Azione 17 del 24 aprile 2023

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SOCIETÀ

Le donne nella storia della scienza sono state importanti ma invisibili, un libro aiuta a riscoprirle

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TEMPO LIBERO

Un viaggio in Umbria, con Hotelplan e «Azione», sulle orme del Perugino

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Il deserto di Foucault

ATTUALITÀ

La storia del concetto di neutralità tornato al centro del dibattito con lo scoppio della crisi ucraina

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edizione 17

MONDO MIGROS

Pagine 6 – 7

CULTURA

Radici famigliari e patriarcato nel romanzo Il figlio dell’uomo di Jean-Baptiste Del Amo

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Viva gli orsi e i lupi, ma non sono dei peluche

Nello sgomento per casi come quello del runner ucciso di recente da un’orsa nel Trentino c’è qualcosa che fa a pugni con la realtà. La solidarietà con i suoi cari è sacra e doverosa, la retorica dello scandalo molto meno. Certo, sembra assurdo che un ragazzo di montagna affatto sprovveduto in materia di vita all’aperto e insidie alpine, possa venire tradito dalle stesse forze della natura con le quali conviveva da una vita. Ma, per quanto prestante, un uomo è un uomo e un orso è un orso. Se per qualche malaugurata circostanza il plantigrado lo assale, non sarà il suo rispetto per Madre Natura a salvarlo, ma la fuga (se possibile), il fucile (se ce l’ha) o, meglio ancora, lo spray anti orso (esiste!).

In stato di natura prevale la legge del più forte. Abbiamo dimenticato che gli orsi, i lupi e le altre specie animali non domestiche non sembrano una minaccia solo perché dove viviamo noi

non vivono loro e viceversa. Mentalmente li abbiamo anestetizzati e umanizzati, li abbiamo resi creature innocue e simpatiche per il semplice fatto che non ce li troviamo mai davanti. Siamo come bambini: l’orso è parente del dolce Winnie the Pooh, il lupo dello squinternato Lupo Alberto, il leone di Alex, il felino vanitoso di Madagascar.

I nostri antenati avevano idee più chiare. In Cappuccetto rosso il lupo sbrana, democraticamente, nonna e nipote. E anche se oggi attribuiamo alla fiaba una morale simbolica (occhio ai malintenzionati – chessò: ai pedofili – che si travestono da persone per bene), nella civiltà rurale la storia poteva tranquillamente indicare che il pericolo non è solo metaforico e la bestia, se le schiacci la coda, può anche reagire da bestia. La crescita della popolazione di certe specie animali selvatiche ai margini dei conglomera-

ti umani non rappresenta solo un successo della biodiversità, ma anche un potenziale pericolo per noi. Capiamo le ragioni di chi li difende, argomentando che aggrediscono raramente e solo se spaventati. Giusto dire che non hanno colpe, sbagliato che dobbiamo accettare come niente fosse qualche spiacevole «effetto collaterale» della loro proliferazione. Amiamo la natura e le sue creature splendide e selvagge. Se però vogliamo davvero rispettarle, non dobbiamo pensarle come se fossero dei peluche. Vero che le zecche (efficaci vettori di borreliosi) fanno più danni alla nostra salute rispetto a specie più spettacolari e massicce, ma sono oggettivamente assai più gestibili. Bene dare spazi a specie nobili e sontuose, ma in apposite riserve, separate dagli ambienti umani. Oppure, se le si lascia uscire da zone circoscritte, come in Trentino, bisogna procedere ad abbattimen-

ti mirati e/o a trasferimenti in altri siti dove gli umani siano d’accordo di averli fuori casa e riescano a gestirli. Il discorso potrebbe estendersi anche ad altri selvatici, come i cinghiali o i lupi, un po’ meno insidiosi se li si incontra, ma potenzialmente problematici per i danni al bestiame e all’agricoltura.

Tifiamo convinti per la tutela dell’ambiente, delle specie rare e della biodiversità, ma non vorremmo che nell’ansia di proteggere tutti i viventi finissimo per rovesciare la scala delle priorità. Lo spirito dei tempi tende a dipingere l’uomo – in parte, va detto, a ragione! – come un parassita del pianeta che prosciuga le risorse naturali per bieco tornaconto, uccidendo piante e animali. Tuttavia, controllare le popolazioni selvatiche in eccesso, se necessario riducendone gli esemplari, ha come obiettivo l’equilibrio tra l’uomo e la natura e non il contrario.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 24 aprile 2023 Cooperativa Migros Ticino
◆ ● G.A.A. 6592 San t’Antonino
Sebastiano Caroni Pagina 13 Carlo Silini
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SOCIETÀ

L’acqua di Revöira

Un itinerario in Valle Verzasca riscopre un ingegnoso sistema di approvvigionamento idrico che permetteva di far fronte alla carenza d’acqua

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Dev’essere un tema di tutti i giorni Ogni anno si ricorda la giornata mondiale dedicata alla salute: in Svizzera si è tuttavia quotidianamente concentrati sulla prevenzione

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La fatica delle scienziate

Genitori e figli

Accompagnare nel percorso di crescita favorendo autostima e autonomia: ne parliamo con la psicologa e psicoterapeuta Gloria Bova

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Intervista ◆ Le donne sono state presenti nella storia della scienza fin dagli albori, ma sono state rese invisibili

Un libro le riscopre, raccontando che la strada verso la parità di genere è ancora lunga

«Fare lo scienziato è un mestiere da uomini»; «le donne mancano di rigore e razionalità»; «alle bambine non piace la matematica». Quante volte abbiamo sentito queste frasi, ripetute come un mantra, al punto da essere considerate incontrovertibili? I pregiudizi che vorrebbero le donne poco propense alle materie scientifiche hanno radici nell’antichità e, nel corso dei secoli, hanno relegato le scienziate nel dimenticatoio. Nonostante le difficoltà continuino, la situazione sta migliorando. Lo raccontano ad «Azione» le docenti universitarie Maria Pia Abbracchio e Marilisa D’Amico e la ricercatrice Cecilia Siccardi, autrici del saggio Donne nella scienza. La lunga strada verso la parità (FrancoAngeli).

Maria Pia Abbracchio, Marilisa D’Amico e Cecilia Siccardi, nel vostro libro scrivete che le donne sono state presenti nella storia della scienza fin dagli albori, ma sono rimaste invisibili. Chi erano queste scienziate?

Elencarle tutte è difficile perché sono state numerose. Le donne hanno contribuito in modo rilevante a molte scoperte scientifiche importanti. La loro presenza, però, è stata occultata. Le donne, infatti, sono state tenute lontane dalle accademie e dai circoli scientifici nei quali avveniva la narrazione delle scoperte. Erano ritenute, già da Aristotele, incapaci di svolgere funzioni sociali che implicassero l’uso dell’intelletto. Tuttavia, nonostante le discriminazioni, non hanno mai rinunciato a partecipare agli esperimenti e allo studio, accontentandosi dei ruoli ancillari. Facevano le disegnatrici di libri scientifici, raccoglievano gli appunti dei colleghi maschi e li approfondivano, sviluppando nuove teorie. Le scienziate non compaiono nei documenti ufficiali e quindi la loro presenza va ricercata scavando nelle fonti secondarie, come ad esempio i diari familiari o i taccuini di laboratorio. Sono pochissimi i nomi famosi, come quelli della matematica Ipazia e di Trotula, che fu la prima medica: la stragrande maggioranza resta ancora dimenticata.

Nel libro ricostruite la storia di alcune donne scienziate meno conosciute, riscoperte di recente. Una di queste fu Rosalind Franklin. Rosalind Franklin è stata fondamentale per la scoperta del DNA. Fu la prima a fotografare la molecola del DNA , la spirale a doppia elica che ricorda una scala a chioc-

ciola. La immortalò usando tecnologie che aveva perfezionato da sola con grande intelligenza. Purtroppo, a differenza di James Watson, Francis Crick e Maurice Wilkins, i tre scienziati considerati i primi veri scopritori della molecola del DNA e vincitori del premio Nobel, Rosalind Franklin non ottenne alcun riconoscimento nel corso della sua vita. Nonostante la comunità scientifica l’abbia sempre marginalizzata, lei lavorò in modo appassionato. Prima di morire, a soli quarantotto anni, Rosalind Franklin capì anche come venivano immagazzinate le informazioni genetiche all’interno del DNA, una delle scoperte più straordinarie mai fatte: il codice genetico.

Perché le scienziate sono rimaste invisibili?

Come in molti altri ambiti, dalla letteratura alla politica, le donne sono state discriminate perché non considerate all’altezza. Fin dall’antica Grecia, si pensava che l’intelli-

genza delle donne fosse diversa da quella degli uomini. Non erano ritenute capaci di logos, cioè della facoltà di ragionamento, ma soltanto di metis, l’astuzia, un’intelligenza più bassa. E questo stereotipo si è trasmesso nelle epoche successive. Soltanto adesso, ad esempio, stiamo comprendendo il ruolo fondamentale che hanno avuto le mogli di alcuni scienziati nelle scoperte scientifiche attribuite esclusivamente ai loro mariti. Pensiamo a Mileva Marić, prima donna ad aver studiato Fisica al Politecnico di Zurigo e moglie di Albert Einstein. L’eccezione che conferma la regola è stata la fisica Marie Curie perché nella sua famiglia non c’erano preconcetti di genere, i rapporti erano paritari. Per la famiglia Curie la scienza era una pratica che doveva essere accessibile a chiunque avesse passione e talento, senza distinzioni. Tanto è vero che sua figlia Irene Curie portò avanti il lavoro della madre e del padre col marito Frédéric Joliot, vincendo il Nobel.

Le scienziate ottengono meno premi dei colleghi uomini. Perché?

Analizzando i dati nell’ambito delle STEM, acronimo di Science, Technology, Engineering and Mathematics, si scopre che le donne vincono meno premi soprattutto nella matematica e nell’informatica. Inoltre, la percentuale si abbassa se il premio è dedicato alla memoria di un uomo. Una delle ragioni, per quanto riguarda la matematica e l’informatica, è che si può partecipare ai convegni internazionali soltanto su invito e così le donne vengono escluse. Nel mondo scientifico è fondamentale andare alle conferenze per avere un dialogo con i colleghi e per essere riconosciute come parte della comunità ufficiale. Per i premi si viene prese in considerazione in base ai convegni, ai report online, ai libri e all’impatto mediatico. È drammatico considerare le pubblicazioni scientifiche internazionali dal 1993 al 2005 e constatare quante poche scienziate vengano citate nei paper. Il pregiudizio riguarda tutti: le donne stesse citano di più

i colleghi a discapito delle colleghe perché ritengono i maschi più adatti alla scienza.

Quali sono le principali difficoltà che le donne incontrano oggi nel mondo scientifico?

C’è stato sicuramente un miglioramento rispetto al passato. In tutti i Paesi europei è aumentato il numero delle immatricolazioni nei corsi universitari scientifici. Alla facoltà di medicina, in media, le iscritte sono la metà del totale e in alcuni Paesi superano il 50 per cento. Restano tuttavia alcuni settori come l’ingegneria e l’informatica di dominio quasi esclusivamente maschile: le ragazze li evitano perché pensano di non essere in grado di farcela. In generale, va sottolineato che le scienziate scontano gli stessi problemi del resto del mondo del lavoro. A pesare, perciò, ci sono la maternità, considerata penalizzante, e la mancanza di role model, di modelli nei quali identificarsi. Ce ne sono sicuramente di più rispetto al passato, ma non sono ancora abbastanza.

● ◆ 4 Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 24 aprile 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino
Le donne hanno contribuito in modo rilevante a molte scoperte scientifiche importanti, sono state però tenute lontane dalle accademie e dai circoli scientifici. (Nacional Cancer Institute/Usplash) Stefania Prandi

Scegliere tra mille strade

Giovani e formazione ◆ Crescono le proposte per affiancare le famiglie e i ragazzi nella ricerca di una formazione postobbligatoria, tra poco sarà in funzione anche un furgone interattivo

Stefania Hubmann

Quale via formativa imboccare dopo la quarta media? Un interrogativo cruciale per ragazze e ragazzi al termine della scuola dell’obbligo, un momento impegnativo e a volte complicato per i genitori che li accompagnano nella loro scelta, una sfida per il settore della formazione in grado di offrire molteplici possibilità non sempre conosciute. Ai giovani si aprono mille strade ed è proprio questo il nome scelto per il progetto pilota promosso quest’anno da tutti i partner della formazione professionale in Ticino con il sostegno delle associazioni dei genitori attive a livello cantonale e nelle Scuole medie. Presentato dal Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (DECS) lo scorso mese di febbraio, Millestrade 2023 è concepito come fiera delle professioni diffusa sul territorio lungo l’intero arco dell’anno. Due genitori – madre e padre dei rispettivi nuclei familiari – spiegano come il percorso compiuto dalle famiglie sia facilitato dalla nuova visione messa in atto con Millestrade. Si punta in particolare a porte aperte e stage attraverso i quali è possibile confrontarsi nel concreto con le professioni, molte delle quali innovative.

Il progetto Millestrade

è stato concepito come una fiera delle professioni diffusa su tutto il territorio lungo l’intero arco dell’anno e punta su porte aperte nelle scuole e stage di orientamento

Ogni famiglia e, meglio, ogni figlia o figlio segue il proprio iter nella scelta formativa postobbligatoria. In alcuni casi i giovani sono motivati da precisi interessi coltivati da tempo, in altri provano alcune delle mille strade possibili sulla base di aspettative non ancora ben definite. Lo conferma Elena Mombelli, presidente dell’Assemblea dei Genitori della Scuola media di Pregassona, imprenditrice e madre di tre figli. «Il primogenito aveva le idee chiare sin dalla terza media, prima ancora che noi genitori fossimo pienamente convinti della sua scelta di come proseguire gli studi in economia. Oggi è al primo anno accademico come da lui pianificato». Anche di fronte a una tale determinazione la famiglia può quindi trovarsi nel dubbio, suggerendo, come hanno fatto i coniugi Mombelli, di vagliare comunque diverse possibilità nell’ambito prescelto. «Chiropratico, osteopata, fisioterapista – prosegue l’intervistata – sono invece le professioni verso le quali focalizzava la propria

attenzione il secondogenito dopo aver visionato su Youtube alcuni video legati a queste discipline. Frequentando due stage di orientamento, si è però reso conto che la manualità legata a queste attività non era adatta a lui, in particolare quale impegno professionale quotidiano. Abbiamo quindi riavviato ricerche e valutazioni, finché ha trovato nella Scuola Cantonale di Commercio a Bellinzona il suo obiettivo, in grado di rispondere al piacere di un lavoro di tipo amministrativo».

Un aspetto essenziale, evidenziato da Elena Mombelli, è la possibilità per i giovani di impegnarsi in uno studio o in una formazione che soddisfi le loro passioni, le loro attitudini. Precisa al riguardo: «I genitori sono chiamati a interrogarsi sui desideri dei propri figli, sui loro interessi e sulle loro capacità. Nessuno è preparato in modo specifico a questo ruolo, ma si può apprendere. Purtroppo l’interesse per un simile approfondimento è limitato, come dimostra la scarsa partecipazione alle serate di orientamento proposte ai genitori degli allievi della Scuola media di Pregassona. Un vero peccato, perché questi incontri in presenza offrono spunti molto utili per gestire le emozioni nel confronto con i figli, per capire quali segnali osservare, quali domande porre, come evitare di imporre la propria volontà. L’obiettivo è aiutare i figli a comprendere quale sia la scelta migliore per loro».

Altro punto centrale di questo percorso è la tempistica. Lo sottoli-

nea Elena Mombelli, con un terzo figlio che frequenta la prima media, come pure Enrico Santinelli, rappresentante della Conferenza cantonale dei genitori nel comitato strategico di Millestrade, padre di tre figli. Di professione ingegnere, consiglia di partecipare alle attività proposte da Millestrade anche con i figli più piccoli. «Le bambine e i bambini – spiega il nostro interlocutore – sono curiosi e non hanno pregiudizi. Condurli alle porte aperte delle professioni, stimolandoli a sviluppare interessi e competenze in modo ludico, permette a loro e ai genitori di mettersi alla prova, di crescere insieme e di maturare successivamente una scelta». L’esperienza personale di Enrico Santinelli lo porta a insistere per anticipare anche a livello scolastico le iniziative volte a confrontare allieve e allievi con la futura scelta formativa. «La scelta della via dopo la scuola obbligatoria – precisa – si costruisce innanzitutto in famiglia attraverso il dialogo e abbattendo i pregiudizi che ancora sussistono riguardo all’apprendistato. Personalmente sono felice delle diverse scelte fatte dai miei figli, perché vedo tutti e tre felici nel cercare di realizzare i loro sogni. Per il primogenito 22enne questo sogno passa dal percorso accademico, mentre il secondogenito, che ha dovuto compiere la sua scelta durante la pandemia, si sta formando come polimeccanico. Anche il terzo ha scelto la via professionale per diventare falegname».

Come hanno maturato la decisio-

Il consiglio di genitori che hanno già vissuto l’esperienza è quello di muoversi con anticipo soprattutto per chi è interessato alla formazione professionale. (Pexels)

ne i due figli già inseriti nel mondo del lavoro? Risponde il padre: «Entrambi hanno effettuato degli stage, fondamentali per capire se il lavoro può veramente piacere. Nella Scuola media finora si iniziava ad affrontare il tema delle professioni in terza, sviluppandolo nell’ultimo anno. Dal punto di vista dei genitori il percorso va anticipato soprattutto per chi è orientato alla formazione professionale, in modo da poter giungere in quarta a una decisione tempestiva in vista della ricerca di un posto di lavoro». A questo livello Millestrade offre importanti vantaggi, conferma Enrico Santinelli. «Abbiamo aderito come Conferenza cantonale dei genitori a questo progetto con entusiasmo, perché crediamo che risponda a un bisogno concreto delle famiglie». Con Millestrade si invitano giovani e genitori a scoprire le professioni attraverso diversi canali: porte aperte dei centri aziendali, interaziendali e professionali, eventi speciali, stage di orientamento e, a breve, un furgone interattivo itinerante. L’obiettivo del progetto è anche di fungere da catalizzatore della promozione, coordinandola e facilitando la trasmissione delle informazioni alle famiglie attraverso la Scuola media dove, non va dimenticato, gli allievi possono rivolgersi per una consulenza agli orientatori presenti in sede. Dopo la fiera biennale Espoprofessioni, annullata a due riprese a causa della pandemia e al momento sospesa, con Millestrade il Cantone Ticino si pone ancora una

pubblicità CH-6592 S. Antonino tel +41 91 850 82 91 fax +41 91 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

volta come pioniere nella sperimentazione di nuovi modelli di promozione, informazione e orientamento. Il progetto, nato sotto impulso della Commissione cantonale per la formazione professionale a inizio 2022 proprio a seguito della cancellazione forzata di Espoprofessioni, è stato implementato dalla Divisione della formazione professionale del DECS con il supporto di un comitato guida rappresentativo di tutti i partner della formazione professionale. L’offerta di Millestrade è inoltre completata dalle proposte della Città dei mestieri della Svizzera italiana destinata ad adulti, docenti e aziende.

L’approccio di prossimità favorisce l’insieme del territorio mediante numerosi eventi concentrati in primavera (fino a maggio) e in autunno. La relativa agenda è consultabile sul sito di Millestrade (www.millestrade.ch). Ulteriore asse strategico è la promozione di stage d’orientamento durante gli ultimi due anni di Scuola media. Settore formativo e genitori evidenziano l’importanza per i giovani chiamati a scegliere un indirizzo professionale di vedere all’opera apprendiste e apprendisti e di poter discutere con loro e con i formatori, tutto ciò appunto durante gli stage. Elena Mombelli segnala infine come il Gruppo regionale incontri fra Scuole medie del Luganese (GriSmeL) già da tre anni organizzi incontri online nei quali le informazioni passano direttamente dai giovani che hanno già compiuto qualche anno prima il percorso di scelta agli allievi di Scuola media. Un’esperienza preziosa anche per chi è chiamato a presentare la formazione che sta seguendo, come è capitato di recente a suo figlio.

La formazione professionale in Ticino è oggi ricca e diversificata (oltre 150 professioni) con possibilità di successive specializzazioni e nuove occupazioni legate in particolare all’evoluzione tecnologica. Una situazione che costituisce un’opportunità, ma al tempo stesso può risultare complessa. Per questo motivo la stretta collaborazione fra settore della formazione, mondo del lavoro e famiglie, rafforzata con il progetto Millestrade, è sicuramente un valore aggiunto per aiutare i giovani a compiere la propria scelta con consapevolezza. Per i genitori intervistati l’obiettivo rimane quello di accompagnare al meglio i propri figli nel percorso di scelta senza prevaricarli con aspettative che non sono le loro.

Informazioni

www.millestrade.ch

www.genitorinforma.ch

www.orientamento.ch

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino tel +41 91 850 81 11

Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria – 6933 Muzzano

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azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Abbonamenti e cambio indirizzi tel +41 91 850 82 31 lu–ve 9.00 –11.00 / 14.00 –16.00 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera Fr. 48.– / Estero a partire da Fr. 70.–
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Migros Ticino Reparto
Redazione Carlo Silini (redattore responsabile) Simona
Barbara
Manuela
Romina
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Ivan
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Signor Maglie, quali sono le impressioni dopo otto mesi dall’apertura di VOI Viganello?

In questi mesi il nostro negozio ha dimostrato di essere una risorsa importante per Viganello e per i quartieri limitrofi nel soddisfare al meglio i bisogni di una spesa quotidiana completa dal buon rapporto qualità-prezzo. I riscontri da parte della clientela sono soddisfacenti, abbiamo fidelizzato diversi clienti e, soprattutto, gli abituali clienti Migros hanno riconosciuto nel VOI un’identità di offerta come in tutte le altre filiali Migros.

Cosa caratterizza il vostro negozio VOI?

Il nostro team lavora per cercare di creare un clima familiare all’interno del negozio: il cliente viene riconosciuto e si sente chiamare per nome e, oltre a questo, si cerca di aiutarlo in tutte le piccole e grandi esigenze della spesa quotidiana. Il nostro obiettivo comune è chiaro: massima attenzione alla soddisfazione della clientela, cortesia e disponibilità, con lo scopo di rendere l’esperienza d’acquisto piacevole.

Quali sono i settori e i servizi particolarmente apprezzati dalla clientela di VOI Viganello?

I settori dedicati ai prodotti freschi e regionali, in particolar modo i latticini, la frutta, la verdura e il pane

Benvenuti da VOI Viganello

Attualità ◆ A quasi otto mesi dall’apertura del primo negozio VOI Migros Partner in Ticino, il riscontro da parte della clientela è molto positivo. Ne abbiamo parlato con Andrea Maglie, gerente-imprenditore di questo supermercato situato nel noto quartiere di Lugano

Che tipo di clientela si rivolge a voi?

Direi di un po’ tutte le generazioni e tipologie: anziani, qualche famiglia, lavoratori di passaggio, studenti universitari, single che ricercano praticità e rapidità negli acquisti, così come clienti che apprezzano la varietà e la qualità dell’offerta VOI e la comodità del parcheggio gratuito.

Sono previste delle novità?

In questi giorni stiamo ottimizzando ulteriormente l’assortimento del negozio in modo da ampliare la varietà dell’offerta. A tale riguardo mi sento di ringraziare direttamente i nostri clienti che, con i loro utili spunti, ci hanno permesso di capire meglio come migliorare la scelta con l’obiettivo di renderla ancora più rispondente alle loro necessità di tutti i giorni. Ci siamo maggiormente focalizzati sulle proposte del mezzogiorno e, oltre al pollo al grill e agli snack caldi, abbiamo da poco lanciato una gamma completa di piatti pronti al consumo. Inoltre, presto sbarcheremo sui social proponendo simpatici concorsi e sorprese per tutti e investiremo in attività mirate esclusivamente per i negozi VOI con degustazioni e altre offerte.

Cosa l’ha spinta a lanciarsi in questa avventura di gerente indipendente?

fresco sfornato fino alla chiusura del negozio sono quelli che riscontrano i maggiori consensi. Inoltre, le proposte della «vetrina calda» con prodotti da forno e pollo cotto al grill si sono

rivelati un grande successo presso la nostra clientela che sempre più chiede prodotti per la pausa di mezzogiorno, ma anche la sera apprezza il fatto di poter avere una cena pronta

Freschezza regionale

Da molto vicino

Le fragole dei Nostrani del Ticino sono coltivate a S. Antonino, sul Piano di Magadino, dalla giovane frutticoltrice Sevenja Krauss. Ciò significa che tempi di trasporto brevi e massima freschezza sono garantiti. Appena raccolti a mano, entro 24 ore i rossi frutti giungono nelle filiali di Migros Ticino dolci e succose al punto giusto. Le fragole ticinesi saranno disponibili fino in autunno.

Varietà apprezzate

Le fragole coltivate a S. Antonino appartengono a delle varietà particolarmente apprezzate per le ottime caratteristiche organolettiche, l’aroma intenso e le dimensioni omogenee. La coltivazione avviene principalmente in campo aperto e sotto la copertura di tunnel di plastica. Grazie al tempo mite, quest’anno le fragole sono maturate un paio di settimane in anticipo.

in pochi minuti. Inoltre, la possibilità di completare la spesa quotidiana con bevande alcoliche, tabacchi e servizi chiosco, come ad esempio il lotto, si è rivelata un plus.

