pupilli, vedove ed altre persone miserabili, ovvero soggetti che hanno come minimo comune denominatore uno tal stato di miseria da rendergli difficile l'affrontare una causa e resistere alla forza e prepotenza della controparte, vista la loro indubbia debolezza dovuta non solo alle condizioni economiche, ma alla tristezza stessa della loro condizione che trova nella misericordia del sovrano il suo rimedio naturale. Infatti solo in lui risiedono con “indifferenza [e in modo] inalterabile, la giustizia, e la raggione”. In questo secondo punto si nota come i nostri Autori evitino di ripetere le origini divine dell'autorità regia e di questa regalia, avendola già ampiamente spiegata e delineata all'inizio della loro trattazione e potendosi ogn'uno di quegl'argomenti adattare a questo specifico caso. Però, per quanto potessero essere di per sé bastevoli tali argomentazioni, non si rinuncia a trattare in modo specifico questa particolare regalia. Il fondamento di questa Regia competenza, oltre che poter poggiare sulla generica cognizione del sovrano in ordine a qualsiasi ricorso che un suddito può ad egli muovere, così come visto nel precedente paragrafo, è stata specificamente rinvenuto nei testi di Giustiniano77, sovrano “più che giusto” il quale, però Non ebbe riguardo [....] della lontananza della corte dal privilegio del 77 Cfr. Appendice B, Doc. III, p. 140.

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domicilio e giurisdizione de' primi magistrati e compassionando lo stato de poveri, fece che la miseria loro prevalga ad ogni altra raggione.

Non si manca di notare il grande problema dovuto alla eccessiva lontananza del sovrano, che nelle due Sicilie ha sempre suscitato rilevanti inconvenienti, in quanto il largheggiare dei meri e misti imperi ha comportato un frequente abuso da parte dei Signori concedenti, perciò più necessario e freguente è stato sempre l'uso di declinare il foro degli inferiori loro magistrati e ricourarsi i miserabbili sotto del supremo giudizio del Regnante.

Per far fronte a queste esigenze, l'imperatore Federico II Hohenstaufen, stabilì che le persone miserebili potessero ricorrere alla Regia Gran Corte, che come già visto rappresenta il “suo collaterale e più supremo magistrato” del Regno, lasciandolo espressamente scritto nel suo Liber Augustalis Ne non et miserbilium personarum quarum est privilegium forum eligere corporali prestito sacramenti quod adversariorum suorum forte potentiam perorrescunt causas audiat, iustitia mediante decidat.78

Individuato il fondamento normativo della competenza del Principe, gli Abili giuristi non mancano di ricordare, a sostegno di quanto detto, che tale disposizione può ulteriormente fondarsi sulla semplice raggion comune e buon senso d'ognuno, tant' è che nei secoli è stata sempre osservata nella pratica, senza che mai i feudatari del Regno, i quali sono i più strepitosi nel sostegno della loro giurisdizione, abbino mai potuto impedir la declinatorie.

In tal modo le pretese del Contado di Modica vengono presentate al lettore, tramite questo espediente retorico, come già in partenza verosimilmente infondate e pretestuose, vista l'incontestabilità della regia prerogativa alla luce del semplice buon senso e della lunga osservanza da parte d'ogni feudatario. Tant'è che – incalzano gli Autori con toni ironici - si legge che sarebbe ben inutile trattare un argomento che trova il suo fondamento ne l'ampiezza di un privilegio originato dalle leggi imperiali, tanto indistinte ed indefinite.

Ma essendosi presentata l'occasione, la si coglie per dare “una scorsa alle clausole della concessione del contado”, nella parte in cui trattano del mero e misto 78 Liber Constitutionorum o Costituzioni di Melfi (1231), Tit. de Uffici Magistrer Iustitiarius

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imperio, al fine di definire una volta per tutte quella che ne è la loro effettiva portata. Si riporta dunque nuovamente il testo del privilegio martiniano, che per quanto pregnante non è da se bastevole a derogare tale alta, e sovrana, giurisdizione; e questo non solo per la mancanza di una espressa deroga, e non solo per il fondamento di tal competenza in una augusta legge, ma anche perché, se così non fosse – proseguono - si svuoterebbero di signifcato “le potentissime raggioni” di tale privilegio conceduto ad ogni miserabile affinchè – scrivono con tono paternalistico - li si “preserv[i] da i pregiudizy” che potrebbero arrecargli i più forti e che possa dunque rifuggire da ogni autorità inferiore e eleggere il foro della propria causa presso il buon Principe, che rappresenta la giustizia divina in terra. In sostanza, il fondamento di tal competenza ancora una volta pare toccare la teologia; è l'infinita pietà e la commiserazione che le persone miserabili suscitano nel buon Principe che lo spinge a fare giustizia; e per tal ragione mai il diritto positivo potrà derogare la giurisdizione del sovrano; così infatti affermano molti autori, tra cui spicca il napoletano Vincenzo de Franchis et hoc maxime refere quia privilegium concessum causa miserationis nunguam tollitur per generales derogationes79

Ne – lo si ricorda ancora una volta – la concessione dei due gradi d'appello al Conte Caprera può essere in alcun modo travisato; infatti Codesta generalità [del privilegio] ben comprender potrà la cognition delle cause, di prima e seconda istanza, giammai quelle di persone misere e privileggiate.

Ma non solo questo ricorso è un privilegio esclusivo ed irriducibile delle persone miserabili, ma gli Imperatori, prevedendolo nelle loro costituzioni, hanno a contrario fondato una loro competenza e riservato a se medesimi una privativa cognizionione. Invero – si ammette - che per derogare 80 la competenza regia vi dovrebbero essere delle claosole individuali apposte dal Prencipe nella concessione de meri misti e che sino così chiare e pregnanti che à niente altro riferir si possano81 79V. FRANCHIS (DE), Decisiones, Lib. II, Dec. 292, n. 6-7. 80Gli Autori utilizzano in questo caso il termine “deroga”, che noi ci limitiamo a riproporre, sebbene sarebbe più corretto parlare di “delega”. 81 E, a rigor di logica, comunque revocabili dal sovrano, cfr. paragrafo 2.1

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ma questo, di certo, non è il caso del contado di Modica; infatti per quanto possa essere il suo foro più somigliante a quello della Regia Gran Corte, rispetto a quello di ogni altro Barone, il privilegio su cui si fonda contiene solo una claosola [che] può ben interpretarsi in diminuzione della giurisdizione della Gran Corte rispetto ogn'altra persona, giamai per le miserebbili.

Ma ammesso – e non concesso – che sussista una clausola in tal senso, come è nel caso di Catania e Palermo, non si crede che “ciò basti ad impedire alle vedove, e à pupilli ed altre miserabili il ricorso al supremo Prencipe nelle cause loro.”; infatti gli Autori sottolineano come per quanto le Corti di queste due città possano conoscere e decidere le cause che vedono come parte una persona privilegiata, ciò non impedirebbe di “venire le cause [avocate d]alla Gran Corte colle declinatorie di quel foro”, come una diffusa prassi conferma. Gli autori affermano inoltre essere sostenuto dalla communis opinio82 la tesi secondo cui un privilegio introdotto per il pubblico favore in riguardo della loro commiserazione non può coi patti, e private convenzioni delle medeme togliersi o diminuirsi, durando tanto in se, quanto sarà durevole la povertà, e la miseria che gli fanno aver orrore del contrario che litiga.

Infatti, questo è un grazioso privilegio volto a soccorere i bisognosi per cui nel loro interesse non si potrà mai rinunciare, nemmeno volontariamente, a questo foro speciale; cosa a cui potrebbero esser ben spinti dall'arroganza della controporte, a cui essi, vista la loro triste condizione, non possono o non sanno resistere. Ci si troverebbe, dunque, difronte ad un diritto indisponibile di cui è titolare il “miserabile”, mantenendone la titolarità per tutto il tempo in cui dura tale condizione a cui corrisponde un corrispettivo dovere morale ed una competenza (auto)riservata del Principe alla sua soddiziafione. Fatta dunque questa ampia introduzione teorica dell'istituto, si passa all'analisi del caso concreto, rappresentato dalle pressioni fatte dal Procuratore Generale a danno due vedove83 che, “senza poter tirare alcun fomento raggionevole del 82 Cfr. Appendice B, Doc. III, p. 143. 83 Le donne in questione sono Vincenza Comitino, “vergine di Ragusa” e Domenica Isabella Bonanno Duchessa di Castellana, “ sedotta da qualche stravagante Curiale”.

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privilegio del contado”, sono state costrette a rinunciare 84 al foro privilegiato e ad eleggere non già quello della Gran Corte del contado, come versimilmente si potrebbe ipotizzare, ma direttamente quello del Procuratore Generale di Sua Maestà Cattolica, come una supposta corte superiore, che in lui risiede, a somiglianza di quelle elezzioni che nei Regni, ed in Sicilia, si danno dell'alto foro del Prencipe che governa per via della Gran Corte.

Gli autori, con tono di stupore, affermano come una tale operazione risulta essere contraria in primis al buon senso, ed alle sacre leggi del Regno, così per come esposte in apertura della trattazione, ma soprattuto contarie alle prassi che si sono osservate nello stesso Contado. A sostegno di quanto detto non mancano di allegare la fede giurata dell'archivista di Modica Don Ippolito d'Amico data al Barone di Lorenzo85, spedito nel contado “per provare l'usurpamento di tante altre supreme Regaglie”. Tale archivista, infatti, afferma di non aver trovato alcuna declinatoria di giurisdizione a favore del foro modicano nel periodo intercorrente tra il 1700 ed il 1713, anni del breve Regno di Filippo V in Sicilia. Dunque tal pretesa non appare altro che un mero pretesto di lite, come tante altre che abbiamo visto essere sostenute dal Narbona. I nostri Autori con toni pacati concludono ricordando che, se il Procuratore Generale più e più volte ha scritto di doversi osservare i privilegy del contado, ed i trattati d'Utrecht, circa il mantenimento delle cose nello stato in cui trovavasi nel tempo della pace stabbilita,

allora chiunque potrà ben vedere che le novità non sono pervenute dal nuovo governo. La pretesa appare dunque infondata e pretestuosa, e si da per terminato questo punto. 3.2.3 Solo il Re può concedere dilazioni e moratorie Il terzo argomento che viene affrontato è rappresentato dalla potestà di concedere la dilazione o la moratoria di una obbligazione, a cui corrisponde la sospensione de “l'esercizio delle azzioni esecutive che da quei gli nascono”. Anche questa potestà è inquadrata tra i privilegi spettanti al solo sovrano, posto 84 Il testo riporta le parole dell'atto di rinuncia, che sono: “Vegine privilegiata decliando ogn'altero foro ed eligendo quello di detto illustre Amministrador Generale e sua Corte Superiore”. 85 Cfr. Supra, p. 37.

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che solo tale autorità, opportunamente “supplicata” da un qualsiasi vassallo, potrà ingersi in suo favore nel rapporto privatistico debitore-creditore accordargli questi benefici. Comunemente agli altri punti, il primo argomento che viene posto a sostegno di questa tesi sta nella ragion comune; infatti è nel buon senso di chiunque - si evince dal testo – ritenere che nessuno possa intromettersi in un rapporto obbligatorio tra due o più soggetti, salvo una superiore autorità che altro non può inquadrarsi se non nella figura del Principe, che lex animata in terris est. Fatta questa breve precisazione, ci si avvia nella ricerca di un fondamento normativo di questa prassi, che ben pare essere fondata su le antichissime leggi 86 di Costantino, le quali prevedono che un magistrato (nel caso originario rappresentato da un Prefetto del Pretorio) possa accordare dilazioni o moratorie solo ed esclusivamente in presenza di un rescritto dell'Imperatore che sia la risposta ad una “preghiera” spedita da un suddito supplicante. Tale Regia competenza non varia in relazione alla diversa condizione dei ricorrenti, siano essi diretto vassallo del supremo Prencipe, o immediatamente suddito de i lui feudatary, ma [si considera] solamente la sovrana autorità di chi ha il potere di concedere simili rescritti.

Ciò trova espressa previsione in un provvedimento 87 degli Imperatori Teodosio ed Onorio, che addirittura estendono la possibilità di supplicare il sovrano non solo a qualsiasi suddito, sia esso vassallo diretto o feudatario, ma senza alcuna distinzione di “uomo libero o servo di chi porge le preghiere”, dovendosi solo guardare che “venghi dall'Imperadore accordato il rescritto”. Per quanto antico sia il fondamento di questa regalia - gli autori ci ricordano – mai è stata messa in dubbio da alcuno, ed anzi godendo della communis opinio88 l'idea 86 Cfr. Appendice B, Doc. III, p. 147. 87 “Oggi compilato come una delle leggi sotto al titolo sopra riferito”, Cfr. Nota 86. 88 Troviamo un numero molto alto di riferimenti a giuristi italiani, tra cui G. F. SANFELICE, Supremorum tribunalium Regni Neapolitani decisionis et praxis judiciaria, Lione 1675, dec. 305; G. B. FENZONIO, Annotationes in statuta siue ius muncipale romanae Urbis, Roma 1568, Cap. 262 n. 21; F. ARIAS DE MESA, Variarum Resolutionum e interpretationum Iuris, Genova 1663, lib.3, Cap. 41, n. 26; G. B. ANTONELLO, De. Temp. Legal. Lib., Cap 62 n.21 – 25; O. LEOTARDO, De Usuris et contractibus usurariis, Venezia 1655, Quaest. 88; W. A. FRAUDEMBERG (DE),

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che spetti “al solo Prencipe l'autorità di concederle”. Tra questi, una voce particolarmente autorevole è quella di Antonio Tesauro, che nelle sue decisioni 89 in relazione alle materie reputate come indubbie de' debitori morosi, lascia un positivo insegnamento che simile potestà di concederle, non sia competente a i vassalli, che in Sicilia sentiamo per i Baroni, e Feudatari, ma che tocchi alla sola autorità suprema del Prencipe.

Per cui qualunque sia il titolo che un feudatario porti, sia esso “Duca, Conte o Marchese e simili, cui dal sovrano sono state concedute terre castelli e feudi in investitura, anche coll'uso della giurdizione” 90, è indubbio – affermano i saggi Autori – che le “leggi comuni” pongano questa potestà esclusivamente in capo al Sovrano, unico detentore del supremo imperio e soggetto soltanto a Dio. Se questo punto è chiaro ed incontestabile, così come affermano gli autori sorreggendo la loro tesi con un ricco patrimonio dottrinale, con tono di sfida invitano a contraddire tale assunto producendo un privilegio feudale che disponga in senso contrario; ma “finattanto che non sarà prodotto un privilegio di tal tenore, sarà forza ch'ognuno lo confessi e […] reputi [chi lo sostiene] da usurpatore” delle regie potestà. Ma anche se fosse - concludono consci di ripetere quanto già affermato nei precedenti punti le concessioni de' feudi e de' meri misti ancorché generalissime non sono bastevoli a far trasferire né concessionari quelle Regalie e prerogative che sono dell'alto impero del Prencipe, che concede oltre a quanti ne abbian riferito nel precedente articolo, potran rivedersi al proposito.

Conclusa la trattazione teorica, si cerca di applicare quanto elaborato al feudo di Modica. Anche in questo caso ancora una volta viene ripresa la stessa argomentazione utilizzata nei punti precedenti, per cui nel privilegio del 1392 non solo manca potesi leggere una positiva ed espressa concessione di tal suprema Regaglia, ma ne pure trovasi una clausola cui possa darsi senzo anche storto per poterla sentir compresa Tractatus de Rescript. Morat., Concl. 11, n.5, ed altri. 89 A.TESAURO, Novae decisiones Sacri Senatus Pedemontani, Decis. 182. 90 Gli autori citano: L.M. APICELLA, Tractatus Absolutissimus de Dilatione quinquennali, Napoli 1621, Tit. 2 n°2, dixit quod qui recognoscunt supreriorem ut sun duces marchiones et aly hanc dilationem gratiosam concedere non possunt, solum enim qui non recognoscunt superiorem potestatem hanc habent, illi enim omites qui de facto non regonoscunt superiorem sed regonoscunt semetipsos absque vicariatu iperatoris, sed proprio quia abtinere principatum supremum in corum territorio et loco principis habentur, possunt sicunt princeps han dilationem concedere.

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accompagnata dalla ridondante osservazione che nessun giurista mai ha affermando che questa grazia possa essere concessa da un soggetto diverso dal Principe regnante91 Ma i nostri Giuristi non si fermano qui, perché così facendo l'impianto argomentativo risulterebbe troppo scarno e poco originale rispetto a quanto detto in precedenza; infatti ricordano che a distanza di qualche anno dal privilegio del Caprera (1392), si svolse a Catania un parlamento (1395) per volere del Re Martino I in cui “stabbilì una legge92 oggi compilata nelli capitoli del Regno al capo 34 in cui comanda che le Regaglie toccanti alla corona dovessero esattamente osservarsi ne da ciascuno offendersi, che vuol dire usurparsi.” A questa previsione di portata generale, se ne aggiunge un'altra deliberata nel parlamento riunito in Palermo nel 1433 dal Re Alfonso il Magnanimo, le cui parole post[e] al capo settanta uno delle prime leggi del Re Alfonzo [affermano]: Hac nostra generali lege, per omnia Regni loca valitura statumus et ordinamus comites, barones et feudatarios delicto aliquo, vel debito fatigatos affidare seu assecurare non posse, [dovendosi intendere] questi affidamenti per i debbiti civili [...] le moratorie di cui parliamo.

Dunque per previsione generale del 1395, e particolare del 1433, nessun feudatario del Regno potrà mai potrà esercitare tale regalia, posto che le delibere dell'assemblea trovano la di lei forza [….] [non] solamente dall'Alta podestà del Re legislatore, ma dal consenzo di tutti i feudatari convocati ed intervenuti nel parlamento fra i quali intervenne il Conte di Modica.

Nessuno dunque potrà dubitare della validità di questa previsione, essendo stata recepita da un dettato normativo deliberato da un'assemblea a cui anche il Conte di Modica presenziò e “tacque senza farne alcun reclamo”.

91 Dilationes isteque conceduntur ex sola gratia, solus princeps concedit non inferiores, Cfr. Appendice B, Doc. III, p. 150. 92 Così sancisce la legge: Quapropter regales preeminentiaset prerogativas antiquas ut sane memorie pro ut sunt nemora, saline, maris, et alia regalia ad culmen nostrum de jure spectantia illesa ab ominbus iubemus observari.. Cfr. Appendice B, Doc. III, p.150.

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Nessun feudatario potrebbe nemmeno argomentare – scrivono con tono di sfida – una lunga osservanza de facto che in forza di consuetudine gli avrebbe permesso di acquisire tal regalia, posto che i Re sono stati sempre attenti a che si osservi. In tal senso viene ricordato Sua Maestà Filippo II, che rinnova le precedenti costituzioni del Regno e le antiche leggi comuni “con un una pragmatica ch'oggi trovasi compilata al primo volume sotto il titolo 16 al numero ventidue” 93 con cui si introducono pene cosi severe che “dicesi non essere [ancora] assolti i contraventori” incorsi nell'utilizzo abusivo di questa regia potestà. In sostanza quale argomento principe dell'intero punto si pone la lunga osservanza da parte di ogni suddito all'interno del Regno, senza che ciò abbia mai trovato particolari violazioni da parte di alcuno. Dulcis in fundo per rendere inoppugnabile quanto detto, gli autori si riservano di mostrare la documentazione contenuta nell'archivio della Regia Gran Corte in cui si trovano suppliche provenienti anche dal Contado a cui è stato dato rimedio per mezzo di ella, collaterale del (Vice)Re. Concludono, con tono di sdegno chiedendosi su quale fondamento possa il Narbona “appoggiare” tale pretesa, non avendo un così ampio “tenore” né il privilegio di Modica né la Pace di Utrecht. 3.2.4 Spetta alla Regia autorità concedere il benefitio della cessione di beni e della dilazione quinquennale Questo punto trova notevole affinità con il precedente, e dai termini in cui è posto potrebbe sembrare in parte coincidente. Ad una lettura più approfondita, però si vede come lo spazio di operatività di questi benefiti è ben diverso. Mentre nel punto precedente si analizza la potestà di concedere moratorie e dilazioni di un credito (sia esso scaduto o meno) a prescindere dallo stato in cui si trovi il debitore, in questo caso la dilazione e la cessione di beni a cui si fa riferimento presuppone che il debitore sia decotto, dunque in stato di grande bisogno e tale rimedio è volto ad agevolarlo in extremis. Tramite questo rimedio dunque il debitore decotto può, per intercessione della 93Il cui passo specifico oggetto del nostro interesse è il seguente: Nobilibus regio eiusdem principibus ducibus marchionibus comitibus, come sapete spetta solo a sua maesta il concedere moratorie, dilazioni e guidatici supercessorie reluendi e fidemaggy per debiti civili. Cfr. Appendice B, Doc. III, p. 150.

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regia autorità, ottenere un maggior tempo per poter adempiere all'obbligazione, o tutt'al più, similmente ad una procedura concorsuale, vedere ceduti o venduti i propri beni a soddisfazione del credito della controparte. Gli autori sottolineano sin da subito come questi “miserabili” istituti non debbano essere inquadrati sotto la categoria dogmatica della “dilazione” bensì in quella di “rimedi di giustizia”, nozione da doversi intendere in senso ampio, ovvero come un rimedio che si estrinseca nell'intervento di “giustizia” un'autorità pubblica (il Re, Viceré o un regio magistrato) affinché esso possa esplicare i propri effetti nel rapporto privatistico debitore – creditore. Questo inquadramento teorico assume un ruolo molto importante, perché permette di far rientrare questi istituti all'interno del potere giurisdizionale, di cui il sommo titolare altro non è che il Re, o i di lui delegati. A questa valutazione teorica si aggiunge, come per ogni punto trattato nel parere, una introduzione storica che permette di giustificare e dare senso alla teoria, rendendo in tal modo inoppugnabili gli assunti sostenuti ed infondata ogni pretesa dello zelante Narbona. Rispetto agli altri punti, però, risultano meno precisi fondamenti di questi istituti, ma questo non si ritiene sia una mancanza degli autori quanto il poco interesse che questi hanno nei confronti delle sue origini remote, affermandosi genericamente che fin dal tempo degl'antichi Imperadori romani introdotto il miserabile remedio di soccorrere i debitori mancanti nelle loro sostanze e resi inabili al pagamento de' i debiti civili, vedendo che senza nuna special riserva sia compartita ad ogni magistrato

Per cui, pur perdendosi nel tempo l'originaria conformazione di questi istituti, nelle sue prime esplicazioni non risultava una potestà esclusiva dell'imperatore, ma poteva essere generalmente esercitata anche dai magistrati dei livelli inferiori; questa originaria disciplina ci fa sin da subito comprendere il poco interesse che poteva esserci da parte degli Autori ad un suo approfondimento, posto che si sarebbe potuta ritorcere contro di loro, che invece ne sostenevano una titolarità esclusiva in capo al Principe.

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Fatta questa introduzione di carattere generale, il discorso si bipartisce, trattando in primis il benefitio della dilazione quinquennale, e successivamente quello della cessione dei beni. Nel Regno di Sicilia il primo a porre un ordine in materia di dilazione quinquennale, che fino a quel momento era disciplinata in modo disordinato e disomogeneo, è Giovanni I di Trastamara (detto il Giusto) che con una constituzione prammaticale94 scritta l'anno 1459 a 28 ottobre abbi provvisto sopra la forma da doversi osservare a tenore delle riferite leggi communi, aggiungendovi anche qualche provvisione particolare ne' casi che si ritrovi rinunciato a tal dilatione nello strumento ove vi sia contratto il debito; ma che nulla abbi diminuito della giurdizione de' magistrati inferiori, anzi espressamente confermata sotto quella clausola.

Per cui, nonostante lo specifico intervento normativo, tal materia appare ancora di generica potestà di ogni magistrato, salvo comunque l'essere stata introdotta una importante disposizione a tutela della parte gravata in virtù della quale ella non può in alcun modo rinunciare al beneficio della dilazione, o perlomeno per cui la volontà privatistica non possa erodere la giurisdizione del magistrato. La trattazione inizia a volgersi a vantaggio degli Autori solo nel momento in cui si iniziano a citare alcune correnti dottrinarie95 che si muovono nel senso di escludere da tale potestà di concedere le dilazioni ogni Barone ed Uffiziale del Regno. A queste teorie se ne aggiungono delle altre di autori 96 che affermano che queste prerogative “sia[no] introdotte per grazia dell'Imperatori”, trovando in esso il suo fondamento, e competenza, originale. Il cerchio inizia a stringersi, e sempre più in tal modo ci si dirige verso la base di questo rimedio al fine di utilizzare questo espediente per affermarne – osiamo dire – che essendo il Sovrano l'origine di questo rimedio, egli è “il primo” a poterlo esercitare, sebbene ancora non si sia provato che sia l'unico che possa farlo. Invero un po' risicata appare questa argomentazione, ma da umili commentatori ci 94 Pragmatica I, Tit. 15 de vit. et resript., Cap 24 Regis Ioannis. Il singolo passo recita: Mandantes per easdem magnificio et nobile magistro Justitiano, eiusdque locum tenanti judici locum tenenti judicibus agne regie curi pretori et juicibus felicy urby Panormi et omibus et sigulis ditti Regni officialibus quod de cetero dilationes quinquennaly nisi servata forma in presenti nostro juris enucletione et declaratione concedere non audeant. Cfr. Appendice B, Doc. III, p. 152. 95 B. ALTIMARI, Tractatus de nullitatibus contractuum, Belluno 1704, ed altri. Cfr. Appendice B, Doc III, p. 153 96 Troviamo nuovamente citato B. ALTIMARI (guarda nota precedente), a cui si aggiunge G. F. CAPIBLANCO Tractatus de iure et autctoriate baronum erga vassallos burgenses, Napoli 1622, G.M. NOVARIO, De vassallorum gravaminibus tractatus, Napoli 1643, Grav. 386; Cfr. Appendice B, Doc. III p. 153.

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si limita a prendere atto di quanto affermato dai nostri Autori. Terminata la brevissima trattazione sulla cessione, ci si avvia senza soluzione di continuità all'analisi della cessione dei beni, lasciando perplesso e confuso il lettore a cui non essendo stata prospettata nel testo originale la volontà di trattare separatamente gli argomenti, si trova di fronte ad un discorso disarmonico e difficile da comprendere. Valendo l'introduzione generale anche per questo secondo istituto, gli autori affrontano immediatamente la sua analisi partendo “[d]alle leggi particolari del Regno”, che specificano le ampie e vaghe disposizioni del diritto comune. A dire degli Autori anche questa materia appariva confusa e disordinata fino all'intervento normativo di Alfonso I di Trastamarra (detto il Magnanimo), che nel 1446 diede un esquisita appliazione col conseglio de' più periti giuristi a riformare gli usi disordinati dei procedimenti giudiciary, a riparare l'inconvenienti che frequentemente venivano originati, e scrisse molte leggi circa il rito giudiziario da doversi osservare sì nella Gran Corte che in ogni altro magistrato ad esempio di quella.

In questo caso troviamo espressamente citata 97 la competenza della Regia Gran Corte a instaurare il giudizio della cessione di beni, ed ove alla non fusse presente nel loco del giudizio, si proceda da quel magistrato inferiore a commissione della suddetta Gran Corte, qual poi dovrà venire informata.

Non viene dunque negata in toto una competenza ai magistrati inferiori, ma se da un lato si pone la competenza generale e (quasi) esclusiva della Gran Corte, dall'altro si ammette che un qualsiasi giudice possa agire in dipendenza di detta Corte, dovendo dunque tenerla informata sul modo in cui ha operato 98. Questa legge, essendo stata approvata dal “corpo mistico del Regno” 99 col contentamento di tre bracci, che formano il parlamento di Sicilia, e nel baronale intervenne a dar il proprio vedere e consenso il Conte di Modica ò per se ò per il procuratore, perciò fu introdotta l'osservanza di conoscersi i riferiti giudici della Gran Corte

Troviamo, a ragione, riportata la stessa argomentazione che abbiamo visto 97 Lex Alphonsi 1466, Cap 190. Cessionis tamen huius modi non concedentur, nisi citata parte in Magna Curia et in loco ubi petitur cessionem fieri, si vero non sit in loco, mommittatur magistrati illius loci, quod citata parte iuxta formam predictam cessionem concedat vel magna curia infromat pro ut Magna Curia opportunus videbitur. Cfr. Appendice B, Doc. III, p. 154. 98 Potendo verosimilmente questa poter avocare a se ogni causa e rivederla. 99 Così gli Autori chiamano l'Assemblea degli Stati.

