Feltrino News n. 5/2022 Maggio

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ANNO 3° - N° 05 - Maggio 2022 - Supplemento del periodico Valsugana News - www.feltrinonews.com

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A parere mio di Marco Nicolò Perinelli

Transizione ecologica:

la nostra opportunità per il futuro

È

un momento difficile per l’Europa, messa di fronte ad una crisi energetica, dovuta alla guerra in Ucraina, che ha posto in modo drammatico il problema che da sempre caratterizza le civiltà, ovvero l’approvvigionamento delle fonti energetiche necessarie allo sviluppo stesso. Con la chiusura del mercato russo, il nostro paese è oggi in grave deficit per quanto riguarda l’approvvigionamento di gas, che non serve solo all’uso domestico, ma che è una delle materie prime più importanti per la produzione dell’energia elettrica in Italia. Gli ultimi dati pubblicati, riferiti al 2020, ci dicono che attualmente il 64,6% dell’energia è prodotta sul suolo italiano deriva proprio da combustibili fossili, il 17,6% da centrali idroelettriche, l’8,9% da fotovoltaico, il 6,7% da eolico, il 2,1% da geotermico. Questi dati testimoniano come si sia ancora dipendenti da fonti energetiche non rinnovabili. Da tempo però si parla di una possibile soluzione, una vera rivoluzione che non riguarda solo la produzione energetica, ma l’intero sistema economico e produttivo. Si tratta della cosiddetta “transizione ecologica”, in sostanza, di un nuovo modo di concepire lo sviluppo, in una chiave che mette il benessere della persona, e di conseguenza dell’ambiente in cui vive, al centro. Se un tempo il tema poteva essere battuto soprattutto in chiave ecolo-

gica e a farsene paladini potevano essere solo pochi, considerati dai più come ecologisti estremisti, si è ormai capito che un modus vivendi sempre più rispettoso della natura intesa come ambiente di cui l’uomo è parte e dal quale trae beneficio, può essere motore di nuove forme di economia. Sostenibilità, rigenerazione del paesaggio naturale e antropico, innovazione tecnologica in chiave ecologica, diventano così leve per la crescita e la competitività del sistema. Se già negli anni ‘70 si era iniziato a sviluppare un pensiero che cercava nuove forme energetiche a fronte del pericolo, vero o paventato, dell’esaurimento dei combustibili fossili, oggi è il benessere individuale e collettivo, collegato ad un modus vivendi sempre più rispettoso della natura intesa come ambiente di cui l’uomo è parte e dal quale trae beneficio, ad essere motore di nuove forme di sviluppo. Vediamo come la mobilità elettrica sia sempre più diffusa e come anche le aziende più importanti investano nella autoproduzione di energia elettrica. Se è vero che un tempo il costo in

termini energetici della produzione delle cellule al silicio necessarie per trasformare l’energia solare in energia elettrica era superiore alla possibile produzione delle stesse, oggi siamo entrati in un circolo virtuoso, perché è il sole stesso a fornire quell’energia. Inoltre esiste una nuova forma di collaborazione tra cittadini, la Comunità energetica, che consente di diventare produttori di energia da fonti rinnovabili, in forma di associazione o società. Vi sono già realtà che hanno sfruttato questa occasione, come la frazione di Riccomassimo nel Comune di Storo, in Trentino, che sono già attive, e altre che stanno partendo su iniziative dei cittadini stessi, come a Tenna. Senza entrare nel merito di una rivoluzione che potrebbe cambiare il nostro pianeta un passo alla volta (e riguarda anche paesi come la Cina che già da tempo stanno investendo in questa direzione), esiste però anche un discorso più ampio, che va oltre l’energia e che riguarda il turismo, l’industria, l’agricoltura, e che può interessare anche le piccole realtà locali. Essere green, investire sul territorio in chiave ecologica, significa migliorare l’ambiente in cui viviamo, ma anche diventare sempre più energeticamente autosufficienti, essere più attrattivi per il turismo e migliorare l’immagine del territorio e dei prodotti che da esso provengono. 3


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Sommario DIRETTORE RESPONSABILE Prof. Armando Munaò - 333 2815103 direttore.feltrinonews@gmail.com CONDIRETTORE dott. Walter Waimer Perinelli - 335 128 9186 email: wperinelli@virgilio.it REDAZIONE E COLLABORATORI dott.ssa Katia Cont (Cultura, arte, cinema e teatro) dott.ssa Elisa Rodari (Curiosità, cultura e tradizioni). dott. Emanuele Paccher (politica, economia e società) Laura Paleari (moda e costume) dott.ssa Alice Vettorata - dott.ssa Francesca Gottardi (Esteri - USA) dott.ssa Laura Mansini (Cultura, arte, tradizioni,attualità) dott. Nicola Maschio (attualità, politica, inchieste) Patrizia Rapposelli (attualità, cronaca) dott. ssa Chiara Paoli (storia -cultura e tradizioni) dott.ssa Eleonora Mezzanotte (Arte, storia e cultura) dott. Marco Nicolò Perinelli - Francesco Zadra (Attualità) dott.ssa Sonia Sartor (Cultura, arte, attualità) Ing. Grazioso Piazza - dott. Franco Zadra (politica, attualità) dott.ssa Monica Argenta - dott.ssa Erica Zanghellini (Psicologa) dott. Casna Andrea (Storia, cultura, tradizioni) Francesco Scarano (Attualità, storia) Caterina Michieletto (storia, arte, cultura) dott.ssa Beatrice Mariech (Cultura, arte, storia) dott.ssa Daniela Zangrando (arte, storia e cultura) Alex De Boni (attualità e politica) dott.ssa Erica Vicentini (avvocato) CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA dott. Francesco D’Onghia - dott. Alfonso Piazza dott. Marco Rigo . dott. Giovanni D’Onghia RESPONSABILE PUBBLICITÀ: Gianni Bertelle Cell. 340 302 0423 - email: gianni.bertelle@gmail.com IMPAGINAZIONE E GRAFICA : Punto e Linea di Alessandro Paleari - Fonzaso (BL) Cell. 347 277 0162 - email: alexpl@libero.it EDITORE E STAMPA GRAFICHE FUTURA SRL- Via Della Cooperazione, 33- MATTARELLO (TN) FELTRINO NEWS Supplemento al numero di Maggio di VALSUGANA NEWS Valsugana News – Registrazione del Tribunale di Trento: n° 5 del 16/04/2015. COPYRIGHT - Tutti i diritti riservati Tutti i testi, articoli, intervista, fotografie, disegni, pubblicità e quant’altro pubblicato su FELTRINO NEWS, sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl - PUNTO E LINEA, quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore Responsabile o dell’Editore, è vietata la riproduzione e la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni pubblicitarie, per altri giornali o pubblicazioni, posso farlo richiedendo l’autorizzazione al Direttore Responsabile o all’editore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio le loro grafiche e quindi fatto pervenire alla redazione o all’ufficio grafico di FELTRINO NEWS, le loro pubblicità, le loro immagini, i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.

Maggio 2022

La transizione ecologica

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Il personaggio: Felice Orsini

Sommario

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L’arte in controluce: Vittorio Zecchin

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Le regole per combattere il male

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Pianeta donna: Donatella Versace

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Putin criminale e Zalensky santo?

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Il personaggio: Arnaldo Fusinato

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Maria Romana De Gasperi

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Quattro passi nell’Arte: la nuova scrittura

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La mostra dell’Artigianato a Feltre

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L’isola di Gorée e la tratta degli schiavi

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Le polemiche del 25 aprile

14

Ricerca personale

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Fatti & Misfatti: tra informazione e banche

16

Le Associazioni sportive: ASD Fonzaso

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Ieri avvenne: Battaglione 101

18

A.E.C.I. La dichiarazione dei redditi

70

Vita di veneti santi: Papa Pio X

20

Storie di guerra: essere cappellano militare

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Genitori e figli: mamma ho paura

23

Il senso religioso

74

Oggi la musica

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Che strano dizionario

76

Agordo: la buona sanità in cronaca

26

Racconti d’Arte: m’ama..non m’ama?

78

La cena del Signore

28

Il nuovo registro delle opposizioni

80

Fatti & Misfatti: storia della censura

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La guerra chimica in Etiopia

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Come eravamo: quando Cortina aveva un treno

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Uomo, piante e natura: le siepi

82

Conosciamo il territorio: Villa Barbaro

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I nostri piccoli amici: l’abbandono degli animali

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Ucraina: la guerra nei volti dei bambini

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L’arte del tappezziere

85

Conosciamo le malattie rare

39

Non solo animali: la coccinella

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Le donne nella storia

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Limana in cronaca: il nuovo parco giochi

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SPECIALE LIMANA

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Che tempo che fa

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Celebri evasioni: da Papillon a Casanova

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Conosciamo il territorio: il museo civico

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La Cassa Rurale Dolomiti

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E’ entrato in funzione il REVE per i veicoli esteri

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Vita di veneti santi PAPA PIO X Pagina 20

Speciale Comuni LIMANA Pagina 44

Isola di Gorèe La tratta degli schiavi Pagina 64

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Punto e a capo di Waimer Perinelli

LE REGOLE PER COMBATTERE IL MALE

L

a banalità del Male è solo un equivoco che nasce dalla penna della giornalista Hannah Arendt la quale, assistendo nel 1961 al processo contro la belva Adolf Heichmann è colpita dalla personalità del nazista e riflette sul caso della vita che ha portato un impiegato amministrativo a decidere la morte di migliaia di esseri umani con atroci mezzi. Al banale si contrappone lo speciale o estremizzando, l'unicità. Una mela è banale in un cesto di mele, te l'aspetti, ma se c'è una banana questa è unica anche se è marcia. Nell'uomo a una dimensione del filosofo Herbert Marcuse (1967) quella che oggi chiamiamo globalizzazione è la banalità del comportamento ripetitivo, indotto, a cui si contrappone l'unicità a cui si accosta l'originalità. Il male non è mai banale e nemmeno originale. Il male può manifestarsi a causa di un crudele caso della vita, un modesto impiegato incapace di schiacciare una formica, in circostanze folli diventa un macellaio. Il male, dice papa Francesco, ricordando le denunce di Giovanni Paolo secondo, è il demonio, un maleficio che nasce e cresce nell'uomo. Il male nascosto in Adolf Heichmann è esploso, casualmente, con il nazismo, che gli ha dato terreno e concime per crescere e poi l'ha liberato contro l'umanità. Non è per nulla casuale e tanto meno banale il male nato e diffuso da chi fa del potere non un mezzo ma un fine e per questo, se il mezzo non è diretto a fare il bene, come ha scritto Niccolò Machiavelli, è fine a se stesso e non risparmia infamità pur di auto conservarsi. Come potrebbe usare il potere come mezzo di bene chi è cresciuto in regimi totalitari, allevato dai servizi segreti, coccolato da finti amici e adu-

lato come un imperatore redivivo. Uno zar che ha sbaragliato tanti avversari e nemici. Poiché la storia dell'uomo non è mai lineare, né circolare, ma è una linea spezzata che avanza come le mosse del cavallo sulla scacchiera, due spostamenti di lato e uno avanti o indietro, per tornare spesso sulla stessa fossa, l'immagine di almeno uno dei potentati del nostro nuovo millennio ricorda Tiberio Claudio Nerone, figlio adottivo di Cesare Ottaviano Augusto, figlio naturale di un suo nemico e di Livia Drusilla, obbligata a divorziare e sposata, per motivi politici, di potere, dal primo Cesare. Non erano tempi sereni anzi, l'erede all'impero si difese da schiere di nemici ambiziosi e che per il potere non esitò ad uccidere. Quest'uomo da molti giudicato, Svetonio fra tutti, mite e glorioso e da altri, come Cassio Dione, abile e spietato generale, di certo coltivò il male tanto che c'erano e persistono sospetti avesse ucciso i nipoti Gaio e Lucio Cesare, e forse pure il fratellastro Germanico, tutti preferiti da Augusto per la successione all'impero. L' arma usata fu il veleno e si sospetta fosse avvelenato pure lui mentre soggiornava in una delle dodici ville di Capri. Ma cosa se ne fa un uomo di dodici ville? Perché oligarchi di tutte le lingue devono avere dodici sedie per una sola natica. Ci sono al mondo 198 mila persone (4 mila circa in Italia), corrispondenti allo 0,003% degli abitanti della terra, che hanno un patrimonio

superiore ai 30 milioni di dollari e assieme detengono il 13 per cento della ricchezza mondiale. Il male non è possedere tanto ricchezza ma il come la si ottiene e con quali mezzi la si conserva. La guerra è uno dei mezzi più usati da Tiberio come dagli odierni imperatori o presunti tali. Dal male non può nascere un bene, il male produce il male e lo alimenta per questo come dice papa Francesco al male si deve rispondere con il bene. Anche questo concetto non è lineare come vorremmo. Anzi spesso i ruoli s'intrecciano e s'invertono ma il male rimane sempre in agguato. Sbagliato perciò giudicarlo banale anzi, Hannah Arendt mentre sottolinea la causalità e la malvagità del male, scrive dell'importanza di capire quanto esso sia radicato e come possa essere sconfitto da regole morali: così come certi individui vengono educati a compiere il male dobbiamo insistere nell'educare alla democrazia perché come è stato sottolineato dal presidente della Repubblica Sandro Pertini, "la peggiore democrazia sarà sempre migliore della più perfetta dittatura". 7


A parere mio di Franco Zadra

Putin criminale e Zelensky santo?

V

ladimir Vladimirovič Putin, ex militare ed ex funzionario del Kgb, presidente della federazione russa dal 7 maggio 2012 al suo quarto mandato, è un criminale di guerra? La Corte internazionale di giustizia, nota anche come Tribunale internazionale dell'A ja, il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, si è attivata fin dal 3 marzo scorso con dei propri investigatori per raccogliere le prove a sostegno di questa accusa. Nell’elenco già troppo pesante degli orrori che hanno squarciato il velo di una pace, data forse per scontata in Europa grazie anche a una informazione finora non così attenta e puntuale

nel rendere conto della situazione reale che almeno dal 2014 segnalava l’avvento della crisi manifestatasi “all’improvviso” con l’invasione dell’Ucraina, vi è l’attacco del 9 marzo all’ospedale pediatrico di Mariupol, poi il massacro di Bucha del 3 aprile, e il missile sulla stazione di Kramatorsk del 9 aprile, con strage di civili inermi, vittime di una strategia militare che sembra dominata dal criterio di creare diversivi che distolgano l’impiego delle truppe avverse dagli obiettivi reali e mai dichiarati. «Fin dall’inizio si è avuta l’intenzione di colpire dei civili», ha dichiarato a Repubblica Carla Del Ponte, ex procuratrice generale del Tribunale dell’Aja che aveva incriminato per crimini di guerra l’ispiratore e l’esecutore materiale dei massacri in Bosnia, Milosevic e Karadzic. «Allo stesso modo dovremmo procedere con Putin – ha detto a Repubblica la Del Ponte -. L’inchiesta dev’essere condotta velocemente affinché si possa emanare un atto d’accusa e ottenere un mandato di arresto internazionale contro gli accusati». Crimini di guerra e contro l’umanità che da parte ucraina si stanno documentando in Rete (www. hrw.org) con un archivio di notizie e immagini che già vorrebbero rappre-

sentare un indubitabile giudizio agli occhi del Mondo, “ukraine apparent war crimes russia controlled areas”. Però le cose non sembrano essere così semplici come potrebbero apparire. Una volta raccolte le prove che permetteranno di stabilire quali e quanti crimini siano stati commessi, e identificati gli autori, oltre a Putin, anche tutti i politici e i militari con incarichi di responsabilità, un eventuale processo, a meno di una improbabile rivolta popolare capace di cacciare lo Zar, dovrà essere celebrato in assenza degli imputati, anche se non sembra essere una procedura regolamentata dalla

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A parere mio Corte internazionale di giustizia, ma a quel punto l’isolamento di Putin, colpito da mandato di arresto, finirebbe per condizionare pesantemente tutte le relazioni politiche, diplomatiche, ed economiche, tra la federazione Russa e l’Occidente. Comunque vada questa guerra, che Putin venga processato o meno, il processo del quale si incaricherà la storia dovrà portare luce anche su altri crimini commessi nel periodo che va dal colpo di Stato in Ucraina del 2014, in quella che le cronache hanno documentato quasi sottotraccia e l’Occidente ignora tuttavia, come la guerra del Donbass, che secondo il giornalista Franco Fracassi, in 8 anni ha fatto 14mila morti, devastando la parte più ricca e produttiva dell’Ucraina. «Tutto ebbe inizio il 6 aprile 2014 – scrive Fracassi nel suo testo, “Ucraina. Dal Donbass a Maidan. Cronache di

una guerra annunciata” -, quando alcuni manifestanti armati si impadronirono di diversi palazzi governativi a Donetsk, Lugansk e Kharkiv. Un mese prima, la Crimea aveva annunciato l’indipendenza dall’Ucraina. La stessa strada vollero percorrere i russi delle province del Donbass. Fu indetto un referendum sull’indipendenza fissato per l’11 maggio successivo. Ma non tutti riuscirono a portarlo a termine. Caddero in sequenza Dnipropetovsk, Kharkiv, Mariupol. Dove si riuscì a votare stravinsero i separatisti. La notte del referendum nacquero la Repubblica Popolare di Donetsk e la Repubblica Popolare di Lugansk. Non le province intere, però. Ma solo la parte più orientale. Il resto del territorio fu conquistato dall’esercito ucraino, mescolato con i corpi paramilitari neonazisti». Una luce che forse questa generazione non arriverà a scorgere, rimanendo

dalla riva Paola Antoniol

prigioniera dello stravolgimento storico marcato dalle parole di Vasilij Grossman nel suo resoconto su “L’inferno di Treblinka”, dove con stupore possiamo leggere questa lapidaria risposta al “perché ricordare?”: «Chi scrive ha il dovere di raccontare una verità tremenda, e chi legge ha il dovere civile di conoscerla, questa verità. Chiunque giri le spalle, chiuda gli occhi o passi oltre offende la memoria dei caduti. Chiunque si rifiuti di conoscere la verità non capirà mai con quale nemico, con quale mostro si è battuta fino alla morte la nostra grande, la nostra santa Armata Rossa». In questo momento, da parte russa non ci è dato di leggere nulla o quasi, mentre possiamo addirittura seguire su La7, la serie tv "Servant of the people" che ha portato alla politica Volodymyr Zelensky… e il dovere di conoscere la tremenda verità si fa intrattenimento.

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Personaggi di casa nostra di Marco Nicolò Perinelli

Maria Romana De Gasperi:

non solo figlia!

I

l 30 marzo a Roma è morta Maria Romana Degasperi, figlia di Alcide, il padre della democrazia italiana. Aveva compiuto 99 anni sette giorni rima. Maria Romana è stata la custode della memoria di Alcide, morto nel 1954, ne ha raccolto le ultime volontà politiche e si è impegnata sempre in dfesa delle libertà democratiche. Lo ha fatto a Roma, Veneto e Trentino dove il ricordo del padre è ancora vivo e attuale. C’è un luogo, in Trentino, dove la memoria di Alcide De Gasperi vive quotidianamente. E’ il suo paese natale, Pieve Tesino, che dal 2006 ospita il Museo Casa De Gasperi: una piccola straordinaria realtà, capace negli anni non solo di essere un luogo del racconto della vita e delle opere del più grande statista italiano, ma anche di farsi promotrice di incontri internazionali di eccezionale livello e di divulgare il pensiero e il messaggio di un uomo che ha contribuito a costruire l’Europa di oggi e che ha scritto pagine fondamentali della Repubblica italiana.

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Un luogo della memoria, ma con la capacità di guardare al futuro. A dirigere il Museo, dal 2016, vi è Marco Odorizzi, classe 1987, che ci racconta che proprio tra le sale di questa “casa speciale”, ospitandola per uno dei tanti incontri a cui si concedeva durante le sue visite in Trentino, ha incontrato per la prima volta Maria Romana De Gasperi, la figlia di Alcide, scomparsa lo scorso 30 marzo. Lo abbiamo incontrato per poter parlare con lui di una figura particolare come Maria Romana De Gasperi. Direttore Odorizzi, qual è il suo ricordo personale più significativo di questa donna? Può sembrare strano, ma il ricordo più caro che ho di Maria Romana risale proprio al nostro primo incontro al Museo Casa De Gasperi. Era il 2 giugno 2014, io ero alle primissime armi e salendo in ascensore con lei, sforzandomi di trovare qualcosa da dire per riempire il silenzio, chiesi “Ho letto molto di suo padre, ma un dubbio mi rimane. Chi era suo padre, quando non vestiva i panni dello statista?” Ricordo che Maria Romana sorrise, ci pensò qualche

secondo, lasciandomi nel dubbio di aver posto una domanda fuori luogo, ma poi prese un libro che aveva con sé e mostrandomi una foto lì riprodotta mi disse: “Per capire mio padre, guarda i suoi occhi: in questa foto lo vedi che aveva gli occhi chiari. Era bello stargli vicino, perché i suoi occhi trasmettevano serenità: mio padre era un uomo sereno”. Compresi che dell'uomo De Gasperi forse sapevo molto ma avevo capito poco. E che per conoscere una persona bisogna guardarla negli occhi. Maria Romana era così: profonda e semplice allo stesso tempo. In due parole mi diede una grande lezione che ricordo ancora. Qual era il suo rapporto con il Trentino? Per quello che posso dire, Maria Romana amava molto il Trentino e ne riceveva in cambio un grande affetto. Ci teneva a


Personaggi di casa nostra

precisare che lei in Trentino ci era nata: prima che la sua famiglia si trasferisse a Roma i nostri monti erano stati il suo orizzonte. Certamente aveva un legame speciale con Borgo Valsugana e con la Valle di Sella: un luogo dell'anima dove ogni scorcio diventava per lei un ricordo, un aneddoto, una storia. Negli ultimi anni a causa dell'altitudine non poteva più venirci e si che per lei fu una rinuncia dolorosa. Maria Romana avrebbe potuto avere una carriera politica sfruttando il cognome e soprattutto l’eredità morale del padre. Per quale motivo ha scelto di stare dietro le quinte? Credo che non lo abbia fatto soprattutto perché sentiva che il suo compito era un altro. Aveva troppo rispetto per quel cognome, per la storia di suo padre e della sua famiglia per “usarla” per scopi personali. La politica la conosceva bene e non le mancava la passione per la politica, ma valutava che testimoniare e tutelare da strumentalizzazioni e distorsioni quella storia familiare fosse un servizio più significativo da offrire al Paese. Avete mai parlato della situazione politica attuale? Cosa ne pensava Maria Romana? Nei nostri incontri, che a dire il vero

negli ultimissimi anni erano diventati più rari, qualche commento sul presente capitava spesso di condividerlo. E di solito riguardava l'esigenza, che lei avvertiva forte, di una rigenerazione morale della politica, che ponesse un argine alla spirale deleteria dell'anti-politica. Perché, come diceva suo padre, “da qui non si scappa: la politica o la si fa o la si subisce”. Ma più che della politica nazionale quando ce n'era occasione Maria

Romana parlava di Europa: il futuro per lei andava cercato lì, nel sogno europeo che era stata di suo padre e che lei aveva fatto suo e difeso tutto la vita. Aveva grande fiducia che le generazioni più giovani avrebbero trovato le strade che non sempre quelle che le hanno precedute hanno saputo trovare... Cosa ci rimane oggi del pensiero di De Gasperi? Ci rimane forse una certa nostalgia per una stagione eroica della politica che pare perduta. Una stagione animata da grandi valori e dalla capacità di unire nell'impegno pubblico mente e cuore, competenza e passione, concretezza e visione. La nostalgia è un sentimento nobile, a patto che non si fermi alla lode dei bei tempi andati e stimoli la riflessione e poi l'azione. Il pensiero di De Gasperi oggi è un patrimonio di tutti e tutte: a nessuno può essere chiesto di essere il nuovo De Gasperi, ma ognuno può cercare, in mille modi, di raccoglierne il testimone, contribuendo così a creare le condizioni perché si torni a quel clima che ha reso possibile il percorso umano e politico di De Gasperi.

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L'Artigianato in vetrina di Nicola Maccagnan

La Mostra dell’Artigianato

Artistico e Tradizionale “Città di Feltre” È tutto pronto per la 36esima edizione

Il Comitato organizzatore della Mostra dell’Artigianato di Feltre è già al lavoro da parecchio tempo. E l’edizione 2022 della rassegna, la 36esima in ordine di tempo, vuole essere un portone spalancato sul futuro del settore artigiano, come e più dello scorso anno, quando la Mostra fu uno dei primissimi eventi di questo tipo aperti al pubblico a livello nazionale – pur con le restrizioni previste dalle norme sanitarie – dopo il lockdown del 2020. Uno dei motori del Comitato Organizzatore dell’evento è Dino Cossalter, attuale direttore della manifestazione e attivo da oltre 30 anni, con vari ruoli, all'intero della Mostra.

La nostra intervista

C

ossalter, ripercorriamo brevemente questi sette lustri di Mostra... Ai suoi esordi la rassegna ha vissuto soprattutto sulle ali dell'entusiasmo e sulla forza propulsiva data, allora, da tutte le associazioni commerciali ed artigianali della città, che si sono adoperate - in un primo momento assieme, poi alternandosi con turnazioni biennali - perché la

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Mostra “decollasse”. Dopo un periodo di rallentamento, soprattutto all'inizio del nuovo secolo, la manifestazione vive da alcuni anni una nuova primavera di interesse e di rilancio, grazie anche all'impegno attivo delle associazioni di categoria artigianali dell'Appia CNA e di Confartigianato, che hanno impresso alla Mostra nuovo slancio e vigore. Ne è la riprova il fatto che nemmeno nel 2020, l'anno terribile dell'esplosione

della pandemia, abbiamo rinunciato in toto all'evento, ma abbiamo proposto, pur in un periodo dell'anno diverso da quello tradizionale, il Concorso di Forgiatura, che rappresenta uno dei fiori all'occhiello della rassegna. Ci descriva un po’ la macchina organizzativa della manifestazione... Il Comitato organizzatore della Mostra è una struttura oramai ben rodata e oleata, dove si completano competenze e professionalità di varia natura, tutte unite dal denominatore comune della passione per la Mostra. Alcuni componenti dell'organizzazione sono attivi da parecchi anni e questo, grazie anche alla supervisione e al coordinamento costante del presidente Luciano Gesiot, consente di affrontare in maniera ottimale tutti gli aspetti connaturati ad un evento di questo tipo. Quali sono le problematiche principali che si trova ad affrontare chi gestisce una manifestazione di questo tipo?


