Cook Magazine 1_ Dicembre 2019 - Febbraio 2020

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GLI ORANGE WINE

AL NATURALE

Per molti The New Black È il quarto colore del vino, quello nuovo, che poi tanto nuovo non è dato che in Georgia hanno iniziato a farli circa 8000 anni fa, in epoca preromana. Diciamo che in Georgia erano leggermente avanti.

DI STEFANO BAGNACANI E CLARA MENNELLA

U

na storia millenaria che, dicevamo, è iniziata nella Georgia Caucasica, storicamente conosciuta come il vigneto della Russia Sovietica, con Stalin come influencer ante litteram, visto che si narra fossero i suoi vini preferiti. Le primissime produzioni pare che avvenissero attraverso curiose anfore in terracotta ricoperte all’interno di cera d’api dove avveniva una fermentazione spontanea, grazie ai lieviti indigeni, senza l’utilizzo di nessuna sostanza di sintesi, con il mosto a contatto con le bucce degli acini come avviene di solito in occidente ma

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N°1

solo per la vinificazione dei rossi. Bucce che, grazie alla particolare forma di questi recipienti, i Qvevri, restavano sul fondo a fermentazione conclusa. Gli Orange Wines in Italia Si deve a Joško Gravner, il maestro dei vini in anfora, uno dei migliori vignaioli d'Italia, l’introduzione degli orange o skin contact, o macerated wines fra le produzioni di casa nostra. Partito da Oslavia in provincia di Gorizia alla ricerca delle anfore in cui vinificare la sua adorata ribolla gialla, grande vitigno autoctono friulano a bacca bianca, compì

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un viaggio epico, degno del Fitzcarraldo di Herdzog, per dare vita, una volta ritornato, ai primi vini italiani alla georgiana. Il resto, come si dice, è storia. Ora non c’è wine bar, o ristorante à la page, da Tokyo a Berlino, che non si fregi, nella sua lista, di queste strane creature enoiche, a cui la fermentazione del mosto a contatto con le bucce degli acini, dona questa anomala colorazione ambrata, arancione, una complessità all’olfatto sorprendente, un corpo e una struttura nella bocca che non assomiglia per nulla a quella dei bianchi accademici.


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