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analizzando il precedente paragrafo, ovvero che avendo trovato la legge il consenso anche del Conte di Modica (o del di lui rappresentante), sarebbe un controsenso ritenere che questa non operi anche all'interno del Contado. Chiarito dunque il senso e la portata di questi due Istituti, gli autori si avviano in un ragionamento un po' fosco e dalla dubbia legittimità. Si cerca infatti di unire la disciplina della cessione dei beni a quella della dilazione sulla base della stessa ratio che le anima. Più nello specifico, da un lato si cerca di estendere la previsione di Alfonso in ordine alla competenza della Regia Gran Corte anche alla dilazione quinquennale;

dall'altro

si

estende

anche

alla

cessione

la

previsione

dell'irrinunciabilità tramite convenzione stipulata tra creditore e debitore della possibilità di avvalersi della dilazione ex judicis. In sostanza gli autori ritengono che l'intervento normativo di Giovanni I ha come suo fondamento logico quello di Alfonso, non derogandolo ma presupponendolo; ragionamento che tiene solo ed esclusivamente se si parte dal presupposto che questi due istituti siano un'unica cosa, mentre invece unica è soltanto l'esigenza a cui vanno incontro (l'indigenza), perché essa in base all'operatività della cessione o dilazione è soddisfatta in modalità radicalmente diverse. Il ragionamento, in vero, potrebbe reggere solo in parte posto che il già citato intervento normativo di Re Giovanni I estende espressamente l'operatività dell'inderogabilità del rimedio giurisdizionale anche alla Cessione. Supplicat totius Regni Universitas sacra celsitudini tanti principy, quod dignetur quo de cetero neque moratorie neque quinquennales neque cessiones bonorum concedi debeant a quoris magystratu, nisi post contractus debitoris casum aliquem fortuitum legitim debitores probaverint incurrisse.100

Pare dunque essere indiscutibile la competenza della Gran Corte in ordine al rimedio della cessione dei beni così come l'operatività in relazione ad essa della disposizione di Giovanni I, e ciò è indiscutibilmente sostenuto da una nutrita schiera di giuristi101 riportati nel parere, alcuni dei quali estendono (evidentemente 100Pragmatica I, Tit. 15 de vit. et resript., Cap 24 Regis Ioannis. Cfr. Appendice B, Doc III, p. 154. 101Tra questi M. MUTA, Capitulorum Regni Siciliae, Palermo 1625; F.MAGRETTI, Obseruationes illustratae decisionibus, ad constitutiones pragmaticales illustrissimi domini d. Francisci Caetano ducis Sermonetæ, tunc suæ catholicæ maiestatis vices gerentis, & capitanei generalis in hoc iciliæ regno, Palermo 1668 ed altri. Cfr. Appendice B, Doc. III, p 156.

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tramite un ragionamento basato sulla eadem ratio, come fanno gli Autori) la competenza della Gran Corte anche alla dilazione quinquennale 102. Conclusa la dissertazione teorica, gli Autori si riservano di portare a sostegno della loro tesi la giurisprudenza più recente et ultima pratticata ne' nostri tempi qual viene autenticata da infinite scritture estratte dall'archivio della Gran Corte[...] da cui vien provata […] [l'] osservanza contro i Baroni, e peculiarmente contro del Contado di Modica, [così che] possa ben dirsi sufficientemente provata la privativa giurisdizione della Gran Corte come collaterale del Prencipe, circa le cessioni, e le dilationi di cui abbiam parlato.

E ciò non è tutto: anche in questo caso troviamo la fondamentale figura dell'Archivista di Modica don Ippolito d'Amico 103, che afferma di aver analizzato tutta la documentazione presente presso l'archivio del contado riguardante gli anni 1700 - 1713 senza aver mai trovato alcun provvedimento di dilazione o cessione spedito dai Conti o dai suoi amministratori, ma per contro di averne rinvenuti molti spediti dal Viceré e dalla Regia Gran Corte. Mancando la prassi, e contraddicendo ogni assunto teorico da loro sostenuto, i giudizi di cessione e dilazioni tenuti nel contado di Modica in virtù delle disposizioni del Narbona sono definiti “clandestini”. Per quanto dunque si possa dubitare di certe valutazioni teoriche – evidentemente sostenute da parte della dottrina – è chiaro che anche in questo caso il Procuratore Generale della Maestà Cattolica permette che si svolgano dei giudizi “abusivi”; questo lo è sicuramente per quel che riguarda la cessione di beni, e con buona pace anche in relazione alla dilazione quinquennale, soprattutto alla luce di della prassi ampiamente osservata nella Contea come appunto confermano i suoi archivi e la giurisprudenza dell'Isola.

102 Solius ipsius Princips et Magna Curie est admittere ad hoc flebile et miserabile cessionis bonorum remedium. Ideoque absit dicere quod inferiores possint admittere ad hoc obseque litteris et commissione ipsius Cfr. Appendice B, Doc. III, p. 156. 103Nel parere viene trasctitto il testo della fede giurata firmata dall'Archivista, che di seguito riportiamo. A die primo january 1700 seque et per totum mensem decembry 1713, in eius non invenio letteras cessionis bonorum, et dilatinis quinquennalis emanatas ab Illustrissimi administratori generalibus ditti comitatys neque a curia superiori comitatys nec ab illistrissimi gobrnatoribus, nec alis ministis et officialibs eiusdem comitatus. Sicuti etiam perquisitis mattys scripturarum a die primo january usque et pertotu mensem decembry 1713 inveni litteras cessioni bonorum et dilationy quinquennalis emanatus ab excellentissimus Proregibus per viam tribunalis Magna Regia Curia sedis civilis. Cfr. Appendice B, Doc. III, p. 157.

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3.2.5. Un Conte non può aggraziare i delinquenti Nella cultura giuridica europea la facoltà di graziare una persona che ha subito una condanna passata in giudicato è tradizionalmente riservata al Sovrano; ed ancor oggi questi retaggi si manifestano nell'ordinamento italiano, il quale consente al Presidente della Repubblica di “concedere grazia e commutare le pene” 104. La trattazione del punto risulta essere asciutta e sintetica rispetto ai precedenti, risolvendosi in poche pagine. Questo è indubbio riflesso del fatto che ci si trova in presenza di un'opera collettiva, in cui trovano sede diversi Autori, ognuno dei quali ha un proprio stile personale. Bisogna pure aggiungere che, nel complesso ed a prescindere dalla diversa paternità dei contributi che troviamo riuniti, la trattazione tende gradualmente a farsi sempre più breve in ogni conseguente punto per evitare di ripetere argomentazioni ampie e generali idonee a supportare ognuno di essi. I nostri Autori aprono la trattazione affermando che Non vi è Regaglia della riservata sovranità del Prencipe che dovrebbe custodirsi maggiormente, che quella cui deriva la potestà di far grazia ne' delitti che vengono puniti di pena corporale.

Viene dunque dato un particolare risalto a questa prerogativa rispetto alle precedenti, essendo esposta con toni che le danno grande importanza; e ciò è tutto sommato facile da comprendere, essendo il “diritto di punire” inscindibilmente legato alla tradizione feudale della figura di Re guerriero e conquistatore, ulteriormente legittimato da i già citati 105 argomenti di stampo teologico che pongono il sovrano quale rappresentante della giustizia divina in terra. Nello specifico in questo paragrafo “la facoltà di distrugger la legge e il rimetter le colpe e possa” è individuato in un passo di San Marco Quis est hic qui etiam peccata dimittit, unde dimittere pecata est supra legem et non subege.

Pensare – si afferma - che questa regalia possa essere esercitata da ogni barone potrebbe “aprire la strada ad inconvenienti senza numero”, in quanto si verrebbero a creare diversi modi di fare giustizia (ed ancor peggio, di “disfarla”!), secondo le particolari convenienze, minando la pace e l'unità del Regno. 104Costituzione della Repubblica Italiana, Art. 87.11 105Cfr. Supra, p. 51 e ss.

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A confermare la centralità del Principe si afferma che questi deve impegnarsi affinché non rimanghino impuniti i delitti dovrà ugualmente invigilare che i vassalli delle baronie e feudi venduti o donati siano puniti delle loro colpe colle pene portate dalle leggi, senza che venghino per grazia rimesse o diminuite

Seppur questo passo non risulta particolarmente pertinente alla trattazione, vista la sua portata generale, è comunque degno di interesse, in quanto denota l'idea di fondo sostenuta dagli autori all'interno di tutto il parere, di una superiorità del Principe rispetto ad ogni suddito, sia esso assoggettato direttamente al suo dominio oppure vassallo, senza differenza alcuna, prospettiva che i nostri Giuristi non mancano di sottolineare ogni qual volta ne hanno la possibilità. Un Barone dotato del mero e misto imperio od un magistrato inferiore – proseguono - non è però del tutto incompetente a concedere una grazia od a commutare una pena; potrà egli farlo, così come trovasi previsto nel Digesto 106 in un passo attribuito al giurista Paolo, solo per mezzo di uno speciale rescritto a lui spedito dal Principe. De ampliada vel minuenda pena damnatorum post sententiam dictam sine princpali authoritat nihil est statuendum

Invero non mancano eccezioni; un feudatario potrà “far grazie” solo in relazione a quegli illeciti puniti esclusivamente con “pene pecuniarie [...] toccanti [...] il proprio interesse”. Ciò sulla base della valutazione che i reati di minor rilievo violano o mettono in pericolo solo ed esclusivamente un bene giuridico di cui è titolare il soggetto passivo, potendo dunque egli disporre come ritiene più opportuno della propria sfera privata; a ciò si aggiunge l'ulteriore idea che essendo tale interesse leso indennizzato tramite una somma di denaro, la vittima può disporre anche di tale somma a suo piacimento, rimettendo il debitore - reo. La cosa cambia però per quei reati più gravi che turbano un interesse pubblico e per ciò sono puniti con pene corporali, essendo queste generalmente mirate alla neutralizzazione del reo od a una funzione general-preventiva in forza della pubblicità del “supplizio”, il tutto nel “commune interesse” A sostegno di questa tesi sono richiamati una serie di giuristi 107 il cui pensiero è 106Dig. 42.1.45.1, Paolo, Sent I. (siogliere) 107M.GIURBA, Consiglia seu decisiones criminales, Venezia 1626; A. ISERNIA (DA) Commentaria in usus et consuetudines feudorum ed altri. Cfr. Appendice B, Doc. III, p. 159.

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sintetizzato nella seguente massima di Bartolo da Sassoferrato amplianda emputo in qualiber alio adcuius bursam pena imposita pertinet et sum comites et barones qui habent regalia in aliquo loco sed penam infamie vel aliam non pecuniariam non possunt

Per cui, a parte questa piccola eccezione giustificandosi nella individuale disponibilità dei propri interessi, “le concessioni del mero misto impero non sono atte a trasferire ne' Baroni” tale facoltà; così si muovono autorevoli dottori 108. Solo que principi supremo et imperialia regaiaque jura habendi id concessum consetur

Ma anche qualora ci fosse un rescritto, questo di per se non sarebbe bastevole ove non utilizzi parole specifiche che in modo incontestabile attribuiscono, o meglio delegano, “perché porti[...] seco la potestà di far grazie”; 109 per il resto ove questi fossero investiti del mero e misto imperio possono “solamente [...] giudicare [...] sopra i loro vassalli nelle cause civili, e criminali”. Invero – ricordano – non mancano dottori che hanno fatto loro la tesi di che i feudatari titolari di un mero e misto imperio possano essere espressamente delegati anche nell'esercizio di questa potestà regale, prendendo ad esempio e sostegno della loro ipotesi alcune concessione fatte nel Regno di Napoli; ma ammessa e non concessa che questa tesi sia valida anche nel Regno di Sicilia, non si può prescindere dalla communis opinio napoletana, che tende a dare una interpretazione restrittiva a questi privilegi, ammettendo che un feudatario può graziare un reo solo prima che sia intervenuta una sentenza, ma mai potrà “demolirne” una passata in giudicato, rimanendo dunque nella disponibilità del sovrano la possibilità di farlo. Ed ancora una volta, analizzato l'istituto e reso dotto il lettore, si passa alla breve analisi del caso concreto. “Il giorno 21 luglio dell'anno 1716 comparve questa provvisione dell'amminsitrador di Modica, con tanto abbuso del mero e misto del contado, ed usurpamento delle regaglie del Prencipe” 108I nostri autori citano: A. Tesauro, Novae decisiones Sacri Senatus Pedemontani; M.MUTA, Capitulorum Regni Siciliae, Palermo 1625; O. CACHERANO D'OSASCO, Decisiones sacri Senatus Pedemontani, Torino 1569 ed altri. Cfr. Appendix, Doc III, p 156. 109 Quid ergo si Principae rescriptu fuerit alla tum idest impetratum super hoc. Respon non ei credam nisi icat non obstante alia lege. Cfr. Appendice B, Doc. III, p. 160.

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Un grande attentato alle regalie – dicono gli autori - si è consumato nella Contea di Modica: si è osato assolvere per grazia dalla pena detentiva un reo di adulterio, con grande “ingiuria” della sua famiglia rimasta insoddisfatta. A rendere ancor più odioso ai commentatori piemontesi quest' ulteriore abuso del Procuratore Generale, sono le sue parole che compaiono per iscritto ad imitazione di un rescritto, sembrando volere egli stesso sostituirsi ad un Re. Con conoscimento y esamen delas informaziones, que se refierem, tengo por en che el supplicante sea luogo solvado da la prison en que se ella y absoluo por grazie que la ago se en algo fuere inculpado.

Parole mai lette fino a quei giorni, che esulano da ogni mero e misto imperio del contado, come ancora una volta conferma l'onesto archivista, che riferisce che nel breve regno di Filippo V in Sicilia mai alcuna prassi del genere è stata osservata. Per cui, ancora una volta, alla luce delle leggi, della communis opinio e di ogni prassi praticata nel Regno e nel contado, le pretese del Narbona appaiono illegittime. 3.2.6 Il Re solo può delegare la giustizia “Una delegazione spedita novamente dall'amministradore di Modica cascataci nelle mani ha dato il motivo di scrivere brevemente su l'abbuso di tal podestà”. Così si apre il sesto paragrafo del Parere, in cui si discute sopra la possibilità di un Barone di poter “spedire commissari” per i suoi feudi al fine di esercitare in sua vece il mero e misto imperio. L'argomento è trattato in modo estremamente sintetico e veloce, essendoci una “positiva constituzione” che disciplina la delega di giurisdizione in chiare lettere permettendo di risolvere facilmente il quesito. Il testo normativo a cui gli Autori fanno riferimento è stato pubblicato sotto forma di “legge prammaticale” nel 1648, durante l'allora governo del Cardinale Giangiacomo Trivulzio110, a “cui fin ora non ha osato alcun d'opporsi”. In tal modo vengono subito messe le mani avanti, indicando un testo normativo chiaro e preciso a cui è seguita una prassi applicativa costante e pacifica in tutto il Regno. Di per sé – dicono gli Autori – basterebbe fermarsi alla lettura del solo titolo di 110Il Cardinale Giangiacomo Trivulzio (Milano, 1597 – Milano, 1656 ) “stava in luogo del Viceré” nel periodo che va dal 1647 al 1649 ricoprendo le cariche di Presidente e Capitano Generale del Regno di Sicilia.

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questa prammatica per poter risolvere qualsiasi contrasto con il contado di Modica, che appunto si chiama De exequtione ad litera et destinatione delegatorum baronibus prohibita.

Ma se questo non bastasse allo spregiudicato Procuratore Narbona, si potrebbe aggiungere anche il solo sommario di questa legge, che si sofferma in modo chiaro e conciso sulla delega di giurisdizione, rendendo superflua una lettura dell'intero testo normativo che perciò – affermano gli Autori - “lasciamo di trascriverlo diffusamente”. Il sommario recita: Barone prohibentur destinare Algozirios, Commisarios et Delegaty contra vassallos, tam pro cause civili, quam criminali, ac etiam exequtiones ad literas decernere.

E' dunque espressamente proibita la possibilità di nominare Algoziri, Commissari od altri delegati a cui affidare l'esercizio di funzioni giurisdizionali in ambito civile e penale, anche solo al fine di eseguire le decisioni dei magistrati. Questa previsione ha portata generale, trovando però alcune eccezioni espressamente menzionate nel medesimo testo normativo. Jus autem expediendi supra ditta competit tantum Magne Regie Curie, Tribunali Reggy Patrimony et Conistory, Deputati Feudorum, Curie Magistri Portulani , Magistri Secreti, Auditoris Generalis, Magni Admiratus , Judicibus Monti Pietatis et Hospitaly Magni Fidely urbi Panormi.

La lista che viene riportata indica sostanzialmente le regie e supreme magistrature sedenti nella capitale, per cui tutti i Tribunali e le Corti che non vi sono ricomprese non sono in alcun modo legittimate all'esercizio di questa podestà; infatti non avrebbe avuto alcun senso porre una regola, ed indicare una serie di eccezioni, se queste non fossero tassative; questo fa dunque “comprendere sotto la legge tutti gl'altri [organi giurisdizionali] non eccettuati”. Però – aggiungono gli Autori - la possibilità delegare la giurisdizione di per sé non sarebbe esclusa ad un Barone del Regno, qualora insieme al mero e misto imperio questa podestà gli sia stata espressamente accordata dal Sovrano, così come è per il Grande Almirante del Regno, il Duca Pignatelli di Terranova, il quale ha un particolare “uso della giurisdizione del mare”. Ma questo non è di certo il caso del Contado di Modica, non potendosi affermare che questo feudo abbia una qualche speciale podestà, non leggendosi alcuna clausola in merito all'interno del

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privilegio del 1392 né si interpreti un “consenso implicito [ad un ] simile effetto”. Equivarrebbe a “sostenere un sofisma” - concludono gli Autori – ritenere che un sovrano non possa intervenire e disciplinare le prassi diffuse del Regno – come è accaduto in questo caso specifico - ed in particolar modo al fine di frenare gli abusi, adducendo che questo possa ledere i meri e misti imperi donati o venduti in tempo anteriore all'intervento normativo stesso. Infatti, chi sostiene questa tesi si dimentica che il principio di ogni privilegio è e rimane il Sovrano, l'unico che nel Regno abbia il Supremo Imperio. In queste ultime righe si esce dall'argomento oggetto specifico del paragrafo, e ciò è fatto volutamente al fine di trovare un raccordo con la parte conclusiva del parere in cui si analizza la potestà legislativa del Sovrano tramite lo studio della “costituzione antica, et ultimamente riservata da Sua Maestà che riguarda i furti commessi da i banditi assassini elle campagne”. Con questo rinvio si evitano le già numerose ripetizioni che caratterizzano il parere, rendendo l'opera più snella e sistematica. 3.2.7 Il Re è il solo legislatore Il parere si chiude infine con la trattazione di un ultima Regalia, ovvero quella di far nove leggi e di publicar statuti in tutti i casi e circostanze di tempo, che il publico benefizio del stato li ricercasse

Quest'ultimo argomento esula dal concetto attuale di potere giurisdizionale, oggetto specifico del parere, sebbene gli autori lo facciano rientrare nell'ampia area del mero e misto imperio. Questo è un indubbio riflesso di come ancora non sia stata ben elaborata, ed accolta dai giuristi, la teoria della separazione dei poteri e che dunque i poteri “sovrani”, per quanto frammentati e distribuiti tra Principe e corpi intermedi, vengano concepiti unitariamente. Anche in questo paragrafo si afferma avere una radice teologica il fondamento di questa Regalia “che non può ad altri communicarsi essendo stata communicata à i soli Re da Dio” ed è definita il “sacrato dei sacrati” e “ed il dritto più proprio della Maiestà”; ancora una volta si torna a citare la bibbia, con esattezza il Libro dei Proverbi111. 111Proverbi 8, 15.

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Per me Reges regnant, et legum conditores iuxta decernunt

Il parere si chiude così come si apre: sostenendo una natura divina del Sovrano al fine di legittimare le sue prerogative e renderle indisponibili ed immutabili. Così come nel primo paragrafo in ordine al potere giurisdizionale, la potestà legislativa è inquadrata non tanto come un potere del sovrano quanto un suo dovere “acciò possino ben regere e governare i lor popoli”. Visto l'altissimo valore morale di tale Regalia ed essendo questo un compito affidato da Dio al Re, essa è “radicata nella sostanza dell'anima del Principato” e “risiede solamente nella Sacrata Persona del Prencipe”; è conseguentemente creduta quindi da autorevole dottrina 112 come incomunicabile ai vassalli con l'investitura dei feudi e con la con cessione del mero e misto imperio. I nostri Autori, consapevoli della ripetitività di alcune parti del loro elaborato “per non dilungare più del bisognevole il presente discorso” ed evitare una noiosa ed inutile trattazione poco originale, terminato l'inquadramento teologico di questa potestà, si avviano alla ricerca di un fondamento più concreto e “positivo”, rinvenendolo nei Liber Augustalis la que specialiter ad nostram excellentiam spectant et Maestati ita coherent ut as ipsa nullo modo avelli possint, ita ut ubi Maestas, ibi et hec quoque sint necesse sit. 113

In forza di tale assunto l'infeudazione, sia essa accompagnata dal mero e misto imperio che “dichi d'ogni giurditione” 114 non priva il sovrano della potestà legislativa, rimanendo in capo a questo “il dritto di far nove leggi sopra i feudi conceduti a qualsivolglia Barone, e che questi sino tenuti ad osservarle”. Questa teoria parrebbe essere indiscutibilmente sostenuta anche dalla communis opinio115, essendo al più sorta qualche controversia in ordine alla possibilità del vassallo di modificare le pene; ma tale podestà non è inquadrabile tanto nel potere legislativo, quanto in quello, esaminato nel paragrafo 2.5, di poter commutare le 112I nostri autori citano: P. KNIPSCHILDT, Tractatus politico-historico-juridicus de juribus et privilegiis civitatum imperialium, Ulma 1657, lib.2, cap. 4, n. 29. ; J. BODIN, Les six livres de la République, 1576, lib. 1, cap. 9. 113Cfr. Appendice B, Doc. III, p. 167. 114Da notare che, ancora una volta, per riferirsi alla potestà legislativa si fa riferimento al concetto di giurisdizione. 115I nostri autori citano G.MENOCHIO Consiliorum sive responsorum libri XIII, Venezia 1609, ed altri. Cfr .Appendice B, Doc. III, p 166.

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pene, come gli stessi autori affermano. Ma ancora una volta, se la religione, il buon senso e la legge sembrerebbero incontestabili, il Procuratore Generale di Sua Maestà Cattolica non manca di sollevare pretese e creare problemi al nuovo governo, sottraendo il Contado dall'osservanza della constituzione publicata l'anno 1687 per special comando del Vicerà Duca D'Ossada, per la conservazione del publico commercio del Regno, interrotto e perturbato dalli ladri di Campagna, in cui viene disposto che tutti i capitani di Giustizia delle Città, e Terre, del Regno debbano pagare à i derubati il prezzo delle cose rapite, sotto altre pene che tralasciamo di pienamente trascrivere […], qual vedesi confermata da Sua Maestà colla particolarità espressa nella Regia ordinanza drizzata alla Gran Corte nell'anno 1714 à 14 giugno.

Assai singolare116 appare dunque l'inquadramento della controversia come usurpazione della potestà legislativa, essendosi limitato lo spregiudicato amministratore a non osservare un testo normativo; la sua volontà è dunque stata interpretata come volta ad “abrogare” una norma all'interno del contado. Agli occhi degli autori l'agire del Narbona appare inverosimile in quanto il sottrarsi ad una “legge universale per tutti i luoghi del Regno” emanata a tutela del “publico benefizio del commercio di Terra” equivarrebbe – dicono con toni forse eccessivi - a ritenere che il Contado sia una provincia a parte, e non (com'è!) un “semplice” feudo concesso con l'utile dominio al Conte Caprera (ed a i di lui discendenti). Ad apparire strumentali ora appaiono le tesi dei nostri Autori, che da una “semplice” inosservanza di una legge traggono conseguenze eccessive, o perlomeno che sarebbero ragionevoli solo se si contestualizzasse la singola pretesa oggetto di analisi nel più ampio quadro delle rivendicazioni di Filippo V viste nella loro globalità. In effetti, al di fuori dei toni eccessivi utilizzati dai nostri Autori, l'inosservanza di questa norma altro non pare che un ulteriore dispetto del Narbona, posto che dal momento della sua emanazione (1682) fino al 1713, mai era passato per la mente dei Conti di Modica di non osservare questa norma; anzi a questi, pur godendo al momento della sua emanazione di enorme prestigio presso la Corte di Madrid 117, 116Pur essendo opinabile l'inquadramento fatto dai nostri Autori, ci limiteremo a seguire il discorso così per come è stato da loro posto. 117Conte di Modica era Giovanni Gaspare, che fu titolare dal 1647 al 1691. Cfr. Supra, Cap. I, p.

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non è stato concesso nessun vantaggio particolare, e nulla è stato da essi eccepito, così dai loro successori e governatori i quali la osservarono senza “portare eccezione alcuna”. A conferma di questa continuata, e mai messa in dubbio, attenta osservanza, sono ricordate le numerose carte presso l'archivio della Regia Gran Corte di Palermo, ove trovasi gli avvisi dei furti avvenuti all'interno del Contado spediti dagli Uffiziali del Conte in adempimento ad una ingiunzione in tal senso avuta dalla stessa Corte al fine di garantire una esatta osservanza di tale legge. A queste carte corrispondono quelle contenute nell'archivio del Contado, fornite dagli stessi Uffiziali118, rendendo in tal modo indiscutibile una continua e pacifica osservanza dei precetti all'interno del Contado. E non solo: al momento dell'instaurazione del nuovo governo la disposizione in questione è stata rinnovata e confermata, e se ne ha certa osservanza per il biennio 1713-1714 alla luce di ulteriori documenti depositati presso l'archivio della Regia Gran Corte. Ma la continuata osservanza di questa norma non la si scorge solo ed esclusivamente all'interno del contado, bensì è stata costante e pacifica all'interno dell'intero Regno, essendo questa una disposizione adottata nel “commune interesse”, e quindi “maggiormente che di raggion'erano tenuti i baroni stessi mantener sicuri da i ladri i loro territory per la libertà del commercio, e quiete de' vindanti”. Per cui si conclude che per “dritto di ragion divina et umana”, il Contado è e rimane assoggettato alle leggi universali del Regno così come ogni altra città e feudo siciliani, così come era anche sotto il passato governo sotto il quale mai è stata messa in dubbio l'autorità Regia, la sua giurisdizione e della sua corte “collaterale”. Non potranno dunque “distendersi” le clausole del privilegio del 1392, non potrà accamparsi alcun pretesto sulla pace di Utrecht, ma si dovrà solamente rispettare l'autorità del nuovo Re, così come lui ha sempre rispettato la maestà Cattolica. Termina così il parere con la sottoscrizione dei suoi quattro autori, 16. 118Pur non essendo stato citato alcun funzionario in particolare, è probabile che ancora una volta questi dati provengano da Don Ippolito d'Amico.

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Illustre Presidente Don Casimiro Drago + De Nicolis Consultore + Avvocato Fiscale Perlongo + Virgilio Avvocato Fiscale

di cui conosciamo i nomi e le prestigiose cariche, ma non sappiamo a loro attribuire i singoli contributi di cui si compone l'opera studiata. 3.3 Una valutazione in conclusione Il parere analizzato risulta abbastanza scorrevole ed armonico, mantenendo una struttura argomentativa coerente per tutti i diversi paragrafi, pur essendo questi scritti da autori diversi. In tutti e 7 i punti, come abbiamo visto, si parte da una trattazione storica e teorica degli istituti interessati, sebbene non bisogna mai dimenticare che questo è – e rimane – un parere di parte; infatti le introduzioni storico-teoriche sono spesso piegate ed utilizzate a vantaggio di chi scrive, presentando al lettore gli argomenti trattatati dalla prospettiva che più conviene agli Autori. Un esempio tangibile è il caso delle “dilazioni quinquennali e la cessione di beni”, dove teoria e storia sono ridotte al minimo, non per evitare ripetizioni o rendere il discorso più lineare, ma per il semplice fatto – già messo in luce – che l'analisi in tale prospettiva si risolverebbe a svantaggio di chi scrive. Altro punto comune nella struttura dell'intero parere è data dall'immenso valore per la prassi, che pare assumere un valore quasi superiore al diritto positivo; infatti è spesso utilizzata quale cavallo di battaglia dell'intera struttura argomentativa, o in altri casi come fiore all'occhiello dell'intera trattazione al termine della dissertazione teorica. Curioso appare il continuo e forte rinvio alla radice divina del sovrano, espediente per rendere indiscutibili ed immanenti le funzioni del Re, in modo che qualsiasi argomentazione contraria non possa reggere di fronte alla sacralità dei dettami su cui si fonda l'autorità regia. Si utilizza un argomento che per certi versi risulta essere ben lontano dalle correnti culturali proprie del '700, per legittimare una tendenza, l'assolutismo di Vittorio Amedeo, che invece risulta attualissima. Il Re, infatti, tende ad apparire quale principio di ogni potere “pubblico” e di ogni privilegio feudale ed in quanto tale legittimato a revocarlo a suo piacimento. In tal modo si tocca con mano la tendenza accentratrice che concepisce la sovranità come unica ed esclusiva del Re, mentre i feudatari – oramai retaggio di una cultura passata – sono posti come semplici “delegati” nell'esercizio di singole ed isolate 81


prerogative e non più – come un tempo – co-titolari del dominio di uno Stato e quindi “concorrenti” del Re nell'esercizio di una sovranità “diffusa” e frammentata. Questo lo si nota nell'analisi del privilegio della Contea del 1392, a cui è data una lettura restrittiva al fine di limitare il più possibile i poteri del Conte – Sovrano; ciò si muove in controtendenza all'esperienza che per secoli ha visto Modica essere - come si evince dal primo capitolo - un vero e proprio Regnum in Regno, i cui titolari hanno spesso contribuito a determinare le sorti della Sicilia, talvolta in convergenza altre in divergenza con il potere del Re. Bisogna inoltre ricordare che i punti trattati da questo parere non esauriscono il novero di pretensioni che vengono inquadrate sotto il concetto di giurisdizione, così come si evince dal Ristretto delle Pretensioni119 o dalla Relazione del Consultore120. Queste infatti affrontano alcuni casi che non sono analizzati nel presente parere sebbene quest'ultimo per l'ampiezza dei temi e delle argomentazioni utilizzate, li ricomprende nella sua trattazione. E' così emblematico il primo punto della relazione che di per sé sarebbe bastevole, nell'estrema genericità ed ampiezza dell'argomento trattato, a giustificare qualsiasi competenza o prerogativa del Re in ambito giurisdizionale, essendo egli posto quale “foro naturale” di ogni causa e legittimato a conoscere qualsiasi controversia. La scelta di trattare solo alcuni punti potrebbe essere dunque conseguenza del fatto che gli Autori vogliano soffermarsi solo sulle principali manifestazioni della sovranità che per la loro ampiezza, come già detto, possono ricomprendere quelle non esaminate. Altro elemento degno di essere messo in evidenza, sebbene già affrontato brevemente nei paragrafi precedenti, è la struttura a “climax discendente” della narrazione, che vede ogni paragrafo – in tendenza - conseguentemente sempre più breve e conciso potendosi ad esso estendere parte delle argomentazioni utilizzate in precedenza. Ciò contribuisce a rendere la lettura un po' meno ripetitiva e lenta, sebbene - ci permettiamo di aggiungere – l'intero impianto argomentativo non pare particolarmente originale, ruotando tutto sull'analisi ed interpretazione restrittiva del privilegio martiniano del 1392 a cui si aggiunge – ove possibile – 119Appendice B, Documento I. 120Ivi, Documento II.