Lo spirito d’imprenditorialità: volevo costruire qualcosa di mio e affrontare una nuova sfida professionale. La collaborazione con una grande e apprezzata realtà qual è quella di Migros Ticino è stata determinante. All’inizio non è stato facile ma l’impegno e la voglia di portare qualcosa di moderno e fresco nel quartiere in cui operiamo alla fine hanno portato anche i risultati. Sono orgoglioso di aver aperto il primo VOI in Ticino. Conoscendo già il marchio presente in Svizzera interna, questo mi ha riempito di soddisfazione.

Attualità ◆ Le fragole nostrane della frutticoltrice Sevenja Krauss di S. Antonino sono ritornate sugli scaffali dei principali supermercati Migros Ticino

qualità, il successo è stato quasi immediato. Dal 2019 l’azienda è gestita dalla 24enne Sevenja. «Queste bacche mi hanno appassionata fin dall’inizio poiché si tratta di una coltivazione che richiede più cura e impegno rispetto ad altri prodotti ortofrutticoli».

Rosse tentazioni

Le fragole sono tra i frutti più amati da grandi e piccini. Sono ricche di vitamina C e contengono poche calorie. Sono squisite gustate al naturale, oppure con lo zucchero, la panna, il succo di limone, ma sono adatte anche per la preparazione di confetture, salse, torte, gelatine, gelati, sciroppi e aceti. Da provare anche nel risotto, con l’aceto balsamico e il pepe nero.

Pronte al consumo

ottima

Una volta raccolte, le fragole non maturano più. Dopo l’acquisto van-

no consumate il prima possibile, poiché in poco tempo perdono il loro caratteristico sapore e ammuffiscono. In frigorifero si conservano massimo due giorni, evitando di lavarle. I frutti nostrani sono attualmente disponibili alla Migros nella vaschetta da 250 g e, fra qualche settimana, in quella da 500 g.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 24 aprile 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 6
Tradizione di famiglia La famiglia Krauss si è lanciata nella produzione di fragole da una decina d’anni. Grazie alla loro Sevenja Krauss, orticoltrice a S. Antonino. Andrea Maglie Gerente di VOI Viganello Oleg Magni

Piccoli panettieri per un giorno

Attualità ◆ Mercoledì 10 maggio 2023

dieci bambini potranno partecipare a un divertente pomeriggio in panetteria e creare con le proprie mani golose specialità

Voglia di mettere le mani in pasta? Il prossimo 10 maggio dalle 14.00 alle 17.00 ritorna uno degli appuntamenti più apprezzati negli ultimi anni presso Migros Ticino: il pomeriggio per bambini nella panetteria della casa del Centro S. Antonino. Sotto la supervisione di un esperto panettiere, 10 piccoli fortunati (vedi sotto) potranno infatti dedicarsi alla preparazione di specialità a base di pasta per treccia. Per tutti i partecipanti è anche prevista una merenda al Ristorante Migros.

Come partecipare

Per motivi organizzativi, il pomeriggio in panetteria del 10.5.2023 presso il Centro S. Antonino è riservato a 10 bambini (tra 6 e 12 anni d’età). Per partecipare al concorso inviare una mail a concorso@migrosticino.ch (oggetto: Pomeriggio in panetteria) indicando i dati del bambino (nome,

Freschezza e artigianalità

Nelle panetterie della casa di S. Antonino e Serfontana le abili panettiere e panettieri sfornano ogni giorno oltre cinquanta specialità di pane per ogni gusto e preferenza. Qui dalla mattina alla sera si impasta, forma e cuoce con molta creatività e artigianalità, utilizzando i migliori ingredienti, affinché ognuno possa trovare la propria croccante delizia fino alla chiusura del negozio. Vieni a scoprire l’incredibile scelta delle panetterie della casa.

cognome, data di nascita, cellulare genitori e indirizzo). Termine di partecipazione: domenica 30 aprile 2023. Buona fortuna!

(Il trattamento dei dati avverrà in conformità alla dichiarazione sulla protezione dati: privacy.migros.ch)

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L’acqua e l’ingegno sui monti di Revöira

I monti di Revöira si trovano sul versante sinistro della valle Verzasca, non lontano da Lavertezzo. La zona, in passato sfruttata come maggengo prima e dopo la stagione alpestre, si estende tra gli 850 e i 1000 metri circa di altitudine e comprende, dal basso verso l’alto, i cinque nuclei di al Mátro, Murísc, ar Cisterna, Mött dal Cisternígn e Scima al Córt. È in questo complesso, oltre che nel poco distante monte di Ca d Dént, compreso il Cioss dal Gioachin, che ritroviamo un impressionante sistema d’approvvigionamento idrico, ideato in passato per far fronte alla carenza d’acqua.

Un’insufficienza idrica non è oggi una situazione rara, ma pensare che lo fosse già nei secoli scorsi e per di più in una valle ricca d’acqua come la Verzasca, potrebbe sembrare un paradosso. Ma è la particolare situazione geologica del pendio a determinare effettivamente una difficoltà ad attingere al prezioso elemento che, pur essendo presente, non è di facile accesso.

Su questi monti è quindi stato ideato un sistema per raccogliere l’acqua veramente ingegnoso con, accanto ai pozzi, una serie di grandi vasche ricavate da blocchi granitici, abbinate a sistemi di recupero della pioggia. Testimonianze che, seppur alcuni edifici siano nel frattempo stati abbandonati, restano ben visibili nel territorio. Si tratta di grandi massi scavati a ma-

no, dove veniva raccolta l’acqua piovana per superare i periodi secchi in attesa di nuove precipitazioni. Gli ampi recipienti in sasso si trovano ai piedi di una gronda (un canale solcato nel legno) o di un tetto, in modo che l’accumulo, nei giorni di pioggia, avvenisse in maniera più efficiente. Nelle fasi aride i contenitori garantivano un’importante riserva idrica che, divenendo stagnante, serviva principalmente ad abbeverare gli animali, i quali tra-

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scorrevano qui il periodo primaverile e poi quello autunnale. In totale sono 35 le vasche monolitiche (ossia derivanti da un solo blocco) che ritroviamo tra i monti di Revöira e di Ca d Dént con una capacità complessiva di circa 4800 litri.

A garantire un approvvigionamento dal sottosuolo, dalla falda, c’erano invece sei pozzi, di cui tre visibili lungo l’itinerario etnografico «Revöira».

Il primo lo incontriamo in una piccola

struttura a forma quadrata a Al Mátro e si stima abbia una capacità di 6000 litri, mentre un altro è in una stalla al Mott del Cisternígn (3300 litri). Il più grande è invece visibile nel nucleo di Ar Cistèrna, il cui nome deriva proprio dal termine cistèrn, «pozzo» nel dialetto locale. Con una capienza di 12’000 litri è senza copertura, con una scaletta elicoidale che permetteva di scendere per attingere l’acqua, la quale serviva anche per alimentare la vasca d’abbeveraggio collocata nelle vicinanze. Il sistema idrico di vasche e pozzi, leggiamo su uno dei panelli esplicativi posti lungo il percorso, fu probabilmente sviluppato dal XVIII secolo e permise di praticare l’agricoltura e l’allevamento, altrimenti impossibili in una zona priva d’acqua disponibile. Sull’insieme dei monti di Revöira e Ca d Dént, si valuta che il fabbisogno giornaliero, solo per il bestiame, si aggirasse attorno ai 4’000 litri d’acqua.

L’itinerario etnografico

Sullo spunto di queste particolarità, Il Museo di Val Verzasca e l’Organizzazione turistica Lago Maggiore e Valli hanno ideato un itinerario etnografico che va a toccare l’ingegnoso sistema di accumulo idrico sui monti di Revöira (la guida si trova su www.

museovalverzasca.ch). Il percorso si sviluppa su un anello di circa 8 chilometri, che dai 532 metri di altitudine di Lavertezzo sale subito verso Sambugaro, suggestivo nucleo abbarbicato sulla montagna che, in parte rinnovato, conserva tuttora il carattere rurale. Il sentiero, corredato da pannelli esplicativi nei maggiori punti d’interesse, s’insinua poi nel bosco, prendendo ulteriormente quota. A Scanduràsc’a sono segnalate le rovine dell’antico insediamento, del quale ancora si riconoscono muri e perimetri di stalle, cascine e recinzioni. Da qui manca poco per raggiungere i cinque nuclei dei monti di Revöira, la cui esistenza risale a più di 300 anni fa, come suggeriscono delle date incise su alcuni edifici. La camminata prosegue quindi verso gli altri monti di Cioss dal Gioachin e Ca d Dént, dove ammirare ulteriori vasche monolitiche, ma anche vani sotto roccia (sprügh) e un imponente muro di cinta. In seguito il tragitto scende verso il fondovalle, attraversando una faggeta e terminando dopo 4.2 km in località alla Motta, alla fine di una lunga discesa che riporta ai 629 metri di altitudine della frazione verzaschese. Per rientrare a Lavertezzo si attraversa il fiume e, dopo 3.8 km di cammino lungo il sentiero pianeggiante sul versante destro della Verzasca, si raggiunge il punto di partenza.

8 Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 24 aprile 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino SOCIETÀ
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sistema di accumulo idrico in Valle Verzasca, perché già in passato l’acqua era una risorsa rara, preziosa e vitale
Elia Stampanoni Vasca monolitica per il recupero dell’acqua piovana nel nucleo di Al Mátro (E. Stampanoni)

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Medicina ◆ La giornata mondiale della salute ricorda l’importanza di saperla preservare, anche grazie agli screening che abbiamo a disposizione

Dal 1948, la Giornata mondiale della salute sottolinea l’obiettivo adottato dall’allora neonata Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): «Il raggiungimento, da parte di tutte le popolazioni, del più alto livello possibile di salute».

«Nel nostro Cantone, questa ricorrenza – ndr ricordata quest’anno lo scorso 7 aprile – non viene celebrata in modo particolare, anche perché la salute è un tema di ogni giorno dell’anno, in ogni ambito», afferma il medico cantonale Giorgio Merlani che sottolinea come essa non dipenda solo dall’assenza di malattie e da un sistema sanitario di qualità «bensì da tutta una serie di elementi che la influenzano, come fattori genetici, stile di vita e abitudini: tutti aspetti molto importanti in termini di “capitale” di salute, così come l’ambiente di vita (naturale e costruito), il contesto di lavoro e le condizioni economiche e socioculturali».

Merlani evidenzia l’ampio margine di cui disponiamo per preservare questo bene così prezioso «modificandone alcuni ambiti e influenzando di conseguenza favorevolmente il nostro stato di salute». E a tal proposito «l’Ufficio del medico cantonale si avvale del Servizio di promozione e valutazione sanitaria (Spvs) per offrire a tutta la popolazione del Ticino possibilità e strumenti per prendere le giuste decisioni in merito».

La promozione della salute va ben oltre la «prevenzione» della malattia: sviluppo costante di salute e benessere in generale conducono alla consapevolezza che davvero «prevenire è meglio che curare», ed è molto importante prendersi cura della propria salute prima di arrivare a curare una malattia. Il nostro Cantone è molto attivo anche su questo fronte, spiega Merlani: «Per la promozione della salute la strategia del Spvs sviluppa progetti mirati corrispondenti a caratteristiche e bisogni di salute delle persone, dalla nascita fino all’età molto avanzata, tenendo conto degli orientamenti e delle priorità stabilite a livello federale (Sanità2030), come pure dell’Agenda 2030 dell’ONU per uno sviluppo sostenibile dedicato a salute e benessere».

Lo fa con programmi e progetti ben strutturati: «Consentendo alle persone di investirsi proattivamente per la loro salute; favorendo creazione e mantenimento di comportamenti e contesti di vita favorevoli alla salute; promuovendo la riduzione dei principali fattori di rischio delle malattie non trasmissibili».

Vengono analizzati i dati necessari al monitoraggio dei bisogni e dei principali problemi di salute cui va incontro la popolazione residente in Ticino: «Il servizio conduce due programmi: Programma d’azione cantonale “Promozione della salute 2021-2024” cofinanziato da Promozione Salute Svizzera (progetti inerenti alimentazione equilibrata, attività fisica e salute mentale) e Programma d’azione cantonale “Prevenzione Alcol, tabacco e prodotti affini 2021–2024” (sensibilizzazione per comportamenti consapevoli su consumo di alcol, tabacco e prodotti affini; realizzazione di normative a protezione della salute giovanile e dei non consumatori)».

Merlani pone anche l’accento su un altro aspetto saliente: «Oltre che nell’ambito curativo (ndr che sarebbe da sviluppare in un discorso a par-

te), agiamo pure con il riconoscimento precoce di determinate patologie per mezzo di programmi di screening». Si riferisce al Dipartimento della sanità e della socialità (Dss) che si avvale del Centro Programma di screening Ticino per la promozione e l’organizzazione del Programma cantonale di screening mammografico (dal 2015) e del Programma cantonale di screening colorettale (avviato a inizio 2023): «L’obiettivo è garantire alla popolazione residente in Ticino un equo accesso a esami di diagnosi precoce di qualità ottimale, indipendentemente dal proprio stato socioeconomico, così da riuscire a rilevare tumori in fase precoce, prima del manifestarsi dei sintomi. Ciò favorisce il ricorso a terapie meno invasive, con minori effetti collaterali, e migliora le possibilità di guarigione».

Nell’ambito di questi programmi, in Ticino quello mammografico femminile è un appuntamento giunto all’ottavo anno e riguarda un tumore potenzialmente grave se non individuato e curato per tempo, spiega la dottoressa Amelia Giampietro, attiva come specialista radiologa alla Clinica Sant’Anna di Sorengo: «La Svizzera conta annualmente circa 5900-6000

casi di tumore al seno (ndr in Ticino circa 330-350 nuovi casi all’anno), e si registrano circa 1350-1400 decessi (ndr 60-70 in Ticino). Questo tumore è il più frequente e la principale causa di decesso tra le donne sia in Europa sia in Svizzera; la sua incidenza aumenta con l’età e oltre il 75 per cento è diagnosticato nelle donne con più di 50 anni, mentre la sopravvivenza dipende in ampia misura dallo stadio del tumore al momento della diagnosi: quanto più è precoce, tanto più sono efficaci e meno complessi i trattamenti e le prospettive di vita. La diagnosi precoce, ottenuta con una mammografia di screening, riduce il tasso di mortalità attorno al 25-30 per cento. La buona aderenza della popolazione dimostra che lo screening mammografico è apprezzato».

Per questo tumore non è possibile attuare una prevenzione di tipo primario; tuttavia, è possibile modificare alcune abitudini di vita: «Non possiamo agire sui fattori di rischio come età, genetici, storia personale con precedenti diagnosi famigliari di tumore al seno, ovaio, endometrio o colon, fattori ormonali ed altri ancora, ma si può fare prevenzione miglioran-

Acqua, principio di tutte le cose

do lo stile di vita, lavorando su obesità in menopausa, favorendo una dieta povera di grassi animali e ricca di fibre vegetali, ricorrendo regolarmente all’attività fisica e riducendo il consumo di alcol».

Il tumore colorettale è il secondo tumore maligno più frequente nelle donne (dopo il seno) e il terzo negli uomini (dopo prostata e polmone), spiega il gastroenterologo Claudio Gaia: «In Svizzera si diagnosticano circa 2500 nuovi casi all’anno e la sua incidenza aumenta con l’età (sopra i 50 anni)». La sopravvivenza è relativa allo stadio in cui è scoperto; perciò Gaia mette in guardia sul problema di una diagnosi tardiva del tumore colorettale, per il quale ora esiste un Programma di screening cantonale che permetterebbe di individuarlo addirittura in fase «precancerosa»: «Con la diagnosi tardiva ci si trova poi dinanzi a una malattia localmente avanzata (che comporterà un intervento chirurgico più complesso), e potrebbe presentare metastasi linfonodali (prima difesa locale) o a distanza: a fegato e polmoni». Una situazione che compromette la possibilità di guarigione: «In tal caso, l’investimento per provare a raggiungere una remissione è molto più complesso: dalla chirurgia estesa per togliere tumore e metastasi, alla chemioterapia». Gaia ricorda che l’obiettivo dello screening è quello di evitare il più possibile queste situazioni: «Lo screening è un metodo giustificato nel modo più assoluto, considerando pure il fatto che, fino a uno stadio estremamente avanzato, i sintomi del tumore al colon possono essere sorprendentemente assenti o nulli». Parliamo di «un test per la ricerca di sangue occulto nelle feci (FIT) per donne e uomini da 50 a 69 anni, seguito da una colonscopia di approfondimento in caso di risultato positivo».

Giorgio Merlani, infine, ricorda che il costo degli esami di screening è rimborsato dall’assicurazione malattia obbligatoria ed è esente da franchigia: «La quota di partecipazione del 10 per cento è a carico del Cantone, cosicché gli esami eseguiti nell’ambito dei due Programmi risultano completamente gratuiti per la popolazione».

Parole verdi 2 ◆ Con questo articolo continua la serie dedicata al nostro rapporto con l’ecologia e la crisi climatica

Francesca Rigotti

«Acqua pura di sorgiva / chi ti tocca ti sente viva». Sono due versi di una poesiola, quasi una filastrocca, di Renzo Pezzani, appresa in tempi remoti, allorché a scuola si imparavano le poesie a memoria. Ho deciso di iniziare dall’acqua di sorgente perché ha un carattere di origine, di inizio assoluto. È pura e viva, l’acqua di fonte, più di ogni altra acqua. Sgorga direttamente dalla roccia, ha a che fare con la materia di cui è formato l’uomo, acqua e roccia. L’acqua di sorgente è naturale, appartiene soltanto a chi la raggiunge tra le rocce. Solo in seguito, e non tutta, verrà addomesticata e indirizzata e sfruttata, incanalata in pozzi e fontane, nei luoghi di residenza umana. Il fascino dell’acqua pura e fresca di vita è tale da aver dato luogo alla metafora della fonte come sinonimo di ori-

gine e autenticità. Andare alla fonte delle cose, rivolgersi alle fonti non vuol dire null’altro che volgersi al momento iniziale di un processo: lo sa persino il fisco, che sa dove andare a incassare le tasse: alla fonte! L’acqua di fonte manifesta anche il primo fluire, la direzione che assumeranno ruscelli e fiumi: la direzione del loro andare sarà il senso, il significato di tutte le cose. Se le fonti si inaridiscono, se il fiume si secca, che ne sarà del fluire della storia e degli eventi?

Nella fonte, acqua e origine sono pensati insieme: anzi, Il primo vagito della filosofia è l’enunciazione di Talete. Talete fu un filosofo, anzi il primo dei filosofi, il protofilosofo, quello che cadde nel pozzo ai suoi piedi perché camminava con la testa per aria a guardar le stelle. Di lui ci rimane ben

poco: frammenti, più che altro, tra i quali la prima asserzione della filosofia, che dice: «L’acqua è il principio di tutte le cose». In principio era l’acqua, dice la voce della filosofia. Acqua e origine sono pensati insieme. L’acqua della filosofia è una fonte disponibile a tutti quelli che hanno sete di sapere, che amano la sapienza. All’inizio della filosofia è l’acqua, da intendersi sia come un materiale empirico, fluido, trasparente e scorrevole, sia come l’espressione simbolica e metaforica di qualcosa che è altrettanto scorrevole, fluido e trasparente: il pensiero. Se le fonti si inaridiscono, se il fiume si secca, che ne sarà del fluire del pensiero e del linguaggio?

E il mare? Mare e meditazione sono da sempre congiunti in matrimonio, scrive Melville in Moby Dick. L’avven-

tura del pensiero inizia sul mare greco. Il filosofo è colui che si imbarca, parte, lascia la riva conosciuta, salpa dall’opinione, dalla legge e dalla dottrina acquisita. Il mare sul quale naviga il filosofo o meglio il protofilosofo è un mare particolare, è proprio quella fetta di Mediterraneo orientale tra la Magna Grecia e la Ionia che ha una par-

ticolare conformazione fatta di coste frastagliate come frattali, insenature, baie, isole, isolette e isolotti – diceva Umberto Saba – belli come smeraldi. La navigazione reale e simbolica che tra essi si svolge è fatta di arrivi e partenze, di separazioni e di congiunzioni, di divisioni e unioni.

In questo andirivieni oscillante, in questo moto danzante, in questo andare e tornare sull’acqua, il pensiero filosofico si struttura nella forma tutta particolare del dialogo che è la possibilità di parlare e conversare, di trasformare il disaccordo in accordo. Se il mare cresce perché i ghiacciai si sciolgono, se gli isolotti di cui è costellato non sono di smeraldo ma di plastica, che ne sarà del dialogo e del discorso e della ricerca incessante che essi rappresentano?

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Favorire l’autostima fin dalla nascita

Psicologia ◆ Durante la crescita dei propri figli il genitore dovrebbe proteggere senza soffocare e accompagnare senza condizionare

«L’autostima non va confusa con una tendenza egocentrica. La vera autostima fa i conti con il piano della realtà, si accompagna alla consapevolezza dei propri limiti, insegna a saper chiedere aiuto e collaborare e a riconoscere il valore degli altri senza sentirsene offesi o sminuiti». È questa la premessa della psicologa e psicoterapeuta milanese Gloria Bova specializzata in psicoterapia sistemico-relazionale prima di rispondere alle nostre domande su quali siano i comportamenti genitoriali che favoriscono autonomia e autostima, insomma su come aiutare i propri figli a diventare delle persone responsabili, indipendenti e sicure. Ed è proprio l’autostima descritta da Gloria Bova quella cui ambire per i propri figli, perché consente loro di sperimentare prendendo decisioni, apprendendo dai propri errori, imparando ad affrontare le situazioni, a essere resilienti.

«L’autostima accompagna la crescita evolutiva di una persona all’interno di un mondo di relazioni. Al di fuori di un contesto infatti – per esempio se ci trovassimo su un’isola deserta –non potremmo sapere se siamo validi e forti, alti o bassi; lo sappiamo in rapporto agli altri ragionando per differenze – spiega la psicoterapeuta. Per l’autostima è quindi fondamentale la famiglia d’origine in quanto primo contesto di relazioni con cui ci confrontiamo, fin dalla nascita. Negli anni successivi aumentano i contesti di confronto, ma quanto assimilato dalla famiglia resta fondamentale».

Verso l’autonomia e l’indipendenza

Anche la conquista dell’autonomia –che è poi la capacità di far fronte ai propri bisogni e alle novità o difficoltà che si incontrano nel rapporto con l’ambiente e le persone – inizia dalla nascita, se non prima, e ci accompagna per tutta la vita. «Mancanza di autonomia significa dipendenza. Chi non impara a cucinare, per esempio, sarà materialmente dipendente da chi cucina per lui. Sul versante psico-af-

fettivo, invece, la dipendenza porta a lasciarsi facilmente influenzare dalle idee degli altri o dal contesto, a vivere un quotidiano da riempire con mille impegni per non ritrovarsi soli con sé stessi». Pure in questo ambito – ovviamente – è la famiglia il primo terreno di crescita per il bambino.

«La famiglia è un sistema di relazioni che risponde a una precisa cultura e la qualità di vita, materiale e affettiva, presente al suo interno è al contempo un’opportunità e un condizionamento per lo sviluppo del bambino, dal momento che egli assimila i modelli culturali e relazionali della mamma e del papà. Nel cercare la sua individualità il bambino impegnerà gran parte della sua energia per emanciparsi da questi condizionamenti e conquistare così autonomia e indipendenza», continua Gloria Bova.

Similmente a quanto fin qui osservato, il modo in cui il bambino si sente visto dai propri genitori è strettamente collegato all’immagine che egli costruisce di sé: se mamma e papà hanno scarse attese nei suoi confronti, penserà di non valere un granché e la sua autostima ne risentirà, d’altro canto se essi hanno aspettative eccessive, il bambino potrà non sentirsi

all’altezza e questo influenzerà in modo negativo la sua percezione di sé e della realtà. «Per riassumere, possiamo dire che noi non ci inventiamo, bensì cresciamo all’interno di un contesto culturale e affettivo dove ci sono dei modelli, una forma mentis, che assorbiamo – afferma la psicoterapeuta – per dirlo con un’immagine, costruiamo i nostri mattoncini partendo da quelli dei nostri genitori. E l’esito più felice si ottiene quando riusciamo ad integrare quei mattoncini con quelli che costruiamo all’interno di nuove relazioni. Perché noi ci costruiamo nella relazione con il mondo».

Tornando all’infanzia e dato che i bambini imparano, anche, «per assorbimento», cosa succede se i genitori non dovessero essere delle persone con buona autonomia e autostima? «Se esiste una consapevolezza a riguardo, è possibile aiutare il genitore a emanciparsi a sua volta dalle proprie mancanze. La famiglia è infatti un organismo che cresce insieme ai suoi membri e questo è anche il compito delle nuove generazioni, cioè portare novità e vitalità in un sistema che si oppone al cambiamento», commenta Bova.

