A partire dal 1960 prende forma una mappa, nettamente strutturata, dell’Europa “cremazionista”: con la Gran Bretagna, troviamo i paesi scandinavi (Norvegia, 20 per cento; Svezia 26 per cento; Danimarca, 30 per cento) e l’Europa Centrale (Svizzera, 24 per cento, Repubblica federale tedesca 12 per cento, Cecoslovacchia, 24 per cento), nucleo dell’Europa settentrionale riformata intorno al quale si delinea una serie di profili di transizione (Paesi Bassi, 4 per cento, Austria 6 per cento, Finlandia, 4 per cento) alla frontiera dei paesi cattolici del rifiuto. La chiesa cattolica del tempo ha nel frattempo mutato atteggiamento, ammettendo la cremazione dopo il Concilio Vaticano II; ma le abitudini sono rimaste. Ai lentissimi progressi riscontrabili nell’universo cattolico (0,44 per cento dei francesi nel 1974) si contrappongono avanzate spettacolari là dove lo sfondo era acquisito: nel 1974 il 45 per cento di cremazioni nella Repubblica democratica tedesca, il 41 per cento in Svezia, il 40 per cento in Cecoslovacchia e il 37 per cento in Svizzera attestano che le cose sono cambiate molto velocemente, e non soltanto in Inghilterra. Malgrado le differenze essenziali, tra i sistemi anglosassoni rimane, grazie alla loro organizzazione liberale, una sostanziale complicità. Senza voler entrare nella complessità dei differenti modelli continentali, è indispensabile domandarsi in quale misura la commercializzazione all’americana del viaggio della morte abbia conquistato la Vecchia Europa. (Vovelle, 2000:628) Certo, se si legge Il Sistema di Morte Americano in cui Jessica Mitford nel 1964 rappresenta un’etnografia del tutto commerciale delle strategie di marketing degli 76