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qualche voce di autorevole dottore o la “ lunga e pacifica prassi” a conferma di quanto detto. Degna di nota è poi la struttura di ogni punto che - giova ricordarlo – presenta un'ampia introduzione storico-teorica per passare poi alla breve analisi del caso controverso. Questo appare – almeno agli occhi di chi scrive – una sorta di espediente retorico utilizzato dagli Autori al fine di rendere dotto il lettore tramite una lettura e presentazione “accademica” dei temi affrontati, facendo sì che i singoli casi concreti appaiano a contrario quasi come un'assurdità, in quanto diametralmente opposti ai profili teorici trattati, ed appaiano a chi legge, automaticamente e senza troppi giri di parole, come infondati e pretestuosi. In ultimo, bisogna sempre tenere presente che l'intero parere poggia su una interpretazione di parte dell'Atto di Cessione della Sicilia, ed in quanto parziale per comprenderla non si può prescindere dall'analisi che uno degli autori – il Conte di Robilant – ci propone in una sua autonoma relazione 121. Perciò abbiamo sentito come necessario presentarne un estratto in apertura alla trattazione; diversamente, il discorso sarebbe parso incompleto, potendone risentire la sua genuinità ed onestà.

121Cfr. Appendice B, Doc. II, pp. 111 e ss.

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Appendice A: Documenti editi

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Estratto da V.E. STELLARDI, Il Regno di Vittorio Amedeo II di Savoia nell'Isola di Sicilia, Torino 1763, pp. 3 – 4.

Documento I Articolo V del trattato di Utrecht (11 Aprile 1713) Comm' en consequence de ce qui a estè convenu et accordé entre Leurs Majestés Trés Chretienne et Catolique d'une part, et Sa Maiesté Britannique de l'autre pour une des conditions essentielles de la paix, le Serenissime et Tres Puissant Prince Philippe V, par la grace de Dieu Roy Catolique des Espagnes et des Indes, à cedé et transporté a Son Altesse Roiale de Savoie et à ses Successeurs l'isle et Royaume de Sicilie, et isles en dependantes, avec ses appartenances et dependances, nulle exceptéè en toute souvranaineté, en la forme et maniere qui sera specifiée dans le traitté qui sera conclù entre Sa Majesté Catolique et Son Altesse Roiale de Savoie: le Roy Trés Chretien reconnoit et declare que laditte cession de l'isle et royaume de Sicile, ses appartenances et dependances, faitte par le Roy Catolique son petit fils à Son Altesse Roiale de Savoie, est une des contition de la paix; Et sa Maiesté Trés Chretienne consent et

veut qu'elle fasse partie du present traitté, et ai t la

meme force et vigueur que si elle y étoit inserée mot à mot, et qu'elle qut esté stipulée par luy. Reconnoissant dés a present en vertu de ce traitté Son Altesse Roiale de Savoie pour seul et legitime Roy de Sicile. Et pour mieux assurer l'effet de laditte cession Sa Maiesté Très Chretienne promet en foy et parole de Roy, tant puor elle que pour ses successeurs de ne s'opposer iamais, ny faire aucune chose contrarie à laditte cession, ny a son execution, sous quelque pretexte pu rason que ce puisse estre; mais au contraire de l'observer et faire observer inviolablement; promettant toute aide et secours envers et contre tous pour cet effet et puor 85


laditte execution; comm'aussy puoi maintenir et garentis Son Altesse Roiale de Savoie, et ses Successeurs en la paisible possession dudit Royaume conformement aut clauses, qui serot stupulées dans ledit traitté entre Sa Maiesté Catolique et Son Altesse Roiale de Savoie.

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Estratto da V.E. STELLARDI, Il Regno di Vittorio Amedeo II di Savoia nell'Isola di Sicilia, Torino 1763, pp. 4 – 11.

Documento II Atto di cessione di Filippo V, Re di Spagna, a Vittorio Amedeo II, Duca si Savoia, del Regno di Sicilia Don Phelipe por la gracia de Dios Rey de Castilla, de Leon, de Aragon, de las dos sicilias, de Hierusalem, de Navarra, de Granda, de Toledo, de Valencia, de Galicia, de Mallorca, de Seuilla, de Zerdana, de Cordoua, de Corzega, de Murcia, de Jean, de los Algaues, de Algecira, de Gibraltar, de Llas Islas de Canaria, de Llas Indias orientales, y occidentales, Islas, y tierrafirme de Mar occeano, Archiduqe de Austria, Duque de Borgona, de Bravante, y Milan, Conde de Abspurg, de Flandes, Tirol, y Bacelona, Senor de Vizcaya, y de Molina etcetera. Siendo tan de la obligacion de todo Principe Cristiano desear el sosiego, y tranquilidad, del mundo tanturbado en la mejor parte deel con la sangrienta, y cruel guerra, que por tan largo tiempo ha afligido ala Europa; y hauiendose considerado por la Reyna de la Gran Bratana, por uno de los medios necesarios para establecer, y ascengurar la paz universal, entre otras ventajas al Duque de Sauoya, que yo le ceda el Reyno de Sicilia; y instandome à ello repetidamente, y combenido

con su Magestad

Britanica por concurrir de mi parte aunque tan costosamente à que se consiga este importante, u desedado bien universal, en aquella mejor forma, que puedo, y deuo; He venido en executarla, por el presente instrumento; y paraque esta deliueracion tenga el deuido efecto, por mi mismo, por mis Heredos, y subcesores como Rey, y senor natural, y absoluto de dicho Reyno, lo renuncio, cedo y traspaso al Duque de Savoya, y sus hujis, y descendientes masculinos, nacidos, en constate lexitimo matrimonio, y en defecto de sua lineas masculinas, al Principe Amedeo de Carinan, y sus hijos, y descendentes masculinos, nacidos en constante lexitimo matrimonio, y en defecto de sus lineas al Principe Thomas, Hermando del Princope de Carinan, sus Hijos, y descendientes masculinos, nacidos en constante legitimo Matrimonio, para que la haya, y respecinuamente sus Hijos, y descendientes masculinos, y los de dichas dos lineas masculinas, nacidos en

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constante legitimo matrimonio , con la misma souerania, y porderio Real, que me pertenece y al presente poseo y como la han posehido, y deuido poseherlos Reyes mis predecesores, assi en lo general de dicho Reyno, y sus dependences, como en lo particular de todas la Ciuidades, villas, y lugares, Tierras, Castillos, Fortalezas, Puertos, Mare, senorios, y dominios, Rios, Montes, Valles, Hombres, Vallos, y Subditos contenidos en dicho Reyno, y todas las Rentas, R. Prerogativas y preheminencias de plena potestad, y jurisdicion, y domino, Derecho,s y acciones, y pretenciones, que me competan, assi en lo secular y regalia de nombrar, y crear ministros para los Tribunales, que ay, o huviere enel, y gouernadores justi cias, capitanes, y otros oficiales que bien visto le fuere, para la manutencion de dicho Reyno en la forma expresada, y segun se dirà en este ynstrumento como en lo Eclesiastico, el Patronato real, y preheminencias de elagir, y presentar personas dignas, para qualesquiera Arzobispados, Obispados, Inglesias, Cathedrales, y Parrocchiales, Abadias y otros qualesquiera veneficios curados, o simples comprendidos enel territorio de dicho Reyno, sin reseruar regalia alguna, derecho, o preeminencia de las que me pertenencem como tal Rey, y senor natural de Sicilia; y pudeiran partenecer a mis subcesores, que no sea comprendida en esta Cesion, y trapaso a fuor de Dicho Duque, sus hijos, y Descedientes masculinos, y de dichas dos lineas masculinas ya expresadas, no obstante todas las leyes, costumbres, constituciones, priuilegios, y capitulos del Reyno hechos

en

contrario, aunque ayan sido establecisod, y confirmados, por juramento, y fuerse necesario hacer expecifica mencion de ellos, por que a todos ellos, y alas clausulas derogatorias alas derogatorias, y de derotatorias, conque huviesen sido establecisas, deoro expresamente por el presente ynstrumento de Cesion, Trapaso, y renuncia que hago en mi nombre, y de dichos mis Subcesores a fauor de dicho Duque, y Descedientes, y los dichas dos lineas, siendo mi determinada voluntad que esta cesion, traspaso, y renuncia haya, y tenga lungar, y efecto, sinque la expresion general deogue a la particular ni pro el contrario, la particular a la general, y que perpetuamente queden excluidas todas las expceptiones de qualesquiera Derechos, titulos, causas, o pretextos, que puedan excitarse en contrario, y en consequencia de ello, declaro que contiendo por mi, y en nombre de mis subcesores, y es mi yntencion, y voluntad que el Virrey que es, o fuere al tiempo de darse complimento, a este Instrumenti de Cesion, y traspaso, y los de 88


mas Capitans Generales de Mar, y Tierra, en aquel Reyno, Consultor, Jues de La Monarchia, Presidentes de La Gran Corte, y Real Patrimonio, Ministros de estos, y otros tribunales de el, Justicias, Gouernadores, Alcaydes de Plazas, Castillos, Fortalezas, Ciundades, villas Comunidades, Duque , Marques, Condes Varones, y demas Abitante de dicho Reyno que en comune, y particular me huvieren prestato Juramento de fidelidad, y vassalage sean y queden libres, y absueltos desdeahora para sempre jamas mientras durante la subcecion masculina de dicho Duque, y de las otras dos lineas masculinas de su Cassa, llamadas a falta de ella en la forma dicha de la Fee y omenage, seruicidio, y juramento de fidelidad que todos, o cadauno de ellos me huviere o pudiere hauer hecho, y los demas reyes mis predecessores juntamente, con la ovediencia, sugecion y vassallage, que por razon de ello me fuese deuido, declarandolos nulos, y de ningun valor, ni efecto, como sino huviesen sido hechos, ni prestados, jamas, y juntamente con dicho Reyno cedo, renuncio y traspaso a dicho Duque de Sauoya, sus hijos, y descendientes, y a los de las dos lineaa expresandas de su Cassa todas la galeras qye tengo en el , con todos los Equipages, Marineros, y chusmas que huviere en ellas obligandone en virtud de este instrumento, y a mis subcesores, aque dare las ordenes, necessarias al Virrey de aquel Reyno, Gouernador de las galeras, y de mas Generales, y personas, que combenga para le entero cumplimiento de esta cesion, y a mandar entregar al Duque de Sauoya, o a su poder haviente todos los titulos, Papales, y Documento pertenecientes a dicho Reyno, y sis Dependencias, que puedan hallarse en estos de Espana; y assi mismo a que desde luego dare los ordesnes combenientes a mis Plenipotenciarios, paraque unidos, y puestos de acuerdo con Los de Su Magestrad ajuste de la Paz; paraque por todos los Plenipotenciarios de los mas Principes, y por sus Amos, se asegure la manutencion, y permanencia del Reyno de Sicilia enel Duque de Savoya, sus hijios, y descendientes masculinos, y de las dos lineas expresandas en la forma dicha con el goce de la sourenia, y reconocimento de Rey de Sicilia en pacifica posesion, todo lo qual se à de entender de bajo de las Calidades, y condiciones, siguientes. Que assi, como para la declaracion que hice de los Varones legitimos de las lineas de la Cassa de Savuoya, para la subcesion de estor Reyynos, enel caso de faltar descendencia mia legitima de Varones y Hembras, de cuya disposicion se promulgo ley, y se admito, y confirmo en el Reyno, junto en Cortes en la forma 89


que en ella se contiene, à que me remito; se tomò como fundamento, y firme supuesto la amistad, y perpetua alianza, que los Duques de Savoia, y Principes de su Casa, hauian de tener con mi Corona, assi para esta cesion del Reyno de Sicilia, se deue tener por condicio noy expresa calidad de ella, que los referidos Duque de Sauoya, y Principes de su Cassa, cadauno en su tiempo, han de tener, establecer, consolidar, y renouar amistad, y alianza perpetua con migo, y con mis subcesores en por quaqlquiera acciedente, o motiuo, pensando, o no pensando, contra las reglas del Verdadeero, y solido ynteres, obligacion, y gratitud, el referido Duque de Sauoya, o qualquiera de sus subcesores faltase a esta condicion, y no obseruase la supuesta mistad, y perpetua Alianza en qualquera caso, y tiempo, que esto sucediese desde ahora para entonces, queda nula, yrrita y de ningun valor esta Cesion, y debuelto dicho Reyno a mi Corona, y este Instrumento, como sino se huviese hecho. Le segundo que à falta de subcesion masculina de constante legitimo Matrimonio ed el Duque de Sauoya, y lineas a cujo fauor hago esta Cesion, como se à expresando el dicho Reyno de Sicilia, boluera à yncorporarse a Corona de Espana, y se entienda si llegase este caso desde luego, transferida la posesion Civili, y natural, de dicho Reyno, aunantes de adquirirla contemporalmente en mi, o en qualquera de mis Descendentes, subcesores de ella, con todas la mismas regalias de souerania, y poderio Real, y derechos, y acciones, conque lo cedo, y pueda comperme y a mis sybcesores, desde que faltare la subcesion dichat libneas, todo en la misma substancia, integridad, y forma que sele entregare al dicho Duque de Sauoya el dia que tornare la posesion de el. Lo tercero, con calidad, y condicion de que por ningun motiuo, pretexto o causa no pueda dicho Duque, ni alguno de sus subcesores, en la slineas declaradas empenar, troncar, ni enagenar el referido Reyno de Sicilia, ni en todo, ni en parte menor que sea ni dependencia alguna de el à otra todo, ni en parte la menor, qua sea, ni dependencia alguna de el à otra Potencia alguna, sino es unicamente à mi Corona, y en caso lo hiciese desde ahora para en tonces queda nula, irrita, y de ningun valor esta Cesion, y debuelto dicho Reyno à mi Corona, y por cancelado este Instrumento, como sino se huviese hecho. Lo quarto que asi como cedo, renuncio, y traspaso a fauor de e lDuque, su Hijos, y Descendentes masculinos, y de dichas dos lineas toda la soverania, preeminencias, 90


rentas Reales, acciones, y derechos actiuos, que me competen, y pertenecen por mi y de mas Reyes mis Predecesores, y que pudieren competer, y pertenecer à mis subcesores en dicho Reyno de sicilia y sus dependencias, al mismo tiempo se hayan de transferir, y pasen en dicho Duque, Hijos, y descendentes de el, y de dichas dos lineas todas la obligaciones, Cargas, deuitor, pensiones, y derechos pasius aque yo estoy obligando, y pudieran estarlo mis subcesores ahora precedan de causa honcerosa, u de mera gracia mia, u de mis Precesosres por via de Contrato, Concesion o privilegio, y en otra qualquiera forma, quedando reciprocamente obligato à la satisfacion, y paga de todo ello, del mismo modo que yo lo estoy, y lo estarian mis subcesores, no haciendo esta Cesion, renuncia, y traspaso. Lo quinto, que ayan de ser mantenidos, y se conseruen qualesquiera Leyes, Fueros, Capitulos de el Regyno, Priuilegios, gracias, y exempciones, que al presente gozan, y han d euido gozar en mi tiempo, y de mis Precedecosers, assi el Reyno, como qualesquiera Comunidades eculaers, o Eclessiastica, y todos lor avitantes de aquel Reyno, manteniendo à todas en comun, y en poarticular las que tuvieren, y sus Leyes, Consituciones, Capitulos de Reyno, Pragmaticas, Costumbres, Livertades e inmunidades, y exempciones à ellos concedidos, y concedidas por mi, y los Reyes, mis precedesores tanto al comun del Reyno, como à las Ciudades, Villas, y Lugares, y Tierras, y aqualesquiera personas assi Eclesiasticas, como seculares, segun y como han usado, y gozado, y deuido usar, y gozar de ellas. Lo sexto, que toad las Dignidades assi Ecclesiasticas de Arzobispados, Oblispados, Avadias, y Beneficios curados, y simples, como los seculares de titulos de duques Principes, Marqueses, Condes, Barones, y otras qualesquiera assi la s concedidas hasta ahora, como las que yo fuere seuido lesquiera assi las concediads hasta ahora, como las que yo fuere seruido de conceder hasta el dia, en que al referido Duque de Sauoya sea dada la posesion de dicho Reyno de Sicilia; y por lo que toca ò las preuendas, Beneficios, penciones, y Digniddes Eclesiasticas, todas las que vacaren, o huvieren vacado, hasta el dia enque al Duque de Sauoya sele diere posesion de el Reyno, por que todas como dicho es, hasta el referido dia, hande ser de nombramiento, o presentacion mia segun la calidad de cadauna, se conseruen, y mantengan por dicho Duque, sus Hijos, y Descendenties, y los de dichas dos lineas, en las personas que al presente las tienen, y sus subcesores, que 91


por tiempo fueren en la misma forma, y con la aquellas prerogativas, que las han gozando en mi tiempo, y de mis Predecesores, sin disminuirlas ni alterarlas en cossa alguna. Lo septimo, que a qualesquira personas, assi natur ales de aquel Reyno, como dos los demas que poseo, que en el tengan Estados, Fuedos, Olificios, Haciendas, bienes, Renta, frutos, reditos, obenaciones, y otros qualesquiera utiles, assi en cossas proprias suyas , que con algun titulo les partenezcan, como en lo concerniente a mi real Patrimonio, ora preceda, de causa onerora, ora de gracia, priuilegio, o merced, que yo, o qualquera mis Predecesores, huvieremos concedido en aquel Reyno, scles, conseruen, ò ellos, y a sus heredos, y subcesores sin diminucion, ni ponerles embrazo alguno, y todos sus honores, derechos, y acciones personales, y hereditarias, presentes, y futures, assi en el casso de hallarse actualmente residiendo enel, en mi seruicio como enel de uenir desde a quel Reyno à establecerse en los mios, o que estando en ellos paseren en qualquera tiempo a residir en dicho Reyno de Sicilia, derogando para la firmeza de esta condicion las leyes, Constituciones, pragmaticas, y capitulos del reyno, que pudiere hauer en contrario, y como las he derogado antecedentemente para la de esta cession. Le octauo que qualesquiera personas tanto naturales de aquel Reyno, como de otra qualquier parte que se hallaren en el con empleos, y cargos que yo, o mis Predecesores les ayamos conferido, assi de administracion de justicia, como de tribunales seculares, y Eclesiasticos, Gouiernos y Capianias de Provincias, Ciudades, Villas, y Lugares y Territorios ayan de ser mantenidos, y conseruados en ellos en la misma forma, y con los mismos gages, sueldos, salarios, acostamientos y demandas ayidas de Costa, que han perceuido hasta ahora, y gozan al presente, queriendo quedarse en dicho reyno, o pudiendo gozarlos estando fuera de el , por no requiriri residencia personal, o poder seruirlos por sobstitutos, segun calidad de ellos, o priuilegios, con que se huviese concedido; y en casso que alguno, o algunos de los que tuvieren empleo militar, o politico de mar, y tierra en dicho Reyno no sea de la satisfacion de dicho Duque, y quisiere que no le sirua, y lo huvieren obte nido por via de beneficio pecuniario, en este casso, el dicho Duque o Sus Subcesores, ayan de reemblosar alos que tienen dichos Empleos, ante de quitar selos, lo que jistificaren hauer dado por ellos, y lo mismo que dara con 92


obligacion, de executar el Duque de Savoua con los sugetos, en quiene estuvie r en prouistas, las futuras, si las huuieren veneficiando con dinero en casos de no querere conseruarles sus derechos por se justo, que los haga rembolsar de lo que les huviere costado. Lo nono, che que respecto de que en consequencia de Cesion, à de euaquarse aquel Reyno de las Tropad de Caualleria e Infanteria que tengo en el, en este c asso la Caualleria espanola e yrlandesa se a de traer a Espana, y si alqunos de los soldatos de ella quisieren quedarse en aquel Reyno, lo podran hacer a condicion de que sus Cauallos, arneses, y armas se ebtreqyeb a sys ifucuakes, y por lo que mira ala ynfanteria, se exutarà, y praticarà lo mismo y por lo que toca alos ymbalidos y extropeados, no siendo justo abandonarlos, y muy proprio de la caridad del Duque de Savoya, el atenderlos sera obligado a continuarles las mismas asistencias de que gozan actualmente, y de todas las que hasta el dia en que le fucre dada la posesion del Reyno, estuvieren concedidas à todos los ymbalidos, o extropeados bien sea naturales o forasteros de aquel reyno, pues hauiendo hecho en el, su merito, y contrahido en su seruicio, sus ympedimentos, no es de justicia, ni equidad que ayan de percer, y mendigar. Lo decimo, que las Dignidades, rentas, titulos senorios, y otros vienes que en aquel Reyno han sido confiscados al Almirante de Castilla, al Duque de Monteleon, al Condestable Colona, al Principe de Visigniano, y otros sugetos seculares y las que han sido sequestradas al Cardenal Colona, y otros Eclesiasitcos, por hauer faltado al juramento de fidelidad, è incurrido en el delito de felonia, y traicion, ayan de quedar vajo de mi mano, como lo estan oy, y con los mismos Ministros, o los que me pareciere poner, y que ahora, o en adelante pueda venderlos, darlos, cederlos, o concederlos alas personas que me pareciere, y por bien tuviere, y que siempre que le exute, hayan de se puesto en la poesion quieta, y pacifica, de ellos, y los ayan de tener, y gozar con las condiciones que yo les impusiere, y para todo ello aya de dar y gozar con las condiciones que yo le simpusiere, y para todo ello aya de dar al duque de Savoya, y los demas que subcedieren, el fauor que ayda

que se

necesitare, y a sua Ministros, y oficiales, las ordenes que conuengan, y menester fueren para su total execucion, y cumplimiento, ò la qual solo à de reducirse la asistencia, y auxilio de los ministreos de Sicilia, por que sobre qualquera duda o ynterpretacion, que por qualquera persona, o de bado de qualquiera pretexto 93


pueda introdurcise sobre los vienes, Estatos, Dignitades, rentas y efectos que huvieren sido o pudieren, o deuieren, ser confiscados, sequestrados y detenidos, su administracion, perception, o pertenencia, por delitos, y faltas comeditas hasta el dia, en que al Duque de Savoya se le diere la posesion de dicho Reyno, de todas estas causas y dependencias, conocimiento y determinacion por via de justicia y de Gouierno, no se à da poter conocer, sustanciar ni interuenier por otros Ministos, juces o Tribunales, quelos que yo senalare, y nombrare con comisio expresa para ello, y lo mismo se entiende de qualquera disposicion o asignacion que yo huviere dado antes de el dia en que al Duque de Savoya tornare la posesion de el Reyno, u despues de ella fuere yo seruido de darla, o alterar, por que todo lo respectiuo, y cccidental, en orden alos referidos vienes, que huvieren sido, o pudieren ser confiscados los reseruo en mi, como dicho es, y con las referidas calidades y condiciones, y no sin ellas hago la referida Cesion de el Reyno, y debaxo de ellas, deue entenderse, y no de otra manera. Y para que tenga efecto, y se cumpla todo lo contenido en este ynstrumento de Cesion, renuncia, y trapaso de dicho Reyno a fauor del duque de Savoya, sus Hijos y descendents masculinos de su Cassa, pometo, y me obligo en fee de palabra Real, que en quanto fuere de mi parte, y de mis hijos, y Descendientes obseruare, y cumplire, y procuare obseruiancia, y cumplimiento de el, sin contrauenir a el en tiempo alguno, ni permitir, ni consentir que se contrauenga jamas a dicha cesion en la forma qua ua expresada, directa o indirecta, en todo o en parte, y me desisto, y aparto de todo, o qualesquiera remedios sauidos o ygnorados, ordinarios, o extraordinarios y que por derecho comun o preuilegio especial nos puedan pertenecer a mi, y a mis Hijos y descedientes para decis, alegar y reclamar contra lo suso dicho, y todos ellos, lor renuncio, y especialmente el de la lesion euidente, enorme y enormissima, que se pueda considerar hauer interuenido en esta Cesion, renuncia y traspaso; y quero que ninguno de los referidos remedios, noi otros de qualquera calidad que sean, me ualgan, ni sufraguen en modo alguno a mi ni a mis Hijos y descendientes, en fee de lo qual mande despachar el presente yntrumento firmado de mi mano, sellado con el sello secreto de mis armas, y refrendado de mi infrascripto secretario de Estado.

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En Madrid, a dies de junio de mil seteciones y trece. YO EL REY Don Manuel de Vadillo, y Velasco

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Appendice B: Documenti inediti

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Archivio di Stato di Torino, Sez. Corte, Fondo Paesi, Sicilia, Inventario II, Categoria IX, Mazzo I, Fascicolo 2.