All’interno di una famiglia, ognuno dei genitori usa, anche in modo

inconsapevole, modelli culturali ed educativi dei propri genitori, con il loro carico di funzionalità o disfunzionalità. «Una coppia di neogenitori ha a sua volta alle spalle quattro genitori, con voci spesso discordanti o inadeguate ai tempi, oppure che impongono le loro modalità senza riconoscere alcuna competenza ai nuovi mamma e papà – spiega Gloria Bova – quando questo è causa di incomprensioni e litigi nella coppia, i genitori sono chiamati a emanciparsi da condizionamenti e luoghi comuni. Anche perché le loro sicurezze vengono già messe quotidianamente in discussione nel confronto con un esserino che cresce cercando di affermare sé stesso e la sua diversità. In realtà, a saperlo ascoltare, sarà il bambino stesso ad insegnare a mamma e papà come essere dei bravi genitori e li ricambierà con la gioia di un dialogo d’amore che non cambierà con l’età».

Dialogo e ascolto in famiglia

Nella comunicazione famigliare, il dialogo, l’ascolto e l’attenzione sono elementi determinanti per lo sviluppo dei figli. Per instaurare una comunicazione efficace, è essenziale partire dall’ascolto, offrendo attenzione alle emozioni e poi alle opinioni che i bambini esprimono. Importante in questo ambito è indirizzare il bambino, contenendolo, quando vorrebbe parlare senza sosta – ciò che l’aiuta a sviluppare senso critico e ad abituarsi a sostenere delle conversazioni – frenando però al tempo stesso la tendenza degli adulti a interrompere o commentare, con il fine di permettergli di acquisire sicurezza nei propri pensieri e sviluppare un buon livello di autostima. Ovviamente il tutto dovrebbe avvenire in un contesto famigliare nel quale i genitori sono disponibili e manifestano affetto. Condizioni, queste, che rafforzano il legame e fanno sì che i figli siano più inclini ad ascoltare a loro volta.

Nel percorso di crescita dei propri figli, una sfida cui sono confrontati i genitori è la ricerca del corretto equi-

librio tra libertà e indipendenza da un lato e attenzione e protezione dall’altro. Ambito nel quale si può identificare nella «discrezione» la regola generale da applicare. Quando i piccoli sono in difficoltà è infatti opportuno fornire solo indicazioni di massima, in modo che siano loro a giungere alla soluzione. Diversamente verrebbe minato il loro senso di efficienza e amplificato il loro bisogno di appoggio. Ciò non vuol dire, ovviamente, che i bambini non debbano essere aiutati, perché, in tal caso essi rischierebbero di trovarsi demotivati dal conflitto tra il desiderio di fare e il timore di non riuscire. «A volte è l’ansia dei genitori a generare in loro un senso di inadeguatezza. In tali casi il genitore va aiutato a rendersi conto della propria ansia e ad ascoltare i bisogni del figlio, per poter modulare la propria presenza tra vicinanza e distanza in funzione dei suoi bisogni, esattamente come quando gli si insegna ad andare in bicicletta. Lo si accompagna con sempre maggiore leggerezza e quando la giusta sicurezza per procedere in equilibrio è acquisita lo si lascia andare guardandolo compiaciuti – commenta Gloria Bova –. Accompagnare la crescita di un bambino richiede competenze di ascolto empatico al pari di quelle del professionista della psiche, per questo è un “mestiere” difficile». In sintesi, l’adulto dovrebbe proteggere senza soffocare e accompagnare senza condizionare. Come visto, per permettere ai propri figli di sentirsi più capaci e sicuri di sé vale poi, su tutti, il consiglio di essere d’esempio. E questo anche con un atteggiamento di apertura alla conoscenza di mondi diversi dal proprio. «Consiglio di insegnare al proprio figlio a mantenere uno sguardo aderente al piano della realtà, seppur coltivando curiosità e creatività, e poi di scegliere la bontà, anche in un mondo di cattiveria, difendendosi quanto basta senza offendere né degradarsi, e di acquisire le giuste competenze per vivere con gli altri collaborando per il suo bene e quello di tutti. È così che si costruisce un mondo migliore», conclude Gloria Bova.

Il dolore per la guerra e la speranza nel futuro

Incontri ◆ L’artista ucraina Vira Shcherblyuk vive in Ticino da più di vent’anni, oggi si impegna per aiutare i suoi connazionali

«Un giorno avremo un mondo senza guerre, senza stupide guerre, per la precisione. Perché nessuna guerra è intelligente». Vira Shcherblyuk è partita vent’anni fa dall’Ucraina e da allora vive in Ticino. «Mi sento metà ucraina e metà svizzera, visto che metà della mia vita l’ho vissuta qui a Lugano», ci spiega, «e quando è cominciata l’aggressione russa mi sentivo, come dire?, in colpa per non poter fare niente per i miei connazionali». In realtà proprio niente non l’ha fatto, visto che poche settimane dopo l’avvio dell’«operazione speciale», come la definisce ipocritamente Putin, è andata al confine polacco a prendere due ragazze, figlie di un’amica, e le ha portate al salvo in Svizzera. «Sì, ma poi mi è venuto in mente che avrei potuto fare qualcosa d’altro, e di poterlo fare con l’arte. Credo che Dio mi abbia dato un solo talento, la pittura. Fin da piccola disegnavo dappertutto: sulle mani, sui

tavoli, sulle porte col risultato che venivo punita. Mi dicevano che gli artisti sono tutti pazzi e poveri».

Ma, nel suo tempo libero, rilassandosi dopo il lavoro, Vira non ha mai smesso di dipingere (vedi il sito www. 25vira.art). E quando è scoppiata la

guerra ha sentito l’impulso «di trovare i miei simili e di esprimere qualcosa sulla tela. In quei giorni mi era capitato di andare in giro con un nastro blu e azzurro nei capelli e un paio di persone mi hanno salutato riconoscendo i colori della bandiera ucraina. Mi son presa del tempo per dipingere e alla fine dell’anno scorso ho potuto esporre alcuni miei lavori dedicati all’Ucraina a New York. Ho poi posto una condizione per l’acquisto delle opere: che l’intero ricavato andasse al mio Paese. Ho potuto così inviare un aiuto concreto a varie associazioni di volontari a favore di famiglie povere e orfani, così come a una scuola speciale che ospita bambini con bisogni particolari».

Ora ci mostra la seconda copia di un quadro, piuttosto iconico, venduto a New York (vedi foto). Mostra una donna che piange. Da un occhio le colano tre gocce: una rossa, una azzurra e una gialla che vanno a formare un

cuore coi colori della bandiera ucraina. «Ma il messaggio non è solo quello del dolore per la guerra; ho usato colori vivaci, in contro tendenza rispetto ai tanti quadri che usano tonalità cupe quando rappresentano la guerra e la morte. L’ho fatto perché so che gli ucraini stanno trasmettendo al mondo un’idea di unità e la decisione di difendere i bei valori della democrazia, del poter scegliere per me, per noi, il nostro destino. Pur nel dolore e nella violenza, espressa dalla lacrima di sangue, volevo trasmettere energia. C’è tantissima sofferenza che però si trasforma in questo blu-cielo e nel giallo del grano. Ce la faremo. Quello che gli ucraini difendono a me dà tanta energia. C’è il pianto, ma il futuro è brillante e colorato».

Meno intuitiva la lettura di un’altra tela. Ci sono quattro figure femminili circondate da due ali grigie all’esterno delle quali si vedono delle

armi avvolte dentro nastri blu e gialli. «Mi sono ispirata a un’icona bizantina che aveva mia nonna e che rappresenta santa Sofia martire con le tre figlie Fede, Speranza e Carità. Sofia significa saggezza ed è la madre della speranza, della fede e dell’amore (carità). Solo la saggezza, oggi, può farci superare la guerra. La stupida guerra, appunto. Le ali sono quelle delle gru. È un omaggio al villaggio di mio padre dove c’era la statua di una gru. Ho immaginato le sue ali grigie che proteggevano Sofia e le sue figlie dall’aggressione delle armi, che restano fuori. Significa che la mia terra protegge sé stessa. E non solo: secondo me, con la sua battaglia, l’Ucraina oggi protegge tutta l’Europa. Io sogno un futuro senza muri tra Ucraina e Russia, spero che ci sarà una vittoria molto più grande, molto più profonda proprio perché basata sulla saggezza, l’amore, la speranza e la fede».

12 Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 24 aprile 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino SOCIETÀ
Vicinanza e distanza sono da modulare in funzione dei bisogni del figlio, come quando gli si insegna ad andare in bicicletta. (pexels.com)

Alte, leggere ed eleganti

Tra le bellezze naturali da giardino che resistono alle stagioni secche, le più affascinanti sono le graminacee

In Umbria per il Perugino Hotelplan organizza per i lettori di Azione un tour non solo artistico dal 21 al 25 maggio

Fritto misto piemontese?

Siccome non si può preparare la ricetta originale in casa, proponiamo una variante più facile

Crea con noi

Realizziamo un piccolo giardino in cui i bambini impareranno a riconoscere fiori, foglie e insetti

Il viaggio iniziatico di Michel Foucault

Tra il filosofico e il dilettevole ◆ Una notte stellata nel deserto, e la giusta quantità di LSD, fanno da sfondo a un romanzo in cui finzione e realtà si confondono – California 1

Sebastiano Caroni

In una delle più autorevoli biografie del celebre filosofo e intellettuale francese Michel Foucault (1926-1984) realizzata da James Miller, e intitolata

The Passion of Michel Foucault (La passione di Michel Foucault), viene riportato un aneddoto decisamente pittoresco legato a un dibattito televisivo organizzato da un’emittente olandese nel 1971. Il dibattito ospitava Michel Foucault e il linguista americano Noam Chomsky, e ruotava attorno alla domanda «esiste una natura umana?», un tema che era sicuramente nelle corde di entrambi. Oggi, quell’incontro si può rivedere tranquillamente su YouTube, così come altri interventi pubblici del filosofo francese.

Nondimeno, quando lessi la biografia di Miller non fu tanto l’occorrenza di quell’incontro a colpirmi, ma un dettaglio apparentemente trascurabile. Pare che quando gli sponsor televisivi chiesero a Foucault come preferisse essere retribuito per il suo intervento, il filosofo domandò una tavoletta di hashish quale legittimo compenso. Quella insolita richiesta contribuì, ai miei occhi, a rendere particolarmente memorabile il di-

battito: tant’è vero che, come riporta Miller, anche a distanza di anni l’espressione Chomsky’s hash (l’hashish di Chomsky) continuava a designare, per via metonimica, quell’incontro per molti versi unico e irripetibile.

È altresì probabile che se quel dibattito non avesse riunito due fra i maggiori intellettuali dell’epoca, un simile dettaglio sarebbe finito nel dimenticatoio. Ma, in qualche modo, la posta in gioco simbolica di quel confronto gli diede rilevanza, tanto che anche Miller si sentì in dovere di metterlo in evidenza. Del resto, spesso sono proprio i dettagli pittoreschi, incongrui, e forse anche un po’ bizzarri, a rendere i personaggi unici e riconoscibili, a distinguerli dalla moltitudine e a dare un colore particolare alle loro storie. A volte i dettagli, e gli aneddoti, possono diventare delle vere e proprie storie. E con le storie, si sa, si possono anche fare dei libri.

Di recente, per esempio, è uscita la traduzione italiana di un libro che riguarda proprio Michel Foucault e che racconta, in forma romanzata, un momento particolare della vita del filosofo. Siamo nel 1975, e Fou-

cault parte per un soggiorno in California dove tiene diverse lezioni in alcune delle principali università della zona. Durante la sua permanenza in California, Michel accoglie l’invito a trascorrere alcuni giorni in compagnia di un professore universitario di nome Simeon Wade e del suo compagno. Insieme intraprendono un’escursione nel deserto californiano che li porta fino alla Death Valley. Qui, con l’aiuto di una modica quantità di acido lisergico, il filosofo vive un’esperienza che per molti versi ridefinirà la sua visione del mondo. E a raccontarla sarà proprio Simeon Wade. Come illustra la quarta di copertina del libro in maniera piuttosto intrigante, Foucault in California «è il racconto dell’“esperienza più importante” della vita di Michel Foucault, narrato da chi lo ha guidato lungo una notte che molti pensavano leggenda e invece è stata una rivoluzione personale. Un viaggio nelle profondità di sé stessi che ha cambiato per sempre il pensatore francese, tanto da spingerlo a riscrivere il suo capolavoro Storia delle sessualità». Come mai – viene da chiederci –

questa storia, scritta negli anni immediatamente successivi a un’esperienza iniziatica tanto determinante, non era ancora stata pubblicata? A spiegarlo ci pensa Heather Dundas, l’autrice della prefazione nonché colei che, incontrando personalmente Wade, con pazienza e perseveranza ha recuperato il manoscritto e l’ha fatto pubblicare nel 2022. Racconta la Dundas che all’inizio i dubbi sulla veridicità del resoconto erano davvero tanti, nonostante il fatto che David Macey, altro importante biografo del filosofo e autore di The Lives of Michel Foucault, ricordava che una volta Foucault parlò di «una serata indimenticabile sotto LSD, preparato in dosi controllate, durante una notte nel deserto con della musica deliziosa, persone splendide e una bottiglia di chartreuse». Ma poi la cosa finiva lì, Macey non approfondiva la questione, lasciandola cadere. Inoltre, sia lui sia James Miller menzionano solo en passant, senza accordarle alcun peso, l’amicizia fra Wade e Foucault.

Per nostra fortuna, dopo alcuni incontri con la Dudas, è stato proprio Wade a riesumare vecchie lettere e foto che lo ritraevano in compagnia di

Foucault, ridando così slancio all’autenticità del racconto. Sciolti i dubbi iniziali anche il lettore, ormai rassicurato, dopo la prefazione della Dundas può finalmente abbandonarsi alla complicità di una narrazione dove finzione e realtà si intrecciano e si sovrappongono.

Se il viaggio nel deserto rimane saldamente il fulcro del racconto, i momenti che lo precedono e lo seguono costituiscono un’interessante cornice che ci regala uno spaccato della società, del mondo accademico, e della controcultura dell’epoca. Come sintetizza sempre il commento sulla quarta di copertina: «Tra sedute di yoga, riflessioni sulla natura umana, confessioni e visioni, Foucault in California è romanzo on the road, dialogo filosofico e racconto di formazione queer. Un viaggio vertiginoso e stravagante, che dimostra come per giungere alla Verità si possono prendere le strade più varie. E talvolta allucinanti».

● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 24 aprile 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 13
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Bibliografia Simeon Wade, Foucault in California, Blackie Edizioni, 2023.

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Sei graminacee irresistibili

Mondoverde ◆ Dalla Cortaderia selloana fino alla Festuca glauca, queste alcune delle piante a prova di siccità, per far fronte alle estati sempre più calde

L’estate dell’anno scorso, quella del 2022, ha messo a dura prova il mio giardino: benché abbia la fortuna di avere un ruscello naturale che lo circonda sempre ricco d’acqua, l’afa ha causato qualche danno ad alcune piante.

Così, in vista di un’altra calda estate, ho deciso di indirizzare i miei futuri acquisti verdi su essenze resistenti al secco.

Le graminacee soddisfano appieno questa caratteristica e, tra tutte le varietà e le specie presenti sul mercato, ne ho scelte sei che insieme possono dare vita a un’aiuola dal sicuro impatto accattivante.

Partirò con il mettere a dimora una Cortaderia selloana che, grazie ai suoi voluminosi piumini bianchi o rosati, è conosciuta quasi da tutti come «Piuma della pampa»: è una presenza di peso in giardino, si fa notare e sembra che, nonostante la sua innata eleganza, o forse proprio grazie a questa, sfidi gli sguardi, richiamandoli a sé per farsi osservare.

In effetti le sue lunghe, arcuate e strette foglie argentee, i suoi alti fiori che raggiungono i due metri e la sua leggerezza che sembra non voler tener conto della sua mole (supera i due metri anche in larghezza), la fanno sembrare una nobile dama del Settecento, riccamente vestita con un sontuoso abito. Dalla crescita lenta ma costante, è perfetta come sfondo di un’aiuola; accanto impianterò un esemplare di Miscanthus sinensis «Morning light».

Arrivando a un’altezza di un metro e mezzo, ne lascerò almeno un paio, di metri, tra le due graminacee: anche perché sono in pieno sviluppo, per cui fra soli due anni dalla messa a dimora, occuperanno quasi tre metri in larghezza.

Questa varietà di Miscanthus ha trovato fortuna da pochi anni, diventando un vero e proprio jolly per giardinieri e paesaggisti che, sempre più spesso, lo inseriscono in aiuole, rotonde stradali, bordure miste e giardini rocciosi. Produce in estate dei fiori semplici, simili a graziosi scopini bronzei, che perdurano anche in inverno, creando magnifici giochi con il ghiaccio intrappolato su di essi. Le foglie sono molto fini, strette e con lunghe strisce bianche che le regalano un color argenteo.

Davanti a queste due graminacee, che utilizzerò in numero singolo, posizionerò due o tre piante di Muhlen-

bergia capillaris alla distanza di circa cinquanta centimetri l’una dall’altra. Insignificante d’inverno, diventa meravigliosa da agosto in poi, quando le sue spighe si colorano di rosa brillante, creando un mare di colore in movimento appena sale un po’ di vento. Originaria della Florida, raggiunge l’altezza massima di un metro e la larghezza di sessanta centimetri.

Se grazie alla Muhlenbergia capillaris la posizione centrale dell’aiuola è presto creata, acquisterò altre tre graminacee per completare la zona davanti, ovvero quella più bassa ma che la definisce come un fiocco sulla carta regalo. Posizionerò quindi in piena terra un singolo esemplare di Hakonechloa macra «Aureola», cercando di interrarla nella zona che rimarrà più in ombra. Raggiungerà i cinquanta centimetri creando un cespo compatto e fitto formato da foglie lanceolate, arcuate, dal color giallo brillante con striature verdi che si tingono di porpora in autunno.

Accanto, pianterò l’esemplare di Imperata cylindrica «Red Baron», un’asiatica dal fogliame nastriforme, rosso acceso, da posizionare in pieno sole e in grado di raggiungere i cinquanta centimetri, allargandosi fino a creare un ottimo punto di interesse, specie in estate, quando le sue foglie rosse diventano brillanti.

Infine posizionerò una Festuca glauca: piccola graminacea che, grazie alle sue foglie finissime e compatte dal color verde argento, darà un’altra pennellata di colore all’aiuola.

Sono tutte piante rustiche, facilissime da coltivare, che non temono il gelo ma non tollerano i ristagni d’acqua; si concimano in primavera e in autunno con un fertilizzante a lenta cessione. Ad eccezione della Festuca glauca e dell’Imperata cylindrica, le altre si potano basse, quasi a livello del terreno a fine inverno.

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Le opere del Perugino

Itinerario ◆ Per i lettori di «Azione», Hotelplan organizza dal 21 al 25 maggio 2023 un tour in Umbria

Un viaggio esclusivo, organizzato da Hotelplan, porterà i lettori di «Azione» interessati sulle tracce di Pietro di Cristoforo Vannucci, «Il Perugino» per sottolineare i 500 anni dalla sua morte. Tra le mete, la mostra alla Galleria Naziona-

Il programma di viaggio

1. Ticino-Città della Pieve-Perugia

In pullman fino a Perugia con tappa laddove nacque il Perugino e dove sono visibili alcune sue opere pittoriche. Questa città spicca tra le altre per l’utilizzo quasi esclusivo del laterizio invece della pietra calcarea.

2. Perugia

Capoluogo dell’Umbria, Perugia si trova sul crinale di alte colline che offrono magnifici panorami sulle valli sottostanti e verso gli Appennini.

Fondata dagli Etruschi intorno al VII secolo a.C., vanta un centro storico tra i più grandi d’Italia. I principali monumenti risalgono perlopiù all’epoca medievale e rinascimentale, ma re -

le dell’Umbria, con circa 70 opere del Maestro provenienti da tutto il mondo, che ripercorre la sua carriera artistica, dagli esordi, fino all’apice del successo. Tra queste: il Gonfalone della Pietà o La Pietà del Farneto (1472); l’Adorazione dei Magi (1475) e

stano anche importanti testimonianze dell’epoca etrusca. Visita alla mostra dedicata al Perugino.

3. Assisi – Montefalco Deve la sua notorietà al fatto di essere la città natale di San Francesco. Assisi conserva resti di epoca romana e, praticamente intatto, l’impianto urbanistico della città medievale. Spostamento a Montefalco, la «Ringhiera dell’Umbria» situata in posizione panoramica, da cui si scopre tutta la Valle Umbra: dagli Appennini ai Martani, da Perugia a Spoleto.

4. Spoleto – Trevi – Foligno Importante colonia romana e poi sede di un Ducato longobardo, Spole -

Locarno-Muralto

Piazza Stazione 8

6600 Muralto

T 091 910 37 00 locarno@hotelplan.ch

il ritorno a Perugia dopo due secoli dello Sposalizio della Vergine. Ma ci sarà anche occasione di visitare la capitale della regione, Perugia, come anche Assisi, Spoleto, Montefalco… Le iscrizioni vanno inoltrate entro il primo maggio.

to, ospita monumenti che risalgono all’età comunale e al Rinascimento. Non mancano anche testimonianze di epoche più antiche. Il Duomo è la principale attrazione ed è situato in fondo a una lunga scalinata che si apre tra gli stretti vicoli del centro. Spostamento a Foligno con sosta a Trevi per visita a un dipinto del Perugino. A Foligno, altre opere dell’artista.

5. Perugia – Panicale – Ticino

Il piccolo borgo fortificato di Panicale domina un paesaggio di straordinaria bellezza che si apre verso il Lago Trasimeno. All’interno delle sue mura si trova un impianto urbanistico di valore. Rientro in Ticino.

Prezzo per persona

L’itinerario può subire variazioni anche durante il viaggio, per ragioni tecniche operative, pur mantenendo le visite del tour. Il viaggio viene effettuato con un minimo di 25 partecipanti. Il prezzo che segue è soggetto ad adeguamenti per fluttuazioni dei cambi valutari o modifiche delle tasse di soggiorno e/o dell’accesso alle zone a traffico limitato.

Prezzo per persona in camera doppia CHF 985.–Supplemento camera singola CHF 180.–

Tagliando di prenotazione

Desidero iscrivermi al tour di Umbria dal 21 al 25 maggio 2023

Bellinzona

Viale Stazione 8a

6501 Bellinzona

T 091 820 25 25 bellinzona@hotelplan.ch

Lugano Via Ferruccio Pelli 7

6900 Lugano

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La quota comprende Viaggio in pullman come da itinerario, tutte le visite ai luoghi d’arte e gli ingressi come da programma dettagliato (su richiesta), accompagnatore dal

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Sarò accompagnato da ……….. adulti.

Sistemazione desiderata (cerchiare ciò che fa al caso).

Variante singola: SI NO

Ticino, guida locale, 4 prime colazioni, 2 pranzi e 4 cene, sistemazione in albergo 4*.

La quota non comprende Supplemento camera singola, onorario d’agenzia Hotelplan CHF 100.–, bevande, pasti non menzionati, mance per autista e guida, facchinaggio, spese di carattere personale, assicurazione contro le spese d’annullamento e tutto quanto non esplicitamente indicato alla voce «la quota comprende».

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 24 aprile 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 16 TROVA GLI INDIZI
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Tra anelli di cipolla e fondi di carciofo

Gastronomia ◆ La ricetta rielaborata del fritto misto piemontese prevede qualche rinuncia ma garantisce il gusto

Nel novembre del ’17 vi avevo «dato» la ricetta del fritto misto, uno dei più mitici piatti piemontesi, epitome della regione dei miei avi (piemontesi con sprazzi di Brabante, vedi il mio cognome). «Dato» è fra virgolette perché è un piatto talmente complesso che farlo in casa più che arduo è impossibile.

Nel frattempo, ho sviluppato una versione casalinga più fattibile. Chiaro, non è la stessa cosa ma… Eccola.

Premessa: i fritti piacciono a tutti. Sia chiaro, sono «pesanti» – ma è giusto scriverlo fra virgolette perché se si rispetta la temperatura standard del grasso di frittura, 200°C, gli ingredienti cuociono velocemente e assorbono meno grassi: è la temperatura più bassa che favorisce l’assorbimento dei grassi. Quindi per farlo bene bisogna avere un termometro da cucina, anche a infrarossi, se volete. Comunque, non è certo un piatto da consumare tutti i giorni! Se lo si mangia «ogni tanto» (che vuol dire una o due volte al mese, o meno), nessun problema, perché, come diceva il sommo Paracelso, è la dose che fa il veleno

La caratteristica del fritto misto piemontese è che deve comprendere più ingredienti possibile. Era in origine un piatto della festa (dei poveri): si utilizzava quello che passava il convento e che costasse poco, quindi le parti dell’animale meno nobili, le frattaglie, verdure varie e componenti dolci come frutta, amaretti e, anche, il semolino e la crema fritta. Col tempo si è arricchito, si sono aggiunte cotolettine, ma anche pesci, come il baccalà, che in Piemonte viene considerato carne ad honorem…, ma anche acciughe e altri.