L'Artigianato in vetrina La questione primaria, considerata la dislocazione della Mostra - che occupa sostanzialmente buona parte della cittadella storica di Feltre - è quella legata al reperimento dei siti per gli espositori, che interessano alcuni palazzi comunali, ma anche molte abitazioni di privati cittadini. Ogni anno si presentano problematiche differenti, magari per le mutate necessità dei titolari dell'immobile o perché in un locale precedentemente occupato da un espositore è stata aperta una nuova attività. A tutti i proprietari degli edifici, che hanno sempre dimostrato in questo senso grande comprensione e collaborazione, va il ringraziamento sincero da parte del Comitato organizzatore della Mostra dell'Artigianato. Come si regge, sul piano economico, un evento così complesso e composito? La Mostra si è avvalsa inizialmente molto del sostegno pubblico, che poi si è progressivamente ridotto, come per molti altri eventi e manifestazioni, nel corso degli anni. Il Comitato ha così dovuto ridisegnare gli equilibri economici della manifestazione, anzitutto con una politica di contenimento dei costi e del budget a disposizione. Di pari passo si è intensificata la ricerca di nuovi partner e sponsor che potessero affiancare la manifestazione e va detto che alcuni di loro (uno per tutti la Cassa Rurale Dolomiti) ci seguono e ci sostengono oramai da anni in maniera molto significativa e concreta. A loro va il nostro “grazie”, così come alla Camera di Commercio di Belluno e Treviso, che ha letteralmente “adottato” la Mostra dell'Artigianato, manifestando la propria vicinanza sia attraverso un rapporto

costante che un contributo economico significativo. Non va poi dimenticato il Comune di Feltre, che ha nella Mostra una delle sue manifestazioni principali della città ed ha sempre garantito un prezioso supporto sia logistico e organizzativo che economico. Lo scorso anno il Comitato Organizzatore ha deciso di reintrodurre il biglietto d’ingresso di 5 euro. Per quali ragioni? Anzitutto per le conseguenze legate alla pandemia: il biglietto è stato uno strumento utile e insostituibile per contingentare gli accessi e regolare i flussi di pubblico così come prevedevano le normative dello scorso anno. Il biglietto ha rappresentato però anche una fonte importante di sostegno alla manifestazione, che è tornata ad essere “piena” sia per quanto riguarda la sua estensione geografica che per quanto concerne il numero degli espositori presenti; ma c'è di più: anche grazie alla reintroduzione dell'ingresso (peraltro ad un prezzo molto accessibile, con ulteriori riduzioni per gruppi e famiglie) abbiamo potuto ampliare il programma,

che è tornato a svolgersi su 4 giorni anziché su 3. In conclusione, signor Cossalter, le chiediamo un suggerimento o una proposta che si sente di fare alla città sulla base di questi 30 anni di esperienza all'interno della Mostra... E' innegabile che l'artigianato di qualità rappresenti un patrimonio per Feltre; del resto lo racconta bene la sua storia con i suoi rappresentanti eccellenti (Carlo Rizzarda solo per citare forse il più noto). Credo che il Comune, le associazioni di categoria e tutti quanti hanno a cuore il futuro di questo settore debbano lavorare per un suo rifiorire, anche in chiave turistica. In questo senso le Amministrazioni dovrebbero favorire l'insediamento di nuove botteghe artigiane proprio nel nostro meraviglioso centro storico, intervenendo - ad esempio - per calmierare i prezzi degli affitti dei locali. Questo creerebbe indubbiamente un volano in grado di dare nuovo slancio ad un comparto che rappresenta la nostra storia, ma credo possa dire ancora molto anche per il nostro futuro.

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Attualità e politica di Francesco Zadra

Le polemiche del 25 aprile

F

ioriscono ogni anno, puntuali come bucaneve, aspre polemiche tra chi non vorrebbe ricordare la Liberazione e chi, al contrario, pensa di possederne il copyright. Come se la Libertà fosse una licenza esclusiva di uno schieramento politico. Teniamo a mente che coloro che sacrificarono la propria vita contro il totalitarismo nazi-fascista appartenevano a tutte le classi sociali e colori politici: monarchici e repubblicani, cattolici e socialisti. Ricordiamo, tuttavia, che la Storia non si divide in buoni e cattivi. Accanto alle orribili stragi nazi-fasciste che hanno costellato la Penisola, troviamo anche atroci omicidi di innocenti, ad opera di una minoranza desiderosa di sostituire

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una dittatura con un'altra, di opposta ideologia ma medesima crudeltà. Basti pensare all'assassinio di Rolando Rivi o Giuseppina Ghersi. Cerchiamo quindi di guardare in maniera oggettiva alla Ricorrenza che abbiamo celebrato qualche giorno fa. Possa essere monito di ciò che accade quando prima delle persone si pongono le ideologie. Vere e proprie "Statolatrie", di destra o sinistra che siano, che hanno seminato distruzione e morte nel nome di una cieca fiducia nel (presunto) "progresso", nella "rivoluzione", nella "razza" e altri idoli del mondo moderno. Come scrisse Giuliano Guzzo, illustre sociologo vicentino (ma trentino d'adozione), “gli anticomunisti che non sono antifascisti non hanno abbastanza a cuore la libertà, gli antifascisti che non sono anticomunisti hanno troppo a cuore l'ideologia”.

Mi si potrà obiettare che in entrambe le correnti sono presenti spunti intellettualmente interessanti, il che è sicuramente vero. Ma quando le idee si trasformano in paraocchi, in nebbia che offusca i nostri cuori tanto da farci calpestare la dignità umana (al punto da annientare i nostri simili in lager nazional-socialisti o deportarli al freddo di qualche gulag siberiano) allora non rappresentano più un arricchimento reciproco, bensì uno sciocco mulino a cui tirare acqua a discapito della verità. Alla cui ricerca è predisposto il cuore di ogni uomo.

Spesso infatti vediamo un atteggiamento strumentale nel ricordare le nefandezze di matrice politica, sia nera che rossa: come se il fatto che anche la parte opposta si fosse macchiata di crimini attuasse una sorta di "pareggio" o, peggio, annullasse quelli commessi dalla propria. Rimaniamo, invece, aperti alla verità. Perché solo essa, anche se scomoda, ci farà Liberi (Giovanni 8,32). Viva la libertà e morte ai totalitarismi. Di qualsiasi colore.


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A parere mio di Cesare Scotoni

FATTI & MISFATTI

tra informazione e banche

I

“tormentoni” degli ultimi due anni e mezzo han distrutto l’Autorevolezza dell’Informazione Pubblica offerta da una TV di Stato che sembra aver rinunciato al pluralismo, non meno degli scandali e dei disastri nelle banche che nel decennio precedente han distrutto la Fiducia dell’utenza in un Sistema Bancario che, in riferimento ai grandi players, è ormai quasi completamente passato in mani straniere. Vien da chiedersi ogni giorno di più il

senso di un Consumismo che ha progressivamente permeato la forma del Giornalismo d’Informazione e tradito le Grandi Narrazioni. Abbandonando l’azione sui Miti Fondativi, in favore di uno Storytelling basato sul pressappoco e pensato solo come un Prodotto di Consumo. Questo approccio, che ogni giorno necessita di nuove tematiche necessarie solo a tenere elevata la curva di attenzione ed a fare ascolto, rinuncia al difficile lavoro di Ricerca ed Approfondimento, all’esercizio di analizzare le Contraddizioni, alla pratica della coerenza ed in fondo al rispetto per l’utente, visto solo come oggetto da dirigere nelle scelte. Tradendo quella funzione critica e di controllo delle azioni della Politica che giustifica gli articoli sulla Libertà di Espressione posti a tutela di quella nella nostra Costituzione. Gli stessi autori che, solo nel 2016, inneggiavano alla Costituzione più Bella del Mondo, baluardo dei Diritti ed intocca-

bile monumento alla scelta repubblicana nata dalla Resistenza di pochi al Fascismo, si sono cimentati nel classificare quei Diritti. Il vivere in Salute è divenuto più importante del vivere Liberi, la distinzione tra i Poteri dello Stato un vezzo conservatore, il rispetto della Libertà di Espressione delle Minoranze una pretesa trascurabile. L’idea che un Governo Tecnico, ovvero privo di una maggioranza politica, nato come governo di scopo per predisporre un PNRR e sottoporlo a Bruxelles nel mentre che si usciva dal semestre bianco, potesse poi assecondare un repentino cambio nelle Relazioni Internazionali tra NATO ed Unione Europea subito dopo l’aver detto no alla partecipazione del nostro Paese alla Forza d’Intervento Multilaterale dell’Unione senza che un Parlamento silente nella sua agonia affrontasse un serio dibattito è passato sulla stampa come fosse un evento ordinario. Sul pretesto dell’acuirsi di quella crisi del Donbass cui gli accordi di Minsk, 8 anni fa, avevano offerto un percorso di garanzie internazionali mai implementate, stiamo fornendo copertura a chi

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A parere mio di quella mancata implementazione si è reso responsabile ed il senso stesso di un Dibattito teso ad evitare un progressivo scivolare verso il disastro è tradotto come tifo tra squadre o in volgare caciara. Tradendo quel tipo di Servizio Pubblico la Responsabilità che la Costituzione affida alla Stampa con la parte relativa alla Libertà di Espressione ed alla Diffusione delle Diverse Opinioni. Forse invece di perdersi in improbabili dibattiti sulla trascurabile influenza dei cromosomi nel definire la sessualità di ciascuno, si dovrebbe tornare a distribuire nella scuola dell’obbligo, a ciascun allievo, una copia della Costituzione Repubblicana del 1948 ed a riservare le ore di Educazione Civica (se ancora si offrono) ad un serio approfondimento, almeno dei primi 54 articoli. Avremmo cittadini più formati e giornalisti più prudenti. Altrimenti va a finire che “l’Era di Wikipedia” divenga lo

standard formativo e si possa far passare sotto silenzio quando il sito dell’OMS (WHO), ad evento pandemico in corso, cambia magari la definizione di Immunità o di Vaccino, solo per seguire le cattive prestazione di singoli prodotti. Oppure si plauda quando un Governo amico arresta i Deputati dell’Opposizione o l’Unione Europea calibra i propri interventi normativi in funzione di singoli eventi elettorali nei Paesi Membri. E soprattutto si discuta dello spazio che tali eventi debbano o NON debbano trovare nei palinsesti televisivi della TV di Stato e sui giornali. Come se il sindacare gli Spazi di Libertà di Informazione fosse compito di chi, grazie a quelli spazi e quelli articoli

a tutela, può esercitare, anche male, il proprio compito. Il Mito Fondativo della Costituzione Repubblicana è stato nella Resistenza al Fascismo e nell’Importanza del garantire spazio alle Opposizioni in Parlamento e sulla Stampa. Sul tema della Corruzione e sul fatto che fosse della Politica e non della Società si è voluto minarlo. Prima di distruggerlo sarebbe il caso di proporne un altro agli italiani.

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Ieri avvenne di Emanuele Paccher

Battaglione 101: un uomo comune può diventare uno spietato assassino?

È

l’alba del 13 luglio 1942. Cinquecento uomini vengono caricati su dei camion: si tratta del battaglione 101 formato da operai, artigiani, commercianti, padri di famiglia arruolati da poco nella polizia tedesca, più per dovere che per piacere. Sul camion ricevono delle casse di munizioni, molte di più del consueto, ma non viene detto loro cosa gli spetterà. Arrivati a Jozefow, piccolo paese della Polonia, scendono dalle vetture e si radunano a semicerchio attorno al loro comandante, il maggiore Wilhelm Trapp. Dalle dichiarazioni dei poliziotti emerge il ritratto di un maggiore pallido e nervoso, indisposto pure nel parlare. Ma gli ordini sono ordini. Comincia quindi il suo discorso, dichiarando che quanto detto era volere delle alte sfere e ricordando che gli ebrei erano in combutta con i partigiani, i quali boicottavano la Germania a favore degli americani. Finito il preambolo, Trapp dice che quel giorno i suoi uomini avevano il compito di rastrellare gli ebrei. I maschi abili al lavoro dovevano essere separati dagli altri e portati in un campo apposito. Gli altri, ossia donne, bambini, vecchi, malati, dovevano essere fucilati sul posto. Il maggiore finisce il suo discorso con una proposta davvero inusuale: se qualcuno

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fra i poliziotti non si fosse sentito all’altezza del compito, avrebbe potuto fare un passo avanti. Chissà cosa è passato per la testa agli uomini del battaglione in quel preciso istante. Come detto, non erano fanatici ed è probabile che aderissero passivamente al regime nazista, non condividendone tutti gli ideali. Ma fare un passo avanti significava schierarsi contro l’autorità e mostrarsi debole agli occhi dei compagni. Il risultato fu che solo dodici poliziotti fecero quel passo. Ci si potrebbe aspettare che le conseguenze furono atroci verso i “disertori”, ma in realtà non ci fu alcuna conseguenza. Questi uomini furono semplicemente adibiti a mansioni differenti. In quel tragico 13 luglio a Jozefow si verificò un massacro: 1800 ebrei furono rastrellati, poche centinaia finirono in qualche campo, gli altri vennero immediatamente ammazzati. Il modus operandi era il medesimo dei plotoni di esecuzione: ogni poliziotto prendeva un uomo, un suo simile, che il destino aveva fatto nascere ebreo, lo faceva stendere per terra e gli sparava un colpo sotto la nuca. Jozefow fu l’inizio di una tragedia che si protrasse per oltre un anno. In questo periodo

il battaglione 101 uccise altre 38000 persone, collaborò alla deportazione a Treblinka e allo sterminio di oltre 45000 ebrei. Cosa può portare un uomo ad uccidere un suo simile? Uno degli aspetti più tragici di questa vicenda è che quei poliziotti erano uomini come noi. Il conformismo, il rispetto dell’autorità, la paura e chissà quali altri fattori fecero sì che si trasformarono in mostri. In poche parole: uomini comuni, tremendi assassini. Dobbiamo credere che la storia possa insegnarci qualcosa. Queste vicende non devono più ripetersi. Occorre quindi prestare attenzione al presente, specialmente in un momento storico in cui la guerra è a pochi passi, e dove un ragazzino di 15 anni esulta per la vittoria di una gara di kart con un saluto romano, ignorando ciò che è stato il fascismo. Se non condannassimo anche i piccoli gesti rischieremmo di tollerarli, facendoli diventare normali. Non si può correre questo rischio: ricordiamoci che certi orrori potrebbero succedere di nuovo. L’unico antidoto al ritorno della malattia autoritaria è il ricordo. Parafrasando Dostoevskij: è la cultura che salverà il mondo. O almeno si spera.



Vita di veneti santi di Waimer Perinelli

PAPA PIO X UN "SARTO" PER LA CHIESA.

I

l Veneto è una terra benedetta, non solo fertile e ricca di gente industriosa, ma anche perché ha dato a Dio e alla comunità santi e papi. Albino Luciani divenuto papa con il nome di Giovanni Paolo I nato a Canale d'Agordo, in provincia di Belluno, nel 1912 era un veneto di montagna che ricoprì l'importante carica di vicario di Cristo per un solo mese, nel 1978. Il prossimo 4 settembre sarà proclamato Beato e a breve sarà fatto santo. Veneto anche Giuseppe Melchiorre Sarto, un papa originario di Riese, comune della provincia di Treviso a mezza collina fra Castelfranco, la patria di Giorgione, e Asolo dove abitò in una splendida villa l'attrice Eleonora Duse, compagna per

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qualche tempo di Gabriele D'Annunzio. Giuseppe Sarto nacque nel 1835, secondo di dieci figli. Il padre era corsor, messo comunale, nel Veneto amministrato dagli Asburgo, la madre sarta. Entrò in seminario a Padova, nel 1850 e otto anni dopo fu ordinato prete dal vescovo di Treviso, Giovanni Antonio Farina. La sua fu una vita ecclesiastica normale poco appariscente, un cursus honorum "pastorale": cappellano nella parrocchia di Tombolo, poi arciprete a Salzano e nel 1875 canonico nella cattedrale di Treviso e cancelliere vescovile. A piccoli passi si avvicinava però il 1884 quando nella basilica di Sant'Apollinare di Roma il Cardinale Lucido Maria Parocchi lo consacrava vescovo di Mantova. Ancora si racconta di un apostolato mite ma esercitato in realtà da un carattere forte, determinato come sanno essere spesso i veneti. Poi ci mise del suo anche la fortuna o, per i credenti, la Divina Provvidenza . Nel 1903 il Conclave stava per eleggere papa il cardinale Mariano Rampolla del Tindaro quando l'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe esercitò il diritto di veto, ius exclusivae, un privilegio riconosciuto ai potenti fin

dal XVI secolo. Il prescelto era giudicato troppo vicino ai filo francesi e ostile all'impero d'Austria. Tutto sembrava tuttavia concluso quando il cardinale della corona Jan Puzyna si alzò e pronunciò un'antica formula: " Mi faccio onore, essendo stato chiamato a questo ufficio da un ordine altissimo, di pregare umilissimamente Vostra Eminenza, come Decano del Sacro Collegio degli Eminentissimi Cardinali di Santa Romana Chiesa e Camerlengo di Santa Romana Chiesa, di voler apprendere per sua propria informazione e di notificare e dichiarare in modo ufficioso, in nome e con l'autorità di Sua Maestà Apostolica Francesco Giuseppe, Imperatore d'Austria e Re d'Ungheria, che, volendo Sua Maestà usare un antico privilegio, pronuncia il veto". E fu così che Rampolla del Tindaro entrato papa al Conclave ne uscì ancora cardinale e al soglio pontificio venne eletto, il 4 agosto del 1903, Giuseppe Sarto. Ma fu questa l'ultima volta che un regnante cattolico esercitava tale diritto che pro-


Vita di veneti santi prio il mite Pio X, 257° vescovo di Roma, l'anno successivo, il 20 gennaio del 1904, con una bolla eliminò completamente e per sempre. La decisione descrive bene il carattere saggio del nuovo papa che, eletto grazie alla fiducia del Conclave ma con la strada spianata da un antico diritto, lo volle subito eliminare. Basta con gli incidenti di percorso e l'ingerenza diretta dei laici potenti. Pio X non era tuttavia un progressista. Viene ricordato soprattutto per la lotta e condanna del modernismo teologico attraverso l' enciclica Pascendi Dominici Grecis del 1907 e la redazione del Catechismo Maggiore che porta il suo nome. Non erano anni facili per la Chiesa e per la società. Ricordiamo nella seconda metà dell'800 la fondazione delle Camere del lavoro, la nascita del partito socialista e la risposta dei cattolici, che, pur osteggiati dalla Chiesa nell'impegno politico , fondarono l'Unione del lavoro.

Nelle campagne d'Italia e venete in particolare, la vita era grama e la nascente industria manifatturiera non offriva grandi alternative mentre cresceva oltre ogni limite l' emigrazione. I cattolici si associavano nel mondo cooperativo e fondarono perfino un partito antenato, almeno nel nome, della democrazia cristiana. Lo scontro fra cattolici e socialisti diventava sempre più diretto ed aspro fino all'avvento del Fascismo. Ma questa è un'altra storia. Papa Pio X muore infatti nel 1914. Nel 1951 papa Pacelli, Pio XII, riconoscendone l'importanza per la Chiesa e la santità della vita, lo nominò Beato e nel 1954 lo fece Santo. Fra le molte vicende della sua vita privata e pastorale si ricorda un aneddoto che

ben ne descrive il carattere popolare. A Roma lo avevano seguito tre sorelle a lui particolarmente affezionate. Un giorno gli chiesero il favore di essere sepolte a Roma nel camposanto teutonico, vicino alle Grotte Vaticane dove per tradizione sarebbe stato sepolto Pio X. Giuseppe Sarto rispose in dialetto veneto: “Tose xe mejo che andè con vostra mare". E così, furono sepolte a a Riesi che in onore del proprio illustre concittadino, dal 1952 si chiama Comune di Riesi Pio X.

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Genitori e figli di Erica Zanghellini*

Mamma, papà,

c'è la guerra... ho paura B

asta aprire la televisione, o ascoltare la radio o utilizzare la Rete e inevitabilmente ci imbatteremo in qualche notizia di cronaca nera, collegata alla guerra. Russia e Ucraina stanno combattendo già da circa due mesi e si sa, la guerra porta con se sangue, traumi e vittime. I nostri bambini sono molto attenti e anche se si cerca di proteggerli, di cambiare canale quando comincia il telegiornale o non parlare davanti a loro sicuramente ne hanno sentito proferire. E chissà che idea si sono fatti. Qualsiasi cosa sconosciuta, poco prevedibile e che comunque sappiamo essere pericolosa ci fa paura, ci fa rimuginare e ci mette in uno stato di allarme. E allora cosa possiamo fare? Come genitori, anche se può essere difficile dobbiamo accompagnarli a fare chiarezza, dobbiamo parlarne apertamente con loro stando attenti al modo. E’ importante anche perché inevitabilmente anche se noi cerchiamo di tutelarli, con gli altri bambini o giovani ne parleranno. La prima cosa da fare è cercare di capire che cosa sanno, le idee che si sono fatti. Fate domandi semplici e aperte, con un linguaggio adeguato all’età. Cogliete tutto quello che il bambino vi dice e cercate di capire dove hanno raccolto queste informazioni, questo per fornire una risposta più completa possibile. Ricordate che per noi adulti alcune affermazioni possono essere banali, ma dagli occhi di un bambino non è così, per cui attenti a non minimizzare o sminuire le loro preoccupazioni. Meglio fare questa chiacchierata lontano dall’ora della nanna e cercate

di rassicurare il bambino, non inventando storie fantastiche ma, cercando di rimandare delle informazioni veritiere e di protezione da parte di noi adulti. Fate attenzione al livello emotivo che il bambino ha, soprattutto all’ansia e nello stesso tempo cercate di controllare anche il vostro. Già di per sé, anche per noi adulti questa situazione può essere destabilizzante, soprattutto per le persone più sensibili può essere una dura prova, per cui mentre parlate con i vostri bambini inevitabilmente il vostro stato emotivo e le vostre di paure si attiveranno. Ricordate che i bambini recepiscono gli stati emotivi, e che quest’ultimi “vincono” sulle parole, per cui anche se a livello verbale i termini possono essere rassicuranti se vengono accompagnate da uno stato emotivo di allerta vincerà l’emozione. Bisogna proprio fare allenamento oppure scegliete chi tra i due genitori riesce a gestire meglio l’emotività. Logicamente state attenti anche al linguaggio del corpo, la mimica del viso può anch’essa far trapelare le emozioni. Un’altra cosa che si può fare è fare emergere l’opportunità di aiutare chi ne ha bisogno. Abbiamo visto che molte associazioni, gruppi, volontari e chi più ne ha più ne metta, si sono attivate per raccogliere beni di prima necessità e/o farmaci, partecipiamo anche noi. Prepariamo assieme lo scatolone di cose che possiamo do-

nare, pensate con i bambini che cosa potrebbe essere utile alla popolazione, potete anche aggiungere qualche disegno del bambino da dedicare ai bambini Ucraini. Oppure se gli impegni quotidiani, non lo permettono, in molti supermercati all’uscita si trova un carrello dedicato alla raccolta di beni da spedire in Ucraina. Durante la spesa provate a chiedere ai vostri bambini che cosa avrebbero piacere di donare e all’uscita fatelo riporre nel carrello. Sono piccoli gesti che però possono far capire al bambino che ci sono tante persone che stanno accorrendo in aiuto della popolazione che purtroppo si trova a fare i conti con la guerra. Ed infine l’ultimo consiglio che posso dare è quello di non abbassare mai la guardia. Non è detto che perché affrontate questo discorso una volta allora tutto è sistemato. Continuate ad osservare i vostri figli, prestate attenzione ai comportamenti, ai loro stati emotivi ma, anche ai loro silenzi. Qualsiasi cambiamento significativo potrebbe sottendere una difficoltà. *Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta 23


Oggi la musica di Gabriele Biancardi

NOTE E LUSTRINI, SOLO I MORTI NON SOGNANO E fu subito chiamato Glam-.Rock. Alla fine degli anni 60, si è vissuto una liberazione totale, sessuale, politica, artistica. Dagli Stati Uniti, soffiava un vento potente e inebriante. Quello della libertà! In tutti i sensi, politica, artistica e sessuale. La famosa “estate dell'amore”, il “flower power” che aveva illuso tutti che si potesse vivere finalmente in pace. Ed eccoci alla madre di tutte le rassegne che oggi riviviamo costantemente. Concerti per la pace, serate di solidarietà. Ma prima di tutto questo arrivano i tre giorni che sconvolsero il mondo:

Woodstock! Un posto piuttosto anonimo nello stato di New York. Bethel. Una piccola città rurale che dal 15 al 18 agosto del 1969, ospitò, suo malgrado, un milione di persone. Non erano preparati, certo che no, servizi igienici che oggi farebbero accapponare la pelle, sicurezza inesistente. Eppure, ancora oggi a più di 50 anni se ne parla ancora. Sul palco lo sappiamo, nomi che ancora oggi abitano nel gotha mondiale della musica rock, con qualche gravissima assenza, prima di tutti i Beatles, in quel momento affacendati ad affilare coltelli vari. Da

quell'onda arrivò il glam, i lustrini, gli equivoci sessuali musicali. Erano gli stessi promoter che per far pubblicità ai propri artisti, mettevano in giro voci, foto in penombra. Tutto per stuzzicare il voyerismo che stava nascendo e che sta vivendo il suo apice con i social. Ecco dove nascono le leggende che davano per bisessuale David Bowie, o le orge in tour di gruppi come Who, Rolling Stones. Anche se il principe dei lustrini, degli stivaletti con le zeppe da 20 cm, era senz'altro Marc Bolan, cantante dei Tyrannosaurus Rex, una sfolgorante

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Oggi la musica quanto logorante carriera tutto vissuta sulla corsia di sorpasso. Fu lui in una epica ospitata a “Top of the Pops” della BBC inglese, a dare il via ad una moda che arriva fino ai giorni nostro con i Maneskin. L'uso smodato di glitter e trucco anche per gli uomini. Nasceva così il “glam rock” (da glitter=lustrini) che a distanza di oltre 50 anni, tiene vivo il ricordo di questo artista. Quando si presentò in tv, fu uno shock talmente grande, che genitori preoccupati scrissero all'emittente inglese, chiedendo se davvero invitare questi “eretici” fosse etico e legale. Marc Bolan allora non si era nemmeno reso conto che il suo nome sarebbe stato per sempre sinonimo di esagerazione. Lui in fondo voleva fare musica, sregolato come tutte lo rock star che si rispettassero, morì a trent'anni in un incidente dopo una notte ai limite della sopportabilità fisica.

