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ANNO 7 - NR. 1 - febbraio 2021
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Periodico gratuito d’informazione e cultura
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Editoriale di Armando Munao’
E siamo nel
SETTIMO ANNO C
on questo numero inizia il settimo anno del nostro, anzi del Vostro periodico. I primi sei, trascorsi all’insegna di una costante crescita “giornalistica”, ci hanno dato continue soddisfazioni, grazie e soprattutto all’attenzione, e all’apprezzamento che Voi, cari lettori, ci avete sempre dedicato. Un interesse, il Vostro, che ci ha spronati a percorrere la strada del continuo miglioramento. Valsugana News, è bene ricordarlo, è nata nel 2015 dall’esperienza della mai dimenticata “ LA FINESTRA” (per la cronaca è stato uno dei primi giornali gratuiti del Trentino Alto Adige) ed è da essa che ha preso e conservato gli elementi portanti di fare giornalismo e informazione, raccontando e mettendo in evidenza non solo i fatti e gli avvenimenti locali, ma anche quelli nazionali e internazionali. Un fare, il nostro, che nell’era di internet, con annessi e connessi, credetemi non è stato facile, ma il continuo sostegno dei nostri lettori e degli inserzionisti ci ha spinti a continuare su questa strada, ovvero della rivista stampata. E lo abbiamo fatto e continueremo a farlo anche e soprattutto per le tante lettrici e tanti lettori, che per numerosi e validi motivi, non utilizzano il web per leggere un periodico o un qualsiasi articolo, o perché non sono attrezzati o più semplicemente per il
piacere di avere tra le mani un giornale cartaceo che indubbiamente è, per loro, di più facile consultazione. Valsugana News è un periodico gratuito che vive per merito degli inserzionisti che hanno colto nella nostra rivista quel potenziale di visibilità capillare per le loro attività commerciali, industriali e artigianali. Una pubblicazione che può essere facilmente reperita grazie alla continua disponibilità di tutte le aziende e attività commerciali che ci permettono di posizionarla per essere a disposizione dei lettori. Quindi, ancora una volta, e non mi stancherò mai di farlo, a tutti loro il mio un sincero e sentito GRAZIE. In chiusura, e lo faccio con particolare piacere, e permettetemi, anche con una piccola punta di orgoglio, Vi in-
formo che nel mese di ottobre dello scorso anno ho dato vita a FELTRINO NEWS, il gemello di Valsugana News, che con le sue 96 pagine e 5mila copie viene – gratuitamente - distribuito in tutti i comuni della Vallata Feltrina e anche oltre. Una pubblicazione che sta riscuotendo plausi ed unanimi consensi. Un progetto editoriale, mi preme sottolinearlo, che senza il contributo di Waimer Perinelli, insostituibile condirettore, di una fantastica attiva e quanto mai dinamica redazione, di un vero e competente professionista dell’arte grafica, di un validissimo responsabile dell’ufficio pubblicità e con il benestare del nostro editore, Enrico Coser, sempre pronto a sostenere le nostre iniziative editoriali, di certo non avrebbe preso vita.
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SOMMARIO ANNO 7 - FEBBRAIO 2021 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munaò - 333 28 15 103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Chiara Paoli - Elisa Corni COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser COLLABORATORI Waimer Perinelli - Erica Zanghellini - Katia Cont Alessandro Caldera - Massimo Dalledonne Francesca Gottardi - Maurizio Cristini Laura Mansini - Alice Rovati Giorgio Turrini - Laura Fratini - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover - Veronica Gianello Nicola Maschio - Giampaolo Rizzonelli - Mario Pacher CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott. Francesco D'Onghia - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni D'Onghia - Dott. Marco Rigo EDITORE - GRAFICA - STAMPA Grafiche Futura srl Via della Cooperazione, 33 - Mattarello (TN)
PER LA TUA PUBBLICITÀ cell. 333 28 15 103 direttore@valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a GRAFICHE FUTURA srl, le loro pubblicità, le loro immagini, i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.