Lo mangio da sempre. Ovviamente in ristoranti. Mai a Milano (non lo si trova), soprattutto ad Alessandria e Asti quando andavo a trovare gli zii Rina e Bruno: a loro non piaceva tanto, ma sapendo che lo amavo, mi por-

tavano sempre in ristoranti che lo preparavano bene.

Però, come accennato sopra, questa storia del troppo complesso da fare in casa non la mandavo giù e cercavo una soluzione home made. Iniziai quindi a selezionare «l’insostituibile»: gli anelli di cipolla, che era da sempre la prima cosa che finiva (la cipolla è nel nostro DNA), a seguire i fondi di carciofo e i tranci di mela. Poi eliminai l’eliminabile: ahimè, le prime a saltare furono le amate frattaglie, che se fai questo fritto anche per soli sei amici (il minimo), uno che non le mangia c’è sempre. E poi ne eliminai altri tra quelli più rognosi da fare, come la panna cotta.

Tenni i tagli di carne più amati e conosciuti, che comunque amo. Alla fine, divisi gli ingredienti sopravvissuti in due gruppi che si potevano cuocere insieme, in due padelle separate: il gruppo pangrattato e il gruppo pastella. Sapevo già che avrei dovuto cuocere in burro chiarificato, cioè burro privato di acqua e caseina, che ha un punto di fumo alto: per anni, trovarlo è stato un vero problema (me lo facevo portare da un amico che lavorava a Parigi), adesso si trova, prevalentemente made in India, ed è ottimo. E in più, il tocco esotico: avevo scoperto l’esistenza del panko, un prodotto giapponese a base di pane secco arricchito con poco olio di palma e glucosio, che assorbe poco grasso in cottura (loro lo usano per il tempura).

E alla fine ho messo a punto la mia ricetta che vedete qui accanto (Come si fa). Piace a tutti. La mia personale statistica dice che comunque i primi a finire restano gli anelli di cipolle, seguiti a ruota dai fondi di carciofo. Ma non so il perché.

Occhio, è un piatto che va mangiato in cucina, dato che chi lo prepara non può fermarsi mai. Perché, diciamocelo: lavorare per amici che mangiano in sala da pranzo mentre tu continui a cuocere, ma anche no!

Eccovi la ricetta del mio mini fritto misto. Ingredienti da pangrattato: cotolettine di vitello, belle battute, salsiccia a tocchetti già rosolata a parte con burro e salvia, crocchette di pollo, cioè pollo lesso ma anche cotto arrosto, e utilizzando cosce e sovracosce (tritato e impastato con

Ballando coi gusti

Frittelle di lenticchie

E visto che oggi

si parla di fritto misto, proponiamo due ricette ghiotte di frittelle

poca besciamella), uova e formaggio grana, baccalà bagnato a pezzi, così com’è, amaretti brevemente ammollati in Marsala e sgocciolati. Ingredienti da pastella: cipolla ad anelli, fondamentali, rosse o bianche o un po’ e un po’, tranci di mela, fondi di carciofo sbollentati per 5 minuti o poco più, poi calati in acqua fredda per qualche minuto, quindi scolati e asciugati. Quelli da pangrattato, tagliateli in pezzi omogenei di spessore (ma gli amaretti lasciateli interi) infarinateli, passateli in uovo sbattuto con pochissimo sale e pepe poi nel panko, facendolo aderire bene. Se non trovate il panko va bene anche il classi-

co pangrattato – ma visto che ci siamo, fate seccare del buon pane poi frullatelo. Passate gli ingredienti da pastella in una pastella fatta emulsionando farina setacciata con abbastanza latte ma anche birra per renderla densa, 1 tuorlo e poca noce moscata.

Scaldate due padelle con abbondante burro chiarificato, una per il pangrattato e una per la pastella, fino a 200°. Gettate gli ingredienti pochi per volta, devono essere immersi per circa metà nel grasso di cottura, a metà cottura girateli. Scolateli, tamponateli su carta assorbente da cucina e serviteli cosparsi di sale e, a piacere, di ottimo pepe. ●

Frittelle di roast-beef, piselli e carote

Ingredienti per 4 persone: 200 g di farina di lenticchie – 1 cipolla – 1 spicchio di aglio – 1 peperoncino verde – 1 uovo – ½ cucchiaino di peperoncino piccante in polvere – ½ cucchiaino di zafferano in polvere – yogurt intero naturale – olio per friggere – sale.

Mondate la cipolla, l’aglio e il peperoncino verde, e tritateli finemente. Versateli in una terrina e aggiungetevi la farina di lenticchie, l’uovo, le spezie, un pizzico di sale e lo yogurt necessario a ottenere un impasto fluido e omogeneo (mezza tazzina dovrebbe bastare). Scaldate abbondante olio in una padella e tuffatevi l’impasto prelevato a cucchiaiate; rigirate le frittelle da entrambi i lati, in modo che assumano un colore dorato uniforme. Scolatele, tamponatele su carta assorbente da cucina e servitele ancora calde, spolverizzando se necessario di sale.

Ingredienti per 4 persone: 250 g di roast-beef – 150 g di farina auto lievitante – 2 cucchiai di pisellini lessati – 2 carote – 1 uovo – 1 albume – 1 cucchiaino di prezzemolo tritato – latte – olio per friggere – sale e pepe.

Tagliate le carote a rondelle e sbollentatele per 5 minuti in acqua leggermente salata, unite i piselli e proseguite la cottura per altri 3 minuti. Scolate le verdure e lasciatele asciugare leggermente. Tagliate il roast-beef a listarelle e mettetelo in una terrina. Unite le carote e i piselli, salate e pepate. In un’altra ciotola mescolate la farina, l’uovo e tanto latte quanto basta ad avere una pastella non troppo fluida. Versate la pastella sul roast-beef e sulle verdure e mescolate con cura. Con l’aiuto di due cucchiai formate le frittelle e tuffatele nell’olio ben caldo fino a dorarle uniformemente. Scolatele, tamponatele su carta assorbente da cucina e servitele ancora calde, spolverizzando se necessario di sale.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 24 aprile 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 17
si fa?
Come
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Che cosa si nasconde in giardino?

Crea con noi ◆

Nel prato si celano insetti, foglie e fiori: un gioco dedicato ai più piccoli che può anche essere trasferito all’aperto

Un piccolo giardino in cui si nascondono dei medaglioni raffiguranti elementi naturali.

Starà al bambino cercarli, trovarli e abbinarli alla «lista di controllo» imparando così a riconoscere i soggetti e suddividerli nelle varie categorie: insetti, fiori, foglie.

Un’attività simpatica e divertente per i più piccoli, che allena la motricità fine e il senso del tatto grazie ai diversi tipi di carta utilizzati.

Procedimento

Stampate il cartamodello che trovate su www.azione.ch in due co-

pie. La prima su un foglio bianco, la seconda su carta colorata. Suddividete il primo foglio in righe e con il bastoncino di colla incollate le varie strisce su di un cartone spesso. Ricoprite ora le singole strisce con il nastro adesivo in modo da «plastificarle» e renderle più resistenti nel tempo.

Se necessario aiutatevi in questa operazione con una spatola affinché non si creino bolle.

Dopo aver ricoperto i disegni con l’adesivo, con le forbici ritagliate tutti gli elementi in modo da ottenere 15 medaglioni singoli suddivisibili in 3

Giochi e passatempi

Cruciverba

Nella rubrica «A tu per tu con i lettori» un lettore scrive: «Vivo nel terrore che qualcuno possa rapire mia suocera che vive sola e indifesa…» Troverai il resto della lettera a soluzione ultimata leggendo le lettere evidenziate.

(Frase: 1, 4, 2, 3, 6, 3, 2, 5, 5)

ORIZZONTALI

1. Emana dalle spezie

5. Offerte di ospitalità

11. Un anfibio

12. Marsupiale americano

13. Prefisso che vuol dire uguaglianza, affinità

14. Città natia di Beethoven

15. Due vocali

16. Porta il sangue a tutto il nostro corpo

18. Primo elemento di parole composte che significa tumore

21. Negare in francese

22. Spesso involucro del nucleo terrestre

23. Simbolo chimico del plutonio

24. Un avverbio

25. Le valicò Annibale

27. Tre isole dell’Irlanda

29. Una macchia inglese

30. Congiunta

diverse categorie: insetti, fiori, foglie. Prendete i fogli di carta nelle tonalità del verde e marrone. Cercate di utilizzare carte di diverso tipo, spessore, tonalità. Potete inserire anche pagine di riviste nei toni del verde, carta da pacco o da imballaggio, cartoncino ondulato, carta velina. Il mix tra questi differenti materiali creerà un effetto più interessante sia alla vista che al tatto.

Piegate i singoli rettangoli a fisarmonica abbastanza stretta quindi tagliate a piccoli pezzetti andando a creare tante striscioline piegate. Riempite l’intero coperchio della scatola in maniera da ottenere un prato bello folto.

Nota: se non avete a disposizione un coperchio sufficientemente grande potete utilizzare un vassoio oppure crearne uno con del cartone. Quando sarete soddisfatti del risultato aggiungete qualche elemento naturale come pigne o legnetti quindi nascondete i medaglioni con i vari disegni all’interno del prato in modo che non si vedano.

Prendete ora il secondo foglio stampato, ritagliate il rettangolo che contiene gli elementi e incollate anche questo su cartone.

Posizionate il cartoncino colorato accanto al vostro mini giardino e invitate i bambini a cercare e collegare i vari motivi posizionandoli sulla «lista di controllo».

Materiale

• Resti di carta nei toni del verde

• C artone di recupero

• Coperchio di una scatola

• Bastoncino di colla

• Nastro adesivo trasparente spesso

• Forbici, taglierino

• Stampante per il cartamodello (I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)

Idea in più: Siete all’aperto? Potete utilizzare i vari medaglioni e improvvisare una caccia al tesoro. Chi troverà in natura tutti gli elementi? Buon divertimento!

Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi

Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku

Sudoku Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.

31. Le separa la «n»

32. Sinistre sentinelle

34. La più breve insegna

35. Prende in giro la vita

37. Sono tutte bucate

38. Lo sono le persone molto anziane

39. Espone opere d’arte

VERTICALI

1. Nome femminile

2. A rischio chi si muove sul suo filo

3. Rispettabilità, dignità

4. Le iniziali della Arcuri

5. Un sonno artificiale

6. Un parente

7. Le iniziali dell’attore Salemme

8. Comune e lago della Lombardia

9. Un possessivo

10. Le iniziali dell’indimenticabile

Montanelli

12. Un tipo di farina

14. Le iniziali del cantante

Antonacci

17. Percorre linee urbane

19. Una cricca di amici

20. Calendario d’altri tempi

22. Scegliere tra più possibilità

23. Negli gnocchi

26. ... in fabula

28. Ha piccoli acini rossi

29. Canto inglese

30. Due di cuori

31. Pari in ambiguo

33. Le iniziali dell’attore Arena

35. Simbolo chimico del cromo

36. Ai confini di Toledo

37. Simbolo chimico del rutenio

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

Soluzione della settimana precedente

CURIOSITÁ SULLA SVIZZERA – Pare che la Svizzera sia il Paese… Resto della: …CON PIÙ MUSEI AL MONDO

C O NTESA

UNO P IN

C U MOEN U SOPRA

I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell ’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 24 aprile 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 18
PAR EO VEL I
ALSA LIVIA AGIO MUS O R NET RAMI T D S AD OPERATA ` 4129 386 57 7682 451 93 9356 172 48 6 9 1 4 5 3 8 7 2 5478 213 69 2837 964 15 1 5 9 3 8 4 7 2 6 8745 629 31 3261 795 84
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Viaggiatori d’Occidente

Alla ricerca del genius loci

Durante le recenti vacanze di Pasqua ho camminato in una valle d’Appennino, risalendo il corso di un torrente sino alla sorgente. Rari gli incontri con altri escursionisti lungo il sentiero; più spesso ho visto grandi orme di lupo ben stampate nella terra umida di primavera. Ma anche alle soglie del selvatico l’ottima copertura del segnale dello smartphone mi manteneva collegato allo spazio digitale e mediatico della rete, dove si rincorrevano invece lamenti per l’ingestibile affollamento di turisti. Al portale nord della galleria del San Gottardo, venti chilometri di coda e ore di attesa. Anche le Cinque Terre erano prossime al collasso e i notiziari sembravano un bollettino di guerra, «assalto dei visitatori», «situazione critica» eccetera. Solo albergatori e ristoratori frenavano le critiche, esprimendo semmai un certo sollievo dopo gli anni perduti a causa dell’e-

pidemia. E comunque là dove io mi trovavo, nel mezzo di un sontuoso bosco di faggi alimentato da liquide vene sotterranee, tutte queste questioni sembravano molto distanti.

Passo dopo passo la vicina sorgente si annuncia con diversi rivoli che confluiscono l’uno nell’altro per creare il primo, incerto corso d’acqua. Poi, risalendo ancora un poco, raggiungo una pozza tra gli alberi, un affioramento d’acqua, circondato dal manto erboso di un prato. È la meta finale del mio cammino.

Tutto qui? Sono stato alla sorgente di diversi fiumi, anche famosi, e ogni volta un certo senso di delusione è inevitabile. Del resto in un suo lungo viaggio confluito poi in Danubio (Garzanti, 1986), Claudio Magris scoprì che il principale fiume dell’Europa orientale nascerebbe dalla grondaia di una casa del Settecento, alimentata da un rubinetto che

Passeggiate svizzere

La Venere lavica della Limmat

Eccola, beccata subito con l’occhio allenato dalla ricerca quotidiana delle spugnole, camminando sul Kornhausbrücke, la scultura che avevo in mente. In lontananza, verso la fine della fuga prospettica dello stabilimento balneare Oberer Letten dove sapevo di lanciare lo sguardo per magari trovarla, al volo. Lo stabilimento balneare, in mezzo al fiume, però è chiuso. Apre in maggio, ma non posso mica rinviare, devo raggiungerla adesso. Cosa volete che sia per un morchellaro scendere lungo la Limmat, infilarsi tra i rovi, arrampicarsi sul muro e saltar dentro? C’è anche un certo piacere del proibito, inatteso stamattina, avventurandomi così verso la Venere lavica della Limmat (407 m). E il lido fluviale ancora in letargo, in mezzo al quale, su un piedistallo di beton bocciardato con il riquadro bianco della didascalia svanita, è posata la Venus de Six-Fours (1952) di Hans

Aeschbacher (1906-1980), mi riserva una sacralità ulteriore. Ricorda molto le veneri preistoriche, dee madri della fertilità chiamate con il luogo del ritrovamento, come la Venere di Macomer, statuetta prenuragica di basalto. Six-Foursles-Plages è una località in Provenza dove questo scultore zurighese misconosciuto – svantaggiato forse anche un po’, nel mondo ipocrita e modaiolo dell’arte contemporanea, dal nome da operaio metallurgico, la faccia da macellaio, il fisico da lotta svizzera – ha lavorato dal 1947 al 1960. La porosità della pietra lavica color carbone, trovata da Aeschbacher nei pressi del suo atelier, simile ai basalti colonnari ammirati lì vicino, alla Pointe Nègre, è magnifica. La superficie è tutta bucherellata e in alcune cavità maggiori si è alloggiato il muschio. Mi viene subito da appoggiare il palmo della mano, per trarne un po’ di energia telluri-

Sport in Azione

Fame di fama o fame di sport?

Giro della Media Blenio e Gala dei Castelli per l’atletica leggera. Tamaro Trophy, GP Ticino e Lugano Summer Ride per il ciclismo. Scenic Trail e Claro-Pizzo per la corsa in salita. Memorial Gander per la ginnastica artistica. Tornei Challenger di Chiasso, Bellinzona e Lugano per il tennis. Torneo internazionale di Bellinzona per il calcio. Stralugano per la corsa su strada. Potrei proseguire con l’elenco fino all’ultima riga, senza considerare i normali campionati in corso nelle varie discipline, e senza menzionare le innumerevoli manifestazioni popolari in cui la pratica sportiva è abbinata all’enogastronomia, alla promozione del benessere per le famiglie (vedi Slowup), o alla raccolta di fondi a scopo benefico.

Ticino «Terra di Artisti»? «Ticino terra di Ciclisti»? Così si diceva. Ma, fra tutte le categorie, emerge quel-

nessuno riesce a chiudere. Ma questo semplice torrente d’Appennino non ha un blasone da difendere e non ha ragioni per vergognarsi delle sue umili origini. Appoggio lo zaino e mi siedo sull’erba, la quiete è ricamata solo dal canto degli uccelli. Sono lontano anni luce dalle attrazioni turistiche più celebrate. Prima di spegnere lo smartphone, mi affaccio ancora un attimo sulle ultime notizie, quasi per un riflesso condizionato. La situazione non è migliorata, si capisce. Nel centro di Firenze non ci si muove, neanche a piedi. A Roma l’assessore al turismo, grandi eventi, sport e moda (la carica dice già tutto) annuncia euforico il più alto numero di turisti nella storia della capitale: oltre un milione, più di un terzo della popolazione residente. Qua invece sono solo, in due a voler contare la mia cagna, che sosta anch’essa dopo infi-

niti andirivieni, quasi sfiorata dalla sacralità di questo tempio naturale. E in effetti si avverte una presenza, invisibile quanto intensa. Gli antichi romani avrebbero parlato di un genius loci

In quei tempi il viaggio era immaginato come un incontro con lo spirito dei luoghi: ci si poneva in ascolto, si invocava la sua protezione, si temeva la sua contrarietà. In alcuni luoghi la presenza del genius loci si avverte più facilmente: per esempio alla confluenza dei fiumi o all’incrocio di strade diverse, dove siamo costretti a scegliere una direzione, a volte cambiando percorso e destino. L’incrocio è uno spazio di possibilità, buone e cattive: puoi incontrarci santi e diavoli. E poi le sorgenti naturalmente. Come scrive Servio, oscuro grammatico e commentatore dell’Eneide virgiliana, vissuto nel IV secolo d.C., «Non c’e fonte che non sia sa-

cra». Dalla sorgente sgorga acqua pulita, perché è ancora all’inizio del suo viaggio terreno: un simbolo potente di giovinezza, (ri)nascita e guarigione, un archetipo della purezza originaria. Il genius loci delle fonti è spesso una ninfa, che nelle ore assolate può anche assumere forme inquietanti e seduttive (v. pag. 9, «Acqua, principio di tutte le cose»).

Ma cos’è poi questo genius loci ? Non è facile rispondere. È una qualità immateriale, un’anima, un dio minore… Lo vediamo, senza vederlo; sussurra, senza che lo ascoltiamo. «Nessun luogo è senza il suo genio», incalza ancora Servio, ormai mio compagno di viaggio e insospettabile guida turistica. Dunque anche a Firenze, Roma o Ascona noi moderni potremmo incontrarlo, ma a contatto del turismo di massa si nasconde, o forse muore; e senza speranza di resurrezione pasquale.

ca. Faccio poi dietrofront per vederla come si deve questa scultura taille directe alta centosettantacinque centimetri che potrebbe quasi sembrare un masso erratico messo in piedi. Ricorda certe forme antropomorfe che ognuno legge a suo modo, di colpo, nelle rocce. Sembra quasi non esserci intervento dello scultore, come se fosse levigata dall’acqua. Ondeggiante, questa venere tutta per me, ora, alle dieci e diciotto di un mattino grigio a metà aprile, la vedo anche come una Madonna appena abbozzata, impercettibile. Prevale però l’indistinta forma primordiale di una dea della fertilità. Prime foglioline verdine e timide in giro, un frassino in fiore, cinguettii a gogò, la Limmat scorre placida, tanti corrono sulla riva opposta, uno temerario fa il bagno, uno in muta surfa con un aggeggio attraverso un movimento oscillante che mette in moto il principio di Bernoulli: sem-

bra volare levitando sull’acqua. Mi siedo sul bordo di legno dell’aiuola con la menta e il rosmarino in fiore.

«La Venus de Six-Fours (1952) è la versione sensuale più matura della vita nascosta nella pietra – un paradigma del non finito di michelangiolesca tensione» scrive il filosofo marxista tedesco Hans Heinz Holz nella sua monografia del 1976 su Hans Aeschbacher. Il cui nome e titolo dell’opera qui mancano. Eppure il contesto, per la sua venere lavica, è ideale. Le linee eleganti, senza fronzoli, del bagno pubblico realizzato nel 1952 su disegno di Elsa Burckhardt Blum (1900-1974) e suo marito Ernst Friedrich Burckhardt (19001958), esperto di architettura teatrale morto in un incidente autostradale mentre erano in vacanza nel Sussex, la accolgono come una piazza non potrebbe. Curioso come la Venere di Aeschbacher e i Bagni dei Burckhardt, la cui particolarità sono forse le

scale che entrano scenografiche nel fiume, siano coetanei. Al centro della terrazza-solarium, come su un palcoscenico, la venere mediterranea sembra essersi ambientata alla perfezione. Dalla costa azzurra alla Limmat non sembra per niente essere stato un trauma. Vicina al punto dove confluiscono Limmat e Sihl che ispirò un passaggio di Joyce in Finnegans Wake (1939) e i binari della stazione ferroviaria in disuso dove fino al 1995 c’era la «scena aperta» della droga che ha impresso al toponimo Letten un qualcosa di doloroso, attraverso questa divinità vulcanica o Madonna in bozzolo anch’io mi sento in sintonia con il luogo.

La accarezzo e mi viene in mente quello che mi diceva un mio amico antiquario a proposito di una stele in granito di Aeschbacher che ogni volta che va a Zurigo, abbraccia come un amico.

la degli Organizzatori. Non ho dati precisi, tuttavia, a naso, ho l’impressione che siamo in zona podio olimpico. Del resto, un nostro illustre concittadino del secolo scorso aveva definito il Ticino una «Repubblica dell’iperbole». Il termine, coniato dallo scrittore di Sagno, Francesco Chiesa (1871-1973), è stato più volte utilizzato negli anni, come metafora di un Cantone incline alle esagerazioni e all’abbondanza.

Non abbiamo più otto quotidiani. Siamo umilmente scesi a due. In compenso, ad ogni fine di settimana ci ritroviamo una miriade di manifestazioni sportive alle quali aderire. Come spettatori o come protagonisti. Mi sono più volte chiesto le ragioni e il senso di tale proliferare. Anche perché ognuno di questi piccoli, medi, in taluni casi, grandi appuntamenti, richiede strutture, persone,

denaro. Lo stupore cresce se penso al fatto che non siamo un mega-agglomerato come Milano, Londra e Parigi, e che le nostre imprese, quelle che sono chiamate a fornire il sostegno logistico e finanziario, sono spesso impegnate con la difficile quadratura del bilancio. Non è un caso che spesso i nomi che campeggiano su locandine e striscioni pubblicitari siano sempre i medesimi. Quindi perché?

Se mi metto nei panni degli organizzatori intravedo il desiderio di promuovere la propria attività e il proprio club, con l’obiettivo di aumentare il numero dei tesserati, e la massa critica dei praticanti. Se una manifestazione riesce a catturare il grande nome, ad esempio Nino Schurter, Vincenzo Nibali, Alison Dos Santos, aumentano le possibilità di fare proselitismo. Di pari passo si ingigantisce la mediatizzazione dell’evento.

Con grande gioia e soddisfazione degli sponsor, pronti a garantire il loro sostegno per l’edizione successiva, magari con un importo aumentato. Ma là dove la star mondiale non c’è, dove il sudore è quello della gente comune, che ha già sudato per tutta la settimana sul posto di lavoro, qual è il senso dell’operazione?

Non voglio fare nessun processo alle intenzioni. Parto dal presupposto che chi organizza sia animato dalla passione e dalla buona fede. Non sono certo i 20 secondi di intervista in tv a modificare l’inerzia dell’esistenza di una persona. Dubito inoltre che le manifestazioni citate contribuiscano a riempire le tasche di chi le organizza. A volte chiudono il bilancio nelle cifre rosse. E quando c’è un utile, generalmente serve a finanziare le attività giovanili del club che ha patrocinato l’evento. Confermo quin-

di l’idea che, in fondo, all’origine di questo straordinario mosaico organizzativo si celino effettivamente passione e amore.