Da allora tanti generi musicali sono nati e magari anche morti. Ma ogni volta che su un palco vediamo cantanti truccati, con lustrini che sparano le luci sul pubblico, scarpe improbabili nella vita di tutti i giorni. Ecco, ogni volta dobbiamo pensare a Marc. Le giovanissime generazioni che credono di aver inventato questo stile, devono sapere che nella musica nulla è nuovo, ma tutto viene riproposto, magari in confezioni diverse, ma i ricorsi storici nelle sette note, sono cicli che tornano. Oggi abbiamo la possibilità (santo youtube) di rivivere quei momenti, Woodstock tecnologicamente oggi nemmeno alla sagra della cotica di Roccabernarda sarebbe accettata. I suoni erano grezzi e distorti, tutti baciavano tutti e le droghe che giravano potrebbero far felice un cartello

venezuelano. Ma i giovani che c'erano ci credevano, magari in una utopia, anzi senza dubbio. Ma i sogni sono linfa per le nostre anime. Senza siamo morti.

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La buona sanità in cronaca di Alex De Boni

All' ospedale di Agordo... ...Ortopedia da record

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egli ultimi decenni il sistema nazionale sanitario ha investito tanto anche nelle strutture di montagna, spesso disagiate e a corto di personale qualificato. Una di queste è l'ospedale di Agordo la cui ortopedia ha raggiunto il traguardo dei mille interventi svolti in un anno. Il motivo di tali numeri si spiegano con il fatto che la struttura è scelta da molti pazienti per le competenze dell'équipe e l'ambiente confortevole L'Ospedale di Agordo è dotato di ottimi servizi per i cittadini del territorio e per i numerosi turisti (spesso stranieri) che in estate e in inverno affollano l'ampia vallata. Da alcuni anni in particolare il reparto di Ortopedia e Traumatologia ha intrapreso, grazie all'arrivo del dott. Federico Botto, un'attività di eccellenza indirizzata alla cura delle patologie dell’articolazione del ginocchio che va dal trattamento artroscopico delle lesioni meniscali – cartilaginee - legamentose, fino alla sostituzione protesica parziale o totale per la patologia artosica. Inoltre, lo sci nella stagione invernale e l'attività escursionistica estiva causano un incremento dell'attività traumatologica che sommandosi all’attività chirurgica di elezione impone un ritmo che porta a superare i

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1000 interventi all’anno . L'obiettivo fin dall'inizio è stato quello di offrire un trattamento chirurgico a livello dei migliori standard italiani, coadiuvato da un buon grado di comfort ospedaliero. «Quello che spesso il paziente non sa è che la buona riuscita di un intervento necessita, oltre alla mano esperta e competente del chirurgo, anche di una imponente organizzazione, che comincia dal lavoro di segreteria, passa per l'attività assistenziale, e si avvale di uno staff anestesiologico di alto livello. Nel nostro reparto è inoltre attivo un servizio di fisioterapia con palestra e fisioterapisti dedicati. Le camere sono singole o doppie con bagno (con vista sulle Dolomiti Agordine) e il cibo viene preparato nelle

cucine interne all'ospedale», spiega il dottor Federico Botto, direttore dell'Unità operativa di Ortopedia di Agordo. "Grazie all'impegno di tutte le figure professionali preparate, amanti del proprio lavoro e perfettamente coordinate dai capiservizio, si è potuta realizzare una commistione tra la qualità del trattamento chirurgico ortopedico-anestesiologico e il comfort dell'assistenza infermieristica e fisioterapica tali da fornire al paziente il meglio che la sanità pubblica possa garantire. Il supporto del comparto dirigenziale e amministrativo fa sì che si sia ottimizzato il rapporto costobeneficio permettendoci di utilizzare materiali all'avanguardia evitando sprechi a carico del SSN".


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Sacri strafalcioni di Franco Zadra

La cena del Signore

Ultima cena - di Leonardo da Vinci

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hissà cosa avrà voluto dire il parroco in conclusione della sua lunga predica nella Messa in Cena Domini di questo Giovedì Santo appena trascorso, quando se n’è uscito con l’asserire che «nella Sua ultima cena, Gesù ha ordinato sacerdoti gli apostoli conferendo loro il potere di renderLo presente nel pane e nel vino...». Un asserto tanto cristallino ed esplicito che non dovrebbe dare adito a dubbi, eppure, dal momento che l’ho sentito pronunciare non ho più smesso di pensarci, poiché mi è suonato falso come una campana rotta e forte ho sentita la responsabilità di un approfondimento della questione da condividere con i miei lettori, anche se lontanissimi dal farsene un problema. Vero è che per parlare del Giovedì Santo in maniera sintetica si dice che questa festa ricorda l'istituzione dell'Eucaristia e del ministero ordinato, come pure la consegna ai discepoli del comandamento dell'amore, in questo riferendosi al quarto Vangelo che, in luogo del racconto della Cena del Signore presente nei tre sinottici, riporta la lavanda dei piedi (Gv 13); ma le ragioni per le quali in questo giorno è in uso celebrare la Giornata

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sacerdotale sono altre e vanno ricercate nello sviluppo storico delle comunità cristiane, tenendo ben presente che la catechesi, come la stessa teologia, presentando l’ultima cena del Signore, sono spesso ricorse a dei riassunti ingannatori togliendo dal loro contesto le sole parole ricordate, «questo è il mio corpo… il mio sangue… fate questo in memoria di me», con il rischio di trasformarle in formule quasi magiche. «La celebrazione della Messa – si legge nella Institutio generalis Missalis Romani -, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato, costituisce il centro di tutta la vita cristiana per la Chiesa universale, per quella locale, e per i singoli fedeli. Nella Messa infatti si ha il culmine sia dell’azione con cui Dio santifica il mondo in Cristo, sia del culto che gli uomini rendono al Padre, adorandolo per mezzo di Gesù Cristo Figlio di Dio». Il che è tutta un’altra cosa dal dire che Gesù nell’ultima cena ha ordinato sacerdoti gli apostoli. Il sacerdozio, infatti, è solo quello di Cristo, partecipato al popolo di Dio come Suo Corpo, ovviamente “gerarchicamente ordinato”, ma chi è più in alto nella scala gerarchica (dove al vertice c’è il servizio)

non può attribuirsi alcun “potere” specifico che lo distingua dal popolo, tanto meno quello di “trasformare” il pane e il vino nel Corpo e Sangue di Nostro Signore. È infatti solo il Signore che può rendersi presente nel pane e nel vino e non lo fa perché il sacerdote recita delle formule e compie dei gesti, ma perché Lui stesso lo ha promesso, «dove due o tre sono riuniti nel mio nome, Io Sono in mezzo a loro» (Mt 18). Di questi tempi, certi strafalcioni calati dal pulpito si potrebbero forse tollerare data l’età avanzata del clero, o supponendone l’irrilevanza statistica vista l’esigua partecipazione alla messa, ma per quelli che ancora frequentano, fossero ancora meno quelli che ascoltano e intendono ciò che viene detto e fatto, per favorire una loro partecipazione attiva al “centro” della vita cristiana, e perché resistano al farsi trasformare in assistenti passivi di un rito sempre più incomprensibile, bisognerebbe forse, con tutta la delicatezza di cui si è capaci, riprendere apertamente certe affermazioni, segno di decadimento non solo culturale, così da tentare almeno di arginare in qualche modo questa deriva malata.



Fatti e misfatti di Francesco Scarano

Storia della censura

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l termine ‘’censura’’ costituisce uno dei vocaboli più ricorrenti del mondo dell’informazione, tanto da esser divenuto un termine che periodicamente permea le nostre camere attraverso le diffusioni di notiziari televisivi, letture di pagine web, articoli di giornale e divulgazioni sui social. Il controllo sull’ informazione ha subìto diacronicamente una metamorfosi tanto veloce, quanto complessa, che è alquanto arduo ricostruirne le tappe storiche. Si potrebbe partire in questo viaggio nel tempo col ricordare le vicende relative al re Johachim, re di Gerusalemme, che evulse dalla Bibbia il libro del profeta Geremia, in quanto quest’ ultimo ammoniva il sovrano a restare in patria e, pertanto, diffondeva un messaggio socialmente pericoloso mostrando il re come un individuo che dovesse sottostare alle leggi divine, piuttosto che nelle sembianze di un sovrano assoluto ed incontrastabile. In un decalogo delle censure storicamente più rilevanti non può sfuggire il ricordo degli abitanti dell’Urbe, i quali non erano esenti da restrizioni della liber-

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tà d’ espressione: a quanto riportato da Tacito (I sec. d.C.), durante l’età imperiale furono pubblicamente perseguitate tutte quelle minoranze che non accettavano teologicamente il culto e la divinizzazione dell’imperatore, cioè di quella figura che era contemporaneamente Dio e uomo, e riusciva a fare da tramite tra i due mondi avendo controllo e potere di vita e di morte sui sudditi. Con il passaggio all’ ‘’Età di mezzo’’, non è difficile intuire quanto la Chiesa influenzasse ogni decisione personale e politica, in un contesto ‘’pan-religioso’’, dove la coscienza morale prende il sopravvento sulla ragione, ed ogni parola o azione era frenata e indirizzata dalla salda ancora e dal saldo timone della speranza in una vita ultraterrena calibrata in base ai meriti o alle punizioni guadagnate nell’ ‘’ al di qua’’. Risale al XVI secolo, al 1534, la realizzazione dell’Indice dei libri proibiti, Index librorum prohibitorum, cioè un catalogo che fissava quali libri potessero essere letti dai cattolici, quali dovessero essere rielaborati e ‘’corretti’’, e quali dovessero

essere distrutti perché indecorosi e letali per la salubrità dell’anima. Più tardi il Novecento vide l’instaurarsi di regimi totalitari in Europa, regimi cioè capaci di permeare la scelta e le azioni dei cittadini nella loro ‘’totalità’’, appunto. Non deve sfuggire agli italiani quanto Mussolini volesse dare un’immagine forte della ‘’razza’’, tanto nel ‘’Bel Paese’’ quanto all’ estero, arrivando a promulgare la prima legge contro la libertà di stampa nel ’23 e mettendo agli apici della cultura e della cronaca funzionari e ministri dell’istruzione che lavorassero ai fini di un’opera encomiastica del Fascismo. Noti dovevano essere ai fortunati possessori di apparecchi televisivi i documentari Luce e tutti quei programmi che descrivevano l’Italia e gli italiani come invincibili e meritevoli di ‘’ un posto al sole’’. Più aspra dovette essere sicuramente la censura adoperata da Hitler, il quale mirò alla cancellazione della memoria e dell’identità di un popolo, quello ebraico, stabilendo quali libri fosse lecito leggere (libri bianchi) e quali no ( libri neri). Fu in tale occasione, infatti, che secoli e


Fatti e misfatti secoli di ricerche e studi ebraici andarono letteralmente in fumo, come accadde nel 1533 alle opere di Einstein e di Freud, o ai corpi ed alle menti di quei grandi scienziati israeliti. Repressioni simili si ebbero nella Russia stalinista, quando vari oppositori furono avvelenati da funzionari affini al KGB, o i programmi sovversivi venivano oscurati e sostituiti con la visione de ‘’Il lago dei cigni’’ che distoglieva l’ attenzione dello spettatore rispetto a quanto asserito in precedenza, in una situazione non dissimile da quanto sta accadendo oggi nella ‘’terra degli zar’’, dove i vari social network sono oscurati, sono celate le sconfitte militari e dove le proteste per la pace sono represse a suon di manganellate, arresti, o morti accidentali. A tale repressione risponde in occidente la volontà recente di cancellare o comunque ridurre il peso della cultura russa nelle università italiane.

Celebri sono i casi di Sostakovic e Dostojevski che rischiano di cadere nell’ oblio solo perché i loro concittadini, guidati dal potere di uno spietato dittatore, hanno commesso azioni aberranti, cercando a loro volta di cancellare la memoria e l’identità di un popolo fratello, quello ucraino. Sembra, dunque, che sebbene le metodiche adoperate si siano evolute, il fine resta lo stesso: smentire quei diritti di libertà per i quali tanti uomini hanno rinunciato alle loro stesse vite. È proprio a tal fine, per evitare di annullare tante battaglie e sacrifici, che dovremmo ricordare i nostri diritti e garantirli per tutti, uomini o donne, bambini o adulti, italiani o russi, perché è proprio la libertà

di parola a distinguerci dalle fiere e a garantirci l’appellativo di ‘’ zoon politikòn’’, cioè animale che riesce a vivere in comunità e ad esprimersi per il bene pubblico. Dovremmo prendere coscienza che tale possibilità non deve restare inchiostro essiccato su un albeggiante supporto cartaceo, ma che la sete di conoscenza è uno degli obiettivi del nostro passaggio su questa ‘’casa comune’’.

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Come eravamo di Waimer Perinelli

QUANDO CORTINA AVEVA IL TRENO

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uand'ero piccolo miei genitori si burlavano di me dicendo che avevo gli occhi neri “neri come il carbon” perché mi piaceva viaggiare in treno con la testa fuori dal finestrino e i convogli erano trainati da locomotive a vapore alimentate con il carbone. Dalla ciminiera usciva un denso fumo nero che, passando attraverso tutti gli scompartimenti, si scontrava in basso con il vapore bianco generato dal fuoco. E' passato per fortuna o Ahimè, molto tempo, ma ancora ricordo i viaggi compiuti su alcune ferrovie alpine come quella che portava da Ora a Canazei, un'altra da Chiusa, in valle d'Isarco, alla Val Gardena e una terza da Dobbiaco a Calalzo. Tutte queste ferrovie erano a scartamento ridotto, lo stesso che mio padre aveva trovato come geniere dell' Armir nella Russia del 1942, e tutte avevano una caratteristica e simpatica lentezza. Per bellezza e velocità ricordo con particolare simpatia la DolomitenBahn che da Dobbiaco passava per Landro, Misurina, Cortina D'Ampezzo, Zuel, san Vito di Cadore, Tai di Cadore, Calalzo. Sessantaquattro chilometri e 913 metri di binari a scartamento ridotto, inaugurata nel 1921 e chiusa nel 1964. Solo quarantatre anni di vita per una ferrovia la cui gestazione è durata

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almeno 40 anni, sessanta se si considerano i primi progetti falliti di cui, come scopriremo, la ferrovia delle Dolomiti era una diramazione. Era il 1879 quando i regi amministratori del Veneto pensarono di unire i centri di Belluno, Feltre e Treviso con una linea ferroviaria. Un progetto ambizioso la cui realizzazione venne assegnata alla Società per le strade ferrate meridionali che, il primo aprile del 1884, inaugurò il tratto fra Treviso e Cornuda. Dopo soli due anni i treni potevano arrivare fino a Belluno. A questa linea ferroviaria passata nel 1905 in gestione alle Ferrovie dello Stato, si diramava nella stazione di Sedico-Bribano una linea privata che proseguiva fino ad Agordo e serviva i viaggiatori, ma soprattutto il trasporto dei minerali ferrosi di cui l'Agordino è ricco. In un cassetto dei burocrati austriaci c'era fin dal 1865 un altro progetto ideato per collegare il Tirolo a Venezia che lo ricordiamo fu annessa all'Italia solo nel 1866. Il progettista era l'ingegner Giovanni Battista Locatelli il quale, avendo ricevuto l'incarico dall'Inclita Congregazione Provinciale di Belluno” presentò una corposa relazione per la “Strada ferrata alpina da Venezia alle valli bellunesi e tirolesi per la direzione del lago di Costanza”. Duecento ventisette chilometri e 74 metri, di binari attraverso le valli di Fassa e Gardena, il Primiero e poi verso il piano da

Fonzaso a Feltre passando per Lamon. Un sogno rimasto nel cassetto anche perché aveva un costo elevato. Nel 1869 il viennese Alfred Wrede presentò un progetto per una linea ferroviaria con carrozze trainate da cavalli, con cui congiungere Dobbiaco a Cortina. La sua proposta, bocciata, fu rivista in chiave più attuale e moderna da Josef Riehl. Anch'essa rimase tuttavia nel largo cassetto di qualche scrivania. Ci volle il vento della guerra per convincere amministratori austriaci e italiani che una ferrovia ben fatta, sia pure a scartamento ridotto, poteva facilitare il rifornimento di viveri, armi e munizioni, alle truppe al fronte. Per primi ci pensarono i soldati dell'Imperatore d'Austria e nel 1915 iniziarono i lavori per la ferrovia in grado di congiungere Dobbiaco (Toblach) e Landro. Dall'altra parte del fronte i soldati italiani, nel 1916, realizzarono una ferrovia Decauville fra Peaio e Zuel alle porte di Cortina


Come eravamo D'Ampezzo, con l'intento di collegare poi, la linea alla Perla delle Dolomiti. Ma non accadde perché proprio in quel 1917 il fronte si capovolse con la disfatta italiana di Caporetto. Furono allora i genieri austriaci a completare la tratta della Dolomitenbhan fino a Calalzo. A guerra finita la ferrovia rimase disoccupata fino al 1921 quando venne riattivata soprattutto per scopi turistici, e la gestione fu affidata al Regio Circolo Ferroviario di Bolzano il quale riuscì perfino a chiudere i bilanci con qualche lira di attivo. Ma i lavori di mantenimento della massicciata, delle stazioni, degli scambi e binari, sono molto costosi, la tecnologia va aggiornata e anche i bolzanini dovettero fermarsi al segnale rosso del bilancio. Lo Stato che aveva ereditato la gestione, decise la chiusura nel 1964. In quegli anni venivano chiuse le altre ferrovie “turistiche” della

Val Gardena e della valle di Fiemme e Fassa. Oggi la sede ferroviaria della Dobbiaco Cortina d'Ampezzo si presenta come un sentiero sterrato in buone condizioni e viene usato in estate come pista ciclabile ed inverno come palestra di sci da fondo. I fabbricati delle stazioni e magazzini sono generalmente in discrete condizioni: attorno, con l'attesa delle Olimpiadi invernali del 2026, cresce però la voglia di ferrovia, non veloce, panoramica, turistica e rispettosa dell'ambiente. In qualche cassetto c'è pure un progetto per una ferrovia monorotaia. Ma questa è un'altra storia.

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Conosciamo il territorio di Sonia Sartor

Villa Barbaro

È

indiscussa la bellezza della storica Villa Barbaro che a Maser, sui colli asolani in provincia di Treviso, costituisce a tutti gli effetti una meta ambita da numerosi visitatori. L’edificio fu progettato dall’architetto padovano Andrea Palladio intorno all’anno 1550, in seguito alla richiesta da parte dei fratelli Daniele e Marcantonio Barbaro di trasformare il palazzo di proprietà della famiglia in una prestigiosa tenuta agricola arricchita da uno spazio dedito alla contemplazione e allo studio. Daniele, umanista e patriarca di Aquileia, divenne il mentore di Andrea Palladio; il fratello Marcantonio era invece ambasciatore della Repubblica di Venezia e a lui si riconosce il merito di aver introdotto il grande architetto negli ambienti veneziani. Sin dal primo sguardo l’edificio di Villa

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Barbaro comunica una sensazione di maestosità che può essere interpretata come diretta conseguenza del fatto che Palladio, per la realizzazione della facciata, trasse ispirazione dalle forme degli antichi templi di Roma. Il medesimo messaggio è espresso dai due leoni in pietra e dalle sei statue raffiguranti divinità dell’Olimpo. Nel timpano centrale, nell’allegoria della Pace e dell’Armonia, è visibile lo stemma dei Barbaro con aquila bicipite e tiara papale. A completare il quadro sopra descritto è l’intimità con la natura che si palesa in ogni angolo del vasto giardino. Percorrendo a piedi la strada che conduce dal parcheggio all’ingresso della villa non si può non rimanere incantati dalla vista e dal profumo dei roseti, simbolo della cura con cui vengono valorizzati gli spazi esterni. Dopo essere stati accolti dal colore delle rose rampicanti si giunge nel cuore del giardino, occupato dalla fontana di Nettuno realizzata dallo scultore Alessandro Vittoria. Passando alla decorazione degli interni, ampio spazio ebbe il genio creativo di Paolo Caliari, detto il Veronese, uno dei grandi maestri del Rinascimento veneziano. Gli affreschi di Veronese, nella villa così come altrove, hanno per protagonisti personaggi mitologici, divinità ma anche figure di personalità realmente esistite.

Per citare un esempio si pensi alla stanza dell’Olimpo, la più celebre della casa, nella quale, oltre alle più importanti divinità dell’Olimpo, viene raffigurata anche la signora Barbaro con i suoi figli. Veronese, nelle stanze dell’edificio, dipinse anche sé stesso nella veste di un cacciatore nobile in segno di affetto verso quel luogo a lui evidentemente caro. Interessante è poi lo sfondo degli affreschi, identificato molto spesso con le aree di campagna circostanti alla villa quasi come se si volesse sottolineare un continuo richiamo tra interno ed esterno. La villa veneta, oltre ad essere attualmente abitata, spicca al centro di una fiorente azienda agricola, simbolo di un vivo legame con un passato nel quale il vino ha indubbiamente rivestito un ruolo di centralità per l’economia della struttura. “Dall’una, e l’altra parte vi sono loggie, le quali nell’estremità hanno due colombare, e sotto quelle vi sono luoghi da fare i vini,… e gli altri luoghi per l’uso della Villa”. È così che Palladio ne “I Quattro Libri dell’Architettura” descrive l’organizzazione della villa, dimostrando di aver inserito nella progettazione dell’edificio un luogo dedicato alla produzione del vino. Nel 1996 Villa Barbaro, insieme ad altre ville venete dell’architetto padovano, è stata inserita dall’UNESCO nella lista dei patrimoni dell’umanità in qualità di eccezionale esempio di edificio architettonico. La visita della villa è garantita durante l’intero arco dell’anno con la possibilità di godersi, in occasione di alcuni appuntamenti speciali, un tour guidato. Inoltre è un luogo indicato anche per i più piccoli, per i quali nel periodo da aprile ad ottobre vengono organizzate svariate attività come ad esempio la caccia al tesoro immersa nel verde del giardino.



Attualità e scenari di guerra di Caterina Michieletto

Ucraina: la guerra nei volti dei bambini

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uesto articolo è dedicato a loro: ai bambini nascosti nei rifugi delle città ucraine, ai bambini che camminano senza sosta con le loro famiglie per attraversare il confine ucraino ed essere accolti dall'Europa, ai bambini dei centri oncologici e degli orfanotrofi ucraini salvati con il prezioso aiuto delle associazioni per l'infanzia, ai bambini che pur non vivendo la guerra ne sentono parlare e ne vedono le tragiche immagini trasmesse dai notiziari. A tutti i bambini che sognano la pace e vedono la guerra, rivolgo questo pensiero: non smettete di credere nel bene e nelle cose belle anche quando tutto attorno va in direzione opposta, perché la pace, la libertà, la democrazia, la giustizia sono il sogno per cui ieri come oggi si resiste con coraggio e dignità all'oppressione, affinché questo sogno diventi in tutto il mondo realtà. La guerra alle porte dell'Europa: uno scenario di distruzione e dolore che nessuno avrebbe previsto nel 2022. Nel territorio ucraino si consuma una tragedia umana raccontata dalle lacrime pesanti delle donne ucraine, pesanti come il dolore che portano con sé, dagli occhi paralizzati dei bambini che vivono questo incubo, dalla paura scolpita nei volti già profondamente segnati degli anziani. Improvvisamente viene loro sottratta la normalità, quella quotidianità fatta delle

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piccole e grandi fondamentali cose che compongono la vita delle persone. I pensieri corrono come un fiume in piena che sta per esondare, senza un ordine, se non quello dettato dall'istinto di sopravvivenza che esorta ad agire per la salvezza propria e altrui, qualunque significato assuma questo agire (fuggire, difendersi, nascondersi). Le sirene di allarme delle città scandiscono con angoscia le ore del giorno e della notte, diventano l'unico riferimento per capire come e quando muoversi. Gli aerei militari russi volano bassi e bombardano qualsiasi edificio: non risparmiano nulla né ospedali, né scuole, né lunghe file di persone in fuga; ci sono la spaventosa volontà e la terribile coscienza di provocare stragi di civili, di annientare l'Ucraina colpendo il suo popolo. Le immagini e le testimonianze che eroici giornalisti ci restituiscono direttamente dal fronte sono agghiaccianti e terribilmente eloquenti. Molte di queste fotografie immortalano il male della guerra negli occhi dei bambini avvolti dal senso di smarrimento e dalla paura di fronte a tutto l'orrore che li circonda. Pensiamo allo stato d'animo di un bambino che fino al giorno prima viveva nella sicurezza delle attività quotidiane, casa, scuola, gioco, amici, sport, il cartone prima di andare dormire, che il giorno successivo è costretto ad abbandonare tutto

di questa normalità, portando con sé il proprio cagnolino ed il gatto e forse il peluche a cui è più affezionato. Molti bambini sono rifugiati con le loro famiglie negli scantinati, nei sotterranei delle città e nelle metropolitane in condizioni sanitarie critiche, con sempre maggiori difficoltà a reperire alimenti ed acqua potabile. Si cerca di tenere calmi i bambini, di distrarli perché non piangano: non possono piangere perché è pericoloso, se i soldati russi li sentono piangere trovano le persone nascoste e le conseguenze sono terribili. Ci sono bambini che la guerra ha reso orfani di padre o di madre o di entrambi i genitori, come il piccolo Vlad Tanyuk fotografato nella periferia di Kiev mentre posava non fiori ma dei barattoli di cibo sopra un cumulo di terra sotto il quale è sepolta la madre morta di fame. Come Vlad tanti sono i bambini ucraini che dal 24 febbraio 2022 hanno visto sconvolta e tragicamente segnata la loro infanzia. Come sopravvive un bambino alle macerie, alla devastazione, ai lutti? Cosa sedimenta nel cuore e nei pensieri di un bambino che porta dentro di sé le ferite della guerra? Come aiutare ad affrontare questo tremendo vissuto? Troppo spesso sentiamo dire che i bambini hanno tante risorse, ce la fanno sempre e dimenticano, quasi a voler co-


Attualità e scenari di guerra prire e confinare nel tempo la sofferenza dei traumi che portano con sé. I bambini non dimenticano, mascherano o nascondono i ricordi brutti; i bambini non hanno tante risorse che automaticamente fanno superare un trascorso doloroso, hanno il dono dell'immaginazione che li aiuta a rifugiarsi da un dolore che è insostenibile. L'UNICEF al 18 aprile riferiva di 177 bambini strappati alla vita dalla guerra, ma il forte timore che il numero di bambini vittime sia maggiore è confermato dall'inasprimento dei focolai di guerra e dai continui attacchi russi a obiettivi civili. Da Bucha, Borodyanka, Irpin e altre città ucraine giungono testimonianze di crudeltà perpetrate contro bambini, giovani, donne, anziani, che non possono essere riferite e che possono essere commentate solo in questi termini: ogni guerra è l'abisso della civiltà, è una voragine di dolore e distruzione nella storia

dell'umanità. Proviamo per un istante a tornare bambini e pensare alle attività che facevamo ed alla gioia che provavamo: disegnare, colorare, fare i compiti con la smania di finire presto per poi giocare, aiutare la mamma in cucina, passeggiare con il cane, le gite in famiglia, leggere il libro prima di andare a dormire etc. Questo elenco di ricordi meravigliosi della nostra infanzia che potrebbe continuare all'infinito era la normalità anche dei bambini ucraini, come di tanti altri bambini che crescono in aree del mondo dilaniate dai conflitti armati. La guerra toglie, separa e distrugge tutto

ciò che rappresenta il mondo colorato e gioioso dei bambini. La guerra nega ai bambini il diritto di vivere la poesia delle piccole, importanti e magiche cose dell'infanzia. La guerra è il buio e il desiderio di questi bambini è di tornare a rivedere la luce del sole.

