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Anche le violazioni tributarie nel perimetro 231 Si estende la responsabilità diretta a carico delle imprese. Occorre rivedere l’organizzazione aziendale in chiave di prevenzione delle violazioni: modelli di organizzazione e controllo come reti protettive. di PAOLO ANGHEBEN, Confindustria Trento
NELLA GAZZETTA
Ufficiale del 24 dicembre scorso è stata pubblicata per entrare in vigore il giorno di Natale (sic!) la legge n. 157 del 19 dicembre 2019, che ha convertito il decreto fiscale di fine anno (D.L. n. 124/2019). Tra le novità spicca l’introduzione di alcuni delitti tributari tra i reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del d.lgs. 231/2001. In particolare l’articolo 39, al comma 2 inserisce un nuovo art. 25 quinquiesdecies al d.lgs. 231/2001 riferito ai reati in materia fiscale di: dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici; emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; occultamento o distruzione di documenti contabili; sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte. Giunge così a compimento un processo che, a partire dal primo affacciarsi nel nostro sistema giuridico, di una responsabilità degli enti e delle società per contestazioni avanzate nei confronti delle persone che agiscono per conto delle stesse (imprenditori, dirigenti e collaboratori), ha visto via via allargarsi il perimetro di
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applicazione di questo schema: dalle iniziali violazioni riferibili a condotte corruttive o di truffa il meccanismo di estensione della responsabilità ha investito prima le violazioni in materia societaria (anni 2001/2002), poi le contestazioni in materia antiinfortunistica (nel 2007) per poi allargarsi nel 2011 anche ai reati ambientali. Con l’ultimo intervento del Natale 2019 il cerchio per così dire si chiude con l’ingresso di numerose ipotesi di violazioni penali tributarie; dunque la stragrande maggioranza delle contestazioni con rilievo penale che possono interessare le imprese oggi dischiudono la possibilità che si arrivi ad attingere alla cassa delle società tramite onerose pene pecuniarie o – effetto per nulla trascurabile – ad incidere pesantemente sull’attività d’impresa con misure interdittive estremamente penetranti ed insidiose (sospensioni di autorizzazioni o licenze, inibizione alla partecipazione in gare pubbliche o al percepimento di risorse pubbliche etc…) . L’addebito mosso a carico delle società si fonda sulla sussistenza di una colpa in organizzazione, ovvero si rimprovera sostanzialmente all’impresa di non aver costituito al proprio interno uno specifico sistema di prevenzione in grado – almeno ordinariamente e al netto di condotte intenzionali di aggiramento – di impedire la commissione di un certo tipo di reato.