Storie di guerra di Davide Pegoraro
Essere cappellano militare
L
a figura del cappellano militare nella prima guerra mondiale (furono 2.700) è il frutto di un’evoluzione che vedeva in tempo di pace un trattamento indistinto, nell’adempiere agli obblighi di leva, anche per i religiosi e che poi con la nomina a Capo di Stato Maggiore di Luigi Cadorna ha visto sancire con circolare del 12 aprile del 1915 delle regole più precise. Infatti prima di tale data era previsto che in caso di mobilitazione gli ecclesiastici potessero essere impiegati solo negli ospedali da campo o militari, nelle sezioni di sanità o nei posti di medicazione; unica possibilità per essere presenti con il conforto religioso sul campo era l’arruolamento e la conseguente mobilitazione tra le fila della Croce Rossa. La volontà da parte delle alte sfere militari di esercitare un’influenza sul morale delle truppe, facendo leva sulla comune base religiosa, portò all’assegnazione di cappellani militari per ogni reggimento. Si diede spazio anche ad altre religioni nominando cappellani militari anche
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per la chiesa Evangelista, la chiesa Battista, dieci per quella Valdese, uno per i metodisti, ed infine anche rabbini militari per le truppe di fede ebraica. Stava al vescovo castrense o da campo (carica ricoperta per tutta la durata del conflitto da Monsignor Bartolomasi) nominare i cappellani militari, scelta non facile anche perché i seminaristi, i novizi, i chierici, i conversi e i sacerdoti che non erano parroci o vicari vennero assegnati indistintamente alle unità combattenti (24.000 alla fine della guerra). Il grado del vescovo era di maggiore generale ed era coadiuvato nel suo operato da tre vicari col grado di maggiore. Don Giulio Facibeni In questo quadro si colloca l’arrivo di Don Giulio Facibeni sulla fronte dell’Isonzo. Vorrebbe vedere la linea del fuoco, le trincee, ma non è possibile e transita negli ospedali da campo visitando e confortando i giovani con gli arti straziati e poi sostando a parlare con le interminabili file di soldati che nella piana di Palmanova si dirigono al fronte, la barba
lunga e incolta e ancora la voglia di scherzare per lo scampato pericolo. Tornato a casa è assalito dal tormento per un senso di impotenza verso quei tanti soldati che gli scrivono e non si dà pace per l’aridità dei suoi sentimenti suscitati dall’aver visto assottigliarsi le fila dei suoi giovani che muoiono ogni giorno. La risposta l’ebbe il 24 giugno 1916. “Da oggi anch’io sono soldato” così si sentiva. Viene poi allontanato dalla prima linea per una sistemazione nel convento di S.Domenico di Fiesole dove è allestito un ospedale militare. Ma capisce che la tortura dello spirito per la lontananza da dove si muore nell’anonimato è ben più grave dei disagi che la vita militare arreca. La rotta di Caporetto lo trova sul Globokak dove seppellisce molti fratelli, poi la ritirata che vive con la consueta saggia interpretazione: “proprio nella sofferenza si possono scoprire le vere ragioni della nostra vita”. Pensa alla sua destinazione sul nuovo fronte montano del Grappa e alla statua della Madonnina che sta in cima. Finalmente il 17 gennaio del 1918 può tentare una visita al sacello partendo da Cason di Meda dove c’è un ospedale militare, ma da tre giorni la statua è stata portata a Crespano causa lo scoppio di una granata austriaca che l’ha mutilata. Da quel momento in poi la Vergine col petto squarciato e i soldati raccolti attorno a lei in preghiera saranno un’immagine indelebile nei suoi occhi. La croce del Pertica Passano i mesi ed arriva ottobre. E’ il monte Pertica quel luogo di cui Don Giulio non voleva parlare negli anni successivi e si chiedeva perché quella pallottola