Documento I Ristretto delle pretensioni del Procuratore Generale di sua Maestà Cattolica in Sicilia intorno agli stati alla medesima riservati con li sentimenti della Giunta di Spagna, del Supremo Consiglio di Sicilia, e de' ministri di Torino. Ha in primo luogo preteso il Procuratore Generale, che il Re Cattolico havesse la sovranità degli stati e beni confiscati e riservati nel capitolo X della cessione. La Giunta di Spagna Ammette che l'intera sovranità del Regno è stata ceduta à Sua Maestà; soltanto però l'amministrazione economica degli stati, e de beni riservati, per cui dice essersi Sua Maestà Cattolica ritenuta una giurisdizione indipendente, e suprema, e tutti li privileggi fiscali di sovrano, che prima della cessione le competevano. 1 Tratte di Modica Si riducono a due le controversie concernenti questo punto. 1° Pretende il Procuratore Generale col diritto delle tratte quello della refezione allorché negli anni antecedenti non siano state cedute. Giunta di Spagna Stima essere incontrovertibile tal pretesione. Supremo Consiglio Crede che sia dovuta la pretesa refezione nella forma praticata con li Conti di Modica, cioè riservandosi prima dal Viceré l'ordine di Sua Maestà, la quale la regolerà secondo le circostanze de' tempi, e necessità del Real patrimonio. 97


Ministri di Torino Sono del medesimo avviso con che però il non haver goduto delle tratte non sia provenuto da negligenza degl'amministratori, e preceda l'ordine di sua maestà. 2° Il Procuratore Generale pretende, che l'estrazione delle 12 mila salme di grano possa farsi liberamente da tutti li caricatori del Regno. Giunta di Spagna Riprova la pretesa del Procuratore Generale e dice che l'estrazione deve ristringersi alli soli caricatori di Pozzallo, Castellammare e Termini. 2 Ha preteso il Procuratore Generale la reintegrazione de' sequestri sovra li beni de' napolitani e milanesi. Giunta di Spagna Insiste per la pretesa reintegrazione attesa l'ampiezza delle clausole contenute nel capitolo X della cessione. Supremo Consiglio Stima non doversi accogliere la pretesa reintegrazione per non haver li napolitani e milanesi commesso alcun delitto di fellonia, a cui si riferiscono li beni confiscati, sequestrati e detenuti che sono espressi nel detto capitolo X. Ministri di Torino Convengono nello stesso sentimento per essere cessate colla neutralità d'Italia le cause dell'accennato sequestro. 3 Diritto di cassa del Contado di Modica Pretende il Procuratore Generale il diritto di cassa per le introduzioni, ed estrazioni, che si fanno, delle merci alle marine del contado di Modica, per dentro e fuori il Regno. 98


Giunta di Spagna Suppone che per le merci, le quali da paesi forestieri nel Regno s'introduccono, non si paga il preteso diritto di cassa, se non per alcune merci di lana e seta, sovra le quali non può avere alcun dubbio mentre dovendosi tali merci unicamente introdurre nel Regno per via di Palermo, o Messina, ne spetta conseguenza il diritto alla Regia Corte; ma solo per quelle, che dal Regno per paesi forestieri si estraggono; e però ammette che il Procuratore Generale non può pretendere il diritto di cassa per le introduzzioni, ma solamente quello dovuto per l'estrazione delle merci, e vettovaglie, che si fanno dalle marine del contado per paesi forestieri supponendo che il contado precedente sia stato per il corso di 300 anni in possesso legittimo di tal diritti sin al tempo della cessione del Regno in virtù del privileggio del Re Martino accordato a Bernardo di Caprera, e del capitolo 494 del Re Alfonso, in cui fu tal diritto riconceduto a tutti li Baroni, e Prelati, del Regno, a quali era stato come usurpato già revocato nel 1451. Supremo Consiglio Divide il diritto di cassa in antico, o sia nuovo chiamato gabella nuova, ed in nuovissimo. L'antico, meno nuovo, dice essere quello che si paga tanto per le vendizioni d'infra quanto per quelle di extra Regno, così per li beni stabili, come per le merci, qual diritto è stato imposto doppo il privileggio del contado conceduto nel 1392. Dal Re Martino alli Conti di Modica, a quali però può solamente spettare non in virtù di alcun privileggio, ma per la disposizione del capitolo del Re Alfonso 461, in cui fu conceduta a tutti li Baroni, e Prelati del Regno la dogana, nella quale fu confuso questo diritto di cassa. L'altra, o sia nuovissima, è quello che si paga oltre alla tratta, e fu imposto dal parlamento nel 1561, a favore della Regia Corte alla ragione di tari uno sovra le merci, che si estraggono, e questo dice appartenere incontrastabilmente alla Regia Corte, mentre si paga indistintamente da tutte le persone così regnicole, come straniere, e da tutti li baroni e prelati del Regno, da cui non avrebbe pagato, se fusse quello, cioè l'antico, di cui gioiscono li baroni, e prelati; e con tal distinzione scioglie l'argomenti della giunta di Spagna. Ministri di Torino 99


Stimiamo che il predetto diritto di cassa d'estraRegno spetti alla Regia C orte e non vi sia alcun titolo, per cui possa pretendersi dal Procuratore Generale, mentre si vede che l'imposizione di tal diritto è stata posteriore quasi di due secoli all'infeudazione del contado fatta alli Conti di Modica, a quali e per essi l'amministrazione di sua Maestà Cattolica ponno solamente lasciarsi i diritti, che possedono, e ponno possedere in virtù delle investiture delli Re Martino e Maria, del 1393. Sicché il Supremo Consiglio, e li ministri di Torino sono dello stesso sentimento, che il diritto di casa d'estraRegno non spetti al contado ma bensì alla Regia Corte. 4 Giurisdizione riservata dal capo X Le pretensioni del Procuratore Generale intorno a questo punto debbono per maggior chiarezza dividersi in due parti, nella prima si esporranno li punti ceduti alla Giunta, e nella seconda quelli che rimangono controversi, e più come qui si deduce il privileggio fiscale, che pretende il Procuratore Generale poter esercitare in tutto il Regno per ciò che concerne l'amministrazione economica degli stati confiscati, così di tal privileggio si discorrerà in appresso. Parte prima 1 Ha preteso il Procuratore Generale che li capitani di giustizia dipendenti dalla sua amministrazione non siano obbligati a trasmettere al tribunale della Regia Corte la relazione de furti, che nel loro territorio si commettono. 2 Che perciò non siasi potuto ordinare al capitano di giustizia di Vittoria di costituirsi carcerato in Palermo. 3 Che il delegato del Viceré non siasi potuto estrarre dal territori di giuliana un suddito di detto stato. 4 Che li sudditi degli stati confiscati non possano ricorrere a dirittura alli tribunali Regy nelle cause di persone privileggiate, come sono le vedove, pupilli e cause pie, ed in seconda istanza per via di gravame nelle cause criminali. 5 Che la cognizione di tutte le cause così civili, come criminali, de li suoi ufficiali subalterni spetti privatamente alla giunta stabilita dal Sua Maestà Cattolica. 6 Che gli stati confiscati non fussero tenuti a concorrere al donativo del Regno, ed 100


al servizio militare. 7 Che non si possano dal Viceré spedire delegati negli stati riservati. Giunta di Spagna. Queste sette pretensioni del Procuratore Generale sono riprovate con qualche riserva dalla Giunta, la quale riconosce che sendo stata ceduta l'intera sovranità del Regno a sua Maestà, può la medesima fare tutte le cose suddette, le quali provengono dalla sua Regia, ed assoluta autorità; e con ciò ammette che li capitani di giustizia delle università riservate sono tenuti al rivelo de furti, che si è perciò potuto ordinare a quello di Vittoria di costituirsi nelle carceri di Palermo; che si è potuto estrarre dal territori di Giuliana un suddito di detto stato, per cui havrebbe solamente cagione di dolersi il Procuratore Generale, quando in qualche causa la cognizione spettasse agli uffiziali dello stato, chiamatosi il reo dal Procuratore Generale nella forma regolare, e non fosse conceduta la remissione; che secondo gli ufficiali del contato sono posti all'altro imperio di Sua Maestà; possono essere da suoi tribunali in caso di disubbidienza castigati; che la giunta del Re Cattolico non può pretender la cognizione privativa di tutte le cause così civili, come criminali, de suoi ufficiali, e subalterni, li quali restano soggetti alla giurisdizione ordinarie, se non che per ciò concerne l'esercizio de loro impieghi; che li sudditi degli stati confiscati possono ricorrere immediatamente alli tribunali Regy nelle cause privileggiate, ed in seconda istanza per via di gravame nelle cause criminali #122; che gli stati riservati siano tenuti al concorso al donativo, e del servizio militare, e che finalmente non si può negare al governo la destinazione de delegati per la verificazione de gravi delitti. Parte 2a 1. Ha preteso il Procuratore Generale che lo cognizione e contrabbandi, che si commettono negli stati riservati per fatto di gabelle, e diritti Regy, del commuto delle pene per tali contravvenzioni dovute spettino al tribunale fiscale di Sua Maestà Cattolica, a cui dice appartene con minore difficoltà, se tali contrabbandi sono complicati, e si commettono in frode de diritti reali, e quelli del contado, e massime se questi sono stati imposti prima di quelli.

122# il Supremo Consiglio aggiunge anche le civili per l'identità della ragione.

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Giunta di Spagna In ogni parte sostiene le pretensioni del Procuratore Generale, che con dire se ciò si concede a i Baroni, che hanno il mero e misto impero, a più gran ragione devesi accordare al Conte di Modica, che ha la distinzione del massimo. Supremo Consiglio Crede tal pretensione contraria alla ragione all'uso di tutti li magistrati de' sovrani, e massime di quelli di Sicilia, dove sono sempre spediti delegati dalli tribunali Regy per la cognizione di tali delitti, e contravvenzioni, cui si sono esatte le pene, a ciò quand'anche contrabbando fussero complicati, dovendo in tal caso conoscere il tribunale più degno, con dire seguito senza saputo de supremi tribunali qualche caso, che in contrario si adduce. Ministri di Torino Sono di parere che il conoscimento di tali cause se non derivano dalle leggi comuni, ma bensì particolari, che fanno di detto non delitto delitto spetti alla Regy Tribuanli, ed al fisco di Sua Maestà. 2. Ha preteso il Procuratore Generale la remissione della causa pendente fra la città di Trapani e gli amministratori degli stati confiscati per l'esazione di una gabella propria di essa città sopra il sale, che si estrae dalle saline di Paceco, feudo riservato, e dall'altra vertenze fra la città di Aydone ed il Prior Aprile molestato da detta città per il fatto di certe gabelle alla medesima appartenenti, a causa che l'amministrazione degli stati confiscati si trova per contratto obbligata a difendere il prior Aprile da ogni molestia. Giunta di Spagna Crede ben fondata la pretensione del Procuratore Generale la remissione di tali cause a cagion dell'interesse fiscale immediato che in ambe ha la Sua Maestà Cattolica per non havere danno immediato il Re di Sicilia. Supremo Consiglio Dice che le cause suddette non sono promosse forse per qualche accordo seguito 102


tra le parti, a cui può havere dato motivo la poca ragione del Procuratore Generale, deducendo intanto dalla risposta della Giunta di Spagna la confessione fatta dalla medesima che ogni qual vota Sua Maestà habbia interesse nelle cause, la cognizione delle medesime debba spettare alli tribunali Regy, e poi afferma che ogni caso la cognizione delle cause prende non dovrebbe spettare alla giunta di Spagna, come si dimostrerà in appresso nell'articolo del preteso privileggio fiscale. Ministri di Torino Danno per terminate e soppresse queste cause secondo l'ultima relazione fatta dal consultore al Viceré intorno a queste pendenze. 3. Hà chiamato il Procuratore Generale la remissione della causa di rivendicazione del feudo di Caccamo già intestata ed introdotta nel Tribunale della Regia Gran Corte dalli Conti di Modica contro il Principe di Galati. Giunta di Spagna Aderisce alle pretensioni del Procuratore Generiche vi ha il Re Cattolico essendo la ragione de conti di Modica, è diventata fiscale per la confisca. Supremo Consiglio Stima che trattandosi di causa feudale debba essere decisa da giudici della Gran Corte Civile e dal seniore della criminale, li quali per li capitoli del Regno conoscono e decidono tali cause come pares curia, anche quando la controversia fusse tra il sovrano el vassallo e s'agitasse la causa per motivo di successione o devoluzione. Ministri di Torino Sono dello stesso sentimento, mente non trattandosi in tal causa di alcun articolo di confisca, in cui entra solamente la ragione di proseguire la causa, deve questa essere decisa da quel tribunale dove fu introdotta, dovendo l'attore seguire il foro del reo. 4. Ha creduto il Procuratore Generale che il Presidente Fernandez come giudice 103


deputato dello stato di Montalto, non ha potuto dare di fatto ad un particolare il possesso di certa vigna prima incorporata d'ordine della giunta per debiti di un suo accusatore. E che il presidente Drago come giudice dell'ospedale di san Bartolomeo non ha potuto apporre le guardie alli frutti d'un giardino confiscato, che si pretende dell'ospedale. Giunta di Spagna Chiama ingiusti li procedimenti delli Presidente Fernandez, e Drago, nella causa sopra accennate. Supremo Consiglio Dice che per la prima causa già si è reso soddisfatto il Procuratore Generale coll'assegnazione de fondi sufficienti a suo redditto, havendo il Viceré ordinato ad un capitano d'armi di portarsi nel luogo, e di assistere il delegato mandato a tal effetto dal Procuratore Generale. Che per la seconda è stato riconosciuto così giusto il procedimento del Presidente Drago, che lo stesso Procuratore Generale ha fatto intendere al medemo che poteva procedere, come in fatti ha proceduto. E che in ogni caso sono state ben fondate le procedure delli Presidenti Fernandez e Drago per li motivi che si addurranno nel seguente articolo del preteso privileggio fiscale. 5. Come adunque dal contesto delle risposte di sopra date dalla Giunta di Spagna si deduca che pretensione ch'ella tiene di havere l'esercizio del privileggio fiscale di sovrano in tutto il Regno per ciò che concerne l'amministrazione economica degli stati riservati, dicendo nel 86 sotto l'articolo della giurisdizione riservata, che a tal effetto tutto il Regno è territorio del Re Cattolico; così ha il Supremo Consiglio stimato di esporre la forma, con cui d'essere regolato tal privileggio, offre di prevenire quelle controversie che potrebbero per tal causa insorgere, e pari se ne approva. Supremo Consiglio Stima pertanto il Supremo Consiglio che il conoscimento delle cause, controversie e pretensioni di nullità, ingiustizia di confisca, hipoteca e credito, che potessero 104


eccitarsi sovra li beni confiscati, debba spettare alla giunta di sua Maestà Cattolica, da cui non si possa appellare e che ciò anco secondo la disposizione del capitolo X della cessione delle cause solamente passive debba restringersi, e non si estesa alle attive sovra le persone che non fussero abitanti del contado, e baronie, confiscate poiché altrimenti li sudditi sarebbero sottoposti alla giurisdizione di due sovrani, e ne seguirebbe l'inconveniente che l'avvocato fiscale di Sua Maestà per difendere le università, che potessero essere dall'amministrazione molestate, dovrebbe comparire dinanzi a giudici, che non sarebbero dalla Maestà Sua costituiti. Onde crede che il privileggio fiscale debba restringersi alli soli stati confiscati; ed alle persone in esse abitanti secondo la disposizione del capitolo X. Quantunque li baroni non godessero di tal privileggio, con ciò però che questo s'intenda estinto, ogni qual volta le baronie confiscate vengano dal Maestà Cattolica in qualunque persona di qualunque grado, e sovreminenza trasferite. Stima però esso Supremo Consiglio nella lettera che il medesimo a parte scriverà a Sua Maestà in accompagamento della sua consulta che in tal proposito si possa dalla Maestà Sua concedere il Procuratore Generale l'esercizio del privileggio fiscale contra li debitori dell'amministrazione in qualunque parte del Regno abitanti, purché si corra prima al Viceré e tribunale della Regia Gran Corte; acciòche pel tal via solamente debbano ordinarsi le citazioni delle persone, per farle comparire avanti la giunta di Sua Maestà Cattolica e le sentenze da essa proferite debbano sempre eseguirsi per ordine a nome dei regi tribunali di Sua Maestà. Ed ove li debitori dell'amministrazione fussero pur anche debitori del Regio Fisco, si trattasse delle università del Regno si che vi fusse l'interesse mediato, od immediato di Sua Maestà, stima che si possa ordinare al Viceré di dare in tal caso a cagione del comune interesse uno, o due giudici aggiunti a que' ministri della giunta del Re Cattolico, che in voce, od in scritto venisero dal suo Procuratore Generale, proposti; e ciò finche que beni saranno posseduti da Sua Maestà Cattolica, e non già quando passino in altre persone. Ministri di Torino Non hanno discorso del modo con cui devesi regolare, e stabilire, l'esercizio di tal privilegio fiscale. 105


5 Ha preteso il Procuratore Generale che sotto la riserva de beni confiscati cadano quelli che sono rimasti confiscati per gli accidenti di Messina. Giunta di Spagna Recede da tal pretensione, purché in adempimento delli capitoli 4 5 della cessione si paghino da Sua Maestà le mercedi, o sieno pensioni vitalizi e perpretue accordate da Sua Maestà Cattolica, e dal Re Carlo II, sovra li beni predetti, massime per esserci fondo a ciò sufficiente. Supremo Consiglio Stima che non siasi mancato dalla disposizione degl'accennati capitoli mentre non ha il governo havuta formale notizia della mercede di cui s'adduce l'inosservanza onde quando si faccia à Sua Maestà l'opposizione d'accorso, crede che 4 debba ordinare il pagamento dell'allegata mercede. Ministri di Torino Sono questi di sentimento che ove si verifichino mercedi come sovra accordate, e che vi sia fondo sufficiente per pagarle, se ne debba ordinare la soddisfazione. 6 Il Procuratore Generale pretende che non si debba eseguirsi il riparto fatto dalla deputazione del Regno il pagamento de Regy donativi nelle terre degli stati riservati, a motivo dell'aggravio loro fatto in detto riparto. Giunta di Spagna Dice che le università degli stati riservati restano da tal riparto aggravate, e massime dodici delle medesime in 7550 scudi annui di più quantunque l'aggravio sia seguito senza colpa del governo, e comune, ed altre università, e però insiste perché quella degli stati riservati non siano costrette a pagare maggiori somme di quelle per le quali erano tenute nell'antecedente riparto, sinché la deputazione riduca il medesimo alla dovuta proporzione senza costringerle ad una nuova imposizione di gabelle, le quali non siano generali in tutto il Regno. 106


Supremo Consiglio Crede ingiusta la doglianza del Procuratore Generale per esser state le università degli stati tassate meno di quel che pagano per l'antico dipartimento; e però crede che non debba sospendersi l'esecuzione del nuovo massime doppoché li deputati hanno pubblicato nel 1715 un bando universale, a che tutte le università che si chiamavano aggravate adducessero le loro ragioni. 7 Pretendeva il Procuratore Generale che alcuni capi delle istruzioni date da Sua Maestà al Mastro Portulano del Regno fussero contrari alli privilegi del contado di Modica. Giunta di Spagna Da per terminato questo punto, essendosi escluse le tratte di Modica dalla regola Generale data nelle istruzioni al Mastro Portulano. 8 Ha preteso il Procuratore Generale che don ribella dovesse mettersi in possesso della prebenda di Mastro di scuola della Real Cappella, di cui fu provveduto da Sua Maestà Cattolica. Giunta di Spagna Recede da tal pretesa, atteso che non si è giustificato essere seguita la mancanza di detta prebenda, prima che Sua Maestà prendesse possesso del Regno. 9 Si è anche preteso dal Procuratore Generale che secondo il disposto del capitolo 8 [della] cessione debbano essere mantenuti ne' loro impieghi si di giustizia, che di tribunali secolari, ecclesiastici, governi, capitanie que' soggetti che tenevano li medesimi per concessione gratuita di Sua Maestà Cattolica o suoi Precedenti. Giunta di Spagna Dice che Sua Maestà à tenore del capitolo 8 della cessione poteva solamente 107


rimuovere dagli impieghi politici e militari li soggetti che ò titolo pecuniario n'erano provveduti, onde incontrovertibile si è l'obbligo della Maestà di reintegrare quelli che ò titoli gratuito, e compensativo gl'avevano ottenuti, adducendo fra gli altri tra casi d'inosservanza: 1 Per essersi dimesso dall'impiego di Guardiano Maggiore del porto di Messina il Capitano di Francesco Bazan. 2 Don Velasco, e Montaga, da quello di Sovrintendente della Scala di porto franco di Messina. 3 Don Bartolomeo Avarna, dall'officio di Governatore Magazziniere del Peculio della città di Messina. Supremo Consiglio Ha considerato li tre casi che si adducono e crede che Sua Maestà non possa essere riconosciuta d'inosservanza del predetto capo 8 della cessione. Perché per il primo dice che lo stesso Marchese de Los Balbes Viceré di Sua Maestà Cattolica havendo riconosciuto d'importanza del posto di guardiano maggiore del porto di Messina, ne provvide per motivi politici Don Francesco Bazan ad esclusione di quella che ne'eran stati provveduti da Senato di Messina, a cui prima degl'acciedenti di quella città se ne spettava la provvisione ancorché tenuta havendo della giunta del Re Cattolico lo scorporazione à loro favore, per haver effetto dopo la morte del padre di Don Francesco Bazan, a cui fu in quel mezzo dal Re Cattolico conferito, si che trattandosi d'un posto militare, ha ben potuto Sua Maestà ad imitazione de spagnuoli preporvi un soggetto piemontese, in cui avesse quella confidenza che ricerca il posto, la cui importanza è maggiore delle altre fortezze del Regno, che sono state evacuate dalla milizia spagnola. Quanto al 2° caso dice che conviene distinguere la rimozione dell'abolizione del posto, onde essendo stato abolito come inutile l'officio di sovrintendente della scala e porto franco di Messina, per non essere li frutti che quelli si ritraevano, corrispondenti al salario che sovra di essi era costituito, non si può il Procuratore Generale volere alcuna inosservanza. Rispetto al 3° asserisce che il posto di governatore magazziniere del peculio frumentario della città di Messina fu già abolito dal Re Carlo V che quantunque sia dipositato contra un ordine Reale tal Viceré spagnuolo conferito a Don 108


Bartolomeo Avarna, a favore di cui non è mai comparsa la ricercata confermazione del Re Cattolico, ha pensato Sua Maestà recedere dalla promissione fatta dal Viceré colla resistenza degl'ordini Reali, di nuovo abolire quel posto. 10 In ultimo predente il Procuratore Generale che debbano restituirsi a Sua Maestà Cattolica alcune somme esatte quantunque maturate in tempo del dominio spagnuolo sino alli 10 ottobre 1713; che non si molestino li debitori del precedente governo, li quai sono stati dal Re Cattolico liberati, e che inoltre siano dalla Sua Maestà soddisfatti li creditori del medesimo. Giunta di Spagna Afferma che secondo il disposto del capitolo 7 non ponno essere molestati dal presente governo li debitori del precederne, contro de' quali havesse il fisco provveduto, o potesse per qualunque causa procedere così civilmente come criminalmente contro le persone, o beni loro, che inoltre dallo stesso capitolo 7 si rende innegabile l'obbligo che come à Sua Maestà di soddisfazione alli debiti contratti del Re Cattolico nel Regno, quantunque non si fusse ingerita la Maestà Sua nell'esazione de' creditori del medemo; e però essere Sua Maestà a più gran ragione a ciò tenuta, doppo che ha esatto più di 65.000 scudi spettanti al Re Cattolico per essere maturati in tempo del suo dominio, mentre ha esatto la rata delle tante, e donativi dovuti alle università, prelati del Regno dal primo ottobre sino alli 8 [del] 1713, alcune migliaia di scudi provenienti dalla pubblicazione della cruciata, li residui delle dogane, il semestre di maggio per la gabella delle tratte di Scicli e Vittoria, ed inoltre un e altre partire, le quali si farà distintamente constare essere state somme molto considerali, da quali somme si deve solamente dedurre la spesa fatta da Sua Maestà per il nolo di alcune navi, che han servito al trasporto delle truppe in Spagna, e ciò che sara pagato a creditori del precedente governo che non sono recorsi a Sua Maestà Cattolica. Supremo Consiglio Stima che non siasi esatta da Sua Maestà alcuna somma dovuta per que debbiti; 109


che appartenevano al Re Cattolico, mentre quantunque fussero esatte sovraccennate partite, non si potrebbero mettere a calcolo della Sua Maestà mentre si deve attendere il giorno, in uci scadea il termine del pagamento, il quale scadde in tempo che Sua Maestà aveva di già preso il possesso del Regno, e come non si ricerca al Procuratore Generale di Sua Maestà Cattolica la restituzione delle somme provenute dalle gabelle, che anticipatamente si esigevano come sono state quelle del tabacco,ed altre di Messina, e che dal precedente governo sono state esatte quantunque il frutto di esse maturasse che in tempo, che Sua Maestà era di già entrata nel possesso del Regno, cosi deve il Procuratore Generale pretendere la restituzione di ciò che maturato in tempo del dominio della M.S si fosse potuto da suoi ministri esiggere, massime dopo che ha supplito alle spese del trasporto ella milizia spagnuola, a che non era tenuto, come dichiara la stesa giunta. Ministri di Torino Sono quelli di sentimento che ove si verifichi la nota partite riscosse, debbasi fare la liquidazione e compensate le spese dell'imbarcazione e de debiti del Re Cattolico da Sua Maestà pagati si debba disporre del resto mentre alla mente della cessione della ragione.

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Archivio di Stato di Torino, Sez. Corte, Fondo Paesi, Sicilia, Inventario II, Cat IX, M.1 F. 4 *** Estratto riguardante la sola pretesa di giurisdizione ex capo X dell'Atto di Cessione

Documento II 1717 29 Aprile Relazione fatta dal Conte di Robilant Consultore al Viceré dell'operato sovra le pretensioni del Procuratore Generale di Sua Maestà Cattolica in Sicilia Nell'esame delle pretenzioni proposte dal Procuratore Generale del Re Cattolico si deve premettere che gli effetti, rendite, e beni sovra quali cadono le riserve portate dal Capo X° della cessione del Re Cattolico altri non sono che quelli che compettivano, o potevano compettere, a Baroni, e Persone, à quali s'erano fatte e confisce, e sequestri, de' quali parla il detto Capo. In maniera che per discernere quali siano li beni, effetti, e redditi che possano pretendersi dal detto Procuratore Generale, conviene che si riconosca qual fosse il possesso, la ragione delle persone, che hanno patite le dette confiche, e sequestri, e da ciò prendere la regola per vedere se dette pretenzioni siano fondate, come già ha fatto in più casi il detto Procuratore Generale. Le pretenzioni del suddetto Procuratore Generale dell'amministrazione si distinguono secondo li diversi titoli seguenti ≈

Giuridizione 1a Pretenzione Che tutte le cause tanto attive, che passive dei stati confiscati debbano conoscersi dalla Giunta dei Ministri deputati dal Re Catolico. Risposta Per risolvere con una sola risposta tutte le pretenzioni, che sotto questo titolo di giuridizione si propongono dal Procuratore Generale, conviene riconoscere qual sia la giuridizione che può pretendersi sovra li beni confiscati in seguito alle riserve portate dal Capo X° della Cessione. 111


La prima sorte di giuridizione, che può pretendersi sovra li beni, ed effetti riservati si è quella che competiva à Baroni, che hanno patita la confisca ed à i Tribunali d'essi, in virtù delle concessione loro fatte dai Re di Sicilia. Et intorno à questa sorte di giurdizione non ha mai inteso, ne intende il Re di Sicilia che sia fatto alcun minimo pregiudizio agli Ufficiali, e Tribunali, di detti Baroni, che hanno patita la confisca, ed ove mai venga data la notizia di qualsisia causa che ivi contro ragione a detti Ufficiali, e Tribunali, ritroverà sempre il Procuratore Generale dell'amministrazione tutta l'attenzione nei Ministri di Sua Maestà per impedire si fatti pregiudizi. Ma per contro ovunque si tratterà di cause, alle quali non poteva estendersi la giuridizione de Baroni che hanno patita a confisca, non può pretendersi che i detti Tribunali del Contado, ed altre Barone confiscate, possano mettervi la mano, e cosi per esempio non può impedirsi che in quel Contado, e Baronie, si ricorra a dirittura a Tribunali del Sovrano nei casi di Vedove, Pupilli, che hanno il privilegio di portarvisi immediatamente, ò ne casi di gravame per essere questo un raccorso, che non può negarsi à sudditi, ne mai dismettersi il sovrano. Nella medema classe vengono tutte le cause di contrabando, contro dei Reggi Dritti, e Gabelle, per trattarsi di contravenzioni, che non derivano dalla ragion comune, ma da leggi particolari, che fanno di non delitto delitto , e che sono nate con la riserva di tal cognzione, ed applicazione di pene alla solita Regia Corte. Ne parimente vi può esser ragione ai Tribunali di detto Contado, e Baronie di mesciarsi nelle cause contro delle Università, e massimamente per fatto delle Gabelle per essere tutte queste dalle antiche leggi, e stile de Regno meramente riservate alla cognizione del Tribunale del Patrimonio, e ciò anco sul riflesso che la conservazione delle Università, e delle loro gabelle, resta inseparabile dall'interesse della Regia Corte, che riservate dalle dette Università i Tributi col mezzo di dette Gabelle, che loro servono di fondo, moto meno poi si può pretendere da detti Tribunali,di conoscere per qulsisia credito, ò ragione, che s'abbia sopra fondi, verso persone, che non sono di detto Contado, poiché ci sarebbe contro ogni principio di ragione di voler giuridizionare il territorio non suo. La seconda sorte di giurdizione, che può pretendersi à tenore del disposto del Capo X° si è quella, che già prima della cessione si esercitava da Ministri Regj per ragione di detta confisca sopra tutti gli effetti, che potevano dirsi in essa compresi; 112


questi Ministri erano di due sorti il primo era il Tribunale della Gran Corte Criminale, il quale per esser quello che aveva dichiarate le dette confische, provedeva anche a tutte le cause, dove trattavasi di decider cosa cadesse nelle medeme, ed intorno à questa cognizione che si esercitava prima della Cessione della Regia Gran Corte Criminale sopra i beni confisati, non si difficultà che non possi essere passata alla Giunta per quella parte, che concerne il decidere cosa si comprende nell'esequite confische, attese le parole, che legonsi apposte meramente per quest'effetto nel Capo X°, la dove dice perché in qualsivoglia dubio, eccezione, od interpretazione che per qualunque persona, ò pretesto, possa introdursi su i beni, rendite, ed effetti, che siano stati, possano, e debbano, esser confiscati, sequestrati e rittenuti di tutte dette cause, e dipendenze, non si potrà riconoscere, sentenziare, ed intervenire per altri Ministri, Giudici e Tribunali di quelli che io nominerò.

Gli altri Ministri, che oltre la Regia Gran Corte Criminale esercitavano giuridizione sovra di questi effetti confiscati erano i Ministri Deputati, i quali non si contenevano nei soli supposti termini d'accensare gli Stati, esigerne il provento, e pagare li creditori suggiogatari, ma di più avevano la facoltà, autorità e titolo d'amministratori, che secondo il notorio uso di quel Regno nel Governo precedente, come ne consta dai Registri delle Deputazioni, avevano à differenza dei semplici Deputati un altra giuridizione per cui venivano costituiti Giudici di tutte le cause che concernevano i detti accensamenti, li concorsi de Creditori, suggiogatari ed altri simili. Questa è pure la giuridizione, che seben contraria al disposto delle pramatiche, non si contende tuttativa che siasi à Minsitri della Giunta nel Cap. X° in quelle parole debbino restare sotto mia mano, come sono oggidì, e con li medemi Ministri, ò quei che stimerò di ponervi.