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Medicina & Salute di Alex De Boni

CONOSCIAMO LE MALATTIE RARE Il futuro di 1500 bellunesi appare migliore all'indomani dell'approvazione Parlamentare del Testo Unico della Malattie Rare che rappresenta un primo importante passo in avanti per questa tematica, dibattuta da anni che ancora non aveva un disegno di legge. Riconoscere la malattia rara da parte dello Stato significa migliorare sensibilmente la vita di pazienti e dei loro familiari sia dal punto di vista della ricerca, sia per quanto riguarda il sostegno economico alle famiglie. Inoltre grazie alla semplificazione delle normative esistenti migliaia di pazienti avranno la possibilità, ovunque risiedano, di accedere più facilmente a cure adeguate ed appropriate, anche restando a domicilio. "È un ulteriore tassello nella costruzione di un Servizio Sanitario Nazionale incentrato sul concetto di 'prossimità', cioè della capacità di essere vicino ai cittadini, a cominciare da chi soffre di una malattia rara, perché non si debba mai sentire lasciato solo", ha affermato il ministro della Salute Roberto Speranza. Dietro una malattia non ce solo il dolore fisico, ma spesso il paziente e i suoi familiari sono lasciati in uno Stato di "isolamento", tanti sono i perchè e poche sono le reali risposte. Molte famiglie girano l'Italia e non solo alla ricerca di ospedali o professionisti che possano dar loro una speranza di cura o miglioramento, spesso sono gli stessi medici specialistici a non sapere neppure dare un nome alla patologia dei loro pazienti, ecco perchè la ricerca e il riconoscimento di una malattia rara rappresenta un appiglio importante per queste persone. Per saperne di più abbiamo intervistato Franco Dalle Grave che in provincia di Belluno è attivo da anni nella promozione e sensibilizzazione sociale sulle mallattie rare, legato a questa tematica per un caso in famiglia.

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NOSTRA INTERVISTA ome si definisce una malattia rara? Nell’Unione Europea, una malattia si definisce rara quando ha un’incidenza fino a 5 casi ogni 10.000 persone. Le patologie rare sono tra 5.000 e 8.000 nel Mondo e colpiscono prevalentemente i bambini in una percentuale che va dal 50% al 75%. Attualmente toccano il 3,5%-5,9% della popolazione mondiale, circa 300 milioni di persone in tutto il mondo, 30 milioni in Europa e 2 milioni in Italia. La loro rarità rende spesso più complessa la ricerca di farmaci per la loro cura. Per le persone con malattia rara, avere finalmente un farmaco che curi la patologia con la quale convivono, spesso dalla nascita, è un momento di emozione indimenticabile. Un primo passo verso una migliore qualità della vita, grazie all’abbattimento delle sofferenze e dei limiti posti di frequente dalle patologie rare. Talvolta “quella” nuova cura può far guardare con realistica speranza alla stessa guarigione. Cosa significa convivere o avere

un familiare affetto da malattia rara? La malattia rara è una sfida quotidiana per i genitori o pazienti, dal punto di vista del tempo dell’organizzazione dei propri bisogni assistenziali, che dovrebbero essere previsti, nei piani di zona socio/sanitaria territoriale, ma non lo sono, e questa è la prima difficoltà che si incontra da subito. La carente informazione locale i genitori coinvolti e i malati stessi devono spesso mettere in conto lunghi viaggi e un grande dispendio di tempo per le terapie, appesantendo notevolmente la loro vita professionale e privata. Convivere con una malattia rara, cercare la giusta diagnosi, può essere una strada lunga ed estenuante a causa della mancanza di conoscenza medica in questa materia, anche da parte degli

stessi medici che spesso rimangono perplessi di fronte a insolite combinazioni disintomi. Non è raro sentire pazienti raccontare di essere stati mandati da un dottore all’altro o da 39


Medicina & Salute un centro all’altro poiché il profilo dei sintomi non era riconducibile a nessuno schema conosciuto, o perché nessuno era in grado di prendersi la responsabilità di un quadro clinico così particolare. Per alcuni pazienti non è possibile avere diagnosi nemmeno a fronte di lunghi processi di ricerca, il che può essere davvero stressante. Quando invece si riesce a stabilire la diagnosi di una malattia rara, il paziente e i suoi famigliari si trovano di solito a fare i conti con il fatto che avranno bisogno di assistenza medica a vita. Nella maggior parte dei casi non vi sono prospettive di guarigione, e per molte altre malattie rare non sono ancora disponibili farmaci davvero efficaci. Con l’approvazione parlamentare cosa si aspetta che succeda? Con questa legge che prevede Disposizioni per la cura delle malattie rare e per il sostegno della ricerca della produzione dei farmaci orfani con un Fondo di solidarietà e l’aggiornamento dei LEA da molti anni in discussione, non mi aspetto un gran che a breve, è solo una aggiunta di un tassello/casella alla vita comune di questi malati, ma solo a una parte di essi, coloro che hanno soluzione o aiuto dal farmaco. Si parla di solo un quinto del problema. Il resto: le malattie comportamentali, i ritardi mentali, le sindromi, le anomalie genetiche come il caso di mio figlio Davide (sindrome molto rara “cri du chat” anomalia genetica del 40

cromosoma 5, un caso ogni 50.000 cinquantamila nati); dove si dovrebbe intervenire con terapie adeguate fin dalla nascita, non cambierà nulla. Soprattutto questi bambini coinvolti con queste malattie rare croniche, genetiche che sono sempre disabilitanti ed invalidanti e che avrebbero bisogno da subito essere aiutate con diverse terapie, come la fisioterapia, l’ergoterapia e logopedia, ricevere trattamenti da diversi medici specializzati ed essere seguite principalmente nei territori dove abitano con una rete di auto mutuo aiuto, delle associazioni, per rispettare la loro conformazione di patologie e bisogni, resteranno come adesso, vittime della sfortuna di essere nate così. Ha fiducia dello Stato? La fiducia nello Stato non deve mai mancare, si dice volentieri lo Stato siamo noi e ne siamo fieri. Lo Stato può scrivere le più belle leggi del mondo, ma le dovrebbe applicare. C’è un però quando arrivano le sue leggi, circolari, raccomandazioni per i servizi ai malati rari, nella maggior parte dei casi, per essere applicate

nei territori vengono "modificate, adattate, stiracchiate" dai servizi di assistenza territoriali, o per colpa della politica o per mancanza di personale adeguato. Perciò non arrivano adducendo varie giustificazioni come la classica "non ci sono soldi, non c’è personale", oppure come qui in Regione Veneto che si nascondono dietro ai servizi dei Livelli Essenziali di Assistenza che spettano a ogni cittadino senza considerare la specificità di questi malati. Mi domando tante volte dov’è questo Stato che non controlla il suo operato per il bene di se stesso e del servizio al suo cittadino? Non può solo controllare il cittadino se paga o non paga le tasse e non controllare i diritti di queste persone che non vengono rispettati! Come lo Stato tutela i malati e le loro famiglie? Le leggi ci sono, ma lo Stato non arriva direttamente nel territorio, ci sono le regioni con le AULS, le province e i comuni, e in tutti questi passaggi all’utente arriva poco o niente. Nel grande numero delle malattie rare,


Medicina & Salute oltre 8.000 (ottomila) individuate, la maggioranza sono invalidanti e disabilitanti. Per queste ultime non è sufficiente il ruolo delle famiglie e delle associazioni dei malati rari, devono aggiungersi anche la SCUOLA con programmi individuali mirati, le ISTITUZIONI con aiuti economici per collaborare a creare rete di conoscenza e lavorare per la loro inclusione nella società. C’è speranza per il futuro? Si cerca di avvicinare queste persone alla vita sociale, allo sport dove è possibile, allo spettacolo, si organizzano raduni di famiglie per trovarsi, conoscersi e scambiarsi idee e risultati e fare in modo che NON SIA LA MALATTIA A DISEGNARE LA VITA DI QUESTE PERSONE, non devono restare isolate né fisicamente e neppure psicologicamente. Un ruolo importante possono averlo le associazioni che negli anni sono sorte nel territorio nazionale, sono però ancora poco conosciute, aiutate e sono sorrette in particolare dai privati. Questo succede perché essendo queste malattie molto rare, le associazioni non sono capillari, magari una per provincia, o ogni comune e

di conseguenza sono ignorate dalle istituzioni e non ottengono sostegni. Ad esempio a Belluno con la malattia di mio figlio “Cri du chat” c’è solo lui e nel Veneto circa una ventina. La nostra associazione infatti è nazionale ed è sorta in Toscana a Firenze per volontà di una mamma coraggiosa 32 anni fa. Svolgono comunque una attività di divulgazione attraverso opuscoli, depliants e tramite i media per informare il più possibile. Le associazioni dei malati rari dovrebbero essere presenti e aiutate nei territori di appartenenza secondo la loro specificità nel fare rete per l’informazione sarebbe di un gran aiuto per affrontare la malattia rara o in genere, informare in modo complessivo, cercare supporto attraverso la rete dei contatti e prestare molta attenzione a questi bisogni. Stare vicino a un familiare con malattia rara è una sfida. Si cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema, per essere aiutati, con i vari slogan che si fanno ogni 28 febbraio con la giornata mondiale delle malattie rare. E’ sempre difficile da capire per chi non vive sulla propria pelle questi problemi.

Alcuni dati della ricerca in Europa.

In Europa sono oltre 2.500 i medicinali in fase di sviluppo per le malattie rare che hanno ottenuto la designazione di farmaco orfano dal 2000 a fine 2021. Un risultato reso possibile anche dal Regolamento europeo per i farmaci orfani del 2000 che ha dato un impulso straordinario agli investimenti in Ricerca e Sviluppo per queste patologie. Le nuove terapie disponibili hanno avuto un impatto positivo sulla salute e sulla vita di 6,3 milioni di malati rari. Dall’anno di approvazione del Regolamento ad oggi sono 209 i farmaci orfani che hanno ottenuto l’autorizzazione per l’immissione in commercio dall’Agenzia europea dei farmaci. Regolamento che ora la Commissione Europea sta valutando per aggiornare il quadro giuridico. La revisione delle misure a sostegno della R&S dovrebbe prendere in considerazione l'intera catena del valore di questi farmaci e migliorare l'ecosistema dell'innovazione in Europa, rendendola più attrattiva per gli investimenti. Gli studi clinici nelle malattie rare in Italia sono molto cresciuti in questi anni: passando dai 66 autorizzati nel 2010 (il 10% rispetto al totale degli studi clinici) ai 216 nel 2019 (il 32,1%). Un risultato possibile grazie anche alle imprese del farmaco impegnate nella ricerca su queste patologie. A livello internazionale sono quasi 800 i farmaci in sviluppo per le malattie rare. Tra questi 168 sono per la terapia dei tumori rari, 192 per i disturbi genetici, 56 per i disturbi neurologici, 51 per le malattie autoimmuni e 36 per quelle infettive.

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Le donne nella Storia di Francesco Scarano

Dietro un grande uomo c’è una grande donna, o forse il contrario?

S

econdo una consuetudine sociale, dagli albori della nostra cultura, la figura femminile ha sempre rivestito ufficialmente un ruolo subalterno rispetto a quello ricoperto dagli individui di sesso maschile. È lecito, tuttavia, prendere coscienza della presenza massiccia, seppure spesso strumentalmente mimetizzata, di figure femminili che hanno offerto delle tessere fondamentali per il ‘’puzzle’’ della nostra evoluzione. Nella ‘’top three’’ delle donne che hanno lasciato una firma indelebile sul registro dei docenti di umanità e di abilità nella storia non può mancare il nome di Marie Curie (1867-1934), donna e scienziata che dedicò l’intera esistenza alla scienza.

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L’ immane sete di conoscenza di quest’ esponente del ‘’ gentil sesso ’’ la portò a vincere due premi Nobel: uno per la fisica, dovuto allo studio della radioattività che gettò le basi per la teoria dell’indivisibilità dell’atomo, ed uno per la chimica. Sebbene l’immagine che la storia lascia trapelare della scienziata sia quella di una donna di successo, la prima donna che riceve due Nobel e che riesce ad accedere in qualità di insegnante all’ elitario ambiente accademico della Sorbona, le difficoltà sociali che questa donna dovette affrontare nel corso della sua permanenza in una società maschilista non furono poche. Si fece fatica, infatti, ad ammettere il suo talento, a concederle uno studio ed un laboratorio, ad assegnarle due onorificenze di livello mondiale, una cattedra universitaria e il plauso della comunità. L’ unica figura maschile che riuscì ad apprezzare e valorizzare le sue capacità fu il marito alla quale la donna era tanto legata da voler essere seppellita al suo fianco, ed al quale, per ragioni sociali, deve il cognome con la quale è passata alla storia. Se la scienza può vantare le sue ‘’ amazzoni’’, non di meno può fare la letteratura italiana, da sempre costellata da grandissime poetesse e prosatrici che, il più delle volte, sono cadute nell’ oblio più profondo.

Ragione di tale ingiusta omissione è la presenza nel nostro Paese di una storia letteraria di stampo borghese che omette dai banchi di scuola le vite e le opere dei grandi letterati di sesso femminile, come accade nella ‘’ Storia della letteratura italiana’’ scritta dall’ illustre De Sanctis. Non può passare inosservato, però, alla nostra coscienza culturale, e letteraria nello specifico, il peso rivestito da donne del calibro di Artemisia Gentileschi e Isabella Morra. Isabella Morra, nata a Favale nel 1520 circa, compose opere dal fascino poetico e dalla sensibilità tale che hanno fatto parlare morti critici moderni di lei con termini simili a quelli adoperati per il noto poeta di Recanati, Giacomo Leopardi. Come accade per molte figure femminili, il suo valore è stato riscoperto solo recentemente, in una società che si è avviata all’ emancipazione femminile, mentre in vita è stato ignorato o addirittura frainteso, portandola alla morte. Costretta infatti a vivere in un mondo guidato dal padre ‘’ padrone e padre eterno ’’, la giovane donna subì inaudite violenze dai fratelli, i quali non accettando come costumati i suoi desideri di libertà e di amore, posero brutalmente fine alla sua esistenza. Certamente non sfugge alla nostra memoria cinematografica e storica la figura di Giovanna d’ Arco, una femminista ‘’ante litteram’’, guerriera, eretica, donna tanto amata quanto odiata, al punto che a soli 19 anni fu condannata al rogo. Nata nel poco noto villaggio di Donrèmy, giovanissima Giovanna si pose a capo delle truppe francesi di Carlo VII di Valois per liberare la Francia, e la città di Orleans in particolare, dall’ invasore inglese.


Le donne nella storia Guidata da visioni e voci mistiche, la guerriera ebbe la capacità di vincere il nemico ripetutamente nonostante avesse riportato due gravi ferite e di farsi rispettare da un esercito di soli uomini arrivando, addirittura, secondo alcune fonti, a punire e schiaffeggiare i cavalieri che bestemmiavano o che avessero un comportamento poco decoroso. A nulla valsero il suo impegno per la patria, la sua profonda fede ed il suo spirito di sacrificio: bastarono le voci mistiche e l’esser discendente di Eva a condannarla alle fiamme. Sebbene la rassegna delle figure femminili potrebbe continuare all’ infinito, al punto che si potrebbe scrivere una letteratura ed una storia parallela tenendo conto delle donne che hanno azioni decorose per l’umanità o che hanno spinto i loro uomini a farle, è facile intuire quanto la nostra società debba ad esse e quanto è ingiusto non riconoscerne i meriti o

sminuirne il peso. Nonostante siano stati fatti passi da gigante in tale direzione, è chiaro che la società odierna resti spesso avviluppata ed irretita nei meandri del sessismo, avendo accettato solo di recente alcune modeste libertà come quella di attribuire apposizioni di genere femminile come ‘’ sindaca’’, ‘’ avvocatessa’’, ‘’ingegniera’’, come se uno sviluppo ormonale diverso compromettesse le loro capacità a compiere azioni degne di memoria. Forse è giunto il momento di accantonare il bigottismo ed il maschilismo, e renderci conto che tutti gli individui hanno pari diritti e potenzialità, le quali non possono essere

annullate dalla legge del più forte, dalla violenza fisica e dall’ arroganza, che è spesso gemella siamese dell’ignoranza.

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Limana, Comune proiettato al futuro Parla Milena De Zanet, sindaco di Limana

Sindaco, indubbiamente anche Limana ha vissuto la difficile crisi socio economica determinata dalla pandemia Covid. Cosa ci può dire in proposito? Questi due anni sono stati molto difficili sotto diversi punti di vista. Da un lato abbiamo dovuto affrontare il problema sanitario che ha colpito soprattutto la popolazione anziana. Il comune, attraverso la Limana Servizi Srl, gestisce il Centro Servizi per l’Anziano che ospita

114 persone. Abbiamo subìto le diverse ondate di pandemia che hanno colpito sia gli ospiti che il personale dipendente con le conseguenti difficoltà nel garantire un’adeguata assistenza. Solo la grande professionalità ed abnegazione dei dipendenti ha permesso di assicurare sempre un servizio adeguato. Poi ci sono state le difficoltà sotto l’aspetto umano: i nostri anziani erano abituati a vedere i familiari quotidianamente senza particolari limitazioni. Con il Covid gli accessi alla Casa di Riposo sono stati contingentati e con modalità molto restrittive sotto il profilo del contatto fisico: si può ben immaginare emotivamente cosa ha significato questo cambiamento. Un altro aspetto sono stati i bimbi ed i ragazzi che sono rimasti chiusi nelle loro abitazioni, obbligati alla didattica a distanza senza poter “vivere” a diretto contatto con i loro coetanei. La scuola non è solo apprendimento di nozioni ma prima di tutto è formazione e crescita sotto tutti i punti di vista. Insieme agli anziani, anche i giovani hanno pagato a caro prezzo questa pandemia e sono convinta che le conseguenze a livello psicologico ed

evolutivo le vedremmo per diversi anni. Poi c’è l’aspetto economico. Abbiamo avuto diverse famiglie in difficoltà che si sono trovate senza lavoro e mezzi di sostentamento: sotto questo profilo, anche grazie ad alcuni fondi statali stanziati appositamente, abbiamo potuto essere vicini a queste realtà e supportarli per l’acquisto dei generi di prima necessità, per gli affitti e le bollette. Ci sono poi le attività commerciali, bar e ristoranti, chiusi per lunghi periodi. Siamo intervenuti, unitamente alle associazioni di categoria, per consentire loro di accedere al credito a condizioni agevolate. Quali progetti di sviluppo sociale ed economico sta attuando o pensa di attuare la giunta comunale da Lei presieduta? Il comune ha partecipato ad alcuni bandi del PNRR per costruire una nuova scuola materna ed una mensa. L’attuale scuola materna di Navasa potrebbe diventare un asilo nido. Questo consentirebbe di andare incontro alle esigenze delle famiglie e di essere vicini alle giovani coppie che devono coniugare le necessità lavorative con quelle della famiglia stessa.


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Per quanto riguarda le varie tariffe, abbiamo inserito la presentazione dell’ISEE per dare delle agevolazioni alle fasce di popolazione meno abbienti. Allo stesso modo stiamo predisponendo delle agevolazioni per la Tari. I servizi sociali sono sempre molto attenti e monitorano costantemente le situazioni che possono presentare criticità. Limana è conosciuto per essere “il paese del miele”. Come influisce sull'economia del comune? A Limana vi è la sede di “Apidolomiti”, una importante realtà che può contare su oltre 600 soci sparsi su tutta la provincia di Belluno, molti qui a Limana. La maggior parte sono hobbisti e quindi l’attività apistica diventa come un secondo lavoro che può contribuire, sotto il profilo economico, al sostegno delle famiglie.

Ma l’apicoltura è passione ed amore per l’attività in sé ma anche per l’ambiente. E la provincia di Belluno ha un territorio fragile che necessita di cura ed attenzione: l’agricoltura, l’apicoltura e tutte le attività ad essa collegate sono importanti anche sotto questo aspetto. La pandemia Covid ha certamente penalizzato la voce “Turismo”. La sua opinione in merito e quali le manifestazioni che Lei intende organizzare o promuovere? La pandemia ha sicuramente penalizzato il Turismo che proveniva dall’estero facendo registrare una grande flessione soprattutto per le città d’arte ed i siti piu’ conosciuti. Anche Limana ha avuto un calo degli stranieri ma, nel contempo, ha avuto un incremento di quella parte di turisti italiano che, proprio a causa

della pandemia, hanno cercato momenti di svago all’aria aperto con escursioni e passeggiate. Limana ha molti sentieri che si prestano sia a sportivi allenati ma anche e soprattutto alle famiglie con percorsi accessibili anche a bambini. Le manifestazioni che stiamo organizzando e che comunque sono degli appuntamenti fissi oramai per Limana sono la Magnalonga, a luglio, e la Festa del Miele, ad ottobre. Ci saranno poi una serie di eventi organizzati dalla locale Pro Loco che animeranno il paese nei mesi di luglio ed agosto. Inoltre quest’anno per l’importo anniversario della scomparsa dello scrittore Dino Buzzati, molto legato al nostro territorio, stiamo organizzando una serie di eventi culturali e sportivi per celebrare adeguatamente questa ricorrenza.

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a Proloco nasce ufficialmente nel 1980 ,fondata da Valvassori Renzo, De Fanti Renato e Bertoni Rita , ma già da diversi anni operava nel territorio.E' un ente volontaristico attivo nel territorio comunale,il cui fine principale è quello di favorire la valorizzazione culturale e turistica ,nonché la salvaguardia del patrimonio storico e delle tradizioni del comune di Limana. Le manifestazioni e le iniziative realizzate dall'Associazione sono mirate a costituire un punto d'incontro e di socializzazione per gli abitanti di Limana. Per avere un quadro più completo apriamo un dialogo con Davide Praloran, che della Pro Loco è l'attuale presidente. In che modo la Pro Loco da Lei presieduta ha affrontato e superato la pandemia covid? Nel primo anno è stata veramente dura affrontare questo particolare periodo soprattutto il distacco sociale tra di noi. A febbraio siamo riusciti ad organizzato il San Valentino proprio a ridosso della prima chiusura, ma già si avvertivano le prime notizie della pandemia che successivamente è esplosa in tutta la sua drammaticità. Durante tutto questo tempo in forma ridotta nel primo periodo estivo qualcosa abbiamo organizzato , con grande responsabilità , i volontari non tutti ci hanno aiutato. Presidente, quali le manifestazioni del vostro depliant che annualmente si organizzano e che sono vero richiamo per le varie comunità. La festa di San Valentino, essendo coopatrono, presenta i molteplici caratteri di religiosità, cultura e tradizione. Poi la “brusa la vecia”, la “limana magnalonga Valmore” la passeggiata fra i


SPECIALE LIMANA sentieri e malghe che ha il precipuo compito di promozione del territorio e dei prodotti agricoli bellunesi. Di poi la tradizionale festa di ferragosto che coinvolge le associazioni locali , i bambini , le attività sociali. Ed infine la festa del miele rivolta al mondo dei apicoltori, agricolo, con particolare riferimento ai valori anche della nostra storia locale E in che maniera la Pro Loco concorre ai processi di socializzazione della comunità, specialmente nei confronti dei ragazzi? In alcune attività da poco si è svolta la tradizionale “brusa la vecia”, che ha visto la fattiva collaborazione della classi delle scuola primaria. E in questa occasione i ragazzi hanno espresso i loro pensieri, le proprie sensazioni di questo periodo con disegni, filastrocche e canzoni. Il tutto con la presenza di giovani e famiglie limanesi, a conferma che sempre di più c'è bisogno di socializzare e vivere la vita insieme, che è la cosa principale per tutti noi. La tradizionale festa di ferragosto per i bambini è una forte calamita , prima di tutto nel servizio ai tavoli perchè vedere questi adolescenti e ragazzi che con grande responsabilità si assumono questo impegno è un qualcosa che ti colpisce e ti gratifica. E tutti lo fanno con con educazione e grande professionalità, anche i ragazzi piu grandi nello spazio giovani dedicato a loro. Ci potrebbe significare la sinergia d'intenti che ha la Pro Loco con le associazioni di volontariato e di solidarietà. E un tema di grande attualità. La sinergia è sempre la strada maestra che porta a risultati di un livello sociale straordinario. Purtroppo a volta manca, non solo la consapevolezza che bisogna essere insieme per conoscere magari oltre le proprie esigenze, anche le problematiche burocratiche per realizzare manifestazione di qualunque sia la sua finalità pur lodevole, ma anche il giusto impegno per garantire la la sicurezza dei volontari e del pubblico che partecipa alle varie manifestazioni.