Non importa che, a bocce ferme, i membri dei vari Comitati, con il prezioso esercito di collaboratori volontari, si ritrovino davanti a un calice di vino, con una tartina in mano, a distribuirsi complimenti e pacche sulle spalle. Se lo meritano. Mi importa soprattutto che con il loro slancio abbiano regalato vibrazioni, emozioni, gioia, a chi ha seguito l’evento. Vibrazioni, emozioni, gioia e salute, a chi vi ha partecipato. Questo è un Ticino iperbolico che piace. Che non si piange addosso. Che si impegna in un prezioso e oscuro lavoro a favore della Comunità. Capace di catturare i riflettori dello star system per tentare di illuminare anche il volto della gente comune.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 24 aprile 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 19 TEMPO LIBERO / RUBRICHE ◆ ●
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di Oliver Scharpf
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di Giancarlo Dionisio

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ATTUALITÀ

Il rapporto dei britannici con l’UE Da tre anni il Regno Unito è fuori dall’Unione europea ma i due terzi dei cittadini desiderano tornarci. Uno sguardo al passato

Pagina 23

Reportage dal Bangladesh

Gli effetti del cambiamento climatico costringono milioni di persone a lasciare le loro case e a rifugiarsi nelle baraccopoli

Pagina 25

Le acrobazie della neutralità

Una ciocca? Il simbolo della resistenza In Iran le proteste continuano nonostante gli arresti arbitrari, le esecuzioni sommarie e le torture perpetrate dal regime

Pagina 27

Svizzera ◆ La nascita e l’evoluzione di un concetto tornato al centro del dibattito con l’aggressione della Russia all’Ucraina

Orazio Martinetti

La neutralità… croce e delizia di una scelta di campo. Rimasta a lungo sotto traccia, come reperto archeologico della guerra fredda, è tornata al centro del dibattito con l’aggressione della Russia all’Ucraina. Tutto è precipitato all’indomani del 24 febbraio del 2022, un’«operazione speciale» che di colpo ha ribaltato gli equilibri internazionali, comprese quelle istituzioni che sulla carta avrebbero dovuto impedire l’invasione (ONU, Consiglio di sicurezza). L’Unione europea reagì cercando di indebolire l’aggressore nei suoi punti nevralgici: l’apparato economico-finanziario e la rete tessuta negli ultimi decenni in Occidente dagli oligarchi filo-putiniani. Alle sanzioni, via via emanate e perfezionate, aderì prontamente anche il Governo elvetico, con alla testa il direttore degli Affari esteri Ignazio Cassis. Ma la decisione riaprì subito la questione: che ne era della plurisecolare neutralità del Paese? La stampa estera non ebbe dubbi: anche la Svizzera stava voltando pagina, allineandosi alle politiche europee e alla NATO. Esitazioni, perplessità e pareri contrari emersero invece nell’opinione pubblica nazionale. Poco prima alcune associazioni appoggiate dall’UDC avevano promosso un’iniziativa popolare mirante ad ancorare nella Costituzione il principio di una neutralità permanente («immerwährend»).

Neutrali fin da Marignano?

Nella discussione intorno alla neutralità è uso rifarsi a due grandi precedenti storici: la predicazione di Nicolao della Flüe (Bruder Klaus) e la disfatta di Marignano a opera di Francesco I. Nel primo caso si pone l’enfasi su una frase che l’eremita di Ranft avrebbe pronunciato per scoraggiare avventure belliche dissennate: «Non immischiatevi negli affari degli altri»; nel secondo caso si trae lezione da una bruciante sconfitta (1515) per accantonare definitivamente ambizioni da grande potenza. Di qui l’assunto, tuttora presente in alcuni manuali scolastici: la Svizzera è neutrale da Marignano in poi.

Gli storici hanno tuttavia dimostrato che queste due tesi (l’una di natura ascetica, l’altra di natura bellica) appartengono alla luce incerta dei miti e delle leggende. Marco Jorio – che al cammino della neutralità ha dedicato un ampio saggio, fresco di stampa nelle edizioni Hier und Jezt – sostiene che fu lo scrivano di Lucerna Hans Salat a pronunciare la sentenza attribuita a Nicolao e che comunque riguardava dissidi circoscritti alla comunità di Stans. Anche la lezione di Marignano va ridimensionata, poiché i confederati sconfitti dai francesi non «tornarono in senno» ma continuaro-

no a battagliare per accaparrarsi nuovi territori, come quello di Vaud, strappato ai Savoia.

Un processo non lineare

Edgar Bonjour soleva ripetere ch’era antistorico far risalire la neutralità ad un preciso atto fondativo: essa era frutto di un processo, non sempre lineare, che affondava le sue radici nel Seicento, nel corso del riassetto negoziato con la Pace di Vestfalia (1648) che metteva fine alla Guerra dei Trent’anni. Prima di quel trattato la neutralità veniva intesa come non-ingerenza nei contrasti interni che periodicamente esplodevano per ragioni politiche o religiose. Solo in quel torno di tempo la vecchia Confederazione comprese che per affermare la propria indipendenza occorreva trovare il modo di difendere i confini, un compito da affidare ad appositi contingenti armati. Nel contempo i tredici Cantoni iniziarono ad estendere l’idea di neutralità alla politica estera. Si voleva così evitare che l’una o l’altra potenza europea potesse trascinare i Cantoni in un conflitto che alla fine avrebbe portato alla dissoluzione della Lega stessa.

Questa faticosa costruzione della neutralità subì una brusca interruzione con il tramonto dell’«Ancien régime» (1798) e l’ascesa di Napoleone Bonaparte. Agli occhi del Primo console, la neutralità era «una parola priva di senso». E infatti la Repubblica elvetica, ricalcata sul modello francese, non riuscì a farla rispettare negli anni delle campagne napoleoniche. Fu un periodo turbolento, segnato dal passaggio di truppe francesi e russe, che mise a dura prova la tenuta della fragile repubblica; che tuttavia ritrovò forza e vigore per rinnovare il Patto federale dopo le sconfitte di Napoleone a Lipsia e a Waterloo.

Al centro l’aiuto umanitario

La restaurazione dei vecchi poteri avvenne al Congresso di Vienna (1815), con un’appendice che integrava gli auspici elvetici: per la prima volta compariva in un documento ufficiale l’espressione «neutralità perpetua», statuto espressamente voluto e riconosciuto alla Svizzera dalle monarchie vincitrici «nell’interesse generale dell’Europa». Il che, negli anni successivi, non escluse dure prove, minacce e possibili ritorsioni da parte dell’Austria di Metternich o, più tardi, dalla Germania di Bismarck. Ma la via era ormai tracciata, all’interno di una cornice che poneva al centro l’intervento umanitario, la Croce Rossa di Henry Dunant, l’accoglienza dei perseguitati, l’offerta dei «buo-

ni uffici» per dirimere vertenze tra potenziali belligeranti, la promozione del diritto internazionale. Una «missione» che la Costituzione federale del 1848 fece propria, pur rinunciando a conferirle la dignità di fine supremo dello Stato ma solo il valore di mezzo per conseguire uno scopo («Mittel zum Zweck»). Un altro riconoscimento decisivo giunse nel 1907 con la Convenzione dell’Aja, in cui venivano stabiliti «diritti e doveri delle potenze e delle persone neutrali in caso di guerra per terra» (art. 1 «Il territorio delle Potenze neutrali è inviolabile»).

Simpatie contrapposte

Nell’estate del 1914, allo scoppio della Grande guerra, la Svizzera riconfermò con forza il suo statuto di Paese neutrale. Tuttavia nell’opinione pubblica gli animi si accesero come un cerino, soprattutto dopo che la Germania aveva deciso di violare la neu-

tralità belga per raggiungere velocemente Parigi. Lo «stupro del Belgio» scavò un profondo fossato tra i Cantoni germanofoni e la Romandia; anche in Ticino l’indignazione fu enorme, con in prima fila la «Gazzetta Ticinese» diretta dal Consigliere nazionale Emilio Bossi in arte Milesbo, il quale pressoché ogni giorno esortava le autorità ad uscire dall’ignavia per combattere, almeno sul piano delle idee, «quel pangermanesimo che tenta di imporre all’Europa la sua egemonia militare, politica ed economica».

A ostilità terminate, nel novembre del 1918, anche l’indenne Svizzera avvertì la necessità di rivedere la sua politica estera e di assumere un ruolo più attivo nell’opera di pacificazione tra gli Stati. Giuseppe Motta, dal 1920 responsabile del Dipartimento politico (affari esteri), non fece mancare il suo appoggio alla neocostituita Società delle Nazioni (SdN) con parole inequivocabili: «La Svizzera ha il dovere politico e morale di collaborare ad un’opera grandiosa destinata a man-

tenere il diritto e la pace nel mondo». Per Motta la proposta di aderire alla SdN non fu tuttavia una passeggiata: l’ingresso fu accettato dalla maggioranza dei votanti, ma non dai Cantoni rurali della Svizzera tedesca. E queste divisioni permasero anche negli anni della cosiddetta «neutralità differenziata», che implicava per la Svizzera l’adozione delle sanzioni economiche decretate dalla SdN in caso di violazione dei trattati. Anzi, aumentarono, al punto che nel 1938 il Consiglio federale decise di ritornare alla neutralità integrale per non inimicarsi i Paesi vicini – Italia e Germania – che nel frattempo si erano dati ordinamenti dittatoriali e imperialistici.

Il sostantivo e l’aggettivo Alla nozione di «neutralità integrale», la Svizzera rimase fedele anche durante la Guerra fredda, elevandola a principio inscalfibile della sua diplomazia. I giuristi suggerirono però di relativizzare il principio introducendo una fondamentale distinzione: quella tra «diritto della neutralità» e «politica della neutralità». La soluzione avrebbe permesso alle autorità di muoversi con maggior agio e libertà nelle relazioni internazionali, come puntualmente avvenne, sia pur lentamente, aderendo alle iniziative promosse dall’ONU o da altre organizzazioni sovranazionali. Sappiamo quanto sia stato difficoltoso questo cammino, quanti malumori abbiano generato le consultazioni che avevano per tema argomenti di politica estera, le collaborazioni con le operazioni di «peacekeeping», la partecipazione ad organismi patrocinati dall’ONU. Ogni volta è parso necessario accompagnare il sostantivo (la neutralità) con un aggettivo: a seconda delle contingenze doveva essere attiva, cooperativa, armata, permanente, benevola… Resta il fatto che la maggioranza della popolazione, a detta dei sondaggi, rimane aggrappata a una concezione della neutralità che somiglia a una professione di fede. Si rimane insomma nel regno delle narrazioni mitiche, pur intuendo che spesso la «Realpolitik» parla un’altra lingua, ben più prosaica.

Bibliografia

Edgar Bonjour, Storia della neutralità svizzera Compendio. Edizioni CasagrandeLonganesi, Bellinzona, 1981; Marco Jorio, Die Schweiz und ihre Neutralität. Eine 400-jährige Geschichte, Hier und Jetzt, Baden, 2023. Gérard A. Jaeger, Henry Dunant. L’uomo che inventò la Croce Rossa, Dadò editore, Locarno, 2023.

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Una cartolina del 1915 che ritrae al centro la Svizzera, a sinistra l’aquila imperiale tedesca e, a destra, il gallo francese (tratta dal libro di Marco Jorio).
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La Brexit non va più di moda

Storia ◆ Da tre anni il Regno Unito è fuori dall’UE ma i due terzi dei cittadini auspicherebbero il ritorno. Uno sguardo al

Ormai da tre anni è fuori dall’Unione europea, ma sull’opportunità della Brexit il Regno Unito sta cambiando opinione. Nella percezione comune si è ormai fatta strada l’idea che i danni dell’uscita siano superiori a quei costi della permanenza che motivarono la vittoria del «leave» sul «remain». Di fatto, i britannici hanno sempre avuto con l’Unione rapporti tempestosi. Mezzo secolo fa l’ingresso nell’allora Comunità economica europea (CEE) fu negoziato quasi all’insaputa di un’opinione pubblica che si sapeva in larga misura ostile. Lo era fin da quando, all’inizio degli anni Sessanta, il Governo di Londra cominciò a bussare alla porta di Bruxelles. La prospettiva di aggregarsi al carro dei «continentali» non entusiasmava affatto gli abitanti delle isole britanniche.

Il generale Charles de Gaulle, presidente della Francia, dell’adesione inglese non voleva nemmeno sentir parlare

Del resto avevano un insospettabile alleato oltre Manica. Infatti il generale Charles de Gaulle, presidente della Repubblica francese, dell’adesione inglese non voleva nemmeno sentir parlare. Considerava la Gran Bretagna un cavallo di Troia degli Stati Uniti, che a Bruxelles avrebbe remato contro. Premonizione tutt’altro che infondata, visto come sono andate le cose. Fatto sta che per ben due volte la Francia di de Gaulle oppose il veto alla candidatura del Regno Unito. La prima nel 1961, la seconda sei anni più tardi. Furono così affossate le richieste di adesione che avevano portato avanti rispettivamente il primo ministro conservatore Harold Macmillan e il laburista Harold Wilson.

Bisognò aspettare il 1969 perché il progetto potesse ripartire. In un referendum indetto da de Gaulle, che chiedeva ai francesi il consenso a una riforma del Senato e alla regionalizzazione della Repubblica, gli elettori voltarono le spalle al generale. De Gaulle aveva assicurato che in caso di

sconfitta se ne sarebbe andato e mantenne la parola: nell’aprile un secco comunicato dalla sua residenza di Colombey-les-Deux-Églises segnalò alla Francia e al mondo che il fondatore della Terza Repubblica usciva di scena. E così poté ripartire il negoziato per l’adesione inglese. Il nuovo presidente Georges Pompidou riavviò la procedura mentre un primo ministro conservatore, Edward Heath, succedeva a Wilson.

Ormai la via verso l’ingresso britannico nella CEE era sgombra, nonostante i persistenti malumori dell’opinione pubblica inglese di fronte a una trattativa che Heath e Pompidou conducevano al riparo dalle luci della cronaca. Si discutevano anche le candidature di Irlanda, Danimarca e Norvegia, Paesi legati all’economia britannica e dunque interessati a seguire il destino di Londra. Ma c’erano altri problemi sul tappeto. Prima di tutto la CEE stava cambiando pelle: aveva cominciato a compiere quei passi in materia d’integrazione che un giorno culmineranno nella sua trasformazione in Unione europea. Inoltre bisognava considerare certi retaggi storici, come la relazione speciale con gli Stati Uniti e soprattutto i complessi rapporti di Londra con i Paesi del Commonwealth.

Dopo che una serie di deroghe ebbe più o meno appianato questi ostacoli, si arrivò nel gennaio del 1972 al trattato di adesione del Regno Unito, dell’Irlanda e della Danimarca, che un anno più tardi entravano nella Comunità. La Norvegia si sottrasse all’impegno europeo: un referendum respinse la prospettiva comunitaria. Questi tre ingressi furono il primo allargamento della Comunità, che prima di allora contava solo i sei soci fondatori (Germania, Francia, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo) e si sarebbe estesa fino a comprendere un giorno ventisette Paesi, popolati da 450 milioni di abitanti.

Nei quasi cinquant’anni che hanno visto i rappresentanti del Regno Unito avvicendarsi nei palazzi dell’Europa, una celebre battuta di Margaret Thatcher, premier conservatrice nel decennio degli Ottanta, riassunse un rapporto Londra-Bruxelles mol-

to spesso conflittuale e ai limiti della rottura. «I want my money back!», voglio indietro i miei soldi, esclamò la signora di ferro. Era il settembre 1979, pochi mesi prima un netto successo elettorale dei conservatori aveva proiettato Thatcher a Downing Street.

Fu Thatcher a gettare il seme della Brexit, destinata a dominare le cronache una trentina d’anni dopo

E così il Consiglio europeo riunito a Dublino dovette vedersela per la prima volta con la grintosa prima ministra di sua maestà, che considerava le rigide politiche europee un ostacolo alle sue scelte sfrenatamente liberiste. Il denaro di cui pretendeva la restituzione era la differenza, che considerava eccessiva, fra le somme sborsate da Londra per il bilancio comuni-

tario e quelle incassate come sussidi all’agricoltura.

In un certo senso fu proprio Thatcher a gettare il seme della Brexit, destinata una trentina d’anni più tardi a dominare le cronache. Il voto che il 23 giugno 2016 decretò l’abbandono dell’Unione, formalmente effettivo dal 31 gennaio 2020, rivelava una netta frattura nell’opinione pubblica. Nelle grandi città a cominciare da Londra prevalse l’Europa, condannata dal voto massiccio della provincia. Inoltre parve minacciata la coesione del Regno Unito: percorsa da fermenti indipendentisti, la Scozia votò per la permanenza, una scelta diretta contro Londra prima ancora che a favore di Bruxelles. Altrettanto fece l’Irlanda del Nord, che nell’uscita vedeva minacciata la stretta relazione con l’Irlanda. Complessivamente 52 elettori su cento voltarono le spalle all’Europa. Poi il vento ha cambiato direzione.

Un sondaggio del quotidiano online «The Independent» rivela che a sette anni dal voto, a tre dal congedo effettivo, l’atteggiamento popolare verso l’Europa ha compiuto una svolta, fino a ipotizzare una drastica correzione di rotta. Nel Paese aggredito da una crisi che si avvita su sé stessa (il FMI stima che nel 2023 il Regno Unito avrà la crescita più bassa fra i membri del G20) e di cui la Brexit è considerata corresponsabile, due terzi dei cittadini hanno auspicato un referendum per negoziare il rientro nell’Unione. Il primo ministro Rishi Sunak, che ha raggiunto una controversa intesa con Bruxelles sulla questione irlandese, non cessa di decantare la «straordinaria opportunità» offerta dall’addio all’Europa. Ma molti fra i suoi non sono affatto d’accordo: conservatori e laburisti stanno cercando insieme il modo di rimediare all’«errore» del 2016. Non sarà facile, la strada è tutta in salita.

La consulenza della Banca Migros ◆ L’ideale sarebbe effettuare il versamento il prima possibile, all’inizio dell’anno

Finora ho sempre aspettato la fine dell’anno per effettuare il versamento nel pilastro 3a e ho poi versato in un’unica volta l’importo annuale massimo. Ho fatto bene?

Sarebbe opportuno versare nel pilastro 3a il prima possibile, all’inizio dell’anno. Prima effettua il versamento, più a lungo beneficia degli interessi preferenziali del suo conto di previdenza. Da un punto di vista fiscale il momento in cui lo fa non ha alcuna importanza. È importante invece che i versamenti vengano effettuati in tempo utile prima della chiusura del periodo fiscale in corso, ossia entro il 31 dicembre, al-

trimenti non è possibile far valere le deduzioni fiscali per l’anno in questione. Nel 2023 l’importo annuale massimo per le lavoratrici e i lavoratori affiliati a una cassa pensioni ammonta a 7056 franchi.

Consideri inoltre che un conto di previdenza frutta pochi interessi, anche se di recente molte banche hanno aumentato i tassi sui conti di risparmio e di previdenza. Invece di parcheggiare denaro sul conto di previdenza, può investirlo in un fondo previdenziale direttamente dal conto di previdenza sul quale giacciono i fondi. Questo investimento offre maggiori opportunità

di guadagno a lungo termine. A seconda del profilo di rischio personale potrà scegliere quote azionarie più o meno elevate. Anche i versamenti nel fondo previdenziale dovrebbero essere effettuati all’inizio dell’anno scaglionandoli sull’intero anno, versando ad esempio un importo fisso ogni mese o ogni trimestre. Questo le consente inoltre di compensare meglio le oscillazioni dei corsi: se questi ultimi salgono, riceve un numero inferiore di quote di fondi a fronte di un importo investito fisso mentre, in caso di flessione, acquista in cambio un numero maggiore di quote a

un prezzo più conveniente. In breve: distribuisca il versamento sull’intero anno, non acquisti troppe azioni in momenti sfavorevoli.

Consiglio

All’inizio dell’anno impartisca un ordine permanente che versi regolarmente importi nel fondo previdenziale: in questo modo le sarà più facile pianificare il budget. Con «MiFuturo» la Banca Migros offre un investimento semplice e sostenibile per il suo patrimonio previdenziale. Info bancamigros.ch/mifuturo

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 24 aprile 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 23
«Qual è il momento migliore dell’anno per versare nel terzo pilastro?»
Isabelle von der Weid, consulente alla clientela Banca Migros Svizzera romanda ed esperta in materia di previdenza. passato Manifestazione anti-Brexit nel 2019. (Alexander Andrews/ Unsplash)

I rapporti tra la Chiesa e la dittatura

Argentina ◆ Dagli archivi ecclesiastici emergono dettagli che illuminano gli oscuri anni del regime militare di Jorge

Angela Nocioni

che la Chiesa fu pavida nei confronti dei militari al potere a Buenos Aires e che mai usò la sua forza pubblicamente per aiutare le famiglie dei desaparecidos che, una ad una, andarono a bussare alle porte delle istituzioni ecclesiastiche per chiedere in ginocchio informazioni su persone sequestrate dalle squadracce del generale Jorge Rafael Videla e scomparse nel nulla.

Non che ci fosse bisogno degli archivi per saperlo. Alla cronaca di quegli anni non risultano prese di posizione incisive della Chiesa contro il regime Videla che stritolò il Paese, facendo migliaia di morti e fino a trentamila desaparecidos. Ma lo studio degli archivi risulta utile a rivelare i carteggi tra le singole disperate persone che si rivolsero alla Chiesa e la Chiesa stessa. In 900 pagine ci sono i dettagli delle risposte date a circa tremila richieste di aiuto di familiari di vittime del terrorismo di Stato – 3115 nella sola Nunziatura apostolica di Buenos Aires, altre nella sede dell’Episcopato – materiale necessario a capire quali dei contatti tra prelati e militari furono registrati dagli archivi ecclesiastici. Anche se Carlos Maria Galli mette subito le mani avanti raccomandando di non creare «false aspettative» perché «negli archivi non c’è nulla di quello che i processi ai militari non hanno trovato». Interessanti però le parole usate dalla Commissione esecutiva della Conferenza episco-

Bontà vegetale

Impronta climatica ridotta

Ipoallergenico

Vegano

Rafael Videla

Il generale Jorge Rafael Videla nel 1978. (Keystone)

pale argentina riportate nella prefazione. Ad aver percorso il cammino – si legge – di «questa ricerca della verità ci muove la necessità di chiedere perdono (…). Per quanto le persone che formano oggi questo corpo collegiale non siano le stesse d’allora, siamo coscienti che, in molte decisioni, azioni e omissioni, la Conferenza episcopale argentina non fu all’altezza delle circostanze». Dai documenti si evince dalla fine degli anni Sessanta l’esistenza di «formulazioni morali» del Vicariato per la lotta antisovversiva. La parte golpista delle forze armate e della destra estrema argentina, i due poteri che poi realizzarono nel 1976 il colpo di stato a Buenos Aires,

sostenevano infatti dal decennio precedente che la società ribollisse di tentazioni rivoluzionarie che andavano soffocate con la lotta «antisovversiva» che poi si rivelò pura eversione delle regole democratiche con mitra in mano e carri armati in strada. «Quanto era stato formulato a partire da un’etica astratta di principi cristiani per la guerra e concepito come estremo rimedio, al fine di restaurare la pace e l’ordine, finì per essere utilizzato come pratica comune amorale e pragmatica». Dal 1975 in poi nei centri di detenzione clandestini furono torturate e uccise moltissime persone, il terrore fu metodo consapevole di cui fu fatto un utilizzo meticoloso. Nonostan-

te ciò tra il 1975 e il 1976, nel comune sentire condiviso tra i vescovi e una parte considerevole del clero argentino – si legge nel testo – «prevaleva la convinzione che le Forze armate fossero le uniche in grado di contenere nella società, inclusa la stessa Chiesa, l’infiltrazione marxista». Il lavoro di analisi ha riportato alla memoria di molti un’intervista rilasciata nel dicembre 1979 dal capo della giunta, Videla appunto, in cui lui, il capo supremo della fabbrica del terrore, dava delle persone che risultavano scomparse nel nulla la definizione plastica di «incognita»: il desaparecido «non ha entità, non c’è, né morto né vivo, è scomparso». Videla poi nel 2011 disse che i desaparecidos furono «il prezzo della vittoria», ma che il suo Governo volle che tutto ciò passasse inosservato all’interno della società argentina. Disse che non ci furono pubbliche esecuzioni perché temeva l’opposizione di Paolo VI.

Il lavoro edito da Planeta dimostra anche che Videla ebbe degli incontri privati con la Commissione esecutiva dell’episcopato e con il nunzio apostolico, monsignor Pio Laghi. Ai componenti della Commissione dell’episcopato disse che i desaparecidos si potevano considerare morti. Con il nunzio ammise la loro esistenza, in un numero tra i 2000 e i 3000. Di più alla Universidad catolica de Buenos Aires obiettivamente non si poteva chiedere.

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«Il fiume ha divorato i nostri sogni»

Reportage ◆ Viaggio in Bangladesh dove gli effetti del cambiamento climatico costringono milioni di persone ad abbandonare le loro case. La testimonianza di Mohammed Sumar che vive con la sua famiglia in una baraccopoli

della capitale Dacca

Francesca Mannocchi

Mohammed Sumar ha 30 anni, una moglie di 24 e un figlio di 7. Il bambino giace su un materasso, ha la febbre alta da giorni e Mohammed non ha soldi per comprargli le medicine. Da quando vive a Dacca, capitale del Bangladesh, lavora come guidatore di risciò. Quando va bene torna a casa con uno o due dollari al giorno, quando va male torna a mani vuote. Chiamare casa il luogo in cui vivono è improprio; casa per loro sono quattro pareti di lamiera in una baraccopoli sovraffollata. Una delle cinquemila in una città tentacolare che conta già più di venti milioni di persone. La popolazione continua ad aumentare ogni giorno, le organizzazioni umanitarie locali stimano dai mille ai duemila arrivi quotidiani in un flusso che non si ferma, e che ha come causa principalmente il cambiamento climatico. Ecco la ragione che ha fatto fuggire Mohammed e la sua famiglia dal sud del Paese, nella zona della costa del Bengala, dove vivevano di pesca e agricoltura prima che un ciclone spazzasse via tutto ciò che avevano.