Ma che poi oltre questa giuridizione, ed anco oltre quella, che aveva la Regia Gran Corte Criminale per dichiarare come già s'è detto, quei dubj delle cose in dette confische comprese, si voglia dal Procuratore Generale dell'amministrazione passare di più sino alla giuridizione e cognizione di quell'altre cause, che la Regia Gran corte Criminale ancorché fosse Giudice naturale delle confische, non poteva conoscere, e che nemmeno li Ministri Deputati con la qualità d'amministratori, e con la sopradetta auttorità, e giuridizione, non hanno mai stimato di poter decidere, ma bensì le hanno sempre lasciate alli loro competenti Tribunali, come si 113


vede la causa, che verteva della cessione del Regno nel Tribunale del Patrimonio per l'esenzione de stati di Paceco dalla Gabella di Trapani, alla quale causa s'uniforma anco quella, che s'è mossa dal Priore Aprile contro l'Università di Aydone, non già per semplice indennizazione pretesa contro i Giurati, come s'è supposto in qualche scrittura, ma bensì per la dimandata esenzione delle Gabelle di detta Università, non c'è certamente motivo, per cui si possa mai ammettere questa maggior pretenzione, che non solo eccederebbe i termini, trà quali deve contenersi la spiegazione del Cap. X°, ma di più ferirebbe gli altri capi del trattato, che portano un amplissima abdicazione e translazione di sovranità, ed inoltre crederebbe pregiudizi dei terzi che verrebbero privati del naturale loro foro. Ne può far stato la causa della Marchesa di Geraci, perché dalla medema remissione fattane appare ed in essa chiaramente si legge avere la Maestà Sua concessa per grazzia speciale, e condizionata col espressa potestà, che non potesse indurre pregiudizio alla Regia giuridizione sin a tanto che si sarebbe chiarita la competenza giuridizionale. Da quanto sopra s'è detto rimane sufficientemente risposto alle dette pretenzioni à tenore della stessa litterale disposizione del Capo X°, tuttavia non si lascia di rispondere anco particolarmente ad ogn'una delle controscritte dimande. 2a Pretenzione Che la Regia Gran Corte non abbia potuto obligare il capitano di Giustizia di Chiaramonte al Rivello dei Furti. Risposta La giuridizione dei Baroni, ed i loro ufficiali sono indispensabilmente sottoposti à tutte quelle direzioni, che per ragione della pubblica utilità, e governo del Regno vengono prescritte dai Regj Tribunali, onde per ciò oltre le ragioni sopra allegate in difesa della giuridizione, sovranìa appartenente à Sua Maestà, le quali militano anco in questo caso, si prova particolarmente l'obligo dei Revelli de furti col osservanza risultante da due fedi del secretaro, e detentore di lettere secrete del Tribunale della Regia Gran Corte date sotto li 10: e 16 agoto 1715, e legalizate dal Senato della Città di Palermo, nelle quali si leggono li revelli trasmessi dalli Capitani, ed altri ufficiali del Contado di Modica dell'anno 1685 sino all'anno 114


1713. 3a Pretenzione Che il Tribunale della Regia Gran Corte non abbi potuto ordinare al Giudice della Terra di Vittoria d'ingiungere al Capitano della medema à doversi nel termine di giorni venti presentare carcerato nella Vicaria di Palermo. Risposta Sendo indubitata la riserva della giuridizione à favore di Sua Maestà, come di sopra s'è fatto vedere, resta con ciò interamente giustificato l'ordine dato dal Tribunale della Regia Gran Corte al Giudice di Vittoria contro il Capitano di Giustizia della medema, tanto più che trattandosi di delitto d'un Ufficiale, ne spetta la cognizione privativamente al detto Tribunale in virtù delle costituzioni del Regno, e che anche in qualsisia altro caso non s'è mai controverso al suddetto Tribunale sia il mandar Delegati, sia l'emanate lettere di gravame, e far proceder à attuare, ed informazioni in detto Contado, e particolarmente sino al tempo della cessione, come si prova per le fedi del Sollicitatore Fiscale della Regia Gran Corte, e conservatore degli atti della regia Tesoreria Criminale delli 23 genaro 1716, come pure dell'arcivicario della sudetta Regia Gran Corte delli 31 del detto mese, ed anno, dalle quali si cavano le delegazioni destinate dalla Regia Gran Corte, informazioni rese, e gravami emanati in detto Contado dall'anno 1690 sino all'anno presente 1716. 4a Pretenzione Che il Presidente Fernandez debba far cancellare tutti gli atti stipulati dal Delegato da lui destinato nella Terra della Motta dipendente dallo Stato di Montalto, cui è giudice Deputato contro una vigna di Gaspare Buffali atteso che contro della medema si ritrovava prima destinato un Delegato della Giunta per un credito del Re Catolico, ed in caso che il Presidente suddetto pretenda anteriorità di credito, debba raccorrer à Minsitri di detta Giunta Risposta Questo preteso esercizio di giuridizione fuori dal territorio dei Beni, e stati confiscati resta così destituito d'ogni fondamento che si stimarebbe far torto 115


all'evidenza della ragione contraria s'adduce motivi per rispondergli. 5a Pretenzione Che debba rimettersi alle Carceri di Giuliana D. Vincenzo Busachia oggidì carcerato d'ordine del Viceré per via d'un suo Delegato, allegandosi irregolare procedimento di detto Delegato contro detto Busachia come sudito de Stati confiscati. Risposta Alla controscritta pettizione non può presentemente darsi cattegorica risposta, per non aversi notizia del fatto, à causa della detenzione, e traduzione del sudetto Bisachia, e perciò Sua Maestà ha fatto scrivere al Vicerè per avere le distinte informazioni pretendendosi che non poteva il medemo estraersi dal territorio di Giuliana, trattandosi come si dice di causa civile. 6a Pretenzione Che la Causa vertente tra la città di Trapani, e lo stato di Paceco debba spettare alla Giunta, e non al Tribunale del Patrimonio. Risposta Questa causa non si vede per qual motivo possa pretendersi appartenere alla Giunta mentre in esse si tratta d'una Gabella, e diritto regio, la di cui cognizione spetta privativamente al Tribunale del Patrimonio, avanti di cui fu introdotta, e proseguita fino al tmmpo della cessione senza che si sj mai preteso dalli Ministri Deputati che fosse di loro giuridizione come per avanti nel discorso giuridizionale s'è più interamente dimostrato. 7a Pretenzione Che la causa vertente tra l'Università d'Aydone ed i Priore Aprile debba pure spettare alla Giunta, e non al Tribunale del Patrimonio. Risposta Militano in questa causa le medesime ragioni sovra allegate per trattarsi di causa d'Università, che non deve, ne può, aver altro Giudice che il Tribunale del 116


Patrimonio, e massimamente trattandosi di Gabelle destinate al pagamento de' regj Donativi. 8a Pretenzione Che si debbano dalla Regia Gran Corte rimetter alla Giunta le scritture, ed atti concernenti la revendicazone, e reintegrazione del feudo di Caccamo nella causa tentata dai Conti di Modica nella detta Regia Gran Corte contro il Prencipe di Galati. Risposta E' più che chiaro non avere il Re Cattolico in questa causa altra ragione, se non quella che competiva alli Conti di Modica e però sendosi questi indirizzati al Tribunale della Regia Gran Corte, loro vero, e privativo Giudice per ottenere la reintegrazione dello Stato di Caccamo contro il Prencipe di Galati, deve la medema proseguirsi avanti il medemo Tribunale non solo per questo motivo, ma anche per gli altri nel discorso giuridizionale sovra spiegati. 9a Pretenzione Che la causa vertente l'Ospedale di San Bartolomeo di Palermo, e Donna Margarita Valois, e di Violante Fazio per un censo preteso dovuto sopra una possessione confiscata in odio del fu Don Antonio Guerrera debba rimettersi alla Giunta, ed astinersi dalla cognizione d'essa il Presidente Drago. Risposta Al soggetto della controscritta causa si risponde con la seguente distinzione, ò che s'agisce di vedere a chi spetti il censo controverso, ed in tal caso la cognizione è incontrastabilmente al Presidente Drago come Giudice naturale dell'Ospedale mentre la questione caderebbe sopra un interesse tra' particolari talmente segregato da quello del Re Cattolico, ò pure si tratta di coercizione di predio obligato, o affittevole d'esso per il pagamento del censo, ed in tal caso non si nega che ne possa spettarer la cognizione alla Giunta.

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Xma Pretenzione Che la Giunta dei Ministri Deputati dal Re Cattolico debba privativamente conoscere tutte le cause civili, che criminali, de gli Ufficiali suoi subalterni. Risposta Se si parla degli Ufficiali che esercitano la giuridizione Baronale, come sono li Capitani di Giustizia de luoghi confiscati devono questi senz'alcun dubio continuare ne dovuti casi in quella stessa dipendenza che avevan prima della confisca de Tribunali rerj tanto per il revello dei furti, che per tutte le altre cose, à quali i detti Ufficiali ernao per avanti, e dopo detta confisca soggetti à detti Tribunali. Se poi si tratta degli altri ufficiali meramente Deputati dalla Giunta per servizio d'essa delle cose riservate dal Capo Xmo della cessione, non può la Giunta pretendere altra cognizione, che di quelle cause, che sono per puro fatto, ed esecuzione degli uffici e commissioni da li date à i detti Ufficiali nelle cose, che da Capo Xmo sole sono tate riservate. Relazione del Consultore Dopo aversi dibattuto più volte il primo punto col Procuratore Generale dell'Amministrazione ed avendogli dimostrato che la pretenzione non era coerente al disposto dal Capo Xmo della cessione per le ragioni portate dalla sovrascritta risposta tanto per il Contado di Modica, che per riguardo alle altre terre dependenti dall'amministrazione, e che era fuori ragione l'allegare che il privilegio del Contado di Modica abbi dato al Barone una giuridizione così ampia, che approssimasse alla Sovranità, quando le clausole del medemo pativano con più verosimilitudine congruenza, e ragione, interpretazione opposta; e la giuridizione era subordinata come lo sono le giuridizioni degli altri Baroni, à quali è stato concesso il mero, e misto impero, risultando avere solo di più il Contado di Modica la terza cognizione con alcune onorificenze speciali, che gli sono state concesse; che quanto sovra era avalorato dall'osservanza in contrario praticato da più secoli, dalla quale risulta che mai il Contado ha preteso alienarsi, anzi ha vissuto con la subordinazione dovuta alli Tribunali Regj, e che le università ed i particoalri si sono indirizzati medemi nelle occorrenze di giustizia à tenore de Bandi, e pramatiche, o per via di gravame, o di persone privilegiate, ed altresì non 118


potersi fundare l'indipendenza delle Terre riservate su le clausule del Capo X della cessione, per le ragioni evidenti contenute nella sovraespressa risposta variando frequentemente il Procuratore Generale nel voler rendere concigliabile la sua proposta con dire che non difficoltava che

si esigessero i tributi, e che si

potessero compellire le università e per gli altri capi di giuridiziome, se si fosse fatto in avvenire di Tribunali Regjj qualche atto, che avesse creduto lesivo della giuridizione del Contado e Terre riservate, si sarebbe indirizzato al Consultore per attenere il riparo se gli sarebbe competito, ò pure si appagarebbe delle ragioni, che dal Consultore gli verrebbero addotte, confirmando questo con ciò aveva praticato, da che aveva avuto ordine di conferire il Consultore mentre non vi era più stata competenza, o difficoltà, in fatto di giuridizione che non fosse stata risolta à comune soddisfazione. Altra volta si è ristretto à rapresentare che sendo queste terre riservate a Sua Maestà Cattolica gli pareva si dovessero riguardare con più considerazione di ciò che faceva da i Tribunali con avere preteso di dire che nemeno si praticassero da Ministri de medemi quelle convenienze che sogliono usare verso i Baroni, quando si tratta di fatto che riflette alle loro giuridizioni. Al che il Consultore ha risposto essere mente di Sua Maestà volere dire che i stati riservati fossero riguardati da Tribunali con tutta convenienza, e che non s'intraprendi di far cosa contraria alla ragione, ed al consueto e se gli occorreva qualche atto fatto da Ministri, il quale stimasse ostinato alla giuridizione Baronale delli Stati riservati, ò quella che competisce alla Giunta dell'amministrazione degli effetti riservati, si compiacesse accennando al Consultore dal quale si sarebbe procurato il riparo, quando sia dovuto, e per altro esser parso al Consultore che i Tribunali, i Ministri Regj non procedino verso le terre ritenute differentemente da ciò praticano con le altre terre baronali, anzi aver osservato usano alla giuridizione competentegli con la conveniente circoscrizione. Vedeva bensì il consultore che il Procuratore Generale si querelava facilmente d'ogni atto di giuridizione, che da Tribunali si eserciva, non doveva però lusingarsi che dovessero desistere dal sostenere la giuridizione, che gli competiva, e che facendo altrimenti avrebbe mancato alla propria obbligazione. Finalmente dopo più congressi sollecitato il Procuratore Generale dal Consultore di dire precisamente cosa intendeva si dovesse risolvere sopra questo punto della 119


giuridizione offrendosi il Consultore di scrivere quello che gli avrebbe dettato, conchiuse che avrebbe data risposta in scritto, la quale gli è stata trasmessa nella forma che i Vostra Eccellenza si compiacerà di vedere dalla compiegata scrittura marcata con la lettera B, e poiché il Consulore vidde che era allegatoria e uniforme à quella Consulta, che il Procuratore Generale fecce pervenire a Sua Maestà senza presentarla a Vostra Eccellenza, e che in essa si fissa il cotanto impropriamente di volere che si considerino totalmente indipendenti dal Governo, e d i Tribunali Regj gli stati riservati, stima il Consultore d'usar ancora un atto di convenienza verso il detto Procuratore Generale con essersi portato dal medemo in forma di visita e procurò di farsi conoscere l'insussistenza manifesta di questa risposta come contraria all'intenzione del suo Re, che aveva ceduto tutto il Regno, e la sovranità tutto indefinitamente, e il voler pretendere l'opposto, e dare interpretazione differente da quella , che chiaramente si aveva dal senso litterale del Capo X°, e dalla naturalezza del fatto, era un voler disputare contro l'evidenza, e sarebbe l'istesso che distruggere tutto il trattato di cessione, massime à riguardo e Capi d'essa, ne quali si legge fatta da Sua Maestà Cattolica l'intera dimissione del Regno, e della Sovranità, della quale devono dipendere tutte le giuridizioni, onde poteva il consultore con più fundamento sostenere che ciò sarebbe impugnare un trattato giurato, e violare il Jus delle Genti i quello abbi preteso di dirlo a il Procuratore nella detta sua risposta. Ciò nonostante desistette il Procuratore Generale nel suo impegno dicendo che questo era un punto, che doveva determinarsi da ambedue le Maestà,e non da altri. Il che pose in obbligazione il Consultore di significar al Procurator Generale che avrebbe informato Vostra Eccellenza di questa risposta, acciò non potesse dar raguaglio a Sua Maestà, che intanto faceva sapere che il Governo, ed i Tribunali Regj avrebbero continuato di sostenere la sovranità, di mantenere l'auttorità e di esercitare la giuridizione sovra le terre riservate nell'istesso modo che si praticava quando sua maestà assunse il Trono di questo Regno, e l'onorò della sua Real presenza, che in questa conformità se ne sarebbe spiegato nellle occorrenze con i Ministri de Tribunali, giaché era l'itenzione di Vostra Eccellenza che così s'osservasse, e già si pratica attualmente dal Tribunale della Gran Corte Criminale per dar riparo alla delegazione fatta dal Procuratore Generale in capo del Don 120


Porcelli di Modica senz'averne ottenuto il posit da Vostra Eccellenza per via di detto Tribunale, e per far cancellare le lettere commissionali concepite con l'intitulazione, e clausola cotanto lesive della sovranità, e della giuridizione Regia. E par far conoscere quanto siano eccedenti, ed insussistenti, le pretenzioni del Procuratore Generale sappia Vostra Eccellenza che il Governatore di Modica è raccorso alla Gran Corte per via dell'Avvocato Fiscale ha suplicato, e gli è stato consesso di poter procedere col modo ex abrupto regalia, che alcun Barone non può esercitare tale permesso passando poi a render conto a Vostra Eccellenza individualmente, di ciò s'è maneggiato dal Consultore col Procuratore Generale sovra gli altri capi delle pretenzioni giuridizionali specificamente proposte, cominciando dalla seconda pretenzione sovra espresata dove il Consultore partecipargli che il Procuratore Generale, abbenché si sia accinto di pretendere una giuridizione independente nelle terre riservate non ha più ricercato che s'impedisse a Tribunali d'inviare ordini agli ufficiali delle terre riservate, anzi si sta con attenzione della Gran Corte per far osservare anche nelle dette Terre il Bando de' Discursori di Campagna, ed in conseguenza in obbligare i Capitani di Giustizia delle medeme al revello de furti, vero si è che l'amministratore attende à far rendere giustizia nelle dette terre a vista /come si crede/ che la Gran Corte non abbi motivo d'avere raccorsi per via di gravame. Sovra la terza pretensione non ha più insistito il Procuratore Generale nella pretenzione proposta in questo capo, ed il capitano giudice della Vittoria diede soddisfazione alla Gran Corte sovra l'ordine avuto. Sovra la quarta pretensione si è molto riscaldata la competenza esposta in questo capo,sin à che avendo il Consultore avuto ordine di sua maestà di prendere cognizione di tutte le pretenizioni del Procuratore Generale s'intentò ad esaminare il fatto de crediti, pretesi tanto dalla deputazione di Montalto che dall'amministrazione verso di Gaspare Buffali, ed avendo ritrovato che il debitore aveva effetti sovrabbondanti per pagare quanto doveva, fu da esso regolato l'affare con aversi dichiarato i fundi, sovra quali al l'amministrazione avrebbe usato il suo credito, e perché il debitore cercava sutterfuggi, ed intimoriva i delegati mandati dal procuratore generale, s.c.ad istanza del medemo ordinò ad un capitano d'armi di portarsi sul luogo ed assisstesse il delegato, con questo mezzo fu sodisfatto l'amministrazione, e cessò a competenza. 121


Sovra la quinta pretenzione ha pure il Consultore contribuito su questo capo à far rimettere il Vincenzo Busachia carcerato per debito civile d'ordine della Gran Corte Criminale alla giuridizione di Giuliana, alla quale apparteneva la cognizione di questa causa. Sovra la sesta, questo punto resta indeciso, atteso che l'Università di Trapani, si è mantenuta in possesso di gabellare li suoi dritti per i sali delle saline di Paceco, ed il Gabellotto non ha più portato reclamore che gliene venisse ricusata da Paceco la percezione, può bensì essere che detto gabellotto abbia fatto accordo con Paceco con qualche minorazione di diritto, ma di questo non se ne ha notizia. Sovra la settima, questa lite ha cessato perché il priore Aprile conoscendo la poca ragione, che gli competiva, ha desistito dal proseguirla ed il Procuratore Generale non ha più fatto parte di alcuna sovra questa pretenzione. Sovra l'ottava, avendo il Consultore ripetute le ragioni, de quali nella risposta sovraespressata, e fatto conoscere al Procuratore Generale chiamato la remissione di questa causa esigendo di non proseguirla più tosto che volerla sostenere con portar il nome del suo Re /com'egli dice/ avanti alla Regia Gran Corte per farne le instanze benché il consultore gli abbi rapresentato che non era incongruo che egli constituisse Procuratore che in nome dell'amministratore de' beni riservati facesse le parti in detta causa, ed in altre, che di simil natura potranno succedere sovra la nona. Il Procuratore Generale avendo preso cognizione del fatto, e conosciuto l'insussistenza della pretenzione, fece sentire al Presidente Drago che poteva continuare di procedere, come infatti fece, e l'Ospedale continua d'esigere il censo. Sovra la Xma, ha assai conosciuto il Procuratore Generale l'insussistenza di questa dimanda dalle ragioni addottesi nella risposta, che dal Consultore gli sono state ampiamente portate, onde non ne ha più parlato, e gli ufficiali amministratori subalterni della Giunta continuano ad esser sottoposti alli tribunali regj in tutte le cause, salvo quelle che riflettono il puro fatto, ed esecuzione degli uffici, e commissioni, che hanno dalla Giunta.

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B. Addizione Risposta sovra la pretenzione de Procuratore Generale che riflette alla Giuridizione pretesa nel Contado di Modica, e terre riservate. B. Addizione rimessa dal Procuratore Generale al Consultore Discorso Giurisdizionale Se bene nel discorso giuridizionale in comune ed in particolare s'abbiano largamente riunite scrutinate le non dovute controversie giuridizionali suscitate da' Ministri del governo ne i stati riserbati a Sua Maestà Cattolica per il capitolo di cessione e s'abbino dimostrato chiaramente che la prettesa Maestà ha la plenaria giuridizione e privativa in detti stati, senza che potessero ingerirsi in cosa alcuna i ministri e Tribunali del Regno, non dimeno perché resti pienamente spianata la materia, e sciolta ogni difficoltà che s'è propposta di aggiungere che è da notarsi su questa materia giuridizionale che non si deve da parte de' Ministri del Governo stare su la supposizione che il Re Cattolio nei stati confiscati e riservati si debba considerare come herede anomalo, ma come quello a cui pleno jure li riferiti effeti fecero reversione jure devolutionis alla Real Corona per la fellonia de vassalli essendo indubitato che in tal caso il feudo a peritur dominio obsque onere in conformità dell'enfiteusi, nella quale tutte le volte che il dominio diretto revocar l'istessa per la causa delle leggi permessa ridarà la cosa enifiteutica all'istesso nello stato e qualità, ne' quali si ritrovava prima della concessione e tutte le ipoteche, servitù, pregiudizy ed altri che si fossero indotti intermedio tempore che la cosa enfitutica e stata in potere dell'enfiteuta si risolvano riducendosi nello stato primeno, e così avendo il feudo insita la condizione di fidelitatem servaveris ex sui notata che nel nostro caso è spoglio, mancando a questa il concessionario torna nel suo primiero stato jure devolutioni et reversionis alla Reggia Corona, e si fa de Regio demanio, con togliersi tutti li pregiudiyzy, sovranità, ipoteche ed ostacoli che medio tempore dalla possessione del feudatario si fossero introdotte. Oltre al principio legale incontrastabile, che firma de jure la reversione alla Real Corona ed al Regio demanio dei stati confiscati e riservati lo manifesta la sentenza 123


data dal Consilio Supremo in Ispagna contro il Conte di Modica, dove si dice Declaramos aver incurrido el dicto D. Juan Thoas Enriquez de Caprera in el delicto di lesa Mah in primo capite ex cuyas onsequencia le condenams en lapena ordinaria de muerte de cuchillo y en confiscation de todos sus bene s assilibres como de maioranza que plicamos para la camera de su ma: et y mandamos que todas ellos hagar reversion a la real Corona.

Ecco dunque non solo ex legis provisione ma in virtù di una sentenza fatto il contratto di Modica, e sue baronie, al Regio Demanio, ed incorporato alla Real Corona. In se quella di che pretendevano allora li Ministri della Maestà Cattolica togliere il Contado sudetto, e Baronie aggregate i loro privilegi e Regalie e sogettando a i Tribunali della Gran Corte, del Real Patrimonio ed altri in conformità del rimanente del Regno tutto. Ma come che si disfecero quei vassalli validamente, a mostravano che i privilegi, e regalie erano state concesse cumulative al Contado di Modica, ed i Vassalli non si fecce novità alcuna non essendo di giustizia che per la fellonia, e colpa del loro padrone, portassero i fedeli la pena che perciò si continuò nell'antico sistema, senza che da ciò s'abbia inferito menomo pregiudizi al Re Cattolico ne suoi dritti. Non potendo dunque cotrovertersi che si abbia riservato il Re Cattolico gli effetti confiscati, e quelli che potrebbono, ò dovrebbono confiscarsi nella maniera, in cui la possedeva prima della cessione del Regno in virtù del capitolo di quella, e specialmente per quelle parole como lo estas oy,

ne tampoco che allora s'avevano incorporato alla Real Corona de jure, in vim devolutionis, et reversionis, ed in virtù della sentenza certamente non si può più questionare questo punto giuridizionale nè porsi in dubbio che la piena giuridizione appartenga a sua maestà Cattolica nei stati riservati nella maniera con cui

appartiene

alla

Maestà

Regnante nel

Regno

tutto

abdicativo,

e

indipendentemente dall'altra se pur non vorrà negarsi l'indipendenza. All'antedetto s'aggiunge la volontà della Maestà Cattolica dichiarata in tutto il capitolo decimo di Cessione, e che la riserva sia stata fatta con tal indipendeza, e colla plenaria giuridizione si corobora da ciò che si dice ne suddetto capitolo decimo doppo le parole como o estan oy; poiché in se quella a ciò si spiega maggiormanete per non potersi entrare sinistra interpretazione che per tutte le 124


cause, e dependenze che vi saranno, ò insorgeranno nelli efetti e stati riservati, e confiscati, non si possano conoscere, ne sostanziare tanto nello respettiv,o quanto nell'accidentale da altri ministri e tribunali che da quelli che sua maestà cattolico nominarebbe. Come dunque si pretende che i ministri, e Tribunali del rimanente Regno di Sicilia vogliano metter mano nei stati riservati non in altra maniera di casi,se non che si vogliano violare i Reggy dritti, i trattati di Cessione ed il jus gentium Ma nella grazia a che avrebbe servito la costituzione della Regia Giunta fatta dal Sua Maestà Cattolica come quella, che rappresenta tutti i tribunali nelli stati riservati se i Ministri, e Tribunali del Regno si potessero intromettere nella cognizione della Cause, e pendenze de i medesimi siasi o per via di giustizia, sia per via di Governo. Al certo che sarebbe stato inutile, che se avessero dato governar questi stati e reputati in conformità delli altri Baroni, come si pretende vivamente, avrebbe bastato il mero giudice deputato, e le corti superiori de poi volessero passar le cause nei respettivi Tribunali del Regno, e non nella Regia Giunta, ma come che in questa ricade tutta la giuridizione ch'era divisa in tanti tribunali di Gran Corte, Patrimonio ed altri per quel che riguarda alli Stati riservati a Sua Maestà Cattolica, in tanto che fu costituita per conoscersi, et individuarsi, tutte le cause particolari e delle università doppo che avevano passato per li loro canali de Magistrati inferiori respettive, cioè ò per il patrimonio di Modica se erano cause d'università, ò per la gran Corte di quella, sue appelazioni e corte superiore se erano de Particolari: Giaché avendo fatto i sudetti stati reversione alla Real Corona jure devolutionis, avendo Sua Maestà cesso il Regno, dovevano quelli avere un tribunale maggiore indipendente, in cui s'avesse trasferita la total giuridizione tanto per via di giustizia quanto per via di governo, si come il capitolo di cessione dichiara. Oltre che il Re cattolico potea /si come può / bene fare la sua Gran Corte il suo Tribunal del Patrimoio, suo Concistoro ed altri per li stati riservati, procedendo con il metodo del Regno, o vero costituire nuovi tribunali a suo modo in virtù del Capitolo sudetto, ma perché i stati riservati son poche per non far tanta moltitudine di Ministri e Tribunali ha voluto che un Tribunale seu la Regia Giunta rappresentasse tutti gli antedetti, sicché dalla sua Regia mente si disponga i altro modo: e questo accioché si conoscesse, e spedissero tutte le cause dei stati riservati, doppo che possano delle corti locali e superiori tanto per via di 125


giustizia, quanto per via di Governo. Se si replica che la materia di Governo altro non importi se non che l'elezione degl'ufficiali si riconosce quanto è debole ed insussistente la risposta, che non avrebbe avuto bisogno il Re Cattolico d'appore tali parole nella cessione del Regno, poiché l'elezione degli Ufficiali l'ha qualsiasi semplice Barone del Regno. Devono dunque le parole tanto per via di giustizia, quanto per via di governo operare il suo effetto, che altro non è se non che la plenaria, ed indipendente giuristizione non potendosi concepire d'altra maniera giuridizione alcuna oltre dell'espressata forma di giustizia o governo. Ne tampoco l'aversi eletto un Ministro per l'amministrazione del Contado di Modica, e sue Baronie, fa nesuna opposizione, in che tal sistema si governava prima ella Cessione del Regno, che perciò così deve continuarsi, poiché tutto ciò s'ordino dalla Maestà Cattolica per non cagionarsi imbarazzo a creditori, suggiogatary e per pagarsi i crediti di giustizia. Si come l'istesso dispaccio della Maestà Cattolica diretto a Cardinal Giudice allora Viceré literalmente li dimostra Ne allora seguiva inconveniente alcuno, perché tutto il Regno era sotto il dominio dell'istesso Re che nel riservato non deve essere di deteriore condizione di come egli era, e di sovrano farsi Vassallo. Si che resta conchiuso evidentemente a primo ad ultimum, che la totale piena e privativa giuridizione nei stati riservati per il capitolo decimo della cessione tanta per via di giustizia che per via di governo appartiene a Sua Maestà Cattolica, e per essa alla Regia Giunta, e suoi ministri e tribunali senza che quelli del Regno tutto si potessero ingerire in minima cosa sotto qualsisia pretesto, lo che si spera puntualmente per l'ennesima osserva... per non pregiudicarsi e tagliarsi i dritti del Re Cattolico impugnarsi i trattati di cessione giurati, e violarsi il jus delle genti. Su talli ingerenza desiderandosi dall'Amministrazione Generale solo la commun soddisfazione e riparo di tutto quello che può cagionare sciagura alle due Maestà, e suoi Ministri, si rimette al savio sentimento del Consultore Conte di Robilant. Mentre senza dubio crede che su tali controversia non devono vedersi Giudici, i Ministri della Maestà Regnante nemeno il Procuratore Generale di sua Mestà Cattolica, ma communicarsi questi sentimenti, e ragion d'ogn'uno al suo Prencipe, affinché disposta la providenza della reciproca corrispondenza delle due Maestà possano prendersi dalle mdeme le regole di que che sarà siroluto, già che il 126


Procuratore Generale da sua parte altro non desidera che la soddisfiazione de' Ministri della Maestà di questo Regno, mentre non dipende dalla sua volontà l'aderire in tal contesa ad altro, che à quello si risolverà come sopra, che sia il fine col quale di Don Gaspare [Narbona] resta sempre all'ubbidienza del Sig. Conte.

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Archivio di Stato di Torino, Sezione Corte, Fondo Paesi, Sicilia, Indice II, Categoria IX, Mazzo 1, Fascicolo 2.

Documento III Consulta delli presidente Drago, Conte di Robilant ed Avvocati fiscali Perlongo e Virgilio divisi in sette articoli, nel primo de' quali si dimostra che la cognizione e gravami inferti dalli Baroni al Vassalli spetta al supremo Principe, nel 2° che le persone privileggiate ponno immediatamente ricorrere al Tribunale del Principe, nel 3° che al solo Principe supremo spetta in regalia la facoltà di concedere le dilazioni e moratorie; 4° che il benefcio della cessione de' beni e le dichiarazioni quinquennali del solo Principe ponno concedersi per via del Tribunale della Gran Corte; nel 5° che solo il Principe può graziare li delinquenti; nel 6° che alli feudatarj di Sicilia non compete la facoltà di delegare e spedire commissari esecutivi, e nel 7° si dimostra che la potestà di far nuove leggi anche sopra li feudi alienati col mero e misto impero è inseparabile dal supremo Principe.