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Limana Paese del Miele

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imana è conosciuto come il “Paese del Miele” e non solo perchè è la sede dell’ Apidolomiti, ovvero l'Associazione Cooperativa dei produttori del miele delle Dolomiti Bellunesi, ma anche perchè annualmente organizza la manifestazione “La Fiera dell'Apicultura e dell'Agricultura”, una particolare fiera che si svolge nel terzo week end di ottobre e che di fatto rappresenta una vera e apprezzata vetrina degli oltre 700 apicoltori del bellunese. Nel centro di Limana, nel corso dell'evento, sono sempre allestite numerose bancarelle che espongono i vari prodotti delle aziende agricole locali e in particolare i prodotti legati all'apicoltura, come il miele, la propoli, e le lavorazioni della cera. Vale la pena precisare che il miele prodotto a Limana è, indiscutibilmente, una autentica eccellenza enogastronomica da tutti apprezzata e ricercata. Nel corso della manifestazione “Limana Paese del Miele”, messa in essere dal Comune di Limana, Apidolomiti e dalla Pro Loco di Limana, si organizzano particolari convegni, riunioni e molteplici appuntamenti enogastronomici, nonché particolari attività per le scuole e la piacevole e istruttiva passeggiata “Dolci sapori in villa” tra le Ville Venete di Limana con gustosi assaggi di prodotti e specialità locali. Di particolare interesse è anche la consegna del Premio "Limana Paese del Miele", il qualificato concorso utile per valutare e premiare i migliori mieli dell'anno prodotti e confezionati nella Provincia di Belluno. E sempre per la cronaca, Limana, nel 2020, ha vinto la 10^ edizione del concorso nazionale “Il Miele del Sindaco”, promosso a Montalcino (Siena) dall’Associazione nazionale “Le Città del Miele”, che ogni anno si propone d’individuare quel particolare miele d’annata che più di altri porta con sé il suo territorio d’origine.

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non solo con i progetti da sviluppare sul proprio territorio, ma anche a livello tecnologico attraverso l'apertura di un nuovo sportello telematico che mira ad agevolare le pratiche burocratiche per i cittadini, i professionisti e per le imprese. “Questo strumento”, spiega l’Assessore all’Innovazione tecnologica Cinzia Dal Molin, “servirà per presentare in modo guidato da qualunque luogo e in qualunque momento moltissime pratiche che oggi vengono presentate principalmente in modo cartaceo.” Dall’iscrizione ai servizi scolastici alla richiesta di un patrocinio, dalla prenotazione delle locazioni turistiche comunali all’istanza di occupazione del suolo pubblico, tutto potrà essere effettuato online in qualsiasi momento della giornata accedendo allo sportello telematico: la procedura è semplice ed intuitiva basta infatti accedere all’home page del sito comunale (www. comune.limana.bl.it), cliccare sul pulsante “SPORTELLO TELEMATICO” e scoprire tutti i servizi che offre. Il portale è attivo 24 su 24 e racchiuderà tantissimi settori del comune. Saranno sufficienti un dispositivo connesso a internet (pc o smartphone) ogni pratica potrà essere presentata in qualsiasi momento, attraverso una procedura guidata e interamente tecnologica. “Si tratta di uno strumento moderno che rispetta i principi di semplificazione, accessibilità e trasparenza amministrativa in linea con le più recenti previsioni normative”, continua l’Assessore Dal Molin. “Il sistema consentirà di compilare in modo guidato qualunque istanza online e completare la procedura direttamente in Internet nonché di conoscere tutte le informazioni sulla propria pratica e i termini di conclusione del procedimento". La pratica presentata online attraverso lo sportello telematico è completamente sostitutiva di quella in formato cartaceo: questo è possibile poiché il sistema rispetta quanto previsto dal Codice dell’amministrazione digitale. Ciascun cittadino, professionista o impresa si può autenticare con Spid, Carta di identità Elettronica (CIE) o Carta Nazionale dei Servizi (CNS).


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Delitti, castighi ed evasioni di Alvise Tommaseo

Celebri evasioni da PAPILLON a CASANOVA

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arcerati e galeotti, colpevoli o innocenti che siano, per un evidente istinto naturale, da sempre aspirano alla riconquista della libertà perduta. In molti attendono pazientemente l’agognata scarcerazione dopo avere scontato la pena, altri sperano di uscire anticipatamente grazie a qualche indulto o amnistia; i più audaci e spregiudicati aspirano di farsi un baffo della legge e dei secondini architettando la fuga. Molteplici sono state, nel corso dei secoli, le tecniche studiate e poi messe in pratica per il successo dell’evasione. Fantasiosi ed ingegnosi gli strumenti impiegati che sono andati dall’uso di lenzuola, allo scavo di tunnel, al taglio delle inferiate, ai fori nei muri e, perfino, allo spargimento sui sistemi di allarme del burro di arachidi. Ma spesso la soluzione più semplice, e meno pericolosa, è stata la corruzione dei carcerieri; il denaro, è cosa risaputa, da sempre, alletta l’indole umana e ciò in tutti in continenti e a tutte le latitudini. In ogni caso, per il successo della fuga dal carcere ci vuole anche una consistente dose di fortuna e di buona sorte. Tra le evasioni più celebri va sicuramente annoverata quella di Jack Sheppard, un

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ladro britannico, morto per impiccagione nel 1724, alla giovanissima età di 22 anni. Nella sua brevissima vita era riuscito a fuggire dalle carceri inglesi ben quattro volte, ma la quinta cattura gli fu fatale. Ai tempi della guerra civile americana, precisamente nel 1864, nello stato della Virginia, è passata alla storia una fuga di massa, che vide per protagonista un centinaio di detenuti. Riuscirono a conquistare la libertà strisciando nelle fognature infestate da grossi ratti, che si arrampicavano insistentemente sui loro corpi per poi scorrazzare indisturbati sulla schiena e sui capelli dei fuggiaschi. Il francese Henri Charriere, noto come Papillon per il tatuaggio di una farfalla che aveva impresso sul petto, fu arrestato nel 1831 per un omicidio di cui lui, però, si proclamò sempre innocente. Finì per questo in una colonia penale nella lontanissima isola del Diavolo, al largo della Guyana francese. Tentò molte volte la fuga ed alla fine centrò l’obiettivo. Grazie ad una barca, costruita con le noci di cocco, raggiunse, dopo una lunga ed avventurosa navigazione, le coste del Venezuela, nazione che non aveva sottoscritto con la Francia alcun tratta-

to di estradizione. E come non menzionare l’evasione effettuata, nel 1962, da tre detenuti da Alcatraz, la prigione più famosa del mondo. Frank Morris ed i fratelli John e Clarence Anglin, tutti e tre pericolosi rapinatori, fuggirono dai condotti di areazione dello stabilimento penitenziario dopo avere collocato, tra le coperte dei loro letti, alcune teste di legno da loro perfettamente scolpite. Non riuscirono, però, a festeggiare la loro impresa perché sembra siano annegati nelle acque della baia di San Fransisco, che si trova a due chilometri di oceano da Alcatraz. Successo pieno ebbe, invece, la mitica evasione messa in atto due secoli prima da Giacomo Casanova che, nella notte tra il 31 ottobre ed il 1° novembre 1756, riuscì incredibilmente a lasciare la cella dove, da poco più di un anno, si trovava rinchiuso nella prigione dei “Piombi”, struttura penitenziaria ricavata nel sottotetto del Palazzo Ducale di Venezia, fino ad allora considerata inviolabile. Casanova era nato, nella città lagunare, nel 1725, figlio di un attore – ballerino parmigiano, di remote origini spagnole e di un’attrice veneziana. Ebbe una vita


Delitti, castighi ed evasioni estremamente movimentata ed avventurosa nel corso della quale entrò in contatto con personaggi molto famosi, quali Jean Jacques Rousseau, Voltaire, Madame de Pompadur, Amadeus Mozart, Benjamin Franklin, Papa Benedetto XIV°, e Federico II° di Prussia. I motivi precisi del suo arresto non furono mai chiariti. Di certo era un personaggio scomodo per l’aristocratica società veneziana: conduceva una vita disordinata, beveva, giocava, barava ed aveva idee molto personali in materia religiosa. Aveva anche uno strano rapporto con l’alchimia e la stregoneria e, molto probabilmente, aveva avuto stretti contatti con la massoneria. Sicuramente era un

grande libertino, che non si faceva troppi problemi nel frequentare intimamente molte donne sposate anche con personaggi importanti ed influenti. Tra le tante ebbe una travolgente relazione con una bellissima monaca di un convento di Murano. Si trattava di una religiosa di origini aristocratiche che tra i suoi amanti poteva contare anche l’ambasciatore francese presso la Repubblica di Venezia. Il tetto dell’inospitale cella in cui Casanova venne rinchiuso era ricoperto da grandi lastre di piombo e, proprio per questo motivo, a quelle prigioni fu affibbiato il nome di “Piombi”. Ciò comportava temperature interne molto rigide d’inverno ed asfissianti d’estate. Le piccole

celle, in cui di giorno entrava poca luce, ospitavano due soli condannati, che dovevano convivere con un soffitto basso, estremamente disagevole per un uomo come Casanova che sfiorava il metro e novanta di altezza. Giacomo si trovò come compagno di reclusione il frate Marino Balbi, religioso gaudente che aveva ingravidato tre donne. Insieme, lavorando nelle ore notturne, riuscirono a praticare un foro sul soffitto ed a raggiungere così il tetto delle prigioni, dal quale successivamente scesero all’interno del Palazzo Ducale. Attraversarono, quindi, alcune stanze fino a quando, nelle prime ore dell’alba, vennero scorti da un custode che li scambiò per dei visitatori rimasti inavvertitamente chiusi dentro il Palazzo il pomeriggio precedente. Fu lui ad aprire l’ultimo cancello ed a regalare all’ingegnosa e stravagante coppia l’agognata libertà. Raggiunta piazza San Marco, i due fuggiaschi si impadronirono

di una gondola con la quale approdarono a Mestre. Da qui Giacomo Casanova ed il frate proseguirono la fuga in carrozza verso il bellunese. Arrivarono a Feltre il 4 novembre, quindi, attraversarono l’omonima vallata fino a raggiungere Pergine, Trento e poi, tre giorni dopo, Bolzano. La successiva meta fu Monaco di Baviera dove i due evasi decisero di separarsi. Giacomo Casanova concluse la fuga il 5 gennaio 1757 quando arrivò Parigi, città che ben conosceva avendoci soggiornato a lungo prima del suo sfortunato rientro a Venezia. Riconquistata la libertà riprese la sua vita avventurosa, costellata da molte conquiste femminili. Scrisse e pubblicò molti libri tra cui uno imponente dedicato alle Memorie della sua vita, dove naturalmente raccontò anche la rocambolesca evasione dai Piombi.

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Feltre in cronaca

Cassa Rurale Dolomiti:

brillanti risultati e sguardo rivolto ai giovani

I

l Presidente della Cassa Rurale Dolomiti Carlo Vadagnini nel presentare i risultati di bilancio dell’esercizio 2021 ha espresso grande soddisfazione per i traguardi raggiunti che migliorano ulteriormente i profili tecnici dell’Istituto. La soddisfazione più grande è tuttavia quella di aver saputo rispondere pienamente alle esigenze dei territori di riferimento, dove la banca ha un ruolo da protagonista, sia per le erogazioni dei prestiti che per la gestione dei risparmi. Il Direttore Generale, Ruggero Lucin ha quindi presentato in dettaglio i conti dell’istituto, evidenziando innanzitutto la crescita straordinaria della raccolta complessiva, la quale raggiunge 1.208 mln di euro con un aumento di ben 147 mln nel corso dell’esercizio, pari al 14%. Nell’aggregato la raccolta diretta ammonta a 844 mln di euro, mentre quella indiretta si attesta a 364 mln di euro.

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I crediti alla clientela risultano pari a 610 mln di euro e sono in aumento rispetto all’esercizio precedente del 5%. In dettaglio i crediti verso clientela performing (quelli senza difficoltà) raggiungono 597 mln di euro e registrano un incremento del 7% rispetto all’anno precedente, mentre i crediti non performing (quelli in difficoltà) ammontano a 13 mln di euro e risultano praticamente dimezzati rispetto al 31/12/2020. Le sofferenze sono fronteggiate da accantonamenti prudenziali per il 93,2%, mentre le posizioni ad inadempienza probabile sono bilanciate da accantonamenti prudenziali per il 67,2%. La consistenza dei Fondi Propri al 31 dicembre 2021 ammonta a 85 mln di euro e risulta pienamente capiente su tutti i livelli di capitale individuati dall’Organo di Vigilanza. La Cassa presenta un CET1 Ratio pari al 20,3% ed un Total Capital Ratio pari al

21,1%, segno di adeguata solidità a garanzia dei depositanti e di ampie potenzialità nella crescita degli impieghi. L’esercizio si è chiuso con un utile di 3,7 mln. Il Presidente Carlo Vadagnini ed il Vice Presidente Vicario Maurizio Bonelli hanno quindi ricordato il costante contributo della Cassa Rurale a favore dei propri territori che sono stati sostenuti con elargizioni e sponsorizzazioni per oltre 550 mila euro, ma anche con la partecipazione a progetti di sviluppo strategico nelle diverse zone di competenza. Recentissimo è anche il coinvolgimento della Cassa nelle iniziative locali e di Gruppo per il sostegno dei profughi ucraini. Particolare risalto è stato infine riservato dagli amministratori al nuovo prestito d’onore riservato agli studenti universitari figli dei Soci, ai quali è dedicata una linea di credito di 5 mila euro, senza alcuna garanzia, valutata unicamente sulla base del percorso scolastico. Per la nostra Cassa, conclude il Presidente Carlo Vadagnini, si tratta di scommettere sui nostri giovani migliori, riservando a loro una cosa preziosa: la fiducia.

I NUMERI

Soci 8.654 Collaboratori 139 Raccolta 1.208 mln Impieghi 610 mln Patrimonio 85 mln Utile 3,7 mln


Personaggi di ieri di Andrea Casna

FELICE ORSINI

E IL SOGNO DI UNA RIVOLUZIONE

Fra tutti i luoghi forse più suggestivi in Italia, uno in particolare, a mio avviso, è ricco di suggestioni e di storia. Si tratta della Rocca di San Leo in provincia di Rimini. È vero, (state pensando mentre leggete questo piccolo articolo) l'Italia è un paese dove in ogni angolo e scorcio, fra antiche mura e romantici paesaggi, possiamo vedere la nostra storia antica e millenaria. San Leo, però, ha un qualcosa che affascina. È lì, infatti, che sulla fine del XVIII secolo morì il Conte di Cagliostro e, a pochi metri dalla sulla cella, camminando per i cunicoli e gli stretti corridoi di questa possente fortezza, si trova anche quella che ospitò, per breve tempo, uno dei personaggi più interessanti e controversi dell'Ottocento italiano. Mi riferisco al rivoluzionario e mazziniano Felice Orsini. Felice Orsini (Meldola 1819 - Parigi 1858) è stato, come detto sopra, un rivoluzionario e mazziniano italiano. Seguace appunto di Mazzini e sostenitore degli ideali di Unità Nazionale, dedicò tutta la

sua vita per la realizzazione di un sogno: liberare la Romagna dal giogo dello Stato Pontificio. La sua fu una vita intensa. Una vita "vissuta" fra l'Italia, Francia, Inghilterra e Impero d'Austria. Una vita trascorsa fra viaggi, riunioni segrete e battaglie. Nel 1848, infatti, partecipò alla Prima guerra di Indipendenza, ma qualche anno prima, nel 1844, fu catturato e condotto nelle segrete della fortezza di San Leo, lì a pochi metri dalla vecchia cella del già citato Conte di Cagliostro. Nelle sue memorie l'Orsini scrive: «Posti a cavallo e bene incatenati ci avviammo verso la fortezza di San Leo: ventiquattro soldati formavano la scorta. […] Assai lontano vedemmo sorgere San Leo; ed io andavo ripetendo l'antico adagio degli abitanti delle vicinanze: 'Sol un Pepa. Sol un De'; Sol un forte di San Le”. A settentrione evvi la piccola città di San Leo: essa giace al piè del forte, col quale comunica per mezzo di un cammino assai erto e fatto a svolte. La città che novera un 500 abitanti o a quell'intorno, è fortificata e ricinta di alte mura. Ha una sola porta d'ingresso, e un ponte levatojo». Orsini scrive che le celle erano «orribili, anguste, con mura spesse più di un metro, e con finestre se

tre decimetri di lato». Prosegue Orsini scrivendo che il Comandante «ci fece mettere tutti assieme in un segreta detto Spicco, la quale, per aver servito di caserma, era una delle migliori». Liberato grazie all'amnistia del Papa Pio IX, Orsini proseguì nella sua attività rivoluzionario, arrivando a conoscere, negli anni successivi anche le prigioni asburgiche di Mantova. Ma il nostro Orsini è passato alla storia per aver fallito l'attentato all'Imperatore di Francia Napoleone III. Era convinto, infatti, che la morte dell'Imperatore potesse diventare, in certo senso, il pretesto per dare il via ad una rivoluzione in Francia e in Italia. Il 14 gennaio 1858, quindi, con alcuni complici gettò tre bombe contro la carrozza che stava portando l'Imperatore al Teatro dell’opera. L’attentato causò la morte di 12 persone ed il ferimento di 156, mentre Napoleone rimase incolume. Incarcerato, Felice Orsini venne ghigliottinato a Parigi il 13 marzo 1858.

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L'arte in controluce di Alice Vettorata

VITTORIO ZECCHIN, artista veneto

L

o scorso 23 aprile si è inaugurata la cinquantanovesima edizione della Biennale d’Arte di Venezia, un evento di portata internazionale. Analizzando

il tema, che solitamente conferisce il titolo alla mostra stessa, i rappresentanti di vari Stati propongono ai visitatori le loro personali interpretazioni. Nel corso degli anni questa manifestazione, oltre a dare modo di avvicinare i fruitori dell’arte al settore, permise anche di creare legami tra artisti e aspiranti tali che giunsero a collaborare e a plasmare vicendevolmente i loro percorsi lavorativi. Durante lo svolgimento della Biennale d’Arte del 1910 un giovane artista veneto, Vittorio Zecchin, ebbe la possibilità di ammirare dal vivo le opere di molti pittori che attualmente sono noti per essere i portavoce dell’arte del

‘900. Courbet, Casorati, Renoir e Klimt, tra i molti, furono ospiti della IX edizione. Quest’ultimo attirò Zecchin in modo inevitabile. Klimt espose ventidue sue opere nelle quali il pittore emergente trovò la profonda ispirazione che caratterizzò il suo futuro operato. Se Klimt, dopo alcuni viaggi in Italia e nello specifico a Ravenna ebbe modo di studiare i mosaici bizantini che lo influenzarono con le loro piccole tessere dorate, Zecchin proclamò come propria guida artistica le tecniche iconiche del pittore austriaco. Oltre a Zecchin anche Galileo Chini, Felice Casorati e lo scultore Giovanni Prini investirono Klimt della carica di loro fonte d’ispirazione primaria, di mentore indiretto. Nel caso del pittore

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L'arte in controluce veneto, nato a Murano e figlio di vetrai, le lucentezze e riflessi creati dalle foglie d’oro presenti nei dipinti secessionisti ebbero una risonanza maggiore data la sua sensibilità pregressa. Non furono soltanto quei bagliori ad ispirare il pittore, ma anche le composizioni delle opere e la loro miscellanea di colori particolari e ammalianti, che tanto gli ricordavano le murrine realizzate dal padre e che a sua volta aveva imparato a produrre. Quei motivi floreali e caleidoscopici tipici delle murrine Zecchin li traspose anche in pittura, dando vita ad opere come quelle appartenenti al ciclo de “Le mille e una notte”, commissionato nel 1914 per essere esposto all’hotel Terminus a Venezia. È costituito da una serie di dodici pannelli che, come suggerisce il titolo, rappresentano scenari di ispirazione orientale legati alla storia di Aladino. Nelle sezioni dell’opera si stagliano alcune figure femminili avvolte da tessuti ornati con

figure geometriche bidimensionali, stesso pattern proposto anche nel paesaggio che le ospita. Soltanto i volti delle figure ritratte non sono caratterizzati dalle lavorazioni di stampo decorativo, proprio come è possibile notare nei ritratti di Klimt. Oggi a Venezia presso Ca’ Pesaro è possibile ammirare sei dei dodici pannelli: Le principesse ed i guerrieri, Principessa e guerriero, Guerrieri, Tripode degli incensi, Corteo delle principesse e Principesse nel giardino, mentre la restante metà è andata perduta. Osservandole sono chiari i rimandi all’arte viennese e all’arte vetraria e infatti, proprio quest’ultima tornò ad essere il principale mezzo espressivo dell’artista. In collaborazione con l’artista Teodoro Wolf Ferrari si riavvicinò alle arti applicate utilizzando il vetro e successivamente lavorando anche su tessili, mobili e mosaici.

Si dedicò inoltre all’insegnamento, basandosi sull’esperienza acquisita durante il suo percorso artistico, collaborando con alcuni istituti tecnici veneti. Il cerchio poi, si chiuse. Come il suo inconsapevole maestro viennese, Zecchin, in diverse edizioni, espose alla Biennale d’arte di Venezia, magari influenzando a sua volta qualche pittore emergente.

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Pianeta donna di Laura Paleari

DONATELLA VERSACE

Capelli biondi, occhi verdi e uno stile che sembra voglia urlare libertà e indipendenza femminile: questo è, più o meno, il ritratto di una delle più grandi imprenditrici della moda italiana: Donatella Versace.

L

’iconica stilista italiana nasce il 2 maggio 1955, a Reggio Calabria, da un uomo d’affari e una sarta, ultima di quattro figli: Santo, Giovanni e Tina (la quale purtroppo morirà di tetano alla tenera età di 12 anni). Giovanni e Donatella ebbero da sempre un rapporto speciale, lui decise di partire alla volta di Milano, per inseguire il suo sogno: quello di lavorare nell’ambito moda e aprire un marchio tutto suo; Donatella, spirito imprenditoriale, decise di studiare a Firenze lingue straniere nel 1973 e, una volta conseguita la laurea, di seguire il fratello. Fin da subito si occupa della parte marketing e delle pubbliche relazioni, rivelando uno spiccato talento e grande inventiva;

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dopotutto fu lei per prima a inventare il concetto di “Top Model”: modelle con un’immagine talmente forte e incisiva, da farne delle vere e proprie icone e non semplici indossatrici. Gli anni novanta furono per eccellenza l’epoca d’oro di queste mistiche modelle, con le “ Big Six”: Cindy Crawford, Kate Moss, Naomi Campbell, Linda Evangelista, Claudia Schiffer e Christy Turlington. Nel 1988 viene affidata a Donatella la linea Versus di Versace, giovanile e spumeggiante, per poi divenire, in seguito, vice presidente della casa di moda. Per Gianni, Donatella era ben più di una sorella, era la sua ispiratrice, gli abiti che creava passavano sempre sotto l’occhio della sorella. Il 15 luglio 1997 Gianni Versace venne assassinato davanti alla sua villa di Miami Beach, da Andrew Cunanan. Il grande successo e la grande tragedia che colpirono, non solo Donatella, ma tutta la famiglia Versace, portarono la designer all’uso sempre più smodato di cocaina e ad una fortissima tossicodipendenza, unita alla sensazione di non sentirsi all’altezza del marchio di cui era diventata stilista principale dopo la scomparsa dell’adorato fratello. Decise di curarsi, anche grazie all’aiuto dell’ex marito Paul Beck, dal quale ebbe i suoi due figli, Allegra e Daniel, e all’amico Elton John, il quale la portò in in un centro di disintossicazione in Arizona. Ne uscì vincitrice, anche se ben presto dovette affrontare un’altra sfida, forse ancora più impegnativa: quella di affermarsi nel mondo della moda. In un’intervista per il magazine Vogue Italia, Donatella racconta come uomini in giacca e cravatta cercavano di relegarla nel suo ufficio a creare abiti che poi sarebbero

passati sotto la loro approvazione. Questo periodo finì con la consapevolezza di aver sempre creato insieme a Gianni e di essere stata la sua spalla destra, a cui lui stesso chiedeva consiglio: “E ho pensato, dopo molti anni, che se Gianni mi consultava per tutte le sue decisioni più importanti, forse non ero così incompetente come volevano farmi credere.” Donatella fu, ed è ancora, una donna di impatto, non solo nella moda ma nel mondo e, nel 2000, portò lei stessa alla creazione di uno strumento usato oggi da tutti: Google Immagini. Siamo ai Grammy Awards e una giovane Jennifer Lopez, che comincia ad affermarsi nel mondo dello spettacolo, accompagnata dal rapper P. Diddy, sfoggia un abito Versace denominato Jungle Dress: realizzato in chiffon di seta, lungo e decorato con fiori tropicali, dai colori verde e blu, completamente trasparente; una profonda scollatura arriva fino all’ombelico, fermata da una spilla a forma di fiore, per poi aprirsi ulteriormente mostrando le gambe (in seguito la stessa Jlo, rivelerà di aver utilizzato del nastro bio adesivo per tenere l’abito “ben incollato” alla corpo). Fu un tale successo che nelle ore successive le foto pubblicate dai Grammy furono scaricate 600 000 volte dal sito ufficiale, portando alla ricerca di massa più alta mai sperimentata fino ad allora e facendo così creare a Google, lo strumento di Google Immagini. È molto interessante come, dopo la tragica morte del fratello, una vera e propria icona, a discapito di tutti quelli che consideravano la piccola sorellina non abbastanza capace, Donatella sia riuscita a continuare il progetto del fratello, ancora oggi vivo e più attuale che mai.