Sebbene sia uno dei Paesi che contribuisce meno alle emissioni di gas serra (appena lo 0,5 per cento su scala mondiale), il Bangladesh è settimo nell’indice globale di rischio per i Paesi più colpiti dalle emissioni e si stima che entro il 2050 l’innalzamento del livello del mare sommergerà dal 10 al 17 per cento delle sue zone costiere, provocando lo sfollamento forzato di circa 20 milioni di persone (su un totale di 170 milioni circa). Secondo i dati del Governo di Dacca, ad oggi circa 40 milioni di persone vivono sotto la grave minaccia del cambiamento climatico in 19 distretti.

Ad oggi circa 40 milioni di persone vivono sotto la grave minaccia delle crescenti inondazioni in diciannove distretti

Data la sua conformazione – il Bangladesh è un delta attraversato da oltre 200 corsi d’acqua, ciascuno collegato ai fiumi Gange e Brahmaputra che scorrono dall’Himalaya e attraverso il subcontinente dell’Asia meridionale – il Paese è particolarmente esposto a disastri climatici sempre più frequenti. Le inondazioni, a cui le zone meridionali erano in parte abituate, sono sempre state una condizione con cui fare i conti per decine di milioni di agricoltori e pescatori che vivono sulle rive dei fiumi, alcune delle aree più densamente popolate della campagna del Bangladesh. Ma negli ultimi quindici anni la crisi climatica ha aumentato la gravità e l’assiduità dei fenomeni, con precipitazioni più irregolari e violente che causano più cicloni e inondazioni improvvise e rovinose.

Lo scorso anno il Bangladesh ha assistito a inondazioni come non si erano mai verificate, fenomeni che hanno provocato centinaia di morti e fatto scappare circa 7 milioni di persone. Gli scienziati prevedono che, se la tendenza continuerà così o peggiorerà, l’impatto si farà sempre più gravoso e le persone costrette alla fuga cresceranno in maniera esponenziale. Soprattutto perché l’innalzamento del livello del mare significa che le inondazioni di acqua salata stanno rendendo inutilizzabili terreni un tempo fertili.

«Il clima sta diventando più volatile, quindi stiamo assistendo a un intensificarsi delle migrazioni», ha detto Joyce Chen, economista della Ohio State University. «In passato abbiamo conosciuto migrazioni dovute a inondazioni annuali o all’erosione degli argini dei fiumi, ora assistiamo più comunemente all’intrusione di acqua salata che influisce a lungo termine sull’ambiente e quindi sui mezzi di sostentamento di intere comunità. Questo rende più difficile la coltivazione perché il terreno è alterato dall’acqua salina. In passato le persone potevano andare a lavorare in città per alcuni mesi mentre la terra era allagata e tornare quando l’alluvione si era ritirata. Ora non è più possibile. La gente si rende conto che non è possibile restare». Secondo il Center for Environmental and Geographic Information Services (CEGIS), circa 1800 ettari di terra saranno erosi dai fiumi in Bangladesh nel corso di quest’anno e almeno altre 10mila abitazioni scompariranno, distrutte dall’acqua. Come quella di Mohammed. Lui aveva un piccolo pezzo di

terra dove viveva con i suoi quattro fratelli. La loro casa, nella quale erano cresciuti e dove avrebbero voluto crescere i loro figli, era molto vicina al fiume. L’ultimo ciclone ha portato via l’abitazione, la terra su cui sorgeva e la speranza di poterla ricostruire un’altra volta.

Purtroppo le irruzioni di acqua salata stanno rendendo inutilizzabili terreni un tempo fertili: la gente è disperata

Prima, racconta Mohammed, vedere le case danneggiate, ripararle con il fango e riparare gli argini era una consuetudine per tutti quelli che vivevano nel Sunderbans, la grande foresta di mangrovie nel sud, che protegge il Paese dagli effetti delle precipitazioni. Poi, negli ultimi dieci anni, i fenomeni erano diventati così violenti e costanti che le popolazioni locali ricostruivano le baracche danneggiate anche tre, quattro volte ogni anno. Alla fine, stremati, milioni di

pescatori e contadini hanno ceduto e lasciato tutto per cercare riparo e altre fonti di sostentamento nelle zone urbane, già sovraffollate. «La vita è molto dura qui», dice Mohammed seduto sul letto della sua baracca. «Lavoro con il risciò ma non posso permettermi niente. Anche i miei genitori hanno perso la casa e nessuno di noi figli può permettersi di aiutarli. Pago 3000 taka (circa 30 dollari, ndr.) al mese per queste mura di lamiera; ci sono una stufa di fango e un bagno ogni trenta famiglie; l’elettricità è un problema, a volte stiamo giorni interi senza corrente, è tutto durissimo. In più non possiamo mandare a scuola i nostri figli perché non abbiamo nemmeno i soldi per i quaderni».

La condizione delle baraccopoli di Dacca sta via via peggiorando, a mano a mano che gli effetti della crisi climatica si fanno più evidenti. Le statistiche stimano che nelle 5 mila slums della città vivano già 4 milioni di persone, ma sono in molti a pensare che la cifra sia ampiamente sottostimata. Eskander Ali Mollah, presidente del Kalyanpur Slum Rehabilitation Unity Council, afferma: «Il 95% delle persone in questa baraccopoli della capitale proviene da diversi distretti costieri del Bangladesh. La gente è venuta qui dopo che la sua terra è stata inondata. La baraccopoli è stata edificata nel 1998, c’erano solo una manciata di case».

Prima di arrivare a Dacca, Mohammed racconta di aver vissuto giorni davvero difficili. Voleva fare di tutto pur di non lasciare casa sua, la sua terra e le sue origini, ma dopo l’ultima ondata di devastazione la sua famiglia aveva avuto problemi nell’approvvigionamento di cibo per quasi un mese. È stata la mancanza di cibo, prima della paura dell’acqua, a convincerlo a lasciare il poco che restava e diventare un altro numero tra milioni di sfollati. Quando pensa alla zona in cui è nato e cresciuto, Mohammed dice: «Ricordo

che era tutto bellissimo, vasto. Poi il fiume ha divorato tutto lentamente ed è arrivato vicino casa nostra. Abbiamo visto i nostri progetti spegnersi e abbiamo capito che i desideri che avevamo non si sarebbero avverati. Abbiamo capito che non potevamo più avere nemmeno sogni».

Complessivamente, il numero di bengalesi sfollati a causa dell’impatto del cambiamento climatico potrebbe raggiungere i 13,3 milioni entro il 2050, rendendolo la principale ragione della migrazione interna del Paese, secondo la Banca Mondiale. Anche le Nazioni Unite sono allarmate dai numeri e dalle previsioni. Il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, a marzo ha avvertito che il livello globale del mare è aumentato più rapidamente dal 1900 e l’inarrestabile innalzamento delle acque mette a rischio Paesi come Cina, India, Paesi Bassi e appunto il Bangladesh.

E mette in grave pericolo quasi 900 milioni di persone che vivono nelle zone costiere. In un cupo discorso alla prima riunione del Consiglio di sicurezza sulla minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale derivante dall’innalzamento delle acque, Guterres ha dichiarato che il livello del mare aumenterà in modo significativo anche se il riscaldamento globale sarà «miracolosamente» limitato a 1,5 gradi Celsius, l’inafferrabile obiettivo internazionale, e che aumenteranno, di conseguenza, gli spostamenti forzati delle popolazioni che subiscono gli effetti di questi fenomeni.

Mohammed in ogni caso non vuole perdere la fiducia nel futuro. Spera ancora di riuscire a proteggere la sua famiglia e poter mandare di nuovo suo figlio a scuola. Il sorriso che non perde mai diventa amaro solo di fronte a una domanda: chi sono i responsabili di questo scempio? Quando la sente guarda a terra, poi, col viso improvvisamente adombrato, dice: «Non lo so, ma so che non è nostra».

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Baraccopoli di Dacca. Nell'immagine sopra: Mohammed Sumar e sua moglie. (Alessio Romenzi)
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Contro quel «cencio da Medioevo»

Prospettive ◆ In Iran le proteste continuano nonostante gli arresti arbitrari, le esecuzioni e le torture perpetrate dal regime

La polizia iraniana ha di recente annunciato che installerà in tutti i luoghi pubblici delle telecamere «intelligenti» per identificare le donne che vanno in giro a testa scoperta. Queste riceveranno poi un SMS che le avvertirà delle severe conseguenze a cui andranno incontro perseverando nel loro «indecente» comportamento. Verrebbe da parafrasare una battuta che circolava molti anni fa, durante la «war on terror», la guerra al terrorismo, di George W. Bush che si vantava di adoperare «smart bombs» (bombe intelligenti) così come gli iraniani si vantano delle «smart cameras»: quando le bombe sono più intelligenti del tuo presidente significa che c’è un problema.

Il problema, in Iran, per quanto surreale possa apparire, sono i capelli degli esseri umani di sesso femminile. Capelli che sono rapidamente diventati un simbolo di resistenza da quando l’anno scorso Mahsa Amini, una ragazza curda, è stata arrestata e poi picchiata a morte per poche ciocche di capelli che sfuggivano dal velo di ordinanza prescritto dalla legge, e definito dai poliziotti, dal Governo «uno dei fondamenti di civiltà della nazione iraniana». Parole ribadite di recente dal presidente Ebrahim Raisi, che considera il velo femminile «una necessità religiosa» e continua a mettere in atto misure repressive sempre più severe per contrastare le «pericolosissime» chiome in libertà di ragazze e signore. Dimostrando così di essere, quantomeno, molto meno «smart» delle telecamere di sorveglianza. Perché la repressione, fatti alla mano, non ha affatto dato i risultati sperati.

Nonostante le migliaia di persone arrestate, nonostante le esecuzioni, le botte, le torture in custodia, gli iraniani non hanno alcuna intenzione di smettere di protestare. Gli iraniani, tutti. Perché, al contrario di quello che succede in Afghanistan, pochi giorni dopo la morte di Mahsa a scendere in piazza per sostenere la

protesta di madri, mogli e sorelle in Iran sono stati anche gli uomini. Che – al grido di «donna, vita, libertà» e «morte a Khamenei» – hanno protestato per giorni contro l’impiccagione di due dimostranti.

La polizia ha annunciato che installerà delle telecamere «intelligenti» per identificare le donne che girano a testa scoperta

Secondo HRANA (Human Rights Activists News Agency), ci sono almeno ventimila detenuti in relazione alle proteste, oltre cinquecento manifestanti sono stati ammazzati duranti gli scontri con la polizia, alcuni sono stati impiccati e un centinaio di lo-

ro sarebbe stato condannato a morte. Una di questi ultimi si chiama Faezeh Barahooi e ha 25 anni. Colpevole, secondo la polizia iraniana, di avere guidato una dimostrazione studentesca all’Azad University di Zahedan –nella regione del Sistan/Baluchistan – dove la rivolta, come in altre zone dell’Iran, è rapidamente diventata, da protesta contro l’imposizione del velo, una rivolta a tutto campo contro il regime degli ayatollah. Forse Faezeh, arrestata lo scorso 3 ottobre, è già morta. O forse la uccideranno domani. Di lei non si sa più nulla. Come non si sa nulla, tranne che si trova in prigione dallo scorso 22 settembre, di Niloofar Hamedi, la prima giornalista a pubblicare le foto di Mahsa Amini. Nazila Maroofian, che aveva intervistato il padre di Mahsa, è an-

che lei in prigione. Così come una ventina di altre sue colleghe. Secondo Reporter Sans Frontieres (RSF), il numero di giornaliste arrestate negli ultimi mesi è il più alto nella storia della Repubblica iraniana. Sempre secondo i rapporti di RSF e della Committee to Protect Journalists (CPJ), negli ultimi mesi sono stati arrestati un centinaio tra giornalisti e blogger; in più della metà dei casi si tratta di donne. Gli arresti avvengono, sempre secondo le stesse fonti, preferibilmente nel cuore della notte, a opera dell’intelligence, senza mandati d’arresto e senza nessuna garanzia legale. Le vittime scompaiono, vengono interrogate e poi rinchiuse in attesa di giudizio o condannate senza la presenza di un avvocato. Eppure le proteste continuano. Ma continua,

soprattutto, la rivolta quotidiana delle iraniane che scelgono, pur sapendo di rischiare, di non coprirsi più i capelli in segno di protesta, nonostante le ritorsioni della polizia morale e nonostante i manifesti che invitano le donne a coprirsi e che campeggiano un po’ ovunque. E nonostante anche coloro che, all’estero come nell’area geopolitica, si barcamenano in dotte disquisizioni per giustificare l’ingiustificabile e difendere la dignità di quello che Oriana Fallaci definiva «cencio da Medioevo», facendolo passare per scelta culturale e religiosa da parte delle donne. Di quelle stesse donne che, in Iran, in Afghanistan come altrove, vengono incarcerate, torturate e ammazzate per aver scelto di non coprirsi il volto e i capelli.

Se l’hijab, il velo, è un simbolo politico, se, come sostengono alcuni, è stato un simbolo di appartenenza e di rivolta contro «l’occidentalizzazione» forzata imposta al Paese in passato, bisogna tanto più considerare un simbolo politico, e un simbolo forte, anche l’attuale rifiuto da parte delle iraniane di continuare a indossarlo. Un simbolo di rivolta contro un Governo dittatoriale che sopprime ogni libertà individuale in nome di un preteso precetto religioso, che fa della morale un’arma per colpire ogni legittima aspirazione dei suoi cittadini. Un simbolo di rivolta contro l’islamo-fascismo che considera le donne un male da estirpare e da tenere nascosto dentro le case o sotto un triste lenzuolo funebre spacciato per indumento. Contro uno Stato di polizia che si nutre soltanto di paura e che grazie alla paura continua a prosperare. Senza capire che, come sostiene un’attivista iraniana che per ovvi motivi vuole rimanere anonima: «Noi non abbiamo più paura. La rivolta continua e continuerà a dispetto delle leggi e della repressione. Perché, come dice il poeta (il greco Dinos Christianopoulos ndr.), hanno cercato di seppellirci, senza capire che, invece, eravamo semi».

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Il Mercato e la Piazza

L’importanza economica della malattia

Dall’annuario dell’Ufficio cantonale di statistica risulta che, nel 2020, il 15,7% della popolazione del Ticino è stata degente in ospedale. Si tratta dei cosiddetti «pazienti usciti», ossia di quelle persone che hanno beneficiato di un trattamento e poi hanno potuto lasciare l’ospedale. Così almeno interpretiamo questa statistica. Il dato impressiona: se fossero sempre pazienti diversi, se fossero tutti domiciliati in Ticino, si potrebbe pensare che il ticinese visita l’ospedale almeno una volta ogni sei anni. Una frequenza elevata. Se invece compariamo la percentuale ticinese con la media nazionale che, nel 2020, era uguale al 16,7%, ci accorgiamo che, sempre nel 2020, primo anno di pandemia, da noi ci sono stati in proporzione meno pazienti dimessi dagli ospedali che nel resto del Paese. Tuttavia in Ticino potrebbero esserci stati più morti in ospedale che altrove anche perché la popolazione è più anziana della me-

Affari Esteri

dia nazionale. O forse non è così… Stando a una recente notizia, la popolazione ticinese non solo è vecchia ma è anche la più longeva d’Europa (ha la speranza di vita maggiore). Questo sembrerebbe suggerire che nei nostri ospedali muoiano in proporzione meno persone rispetto al resto della Svizzera. È quindi probabile che una parte della nostra popolazione anziana, di origine allogena in particolare, per morire prenda il treno per Zurigo o Basilea. Ecco un’ipotesi sulla quale si potrebbe indagare a livello universitario: Ticino, il Cantone dove non si nasce e non si muore! Avanzando nell’analisi della statistica, occorre sottolineare che il dato concernente i «pazienti usciti» è influenzato, nella sua evoluzione, non solo dall’andamento della quota di popolazione malata e dal suo tasso di mortalità, ma anche da variabili come il numero dei letti in ospedale o la lunghezza media del periodo di degenza, i quali evolvo-

no spesso in funzione degli obiettivi della politica sanitaria cantonale. Negli ultimi due decenni in Ticino, nonostante la popolazione residente sia aumentata del 13%, l’effettivo dei pazienti dimessi dagli ospedali è restato costante, oscillando tra le 55mila e le 60mila unità annuali. Nello stesso periodo però sono diminuiti sia l’effettivo dei letti (–20% circa), sia quello delle giornate di cura (–30% circa).

Questi indicatori provano che negli ultimi due decenni l’efficienza delle cure ospedaliere nel Cantone è aumentata in modo significativo: nei nostri ospedali oggi si riesce a guarire il medesimo effettivo di malati con meno letti e meno giornate di degenza. Ma allora perché le spese per la salute aumentano? Fatto che si può verificare comparando i premi di cassa malati del 2000 con quelli del 2023. Anche le spese dell’ente pubblico per la salute non sono diminuite. Nel 2000 il Cantone aveva pagato per la sani-

Sudan: la lotta tra due feroci generali

Abdel Fattah al Burhan e Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti, sono due generali sudanesi. Il primo è il capo di Stato di fatto e guida l’esercito regolare; il secondo è il suo numero due e guida le Rapid Support Forces (RSF), la più importante milizia paramilitare del Paese. Entrambi sono cresciuti sotto la protezione dell’ex dittatore del Sudan, Omar al Bashir; entrambi hanno contribuito allo sterminio nella regione del Darfur, nella parte occidentale del Paese (trecentomila morti, due milioni di sfollati). Entrambi hanno abbandonato Bashir quando hanno realizzato che non era salvabile, ma prima hanno partecipato alla repressione violenta delle manifestazioni contro il regime; entrambi hanno cacciato i rappresentanti non militari dal Consiglio di transizione nel 2021 (un golpe); entrambi hanno cercato e trovato sostegno dagli altri Paesi della regione, a Riad, al Cairo,

Zig-Zag

È dura portare avanti una rubrica con cadenza mensile. Sono troppi gli avvenimenti che suggeriscono il tema da presentare e spesso arruffano quanto hai in preparazione dato che l’attualità, un giorno sì e l’altro pure, impone aggiornamenti e abbandoni. Per dire, all’inizio avrei voluto parlare di Henry Kissinger, l’ultimo dei dinosauri della geopolitica, che alla vigilia del suo centesimo compleanno sforna un tomo di seicento pagine, cento per ognuno dei grandi leader che lui ha conosciuto e servito. Poi ecco le elezioni cantonali e pensavo di preparare una dissertazione sulla vittoria della lista senza intestazione che mette a nudo un andazzo che i partiti archiviano tranquilli, incuranti della perdita di credibilità e della pericolosità di scelte e indirizzi.

Vedendo che anche la politica nostrana perde subito attrazione, mi convin-

ad Abu Dhabi soprattutto. Entrambi si sono equipaggiati e organizzati per un eventuale scontro: l’esercito regolare conta circa 200 mila uomini, le RSF circa la metà, ma hanno ricevuto consigli e addestramento dalla Wagner russa e sono da sempre considerati di una violenza fuori controllo, essendo di fatto Janjaweed, «diavoli a cavallo», gli autori delle uccisioni, delle torture, degli stupri in Darfur. Si sono mossi insieme, Burhan e Hemedti, ma quando avrebbero dovuto firmare l’accordo per far confluire le RFS dentro l’esercito regolare hanno deciso di farsi la guerra. Non è stato l’impeto di un momento: si sono preparati a farsi la guerra mentre al resto del mondo dicevano che avrebbero fatto la pace. Declan Walsh ha scritto sul «New York Times»: «Gli inviati in Sudan dei Paesi stranieri hanno organizzato lunghi incontri con i due generali nel

tentativo di raggiungere un accordo. Sono state fatte promesse, sono state estorte alcune concessioni. Si è svolta persino una cena insieme, a casa di un generale. Ma nelle strade le macchine militari rivali si stavano attrezzando per la battaglia. Di notte le truppe entravano silenziosamente nelle basi degli altri a Khartoum, si marcavano a vicenda, come su un campo da calcio».

Entrambe le fazioni dicono di essere state provocate e di non aver avuto altra scelta se non difendersi, ma la mossa cruciale l’ha fatta Hemedti: la mattina del 15 aprile le RFS sono entrate in un aeroporto di Khartoum, hanno sparato anche ai passeggeri civili (due morti) per fermare tutti gli aerei. Sui social hanno iniziato a circolare i video della presa di tutti gli aeroporti, mentre il generale Hemedti concedeva un’intervista ad «Al Jazeera». Burhan è un criminale, ha

tà e l’assistenza 246 milioni; nel 2020 ben 593 milioni. Durante gli ultimi due decenni il tasso di crescita annuale della spesa del Cantone per la salute pubblica e l’assistenza è stato pari al 4,5%, quindi largamente superiore al tasso di crescita annuale medio del PIL. Allo stesso tasso annuale è aumentato, negli ultimi 20 anni, l’effettivo del personale che lavora nel ramo «Sanità e assistenza sociale». Nel 2000 per le cure delle persone malate e per l’assistenza erano infatti impiegate in Ticino 12’500 persone. Nel 2020 l’effettivo aveva superato le 30mila unità. «Sanità e assistenza sociale» sono così diventate negli ultimi anni, dal profilo dell’occupazione, il ramo più importante della nostra economia. Sarebbe interessante sapere come è aumentata l’occupazione negli ospedali. Poiché il numero dei letti e le giornate di degenza sono diminuiti, pensiamo che gli effettivi dei dipendenti dei nostri ospedali non siano aumentati.

Ci si può allora chiedere in quale attività del ramo «Sanità e assistenza sociale» gli addetti continuino a crescere. In base al quadro evolutivo tracciato sin qui crediamo di poter affermare, senza però disporre delle cifre che potrebbero confermare l’ipotesi, che l’aumento del personale curante nel corso degli ultimi due decenni è forse dovuto all’espansione delle cure sanitarie a domicilio o in istituti di cura che non vengono registrati nella statistica riguardante l’attività degli ospedali. In effetti le spese per le cura a domicilio sono aumentate, tra il 2000 e il 2020, a un tasso annuale pari al 4,5%, uguale quindi a quello con il quale è cresciuto l’effettivo degli occupati nel ramo «Sanità e assistenza sociale». Sarebbe ora che il Cantone mettesse in piedi una statistica consolidata per i flussi di questo ramo che, non solo è diventato uno tra i più importanti della nostra economia, ma è anche largamente finanziato dagli enti pubblici.

detto, vuole distruggere il Paese, va fermato, catturato o morirà «come un cane». I sudanesi si sono chiusi in casa, ma non è stato sufficiente: sono cominciati i rastrellamenti, che sono uno dei metodi favoriti dalle RFS per conquistare silenzio e consenso. Non che il popolo del Sudan stia dalla parte dell’esercito, che è emanazione del regime di Bashir, che ha contribuito alla creazione dei Janjaweed, che ha represso nel sangue le proteste del 2019 e anche quelle prima e che ha escluso la società civile dalla gestione del potere. Ma Hemedti ha creato una forza militare, le RFS, con una natura mercenaria, che ha operato in altri Paesi, come in Libia e in Yemen, che ha una formazione da guerriglia e che per questo spaventa terribilmente i civili. Ora organizzazioni e attori internazionali stanno cercando di fermare i combattimenti. Però i numerosi inviti al cessate il fuoco non

hanno avuto successo. L’obiettivo dei negoziatori è di far parlare i due generali, ma il terreno comune tra loro, se mai è esistito, non c’è più: hanno una visione diversa della gestione della sicurezza, non sono in grado di fondersi in un unico esercito perché hanno metodi e interessi differenti, puntano all’annientamento reciproco. L’unica cosa che li ha tenuti insieme è la determinazione a escludere con la forza la società civile dalla guida del Paese. Per questo i Comitati per la transizione sono a oggi l’unica risorsa credibile per riportare un minimo di sicurezza ma se si leggono i comunicati delle telefonate tra i due generali e i leader egiziani, sauditi ed emiratini che sostengono una o l’altra parte, la variabile «società civile» è assente. È questo il pericolo più grande: lo era il 15 aprile quando lo scontro è cominciato, lo è ora, una montagna di morti dopo.

co che forse è preferibile un tema meno impegnativo. Prevale allora l’idea di trattare il problema della diminuzione del pubblico delle sale cinematografiche e in generale del cinema, passando dall’arrivo di Super Mario Bros alle dimissioni del direttore della casa del cinema di Locarno, magari con excursus sulle micidiali proposte di distribuzione in streaming e sulla faticosa ricerca di un nuovo presidente del Festival. Tutto subito oscurato: c’è il vacillare prima, il fallimento quasi certo poi e infine il salvataggio del Credit Suisse. Ma la storia esce dai miei radar dopo il penoso inciucio PS-UDC alle Camere federali. Magistrale nel dire tutto il collega Philippe Castella de «La Liberté»: i partiti che hanno votato contro la scelta del Consiglio federale in realtà «si sono accontentati di lanciare pietre contro il camion dei pompieri, dopo aver

atteso saggiamente nel loro angolo che l’incendio fosse ben spento (…) e nascondendo la legittima indignazione per le lezioni non apprese dalla crisi finanziaria del 2008». Nuova ricerca e sbatto contro l’insopportabile parossismo di violenza di un video che arriva dall’Ucraina (bestie umane che attuano una decapitazione). Credo che sia stata quella iniezione di orrore a impormi una scelta agli antipodi, una pacifica notizia de «la Repubblica» online riguardante la soia: considerato un vero e proprio «cibo-medicina» nella tradizione cinese, usata nella cosmetica protegge dall’ossidazione con effetti anti-age sul viso, rassodanti sul corpo e idratanti sui capelli. Scaccio subito il presumibile sconcerto di chi legge e mi conosce, dicendo che non intendo spacciare un viso senza rughe o un corpo rassodato e capelli idratati:

andando verso gli ottanta è d’obbligo quello che natura e pigrizia decretano. Se ne parlo è per collegare la notizia dell’impiego esterno della soia in cosmetica con l’uso interno che da oltre 30 anni faccio della lecitina, un derivato della soia (tecnicamente un «fosfolipide coinvolto in diversi processi all’interno dell’organismo umano») che assumo ogni mattina come integratore alimentare. Il «vizio» è cominciato oltre 40 anni fa quando nella redazione di «Azione» giunse un imprenditore italiano che sperava di convincere Migros a inserire tra i suoi prodotti anche la lecitina dei Ferruzzi e Gardini. Ma non erano ancora tempi di integratori e di proposte alimentari alternative e il mio ingenuo tentativo prima a Sant’Antonino e poi anche a Migros Bund fallì. Da quell’imprenditore però accettai un consiglio: al mattino due cuc-

chiai di lecitina. Per quarant’anni ho potuto spiegare, e spero di continuare a farlo, a diversi dottori che è grazie anche alla lecitina se i miei valori e parametri smentivano le loro congetture abbinabili al mio peso in eccesso, alla mia refrattarietà al movimento ecc. Un solo rammarico: mentre da noi la lecitina ha costi notevoli da parafarmaco, in Italia (prodotta da Novartis!) la si acquista a meno della metà. Mi fermo anche perché una notizia di attualità mi sta suggerendo di effettuare un ennesimo cambio: in Svizzera i costi della salute nel primo trimestre sono aumentati di oltre il 7% e i soliti portavoce preavvisano che a novembre rincareranno anche i premi delle casse malati. Il titolo, rivolto a ospedali, primari e ai gioiosi condottieri della Lamal, lo lascerei a Totò: «Un po’ di rispetto, è un cadavere morto».