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Articolo primo --------------------------------------------------------Del conoscimento dei gravami inferti a vassalli dai Baroni, toccante al supremo Principe. --------------------------------------------------------La suprema autorità del Principe porta seco un obbligo addossatogli dalla legge di Dio, e della natura, d'invigilare nella custodia de sudditi, di sovvenirli nelle necessità, e sollevarli dalle loro oppressioni. Non deve perciò considerarsi come una sola Regaglia la suprema ed alta giurisdizione che dai Re e Principi sovrani viene usata sopra i Baroni che abbino avuto i feudi in investitura, per moderare gli'eccessi della giurisdizione concedutagli sopra i sudditi ove se ne abbusino; ma più tosto dir dobbiamo ch'ella sia un uno di quell'obbligo ingiuntogli fin dalla prima origine del principato e nel punto stesso che cominciano a governare i popoli loro commessi da Dio. Sarebbe un voler scrivere più che da semplici giuristi, se volessimo qui tradurre il Sacro Testo quanto trovasi imposto ai Re dal sommo Dio, perché non lascino perire nelle oppressioni gl'uomini nati sotto la loro custodia, e dedicati al dominio supremo ripartitogli in questo mondo dalla divina provvienza. Chi vorrà toccare il fondo dell'obbligo naturale toccante la cura dei Re sopra i popoli potrà dare una scorsa al primo istituto del Reggio Ministero, ed a quanto scrissero i primi padri e posteriormente i politici che parlano dell'erezione del principato e della monarchia. Intanto mi contenterò di dire che il Re non solo possa riconoscere ogni caso di gravame inferto ai di lui sudditi da qualsisia Barone, cui abbi concesso in vassallaggio e trasferito coll'utile dominio i feudi ma che debba, per non peccare nell'uso della suprema Potestà, soccorrere ai gravati, e sollevare gl'oppressi chiamando avanti di se l'esame delle querele portate da i sudditi nel giudizio delle cause loro che vertissero nelle curie baronali. L'obbligo di ciò fare, se sarà omesso e trasgredito, renderebbe deforme la sacra condizione del principato, secondo quanto scrisse S. Paolo: qui suorum curat et defensionem non prestat infideli deterior est.

L'Imperator Giustiniano nelle sue tanto commendabili leggi, conobbe inseparabile dell'alta cura dell'impero il debito d'invigilare perché i popoli non venissero 129


oppressi dalla podestà inferiori e ne dichiarò come per voto da farsi a Dio le promesse del suo adempimento. Sono degne a trascriversi le parole della sua novella scritta à Giovanni Antonio Esconsule e Patrizio . Tit: 2 Novell: 8 Authent: ut indices sin: quoquo itaue Deo. Nam et nos propterea eam poscimus ut et Iustitiam que in lege est valeamus domino Deo venere, et nos metipsos et nostrum commendare imperium, et non videmur despicere homine oppressos quos nobis tradidit Deus. Ideoque quantum ad nos consecratur hec lex Deo, quod nihil in mentem nostram veniens boni pro tuitione subiectorum relinquibus Salgad: de Reg: Protect: p: p: Cap: p°: Preludio p°: n°: 43:

Or un obbligo cossì connaturale ai Re non potrà dirsi estinto coll'investitura de feudi conceduti ai Baroni, peroché in quelli rimangono le Raggioni del diretto dominio e dall'alta potestà, cui viene imposto il conoscimento delle querele sopra le oppressioni che i sudditi patissero sotto del dominio inferiore. Noi troviamo fra le consuetudini feudali raccolte da Oberto de Orto un capo che determina quanto sopra si è detto. Cap: prim: versic: si vero Miles lib:2: feudor: tit: 22: de Milite vassallo.

E del disordinato procedimento del feudatario, che noi diciamo Barone, ne viene riservato il giudizio della Curia superiore, che vol dire à quella del Principe, che in Sicilia risiede nella Gran Corte. Si vero vassallus conqueritur del domino forsan quia feudum malo ordine intravit, domino perperam respondente, quid vassallo faciendum sit queritur respondescum curiamdebere vocare, et in cadem curia de domino conqueri

La concessione dunque di feudi non è bastevole à scusare il Prencipe dall'obbligo avuto di difendere i sudditi dall'ingiustizie o mal ordinate disposizioni del Barone; ancorché sia stato il feudo coi vassalli conceduto coll'uso della Reggia giurisdizione e qualsisia piena potestà, che col nome di mero misto impero possa pienissimamente venir ispiegata, mentre non può considerarsi tal vigore nelle infeudazioni e privilegi delle concessioni giurdizionali de' meri misti imperi che voglia ad eradicare della persona del Prencipe il diretto domino, e l'altra potestà che lo costituiscono autorevole e superiore ad'ogn'altra giurdizione da lui medemo 130


proceduta. Capiblanc:de Baron Pragm: 3 a' n.° p.° ad 8

di codesto Autore non possiamo non trascrivere la pregnantissima sentenza al n° 3. Ac conseguenterliet terram infeudando concsserit in naturam francam, ac cum reggia et omnimoda potestate non per hoc abdicata erit abeo potestat direchti domini quod dirctum dominium principaliter respicie audientiam querelarum Capicc: Investit: feud: versic: ad instantiam ecclesiast.: et melius in versic: feudorum alinatione ampliari Afflit: Constit: Capitaneorum tit: 43: lib : p°: Costit: Federic: Bellug:: specul: Principum

rubr: 38: : § congueruntur n°. 9. 10 et 11 Bald: de feud: tit: de Pace

tenenda § pubblici Pationes La cui dottrina così ben spiegata in succinto trascrive il riferito Bellug: al n.° 11: Ad hoc sum argumentum quod si habens castrum in feudum male tractat burgenses castri quod dominus potest monere ut eos tracter modo debito et alias curia domini potest auferre sibi castrum Nigr: de Grav: Vass: Capit: Gravamina n.°7

Fin dal principio che ricevette una miglior forma il Magistrato della Gran Corte cui presedeva il Maestro Giustiziere, ed oggi in suo luogo il Presidente, sotto l'astutissimo e tanto provido governo di Federico Secondo il severo Imperador de' Romani, e Re di Sicilia, furono stabbilite le costituzioni più savie, le più giuste, ed esemplari in alcuna delle quali vien prescritto, che siano esaminati per via della Gran Corte e suo Mastro Giustiziere i ricorsi de' sudditi oppressi che oggi noi sentiamo volgarmente dire nelle forensi vertenze giudizj o scano remedj per via di gravame. Il titolo stesso quarantadue delle prime costituzioni spiega in breve sommario il contenuto nella costituzione Magister Iustitiarius Ut magister iustitiarius possit evadere opprensione officialium, et recovare

La pregnantissima costituzione con espresse note lo definisce Magister Justitiarius inuntiones, oppressiones, et concussiones inferiorum omnium iudicium destituziones etiam, sine speciali mandato nostro foro

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curia nostra factas faciat emendare

Al cui tenore conferisce la seguente nel titolo quarantatre Contsit: Capitaneorum tit: de officio Capit: et Magist. Iustit:

Uniforme al proscritto delle riferite leggi e costituzioni, vediamo in Sicilia continuata l'osservanza di sentire il Principe per via della Gran Corte tutte le querele de' sudditi oppressi e i feudatari, e loro uffiziali, non ostante qualsisia privilegio o concessione di alta e bassa giurisdizione, e con l'assoluto potere spiegato in quella claosola messa per stile di tutti i privilegi [cum omnimoda gladi Potestate]. Peroché non può mai la mente del Principe ricevere una sì ingiusta ed inigua interpretazione d'essersi egli spogliato della sua suprema autorità di provvedere sopra le querele de sudditi, e di dargli remedio e sollievo nelle loro oppressioni. Luc: de Penna G. In sacris Cod: de Protes: sac: Mastrill: de Magistrat: lib: 4 Cap: 16 :n.° 260: Anton: de Ball: lib: .2: tract: var: quest: 27 n.°20: Abruzz: sect: pract: G.p. ff De Offic: eius quest: 31 n.° 476: 479:

Arriviano a dire alcuni savj giuristi che ancor volendosene espressament spogliare non potrebbe farlo il Principe Sovrano, lasciando in tal guisa deformato il principato e la monarchia datali da Dio per custodire e ben reggerla. Capiblanc: loc: cit: n°.4. dove dice et etiam nolens princeps non poterit se expropriare isto altodominio quia esset deformate principatum, cap: intellecto de jur: jur: am libera poterit concedere feuda ab omini servi sed nn a superioritate providendi querlis subiectorum ac puniendi feudatarios eos opprimentes.

Qui tuttavia vi sarebbe luogo da poterne dubbitare ove ai Baroni sia stato specificamente data la giurisdizione di conocere le querele de' sudditi anche per via di gravame potendo talora eglino eliggere un secondo giudice che riconoschi le oppressioni ed eccessi del primo, siccome scrisse il Dottor Faracio per la città di Messina che sentita di godere di un amplissimo mero misto impero usato per immemorabile consuetudine anche nelle cause di gravame, facendo quelli finire con tal remedio avanti al giudice dell'appellazione privatatamente alla Gran Corte. Su qual punto di consuetudine che i messinesi dicean legitimanente prescritta, ò di privilegio che contenghi la potestà individuale, non vogliamo formare il presente discorso; mentre Mario Giurba messinese ed uno uno de riguardevoli giuristi 132


siciliani che si forzò di difenere il privilegio della sua patria perché era loro costume di non produrlo; or sostiene il suo discorso del suo conseglio settantadue colla supposizione del privilegio lo comprenda, or si volge a appoggiarsi all'antica osservanza ch'egli al n°15 attesta d'esser stati privatamente rimessi al giudice d'appellazione i rimedj di gravame. Maggiormente che contrarie alla decisione da lui riferita nell'anno 1602: se ne ritrovano in gran numero negli archivj della Gran Corte; e perciò scrisse individualmente impugnando l'opinione del Giurba il citato Abruzz: al n° 476. 480: 481. Potrebbero qui prodursi le querele che per via di gravame sono state proposte avanti alla Gran Corte come collaterale del Prencipe, non solo della sentenze già proferte dalla Corte Capitanale di Palermo, ma dalle sole procedure da giudici dell'incidenti delle cause aggite in quella Corte, però i casi accaduti gl'esempi sono di riferirli o di produrne le scritture tradotte dall'archivio in grossi volumi. E pure chi legge le pregnantissime claosole del mero misto imperio di questa città bisogna confessare che come scritte per privilegio della capitanale del Regno non possano averne uguali. La giurisdizione acquistata con un privilegio amplissimo di mero e misto imperio dall'antico Duca di Terranova Prencipe di Castelvetrano, contiene quanto mai possa venir compreso e pure essendosi un giudice consultore abbusato di lettere di gravame spedite dalla sua Corte, alle suppliche d'un vassallo che sentivasi oppresso, ed agravato da i procedimenti della curia inferiore Baronale, fu gravemente ripreso ed avvertito di doversi astenere da simili usurpamenti di una Regaglia spettante al Prencipe, ed al di lui supremo magistrato; anzi perché sia rimarcabile il di lui affronto, fu egli obbligato ad venire supplichevole a discolparsi avanti la Gran Corte, dove allora presedeva quel memorabile Presidente Giovanni Battista de Blaschis; lo riferisce Abbruzzo nel detto loco sopra citato al numero quattrocento ottanta. Ha dato il motivo di scrivere, forse oltre il bisogno, su codesto punto l'ostinata opinione manifestata da Don Gaspare Narbona, Procuratore generale del Re Cattolico, che vuol ancora oggi riproporre le antiche pretese del contato di Modica tante volte rigettate e sempre fatte sopire. Credono alcuni adulatori uffizili del contato, che sia distinto e molto diverso dagl'altri il privilegio del mero misto che suppongono conceduto a Gioan 123 Bernardo Caprera nell'anno 1392 dal serenissimo Re Martino. Ma rivolti i fogli che come sopposte copie d'un original desperso oggi si producono e riletto il tenore de clausola in clausla e di parol in parola, non è stato possibile scorg erne una, in cui neghi svelta della sovranna autorità del concedente la ricognizione delle querele de' vassalli oppressi. Tutte ristrette in queste poche linee si vedono le tanto esaggerate come pregnantissime clausole, che riguardano la giurisdizione al Re delegata in qualità di mero misto impero al conte Caprera 123Erroneamente si cita Giovanni Bernardo Caprera in luogo del padre Bernardo.

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Quem comitatum, casta et loca predicta nobis concedimus et donamus ut supra cum mero et mixto imperi, maximo medio e minimo et omni jurisdictione et dominatione tam civili quam criminali et cum appellationibus quibuscumque

Per farla dunque una legale anatomia di parte in parte, non potrà ciascun giurista fondatamente affermare d'esseri quel Re spogliato della sovrana giurisdizione soprai sudditi dati in vassallaggio colle tere di Modica. Mentre quelle parole cum mero et mixto imperio, maximo medio et minimo

sol voglion a spiegare la natura mista e composta della giurisdizione delegata e conceduta al feudatario, volendo esprimerla d'esser alta, bassa e meddia acciò non possa in altro senzo dirsi compresa nel privilegio la sola bassa e mera giurisdizione. Non potranno senzo produrre le connotate parole, che una pienissima, ed in altro modo spiegata, ominimoda potestà, e pur simile senzo non potrà venir estorto ad un distruggimento totale dell'altissima autorità del Prencipe, ed a renderlo disvestito da quell'obbligo datogli da Dio, indivisibile dal Principato perché debba soccorrere i sudditi nelle gravi emergenze delle loro oppressioni. Dagl'Autori che sopra abbiamo riferito si previdde a pienezza di simili claosole, e pur viene costantemente insegnato che ella non comprendono la privativa cognitione de gravami per i feudatari ma la privativa per il Prencipe Sovrano e a di lui Gran Corte. Il tanto prattico nelle controversie forensi de' magistrati di Sicilia, ove piu volte sedette giudicando, Don Garzia Mastrillo, ce l'insegna in brevisime note, fra i casi che riferisce riservati all'alto conoscimento del Prenipe e della Gran Corte Matrill. de Magistr: lib 4. cap: 16: n°.260: Viderimus quintus casus est quod per quantumuis verba generalia nel pregnantia concedat rex alicui jurisditionem ac merum et mitum imperium nunquam tamen censetur ademptum vassallis, ins recurrendi pro gravaminibus illatis ed principem.

Convengono le parole scritte dal Capiblanco sopracitato alla seconda clausola del riferito privilegio. et omni jurisditione et dominatione tam civili quam criminali Capiblanc: de Baron: ubi super n:4 Ac conseguenter licet terram infeudando concesserit in natura francam ac cum regia et ominimoda potestate, non per hoc abdicata eri ab eo potestas directi dominj quod directum dominu respicit principaliter aud etiam querelarum et appellationum subdictorum ab oppressionibus officialium

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Rimangono ad interpretarsi le ultime parole, in cui si legge data la faoltà di riconoscere e cause in qualsisia appellatione. Ma quel dire et cum appellationibs quibuscumque

può veramente riferirsi alle prime e seconde appellazioni, ed in ciò non neghiamo d'esser stato con qualche distinzione di quei degl'altri Baroni di Sicilia, il privilegio del Conte Caprera, mentre le prime appellazioni solamente venono comprese per natura d'ordinari meri misti imperi. Perciò ne gode presentemente il Condato di Modica d'uso di rivedere le cause civili in seconda istanza. Non potrà distendersi però il senso della parola appellazione al remedio di gravame ed alla querela, essendo comunqmene conosciuti da giuristi come due ricorsi e due remedj di diversa natura e di diversissimo effetto e benefizio sul che non sarebbe soffribile trarre a lungo il presente discorso che verrà sotto l'occhio di coloro che sono ben informati della distinta qualià e sostanza di codesti due ricorsi e di di tanti casi in cui appresso i versati nelle leggi civili e canoniche vengono ammessi gn'uni e gl'alteri esclusi. Antonio de' Ballis riferisce al proposito che nel suo tempo osarono l'uffiziali d'Alcamo consultare e differir p'eseuczione d'una lettera di gravame spedita dalla Gran Corte su la pretesa che tal ricorso dovesse farsi avanti dal governadore del Contado; ma conchiude non esser pertinente tal conoscimento fra il giudice medemo infeiore e superiore quel era il Conte o il di lui governatore ma che tocchi solo Prencipe lasciando coloro l'uso della appellazione. Ball: Var: lib: 2: quest:: 27 n°.21:22: Nam princips est relevare subditor a gravaminbus per constit: cum circa et constit: magister justitiarius et constit: capitancorum et in constit: cum nona et in contingentia facti officiale alcami consultarun literas magne curie quod veniunt acta via gravamis illati a judic pretendentes spectare ad comitem et ad eius guvernatrem unde non procedit ista cognitio inter ordinarios judices superiores et inferiores, cum sit solio principis nisi ia appellationis. Abbruzz: loc: cit: n°. 479 dove riferisce lo stesso

Ed in somma per tornare indietro, niuna delle claosole espresse nel privilegio del Conte Caprera potrà interpretarsi in tal senso che il Conte sia investito di una giurisdizione alta e bassa e d'un misto mero e massimo impero che non sia subordinato alla superiore autorità del Re concedente, ed in quella suprema giuridizione territoriale, il cui spirito rimarrà sempre a lui inseparabilmente unito, finchè seco sarà l'univrsal dominio del suo territorio e del suo Stato. 135


Nel Regno di Napoli il Principe di Salerno gode d'un privilegio di mero misto imperio conessogli dal Re Ferdinando con clausola così pregnanti che anche espressamente si vede compresa la prerogativa di non potersi avocare le cause dalli di lui uffiziali sotto pretesto di denegata o ritadata giustizia. Ma pure essendo occorso il caso di disiputare anche ciò impedisse l'avocarsi delle cause al Vicerè ed al collaterale fu creduto evidentissimamente potersi fare, atteso che mai la larghezza di quella clausola può distendersi a privare il Prencipe che condette il privilegio della superiorità sopra del concessionario e ciò fusse compreso nel privilegio potrebbe revocarsi, essenone giusta causa lo stesso spogliamento che il Principe fece della di lui suprema autorità, di cui non può mai anche volendo venir privo, mentre sarà Prencipe di quel stato e di quel territorio. * Su qul punto è degno a legersi Tomaso Grammatico nel suo volume ventiotto. Grammatic: decis: 28:

Dice egli al numero 3 Nam ex huiusmodi Privilegj tenore non videtur princeps ipse cocedens se exclusisse seu a se jurisditionem abdicasse supremam.

Soggiunge al numero venticinque e dicitur satis posse revocare cum causa dum apparet a se abdicasse jus superioritatis per tales clausolas quo casu non potest se expropriare omini jurisditione et supeioritate.

Se il preteso massimo impero che supponiamo conceduto al Conte di Modica senza vederne prodotto l'originale del privilegio fusse poi sotteso al più alto sovrano impero del Re nel conoscimento deg'aggravi ed ingiustizia ch'egli facesse a vassalli, bisognerebbe considerare nel Regno un Conte vassallo che non abbi supriore e che possa avere una potestà e giurisdizione assoluta, il che non è lecito a dirsi perché in qualsiasia incircostritta concessione si devono sentir riservate ed escluse le raggioni di suprema maestà quali sono regaglie personalissime e non possono ad altri concessionarj communicarsj ecetto vogli assumersi nel regnare un altro in compagnia, dandogli parte del dominio con una erezione di un assoluto Principato, diversamente verrebbe prodotto un mostruoso inconveniente di vedersi due supreme giurisdizioni, o due sovranità, sotto uno impero d'un Re con tanta repugnanza di tutte le leggi reggie e della natura. Sono state in tal guisa ma con erudzione così ammirevole spiegate codeste ragioni da gravisssimi autori, ch'io non voglio maggiorment ursurparmi de scritti loro, e mi contenterò una sola volta di rapportare a quelli il sostegno di questo breve discorso, e partiolarmente al Natta cons: 636:n.°268 :269: usque et cons: 670. Covarruu: Pramm: quest: cap: 4

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Roland: a valle cons: cons: p°.n°.138: vole:2 Riminald. Con: 57:2: fol 193: tit : n° 7 Pergrin: de jur: fisci lib: p°. tit: n°7: fol 103: Surd :cons:210:n°56 Matt: Stefan: de jurisd: Will. p. 2. sib: 3 dispus:5 Kod: de contr: cap:4 n° p° ad 50

Ed al Fragosio che scrive indivdualmente di larghissime concessioni di mero misto impero Frago: de Regim: Repubblic. Cristiane p.p a. lib 3 disput 4 Nocl: de contribut: cap 4 dal n°p° al 50

Questo eruditissimo scrittore racchiude in poche righe quanto dir si possa del n° trentatrè in appresso. Reservata intaque seu Reggia ac Basilica iura propria sun que non communicantur jura Maestatis propria vocantur, à nonnullis potentiora mere Regalia, personalissima persone et ossibus Principis coherentia ipsi corone anexa, individua sacra sacrorum appellantur et sine diminutione maestatis subititis tribui nequeunt.

Ogni uomo savio che vorrà legere la supposta copia del privilegio del Conte Caprera nella concessione delle terre di Modica, Chiaramonte ed altre aggregate, e ridotte in un Contado, non troverà potersi adottare alla troppo diversa idea che oggi vogliono concepirne mentre la concessione di molti feudi e terre e castelli in una chiarissima forma di vassallaggio col trasferimento del solo utile dominio e colla riserva molto espressa del diretto primario e supremo. Non fu quella una erezzione in Ducato, Principato o Contado assoluto di quei che l'Imperatori sogliono fare ed han fatto con la suprema ed assoluta potestà della quale scrivono alcuni dottori Surd: Riminald: Bald riferiti da Natt: al conseglio 636n° 169 et al coneglio 640

Leggiamo le claosole che lo dinotano con una incontrastabile diversità. et quod teneamini et teneantur perpetuo nos et suc cessores vestri predicti Nos et successore nostro habere meros et dominos naturales et nobis prestare sacramentum et omagium fidelitatis et volumus nec minus quam eos teneri nobis et successoribus nostris pro recognitione dominis

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quindecim e quos quoties opus extitevit obsistere gentibus extraneis manus hostili ingenrentibus se cum armis in Regnum nostrum

Or concesso un Contado, un Ducato in vassallagio in codesta guisa, ancorchè dal Re sia stata trasferita ogni giurisdizione di meromisto imperio con clausole effrenate che dir possano d'og'impero mai dir potrassi passato nel feudatario il supremmo diritto dell'alte regaglie repugnanti di star unite al solo utile dominio. Non possono preterire di far qui vedere la sensata dottrina di Molinco Molin: a consuet: gallie tit: p° de fides ss p° glos: s: n53 et segu: eclaro tertio in concessionibus cstri vel ducatur aut comitatus facta per supremum principem [cum omini imperio] etiam cum hac clausula [omini jure] qud habet nulo reservato non veniunt nec transeut regalia et olia reservata rerie Maestàti in signum supreme potestatis, sed solam exque possun convenire illi cui fit concessio seu coilibet inferiori et dominio particulari castri. Nam duplex jur rex haet in castro, velre concessa unum tamquam dominus specialis et utilis ipsius castri quod forte emerat et illud censj transferre aliud tamquam re qui habet dominum directum et jur regium universalis in toto regno et de isto jure regio nihil transfertur.

Ci siamo avvisti d'aver trapassato il bisognevole di questo discorso mentre potevasi solamente dire che ripugnano all'ideati effetti del massimo impero in quel modo che oggi vogliono concepirselo tutti gl'esercizi delle supreme regaglie, che fin oggi nel Contado di Modica si osservano. •

La concesione di potestà di procedere ex abrupto nelle cause criminali come comprese nella generale concessione del mero misto.

Il continuato pagamento dei tributi ordinari et extraordinari.

Le collette patrimoniali o siano tasse risultanti dalla numerazione delle anime che noi dicamo pesi per deputazione del Regno.

La concessione delli Regi indulti come dell'ultimo che si è fatto a quei vassalli criminosi.

Il mantenimento di un Capitano d'armi a guerra per la custodia di quelle marine.

Ed altre che non fa biogno di qui distintament narrare. Ma in fine bisognerà dire che uniforme alla naturale e propria natura del privilegio sia seguita l'osservanza che sempre i vassalli gravati abbino ricorso a la Gran Corte sian state spedite le lettere di rimettersi le scritture, ed i provessi criminali, e se qualche volta gli uffiziali abbino ripugnato con loro consulte, siano sempre cascate 138


le determinaioni per la suprema giurisdizione del Principe e della Gran Corte Magistrato a lui collaterale cui fu dalle custituzioni dell'Imperador Federico communicata questa regaglia di sentir le querele dell'oppressi e di giudicarle. Veran compiegate le scritture estratte dall'archivio della Grana Corte per autenticare quest'ultimattestato, ove l'ostinazione di chi vol contradire volesse astenersi di confessarlo vero.

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Articolo Secondo --------------------------------------------------------Del privilegio delle persone miserabili per declinare ciascun foro inferiore, ed eligere quello del Prencipe. --------------------------------------------------------Le compassionevole condizione delle persone miserabbili spinse l'animo di Giustiniano Imperadore ugualmente più che giusto, a pensare un remedio di accorrerle in aggiunto ne giudizy dei magistrati inferiori, prevedendo le loro oppressioni affronte la prepotenza de collitigatori scrisse in una legge particolare un specialissimo privilegio di poter elle declinare qualsiasi fero ed eligere il Supremo del Prencipe avanti cui cessando gl'umani riguardi della potenza, o debbolezza delle persone, possa aver luogo con indifferenza inalterabile la giustizia, e la raggione. G. Unic: Cod: quando Imper: int: Pupill: et vid:

Qual sia stato il suffraggio di codesta legge per i vassalli trasferiti sul dominio particolare de feudatary, ognun lo sa ognun lo vede mentre qualsisia causa di prima, o seconda istanza, vanno a ricourarsi sotto la prottezione del Prencipe avendo in orrore la potenza del loro avversario Presertim cum alcuius potentiam perorrescunt cogantur eorum Adversary examinari nostro sui copiam facere.

Non ebbe riguardo l'Imperadore della lontananza della corte dal privilegio del domicilio e giurisdizione de' primi magistrati e compassionando lo stato de poveri, fece che la miseria loro prevalga ad ogni altra raggione. Più dura e miserabbie, che in ogni altero Regno, si è la condizione de' vassalli dell'una e l'altra Sicilia, per uso troppo frequente de' meri misti imperi che sottraendoli alle sovrana giurisdizione del Prencipe, li costituisco sotto la immediata de' feudatari perciò più necessario e freguente è stato sempre l'uso di declinare il foro degli inferiori loro magistrati e ricourarsi i miserabbili sotto del supremo giudizio del Regnante. L'Imperador Federico II Re d'ambe due le Sicilie, augustissimo, e tanto provido nel stabbilire quante leggi fussero profittevoli a i di lui sudditi, ammise i ricorsi delle misere persone avanti la Gran Corte, come suo collaterale e più supremo 140


magistrato, e ne lasciò scritta una solenne costituzione. Constit: statuimus Tit: de Uffici: Magistr: Iustitiar: Ne non et miserbilium personarum quarum est privilegium forum eligere corporali prestito sacramenti quod adversariorum suorum forte potentiam perorrescunt causas audiat, iustitia mediante decidat.

La disposizione della raggion comune accompagnata da una particolar costituzione ha portato seco una continuata e mai interrotta osservanza d'essersi sempre avocata dalla Gran Corte e poi definite le cause delle persone miserabbili comprese nel privileggio della cennata legge senza che i feudatari del Regno, i quali sono i più strepitosi nel sostegno della loro giurisdizione, abbino mai potuto impedir la declinatorie. Ma non mancando in tutti i tempi alcuno che voglia contrastare questo supremo privilegio, ebbenché si conoscesse che sia del Principe stesso, che giudica, per l'organo del suo collaterale ed alto magistrato ci troviamo in obbligo a scrivere particolarmente se debba oggi come sempre per l'addietro prevalere il privilegio delle vedove e de' pupilli, deg'altri miseri sul privilegio del mero misto del contado di Modica. Sarebbe per farci spedire in poco il metterci a confronto del cennato mero misto l'ampiezza di un privilegio originato dalle leggi imperiali, tanto indistinte ed indefinite. Ma con tutto ciò daremo una scorsa alle clausole della concessione del contado in quella parte in cui si parla di giurisdizione col mero misto perciò che si conosca non essere nuna di loro clausole a derogare il privilegio de' i miserabili ed impedirgli il remedio di declinare il foro de giudici del contado La prima claosola che sostiene quel genere di significato d'ogni giurisdizione civile e criminale cum mero et mixto impero maximo, medio et minimo omni jurisdictione et dominatione tam civili quam criminale

Non è stata conosciuta sufficiente a togliere un privilegio conceduto à i poveri litiganti per essere sovenuti nelle loro oppressioni dell'alta protezzione del Prencipe, considerandosi le potentissime raggioni a preservarlo dai i pregiudizy la commiserazione delle persone e la suprema Maestà del Prencipe cui viene riservato. Lo riferisce deciso Franch: decis: 292:

dove al numero sesto e settimo leggiamo 141


et hoc maxime refere quia privilegium concessum causa miserationis nunguam tollitur per generales derogationes Bellunga specul: Principi : Rubric: 38 ss consegueerantur lit: A: Franch: decis: 51: quod refrt Amendul: Addit: ad decis: 292

Le claosole additative, che levan la giurisdizione attuale da quella che abbitualmente rimane nel Prencipe non han rigore di derogare il privilegio della legge unica, ne riferisce una suprema decisione. Marim: Resolut: 286: al fine Lucc: ad Franch: decis: 292 infine

Se ci volgiamo al seguente, in cui si vede donato al Conte Caprera l'uso giurdizionale con tutte le appellationi et cum appellationibus quibuscumque

Codesta generalità ben comprender potrà la cognition delle cause, di prima e seconda istanza, giammai quelle di persone misere e privileggiate. Cio vien affermato come cosa indubbitata dagli'autori che scrivono su questo punto. Pasquel: de Vir: Petr: Potret: p:2 Cap: 2: n°206: Concer: Var: Resolt: p:2: Cap:2: n°25: Thesau: decis: 177:n°12:

La cognizione di tutti i criminosi, eccetto quei di lesa Maestà, in prima facia comparisce come un privileggio larghissimo da comprendere ogn'altra causa fuori dall'eccettuata. Et quod quicumque malfactore cuiscumque criminalis vel seleris perpetrati ad dictum comitatum seu eius confinia . Preterguam si fuerit celerios criminalis lese maestati.