Il personaggio di Alice Vettorata

ARNALDO FUSINATO

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irigendosi verso la località di Foen di Feltre partendo dalla zona dell’ospedale di Santa Maria del Prato è possibile percorrere il principale Viale intitolato ad Arnaldo Fusinato. Fusinato ad oggi viene ricordato soprattutto per i suoi componimenti poetici e per i suoi interventi patriottici effettuati durante il corso della prima guerra d’indipendenza italiana, avvenuta tra il 1848 e il 1849. Il padre, Giovanni Battista, nato ad Arsiè fu un avvocato come lo divenne anche Arnaldo, laureandosi in giurisprudenza all’Università di Padova, ma a differenza del genitore, quest’ultimo abbandonò la carriera dopo aver svolto il praticantato presso lo studio di Giovanni. La città di Padova oltre a permettergli di proseguire gli studi fu particolarmente rilevante anche per lo sviluppo delle sue abilità poetiche. Infatti divenne un frequentatore abituale del rinomato Caffè Pedrocchi, celebre punto di ritrovo fra gli intellettuali, studenti e politici del periodo risorgimentale. Situato nel centro di Padova, caratterizzato da un’architettura neoclassica e neogotica fu uno dei Caffè che, come avvenne nei celebri casi del Caffè di Pietro Verri o del Caffè Michelangiolo, pubblicò una rivista omonima. Fusinato iniziò a collaborare con la rivista già mentre frequentava gli ambienti universitari, ma portò avanti questo sodalizio anche negli anni successivi. Tra le pubblicazioni

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scritte di suo pugno presenti tra le pagine della rivista si trovano, tra le altre, Fisiologia del lino e Lo studente di Padova, due componimenti che possono essere inseriti nella categoria delle satire in versi. I suoi scritti, dai toni semplici e facilmente memorizzabili data la loro metrica orecchiabile erano molto popolari tra i suoi contemporanei, tanto che venne definito, come scrisse Fortis “l'uomo più di moda di tutta l'Italia”. I suoi testi trovarono ampio riscontro nei salotti della città di Milano, ma nei

decenni a venire il suo successo venne ridimensionato. Come è ovvio però, non tutte le recensioni dello scrittore potevano essere così lodevoli e anzi, rischiò la propria vita nel realizzare determinati componimenti. Fusinato, come anticipato in precedenza, viene ricordato come un patriota e fu proprio questa caratteristica che lo mise in una posizione rischiosa. La collaborazione con la rivista Pedrocchi non fece altro che far emergere il lato politico dell’artista, attirando l’attenzione della polizia austriaca su di sè. Nel 1848 infatti, il Regno Lombardo-Veneto allora annesso all’Austria, iniziò a insorgere causa la scarsa libertà intellettuale e politica presente nel territorio del Regno, a differenza di quella garantita in Austria, prendendo spunto anche dalla parallela rivoluzione scoppiata a Vienna. Ciò fece provvisoriamente fuggire gli austriaci presenti nel territorio. In questa occasione Fusinato compose “Il canto degli insorti”, con il fine di spronare i propri compagni nel perpetrare la loro richiesta di libertà. Partecipò anche attivamente allo scontro, comandando dapprima un gruppo di duecento volontari e successivamente uno da cinquanta per difendere la città di Vicenza, la quale


Il personaggio però cadde nuovamente sotto il potere austriaco. Per questo motivo si spostò a Genova, Firenze e infine Venezia, allora Repubblica di San Marco, sempre con lo stesso obiettivo. Anche Venezia però non ebbe la meglio sugli austriaci. Conclusasi così la prima fase della Guerra d’indipendenza italiana, Fusinato si ristabilì a Schio, sua città natale, con la moglie Anna Colonna, con la quale si sposò durante il corso della guerra, ma che morì poco tempo dopo. Poi si risposò con la poetessa Erminia Fuà, dalla quale ebbe un figlio, Guido. Questo periodo nel quale la coppia si trasferì a Firenze, allora capitale e poi una volta avvenuto lo spostamento di sede a Roma, fu caratterizzato da un intenso scambio culturale nell’ambiente artistico e letterario italiano. Conobbe Giuseppe Verdi, per il quale tradusse dal francese i Vespri siciliani e collaborò con Sebastiano Tecchio, Giuseppe Alvisi, Nicolò

Tommaseo e Ippolito Nievo, con i quali strinse inoltre una forte amicizia. Lavorò in Senato e si avvicinò al mondo teatrale, ampliando le proprie zone d’interesse. Con il decesso della seconda moglie, sepolta a Roma, si trasferì nuovamente a Verona, ma la raggiunse pochi anni dopo quando venne sepolto accanto a lei, presso il cimitero del Verano. Gli venne intitolata una via a Verona, provincia nella quale nacque, ma anche nella città di Feltre. Dopo l'annessione del Veneto al Regno d'Italia, Fusinato rifiutò la candidatura nel collegio di Feltre, di Schio e di Castelfranco, ma rimase in ottimi rapporti con le tre città.

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Quattro passi nell'arte di Sonia Sartor

ALLA SCOPERTA DELL’ARCHIVIO DI NUOVA SCRITTURA

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olte sono le cose che possono essere messe in luce al Mart, Museo di arte contemporanea di Trento e Rovereto, luogo dove l’arte assume i tratti dell’ispirazione e dell’accoglienza. La nostra attenzione oggi è stata però concentrata sull’Archivio di Nuova Scrittura (ANS), un’associazione culturale fondata ad opera del collezionista Paolo Della Grazia nel 1988 a Milano. Il patrimonio artistico, documentario e librario contente ogni forma di espressione dedicata alla ricerca tra parola e immagine, è stato nel 1998 depositato presso il Mart di Rovereto e Museion di Bolzano, per essere successivamente donato ai due musei tra il 2019 e il 2020. Se Museion accoglie esclusivamente opere d’arte, al Mart invece il materiale depositato include biblioteca, archivi e opere d’arte perlopiù grafiche. Particolarmente significativa risulta essere la documentazione archivistica conservata nel fondo ANS e nel fondo Fraccaro-Carrega, senza dimenticare gli oltre 18.000 volumi della biblioteca tra i quali emergono più di 700 preziosi libri d’artista e centinaia di

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riviste d’artista. Attualmente un eccezionale contributo in un’ottica di conservazione e promozione dell’Archivio di Nuova Scrittura è simboleggiato dalla piattaforma web VVV VerboVisualeVirtuale nata da una collaborazione istituzionale tra i due musei con l’avvalersi della partecipazione della ripartizione Digital Humanities della fondazione Bruno Kessler di Trento e del finanziamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto. Il progetto VVV - a cura di Nicoletta Boschiero - assume i caratteri di un archivio digitale con la finalità di ricreare l’unità della collezione in uno spazio unico facilmente fruibile da chiunque lo desideri. Facendo un passo indietro, a cosa va attribuita la volontà di Paolo Della Grazia a dare origine ad un’associazione culturale come l’Archivio di Nuova Scrittura? Nel tentativo di ricostruirne il percorso, oltre alla sensibilità dell’artista nei confronti di forme interdisciplinari di arte e poesia, occorre menzionare l’incontro con Ugo Carrega, uno dei principali esponenti della poesia visiva in Italia e direttore dei centri culturali Centro Suolo, Centro Tool e Mercato del Sale. Sarà proprio l’attività di quest’artista ad essere raccolta e ampliata dall’ANS che inizialmente occuperà anche la medesima sede del Mercato del Sale in Via Orti 16 a Milano. È lo stesso Carrega, in Scrittura Attiva. Processi artistici di scrittura a definire in questi termini ciò che egli chiama Nuova Scrittura: “Una scrittura nuova non tenta più un adeguamento dallo scritto al parlato, ma tenta una strada autonoma […] Alla scrittura nuova interessa inventare un nuovo modo di descrivere il mondo.” La centralità rivestita da Carrega nella

realizzazione del progetto è confermata anche attraverso le parole di Paolo Della Grazia: “Ebbe così inizio il mio approccio alla scrittura, che si consolidò nell’incontro con Ugo Carrega, il quale aveva collaborato alla realizzazione delle mostre di Poesia Visiva alla Santandrea.[…] Mi avvicino così, nel 1974, al Mercato del Sale sia per la simpatia verso Carrega, che per la stima per la sua conoscenza del campo generale della poesia visiva che lui aveva chiamato fin dal 1967 Nuova Scrittura.” È sullo sfondo di tali presupposti che nel 1989 fu inaugurata la sede operativa dell’ANS nella precedentemente citata Via Orti attraverso una mostra della collezione permanente e la pubblicazione del catalogo generale della raccolta; da quel momento furono sempre più intensi i legami con musei e gallerie sia in Italia che all’estero da parte di Della Grazia con l’ausilio di Carrega. La portata delle attività culturali all’interno dell’ANS è fortemente rappresentata dal materiale documentario e librario conservato al Mart; per citare un esempio è possibile ricorrere ai libri d’artista di Giuseppe Chiari, musicista, compositore e artista visivo fiorentino. Dalla biblioteca emergono, tra le altre cose, due edizioni del testo Musica Madre, entro il quale l’artista realizza un ‘gioco linguistico’ condotto attorno alla parola musica, indiscussa protagonista del testo. L’associazione di frammenti relativi a citazioni, elenchi e pentagrammi si risolve in un percorso in continuo divenire; un cammino in costante evoluzione dove segno, musica e arte sono connessi. Questa connessione è espressa anche dal ricorso alla tecnica dell’improvvisazione attorno alla quale Chiari era solito strutturare i suoi concerti


Quattro passi nell'arte

Giuseppe Chiari (Firenze, 1926 - 2007) Gianpaolo Prearo Editore, Milano Musica madre (Musica mandorla), 1972 inchiostro su carta e volume a stampa in scatola, libro 24 x 17 x 2 cm; scatola 54,5 x 40 x 4 cm; quadro 53,5 x 38,5 x 2 cm MART 843/3 Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, Archivio di Nuova Scrittura - Donazione Paolo Della Grazia

e che, in Musica Madre, può divenire la chiave interpretativa delle associazioni da lui proposte. È alla luce di ciò che la musica diventa un’opera d’arte multidisciplinare e alla quale il fruitore può prendere

Mercato del Sale, Milano Ugo Carrega (Genova, 1935 - Milano, 2014) Proteo, (1989) serigrafia (prove di stampa), 35 x 25 cm MART 2146 Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, Archivio di Nuova Scrittura - Donazione Paolo Della Grazia

attivamente parte. Il libro d’artista di Giuseppe Chiari si connette armoniosamente alle parole con le quali Paolo Della Grazia descrive l’essenza dell’ANS: “Ho interpretato la Nuova

Ugo Carrega (Genova, 1935 - Milano, 2014) La bandiera dello stato di carrega, 1991 serigrafia e tempera su carta (prova d'artista), 69 x 98,5 cm MART 1845, 12/17 Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, Archivio di Nuova Scrittura - Donazione Paolo Della Grazia

Scrittura come un’arte delle invenzioni, che attraverso l’attività creativa, nella sua combinazione di segni alfabetici e segni analfabetici, diviene strumento di ricerca per nuove conoscenze.”

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Lo sapevate che? di Elisa Rodari

“Isola di Gorèe: tra storia e memoria della tratta degli schiavi africani.”

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al momento della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, si accentuò un fenomeno già esistente ma che da quel fatidico 1492 in poi raggiunse dimensioni mai viste prima. Stiamo parlando di una triste pagina di storia che vede come protagonista il continente africano, ovvero la tratta degli schiavi. Tra il XVI e gli inizi del XIX secolo circa 11 milioni di africani schiavizzati furono venduti ai mercanti europei per essere poi trasportati e rivenduti oltre oceano nel “Nuovo Mondo”. In verità, già dal Medioevo gli schiavi provenienti dall’Africa venivano comprati e venduti soprattutto da Arabi e Ottomani. A ogni modo, la schiavitù non era cosa nuova nemmeno per gli stessi africani. Precedentemente all’arrivo degli eu-

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ropei in Africa accadeva molto spesso, infatti, che in seguito a guerre tra villaggi, rapine, razzie o gravi reati, individui o interi gruppi di persone, venissero posti sotto la condizione di schiavitù. Il fenomeno andò poi sempre più a intensificarsi, data l’estrema necessità da parte degli europei di portare schiavi quanto prima nelle Americhe: si ricercavano persone che fossero in grado di lavorare nelle miniere e in agricoltura nelle estese piantagioni di cotone, canna

da zucchero, tabacco, caffè o cacao. Sfruttare la manodopera proveniente dal continente africano (parliamo soprattutto dell’Africa occidentale, zona favorevole poi per la partenza delle navi con direzione America) significava poter contare su schiavi sempre disponibili numericamente, che di base prevedevano un costo di acquisto decisamente basso e che in generale si trattava di persone resistenti ai climi tendenzialmente caldi. Molteplici furono le potenze europee che una volta approdate in Africa, alimentarono questo trasferimento di persone da un continente all’altro: Portogallo, Spagna, Regno Unito, Francia e Paesi Bassi per citarne alcuni. Un luogo tuttora esistente del passaggio degli schiavi verso il Nuovo Mondo è l’Isola di Gorèe, poco distante da Dakar. In questo piccolissimo lembo di terra, al largo delle coste del Senegal (circa un chilometro di lunghezza per 300 metri di larghezza), sorge quello che in passato fu il primo insediamen-


Lo sapevate che? to commerciale europeo su suolo africano. Tutto iniziò nel 1444 per opera dei portoghesi. Con il passare del tempo, l’isola diventò il più importante fulcro per le attività commerciali tra Africa e il continente americano, nonché un centro di smistamento e selezione degli schiavi provenienti proprio da Senegal e Gambia che sarebbero stati poi indirizzati verso le diverse piantagioni della zona caraibica e dell’America settentrionale. Nel corso dei secoli l’isola diventò sempre più importante, essendo un luogo strategico di accesso verso le zone dell’entroterra e che allo

stesso tempo si affacciava direttamente sull’Oceano Atlantico. Per di più, negli ultimi 500 anni passò sotto il controllo di diverse potenze europee: prima i portoghesi, poi gli olandesi che diedero il nome all’isola (dal nome di una provincia dei Paesi Bassi), per poi passare in mano inglese, francese, fino a quando nel 1960 il Senegal ottenne la propria indipendenza e l’isola di Gorèe diventò anch’essa territorio senegalese. Dal 1978 l’isola, per il suo valore storico, è stata inserita nella lista

UNESCO come Patrimonio Mondiale dell’Umanità. L’isola ora vive principalmente di turismo e commercio ma rimane un luogo che ha cambiato le dinamiche sociali, economiche, politiche e culturali di diverse nazioni. Passeggiando per le strade di Gorèe si respira ancora un’aria tipica del colonialismo, con le architetture tradizionali dell’epoca. Tra questi edifici si trova anche la Maison des esclaves, la casa degli schiavi, dove persone di ogni genere ed età furono segregate in celle di reclusione per essere poi caricati sulle navi impiegate nel commercio degli schiavi. Un luogo ancora più significativo della sofferenza delle migliaia di persone che sono passate tra quelle mura è “la porta del non ritorno” rivolta verso l’orizzonte infi-

i più forti e adatti ai lavori estenuanti nelle piantagioni venivano considerati mentre i più deboli semplicemente scartati e gettati in mare a morire. Per coloro che venivano scelti, dall’Isola di Gorèe iniziava l’angosciante ed interminabile viaggio, di circa due o tre mesi, che spesso poteva portare alla morte, date le precarie condizioni igieniche a cui questi schiavi erano sottoposti. Luoghi come questo fanno riflettere sulle sofferenze che alcuni popoli hanno dovuto subire per secoli. Una storia, quella della tratta degli schiavi africani, da non dimenticare ma anzi ricordare soprattutto con la consapevolezza delle atrocità inflitte dagli europei nei confronti della popolazione africana.

nito dell’oceano: chi varcava quella porta sapeva che era costretto ad abbandonare le proprie radici, la propria vita e tutte le proprie certezze verso l’ignoto. Inoltre come già accennato, sull’isola di Gorèe avveniva proprio una selezione degli schiavi, durante la quale 65


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Conosciamo le associazioni sportive di Alex De Boni

ASD FONZASO

Un’attività capillare sul territorio che va ben oltre l’agonismo.

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a oltre 14 anni a Fonzaso c'è un’attività sportivo-ricreativa che mette insieme agonismo giovanile, attività scolastica e gemellaggi internazionali. Si tratta dell'associazione sportiva dilettantistica ASD Fonzaso che promuove l’Orienteering in quell’angolo di bellunese che ben si presta per gli sport di outdoor. Fonzaso, infatti, è un borgo situato all’inizio della Val Cismon nel Feltrino dove in estate si praticano corsa e bici, mentre in inverno ci si cimenta con lo sci. Nata nel 2007 l’ASD Fonzaso a nello statuto finalità rivolte al sociale come sviluppare e diffondere sul territorio la cultura dello sport, attraverso la pratica sportiva agonistica, ricreativa o semplicemente motoria. L’Associazione inizialmente, è nata per permettere a un gruppo di ragazzi di praticare alcune discipline di atletica. In

seguito ha ampliato la propria offerta per dare la possibilità di esprimersi anche agli sportivi di altre specialità e ai residenti al di fuori del territorio fonzasino. Una pietra miliare nella storia di questo gruppo risale al 2008 quando Adriano Bettega, Presidente del G.S. Pavione, di Imèr, coinvolge il sodalizio nell’affascinante avventura dell’Orienteering. Nasce così un interessante spirito di collaborazione, unito allo scambio di esperienze e all’insegnamento di questa particolare specialità. È proprio in quest’occasio-

ne, che si apre un mondo nuovo per la pratica di uno sport poco conosciuto nel territorio bellunese e che iniziava però a fare capolino nelle scuole. L’interesse e l’adesione fra i giovani è subito buona. Per questo la società, il 27 febbraio

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Conosciamo le associazioni sportive

2008, si affilia alla FISO. "Lo spirito dell’ASD Fonzaso è quello di far conoscere lo Sport dell’Orienteering a più persone possibili, anche se nel territorio gli sport più diffusi sono il calcio, il rugby e la pallavolo", afferma il presidente Guido Parteli. Con grande entusiasmo vengono da subito realizzate le prime mappe e organizzate le gare promozionali e regionali, nel novembre 2008 si sviluppa il Trittico Feltrino (gara interregionale). Grazie a queste scelte la società cresce sia dal punto di vista atletico che orga-

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nizzativo, raggiungendo buoni traguardi, anche in gare a livello nazionale, con partecipazioni anche in quelle internazionali. Nel febbraio 2018, in occasione dei MOC 2018 a Barcellona nasce un gemellaggio con il Club COC della città Catalana. Ad agosto, una comitiva composta da ben 50 atleti orientisti (dai 12 ai 60 anni) del Club Catalano, guidato dalla presidente Begoña Almor, ricambia la visita e raggiunge il territorio Feltrino e del Primiero per uno scambio sportivo, turistico – culturale. In quell’occasione si disputano delle gare, alle quali partecipano anche molte società venete, trentine e atleti di diverse nazioni. "Questo è stato un momento che ha racchiuso i significati profondi dello sport come la nascita di nuove amicizie che poi cresceranno negli anni. Il gemellaggio è stato un’occasione per far conoscere luoghi bellissimi, come la città storica di Feltre, il

castello di San Michele a Fonzaso, la valle del Primiero e Vanoi in Trentino", ricorda Parteli. Il 2018, è un’annata da ricordare anche perché si è iniziato a praticare la Mtb-O nelle gare nazionali. Non sono arrivati titoli assoluti ma si è trattato di un nuovo step di crescita all’interno della FISO. L’AZZURRO: Bisogna però fare un passo indietro per ricordare la prima convocazione nella squadra nazionale di Corsa Orientamento. Come anticipato il team si è contraddistinto per un'attività di livello, grazie al tecnico responsabile di settore, Cristian Bellotto, ex tecnico della Nazionale Junior che ha permesso di migliorare la qualità tecnica e atletica dei ragazzi. Risultati questi, che probabilmente hanno consentito alla società di restare

nelle prime posizioni a livello giovanile nazionale per il sesto anno consecutivo. In questo vero e proprio paradiso dell’atleta, non poteva mancare una società di Orienteering che è arrivata a portare in maglia azzurra atleti come, Bertelle Michele, che ha partecipato nel 2014 agli Europei giovanili a Strumica, in Macedonia; Mattia Scopel che quest’anno è entrato a far parte della Nazionale assoluta partecipando ai mondiali 2021 a Cortina d’Ampezzo. Mattia nel 2018 ha partecipato agli europei giovanili in


Conosciamo le associazioni sportive

Bulgaria e nel 2020 ai mondiali Junior in Ungheria, Altri 2 giovani nostri atleti, sono stati convocati con la Nazionali Junior, Alban Davide, che si recherà ad aprile ad Aguiar da Beira in Portogallo in preparazione dei Campionati Mondiali JWOC che si disputeranno a luglio 2022 in terra portoghese e Vedana Giulia, che parte-

ciperà con la Nazionale Youth ai Campionati Europei EYOC 2022 in Ungheria. ATTIVITA’: "Non è mai mancata la volontà di promuovere questo bellissimo sport, diciamo che siamo sempre stati presenti sul territorio, proponendo con i nostri tecnici Valdettara Valentina e Minella Silvia l’attività nelle scuole e all’esterno corsi teorici e pratici", sottolinea Guido Parteli. "Ci stiamo organizzando per riprendere le attività agonistiche e promozionali outdoor, in vista del sopraggiungere della stagione sportiva; si stanno valutando gli allenamenti da organizzare nel periodo primaverile, sempre tenendo conto delle limitazioni per l’emergenza sanitaria in corso, organizzando da un lato eventi promozionali sul territorio, rivolti in particolare ai ragazzi delle scuole, dall’altro per la propria squadra agonistica, dovendo affrontare trasferte di media percorrenza per raggiungere i campi di gara in altre regioni". EVENTI: L’Orienteering da la possibilità di valorizzare il patrimonio territoriale con il richiamo di centinaia di concorrenti provenienti da più parti d’Italia e a volte anche dall’estero. Questo è avvenuto in occasione del Centenario della Prima Guerra Mondiale, dove si è organizzata una gara che aveva come obiettivo, quello di far rivivere la memoria dei luoghi dove si sono svolti gli eventi bellici, offrendo agli atleti e alla popolazione una possibilità di arricchimento culturale e sociale. Successivamente sono state organizzate a Fonzaso, Feltre, Arsiè Lamon e Sovramonte, diverse gare regionale, promozionali e anche scolastiche. Quest’anno, verrà organizzato a Mel nei giorni 15 e 16 ottobre, le finali di “Coppa Italia” WRE un grande evento nazionale con partecipazione

di atleti stranieri, che sarà valido per la classifica mondiale individuale di orienteering. Guido Parteli, ha sempre sostenuto che: “Lo sport non è solo dato dalla soddisfazione del raggiungimento di un traguardo, ma deve essere anche un’opportunità di crescita umana e sociale. “Deve essere una scuola di vita, un veicolo per insegnare ai giovani i valori e il rispetto verso gli altri”.

È con questo pensiero del Presidente che l’Associazione continua a portare avanti un suo “progetto sportivo” che, non mira al solo raggiungimento di traguardi individuali, ma a diffondere una cultura etica dello sport soprattutto tra i giovani. Parteli tiene a ringraziare tutti i dirigenti ed i collaboratori senza dei quali non sarebbe possibile portare avanti l'attività dell’ASD Fonzaso.

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Dalla parte del cittadino in collaborazione con A.E.C.I - FELTRE

LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI

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a dichiarazione dei redditi è quella procedura grazie alla quale il contribuente ha l'obbligo o meno (a seconda della propria situazione personale) di dichiarare il proprio reddito allo Stato, ovvero all'amministrazione fiscale. Come ogni anno, entro il 16 marzo, i datori di lavoro o l'ente di previdenza devono rilasciare la certificazione relativa a tutti i redditi percepiti nell'anno precedente alla dichiarazione ( il famoso modello CUD che è un documento fondamentale ai fini della dichiarazione dei redditi) ed entro il 23 maggio 2022 (prima era entro il 30 aprile, ma la data è stata cambiata per effetto della recente conversione della legge del Decreto sostegno) l'Agenzia delle Entrate (www.agenziaentrate.gov. it) mette a disposizione del contribuente il famoso modello 730 precompilato sia per i lavoratori dipendenti sia pensionati. I contribuenti accedendo al sito tramite codice PIN, un'identità SPID, una CIE (Carta di identità elettronica oppure con una Carta dei servizi), potranno accettare la dichiarazione come proposta dall'Agenzia delle Entrate oppure effettuare le proprie opportune modifiche. E dopo la compilazione e le eventuali varie integrazioni, potranno personalmente rinviarla tramite il sito dell'Agenzia delle Entrate oppure tramite CAF o il proprio

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commercialista o un professionista del settore. In questo 2022 ci sono delle particolari novità. Per quanto riguarda il modello 730, come detto scaricabile in formato PDF sul sito dell'Agenzia delle Entrate, dovrà essere presentato, in forma cartacea attraverso un ufficio postale, dal 2 maggio al 30 giugno mentre quello in via telematica, ovvero la dichiarazione redditi online, entro e non oltre il 30 novembre 2022.

E per una corretta e completa compilazione il modello 730 di cui sopra, oltre al reddito percepito, dovrà contenere la certificazione di altri redditi, immobili di proprietà, ed eventuali acconti Irpef versati. Nota importante da sapere è che: *il contribuente non dovendo eseguire particolari calcoli è agevolato nella compilazione del modello 730. *ottiene il rimborso dell’imposta direttamente nella busta paga o nella rata di pensione, a partire dal mese di luglio (per i pensionati a partire dal mese di agosto o di settembre (tranne eventuali modifiche governative); *se deve versare delle somme, queste vengono trattenute dalla retribuzione (a partire dal mese di luglio) o dalla pensione (a partire dal mese di agosto o settembre (tranne eventuali modifiche governative) direttamente nella busta paga. In ogni caso, come spesso evidenziamo, è da evitare, se non si hanno buone e perfette conoscenze della materia, il famoso fai da te e quindi è sempre opportuno rivolgersi ad un esperto del settore che sarà in grado, non solo di verificare se il contribuente ha o meno l'obbligo della dichiarazione, ma anche di compiere tutte le giuste e opportune operazioni fiscali richieste dallo Stato.