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 24 aprile 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 29 ATTUALITÀ / RUBRICHE ◆ ●
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di Paola Peduzzi
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«Un po’ di rispetto, è un cadavere morto»

Specialità orientali

Il nuovo assortimento Migros Daily è un mondo da 1001 prelibatezze

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Frammenti di viaggio

Per la prima volta in italiano un testo del premio svizzero di letteratura Zsuzsanna

Pagina 35

Focus Natural

A dieci anni dal disco d’esordio, tutta la gioia della flautista ticinese

Pagina 37

Politicamente corretto

L’ascia della censura ora si abbatte perfino sulla regina del giallo Agatha Christie

Pagina 38

«Mi appassiona la complessità che è in noi»

Intervista ◆ Il romanzo di Jean-Baptiste Del Amo uscito per Neri Pozza parla di radici famigliari, di eredità e di patriarcato

Il figlio dell’uomo di Jean-Baptiste Del Amo, un titolo biblico per un romanzo pieno di sottintesi, di segreti e sfumature, è un libro ambizioso e potente che in Francia ha ricevuto il Prix du Roman Fnac 2021, e da poco è pubblicato in Italia da Neri Pozza. È la storia di un uomo che dopo molti anni di assenza, ricompare nella vita della sua compagna e del figlio che ha avuto con lei e li porta con sé in montagna, nella solitaria casa delle Rocce dove è cresciuto, forse per vivere lì con la sua famiglia, o solo per ricominciare daccapo. Qualunque fosse il desiderio del padre, qualcos’altro si fa strada nella sua mente, e finisce per minacciare la vita della madre e del figlio. Ne abbiamo parlato con Jean-Baptiste Del Amo incontrato a Firenze nell’ambito della presentazione del libro a Testo.

Il figlio dell’uomo è il suo quinto romanzo ed è un discorso da uomini. È d’accordo?

È vero, è un romanzo che parla di uomini, della mascolinità e del patriarcato, ma credo che sia anche un libro che giudica con severità il patriarcato e la trasmissione della violenza. Sono un uomo e scrivo credo con sensibilità e attenzione sulla rappresentazione della mascolinità, ma anche con grande affetto per i miei personaggi femminili.

Tuttavia in questo caso il suo personaggio femminile sceglie il sacrificio, perché?

La madre sceglie di nuovo di fidarsi di quest’uomo, che è il padre di suo figlio, anche se intuisce che costituisce una minaccia. Per me è quasi un’eroina, una sorta di Antigone di Sofocle: resiste alla violenza di quest’uomo in tutti i modi, si frappone tra lui e il bambino anche con il suo silenzio, rifugiandosi in una resistenza silenziosa. Come romanziere amo le sfaccettature dei miei personaggi, perché è l’ambiguità, la complessità che è in noi che mi appassiona. Così la madre non è solo una vittima, e il padre, non volevo che fosse visto come un personaggio malefico, anche lui è in parte una vittima della propria educazione e della propria eredità familiare.

Quella che lei racconta è una storia antica, ma che si ripete ancora oggi, finirà mai?

È una storia antica, ma anche molto attuale. Ed io volevo con questo romanzo mostrare in che modo, nella storia dell’umanità, come nella storia di una famiglia, i medesimi schemi comportamentali si ripetono e la violenza si propaga e si riproduce nel tempo, da una generazione all’altra. Anche per questo i miei personag-

gi non hanno nomi propri, ma sono semplicemente: il padre, la madre e il figlio.

Secondo lei il figlio, che ha solo dieci anni, riuscirà a sfuggire alla pesante eredità di suo padre e di suo nonno? È la domanda che sta alla base di

tutto. Si può rifiutare qualcosa che ci viene trasmesso come una sorta di codice familiare? Soprattutto quando si tratta della violenza, si può sfuggire al determinismo sociale, o familiare? Qual è il nostro libero arbitrio nella vita? Il romanzo non dà delle risposte, perché credo che non sia questo il ruolo della letteratura che deve invece porre domande, fornire rappresentazioni, sensazioni ed emozioni. Sapevo che un finale aperto non dà una risposta precisa, ma ritenevo più importante mostrare come il figlio, per rifiutare l’eredità del padre sia costretto a utilizzare le sue stesse armi e fatalmente a combattere il male con il male.

Quanto c’è di lei nel bambino del libro?

Molto. Il figlio dell’uomo è anche un romanzo di formazione, è la storia di un bambino che si ritrova confrontato con la realtà del mondo degli adulti, ma che scopre anche la natura lassù in montagna e un modo di sta-

re al mondo. Per raccontarlo ho scavato nei miei ricordi d’infanzia nelle campagne francesi del sud-ovest.

Il padre del romanzo quanto assomiglia al suo?

C’è qualcosa anche del rapporto che avevo con mio padre, tuttavia la mia storia è molto meno drammatica di quella del libro, ma la figura del padre e quella del patriarca hanno avuto grande importanza sulla mia infanzia. Da mio padre ho ereditato una storia di esilio e di immigrazione dalla Spagna alla Francia. Di mio nonno paterno ho molti ricordi poiché è morto che avevo undici anni. Era il patriarca della famiglia, non parlava francese e lo capivo poco, ma gli ero molto affezionato e subivo il suo fascino perché era una forte presenza maschile. Credo che l’idea di padre che mi porto dietro dalla mia infanzia abbia profondamente marcato il mio immaginario e nei miei romanzi ho sentito il bisogno di approfondirla e di rappresentarla.

Quanto c’è di autobiografico nei suoi romanzi?

Non sempre lo so. Nei miei romanzi, anche ciò che mi riguarda più da vicino è sempre modificato, amplificato, trasformato: dalle esperienze, alle ossessioni, alle paure. Questo libro insieme con i miei precedenti romanzi: Il Sale e Regno Animale, entrambi sulla famiglia, sulla trasmissione dei valori, sulla figura del padre, formano quasi una trilogia, sollevano degli interrogativi e si rispondono nel tempo. Ma con Il figlio dell’Uomo credo di essere arrivato alla fine del cammino, alle radici della mitologia familiare e della violenza trasmessa da padre in figlio ed ora mi sento più libero di passare ad altri argomenti.

Del Amo è uno pseudonimo, perché prenderne uno?

All’inizio era un modo per dissociare la personalità privata dall’identità pubblica nell’attesa di sapere se avrei continuato a fare lo scrittore. È il cognome di mia nonna paterna, un simbolo per la famiglia. Con il tempo Del Amo è diventato parte della mia identità. In spagnolo «amo» vuol dire il padrone, il proprietario terriero. È un nome che mi riporta alla terra, come le mie storie.

Finita l’emergenza legata alla pandemia nelle nostre città è emersa tra i giovani una violenza difficile da capire e da arginare, perché secondo lei?

L’emergenza pandemica ha accomunato mezzo mondo e ha fatto scaturire uno slancio di solidarietà che veniva dalla sensazione di vivere la prima vera esperienza collettiva, ma una volta finita la pandemia, non ci sono state scelte collettive epocali ad esempio riguardo all’ecologia, invece siamo stati tutti riassorbiti da preoccupazioni e situazioni personali. Siamo stati fagocitati dalla dura realtà economica e lavorativa; dalla situazione della guerra in Ucraina che alimenta un sentimento di minaccia di cui oggi siamo pienamente coscienti. Per i giovani è stato un duro risveglio perché il campo delle loro possibilità si è ristretto, le loro speranze future si sono ridotte. Noi, i nostri genitori, siamo cresciuti tutti con l’idea che avremmo avuto la possibilità d’inventarci un’esistenza. Per i giovani di oggi tutto questo è molto più complicato e loro ne sono coscienti. Tutto ciò è di un’estrema violenza e genera violenza.

● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 24 aprile 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 33
CULTURA
Bibliografia Jean-Baptiste Del Amo, Il figlio dell’uomo Neri Pozza, Milano, 2023.
Le radici degli alberi come radici famigliari. (Keystone); sotto una foto dell’autore. Blanche Greco

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Affascinanti frammenti di viaggio

Taccuino ◆ Di Zsuzsanna Gahse, Gran premio svizzero di letteratura è uscito per la prima volta un testo in italiano

Nel 1956 la repressione della rivolta di Budapest ha avuto come conseguenza la fuga di migliaia di persone verso occidente. La tragedia ungherese ha determinato una diaspora e incalcolabili sofferenze, ma ha contribuito a mettere in luce l’opera di importanti figure della cultura magiara. Si pensi ai casi notissimi di Agota Kristof e Tomaso Kemeny, che hanno trovato asilo in Svizzera e in Italia. Per Zsuzsanna Gahse, fuggita dall’Ungheria quando aveva dieci anni, è stato senz’altro più facile il passaggio, comunque sofferto, dalla scrittura nella sua lingua madre al tedesco del Paese che l’ha accolta, la Svizzera. Per i lettori italofoni è ora possibile conoscere questa scrittrice grazie alla Casa della Letteratura di Lugano, che ha istituito un corso di traduzione editoriale. Ne è così nato il Taccuino di scribacchiature del sud, per ora l’unico testo tradotto in italiano dei molti di Zsuzsanna Gahse. Ma cosa nasconde questo titolo misterioso? Un diario di viaggio? Un eccentrico reportage sulla Spagna postfranchista? Il resoconto di un suo tour di letture pubbliche? O il lungo referto delle sue allucinazioni? Probabilmente tutto ciò e molto di più. La trama, se di trama si può parlare, allude a un nonno che molti anni prima da Budapest si trasferì a Granada. Inoltre veniamo a conoscere un certo Tokoll, un fotografo giramondo specializzato in ritratti. Sembra di capire che Tokoll è il compagno (o l’accompagnatore) dell’io narrante, il quale a sua volta compie un turbinio di spostamenti sui quattro assi del continente, ma sempre

con le Alpi come baricentro. Uno dei pochi punti fermi della vicenda consiste nel fatto che tutti viaggiano (in effetti sembrano colpiti da Wanderlust).

D’altronde l’autrice non fa nulla per orientare il lettore tra queste sue pagine così deliziosamente ondivaghe. Insomma, un pandemonio, se non fosse che il libro si legge con grande interesse. Ma perché questa raccolta di frammenti di viaggio è così affascinante?

La mia ipotesi è che il suo strano modo di descrivere luoghi, persone e gli innumerevoli oggetti sparsi nel libro è assolutamente accattivante. Una ginnastica dello sguardo che non lascia indifferenti. Certo, quando si descrive ci si accorge che ogni descrizione è sommaria, approssimativa, sbagliata, ma anche il manufatto più ordina-

rio (un soprabito, una matita) si rivela nelle mani dell’autrice l’efficace Ersatz di un’emozione inesprimibile. Tra gli ulteriori meriti di questo libro, nel quale brani più estesi sono alternati a frammenti di misura aforistica («Le Alpi esistono per renderci più pungente il desiderio di varcarle e arrivare a Sud»), c’è da mettere in conto l’acutezza sensoriale. Per esempio è molto bella l’osservazione sui profumi e gli odori della Spagna (profumi che chiunque vi sia stato anche solo una volta riconosce); così come le puntuali osservazioni sinestetiche (i treni che passando producono suoni foschi). Con una predilezione particolare per l’udito, come nel caso delle campane della chiesa di Vals, i cui rintocchi sono resi con grande finezza.

La scrittrice ha vinto il Gran premio di letteratura nel 2019. (schweizerkulturpreise.ch/ Maurice Haas)

In un libro così eccentrico non potevano mancare alcuni scompensi o punti di frizione. Per esempio verrebbe da chiedersi se è lecito fornire ragguagli sull’espletamento delle proprie impellenze fisiologiche. Al riguardo rimango dubbioso (sarò ipersensibile, ma quando in un film un personaggio si lava i denti cambio canale). Oppure, sul versante della pur ottima équipe di traduttrici («nessunese» o «minuscolezze» sono alcuni dei neologismi a cui si è ricorsi per rispecchiare l’espressionismo dell’autrice), qua e là alcune soluzioni appaiono perfettibili (per esempio il treno in ritardo in seguito al suicidio di un infelice mi sembra sia reso troppo impersonalmente con «a causa di un danno alle persone»). In questo appassionante zibaldone di pensieri

Avi Avital, il virtuoso del mandolino

Concerto ◆ Incontro con il musicista che suonerà all’Auditorio Stelio Molo con l’OSI

Enrico Parola

Pianoforti, violini e violoncelli; più raramente viole, clarinetti o flauti; ma mai un mandolino. Poi è arrivato Avi Avital e anche il simbolo della musica napoletana è entrato nel novero degli strumenti solisti chiamati a condividere con le orchestre i palcoscenici più prestigiosi al mondo. Il quarantaquattrenne virtuoso israeliano si esibirà all’Auditorio Stelio Molo giovedì prossimo, accompagnato dall’Orchestra della Svizzera Italiana nei Concerti RV 93 di Vivaldi e di Sollima (sul podio Markus Poschner, che dirige anche la quinta sinfonia di Beethoven).

Avi Avital ha inciso Bach, Vivaldi e tanta altra musica – dalla contemporanea al folk – per la Deutsche Grammophon, la mitica etichetta gialla che ha immortalato le interpretazioni di Karajan, Abbado e Kleiber; è stato applaudito nei massimi templi del concertismo mondiale, «anche all’Hollywood Bowl, con la Los Angeles Philharmonic davanti a 13mila persone, circondato da un silenzio e un’attenzione incredibili; suonare le Quattro stagioni nello stesso luogo dove si erano esibiti i Beatles è stato un momento incredibile, per me e per il mandolino, non avrei mai pensato che sarebbe potuto accadere». È accaduto, così come il suo casuale, ma forse si potrebbe dire fatale incontro col mandolino: uno strumento inusuale non solo da scegliere, ma anche solo da vedere e conoscere. «A otto anni i miei genitori mi por-

tarono a un concerto di un’orchestra giovanile mandolinistica; rimasi affascinato non tanto dallo strumento in sé, quanto dalla musicalità generale che si sprigionava da quel gruppo; fu quella musicalità che volevo per me, il mandolino risultò semplicemente la porta per accedervi».

Avital, più che a quel concerto, ama andare all’origine di quell’insolito incontro: «Il mio paese natale, Be’er Sheva, è piccolo, ma aveva visto nascere questa orchestra perché vi si era trasferito Simcha Nathanson. Suonava il violino, ma c’era già l’insegnante di questo strumento, così gli chiesero se volesse mettere in piedi un’orchestra usando i quaranta mandolini che giacevano inutilizzati in un magazzino; accettò e creò una formazione di mandolini, mandole, chitarre e contrabbassi. Studiai con lui; non essendo un mandolinista, più che insegnarmi la tecnica mi trasmise la sua musicalità, il gusto per i fraseggi, le dinamiche, cioè proprio quello che mi aveva colpito in quel primo concerto. Certo, quando poi intrapresi un serio percorso di studi, dovetti recuperare tutto il tempo non dedicato alla tecnica pura…».

All’inizio Avital non pensava di poter diventare l’ambasciatore del mandolino, il pioniere di una rinascita di questo strumento, arrivando a ricevere le nomination per i Grammy Award: «Mi interessava fare musica e non mi spaventava il fatto che il repertorio fosse esiguo: due concer-

ti di Vivaldi, due perle di Beethoven e Mozart, qualche pagina di Hummel. Il mandolino era legato al folclore napoletano o al dilettantismo

Con «Azione» al concerto «Azione» mette in palio alcuni biglietti per il concerto dell’OSI diretto da Markus Poschner giovedì 4 maggio alle 20.30 all’Auditorio Stelio Molo RSI. Per partecipare al concorso inviate una mail a giochi@azione.ch, oggetto «Avital» con i vostri dati (nome, cognome, indirizzo, no. di telefono) entro domenica 30 aprile alle 24.00.

di qualche nobile appassionato, non godeva la considerazione di un violino o un violoncello». L’affrancamento da questo stereotipo e il tentativo di ammetterlo tra gli strumenti che potessero «reggere» il palco di una moderna sala da concerto, a fianco di orchestre (ma anche in recital solistici) è passato necessariamente dal potenziamento della sua sonorità. «Ho avuto la fortuna di conoscere un liutaio straordinario, Arik Kerman, che a ottant’anni ancora aveva voglia di confrontarsi con me e mettere in discussione la storia del mandolino, cambiandone la forma e alcune caratteristiche tecniche; abbiamo lavorato assieme per anni, mi ha fabbricato mandolini in grado di reggere, dal punto di vista strutturale, mec-

nomadi (raramente, forse solo in Robert Walser, ho letto una tale sensibilità visiva connessa alla capacità di divagare), la sua attenzione errabonda (o meglio, l’ininterrotto concatenarsi della sua mente analogica) può posarsi, per dire, sull’onomastica delle montagne.

Un bazar della memoria

Così l’autrice si chiede, con la gioiosa incoerenza di una nursery rhyme, se una cima con nome italiano si sgretoli più velocemente di una con nome tedesco. E come non essere d’accordo con il ludico accostamento paretimologico tra soffritto e soffrire? In un così incantevole bazar della memoria non potevano mancare alcuni luoghi d’elezione: Bolzano, Zurigo, Malaga, Vienna, ma in verità la geografia di Zsuzsanna Gahse ha coordinate più personali, le catene montuose. Non per nulla si definisce una filosofa del viaggio che ha studiato le carte geografiche delle montagne. Contrariamente ad Elias Canetti con il tedesco, la sua lingua non si è salvata, troppi sono gli anni di lontananza dall’idioma di suo nonno. Ciò che le resta dell’ungherese sono solo singole parole. Tra queste ne evoca una in particolare, «hallgat», che significa al tempo stesso tacere e ascoltare. Una parola preziosa in questi tempi grevi.

Bibliografia

Zsuzsanna Gahse, Taccuino di scribacchiature del sud, Ibis, Como 2022.

canico e sonoro, un repertorio originariamente scritto per violino, con quantità di note e varietà dinamiche impensabili per lo strumento nella sua concezione originaria». Con questo Avital ha potuto trascrivere, incidere e suonare in tutto il mondo i Concerto per violino di Vivaldi e Bach, e lo stesso ha fatto ad esempio con le Sonate o le Partite per violino solo del sommo Johann Sebastian, tra cui la vertiginosa e virtuosistica Ciaccona in re minore

A Lugano suonerà il Concerto che Giovanni Sollima ha scritto per lui: «Ci siamo conosciuto nel 2014, da direttore artistico mi aveva invitato a suonare alla Notte della Taranta in Puglia. Lui palermitano, io israeliano di origini marocchine; entrambi legati e influenzati dal mar Mediterraneo, che è stato anche un crogiuolo di storie e linguaggi musicali incredibilmente ricco. Come me è aperto a ogni genere musicale – io li considero dialetti di un’unica lingua, per i Suoni delle Dolomiti abbiamo suonato nei rifugi il folk balcanico, il rock e il metal». Genere che fa parte del suo passato: «A 14 anni suonavo anche la batteria, magliette dei Nirvana, anfibi e capelli lunghi; ho decisamente cambiato ambito, ma qualche anno fa ho ricomprato una batteria elettronica; quando ho del tempo libero, soprattutto dopo una tournée, mi piace chiudermi in camera e riabbracciare certi amori giovanili».

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La musica gioiosa di Linda Jozefowski

Musica ◆ Incontro con la flautista ticinese che ha appena pubblicato il suo secondo album Focus Natural

Mi è impossibile iniziare questo articolo su Linda Jozefowski (nella foto) senza ricordare un divertente episodio di molti anni fa. Fresca di studi musicali, Linda era in viaggio, diciamo così, alla ricerca del «suo suono» e mi era capitato di incontrarla mentre si esercitava con il suo flauto nel tunnel di Besso, a Lugano, cercando di sfruttare l’acustica particolare di quel luogo. Il suo impegno e la concentrazione erano intensi e immagino che in quella esperienza ripetuta varie volte, a quanto mi aveva detto, Linda si rifacesse a esempi illustri. Impossibile, ad esempio, non pensare alla famosa immagine di Sonny Rollins sul ponte di Brooklyn, in combattimento con la forza del vento e il rumore del traffico. Il contrasto tra le due immagini era dato naturalmente dalla differente corporatura della Jozefowski e anche dalla dolcezza nel timbro del suo strumento. Negli anni seguenti, la flautista aveva poi intrapreso gli studi alla Haute Ecole de Musique di Losanna e, fresca di diploma, aveva presentato nel 2011 a Jazz in Bess di Lugano il suo primo album For My Dead Folks. Il disco era molto originale, costruito sull’impasto melodico del suo flauto e del vibrafono di Jean-Lou Trebloux. I pezzi prendevano la loro fisionomia dalla passione della flautista per la musica indiana, un tratto stilistico davvero affascinante, che si era affermato in lei dopo un periodo di studio in India compiuto nel 2009.

Berlino sicuramente alla fine mi ha portato a trovare questa libertà nel suonare, la stessa che vuole esprimere questo album: Focus Natural racconta una sorta di filosofia, una certa maniera di lavorare che è spontanea, senza sforzo, creativa

Poi, la partenza: come molti giovani artisti ticinesi la Jozefowski aveva scelto di trasferirsi a Berlino alla ricerca di una scena musicale e creativa stimolante e attuale. A Berlino, le è stato possibile prendere parte a molte esperienze musicali e performative sicuramente uniche, che hanno contribuito a consolidare la sua personalità. L’abbiamo incontrata nelle scor-

se settimane di nuovo a Jazz in Bess, in occasione del festival Jazz Winter Meeting 2023, dove è giunta con il suo più recente progetto, legato alla pubblicazione del suo secondo disco Focus Natural (Unit records). L’album ha una fisionomia originalissima, per complessità ritmica e per impasto sonoro, ma possiede soprattutto un suono gioioso e caldo, una freschezza espressiva che raramente capita di sentire.