E pur non credono che ciò basti ad impedire alle vedove, e à puplli ed altre miserabili il ricorso al supremo Prencipe nelle cause loro. Fu questo preteso un tempo dalla città di Catania cui il Re Ludovico, troppo amante di quella comunità, fu conceduto un Privilegio amplissimo di mero misto, colla sola riserva delle cause feudali d'offesa Maestà, e col favore di non potersi estrarre dal proprio domicilio quei cittadini, ma ciò non ostante fu allora deciso, e poi sempre fuori d'ogni novo contrasto, si è osservato, di venire le cause alla Gran 142


Corte colle declinatorie di quel foro; lo riferisce Giurba nella sua decisione ottantadue Giurba decis: 82: n°3 Nec obstat clarissime civitatis Catine privilegium ò Ludovico Rege concessum, cives non esse obea extrahendos in causis civilibus criminalibus et mixtis, preter in feudalibus et crimine lese maestatis, adeout cum duo tantum excepti sint casus ceteri omnes comprehensi videantur. Nam fori Prvilegium per viam recursus ad Principem, Pupillis, viduis et alys fortune niuria miserabilibus personis tributum de quo l:p° Cod: quand: Imper: Jus: Pupill: et Vid: sublatum non censetur

Vediamo una simile osservanza nel tempo che dimora il Principe e la Gran Corte in Palermo di venr avocate le cause della Gran Corte declinando le persone Privileggiate la giurdizione della Corte Pretoriana, e Capitanale, non ostante la pregnanza delle claosole del mer omisto di questa Capitle, coll'istesso Privileggio di non essere tirati altrove i di lei Cittadini. Veramente è di tal favore il privilegio di ricorrere al Prrincipe i poveri litiganti i quai temono l'oppressione de loro contrary, che per sentirsi derogato colla concessione de meri misti Baonali, fa bisogno d'una individual menzione, e che con chiarezza di parole si dichi conceduta al feudatario la giurdizione sopra tutti i Vasalli, e non ostante il privilegio dei miserabili stabbilito nella legge comune e costituzioni del Regno. Cumia: Rit: 38: n°457: Nisi Reus conventus habeat privilegium, pura civitatis, cum clausula derogatoria dicente non obstantibus privilegys que de jure et per sacras constitutiones concedantur pupillis, viduis, et mierabilibus Personis. Alias si non in specie dicitur, non esset derogatum eorum privilegys per verba generalia derogantia, et ita pluries fuisse iicatum et observatm testatur. Mastrill: decis: 127: n°: 14: Zoppia Costit: statuimus p: 2: Cap: 9 n° 30 Novar: decis: 28: de Variat: for: n°3 Giurb: decis: 82 Ricc: ad Franch: decis:182: Luc: ibid.

Egli è un privilegio dato dall'Imperadore in riguardo alla miseria de' litiganti, ma pur è un ricorso riservato a se medemo, ed alla Sua suprema autorità, onde è forza che per sentirsi derogata vi siano delle claosole individuali apposte dal Prencipe 143


nella concessione de meri misti e che sino così chiare e pregnanti che à niente altro riferir si possano; lo vediamo oltre i casi generalmente riferiti dal Cumia, definito come punto particolare contro del foro del Grand'Almirante, il cui mero misto è d'un tenore superiore a tutti gli altri con una positiva somiglianza alla giurisdizione della Gran Corte. La decisione vien riferita dal Castillo nella decisione 39: Castill. Decis: 39: dove al numero p.o e secondo dice: Quo casu nuquam censetur derogatum l. Unice z. Nisi privilegium expresse diceret non obstante l. unica et constit: statuimus, vel quod diceret non obstante quod essent ad instantiam miserabilium personarum nec sufficiunt alia verba

La derogazione che il Re abbi fatto ò vogli fare con quelle parole derogando dal privilegio della Gran Corte non è creduta succifiente acciò il feudatario possa impedire à vedove, e pupilli, il ricorso alla medema, mentre una simile claosola può ben interpretarsi in diminuzione della giurisdizione della Gran Corte rispetto ogn'altra persona, giamai per le miserebbili. Lo riferisce più volte determinato Afflit: super Constit: statui mus n° 25 Abbruzz: Sect: Prat: lo p: ff De Offic: eius quest: 17: n°. 218: 270

Fu anche commune l'opinione di coloro che attestano esser di tal prerogativa l'elezzione del foro del Prencipe, che avendolo già eletto, non possino già mai renunciarlo le persone miserabbili mentre un privilegio introdotto per il pubblico favore in riguardo della loro commiserazione non può coi patti, e private convenzioni delle medeme togliersi o diminuirsi, durando tanto in se, quanto sarà durevole la povertà, e la miseria che gli fanno aver orrore del contrario che litiga. Tirano la raggione dell'assimoa scritto nelle leggi comuni P. Jus Publicum ff de Pau P. Cardonam ff de oper:liber

Li qui appresso notati giuristi Abbruz: loc: cit: n° 175 Panimoll: decis: 27 : °29

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Cancer: varà. Risol: 2: cap: 2° n°24:25: Tor: verbo renuntari un posst: part:2° Gallerat: de Renuntia Const: pa: rubrica 24

Dovrebbe appagarsi chi contradice questa suprema Regaglia su le raggioni e su l'osservanza, e pur vediamo che senza poter tirare alcun fomento raggionevole del privilegio del contado, si sia inoltrato dall'anno passato in qua, non solamente ad impedire le vedove, e pupilli di declinare il foro del contado, ed eliggere quello della Gran Corte, ma pure con inaudito spirito ad indurle di declinare il foro della Corte di Modica ed eliggere quello del Procuratore Generale, come d'una supposta corte superiore, che in lui risiede, a somiglianza di quelle elezzioni che nei Regni, ed in Sicilia, si danno dell'alto foro del Prencipe che governa per via della Gran Corte. Una di codeste dissonanti declinatorie si vede conceduta a Donna Vincenza Comitino, vergine di Ragusa [il] 28 febraro del 1716; e l'altra a Donna Isabella Bonanno Duchessa di Castellana ingannata, o sedotta da qualche stravagante Curiale, sotto il quattro Aprile del medemo anno. Egli reca stupore per altro non dire, la impropria spiegazione delle lettere spedite in favor di Donna Vincenza Comitino, in cui si legono quelle parole Vegine privilegiata decliando ogn'altero foro ed eligendo quello di detto illustre Amministrador Generale e sua Corte Superiore

Alle quali sono simili l'altre opposte nelle lettere per la Duchessa di Castellana. Per dare un rimprovero ad un atto turbativo di simile natura, non farebe bisogno di tener più a lungo questo discorso appoggiato su la disposizione della raggion comune e delle sacre costruzioni di questo Regno, così denominate dai riferiti autori. Ne pur su gl'esempy che si ritraggono dagl'archivy della Gran Corte che verranno colligati all'altre scritture. Ma basterebbe una sola fede giurata data in iscritto dall'archivista di Modica Ippolito d'Amico al Commissario Generale Barone di Lorenzo, spedito nel contado per provare l'usurpamento di tante altre supreme Regaglie mentre codesto ufficiale in facia a quel governatore, per non screditare la pubblica fede di quell'archivio, fu forzato da stimolo della verità e dall'obbligo della propria carica, far un attestato solenne col giuramento di non aver trovato quell'archivio letture 145


simili declinatorie spedite dall'amministradori del Contato, e della Corte Superiore, ma solamente della Reggia Gran Corte, e ciò attesta avendo prontamente visitato gl'atti dell'anno 17000 sin a tutto il 1713 in cui la provvidenza divina fe' passare questo Regno nel dominio del Re nostro signore Vittorio Amedeo di Savoia. Ora che siamo al fine di questo articolo pria di far cammino all'altre strane procedure del novo Amministratore del contado ci sia lecito di far un riflesso su quanto egli tante volte ha replicato e scritto, di doversi osservare i privilegy del contado, ed i trattati d'Utrecht, circa il mantenimento delle cose nello stato in cui trovavasi nel tempo della pace stabbilita, affinché ogn'uomo savio cui saran date a leggere i nostri, ed i di lui scritti, possa ben vedere che le novità siano provenute dal nostro canto.

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Articolo Terzo --------------------------------------------------------Delle dilazioni e moratorie, che non possono i feudatari concedere come Regaglie del Supremo Prencipe. --------------------------------------------------------Abbiamo sentito da poco tempo in qua la nova pretesa dell'Amministratore di Modica che possa egli concedere a quei vassalli debbitori le dilationi ed altre moratorie, che ancor in lingua materna sotto nome di giudatici soglino in Sicilia impetrarsi, per i debbitori civili, colle quali vien sospeso a creditori l'uso de' i loro contratti,ed impedito l'esercizio delle azzioni esecutivi che da quei gli nascono, converrà dunque ancor scrivere su questo punto benché non meriti lungo esame. Non crediamo che possa egli appoggiarsi su la disposizione della raggion commune peroché i rescritti di simili dilazioni o moratorie furono riservati all'Imperatore e può concederli quel solo Prencipe che gode ne i suoi dominy le raggioni di sovrano impero. Sotto al titolo delle preghiere che devono offerirsi all'Imperatore vi è scritta una legge di Costantino come un avvertimento ad un precetto dato ad Antonio Severo Prefetto Pretorio, in cui se gl'impone di doversi allora dar adito alla pretesa del supplicante quando quella moratoria o dilazione di tempo venga concessa col rescritto dell'Imperadore l.2: Cod: de Prencib: Imper: offic: Quoties rescripto nostro moratoria prescriptio permittitur aditus supplicanti Pandatur

Non si considera la condizione di chi ricorre o di chi supplica, se sia diretto vassallo del supremo Prencipe, o immediatamente suddito dei i lui feudatary, ma solamente la sovrana autorità di chi ha il potere di concedere simili rescritti; l'Imperador Teodosio ed Onorio ne scrissero un positivo avvertimento ad Antonio Isidoro, Prefetto Pretorio, oggi compilato come una delle leggi sotto al titolo sopra riferito acciochè non debba considerarsi ne pur la condizione se sia uomo libero o servo di chi porge le preghiere, ma sol se venghi dall'Imperadore accordato il rescritto; ciò per dare ad intendersi quanto sia incompetente adogni'altra podestà il poterlo concedere. P. Universis 6: od de

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Precib: Imperat: Offer

Quell'altissimo Imperatore, di Perugia nel suo sommario conciso, così ci spiega il proprio senso del testo. Non refert a quo sin imperatum dummodo a principe sit concessum

Sopra un fondamento di tanta sodezza basterebbe redarguire ogni feudatario che volesse ingerirsene, come usurpatore di suprema Regaglia, mentre non si trovi un privilegio scritto che glie lo permetta. Tutti i giuristi che finora han scritto delle dilazioni e moratorie attribuiscono al solo Prencipe l'autorità di concederle. Rebuff: Pratt: de lit: delat: artic:p.° glos: p.A n°6 et9 Guglielm. Ancarat:de rescript: et Morat: concl: 11: n 5 Sanfelic: decis: 305: in fine fenzon: ad stat: urb : Cap: 262 n°21: Arias de Mesa Var: resolut: lib:3: cap: 41: n°26. Antonell: de temp: legal: lib:2 cap: 62: n°21:25 Leotard: de usur: quest: 88 Id vero Principem concedere posse compertum est ex l. cod: de : Precib:

Il Presidente Tesauro sul fine della sua decisione cento ottanta sei parlando di dilazioni annali e quinquennali e di altere materie reputate come indubbie de' debitori morosi, lascia un positivo insegnamento che simile potestà di concederle, non sia competente a i vassalli, che in Sicilia sentiamo per i Baroni, e Feudatari, ma che tocchi alla sola autorità suprema del Prencipe. Thesau: decis: 286: n°9: Hecautem Potesta solis principalibus concessa est, non autem vassallis, ipsi enm loco judicum sunt ideoque pro ut cettri judices previores dilationes cedere possunt nam alias principem recurrendum erit.

Ogn'altro Prencipe inferiore come sia Duca, Conte, Marchese e simili cui dal sovrano sono state concedute terre castelli e feudi in investitura, anche coll'uso della giurdizione, non può usare di simile Regaglia di far grazia à i debitori concedendogli dilazioni o moratorie; mentre dal senso delle leggi comuni sopra 148


riferite chiaramente si vede che ciò tocchi privatamente all'Imperatore, ed in conseguenza à i Principi che tengo le raggioni dell'alto impero ne' loro dominy de' quali non riconoscono del mondo altro superiore che Iddio. Paolo de Castro, uno de quattro interpreti di somma intelligenza, lo spiega magistralmente, e vien riferito dall' Apicella. Apicell: de di lat: quinquennali Tit:2: n2: così dicembre Unde Paulus de Castro in s.:p° ss qui magistatum n°9' f dixit quod qui recognoscunt supreriorem ut sun duces marchiones et aly hanc dilationem gratiosam concedere non possunt, solum enim qui non recognoscunt superiorem potestatem hanc habent, illi enim omites qui de facto non regonoscunt superiorem sed regonoscunt semetipsos absque vicariatu iperatoris, sed proprio quia abtinere principatum supremum in corum territorio et loco principis habentur, possunt sicunt princeps han dilationem concedere. Salgad: Labyr: credit: p°2 : cap :30 : n° 3 Castill: Solom: lib: 8: de alienat: cap 52 a° n° p° et segu: ubi Mell: addit Stayba: de Intemus: lib: p: quest:2: n° 55

Sarebbe necessario a coloro che vogliono contradire di produrre un privilegio in cui gl'antichi Re di Sicilia abbino dato ai Baroni e feudatari entrati a sostener simile pretesa una espressa facoltà di usar simile Regaglia riservata alla Reggia e Suprema Autorità, ma finattanto che non sarà prodotto un privilegio di tal tenore, sarà forza ch'ognuno lo confessi e lo reputi da usurpatori. Peroché le concessioni de' feudi e de' meri misti ancorché generalissime non sono bastevoli a far trasferire né concessionari quelle Regalie e prerogative che sono dell'alto impero del Prencipe, che concede oltre a quanti ne abbian riferito nel precedente articolo, potran rivedersi al proposito. Apicella de dialt: quinquennal: in Allegat: 23 n°7 fol. 78: Ut dicitur in principe concedere terras et status infeudum baronibus, nnquam concedisse videtur ea quell'archiviosunt de alto imperio, et ad preheminentiam carne eius ossibus affixa, quibus se expropriare non potest. Mastrill: de Magistr: lib: p°

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Cap: 12: 1'n°0 49: versic. vel dicat ad n°52:

Sarà degna veramente ad esser qui trascritta la spiegazione di codesto molto autorevole giurista Siciliano Velut dixit idem Menocch: loc: p° cit: civitatis oppidum vel castrum it donatur, et alienatur ut nullum penitus dominium nullaque superioritas remaneat apud principem donantem et alienantem nam tunc regnum nell'antecedente provincia dicitur multu fedi ut tradiderun Bald: Nam supremus princeps non potest in totum alienare et as e abdicare aut expropriationem facere dignitàtis jurisditionis, et territory sed tantum concedere omnimodam jurisdictionem et utile dominium salva superioritate, recognitionet fide. Scitun in hoc casu etiam stante amplissima conessione non veniunt reservata supreme potestati, se ea tantum que possun convenire communiter cuilbet inferiori iure suo, et sic tamquam esset dominus vel tamquam rex aut prineps.

Nella copia del supposto privilegio del Conte di Modica, non solo manca potesi leggere una positiva ed espressa concessione di tal suprema Regaglia, ma ne pure trovasi una clausola cui possa darsi senzo anche storto per poterla sentir compresa. Or dunque secondo i senzi delle leggi comuni bisognerà d'unire l'inviolabile osservanza continuata in Sicilia per tanti secoli successivi, non trovandosi un autore siciliano che ammetta l'uso delle dilazioni e moratorie graziose a qualsiasi barone o feudatario, affermando tutti essere una grazia da compartirsi dal solo Prencipe, come una suprema Regaglia. Mastrill: decis: 26 n° p° et de Magister: lib: 3: cap:4 n° 434 Grass de excep . Except: 32 n° 22: 17 Ball: ad pragm: tit: 26: Pragm: p°: ibi Dilationes isteque conceduntur ex sola gratia, solus princeps concedit non inferiores Mut : super d° Pragm: n°22 fol 293 Carus: Glosse: super Pragm Duc: serm: in Prehem. Gloss: 2: °89:90

Molti degli antichi Re di Sicilia, Aragonesi e Castiglini ed Austriaci lasciarono 150


scritte constituioni peculiari perché le supreme Regaglie toccanti alla corona, ed alla persona del solo Principe rimanghino sempre illese. In serenissimo Re Martino nel parlamento generale tenuto in Catania l'anno 1395; tempo molto vicino alla concessione del contado, che si suppone l'anno 1392; stabbilì una legge oggi compilata nelli capitoli del Regno al capo 34 in cui comanda che le Regaglie toccanti alla corona dovessero esattamente osservarsi ne da ciascuno offendersi, che vuol dire usurparsi. Quapropter regales preeminentiaset prerogativas antiquas ut sane memorie pro ut sunt nemora, saline, maris, et alia regalia ad culmen nostrum de jure spectantia illesa ab ominbus iubemus observari.

Per impedire in ogni tempo ai Baroni che non possono abusarsi de' loro privilegi, facendone una distensione all'uso della dilazione e moratorie, riservate al solo Prencipe, né possono prescriverle o dire d'averle prescritto. Il Re Alfonzo il magnanimo, il savio, scrisse una costituzione la più pregnante che possa leggersi fra tante savissime leggi da lui penate e disposte, fu ella stabbilita in un Parlamento celebrato in Palermo l'anno 1433 il diciotto del so' Regnare e la di lei forza deve prendersi solamente dall'Alta podestà del Re legislatore, ma dal consenzo di tutti i feudatari convocati ed intervenuti nel parlamento fra i quali intervenne il Conte di Modica. Abbiam giudicato di notar questa circostanza pria di trascrivere le parole della costituzione, affinché non posa dirsi di averla ignorato il Conte Caprera, ma più tosto debba confessar sich'egli tacque senza farne alcun reclamo, conoscendo non averne egli avuto di tal Regaglia concessione alcuna, non potendo esser stato scordevole del privilegio del Contado avuto quarant'anni prima. Ecco le parole della costituzione oggi posta al capo settanta uno delle prime leggi del Re Alfonzo Hac nostra generali lege, per omnia regni loca valitura statumus et ordinamus comites, barones et feudatarios delicto aliquo, vell debito fatigatos affidare seu assecurare non posse.

Questi affidamenti per i debbiti civili sono le moratorie di cui parliamo. Consuetudine licet longeva que corruptela consendaest, privilegys sub quacumque verborum forma emanati quibus nosre Rei pubblice beneficio, etiam si opus fuerit ex certa scientia et potestate regia legibus absoluta erogari volumus non obstantibus.

Se alcuno cui non fusse noto lo stile de nostri Parlamenti dubitasse della pubblicazione ed aniettamento della riferita legge potrà leggere essere ella seguita 151


e scritta appie dell'atto del parlamento stipulato per e mani del Protonotaro del Regno. Lecta fuerun predicta capitula per me Leonardum de Bartolo meo Prothonotarium et Logotenentum in Sala Magna terranea Regy Hospity felicis urbis Panormy pregacto eccellentimo domino Rege nostro regio solio sedente, presentibus ibidem prelatis, comitibus, baronibus ollateralibus doctoribus Alysque quampluriis in numro copioso, die 24 juny 12: indis: 1433 Regnique dicti Serenissimi Regi nostri decimo octavo

Contro le disposizione di codeste legi Municipali niun Barone o feudatario potrà dire d'aver prescritto, o tentare di voler prescrivere la suprema Regaglia delle dilazioni moratorie e guidatici mentre non solo gli mancherebbero i requisiti necessari a produrre una legitima prescrizione come sarebe la bona fede per corso d'un lunghissimo tempo superiore alla memoria d'un uomo che in Sicilia dovrà essere di cento anni e la scienza e Prencipe, ma incontrerebbe l'intoppo di tante leggi rinovate per preservare dall'usurpazioni le Regaglie supreme. Nel fine del decimo sesto scolo dell'anno 1598 furono rinovate per ordine della Maestà Filippo Secondo le antiche costituzioni di sopra riferite, ed il vigore delle leggi comuni, con una pragmatica ch'oggi trovasi compilata al primo volume sotto il titolo 16 al numero ventidue. In quella vediamo tanto vigorosamente prohibito à i Baroni l'uso della Regalia che ancor dicesi non essere assolti i contraventori delle prime leggi delle pene incorse. Sarebbe troppo lungo l'inserirle qui distesamente a ci conteneremo di rapportarne poche linee. Nobilibus regio eiusdem principibus ducibus marchionibus comitibus, come sapete spetta solo a sua maesta il concedere moratorie, dilazioni e guidatici supercessorie reluendi e fidemaggy per debiti civili.

Parla quel provvido Viceré Duca di Maqueda e conseguentemente a noi che tenghiamo in questo regno il suo luogo, si che vogliamo credere che in ciò non sarete intromessi per non contravenire alle leggi comuni municipali ed altre ordinazioni che vi sono e quando si avesse fatto non vi assolviamo dalle pene incorse.

Ed al contrario noi oltre gl'attestati di tutti gl'autori siciliani che rapportano l'osservanza continuata uniforme alle riferite leggi e costituioni Mus: super: prag:12:tit de dilat: e rescript: n°10:11 Ball: super pragm: p° tit: 26 n°5 Abruzz: lit pratt l. p°A tt

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de off. Eius quest: 39 n° 574 et sequ. Muta ad cap: 456 Afflit n° 92

Faremo conoscere delle scritture estratte dall'archivio della Gran Corte, oltre l'uso generale che privativamente ad ogni Barone ha fatto il Viceré per via di detto magistrato, la particolare osservanza delle dilazioni e moratorie concedute à i vassalli del contado di Modica a relazione della Reggia Gran Corte. Questo è lo stato in cui nel tempo della pace stabbilita trovasi il Regno di Sicilia, le Regaglie toccanti le suprema reggia autorità e le preminenze del magistrato collaterale che si è la Gran Corte. Onde non sappiamo dove possa riferirsi il continuato apporto a i privilegi antichissimi del contado, ed a i trattati i pace circa ciò che appartiene a le Regaglie qui finora esaminate, scorgendosi manifestamente da chi farà un solo riflesso a presente discorso, come mancando il tenore del privilegio, e l'osservanza legitimamente prescritta alla pretesa novamente svegliata dell'Amministradore, non possa egli appoggiarle a i trattati, che sempre a noi cerca d'apporre, mentre quelli nulla innovano lasciando il contado riservati nel proprio essere.

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Articolo quattro --------------------------------------------------------Del benefitio della cessione di beni e dilazione quinquennale toccante concedersi dal solo Prencipe per via della Gran Corte. --------------------------------------------------------Ha creduto d'aver qualche ragione l'amministradore del contado di Modica nel cominare l'uso di questa regaglia, concedendo ai debitori decotti il benefizio ella cessione di beni e della dilatione quinquennale nella forma stessa usata da i signori Viceré di questo Regno che stando in luogo del Prencipe regnante mentre trova fin dal tempo degl'antichi Imperadori romani introdotto il miserabile remedio di soccorrere i debitori mancanti nelle loro sostanze e resi inabili al pagamento de' i debiti civili, vedendo che senza nuna special riserva sia compartita ad ogni magistrato la potestà di giudicare i casi e concedere le ragione da doversi concedere per giustizia un soccorso cotanto extremo, osservante bensì le forme prescritte da i legislatori di quelle otto leggi che lasciarono scritte, ed oggi si vedono compilate nel codice nel titolo Qui bony cedere possint L. 1 ad 8 cod: qui bony cedere possint

E' veramente secondo la disposizione della ragion commune che troviamo nel titolo codesti due miserabili beneficy si considerano di giustizia , non come dilazioni, che per grazia si concedono dal Prencipe supremo, e perciò potranno essere del conoscimento dell'ordinaria giurisdizione d'ogni magistrato anche inferiore. Constant: ad stat:urb: tit: de ces: bon: ann:50: art 1 Ball ad prag: lib: 5: prag: tit: 16: n.s. Coravit: tit. 287 Abruz: leg: 1: dig: de off: eius quod : 38:n 141: et seq.

Più su questo punto non ci sarà opposto, essesi conosciuto dal Re Giovanni qualche disordine nella maniera di concedere le quinquennali, e che con una constituzione prammaticale scritta l'anno 1459 a 28 ottobre abbi provvisto sopra la forma da doversi osservare a tenore delle riferite leggi communi, aggiungendovi 154


anche qualche provvisione particolare ne' casi che si ritrovi rinunciato a tal dilatione nello strumento ove vi sia contratto il debito; ma che nulla abbi diminuito della giurdizione de' magistrati inferiori, anzi espressamente confermata sotto quella clausola. Mandantes per easdem magnificio et nobile magistro justitiano, eiusdque locum tenanti judici locum tenenti judicibus agne Regie Curi pretori et juicibus felicy urby Panormi et omibus et sigulis ditti Regni officialibus quod de cetero dilationes quinquennalynisi servata forma in presenti nostro jurisenucletione et declaratione concdere non audeant. Pragm. I tit: 16 de dil: et rescript: Cap: Regis: Ioannis 24

Ma per ora tralasciamo quanto moltissimi autori servono anche secondo i sensi della ragion comune di doversi concedere dal solo Prencipe la cessione di beni e le quinquennali esclusi affatto l'uffiziali, ed i Baroni, come si potran vedere ne qui sotto citati De Angelis de Uffic: Baron cap: 10: n°1: Altimar de nullitat sent: part: I rubrica nona quest: 184: alias 23 n. I ad 5: fol. 529

Mentre che dovrebbe avertisi d'esser considerate come introdotte per grazia dell'Imperatori, secondo ci danno ad intendere le parole del testo della l. fin: cod: qui bony cedere possunt cum solito more a nostra Maestate petitur ut ad miserabile cessionis bonorum hominis veniant auxium Altimar: loc: cit. Capitblanc: De baron tit. 12 cap: 42 n: 17: Novarius de gravam : vassall: gravam. 386 n: 5

Veniamo alle leggi particolari del Regno, in cui si legge espressamente definito essere del conoscimento della Gran Corte come collaterale del supremo Prencipe anche il suffragio della cessione de beni. Il serenissimo Re Alfonso nell'anno 1446 diede un esquisita appliazione col conseglio de' più periti giuristi a riformare gli usi disordinati dei procedimenti

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giudiciary, a riparare l'inconvenienti che frequentemente venivano originati, e scrisse molte leggi circa il rito giudiziario da doversi osservare sì nella Gran Corte che in ogni altro magistrato ad esempio di quella. Il capo 190 delle leggi d' Alfonso che in ordine alle concernenti al rito suddetto, corrisponde al capo 95, espressamente vediamo ditterminato, che avanti la Gran Corte debba istituirsi il giudizio della cessione di beni, ed ove alla non fusse presente nel loco del giudizio, si proceda da quel magistrato inferiore a commissione della suddetta Gran Corte, qual poi dovrà venire informata. Tit: cap: 95: alias 190: inter: cap: leg: Alfonsi Cessionis tamen huius modi non concedentur, nisi citata parte in Magna Curia et in loco ubi petitur cessionem fieri, si vero non sit in loco, committatur Magistrati illius loci, quod citata parte iuxta formam predictam cessionem concedat vel Magna Curia informat pro ut Magna Curia opportunus videbitur.

Non poteva punto contradirsi alla disposizione del cennato rito da i Conti di Modica circa quanto potea portar diminutione poiché al di lui mero misto le leggi rituali furono per il pubblico favore del Regno stabilite col contentamento di tre bracci, che formano il parlamento di Sicilia, e nel baronale intervenne a dar il proprio vedere e consenso il Conte di Modica ò per se ò per il procuratore, perciò fu introdotta l'osservanza di conoscersi i riferiti giudici della Gran Corte. Cumia : rit: 95: n: 30 Tertio noto, ibi (Magna Curia) quod magna curia ola cognoscis de ha cessione bonorum et non aliuis magistatus, quoniam si est in loco ipsa cognoscit et si non est in loco, committit magistrati illius loci et qui per alium facit per se ipsum facere videatur.