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Storie di guerra di Davide Pegoraro

Essere cappellano militare

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a figura del cappellano militare nella prima guerra mondiale (furono 2.700) è il frutto di un’evoluzione che vedeva in tempo di pace un trattamento indistinto, nell’adempiere agli obblighi di leva, anche per i religiosi e che poi con la nomina a Capo di Stato Maggiore di Luigi Cadorna ha visto sancire con circolare del 12 aprile del 1915 delle regole più precise. Infatti prima di tale data era previsto che in caso di mobilitazione gli ecclesiastici potessero essere impiegati solo negli ospedali da campo o militari, nelle sezioni di sanità o nei posti di medicazione; unica possibilità per essere presenti con il conforto religioso sul campo era l’arruolamento e la conseguente mobilitazione tra le fila della Croce Rossa. La volontà da parte delle alte sfere militari di esercitare un’influenza sul morale delle truppe, facendo leva sulla comune base religiosa, portò all’assegnazione di cappellani militari per ogni reggimento. Si diede spazio anche ad altre religioni nominando cappellani militari anche

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per la chiesa Evangelista, la chiesa Battista, dieci per quella Valdese, uno per i metodisti, ed infine anche rabbini militari per le truppe di fede ebraica. Stava al vescovo castrense o da campo (carica ricoperta per tutta la durata del conflitto da Monsignor Bartolomasi) nominare i cappellani militari, scelta non facile anche perché i seminaristi, i novizi, i chierici, i conversi e i sacerdoti che non erano parroci o vicari vennero assegnati indistintamente alle unità combattenti (24.000 alla fine della guerra). Il grado del vescovo era di maggiore generale ed era coadiuvato nel suo operato da tre vicari col grado di maggiore. Don Giulio Facibeni In questo quadro si colloca l’arrivo di Don Giulio Facibeni sulla fronte dell’Isonzo. Vorrebbe vedere la linea del fuoco, le trincee, ma non è possibile e transita negli ospedali da campo visitando e confortando i giovani con gli arti straziati e poi sostando a parlare con le interminabili file di soldati che nella piana di Palmanova si dirigono al fronte, la barba

lunga e incolta e ancora la voglia di scherzare per lo scampato pericolo. Tornato a casa è assalito dal tormento per un senso di impotenza verso quei tanti soldati che gli scrivono e non si dà pace per l’aridità dei suoi sentimenti suscitati dall’aver visto assottigliarsi le fila dei suoi giovani che muoiono ogni giorno. La risposta l’ebbe il 24 giugno 1916. “Da oggi anch’io sono soldato” così si sentiva. Viene poi allontanato dalla prima linea per una sistemazione nel convento di S.Domenico di Fiesole dove è allestito un ospedale militare. Ma capisce che la tortura dello spirito per la lontananza da dove si muore nell’anonimato è ben più grave dei disagi che la vita militare arreca. La rotta di Caporetto lo trova sul Globokak dove seppellisce molti fratelli, poi la ritirata che vive con la consueta saggia interpretazione: “proprio nella sofferenza si possono scoprire le vere ragioni della nostra vita”. Pensa alla sua destinazione sul nuovo fronte montano del Grappa e alla statua della Madonnina che sta in cima. Finalmente il 17 gennaio del 1918 può tentare una visita al sacello partendo da Cason di Meda dove c’è un ospedale militare, ma da tre giorni la statua è stata portata a Crespano causa lo scoppio di una granata austriaca che l’ha mutilata. Da quel momento in poi la Vergine col petto squarciato e i soldati raccolti attorno a lei in preghiera saranno un’immagine indelebile nei suoi occhi. La croce del Pertica Passano i mesi ed arriva ottobre. E’ il monte Pertica quel luogo di cui Don Giulio non voleva parlare negli anni successivi e si chiedeva perché quella pallottola


Storie di guerra

austriaca gli avesse solo scalfito l’elmetto senza ucciderlo. Dal 24 al 31 ottobre 1918 sono giorni terribili; il monte come un vulcano in eruzione, per le migliaia di granate che lo martellano, vomita fuoco e fiamme che avvolgono e fanno sparire interi reparti italiani ed austriaci. Cinque giorni nei quali: ”solo Dio vide i sacrifici più ignorati “, cinque giorni di abominio e morte per il possesso di un relitto di roccia svuotato dalle viscere di tonnellate di pietra per cercarvi riparo in lunghe gallerie, per insinuarvi minacciose e mortali trappole chiamate mitragliatrici, lanciagranate, mine antiuomo, forti scoglio. Avanti e indietro per queste balze ricoperte da strati su strati di corpi, di teste, arti e busti bruciacchiati dal fuoco degli spietati lanciafiamme che sembrano portare dall’inferno le fiamme di satana. Cinque giorni per tentare lo sfondamento tanto auspicato dall’Italia intera sul corso del Piave e qui a morire in migliaia per tenere bloccate le riserve imperiali ed impedire i rinforzi al nemico nel punto prescelto per passare il fiume. Cinque giorni in cui la sola IV Armata, quella del Grappa appunto, conterà, su un totale di sette, il 60% delle perdite totali. Cinque giorni per: “uscire dalle trincee anche solo e spingersi in terreno scoperto e battuto dal fuoco per raccogliere feriti e recuperare le salme dei caduti”. Nella medaglia d’argento che gli fu conferita sul Col della Martina (circa un

chilometro oltre le linee italiane del Pertica) sembra inoltre di vedere le sue parole quando da quota 1451, mentre rischiava per soccorrere i feriti, disse a chi gli chiedeva: “ Facibeni che fai? Ti esponi troppo!” “Il mio dovere… sta tranquillo”. O quando sentendo gemere un soldato austriaco, gravemente ferito, uscì carponi dal suo rifugio e lo trascinò fino alla trincea componendolo alla meglio su una coperta. Perché il suo essere stato prete in guerra è stato anche dare l’assoluzione di massa, effettuare la compilazione degli atti di matrimonio per procura, apporre alla tabellina diagnostica dei feriti, smistati dai posti avanzati di medicazione, le lettere O,C,P, (olio santo, comunione, penitenza), è stato anche prestare assistenza ricreativa con libri, riviste, giochi, cancelleria e perfino grammofoni nelle case del soldato al fronte, oltre a tenere l’ufficio notizie che mirava a facilitare la comunicazione tra le famiglie dei soldati e l’esercito, trasmettendo i dati relativi ai caduti, dispersi e feriti. Nelle messe da campo si coglieva l’occasione per distribuire ai soldati generi di conforto quali: tabacco, saponette e vestiario di ogni tipo, biancheria intima, calze di lana e passamontagna confezionati amorevolmente dalle donne della sua Pieve, mobilitate anch’esse: “Nelle lunghe serate d’inverno quando i mesti ricordi assalgono impetuosi la mente, sembrerà loro quasi di vivere insieme a quelli per cui tanto piangono e tanto soffrono…”. 435 furono le ricompense al valore concesse ai cappellani militari nel 1915-1918. Da

questa immensa esperienza l’esigenza fisica per quest’uomo di vivere una vita degna di questi morti ed a noi il compito di non dimenticare memori delle parole scritte da un anonimo soldato sulle pareti di una galleria delle Tofane: “Tutti avevano la faccia del Cristo, nella livida aureola dell’elmetto, tutti portavano l’insegna del supplizio nella croce della baionetta, e nelle tasche il pane dell’ultima cena e nella gola il pianto dell’ultimo addio”. Tornato nella sua Firenze, nel quartiere di Rifredi, Don Giulio fondò l’Opera Madonnina del Grappa, casa per le migliaia di orfani che la guerra aveva lasciato, soli e disperati. A questi figli, seppe dare un tetto, una mensa, libri su cui studiare, attrezzi e macchinari per imparare un mestiere, tutto questo con il solo aiuto della provvidenza. Ma soprattutto seppe essere per loro un Padre, ovvero la guida, in una vita che il destino aveva posto per loro in salita. Alla sua morte l’Opera continuò e ancora oggi non smette di rivolgersi ai più bisognosi proseguendo nel cammino tracciato da quest’uomo straordinario.

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Il senso religioso di Franco Zadra

Uomo, essere in divenire o scimmia nuda

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ontinuare a riflettere sul senso religioso con la guerra “alle porte di casa nostra” può essere sentito come un mero esercizio intellettuale, una frivolezza salottiera che dovrebbe farci un poco vergognare, se non altro considerando che “ci sono cose ben più gravi alle quali pensare”, e forse non è stato un caso che ci è accaduto di sospendere per un momento il corso di questa rubrica che

segue ormai da diversi mesi il testo di don Luigi Giussani su “Il senso religioso”. Ciò che più ci inibisce nel appassionarci a questi temi è, in fondo, il punto di sempre, lo scandalo del dolore innocente, della sofferenza ingiusta, che dal 23 febbraio scorso pervade ogni canale di informazione. Almeno nei primi tempi, quando il palinsesto televisivo doveva dare spazio a programmi “più leggeri”, ci si premurava di avvisare il

pubblico a casa che erano stati registrati prima dei terribili eventi, proprio come con l’avvento della pandemia si faceva per prevenire eventuali perplessità sulla presenza di pubblico che sembrava ignorare le regole di distanziamento sociale. No! Non vogliamo (e non possiamo) pensare a una dimensione religiosa che possa magari portarci a considerare l’idea di un Dio che permette il dolore degli innocenti – come ne scrisse in maniera convincente, tra i tanti, Albert Camus; soverchiati dalle immagini di morte e delitti orrendi della guerra, non ci accorgiamo neppure che l’asserto del drammaturgo tedesco di fine ‘800, Georg Büchner, per il quale “la sofferen-

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Il senso religioso za degli innocenti è la roccia dell’ateismo”, è divenuto ormai un elemento indiscusso e indiscutibile della nostra “cultura”. Tanto che accogliere l’annuncio di Resurrezione della Pasqua in questo clima culturale è divenuto estremamente difficile, e non valgono neppure gli esperimenti, pur bellissimi ma un po’ fasulli, come quelli tentati da Rai1 con la trasmissione “Papa Francesco e il racconto dei Vangeli”, nella quale il premio Oscar Roberto Benigni equipara il termine “risorgere”, al limite, argomentando in modo sublime, a un impossibile “rivivere”, imponendo un salto logico, o come scrive Giussani nel quarto capitolo de

“Il senso religioso”, tentando di superare la riduzione materialista che nega la dimensione religiosa, surrogandola con un idealistico senso estetico, quasi a invitare a dimenticarsi del dolore innocente per perdersi nell’estasi artistica. In questo, per grazia corretto da papa Francesco che ricordava come, gli innocenti che soffrono, compresi anche quei milioni di bimbi che sono uccisi nel seno materno, fanno “massa” con l’innocente Figlio di Dio. Se partiamo dall’esperienza – ci avverte Giussani – possiamo arrivare a riconoscere nel nostro “sé”, nel nostro io, un elemento che non si concilia con

la morte, immortale! Ed è con questo elemento, considerato assieme all’altro, innegabile, dell’essere corruttibili e quindi mortali, che dobbiamo, e non possiamo evitare di, impegnarci per trovare un senso nella nostra esistenza. Capiremo forse allora la sorprendente rivoluzione culturale annunciata da papa Francesco, in continuità ininterrotta con due millenni di cristianesimo, che ci permette di guardare al tanto (troppo) dolore innocente presente nel mondo, più di quanto possiamo anche solo immaginare, come qualcosa che unisce a Dio chi lo soffre, tenendo lontani forse solo chi ne discute comodamente a tavolino. Per approfondire, consigliamo la lettura (almeno una volta in vita) del testo di Jurgen Moltmann edito da Queriniana, “Uomo”, magari in sinossi con quello, opposto, di Desmond Morris, di Bompiani, “La scimmia nuda”.

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Che strano dizionario di Monica Argenta

Troppe Parole di Guerra tra Noi

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ovremmo sempre cercare di usare parole di pace nel nostro quotidiano ma fino a che punto il nostro linguaggio ce lo permette? Se scaviamo anche solo un pochino nell'etimologia e nella storia dei termini comunemente utilizzati nella lingua italiana potremmo scoprire che spesso si usano, seppur inconsapevolmente, parole di origine militare. Con grande sorpresa, potremmo infatti realizzare che il nostro parlare è pregno di riferimenti alla guerra e con grande piacere sono pronta ora a darvene qualche esempio: quell'aggettivo usato spesso in modo simpatico e mai troppo offensivo, rivolto a un nostro caro... imbranato. Il termine, al di la delle nostre migliori intenzioni, letteralmente deriva da un espressione usata dagli Alpini per indicare “un mulo trattenuto dagli imbraghi”. Durante la Prima Guerra Mondiale, ci spiegano i linguisti, i “nuovi italiani” (i soldati pro-

venienti dal Piemonte alla Sicilia) hanno contribuito a creare la nostra nazione non solo combattendo ma coniando anche nuove parole ed espressioni destinate a sopravvivere alle trincee e alle granate. Altri esempi: lavativo (letteralmente una purga, ad indicare qualcuno che in caserma non era gradito, poco utile), pignolo (una persona eccessivamente inquadrata e inamovibile come i singoli semi in una

pigna), imboscato, insabbiato... Sempre agli Alpini dobbiamo anche la parola naja, una approssimazione dal tirolese “nuovo, giovane”. All'esercito in generale dobbiamo termini o espressioni quali la sbobba, il rancio, il batter fiacca, il marcar visita, il metterci la firma. Diciamocelo però che il gergo militare è sempre (stato) tra di noi: stipendio, salario, quota, sono termini-dinosauro che circolano fin dai tempi degli eserciti mercenari dell'antica Roma per giungere, in ottima salute (sic!), fino all'odierna Repubblica fondata sul lavoro. Nella civiltà dei consumi poi han dato un'accelerata i mercati, in inglese marketing, dove ci sono sempre (state) campagne, strategie, tattiche. L'introduzione di termini in lingua inglese in questo ambito sembrano solo aver offuscato chiarissimi intenti, a discapito ovviamente dei più sprovveduti tra noi: in una qualsiasi campagna marketing

LA PAROLA AI LETTORI COMUNICATO DI REDAZIONE

Chi fosse interessato alla pubblicazione di uno scritto o un articolo riguardante una opinione personale, un fatto storico, di cronaca o di un qualsiasi avvenimento, può farlo indirizzando una email a: direttore.feltrinonews@gmail.com. Il testo, di massimo 3.500 battute, dovrà necessariamente contenere nome e cognome dell’articolista l’indirizzo di residenza e un recapito telefonico per la verifica. Il direttore si riserva la facoltà della non pubblicazione in caso l’articolo non dovesse rispettare l’etica giornalistica o d’informazione.

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Che strano dizionario c'è il target (l'obiettivo, letterale, quello che è colpito possibilmente al primo colpo), lo slogan (dal gaelico, l' “urlo di guerra”), il banner (lo striscione che contraddistingue gli eserciti). Termini aggressivi, che ben descrivono la guerra tra mercati (ovvero nazioni, continenti, popoli) ma che purtroppo sono anche nella quotidianità di tutti e senza che vi sia consapevolezza reale della loro portata politica, etica. Negli uffici (e oramai non solo nelle aziende di marketing) è pratica comune indire non più l'obsoleta riunione, bensì un briefing -termine utilizzato dai piloti bombardieri della Seconda Guerra Mondiale per accordarsi prima del ferale decollo! Assegnare una scadenza per la consegna di un lavoro si definisce oramai universalmente deadline, - linea di morte- termine riferente ad una reale e concreta recinzione alla quale i prigionieri di guerra sono soggetti, ahimè alla pena la morte se oltrepassata.

Dalla password (parola d'ordine) del nostro computer, al PIN (numero di identificazione personale), al lockdown (confinamento dei prigionieri nella propria cella secondo il vocabolario Collins), pare ovvio ora uno sconfinamento quasi imbarazzante tra gergo militare e realtà quotidiana. Ed è proprio ora invece di cercare nuove parole, forse ritrovare vecchi termini, insomma fare uno sforzo verso una migliore ecologia umana anche attraverso le parole. Soprattutto dopo questi ultimi anni così aggressivi su più fronti, il desiderio di tornare a respirare, assaporare, abbracciare e ballare ci ha fatto capire cosa veramente ci rende felici. Per favore, non banalizziamo quest'articolo dai toni “strano ma vero” (la parola “banale” deriva dal bando, proclama del signore feudale, ha lo stesso etimo del banner di cui si parlava sopra). Soprattutto non sottovalutiamo l'esperienza appena vissuta e quelle minacce

di malattia, povertà, invasione, morte del Pianeta così concrete. Limitiamo una volta per tutte l'uso del cellulare (carcere, reclusione- come primo significato del Vocabolario Treccani), guardiamo meno film di successo, chiamati guarda caso, blockbaster ( le bombe sufficienti a distruggere un isolato-nella prima definizione nel vocabolario Collins) e dedichiamo qualche tempo in più alla riflessione sul nostro linguaggio. Ora più che mai dobbiamo cercare di essere coscienti che anche solo una parola può ferire o lenire una ferita. Abbiamo ascoltato tutti i discorsi dei grandi della Terra, alcuni ci sono piaciuti e altri meno, ma ora sta a noi parlare. Ricordiamocelo (etimologicamente: riportiamo al cuore ) che le parole sono mondi, la parola è realtà. Gv 1,1-18 In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.

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Racconti d'arte di Daniela Zangrando*

M’AMA, NON M’AMA, M’AMA!

M

i avete chiesto di parlare d’amore. Avevo pronto altro. Pensavo di raccontare di storiche cancellazioni della memoria, o di insistere ancora per questo mese su temi legati alla guerra. O magari di accompagnarvi tra i padiglioni della Biennale di Venezia, che ha appena inaugurato. Ma niente da fare: mi avete messo un tarlo in testa. Sì, a me, che come il filosofo Paul B. Preciado, un bel giorno mi son alzata e «ho smesso di credere nell’amore, nell’amore di coppia». «È arrivato all’improvviso» questo cambiamento – proprio come dice lui – e «la struttura delle mie idee è cambiata e il mio desiderio si è modificato. O forse è stato il contrario», e mi sono sorpresa «a desiderare in modo diverso e le idee sono implose sotto il loro peso». Non ha nessuna importanza ora. Sono settimane che i miei risvegli all’alba sono scanditi dal richiamo d’amore del merlo maschio. Ne ho uno dietro casa. Mentre mi lavo il viso stropicciato dalle pieghe del sonno, apro la finestra, e vedo la sua sagoma sul colmo del

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tetto di fronte, in cima in cima. Pare che i vuoti delle stanze addormentate, e il paese tutto, si prestino di buongrado a fare da cassa di risonanza all’intensità del suo amare. Non c’è giorno che manchi di cantare, e di meravigliarmi con la sua bellezza. Fra poco sarà tempo delle prime margherite. Credo sia questione di giorni. Chi non ne coglierà almeno una e staccherà petalo per petalo in quel gioco fanciullesco del “m’ama, non m’ama”? I prati sono un tripudio di colori. Si pavoneggiano le violette, i non ti scordar di me flirtano con i fiori dell’aglio orsino, i bottoni giallissimi del tarassaco fanno a gara di seduzione con quelli dei farfari. Per non parlare delle rondini che si corteggiano in cielo! Insomma, non ci si può far molto… è primavera! E non c’è primavera che io non porti il pensiero ad un’opera di Félix Gonzáles-Torres che si intitola Untitled (Perfect Lovers), realizzata in diverse versioni tra il 1987 e il 1991. Due veloci coordinate biografiche: Félix Gonzáles-Torres nasce a Cuba nel 1957. Si trasferisce a New York nel 1979 e

inizia a lavorare come artista. La faccio brevissima. Nel 1991 muore il suo compagno, Ross, e nel 1996 muore anche lui, di AIDS. Non mi interessa molto fermarmi sulla circostanza commovente della malattia. Voglio invece tornare all’amore, e credo sappiate benissimo anche voi che quando si scrive o si parla d’amore, il problema è sempre lo stesso. Si fa un enorme sforzo, ci si impegna, si dispiegano tecniche sofisticate e precise, ma l’amore se ne sta semplicemente lì, sempre ad un passo dal linguaggio che si usa per raccontarlo. Inscalfibile. Imprendibile. Inarrivabile. Félix Gonzáles-Torres però ci sorprende, e lo fa con un gesto semplicissimo. Prende due orologi da muro e li mette uno di fianco all’altro, all’altezza della nostra testa, sincronizzandoli alla stessa ora. Null’altro. Azionate da semplicissime batterie, le lancette iniziano a muoversi, insieme. Tic Tac. Passano i minuti. Passano le ore. Si muovono sincrone, pare respirino con lo stesso ritmo. Ma non sono infallibili. Avete mai provato a respirare al ritmo di qualcuno che amate? All’inizio è semplice, ed espirazioni e inspirazioni coincideranno alla perfezione… dopo un po’ però non riuscirete più a tenere il tempo. Si creerà una piccola discrepanza. Fallirete, per una frazione di secondo. Agli orologi di Untitled (Perfect Lovers) succede proprio così. Iniziano ad accumulare uno scarto. Minimissimo, quasi impercettibile. Tic Tac fa quello sulla sinistra. Tic Taac quello sulla destra. Il gioco è fatto. L’errore. L’impossibilità? Il non incontro? Il quasi toccarsi che resta potenza ma non può essere null’altro che aspirazione? Le lancette si perdono, si inseguono, si misurano,


Racconti d'arte provano ancora. Non si compie dunque l’amore? Félix Gonzáles-Torres non ci suggerisce altro. Lascia a noi la responsabilità della lettura, e dello sguardo. In una meravigliosa lettera del 1988, sotto lo schizzo di due orologi stilizzati, si rivolge a qualcuno. Gli chiede di non aver paura degli orologi. Che non sono altro che il tempo, quello stesso tempo che è stato generoso con loro due. Gli dice poi che loro ora e per sempre. Ti amo.» il tempo l’hanno impresso del dolSono allora così meno perfetti quei due ce sapore della vittoria, e che hanno amanti, quei due orologi, nel momenconquistato il destino, incontrandosi in to in cui perdono il ritmo e si trovano un certo tempo e in un certo spazio. appena sfasati? Come prodotti del tempo, non si può Di colpo mi torna in mente ancora far altro d’altro canto che restituirlo, Preciado. «Paradossalmente, adesso dove sia dovuto. «Siamo sincronizzati, che non credo più nell’amore, sono Logo con colori quadricromia applicati

per la prima volta pronto ad amare, in maniera contingente, finita, immanente, anormale. Sento che comincio a imparare a morire.» Che Félix Gonzáles-Torres e Ross avessero anticipato questo pensiero? Non posso chiederglielo, ma sento che l’arte mi ha fregato, ancora una volta. Stateci attenti! *Le citazioni di Paul B. Preciado sono tratte dal libro Un appartamento su Urano, Fandango, Roma 2020. Daniela Zangrando è Direttrice del Museo d'Arte Contemporanea Burel di Belluno

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Conosciamo le leggi di Alice Rovati*

IL NUOVO REGISTRO DELLE OPPOSIZIONI:

STOP AL TELEMARKETING ANCHE SUI CELLULARI

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ino a oggi chi era stufo di essere chiamato sul telefono fisso in qualsiasi momento della giornata, per sentirsi proporre offerte commerciali, poteva iscriversi al Registro pubblico delle opposizioni, un sistema istituito nel febbraio del 2011 per impedire alle compagnie di pescare il nostro numero negli elenchi telefonici. Dal sistema però restavano esclusi tutti i numeri non compresi negli elenchi telefonici e soprattutto tutti i numeri di cellulari. Una mancanza che il legislatore ha colmato oggi, dopo ben 10 anni. Il D.P.R. 26/2022, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 29 marzo scorso, istituisce infatti il “nuovo” Registro pubblico delle opposizioni, che ha esteso di fatto la possibilità di sottrarsi al telemarketing selvaggio a tutte le numerazioni nazionali fisse e mobili, anche quelle non presenti nei pubblici elenchi, e agli indirizzi postali. Il nuovo servizio, tuttavia, sarà reso disponibile per i cittadini entro e non oltre il 27 luglio 2022 (120 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale), anche per consentire agli operatori di telemarketing di adeguarsi e al gestore

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del servizio di implementare la piattaforma tecnica. Con l’iscrizione al Registro ci si potrà opporre al trattamento dei propri dati per l’invio di materiale pubblicitario, la vendita diretta o il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale. Dopo l’iscrizione nessun operatore potrà più contattarci, né per telefono, né per posta e nemmeno tramite sistemi automatizzati di chiamata. A meno che l’iscritto non revochi l’opposizione nei riguardi di uno o più operatori. L’opposizione non vale nei confronti degli enti e degli uffici di statistica del Sistema statistico nazionale (ad esempio l'Istat). L’iscrizione al Registro è gratuita a tempo indeterminato fino a revoca dell’opposizione. Può essere chiesta da tutti i cittadini, presenti o meno negli elenchi pubblici. Per iscriversi sono disponibili diversi canali sul sito del Registro: https:// www.registrodelleopposizioni.it/. Ecco le diverse opzioni per registrarsi: - via web. Compilando il modulo elettronico con i dati personali, il numero di telefono e/o l’indirizzo postale che si vuole iscrivere;

- via telefono. Chiamando il numero verde 800.265.265 dal numero di telefono che si vuole iscrivere nel Registro. Il sistema funziona mediante risponditore automatico, ma in caso di difficoltà o problemi è possibile parlare con un operatore; - via email. Inviando il modulo (scaricabile dal sito) completo di dati personali, recapito e del numero di telefono e/o dell’indirizzo che si vuole iscrivere. L’intestatario di più numerazioni può richiedere la contemporanea iscrizione nel registro ma solo attraverso il web o la mail. Gli iscritti possono revocare in qualunque momento la propria opposizione nei confronti di uno o più operatori. Se poi si cambia nuovamente idea, l’iscrizione si può rinnovare in qualunque momento così revocando i consensi nel frattempo prestati. Gli operatori di telemarketing, al momento della chiamata oppure all'interno del materiale pubblicitario, devono indicare all’interlocutore con precisione che i suoi dati personali sono stati estratti legittimamente dagli elenchi ovvero da altre fonti, fornendo le indicazioni utili per l’eventuale iscrizione nel Registro delle opposizioni. Per poter effettuare una controverifica, l’iscritto potrà monitorare lo stato della propria opposizione all’interno del Registro. In caso di violazione da parte degli operatori si può presentare reclamo al Garante della privacy e eventualmente utilizzare i rimedi giurisdizionali previsti dal Regolamento generale sulla protezione dei dati. *Dott.ssa Alice Rovati, giurista esperta in materia consumeristica, rappresentante provinciale di Altroconsumo


