Inoltre Birmania/Myanmar
146
“Elezioni farsa per un Paese ancora troppo lontano dalla democrazia. E intanto la popolazione Karen continua ad essere oppressa”. I commentatori politici di tutto il mondo le hanno già battezzate elezioni farsa. Si terranno il prossimo 7 novembre, 20 anni dopo le ultime “legislative” che il Paese ricordi: quelle che furono vinte dal Premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi e dal suo partito. E nella farsa c’entra proprio lei, che non potrà partecipare a al voto con la sua Lega nazionale per la democrazia. A determinarlo la legge elettorale che, a grandi linee, nega l’accesso agli ordini religiosi, attivisti democratici e in generale a coloro che hanno partecipato alle manifestazioni o pronunciato parole offensive nei confronti delle autorità, nonché chi ha subito una condanna politica. Non possono, infine, iscriversi ai partiti i dipendenti statali. L’Onu ha fatto i conti e stimato che “grazie” a questa legge saranno 2100 le persone che non potranno partecipare alle elezioni. Una norma che, di fatto, lascia fuori gran parte dei quadri politici della Lega Nazionale per la democrazia: troppe le condanne subite dai suoi. Gli Stati Uniti, L’Europa, l’Onu e le nazioni asiatiche, tutti avevano chiesto libere elezioni e la possibilità per tutti i partiti e le persone di partecipare. Ma ancora la situazione del Paese, lamentano i politici birmani, è troppo lontana dall’interesse internazionale e comunque tutto quello che viene fatto è troppo poco, se si rischia di vedere perpetuare, con queste legislative, una dittatura. Dittatura che affonda le radici nel passato. Nel 1948 il Paese ottiene l’indipendenza dalla Gran Bretagna. Da quel momento si insedia una giunta militare che reprime ogni tipo di libertà individuale e deporta i civili con origini diverse da quelle birmane. Sono 35 le minoranze del Paese. Inevitabile la nascita di conflitto tra il
Governo militare e diversi movimenti separatisti armati dall’altra. Nell’estate del 1988 si registrano gli episodi più violenti di repressione: decine di migliaia di persone si riversarono nelle strade e nelle piazze per protestare contro la politica economica attuata dal Governo. L’esercito spara sulla folla inerme e disarmata, i morti sono centinaia. Una dura repressione che infiammò l’estate di quell’anno e che non impedì al Governo a indire nuove elezioni. Fu in questa occasione che si venne a creare il fronte di opposizione politica che vede in Aung San Suu Kyi la sua esponente più nota e autorevole. Nel maggio del 1990 si tengono le elezioni, i militari perseguitano e intimoriscono, arrestandoli in molti casi, i leader politici e i candidati delle opposizioni. Aung San Suu Kyi è tra queste. Attualmente vive, a quasi venti anni di distanza, agli arresti domiciliari. Alle elezioni del 1990, la Lega Nazionale per la Democrazia ha ottenuto l’80% dei voti, ma il Parlamento non è mai riuscito a riunirsi. Il Governo militare ha continuato con la politica della repressione, soprattutto nei confronti delle minoranze. La popolazione Karen, la più diffusa in Myanmar, è in guerra con quella birmana dal 1949, per la costituzione di uno stato indipendente nel Nord Est del Paese. Solo negli ultimi anni, più di 100mila persone hanno dovuto lasciare il Myanmar e cercare rifugio nei campi profughi dell’Onu in Thailandia.