Asia
Franco Fracassi
Piccole e grandi guerre per gestire le risorse Biskek, Kirghizia. 24 marzo 2005. Il centro della città è attraversato da quindicimila manifestanti, tutti con una sciarpa rosa al collo e un tulipano giallo in mano. Solo undici giorni prima si son tenute le elezioni parlamentari. La folla protesta contro il presidente Askar Akajev, accusato di averle truccate. Il giovane Edil Baisalov marcia alla testa del corteo. È felice. Edil ha studiato negli Stati Uniti grazie a una borsa di studio concessa dal Governo di Washington. Adesso lavora per il National Democratic Institute, presieduto dall’ex segretario di Stato Madaleine Albright. Ufficialmente Edil aveva il compito di reclutare osservatori indipendenti per monitorare le elezioni. In realtà reclutava giovani per la rivoluzione. Una rivoluzione pacifica, ma pur sempre la rivoluzione. La storia politica di Edil è cominciata nel dicembre dell’anno prima. Baisalov era stato inviato in Ucraina per seguire i retroscena della rivoluzione arancione ed imparare. Delle sei settimane passate a Kiev ha conservato un ricordo stupendo. «Sono stato laggiù un mese e mezzo per
conto del National Democratic Institute. Dagli ucraini ho imparato tantissimo. Erano veramente organizzati. Questa è una sciarpa arancione, poi c’è il cappelletto, la maglietta, e perfino l’impermeabile e l’ombrello. Avevano veramente pensato a tutto. Ed è quello che faremo pure noi. Questa volta il colore è il rosa», aveva raccontato Edil appena tornato dall’Ucraina. La rivoluzione vincerà. Il 4 aprile Akajev si dimetterà, lasciando dopo quindici anni il potere. Tre episodi sono sufficienti a spiegare che cosa è accaduto in questo remoto Paese, che si estende all’estremità settentrionale della catena himalayana, tra Cina e Kazakistan. 13 gennaio, periferia settentrionale di Biskek. Sede della Coalizione per la democrazia. Edil tiene un discorso davanti a una quarantina di ragazzi: «Il Presidente americano Bush ha detto: “Tutti coloro che vivono oppressi dalla tirannia non saranno mai dimenticati dagli Stati Uniti”. L’America è dalla nostra parte». Al termine del discorso viene proiettato un filmato, gentilmente donato da «un simpatizzante americano», dal titolo “Come rovesciare un dittatore”, ovvero la storia del movimento serbo Otpor, quello che ha costretto alle dimissioni il Presidente serbo Slobodan Milosevic. Subito dopo prende la parola una ragazza. Mentre parla viene distribuito un manuale. Sulla copertina c’è scritto “Dalla dittatura alla democrazia”. Il libro è edito dalla Freedom House, un’associazione con sede a New York che si occupa di libertà e democrazia nel mondo. «Questa è un’arma potentissima. Spiega come si fa a rovesciare un regime dittatoriale senza violenza», racconta. 14 marzo. Quindici chilometri a Sud di Biskek. Ai piedi del monte Tian Shan, che raggiunge i 4.800 metri, oltre una palizzata verde sorge un campo di golf a nove buche. La sede del club è costituita da una casa di legno, stile baita di montagna spartana. Al centro della stanza principale un tavolo rotondo, intorno al quale sono riunite tre persone: Mike Stone, 52 anni, ex giornalista ora a capo della Freedom House kirghiza; Brian Kemple, 48 anni, in Kighizia da quindici, gestisce l’ufficio locale di Usaid, l’agenzia statunitense per lo sviluppo; David Greer, avvocato, 42 anni, è qui per insegnare ai Kirghizi i pro e i contro dell’economia di mercato. I tre rappresentano le principali organizzazioni statunitensi che operano in questo Paese. La discussione è animata. Pare che il Governo abbia tagliato l’elettricità alla tipografia gestita da Stone, dove vengono stampati i manuali distribuiti nel corso della riunione della Coalizione per la democrazia. Le elezioni si sono