Le guerre italiane di Andrea Casna

1935-1936

La guerra chimica italiana in Etiopia

C

on l'ascesa del Fascismo il Regno d'Italia, al termine della Prima Guerra Mondiale, riprese in mano la questione coloniale. A partire dagli anni Trenta, infatti, il Regime fascista diede avvio al nuovo progetto di conquista coloniale. Obiettivo del Duce era di fare dell'Italia, come già iniziato dai governi precedenti, una potenza militare e coloniale. Ed è quindi in questo contesto che troviamo la guerra di Etiopia: una sorta di rivincita italiana per la sconfitta subita ad Adua nel 1896. La guerra d'Etiopia iniziò il 3 ottobre 1935 per terminare il 5 maggio 1936. Fu un conflitto che ha visto contrapporsi l'Italia fascista e l'Impero d'Etiopia. A guidare le truppe italiane furono, prima il generale Emilio De Bono, e poi il maresciallo Pietro Badoglio. I pretesti per la dichiarazione di guerra furono due incidenti che ebbero luogo nelle città di Gondar e Ual Ual, quando il consolato italiano e una caserma vennero presi di mira da alcuni gruppi armati etiopi. L'Italia invade l'Etiopia partendo dalla colonia eritrea a nord e da sud-est dalla Somalia italiana. Nonostante la tenacia e la dura resistenza,

l'esercito etiope fu sconfitto dalla superiorità numerica e tecnologica degli italiani: la guerra si concluse con l'ingresso delle forze di Badoglio nella capitale Addis Abeba. Si trattò di un conflitto combattuto con l'impiego di una grande quantità di mezzi propagandistici, al fine di orientare l'emigrazione italiana verso una nuova colonia. La notizia della fine della guerra fu comunicata in Italia la sera del 5 maggio 1936 per annunciare poi, il 9 maggio, all'Italia e al mondo la nascita dell'Impero. Le ostilità non cessarono con la fine delle operazioni di guerra convenzionali, ma si prolungarono con la crescente attività della resistenza e di guerriglia da parte dei partigiani etiopi, e con le conseguenti misure repressive attuate dalle autorità italiane nei confronti delle popolazioni locali. L'impiego dei gas nella guerra di Etiopia La guerra di Etiopia passò alla storia per un triste fatto: l'uso da parte dell'aviazione italiana delle armi chimiche. Dal dicembre 1935, infatti, l’aviazione italiana iniziò a bombardare l'Etiopia con bombe tradizionali e con bombe all’iprite: quest'ultimo il terribile gas già usato durante la Grande Guerra. Nonostante la denuncia del 30 giugno 1936 da parte dell'Imperatore Etiope, Haile Selassie a Ginevra,

l’Assemblea della Società delle Nazioni, che già il 18 novembre 1935 aveva comminato sanzioni economiche all'Italia, non condannò il Regime per aver usato gas tossici. In Etiopia l'esercito italiano, per esempio, dal 22 dicembre 1935 al 18 gennaio 1936, impiegò sui settori settentrionali 2000 quintali di bombe, di cui una parte con gas; L'uso dei gas nella testimonianza di Ras Haile Selassie Immirù: «Era la mattina del 23 dicembre […] quando comparvero nel cielo alcuni aeroplani. Il fatto, tuttavia, non ci allarmò troppo, perché ormai ci eravamo abituati ai bombardamenti. Quel mattino, però, non lanciarono bombe, ma strani fusti che si rompevano, appena toccavano il suolo o l’acqua del fiume, e proiettavano intorno un liquido incolore. Prima che mi potessi rendere conto di ciò che stava accadendo, alcune centinaia fra i miei uomini erano rimasti colpiti dal misterioso liquido e urlavano per il dolore, mentre i loro piedi nudi, le loro mani, i loro volti si coprivano di vesciche. Altri, che si erano dissetati al fiume, si contorcevano a terra in un’agonia che durò ore. Fra i colpiti c’erano anche dei contadini, che avevano portato le mandrie al fiume, e gente dei villaggi vicini». 81


Uomo, piante e natura di Niccolò Sovilla

L'importanza delle siepi

L

e nostre città – e non fanno purtroppo eccezione le cittadine “virtuose” delle nostre zone – paiono smaniose di allontanarsi quanto più possibile da una naturale evidenza: che se in Italia non esistesse l’essere umano, il territorio sarebbe ricoperto da foreste. Nella maggior parte dei casi, infatti, il verde urbano realmente utile all’ambiente è relegato a piccoli parchi e giardini privati di illuminati cittadini che ne hanno compresa la grande importanza ecologica. “Liberiamoci dal giogo della natura” sembrano voler dire le nostre città e, sempre di più, anche le nostre campagne. Un elemento ormai pressoché scomparso è la siepe. Non parliamo della siepe di Chamaecyparis e di Thuja: di queste piante “esotiche” – completamente inutili per il nostro ecosistema – la gente sembra non stancarsi mai, ed è anzi felice di poter schermare i propri giardini con monotone file di cultivar dagli improbabili nomi “Janed Gold”, “Can-Can”, “Blue Moon”, “Baby Blue”, eccetera. Parliamo piuttosto della siepe campestre, quella fatta di biancospino, maggiociondolo, nocciolo, carpino, lillà, tasso, sambuco… La siepe “nostrana”. Chiaramente, la siepe non è una formazione vegetale naturale, bensì artificiale, inventata cioè dall’uomo, ma che in

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passato assumeva – e che assumerebbe tuttora, se gliene si desse ancora la possibilità – una grandissima importanza dal punto di vista biologico. In che modo? Permettendo, ad esempio, l’insediamento di innumerevoli specie di insetti, lombrichi, uccelli, rettili e mammiferi, poiché è in grado di offrire loro cibo e riparo. La siepe campestre è utile anche all’uomo: separa e isola i diversi ambienti, filtra microorganismi, polveri, pollini, funge da superficie di comunicazione (una vera e propria “foresta lineare”, una “strada naturale”), assorbe e sottrae CO2 dall’atmosfera ed è un’inesauribile riserva di biodiversità funzionale. Un concetto molto semplice, quello della “biodiversità funzionale”, eccone un esempio: una gran quantità dei parassiti che divorano le vostre amate piante (sia ornamentali che orticole) potrebbe essere, se non eliminata, almeno contenuta proprio grazie a quei temibili predatori che popolano la siepe… Coccinelle, cince, passeri e merli, per citarne alcuni! Inoltre, non dimentichiamo che dalla manutenzione di una siepe di discrete dimensioni può derivare legna da ardere pregiata. Pensiamo infatti al salicone, al pero selvatico, al carpino, al nocciolo e alla fusaggine. Purtroppo, però, in agricoltura questi aspetti oggi sono stati pressoché dimenticati. Le nostre campagne, oggi-

giorno, sono molto diverse da quelle che osservavano i nostri nonni, che erano popolate di tante più varietà di animali e piante. Un tempo le siepi erano ovunque, mentre nel XXI secolo sono quasi scomparse. Il cambiamento ha compromesso la sopravvivenza di mammiferi, anfibi e uccelli, e persino molti arbusti un tempo comuni sono ormai rari da avvistare. Ecco perché, dunque, portare la siepe nei nostri giardini e, di conseguenza, in città, è divenuto così importante. Non tutti disponiamo di grandi parchi, è chiaro, e le grandi siepi campestri in centro città non sono realizzabili. Ma perché non fare la propria piccola parte? Al posto di una banalissima “muraglia” sempreverde, sterile e tutta uguale, si può ottenere qualcosa di utile, bello, variopinto e originale mettendo a dimora le giuste piante: quelle selvatiche. Un arbusto spontaneo è resistente, sano, rustico, poiché autoctono, e non ha bisogno di chissà quali fertilizzanti ed antiparassitari per sopravvivere dignitosamente. È decorativo, ricco di variazioni, in grado di riproporre in giardino il coloratissimo trascorrere delle stagioni. Rispetto alle cultivar “alla moda” è sicuramente molto meno costoso, sia in fase di acquisto delle piante che in termini di mantenimento.


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ABBANDONO DEGLI ANIMALI DOMESTICI

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econdo una recentissima statistica si stima che ogni anno nel nostro paese vengono abbandonati una media di oltre 80mila gatti e non meno di 50mila cani. Animali che rischiano di morire per le più diverse cause tra i quali incidenti, stenti, mancanza di cibo e sovente a causa di maltrattamenti. E purtroppo analizzando i dati, anche

per effetto della pandemia, gli abbandoni sono in costante aumento. Aumento che interessa anche per tartarughe, conigli e numerosi animali esotici. E i dati ci confermano che per quanto riguarda i gatti, in questi ultimi 3 anni, c'è stato un aumento di oltre il 50% di felini abbandonati sia in strada e sia nei gattili. In merito agli abbandoni degli animali domestici c'è da evidenziare che se i cani possono essere a volte autonomi nella ricerca del cibo (anche se ciò avviene raramente) così non è per i gatti perchè questi piccoli animali non solo sono incapaci di cibarsi senza l'aiuto

dell'uomo, ma di fatto non conoscono i reali pericoli della vita in strada. Abbandonare un gatto è un vero atto di inciviltà, perchè quasi sempre significa, purtroppo. La sua morte certa E' utile ricordare che l'abbandono di un animale domestico è un reato punito con l'arresto fino a un anno e con una multa fino a 10mila euro.

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"Casa dolce casa" in collaborazione con "Le Tendenze di Annamonica" - Feltre

L'ARTE DEL TAPPEZZIERE

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econdo l'Enciclopedia Treccani il tappezziere, un mestiere di antichissime origini, è quella figura professionale che attende al lavoro di rivestimento, di addobbo con tessuti o altro materiale di tappezzeria e che in particolare opera su sedie, poltrone, divani e altri articoli di arredamento. Purtroppo oggi, non solo con la nuova tecnica e tecnologia, ma anche e principalmente per l'avvento della grande distribuzione di mobili da parte di industrie d'arredamento, il mestiere di tappezziere sta via via scomparendo. Una volta, e siamo parlando anche di 100, 150 anni fa, andare dal tappezziere era una prassi comune perchè erano indiscutibili la sua competenza, il suo senso estetico, la sua specifica preparazione e l'ottima manualità. Oggi, per fortuna e sempre di più, il me-

stiere sta tornando di “moda” ed è sempre più richiesto. E i motivi sono decisamente molteplici tra i quali spiccano, il ritorno dell'arredamento vintage ( che spesso ha bisogno di una rivisitazione); la richiesta di personalizzazione dei mobili e perchè una qualsiasi macchina non potrà mai sostituire la competenza, creatività e professionalità di un “bravo ed esperto” tappezziere. Ed oggi questa particolare e unica figura ha saputo anche evolvesi perchè è in grado non solo di progettare, costruire e

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Non solo animali di Monica Argenta

La Coccinella: diamo il benvenuto

ad un simbolo di fortuna, fertilità, e... della Vergine Maria

I

niziamo per gradi: il suo nome deriva dal greco kokkinos che significa “di colore rosso scarlatto”. E' un piccolo insetto che appartiene a una famiglia di oltre 6000 specie ed è presente in tutto il mondo. In Europa si trovano in prevalenza la varietà di Septepuntata, il coleottero rosso, lungo circa 0,5 cm, con sette puntini neri sulle ali che conosciamo tutti e che mette tanta allegria a grandi e piccini. Per noi umani la coccinella è del tutto innocua, quasi buffa ma dietro a quell'aspetto di innocenza, in realtà si nasconde un grande predatore capace

di mangiare fino a 100 altri piccoli insetti al giorno! E' proprio per questa sua incredibile voracità, soprattutto di afidi, che la coccinella è divenuta un grande amico dell'essere umano da tempi remotissimi. L'alleanza tra questi “animaletti” e l'essere umano è a dir poco perfetta: loro mangiano i temuti parassiti delle nostre piante ma, al contempo, lasciano intatti e in salute i nostri fiori e raccolti. Prima dell'avvento dei pesticidi chimici, orti e frutteti venivano letteralmente salvati prevalentemente da questo colorato coleottero e non è un a caso quindi se le coccinelle sono uno tra i simboli di buona fortuna più emblematici. Infatti, già gli antichissimi culti agricoli mediterranei e scandinavi

Promuovere crescita è stato il volano del nostro 2020. da sempre il nostro volano. Siamo felici di affermare la riuscita del nostro intento.

associavano questo insetto alla fertilità e alla Madre Terra per via della esponenziale capacità di prolificare: basti pensare che una coppia di coccinelle si riproduce più volte all'anno, depositando oltre 200 uova alla volta. Nei secoli di carestia dell'Europa Medievale, quando il Cristianesimo soppiantò il paganesimo, la coccinella venne identificata niente meno con la Vergine Maria. Complice forse anche il suo “mantello rosso” e i suoi sette puntini neri corrispondenti alle 7 gioie e ai 7 dolori della Vergine, la stretta connessione tra la Madonna e l'insetto in questione è rivelata anche dai termini utilizzati tutt'ora in molte lingue europee ed espressioni dialettali. (vedi elenco in coda all'articolo) Quindi, perché non tentare di attirare nel proprio orto, giardino, o anche solo sul proprio balcone, questa piccola creatura così utile e carica di messaggi positivi? Innanzitutto però per “invitare” le coccinelle dovremmo offrir loro un ambiente accattivante: quindi liberiamoci il prima possibile di ogni antiparassitario chimico. Le coccinelle, come le api e le farfalle, amano poi la biodiversità e gradiscono soggiornare tra un mix di erbe aromatiche, fiori e ortaggi.

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Non solo animali Gli esperti dicono che apprezzano moltissimo cavolfiori, broccoli, calendole e timo ma anche erbe spontanee come tarassaco e ortiche possono fare al caso nostro. Se l'ambiente attorno a noi è stato pesantemente inquinato da sostanze chimiche per molti anni, potremmo avere la necessità di “re-introdurle” noi stessi, acquistando delle specifiche confezioni in commercio disponibili anche via internet. Nelle confezioni, le coccinelle arriveranno sotto forma di uova ma nel giro di 3

o 4 settimane avremo la soddisfazione di vederle diventare dapprima larve, poi pupe e infine adulti. Ovviamente, se da noi non troveranno abbastanza da mangiare voleranno via quasi subito, sbattendo le loro ali anche 85 volte al secondo... Ma sarà comunque anche per noi un bel test di verifica sulla reale salute del nostro “angolo verde” o un bella esperienza scientifica ed educativa da far provare agli alunni di una scuola. In ogni modo, non affezioniamoci troppo ad una

singola coccinella, se mai la riuscissimo anche a distinguere tra le altre: la sua vita media è di 1, massimo 2 anni. D'inverno poi tutte le coccinelle sopravvissute ai lunghi mesi caldi spariranno e andranno in gruppetti sotto qualche sasso, nell'incavo di un muro o di un pezzo di legno per ripararsi dal freddo. Ma abbiate fede! Se l'ambiente che gli offriamo è biologicamente sano e variegato torneranno tra noi a primavera, cariche di tanta nuova fortuna e allegria.

Il termine “ coccinella” in diverse lingue europee e in alcuni dialetti italiani Marienkäfer: Scarabeo di Maria in Germania - Ladybug: Scarabeo di (Nostra) Signora nel Regno Unito e USA Bubamara: Scarabeo di Maria in Croazia - Mariehøne: Gallina di Maria in Danimarca Madonna: Piccola creatura della nostra cara signora in Olanda - Bete de la Vierge: La creatura della Vergine in Francia Frauenkäferlein: Scarabeo della Madonna– in Boemia - Jungfru Maria Nyckelpiga: Domestica chiave della Vergine Maria in Svezia Mariolina (Emilia Romagna), Maria-Vola (Piemonte, Veneto), Maria (Veneto), Jaddenedde de la Madonne (Puglia), Mariolla (Sardegna) ecc. ecc...

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Limana in cronaca

IL NUOVO PARCO GIOCHI

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l comune di Limana ha inaugurato il nuovo parco giochi di Sampoi e rinnovato l’area sportiva, un investimento di 103.868€. “Si tratta di interventi che abbiamo fortemente voluto”, commenta il Sindaco di Limana Milena De Zanet. Il primo intervento ha riguardato il parco Limanesi nel Mondo, un’area destinata ai più piccoli per la quale il Comune di Limana è risultato beneficiario di un contributo della Regione Veneto per l'installazione di giochi inclusivi di 22.353,56€. Il Consorzio BIM Piave ha cofinanziato l’opera con ulteriori 18.364,95€ mentre il Comune ha investito 17.550,33€ per un importo totale di 58.268,84€. Avuta la certezza delle risorse a disposizione, prosegue il Sindaco, abbiamo attivato l’ufficio tecnico comunale che ha curato la progettazione e la direzione dei lavori con grande professionalità”. L’allestimento di cantiere, con demolizione dei vialetti in calcestruzzo ormai degradati e preparazione dei getti, è stata eseguita dalla ditta zu-

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mellese SOMMACAL VIVOLEGNO S.r.l.; quindi la ditta vicentina POZZA 1865 S.r.l. ha fornito ed installato i nuovi giochi; infine la ditta FELTRIN PAVIMENTAZIONI S.r.l. ha eseguito i getti di calcestruzzo armato ed il trattamento finale. “L’Installazione dei giochi”, spiega De Zanet, “è avvenuta a settembre 2019 mentre i nuovi vialetti e la piattaforma sono stati realizzati nella tarda estate del 2020. Purtroppo la prima e la seconda ondata della pandemia che abbiamo conosciuto a inizio e fine 2020 ci hanno impedito di dare all’opera il giusto rilievo con un’inaugurazione ufficiale”, avvenuta lo scorso 3 aprile. Il secondo intervento ha portato alla riqualificazione dell’area sportiva di Sampoi e alla realizzazione di una zona fitness. L’opera, del costo complessivo di 45.600,00€, è stata finanziata con fondi del Consorzio Bim Piave per 25.250,00€ e con fondi propri del Comune per 20.350,00€. “L’area”, afferma il Sindaco, necessitava di una generale risistemazione soprattutto delle tribune esistenti. I

periti edili Ortolan Antonio ed Alessandro ed il perito industriale Andrea Bonifetto hanno realizzato e donato gratuitamente al Comune di Limana il progetto definitivo ed esecutivo del nuovo teatro ben accolto dall’Amministrazione che ha affidato l’esecuzione dei lavori all’Unione Montana Valbelluna. Nel frattempo, il perdurare della pandemia ci aveva portato a riflettere sulla mancanza di un’area per esercizi all’aperto a Limana. L’incontro con la ditta SKY FITNESS S.r.l. di Treviso ci ha spinto ad acquistare dieci stazioni per esercizi vari di cui una riservata a persone diversamente abili. In tal modo un’area già vocata alla cultura e allo sport, grazie alla presenza di un campo di tennis ed un campo di calcio in erba sintetica con relativi spogliatoi, è stata ulteriormente arricchita”. Il Sindaco De Zanet ringrazia tutti gli enti che hanno sostenuto queste iniziative, le ditte e l’Unione Montana coinvolte nella realizzazione delle opere e nelle forniture di attrezzi ed arredi, l’ufficio tecnico comunale per aver saputo reperire i fondi e coordinare tutti i soggetti coinvolti. Un ringraziamento particolare è stato rivolto ad Ortolan Antonio ed Alessandro e ad Andrea Bonifetto per la grande generosità dimostrata nel donare gratuitamente alla comunità limanese, ed in particolare di Sampoi, un ottimo progetto per la sistemazione delle gradinate del parco.


Che tempo che fa di Giampaolo Rizzonelli

Marzo 2022 temperature record in Antartide

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n Antartide nel corso del mese di marzo (In Antartide il mese di marzo corrisponde con l’inizio dell’autunno) si sono registrate temperature eccezionalmente elevate rispetto alle medie del periodo. Alla base di ricerca russa di Vostok a circa 1300 km dal Polo Sud e a un’altitudine di 3.488 metri è stata registrata una massima di -17,7°C, si non è un errore di stampa, c’è un meno davanti, ma qui la media delle massime a marzo di solito è di -53°C, per rendere l’idea (estremizzando) come dire che a Trento facesse una massima di +50°C a marzo. Negli ultimi 65 anni, da quando cioè si rilevano le temperature in quella zona dell'Antartide, non

erano mai state rilevate temperature così elevate: fino a oggi era resistito il record (di caldo) di -32 °C del marzo 1967. A certificare queste temperature anomale è stato il Climate reanalyzer dell'Università del Maine. Nella figura n. 1 che analizza l’anomalia di temperatura per il giorno 17 marzo 2022 si vede chiaramente come la parte orientale del continente antartico abbia registrato tempera-

ture fuori norma e addirittura fuori scala, oltre i 30°C superiori alle medie 1979-2000. Stessa situazione alla base Concordia sempre in Antartide dove la temperatura di -11,5°C registrata il 18 marzo supera di oltre 40 gradi la media stagionale, di solito intorno ai -50 gradi. (Vedi fig. 2) In che misura questi record estremi possono essere collegati ai cambiamenti climatici? Non è mai possibile, a breve termine, collegare direttamente un evento del genere al riscaldamento globale. Ma il legame è comunque visibile a lungo termine: come notato dagli scienziati dell'IPCC, il cambiamento climatico è definito anche da un aumento della frequenza di eventi meteorologici estremi, come le ondate di calore. Questi straordinari record di temperatura in Antartide sono della stessa entità dell'intensa ondata di caldo avvenuta in Canada nel giugno 2021.

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Conosciamo il territorio di Beatrice Mariech

"Il Museo Civico“ tra ieri e oggi

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stata inaugurata il 29 aprile scorso la nuova sezione archeologica del Museo Civico di Feltre che testimonia quanto l’antica Feltria abbia effettivamente costituito un importante centro romano. Sono qui raccolti i più importanti elementi archeologici rinvenuti su suolo feltrino, che dialogano tra di loro e con l’intero territorio circostante grazie a vari approfondimenti multimediali. Ma cosa sappiamo a proposito della nascita del Museo? L’idea di costituire un Museo Civico per la città di Feltre si formò di fatto nel 1903, quando il Comune ricevette in donazione da parte della nobildonna

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Antonietta Guarnieri Dal Covolo un’importante raccolta di opere d’arte, perlopiù dipinti e manufatti di artigianato popolare e religioso. In seguito, su richiesta dell’allora sindaco Ferruccio Bonsembiante, i cittadini si mossero per aggiungere altri oggetti e documenti alla collezione e nel settembre dello stesso anno questa prima sezione venne provvisoriamente esposta presso il Palazzo della Ragione e solo in seguito spostata definitivamente presso il Palazzo Villabruna, sede che tutt’ora ospita il museo. Palazzo Villabruna venne costruito molto probabilmente nel 1400 e originariamente, oltre ad essere un’abitazione, era stato pensato per svolgere anche la funzione di fondaco. Venne distrutto durante la violenta guerra cambraica del 1509 – 1510 voluta dalla lega di Cambrai, una coalizione militare costituita da Spagna, Francia e Sacro Romano Impero che decise di mettersi contro la Repubblica di Venezia dichiarandole guerra nel 1508. L’intento della Lega era quello di sconfiggere la Serenissima per mettere fine alla sua continua espansione e successiva-

mente spartire i territori veneti tra le tre potenze. L’edificio venne dunque ricostruito durante il primo decennio del sedicesimo secolo, per cui oggi ci appare di gusto rinascimentale. Nei primi anni del 1900 il Comune di Feltre decise di acquistare il palazzo per renderlo sede ufficiale del Museo Civico, che verrà inaugurato in questa sede nel 1928 in seguito ad un restauro curato, tra gli altri, dall’architetto Alberto Alpago Novello. Da allora la collezione che comprende, tra gli altri, opere pittoriche, ceramiche ed arredi, verrà progressivamente arricchita, grazie anche ad ulteriori donazioni da parte dei cittadini, come quella avvenuta nel 1924 da parte del conte Jacopo Dei, il quale decise di donare alla città anche le sue raccolte. Ulteriori


Conosciamo il territorio ampliamenti delle collezioni avverranno poi tra il 1944 e il 1952, anno in cui venne inaugurata la sala archeologica, e successivamente tra il 1954 e il 1997. All’interno dei locali del piano terra, il quale è già strutturalmente degno di nota perché seminterrato e incavato nella roccia, troviamo la sala archeologica, che è stata arricchita di reperti unici, databili tra l’epoca retica sino alla caduta dell’Impero Romano, e raccolti all’interno di sale tematiche. Qui è possibile ammirare alcuni ritrovamenti piuttosto rari, che costituiscono un vanto per la nostra città: vale la pena ricordare la celebre statua di Esculapio, divinità greca della medicina, e l’ara dedicato ad Anna Perenna, che testimonia dunque come anche a Feltria fosse presente il culto della misteriosa divinità romana protettrice dell’anno, iscrizione preziosissima se consideriamo che si tratta dell’unico reperto dedicato alla dea

ritrovato al di fuori del Lazio; non solo, è inoltre possibile conoscere la storia di Lucius Oclatius Florentinus, pretoriano feltrino che venne sepolto due volte: le due lapidi funerarie, una giunta a Feltre come prestito da parte del Museo Archeologico di Roma, ricorderanno la peculiare vicenda e fungeranno inoltre da pretesto per raccontare la società dell’antica Feltria. Dal primo piano a salire Palazzo Villabruna si rivela invece una vera e propria casa museo, curata in modo tale da ricostruire fedelmente una tipica dimora aristocratica di Feltre: le stanze sono infatti ammobiliate in modo tale da apparire

esattamente come si sarebbe presentata un’abitazione patrizia ed accolgono mobili provenienti dalle abitazioni feltrine e risalenti ai secoli che vanno dal XV sino al XIX, assieme a stemmi araldici appartenenti a rettori veneziani e alla nobiltà locale, dipinti e ancora oggetti di artigianato, tappeti e oggetti di uso quotidiano.

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È entrato in funzione il REVE! Il nuovo registro dei veicoli esteri.

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al 21 marzo 2022 è entrato in funzione il REVE, ovvero il pubblico registro che interesserà tutti i veicoli con targa estera e che nello specifico comprende autoveicoli, motoveicoli e rimorchi che sono stati immatricolati in un paese diverso dall'Italia e che tuttavia circolano nel territorio italiano. Iscrizione, quelle del REVE, obbligatoria per continuare a circolare liberamente in Italia. Per quanto sopra tutti cittadini stranieri che hanno ottenuto oppure otterranno la residenza italiana, dovranno necessariamente immatricolare nel nostro paese i veicoli di loro proprietà che sono stati già immatricolati all’estero. E dovranno farlo entro e non oltre tre mesi (90 giorni) dall'ottenimento della residenza. Una particolare deroga è concessa ai cittadini stranieri residenti all’estero i quali potranno circolare in Italia con veicoli con targa estera per la durata massima di un anno. E’ opportuno ricordare che il REVE vale solo ed esclusivamente per tutti i veicoli immatricolati all'estero, ma utilizzati da una persona diversa dall'intestatario residente nel paese italiano. L'iscrizione al REVE può essere fatta sia allo sportello telematico dell'automobilista (STA) ope-

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rativo presso un’agenzia specializzata sia recandosi al Pra. Sarà, di poi, rilasciata una attestazione che dovrà essere sempre esibita. L'attestazione conterrà la targa estera, un codice identificativo e un QR Code. A questo nuovo obbligo sono interessati anche tutti i cittadini che vivono in un paese, ma che lavorano in un altro. Nello specifico si parla di “lavoratori frontalieri” che giornalmente si spostano da un paese all'altro per lavoro, vivendo per esempio sul confine dello Stato. Questi lavoratori potranno utilizzare un proprio veicolo con targa estera, ma a condizione di iscriversi al Pubblico Registro dei Veicoli Esteri. E dovranno farlo entro e non oltre 60 giorni dall'acquisto del proprio mezzo (autoveicolo, motoveicolo e rimorchi).

Per chi ha un veicolo in leasing o noleggio, il REVE prevede che a bordo si debba avere non solo il documento di circolazione estero, ma anche un documento sottoscritto dall’intestatario del veicolo – dal quale risulti, a che titolo e per quanto tempo utilizzeranno il veicolo di cui sopra. Particolare deroga, ovvero non sono tenuti alla registrazione REVE alcune categorie quali: il personale civile e militare dipendente da pubbliche amministrazioni in servizio all’estero (es. le forze armate e i familiari delle stesse). Dopo la registrazione sarà rilasciato un attestato che dovrà essere sempre esibito su richiesta. Tale attestazione conterrà la targa estera, un codice identificativo e un QR Code.


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