Ieri avvenne di Emanuele Paccher
Battaglione 101: un uomo comune può diventare uno spietato assassino?
È
l’alba del 13 luglio 1942. Cinquecento uomini vengono caricati su dei camion: si tratta del battaglione 101 formato da operai, artigiani, commercianti, padri di famiglia arruolati da poco nella polizia tedesca, più per dovere che per piacere. Sul camion ricevono delle casse di munizioni, molte di più del consueto, ma non viene detto loro cosa gli spetterà. Arrivati a Jozefow, piccolo paese della Polonia, scendono dalle vetture e si radunano a semicerchio attorno al loro comandante, il maggiore Wilhelm Trapp. Dalle dichiarazioni dei poliziotti emerge il ritratto di un maggiore pallido e nervoso, indisposto pure nel parlare. Ma gli ordini sono ordini. Comincia quindi il suo discorso, dichiarando che quanto detto era volere delle alte sfere e ricordando che gli ebrei erano in combutta con i partigiani, i quali boicottavano la Germania a favore degli americani. Finito il preambolo, Trapp dice che quel giorno i suoi uomini avevano il compito di rastrellare gli ebrei. I maschi abili al lavoro dovevano essere separati dagli altri e portati in un campo apposito. Gli altri, ossia donne, bambini, vecchi, malati, dovevano essere fucilati sul posto. Il maggiore finisce il suo discorso con una proposta davvero inusuale: se qualcuno
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fra i poliziotti non si fosse sentito all’altezza del compito, avrebbe potuto fare un passo avanti. Chissà cosa è passato per la testa agli uomini del battaglione in quel preciso istante. Come detto, non erano fanatici ed è probabile che aderissero passivamente al regime nazista, non condividendone tutti gli ideali. Ma fare un passo avanti significava schierarsi contro l’autorità e mostrarsi debole agli occhi dei compagni. Il risultato fu che solo dodici poliziotti fecero quel passo. Ci si potrebbe aspettare che le conseguenze furono atroci verso i “disertori”, ma in realtà non ci fu alcuna conseguenza. Questi uomini furono semplicemente adibiti a mansioni differenti. In quel tragico 13 luglio a Jozefow si verificò un massacro: 1800 ebrei furono rastrellati, poche centinaia finirono in qualche campo, gli altri vennero immediatamente ammazzati. Il modus operandi era il medesimo dei plotoni di esecuzione: ogni poliziotto prendeva un uomo, un suo simile, che il destino aveva fatto nascere ebreo, lo faceva stendere per terra e gli sparava un colpo sotto la nuca. Jozefow fu l’inizio di una tragedia che si protrasse per oltre un anno. In questo periodo
il battaglione 101 uccise altre 38000 persone, collaborò alla deportazione a Treblinka e allo sterminio di oltre 45000 ebrei. Cosa può portare un uomo ad uccidere un suo simile? Uno degli aspetti più tragici di questa vicenda è che quei poliziotti erano uomini come noi. Il conformismo, il rispetto dell’autorità, la paura e chissà quali altri fattori fecero sì che si trasformarono in mostri. In poche parole: uomini comuni, tremendi assassini. Dobbiamo credere che la storia possa insegnarci qualcosa. Queste vicende non devono più ripetersi. Occorre quindi prestare attenzione al presente, specialmente in un momento storico in cui la guerra è a pochi passi, e dove un ragazzino di 15 anni esulta per la vittoria di una gara di kart con un saluto romano, ignorando ciò che è stato il fascismo. Se non condannassimo anche i piccoli gesti rischieremmo di tollerarli, facendoli diventare normali. Non si può correre questo rischio: ricordiamoci che certi orrori potrebbero succedere di nuovo. L’unico antidoto al ritorno della malattia autoritaria è il ricordo. Parafrasando Dostoevskij: è la cultura che salverà il mondo. O almeno si spera.