Dovendo essere il rito esercitato da tutte le corti poiché ricevette il consenso di tutto il Regno, e de ' tre bracci, che lo rappresentano come un corpo mistico Castill: dec: 11 à n: 47 Nam respondetur quod capitula Regni, et presertim in modo procedendi osservantur etiam in Curys ecclesiasticy quia sunt condita per tria Brachia. Cumia super rit: ord°: sup. cap: 40 n: 269 Giurba dec. 116: n 1 e sequed altri riferiti da Grosso ad prag: com: castri ss 13 à n:13

Delle costituzioni posteriori del Re Giovanni al capo 24 niente po' dirsi derogato dalla pregnante et matura disposizione del rito d'Alfonso, però che la sola 156


mentione che vediam fatta de' i magistrati inferiori circa la maniera da osservarsi nel giudizio non gl'aggiunge la giurdizione che eragli stata tolta, ma più tosto suppone le cessioni avanti loro dimandate à commissione del supremo Magistrato. Ed il preservare la forma del giudizio non importa accrescimento di giurdizione ove questa per una legge espressa del rito eragli stata per innanzi sospesa, per le parole del capitolo 24 del Re Giovanni Supplicat totius Regni Universitas sacra celsitudini tanti principy, quod dignetur quo de cetero neque moratorie neque quinquennales neque cessiones bonorum concedi debeant a quoris magystratu, nisi post contractus debitoris casum aliquem fortuitum legitim debitores probaverint

Avrebbe dovuto astenersi il dottor Ballo nel loco citato di sopra di correggere quel tanto riguardevole scribente, et interprete del rito siciliano Giuseppe Cumia per quel che disse di toccare privatamente alla Gran Corte la cognizione delle cessioni di beni; come in effetti Mario Muta Dottor Siciliano non molto pratico dello stile de' magistrati come giudice della Gran Corte nel principio del passato secolo, si meraviglia del'audacia di Ballo

Mut: sup: prag: 1 de: tit: et recript: n. 11 et parcat mihi dominus Ballus dum infert arguendo Cumiam dicentur quod sola Magna Regia Curia possit condere cessiones bonorum, quia realiter ipsa sola, et non alius ad mittit ad hoc beneficium Muta: tit 17: de cess: bon:

In quel loco egli cossì dice asseverantemente Solius ipsius Princips et Magna Curie est admittere ad hoc flebile et miserabile cessionis bonorum remedium. Ideoque absit dicere quod inferiores possint admittere ad hoc obseque litteris et commissione ipsius Muta sup: cons . Pan: cap: 57 n: 1 Magretti ad prag: Ducis serm : Arag: 26 observ: 6n:1 Gross: ad const: prag: Comiti Castri parag: 40n:4

Il prattico dottore Abbruzzo di poi haver scritto qual che cosa per li Baroni, così conchiude coll'osservanza Abruzz: lect: prat: leg 1 ss de off. Eius quest: 38n:564 Hec tamen opinio licet de iure sit venior, attament in Regno non est usurecepta obtinent enim littere ab O.V. et M.R.C directue officialibus ut servatis servandis componunt creditores minoris summe ad concursum

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quinquennalis dilationis, que praxis congruit pragmatis dominiducis Macquede.

Anzi parlando della cessione di beni riferisce la pratticata osservanza di questo Regno d'esser del privativo conoscimento de Prencipe e della Gran Corte Abruzz: loc: cit: quest: 39: tota et n: 582 Tenendo han secundam opionem, quam usus et praxis receperunt et in numero finali sed tu ne recedas a secunda opinione, que in praxi servantur

Or aggiungeremo alla riferita disposizione rituale, oltre l'antica osservanza di quei tempi, di cui ne donano l'autorevole attestato li riferiti giuristi siciliani, la più recente et ultima pratticata ne' nostri tempi qual viene autenticata da infinite scritture estratte dall'archivio della Gran Corte. Mancheremo di produrre solamente le scritture de' i principi del passato secolo, qual sia eseguito uniformemente dagl'ordini sopra ciò rinovati dal Viceré Conte di Castro, circa l'anno 1616, mentre incontriamo vary accidenti accaduti nel trasporto delle vecchie scritture da Palermo in Messina, e da un luogo ad un altro, di poi dal terremoto dl 1693, che fa manchare l'archivio della Gran Corte di molti antichi documenti conservati ne' passati secoli. Ma dalla posteriore l'ultima osservanza contro i Baroni, e peculiarmente contro del Contado di Modica, possa ben dirsi sufficientemente provata la privativa giurisdizione della Gran Corte come collaterale del Prencipe, circa le cessioni, e le dilationi di cui abbiam parlato. Converrà finalmente convincere che ciò vuol contradire, con una fede giurata dell'archivista di Modica, Don Ippolito d'Amico, in cui afferma aver visitade scritture di quel archivio dal 1700 a tutto l'anno 1713 senza che abbia potuto rinvenir una simile altra cessione di beni, o di dilatione quinquennale spedita dal governatore di Modica o dalli passati amministratori, o sia Corte superiore di quel stato ma bensì d'averne trovate molte spedite dalli Viceré di rispettivi tempi per via della Regia Gran Corte. Voglia per dar fine al presente articulo l'attestato di detto archivista spiegato nel tenore che segue. A die primo january 1700 seque et per totum mensem decembry 1713, in eius non invenio letteras cessionis bonorum, et dilatinis quinquennalis emanatas ab Illustrissimi administratori generalibus ditti comitatys neque a curia superiori comitatys nec ab illistrissimi gobrnatoribus, nec alis ministis et officialibs eiusdem comitatus.

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Sicuti etiam perquisitis mattys scripturarum a die primo january usque et pertotu mensem decembry 1713 inveni litteras cessioni bonorum et dilationy quinquennalis emanatus ab excellentissimus Proregibus per viam tribunalis Magna Regia Curia sedis civilis.

E doppo averne molte individulmente numerate e riferite soggiunge et quam plurimas alias qu non calendantur expresse

Dal tenore di cotesta fede scorgerà ogni uno la verità di quanto noi sopra dicemmo, circa l'osservanza mai alterata rispetto all'uso di questa regaglia e sopra giudicare se qualche clandestino giudizio di cessione di beni o dilazione quinquennale istituito avanti agli ufficiali di Modica, o di una sua Corte superiore come dice l'amministradore averne pronti a produrne gl'esempi debba prevalere la pubblica osservanza portata da tante lettere della Regia Gran Corte, esequite nel contado senza richiamo del governatore o d'altri ufficiali, cui appartenevasi il doverle contradire. L'ultimo stato è ancor questo, concernente le dilationi quinquennali e le cessioni di beni, che anche colla clausola (lapide non tanto) toccante al solo Prencipe di dispensare, è arrivato a voler introdurre il nuovo amministraore del contado, con tanto innovamento del proprio essere, in cui trovasi nel tempo della pace segnata in Utrecht.

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Articolo quinto --------------------------------------------------------Della potestà di aggraziare i delitti toccante al solo Prencipe Sovrano. --------------------------------------------------------Non vi è Regaglia della riservata sovranità del Prencipe che dovrebbe custodirsi maggiormente, che quella cui deriva la potestà di far grazia ne' delitti che vengono puniti di pena corporale, se ella potesse usarsi da i Baroni e feudatari col solo privileggio del mero misto impero, sarebbe un aprire la strada ad inconvenienti senza numero. Se sarà dunque obbligo del Prencipe che non rimanghino impuniti i delitti dovrà ugualmente invigilare che i vassalli delle baronie e feudi venduti o donati siano puniti delle loro colpe colle pene portate dalle leggi, senza che venghino per grazia rimesse o diminuite. Mentre ciò può solamente egli fare coll'uso della suprema autorità. Senza d'un special rescritto del Prencipe non può ciascuno rimettere le pene proscritte contro i Rei, fu questa una sentenza del jurisconsulto Paolo nella legge acta, de re iudicata. P. Acta ss de aplianda ff. de re iudicata de ampliada vel minuenda pena damnatorum post sententiam dictam sine princpali authoritat nihil est statuendum

Onde a i feudatari non è lecito di far grazie che delle sole pene pecuniarie loro toccanti potendo rimettere il proprio interesse non già le pene che seco trassero l'infamia del reo o la pena di corpo. Bart: l. Acta ss de amplianda emputo in qualiber alio adcuius bursam pena imposita pertinet et sum comites et barones qui habent regalia in aliquo loco sed penam infamie vel aliam non pecuniariam non possunt. Clar: ss final: quest: 59:n: 2 addit: ad eundem clar: n°31:32 Giurb: Consil: 74 n°8 Isern : tit: que sint: regalia n 35 col: 2 Hodiern: contr: 30 n°p° et 2 Abbruzz: l. p° ff de Offic: eius quest 29: n° 269 ubi plures

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Le concessioni del mero misto impero non sono atte a trasferire ne' Baroni la facoltà di rimettere i delitti per grazia essendo sentimento comune de' i giuristi, che tal potestà sia delle Regaglie appartenenti ai principi supremi che godono delle raggioni d'alto impero ne loro stati. Thesau: decis: 21: ibi Osasc: decis: 202 n° p° Mut: super cap: Reg: Alfonsi 256 n° 85

Ed in conseguenza non si senta mai communicata à i feudatari colla sola investitura e privilegio, ancorché contenghi un investimento generale delle regaglie non potendo sentirsi delle Supreme, come al Prencipe riservate. Lo disse in primo luogo la glossa nella legge sopra riferita insegnandoci che le parole del rescritto debban essere speciali perché portino seco la potestà di far grazie. Gloss: l: Acta ss de amplianda verisic: sint Principali Quid ergo si Principae Rescriptu fuerit allatum, idest Impetratum super hoc. Respond non ei credam nisi dicat non obstante alia lege. Add ad Clar: ss Final: quest: 59 versic: item n°30 Anna Cap: p° de Vassal: decrep: etat: n° 234 Hodiern : Const : 30 n° 3 Mut: decis :44 n°25

La facoltà giurdizionale communicata dal supremo Prencipe nella concessione del mero misto impero, riguarda solamente il potersi giudicare da i Baroni sopra i loro vassalli nelle cause civili, e criminali l. Imper: ff de Jurisdict:omniu juicatum de Angelis de Offic: Baron: uest 251 n°. p°

Non potrà dunque importare una potestà di comporre, o rimetter le pene de i delinquenti e criminosi. Poiché li rimettere sopra la legge, della cui osservanza può esser solamente disciolto il Principe supremo, che ha la raggione di fare un altra legge. Conobbero i primi nostri padri nelle sacre scritture che sia facoltà di distrugger la legge e il rimetter le colpe e possa solo risedere nel Supremo Re ed appresso S. 161


Marco al capo settimo vediam scritta quella ammirevole interrogazione Quis est hic qui etiam peccata dimittit, unde dimittere pecata est supra legem et non subege. p. relegati ff. de Pen: de Angelis loc : cit: n°2 Hodiern: ubi supr n°8 dove dice si quidem per merum imperiu in facinorosos homines animadvetendi potestas tribuitur ut inquit jurisisconsultus p. imprium ff de jurisd: cons: judic: f. Non autem remittendi pens seu faciendi gratias cum hoc sit quid distintum ab imperio residens in personam regis ad decoram sue persone et legittima extante causa remittit penas delictorum et proptera in privilegius hodie ponantur prerogative iste indilgendi et competendi. Mastrill: de Indult: cap:2 n°4 Osasc: decit: 202: in fine.

Non mancano degl'autori che scrivendo in favor de i Baroni giudicarono nel privilegio del mero e misto imperio sentirsi compresa la facoltà di far grazie verso i delinquenti. Ma sempre la più commune opinione fu creduta la contraria per le raggioni da noi considerate, eccetto che e i privilegi vi fusse una special concessione di poter accordare coi rei colle composizioni delle pene e loro remissione, come nel Regno di Napoli quasi universalmente si osservano i rescritti dell'antiche concessioni de meri misti imperi fatte dal Re Alfonso, con aver aggiunte quei Baroni le quattro lettere arbitrarie solite concedersi. E pure dagl'autori neapolitani vien ristretta la facoltà communicata a i Baroni per potersene solamente servire pria che sia cascata la sentenza sopra i facinorosi, mentre poi d'esser quella proferita, non può sentirsi essergli stata dal Re communicata la podestà di distruggere la sentenza contro la disposizione della legge comune. Potranno rivedersi sul presente punto. Franch: decis: 370 Montan: contr: 69: n°80 et ss. Hodiern: Const: 30: per totum Luc: ad franch: decis: 370: n. é et 2 Ut aly adduntas

Ci siamo spinti a scrivere su questo punto poiché come un grave attentato troviamo assolto per grazia un reo adulterio che con gravissima ingiuria d'una fameglia rimasta invedicata fu sciolto dal carcere senza che sul processo criminale 162


cadesse una piccola punizione. Il

giorno

21

luglio

dell'anno

1716

comparve

questa

provvisione

dell'amminsitrador di Modica, con tanto abbuso del mero e misto del contado, ed usurpamento delle regaglie del Prencipe. Giunse egli sino a farla comparire in scritto con frase mai d'altri tempi usata: Con conoscimento y esamen delas informaziones, que se refierem, tengo por en che el supplicante sea luogo solvado da la prison en que se ella y absoluo por grazie que la ago se en algo fuere inculpado.

Simili abbusi non devono tolerarsi in pregiudizio della suprema autorità del Prencipe, cui solo è permesso d'aver simili assoluzioni ai criminosi, massime incolpati di delitti che deve punirsi con pene corporali ed alter la relegazione. Oltre a questo abbiam scritto, bisogna far conoscere lo strano innovamento che oggi vol sostenere l'ammnistradore, dalla fede dell'archivista di Modica, che ancor visitato con somma attenzione quel'archivio, e rivolte le scritture dell'anno 1700 fino a 1713 non poté rinvenire una sola grazia conceduta a i rei del contado da passati amministadori o governatori.

163


Articolo sesto --------------------------------------------------------Della podestà di delegare e spedir commisari esecutivi incompetente à i feudatari di Sicilia. ----------- --------------------------------------------Una delegazione spedita novamente dall'amministradore di Modica cascataci nelle mani ha dato il motivo i scrivere brevemente su l'abbuso di tal podestà, quantunque prima sia stato scritto particolarmente circa le improprietà e le dissonanze nella maniera di scrivere le lettere delegatorie. Ne i processi criminali fabricati dal commissaro generale Baron di Lorenzo spedito in Modica con piena potestà datagli dalla Gran Corte, e dal Conseglio Patrimoniale, se ne trova uno fatto apposta per far conoscere l'abbusive procedure in cui di giorno in giorno erasi inoltrato l'amministradore. Onde converrà per non ridire quanto si è detto, di rapportarsi al sommario di detto processo, dove si leggeranno le incompetenti iscrizzioni in capo alle lettere, le improprietà della maniera di scriverle, e di drizzarle à le dissonanti comminatorie aggiunte appie di quella delegazione. Rimarrebbe qui di discorrer su l'articolo in raggione se sia lecito a i Baroni, e feudatari di Sicilia delelgare la giurdzione havuta in forma di mero misto impero, col spedite delegati da un luogo ad un altro benché compreso nelle proprie baronie. Ma troppo ci vediamo sollevati dall'obbligo di esaminar giuridicamente questo articolo da una positiva constituzione, che a questo medemo fine fu scritta in Sicilia, come una legge pragmaticale , durevole, e da doversi osservare per tutti i tempi e perciò stabilita e publicata col riconoscimento ed autorevole voto del Sacro Conseglio. Ella definisce in modo di legge cui fin ora non ha osato alcun d'opporsi fin dall'anno 1648, in cui fu publicata, sotto l'avveduto governo del Cardinal Tribulzio, che stava in luogo di Viceré, che vien Barone o feudatario, che abbi i feudi privileggi d'usar giurdizione, possa spedir delegati o commissari sia per cause civili o criminali. Il titolo, ed il sommario di questa costituzione basterebbero a spiegare. Il titolo dice: 164


De exequtione ad litera et destinatione delegatorum baronibus prohibita.

Ed il sommario spiega concisamente quanto va contenuto nel tenore perciò lasciamo di trascriverlo diffusamente. Barone prohibentur destinare Algozirios, Commisarios et Delegaty contra vassallos, tam pro cause civili, quam criminali, ac etiam exequtiones ad litaras decernere.

Accioché non possa alcuno de' feudatari allegar distinzioni di privilegi, per sottrarsi della giusta disposizione di detta pragamatica, si leggono espressi tutti quei magistrati cui per prudente fine, o perché raffigurano in qualche modo la giurdizione della Gran Corte, non venne prohibito l'uso di delegare, e spedire commissari. Potrà leggersi nel sommario l'eccezione degl'uni, che fa comprendere sotto la lege tutti gl'altri non eccettuati. Jus autem expediendi supra ditta competit tantum Magne Regie Curie, Tribunali Reggy Patrimony et Conistory, Deputati Feudorum, Curie Magistri Portulani , Magistri Secreti, Auditoris Generalis, Magni Admiratus , Judicibus Monti Pietatis et Hospitaly Magni Fidely urbi Panormi.

Non potrà dire altra raggion sua difesa, chi contadice questo punto se non che sentirsi sottratto all'osservanza delle supreme leggi del Regno, cosa dissonante, che non è lecita dirsi per il solo contado di Modica, essendo ancor questo uno dei cospicui feudi dati col solo utile dominio al Conte Caprera dal Re Martino sotto la riserva positiva del diretto ed alto dominio del Re, soggetto al militare servigio, al giuramento di fedeltà, ed al dovuto omaggio come tutti gl'altri. Non è poi vestito Contado sudetto di qualche mero misto che contenghi potestà espresa di spedir delegati, e commissari esecutivi non legendosi nel privilegio claosole che lo dicano o che produchino consenso implicito simile effetto. Ed essendosi sempre riputato come tutti gl'altri, non venne eccettuatala sua girdizione nella riferita pragmatica, come quella del grand'Alimrante del Regno, Duca di Terranova, per quel che riguarda l'uso della giurdizione del mare. Se poi vi sarà giurista che vogli sostenere un sofisma, di non poter il Re moderar gl'abbusi, sì prevedere alla retta direzione del governo colle nove leggi sotto il colorito pretesto, che quelle vengino da diminuire l'uso de meri misti già molti tempi addietro venduti o donati, sia lecito di rapportarci a quanto verrà scritto nel seguente articolo sopra le costituzionie antica, et ultimamente riservata da Sua Maestà che riguarda i furti commessi da i banditi ed assassini delle campagne.

165


Articolo settimo --------------------------------------------------------Della potestà di far nove leggi, inseparabile dal Supremo Prencipe, anche sopra i feudi alienati col mero misto imperio. - - - - - - - - -- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - La più suprema prerogativa de i Prencipi, che non riconoscono in questo Mondo altro superiore che Iddio, è stata sempre quella di far nove leggi e di publicar statuti in tutti i casi e circostanze di tempo, che il publico benefizio del stato li ricercasse. Leg: tanta 2 ss sed quia c. de ut: jure enucl:

Questa regalia è di tanta Altezza che non può ad altri communicarsi essendo stata communicata à i soli Re da Dio, acciò possino ben regere e governare i lor popoli, lo legiamo in uno de' proverby del sapientissimo Salamone al capo ottavo Per me Reges regnant, et legum conditores iuxta decernunt Leg:m2 ff. de legib.

Fu perciò creduta da tutti la Potedestà di far leggi e statuti una Regalia personalissima de i Re, inseparabile dalla corona unita al proprio essere radicata nella sostanza dell'anima del Principato, qualità unita a quella Reggia Maggioranza ed Autorità che risiede solamente nella Sacrata Persona del Prencipe, e da molti spiegata il sacrato di sacrati, ed il dritto più proprio della Maiestà Bald: in proem: feudor: Kloctio de Contrib: cap: 3 a n 333 Bodin: lib I de Republica cap: 10 n: 153

La natura di codesta eminentissima prerogativa, che noi diciamo Regalia Maggiore, la rende incommunicabile à i vassalli, ed impedisce i trasferirsi coll'investitura de' feudi, ò concessione di meri misti, per non diminuirsi i supremi dritti di Maestà Bodin: l. I de Repub: cap: 9 n° 123 Knipsikldt: de Privilegys lib. L 2 cap 4 n 29

Per non dilungare più del bisognevole il presente discorso sopra la verità di questo assioma che non potrà convalidarsi da chi che sia, che abbi letto le Sacre Scritture, e tante leggi communi de' domani, riferiremo solamente una costituzione di 166


Federico Imperatore Constit: Imperat: Fideric: de Pace: constant: § volumus la que specialiter ad nostram excellentiam spectant, et Maestati ita coherent ut as ipsa nullo modo avelli possint, ita ut ubi maestas, ibi et hec quoque sint necesse sit.

Da ciò proviene che qualisia claosola distesa nella maggior ampiezza nelli transferimenti de' meri misti, ancorché dichi d'ogni giurditione, e d'ogni dritto, non possi comprendere le regalie di prima Gerarchia che sono le maggiori e personalissime delli stessi Prencipi, e proprietà reggie della loro persona. Luc: de penna in leg: I cod: 7° versiculo sed pone rex lib: 12 cod: Constant ad statuta Urb: t: I in prelud: a n: 3 et n: 24 Anguian: de leg: lib: 2 contr:12 per totum et n° 3 e 7 Molin: ad Constit : paris: tit: I de fief: parag: I gloss: 5 ver 60 les fief n°53

Onde rimanere nel Prencipe stesso il dritto di far nove leggi sopra i feudi conceduti a qualsivolglia Barone, e che questi sino tenuti ad osservarle Muta sup cap: regy Martini cap. 10 tot: 3 n° 81 ad 85 Caruso Glossim : ad prag: ducis Sermonete in proemio gloss: p° et gloss: 4

Non niego per quanto abbiam creduto alcun autore l'uso della podestà di far nove leggi generale che anche comprendano i feudi venduti ed alienati, ma qualche piccola controversia si vede caduta sopra l'applicattione della pena portata dalle stesse leggi, e statuti novamente pubblicati, e su questo punto tutti affermano di toccare anche al supremo Prencipe il commodo delle pene, ove le leggi nove siano publicate per il publico bene di tutto lo stato, ò pure in conseguenza delle supreme regaglie che sono riservate Curd: consig: 152 Menoch: consig: 604 n° 41 Galesta conctrov: 54 a n: 44 Gobb: consult: 102 n° 4 5 6

Non lascia tuttavia l'amministradore di Modica di contradire à quanto sopra è stato brevemente accennato, volendo de facto e senza fomento d'alcuna ragione 167


sottrarre il contado dalli osservanza di quella constituzione publicata l'anno 1687 per special comando del Vicerà Duca D'Ossada, per la conservazione del publico commercio del Regno, interrotto e perturbato dalli ladri di Campagna, in cui viene disposto che tutti i capitani di Giustizia delle Città, e Terre, del Regno debbano pagare à i derubati il prezzo delle cose rapite, sotto altre pene che tralasciamo di pienamente trascrivere. Pragm: 2 ss 4: 5 tit : 29 de furtis et rapin: tit: 3 impres: per Giusin:

Qual vedesi confermata da Sua Maestà colla particolarità espressa nella Regia ordinanza drizzata alla Gran Corte nell'anno 1714 à 14 giugno. E' veramente da recar maraviglia ad ogniuno il sentire questa novità ultimamente pretesa, ed il vedere farsi incontro ad una pragmatica stabilita col solo riflesso del publico benefizio del commercio di Terra, che si legge universale per tutti i luoghi del Regno, come se fusse il Contado di Modica una provincia à parte, e non feudo conceduto in utile dominio al Conte Caprera, sempre rimasto nella soggettione della suprema è Regia Autorità del Concedente. Rivolgendo gli occhi addietro fino al principio, in cui fu publicata la cennata pragmatica nell'anno 1682 nel Regnare del Re Catolico Carlo Secondo, non vedimo alcun riclamo dal canto de' i Conti di Modica, in quel tempo tanto considerati nella Corte di Madrid, e da i Governadori del Contado residenti in Sicilia si diede un osseguiosa esequitione, come era il dovere, ad una legge che essendo universale per tutti in un Regno, non portava eccezione alcuna di feudatari, ancorché godessero de più favorevoli ed amplissimi privilegy di mero misto Impero. Trovansi nell'archivio della Gran Corte continuata di tempo in tempo le lettere degl'Uffiziali e Capitani di Giutizia delle terre del Contado in cui davano l'avviso de' furti accaduti né loro territory, a tenore dell'obligo ingiontogli dalla Gran Corte per l'esatta osservanza della riferita pragmatica. Una osservanza cossì uniforme al dovere si vidde seguita in tutto il Regno, havendo tutti i Baroni conosciuto, che ben la reggia podestà esercitata dal Viceré di quel tempo col voto de' supremi Ministri, potta ingerirsi né loro feudi e territori col stabilimento d'una nova legge che sia universale, ed applicata al publico benefizio. 168


Mastril: de Magistr: lib 4 cap 16 n: 240 248

Maggiormente che di raggion'erano tenuti i baroni stessi mantener sicuri da i ladri i loro territory per la libertà del commercio, e quiete de' vindanti Luc: de penna l. annonay cod: de prepos: milit: Burgos de Bar : leg : 3 taur: n 453 et altri riferiti da Mastri: nel loc: cit: 213

Dall'anno che ebbe origine la legge tanto giusta, e tanto provida l'anno 1713 habbiamo raccolto l'osservanza degl'uffiziali del Contado, ancor compresi quell'anni scorsi di poi a devoluzione de feudi per la fellonia dell'ultimo Conte Almirante di Castiglia. Nel tempo poi del felicissimo soggiorno di Sua Maestà in questo Regno l'anno 1713 e 1714 sexta Ind.e troviamo anche continuata l'esequtione della cennata costituzione, rinovata col reggio comando per invigorire l'osservanza e colligate saran rimesse la e copie e fedi authentiche del archivista della Gran Corte, e del Secretario de'ordini della medema. Or trovandosi il contado per dritto di ragion divina et umana, soggetto alle leggi universali del Regno, come ogn'altro stato e città di Sicilia in feudatari a i Baroni, e pria della pace stabilita tenuto nelle mani dell'amministratori del passato governo, con tutti i riconoscimenti della suprema giurdizione della Gran corte, anzi col intervento ne i Parlamenti al passo generale de' donativi, ed alle contributioni come ogni altro feudo, del militar servizio nelle contingenze delle passate guerre, non potrà da se venir scusata una novità che oggi ved'attaccare il presente amministratore, mentre ne il ricorso ai privilegi di Modica, ne la claosole del suo mero misto, che sempre esagera, senza mai produrle in forma autentica, ne i capitoli di trattati di pace conchiusi in Utrecht, potran giovare o pure sotrarre un feudo dato in utile dominio dalla podestà Regia del sovrano e della suprema giuridizione de di lui collaterale. + Illustre Presidente Don Casimiro Drago + De Nicolis Consultore + Avvocato Fiscale Perlongo + Virgilio Avvocato Fiscale

169


Bibliografia G. Barone (a cura di) La Contea di Modica (secoli XIV – XVII), II. Voll., Atti del settimo centenario, Catania 2006. S. Candela, I Piemontesi in Sicilia 1713-1718, Caltanissetta-Roma 1996. G. Chiaula, Il Regime Comitale di Modica nel rapporto con la Corona, Modica 2006. A. Lo Faso di Serrafalco, I Piemontesi in Sicilia. L'assedio di Messina (luglio-settembre 1718) in «Studi Piemontesi» II (2003). G. Modica Scala, I Tribunali nella Contea di Modica in «Archivium Historicum Mothycense» II. (1996). R. Pirri, Sicilia Sacra, disquisitionibus et notitiis illustrata...Editio tertia emendata et continuatione aucta cura et studio s.t.d.d. Antonini Mongitore (Rist. Anast. 1733), Sala Bolognese 1987. G. Poidomani, Storia di una querelle politico-diplomatica. La Contea di Modica nel periodo del governo sabaudo in Sicilia (1713-1720), in «Archivium Historicum Muthycense» III (1997). G. Raniolo, La Contea di Modica nel Regno di Sicilia. Lineamenti storici, Modica 1993. L. Riccobene, Sicilia ed Europa (1700 – 1815), III Voll., Palermo 1996. E. Sipione, I privilegi della Contea di Modica e le allegazioni di G.L. Barberi, in «Archivio storico per la Sicilia orientale» LXII (1966), Fasc. II. R. Solarino, La Contea di Modica, II Voll., Ragusa 1973 (Rist. An. 1885).

170


V. E. Stellardi, Il Regno di Vittorio Amedeo II di Savoia nell'Isola di Sicilia, Torino 1763. Materiale d'archivio Consultato Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, Fondo Paesi, Sicilia, Inventario II, Categoria IX, Mazzo I, Fascicoli 2, 4 e 11.

171


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Articles inside

fiscali Perlongo e Virgilio divisi in sette articoli

1hr
pages 128-171

Documento II - Relazione fatta dal Conte di Robilant Consultore al Viceré

29min
pages 111-127

Cattolica in Sicilia

20min
pages 97-110

Documento I - Articolo V del trattato di Utrecht

1min
pages 85-86

3.3 Una valutazione in conclusione

4min
pages 81-83

3.2.7 Il Re è il solo legislatore

7min
pages 77-80

3.2.6 Il Re solo può delegare la giustizia

3min
pages 75-76

della dilazione quinquennale

12min
pages 66-71

3.2.5. Un Conte non può aggraziare i delinquenti

5min
pages 72-74

3.2.2 Il Re tutela i miserabili

7min
pages 58-61

3.2.3 Solo il Re può concedere dilazioni e moratorie

7min
pages 62-65

3.2 A difesa delle giurisdizione sabauda

1min
page 51

3.2.1 Un Re deve tutelare i suoi sudditi

11min
pages 52-57

2.3 Epilogo: L'invasione della Sicilia ed i nuovi negoziati

8min
pages 39-43

1.2.1 I Chiaramonte (1296 – 1392

10min
pages 8-12

1.2.2 I Caprera (1392 – 1480

9min
pages 13-17

2.2 La perdita del Regno

4min
pages 37-38

1.2 La Contea di Modica (1296 – 1812

2min
page 7

2.1.1 Vittorio Amedeo, Re di Sicilia (1713 – 1718

7min
pages 26-29

1.2.3. Henriquez de Caprera (1481 – 1703

7min
pages 18-21

2.1.4 Un conflitto irrimediabile

2min
page 36

Introduzione

2min
pages 4-5
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