Al primo ascolto sembra rispecchiare la crescita e maturazione della flautista, nei dieci anni intercorsi dal suo disco d’esordio: «In realtà questi pezzi li ho composti qualche tempo dopo avere registrato il primo album e risentono ancora della mia vena musicale di quel periodo. Però ci sono voluti molti anni per metterli su disco. I brani di questo album sono stati quasi tutti composti a Berlino, città fertile di creatività e nuove idee che ho frequentato assiduamente negli ultimi anni sino a quasi metterci le radici. Sono stati anni di grande introspezione nei quali la ricerca e il ritrovamento di una libertà interiore va di pari passo con una sempre più marcata maturità artistica. Dopo averli abbozzati ho avuto un momento di crisi, in cui ho anche praticamente smesso di suonare. Avendo frequentato per un po’ di tempo la scena berlinese, a un certo momento ho avuto voglia di uscire dai riflettori. Avevo bisogno di ritrovarmi, di trovare forse anche una certa sicurezza in me stessa. Quando poi mi sono rimessa a suonare, ho ritrovato proprio la gioia. Ho deciso che per qualche tempo mi sarei messa nel ruolo di sidewoman. Ho partecipato a diversi progetti, tra cui quelli con la Kenneth Dahl Knudsen Orchestra, con Joel Holmes, e ho registrato diversi album. Nel frattempo ho passato molto tempo a comporre. Le composizioni dell’album sono sì le prime seguite a quello d’esordio, ma ne ho composte molte altre che spero un giorno di poter incidere su un terzo lavoro…»

La fase di crisi è un momento che molti musicisti hanno dovuto affrontare. Linda Jozefowski sembra averla superata di slancio. «Sì, questo album vuole essere veramente gioioso, spontaneo, senza complessi. Ecco, era importante per me liberarmi dalla pressione che mi sentivo addosso. La cosa è stata evidente fin da subito. L’abbiamo registrato tra febbraio e marzo del

2020, proprio prima del lockdown». Come ci racconta Linda, l’album è stato registrato durante una residenza di dieci giorni nel contesto creativo e dinamico di una comunità artistica, La Maison-Matrice, situata nella campagna del Giura. «L’ambiente è stato molto stimolante, non solo in termini di scambi e interazioni umane e artistiche, ma anche perché mi ha fatto sentire parte di un progetto più ampio. Durante l’intero processo di registrazione, aspettavo anche un bambino. Suonare in questa condizione speciale è stata un’esperienza fantastica: è stato così facile rimanere nel momento presente, essere spontanei, provare gratitudine e momenti di intensa gioia. Così abbiamo provato e registrato per dieci giorni con l’idea di concentrarci il più possibile sul qui e ora, sull’energia e l’intenzione che mettiamo nella musica, e meno sui dettagli tecnici e sugli errori».

Focus Natural è un album molto interessante, in cui si sentono echi dell’hard bop anni Sessanta, ritmi africani, tracce di flauto ipnotiche e ritmicamente complesse, insomma una varietà di stili che sono però tenuti uniti dalla presenza e personalità della leader, il cui suono è veramente maturo e autorevole, a dispetto della sua dolcezza. «È un album che dimostra come il flauto sia uno strumento

potente. Tra i flautisti che mi hanno influenzata ci sono sicuramente Nicola Stilo e Yusef Lateef, ma mi sono ispirata anche a sassofonisti, e ovviamente ad altri strumentisti come Ari Honig o Steve Coleman».

Ascoltando l’album capita spesso di pensare ad atmosfere folcloriche. «Sì, è una musica che ho suonato spesso. Mi piace molto anche la musica etnica in generale. Ho studiato ritmi di un po’ tutte le culture, passando dalla Grecia ai Balcani, all’Ungheria e poi ovviamente all’India. Per quanto riguarda le influenze indiane, nel jazz sicuramente John McLaughlin con il suo gruppo Shakti è stato sempre un grande punto di riferimento. In generale ho sempre trovato interessanti anche i ritmi africani, in particolare la musica del Ghana e l’Afrobeat, ma anche la musica brasiliana».

E questa multiformità culturale è, in un certo senso, un lascito dell’esperienza berlinese.

«Berlino sicuramente mi ha portato finalmente a trovare questa libertà nel suonare che l’album vuole esprimere: Focus Natural racconta una sorta di filosofia, una certa maniera di lavorare che è spontanea, senza sforzo, creativa, nella quale il focus si manifesta naturalmente nella musica e nella sua estetica. Tutta la creatività che noi mettiamo in questo progetto – il

focus – dovrebbe esprimersi in modo totalmente naturale. Credo che soltanto in questa maniera il risultato ottenuto – la musica – possa essere carica di un sentimento, di una profondità psichica. Soltanto così il sentimento che noi musicisti cerchiamo di materializzare nella nostra musica riesce ad emergere nella sua autenticità. E questo vale per ogni cosa. Se c’è stress in quello che fai, allora la magia svanisce».

In conclusione, Linda Jozefowski tiene a sottolineare un elemento che rende davvero unico il disco. «Parlando di questo stato mentale di spontaneità naturale non posso fare a meno di pensare che la particolarità di questo album sia data dal fatto che durante la registrazione ero incinta di mio figlio, quindi lo abbiamo un po’ registrato insieme io e lui. Devo dire che già lo stato mentale di una gravidanza è un flusso spontaneo, un momento di serenità, quindi anche questo ha sicuramente influito sull’atmosfera generale». Si chiama Lucas il bimbo che Linda Jozefowski ha dato alla luce dopo la registazione del disco e chissà se anche lui con il passare del tempo, riscoltandone la musica, potrà rivivere qualcosa del piacere vissuto da sua mamma nel registrarlo. Focus Natural, anche per questo, si dimostra un album veramente speciale…

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Pro Senectute Ticino e Moesano

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Non si salva neanche la Christie

Cancel culture ◆ La censura colpisce la regina inglese del giallo

Dopo Ian Fleming e Roald Dahl, l’accetta del «politicamente corretto» si è abbattuta su Agatha Christie. I romanzi con protagonisti Hercule Poirot e Miss Marple scritti dalla regina della suspense fra il 1920 ed il 1976, sono stati infatti rieditati e ripuliti di termini potenzialmente discriminatori, per non urtare la sensibilità del pubblico di oggi. Le modifiche apportate alle nuove edizioni pubblicate dalla casa editrice HarperCollins, riguardano prevalentemente personaggi incontrati dai protagonisti della Christie fuori dai confini del Regno Unito, e fanno riferimento soprattutto a descrizioni relative alla loro origine etnica o identità di genere.

Non è la prima volta che un’opera dell’autrice britannica subisce una correzione postuma: il romanzo Dieci Piccoli Indiani, intitolato Ten Little Niggers nella versione inglese pubblicata per la prima volta nel 1939, era stato ribattezzato nel 1977 And Then There Were None per il mercato anglosassone, in quanto la denominazione originaria conteneva un’espressione considerata attualmente estremamente razzista. E fin qui, niente di strano. Tanto più che l’offensiva parola in questione appariva sulla copertina e sul dorso del libro, dove tutti – anche i bambini – potevano leggerla. Tuttavia, questa volta sono stati eliminati da alcuni dei romanzi più celebri della scrittrice, non solo termini indiscutibilmente irrispettosi, ma anche frasi meramente descrittive, rimuovendo semplici riferimenti al colore della pelle come l’aggettivo «nero» e all’appartenenza religiosa o etnica come le parole «ebreo», «zingaro» o anche «orientale». Persino l’espressione «nativo» è stata sostituita dalla più generica «locale».

Nel libro Assassinio sul Nilo, ad esempio, il passaggio dove la Signora Allerton si lamenta di essere tormentata da un gruppo di bambini, dicendo che «continuano a tornare e fissare e fissare, ed i loro occhi sono semplicemente

disgustosi così come i loro nasi, e non penso che i bambini mi piacciano per davvero», nella versione rieditata è stato accorciato nel modo seguente: «continuano a tornare e fissare e fissare. E non penso che i bambini mi piacciano per davvero». Nel romanzo Miss Marple ai Caraibi, invece, l’accenno della protagonista ai «graziosi denti bianchi» di un sorridente cameriere autoctono, è stato levato tout court. Ci sono certamente, alcuni dialoghi nei primi libri della Christie che hanno toni un po’ razzisti e contengono in particolare stereotipi antisemitici. Come nel giallo Il Pericolo Senza Nome del 1932, dove un personaggio ne descrive un altro, dicendo che «rotola nei soldi», per poi aggiungere «è ebreo naturalmente, ma un ebreo spaventosamente per bene». Analogamente, nel libro L’Assassinio di Roger Ackroyd del 1926, a proposito di un paio di creditori scozzesi che tampinano i loro debitori per riavere indietro il denaro, un personaggio afferma di sospettare «un ceppo ebraico fra i loro antenati». Purtroppo nella società inglese degli anni Venti e Trenta, era abbastanza comune negli ambienti della media borghesia, esprimere pregiudizi anti-semiti nella conversazione di ogni giorno. Altri romanzi della Christie invece contengono altre forme di razzismo

casuale come Carte in Tavola, thriller con protagonista il detective Poirot, dove un personaggio si vanta: «Non dimentico mai un volto, persino uno nero, a differenza della maggioranza delle persone». Ma i libri della celebre autrice inglese non sono che uno specchio dei tempi in cui era vissuta. E sono in molti pertanto a parlare senza mezzi termini di censura. A cominciare dal quotidiano britannico «Daily Telegraph», che – spezzando una lancia a favore della regina del giallo – ricorda come ogni opera letteraria rifletta l’epoca in cui è stata scritta: cultura, linguaggio, credenze, attitudini e anche pregiudizi. Alla fine, i romanzi di un tempo hanno anche un valore storico, perché raccontano il passato ed è per questo che non dovrebbero essere epurati di alcun elemento, anche se reputato offensivo dal lettore contemporaneo. Anche il creatore di James Bond, Ian Fleming ed il celebre autore per bambini, Roald Dahl, sono stati vittime negli ultimi mesi di rivisitazioni in chiave politicamente corretta. Oltre a termini ritenuti razzisti, sono stati rimossi da famosissimi libri di Dahl come Charlie e La Fabbrica di Cioccolato e Le Streghe, aggettivi considerati discriminatori come «grasso» e «brutto». Se la censura dell’autore per l’infanzia e la polemica che ne è seguita – che ha visto fra gli oppositori persino pesi massimi come Salman Rushdie e la moglie del re d’Inghilterra, Camilla – ha spinto la casa editrice Puffin a pubblicare due versioni dei libri di Dahl – una corretta e una classica – affidando ai lettori quale scegliere, HarperCollins che pubblica nel Regno Unito i romanzi della Christie, invece ha già modificato le nuove edizioni digitali dei gialli della scrittrice, senza remore. Mentre la Agatha Christie Limited, la società diretta dal pronipote dell’autrice James Prichard, che gestisce le licenze delle sue opere, si è trincerata dietro a un no comment.

Il Pardo sul Monte Generoso

Concorso ◆ Il 5, 6 e 7 maggio un weekend in vetta dedicato al grande cinema

La partnership tra la Ferrovia del Monte Generoso, il Percento culturale e il Film Festival di Locarno «ci riempie d’orgoglio perché siamo convinti che questa scelta faccia parte di quei piccoli, ma fondamentali, passi per promuovere al meglio lo sviluppo sostenibile nel nostro territorio» dice Monica Besomi, Head of Marketing & Communication e Vice-Direc-

In vetta con «Azione»

«Azione» mette in palio alcuni biglietti per la serata Pardo Night di venerdì 5 maggio che comprendono il viaggio di andata e ritorno con il trenino a cremagliera, l’assaggio di risotto con le colonne sonore dei film famosi sullo sfondo e la visione dei tre cortometraggi. Per partecipare al concorso inviate una mail a giochi@azione.ch, oggetto «Pardo» con i vostri dati (nome, cognome, indirizzo, no. di telefono) entro lunedì 1. maggio alle 24.00.

tor della Ferrovia Monte Generoso. Il risultato è un intero fine settimana dedicato al grande schermo in cui verranno proiettati alcuni film delle precedenti edizioni, appositamente selezionati per tutta la famiglia. Come di consueto la sera del venerdì sarà dedicata all’aperitivo e alla musica con le colonne sonore cinematografiche più ascoltate di sempre e gli iconici cocktail di alcune indimenticabili pellicole, come il Vesper Martini di James Bond, il Rickey del Grande Gatsby, il Cosmo di Sex and the City e altri ancora. Nella sala conferenza, accomodati sulle sedie del Locarno Film Festival, per tutta la serata, avrà luogo la proiezione di due cortometraggi: Fairplay di Zoel Aeschbacher e Love, Dad di Diana Cam Van Nguyen. Sabato 6 maggio si entra nel vivo con il festival cinematografico elvetico e il Pardo Dinner. La partenza è anticipata già alle ore

16.30 da Capolago per permettere ai partecipanti di godersi la proiezione del toccante Last Dance di Delphine Lehericey che ha tanto emozionato la scorsa edizione, vincendo il Prix du

Public UBS. Seguirà il Pardo Dinner al Ristorante Fiore di pietra con un menù giallo e nero e la musica dal vivo. Domenica 7 maggio invece è il momento del Pardo Family Day con la doppia proiezione (al mattino e al pomeriggio) del film di animazione Yaya e Lennie – The Walking Liberty di Alessandro Rak. Tutte le info dell’evento sono sul sito www.montegeneroso.ch nella sezione eventi.

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di cervo prodotti in
in
7 Offerte valide solo dal 25.4 all’1.5.2023, fino a esaurimento dello stock. Migros Ticino Da allevamento rispettoso della natura e della specie 5.30 invece di 7.60 Bistecca di scamone di manzo marinata, IP-SUISSE in conf. speciale, per 100 g 30% 1.55 invece di 2.10 Costolette di maiale, IP-SUISSE per 100 g, in self-service 26% 1.90 invece di 2.25 Cordon-bleu di pollo Don Pollo prodotti in Svizzera con carne di pollo dal Brasile, per 100 g, in self-service 15% 3.95 invece di 4.95 Cappello del prete (Picanha), IP-SUISSE per 100 g, in self-service 20% 2.45 invece di 3.55 Prosciutto cotto Puccini prodotto in Ticino, per 100 g, in self-service 30%

Pesce e frutti di mare

Un mare di bontà

20%

Tutto l'assortimento di pesce fresco in vaschetta per la cottura al forno per es. filetto di salmone con limone e coriandolo, ASC, 400 g, 14.30 invece di 17.90

28%

14.55 invece di 20.25

Gamberetti Pelican, crudi e sgusciati, ASC prodotto surgelato, in conf. speciale, 750 g

In vendita anche al banco

20%

Pesce fresco bio salmone, orata e branzino, al bancone e in self-service, per es. filetto di salmone con pelle, d’allevamento, Norvegia, in self-service, per 100 g, 5.– invece di 6.25

Gustose bontà per tutti i palati

Arricchito con proteine del siero del

latte

20%

Fiori o gnocchi Anna’s Best, refrigerati Fiori asparagi e ricotta o gnocchi al basilico, in conf. multiple, per es. fiori, 3 x 250 g, 11.75 invece di 14.85

2 20%

7.90 invece di 9.90

20x CUMULUS Novità

Cornatur bistecca al pepe o scaloppine al limone e pepe, per es. bistecca al pepe, 2 x 195 g

Alimenti sostitutivi della carne a base vegetale

20x CUMULUS Novità

4.95 Sea Style Fingers plant-based V-Love 180 g

20x CUMULUS Novità

3.50 Sausage Spread Nature plant-based V-Love bio, 150 g

Sonatural disponibile in diverse varietà, per es. smoothie proteico, 25 cl, 3.95

20x CUMULUS Novità

6.95 Pulled BBQ planted. 180 g

Prodotti freschi e pronti 9 Offerte valide solo dal 25.4 all’1.5.2023, fino a esaurimento dello stock.
conf. da 3
conf. da

Da spalmare, sorseggiare, grigliare e sgranocchiare

Con

10 Migros Ticino
Formaggi e latticini
invece di 2.45 Grana Padano, DOP 700/800 g, per 100 g, confezionato 20% 2.15 invece di 2.55 Caseificio Blenio per 100 g, confezionato 15%
invece di 1.90 Le Gruyère dolce, AOP per 100 g, confezionato 15% Yogurt M-Classic e Saison disponibili in diverse varietà, per es. Saison al ribes/all'albicocca/al rabarbaro, 6 x 200 g, 3.60 invece di 4.50 conf. da 6 20% 5.–invece di 6.75 Pallina di mozzarella bio 3 x 150 g conf. da 3 25% 5.30 invece di 6.60 Tartare erbe e aglio o panna e Fleur de Sel, per es. erbe e aglio, 2 x 150 g conf. da 2 19% Tutti i formaggi Baer da grigliare o rosolare per es. Tomme Original Happily, 200 g, 5.45 invece di 6.80 a partire da 2 pezzi 20%
frutta di stagione 1.95
1.60

LO SAPEVI?

La Società Svizzera di Nutrizione raccomanda di consumare regolarmente il burro. Il motivo?

Questo latticino contiene grassi equilibrati e diversi acidi grassi saturi e insaturi. È inoltre un'importante fonte di vitamina D, essenziale per lo stoccaggio del calcio nelle ossa.

11 Offerte valide solo dal 25.4 all’1.5.2023, fino a esaurimento dello stock. Migros Ticino
Drink di patate vegano e cremoso 2.60 Tutte le bevande Dug Potato Dairy Free prodotti vegani, Original, Barista o Unsweetened, 1 l 20x CUMULUS Novità 13.50 invece di 14.–Burro da cucina panetto, 4 x 250 g conf. da 4 –.50 di riduzione Tutti i tipi di Caffè Latte Emmi per es. Macchiato, 230 ml, 1.80 invece di 2.15 15% Snack al latte Kinder refrigerati per es. fetta al latte, 5 pezzi, 140 g, 1.50 invece di 1.70 –.20 di riduzione

Croccante, croccante ...

Il nostro pane della settimana: un Twister dall'aroma delizioso grazie alla farina di segale oltre che di frumento, impreziosito da semi di lino. Sei ore di lievitazione per una freschezza che dura più giorni

5.95

Consiglio: farcisci con formaggio e prosciutto e inforna secondo le istruzioni

e prodotti da forno 12
Pane
Bretzel pronti da infornare, IP-SUISSE 8 pezzi, 500 g Hit 6.30 invece di 8.40 Biberli d'Appenzello 6 x 75 g conf. da 6
3.20 Twister rustico
pietra
25%
cotto su
bio 360 g, prodotto confezionato

Per la serata cinema a

Il gelato vegano dall'intenso gusto di caffè

20x CUMULUS Novità

5.95 Gelati da passeggio Cold Brew Coffee surgelati, 6 x 48 ml

Gelato alla panna con succo di frutta

20x CUMULUS Novità

6.95 Gelato da passeggio Exotic prodotto surgelato, 4 x 90 ml

20%

Tutte le tavolette di cioccolato Frey per es. al latte finissimo, 100 g, 1.60

4.50

Campagnole Mulino Bianco 700 g

20%

Popcorn da microonde M-Classic salati o léger, in confezioni speciali, per es. salati, 10 x 100 g, 4.45 invece di 5.60

13 Offerte valide solo dal 25.4 all’1.5.2023, fino a esaurimento dello stock.
casa Dolce e salato
Hit
invece di 2.–a partire da 2 pezzi

Un po’ di senape non guasta mai

a partire da 2 pezzi

20%

Tutto l'assortimento Knorr per es. salsa per arrosto, 230 g, 5.55 invece di 6.90

a partire da 2 pezzi

20%

Tutti i prodotti Thomy in tubetto, vasetto e flacone squeezer per es. maionese à la française, 265 g, 2.40 invece di 2.95

Per gli amanti della cucina asiatica

20%

Tutto l'assortimento Sempio e Kelly Loves per es. Ramune Original Kelly Loves, 200 ml, 2.35 invece di 2.95

conf. da 6 25%

Ravioli M-Classic alla napoletana o alla bolognese, in confezioni multiple, per es. alla napoletana, 6 x 870 g, 15.75 invece di 21.–

Scorta 14

Oltre 750 prodotti a prezzi bassi

3.50 Sciroppo al lampone M-Budget 1,5 l

15 Offerte valide solo dal 25.4 all’1.5.2023, fino a esaurimento dello stock.
Tutti i tipi di zucchero bio (prodotti Alnatura e Demeter esclusi), per es. zucchero cristallizzato bio, 1 kg, 1.80 invece di 2.30 20% Tutto l'assortimento di olio d'oliva Monini per es. Classico, 1 l, 11.95 invece di 14.95 20% PIÙ RISPARMIO
kg
1.40 Spaghetti M-Budget 1
1.20 Sugo al pomodoro M-Budget 500 ml
Tutti i tipi di caffè Exquisito, in chicchi e macinato per es. in chicchi, 1 kg, 12.75 invece di 15.95 20%

Per star bene nella propria pelle

15%

Tutto l'assortimento Rescue per es. gocce, 10 ml, 12.65 invece di 14.90

Shampoo Nivea per es. Classic Care Mild, 3 x 250 ml, 6.50 invece di 9.75

Assortimento per la cura del bebè compreso

a

conf. da 2 25%

25%

Prodotti per la cura del viso e del corpo Nivea, Nivea Men e Nivea Baby (solari, prodotti per la doccia, deodoranti, prodotti per la cura delle mani, confezioni multiple e da viaggio esclusi), per es. siero antimacchie Nivea Luminous 630, 30 ml, 22.50 invece di 29.95

a

partire da 2 pezzi

a

partire da 2 pezzi

Tutto l'assortimento Secure (confezioni multiple e sacchetti igienici esclusi), per es. Secure Ultra Normal, FSC®, 20 pezzi, 4.80 invece di 6.–

Bellezza e cura del corpo 16
Con le essenze originali dei fiori di Bach
partire da 2 pezzi
Tutto l'assortimento Molfina e Gynofit (confezioni multiple e sacchetti igienici esclusi), per es. Bodyform Air Molfina, FSC®, 46 pezzi, 1.50 invece di 1.85 conf.
20%
da 3 33%
Prodotti per la cura del viso o del corpo Nivea (prodotti per le mani esclusi), per es. struccante per occhi per trucco resistente all'acqua, 2 x 125 ml, 8.70 invece di 11.60
20%

a partire da 2 pezzi

20%

Tutto l'assortimento per la depilazione Veet e I am (confezioni multiple escluse), per es. crema depilatoria Express, 150 ml, 6.80 invece di 8.50

Prezzi con fattore benessere

conf. da 3

17.95

Pantaloncini da uomo disponibili in diversi colori, taglie S–XL, in vendita nelle maggiori filiali

conf. da 5

19.95

Slip a vita bassa da donna disponibili in diversi colori, taglie S–XL

conf. da 3

8.95

Fantasmini da uomo bio disponibili in bianco, numeri 39–42 o 43–46

Disponibile

conf. da 3

8.95

Fantasmini da donna in bambù disponibili in blu, numeri 35–38 o 39–42

conf. da 2

20%

Rasoio da donna BiC in confezioni multiple o speciali, per es. rasoio usa e getta Twin Lady, 2 x 10 pezzi, 4.95 invece di 6.20

99.95

Trolley da viaggio Titan disponibili in viola, grigio o beige, taglia S, il pezzo

Abbigliamento e accessori 17 Offerte valide solo dal 25.4 all’1.5.2023, fino a esaurimento dello stock.
in diverse misure
Hit
Hit
Hit
Hit
Hit

Offerte per tutte le età

Varie 18 Una bontà adattissima ai bambini: cotta al forno, non fritta Prodotto testato da organi indipendenti Flacone in plastica recuperata dalle spiagge 10.50 Detersivo per capi delicati Migros Plus in busta di ricarica 1,5 l Tutti gli snack Organix per es. flips di carote bio, 20 g, 1.55 invece di 1.90 a partire da 2 pezzi 20% 11.95 Detersivo delicato Wool & Silk Yvette in busta di ricarica 2 l 10.60 invece di 15.20 Panni Total Color Protect 2 x 30 pezzi conf. da 2 30% Salviettine umide per bebè Milette, FSC® per es. Soft & Care Sensitive, 4 x 72 pezzi, 9.95 invece di 13.–conf. da 4 23% 2.10 Detersivo per stoviglie Handy Fresh Ocean 750 ml 20x CUMULUS Novità 39.95 Cuscino della salute Alva il pezzo Hit

Tripudio di colori naturali per il salotto e il giardino

CONSIGLIO DEGLI ESPERTI

Le piante di erbe aromatiche vendute nei supermercati non sono molto robuste perché sono selezionate per il consumo rapido. Però la vita della pianta si prolunga se una volta a casa la si distribuisce in più vasi. Così ha più luce, spazio e nutrienti. La razione giornaliera d'acqua dovrebbe essere pari al 10% del volume del vaso.

Fiori e giardino 19 Offerte valide solo dal 25.4 all’1.5.2023, fino a esaurimento dello stock.
a partire da 2
Tutte le erbe aromatiche bio vaso, Ø 13 cm, per es. basilico, il vaso, 4.– invece di 4.95
pezzi 20%
Hit
9.90 Tulipani disponibili in diversi colori, mazzo da 24, per es. rossi, il mazzo
Hit
9.95 Phalaenopsis, 2 steli disponibile in diversi colori, in vaso, Ø 12 cm, per es. pink, il vaso

YOU: per un’alimentazione equilibrata

Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli già ridotti. Offerte valide solo dal 25.4 all’1.5.2023, fino a esaurimento dello stock.
20% su tutto l’assortimento YOU Tutte le capsule Café Royal per es. Lungo, 36 pezzi, 10.05 invece di 14.95, offerta valida dal 27.4 al 30.4.2023
partire da 3 pezzi 33%
invece di 11.85 Bratwurst dell'Olma
San Gallo,
27.4
conf. da 3
imbattibili weekend del Prezzi Validi gio. – dom.
a
7.95
di
IGP Svizzera, 3 x 2 pezzi, 960 g, offerta valida dal
al 30.4.2023
32% Patate fritte e wedges M-Classic e Denny's prodotto surgelato, per es. patate fritte al forno M-Classic, 1,5 kg, 4.15 invece di 6.95, offerta valida dal 27.4 al 30.4.2023 40%

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di sconto Cumulus su notebook HP e dispositivi all-in-one selezionati.

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