Editoriale 3 Sommario 5 Fatti e Misfatti: morte di un giornale 6 Punto & a capo- il condominio Italia 9 Uno non vale uno 11 Salviamo la democrazia 13 Le donne nella storia: Chiara Lubich 15 Chiara Turrini,la scena della vita 16 Chiara Lubich, ponte fra culture 18 Qui USA, Biden ha giurato 21 La Prima della Scala virtuale 23 In controluce: c’è un virus nella sanità 24 Il personaggio : Sofia Loren 27 La donna nell’arte 28 Il Sole Invictus e il Carvevale 30 Padre Beato Bellesini 33 Pasqualino sette bellezze 34 La Sanremo che verrà 37 Sanremo: i miei primi trentuno anni 38 Michele Bettega: gli albori dell’alpinismo 42 Conosciamo il territorio: una chiesa per Tenna 44 Enzo Celli e il life coaching 46 Gruppo Poli: coltiviamo i vostri progetti 49 Il calcio in evidenza: Josè Mourinho 50 Storie di casa nostra 52 Quando si credeva nei vampiri 55 Quattro buoni propositi 56 Qui Pergine: l’Associazione Dorma Mentis Tridentinae 58 Per imparare la lingua dei segni 60 Le cose belle successe nel 2020 61 Caldonazzo e le trippe del castello 62 Livia Marchesoni, pensieri di una poetessa 63 Con il Covid in calo i reati in casa 64 Medicina & Salute: la comunicazione nella coppia Benessere & Salute: le regola per una buona visione Medicina & Salute: quando l’emozione diventa cibo
Le donne nella storia Chiara Lubich Pagina 15
In controluce Un virus nella sanità Pagina 24
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Gli animali domestici 70 Storie italiane: Elena Ferrante 71 La grotta del Colo 72 La brina, la rugiada e la galaverna 74 Lettera al direttore 75 Che tempo che fa: la neve di dicembre e gennaio 2021 76 Giocherellando 78
La Valsugana Una chiesa per Tenna Pagina 44
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Il fatto in cronaca di Rocco Cerone *
Un tratto di penna: morte di un giornale Comincia all’insegna del lutto il 2021 per l’informazione in Trentino Alto Adige, un tempo isola felice, ma oggi non più almeno per 19 giornalisti del quotidiano Trentino, che – con un tratto di penna – si sono ritrovati senza lavoro da un momento all’altro.
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a data spartiacque che segna un prima ed un dopo è venerdì 15 gennaio 2021, quando è stata decretata la sentenza di morte del Trentino, diventata una giornata di lutto per l’informazione libera e per la democrazia, che interrompe una storia di 75 anni del giornale nato come Alto Adige, trasformato nella testata Trentino nel 2000, diventato poi autonomo con un proprio direttore tre anni fa. Giornale che ha accompagnato dal secondo dopoguerra fino ad oggi la rinascita, la ricostruzione, le trasformazioni politiche, economiche e culturali di questo territorio specialissimo di confine e di ponte tra il mondo italiano e quello tedesco. Un compito non facile in una comunità dove lo scontro etnico è stato per troppo tempo all’ordine del giorno, tra rivendicazioni separatistiche da un lato ed esasperati nazionalismi dall’altro. In questo contesto l’Alto Adige ha sempre rappresentato la voce della comunità di lingua italiana, sempre però senza smettere il filo del dialogo con il mondo tedesco. Esemplare, in proposito, la presenza sull’edizione di Bolzano - fino alla fine degli anni ‘90 - delle pagine in lingua tedesca, fucina di talenti giornalistici e di voci politiche che non riuscivano a trovare spazio nei media legati al mondo tedesco. A Trento il giornale, nel momento della nascita nel 1968 del movimento studentesco, fu capa-
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ce di cogliere la spinta e i valori che arrivavano da Sociologia e dai suoi leader storici, grazie anche allo spirito laico della testata che aveva, come concorrente su piazza, il quotidiano l’Adige strettamente legato alla Curia e alla Democrazia Cristiana, il cui primo direttore fu Flaminio Piccoli. Alto Adige prima e Trentino poi, nel corso dei loro 75 anni, hanno incrociato diverse realtà editoriali che hanno fatto la storia dell’informazione in Italia: da Rizzoli a Mondadori, passando per il Gruppo Espresso-Repubblica attraverso la galassia Finegil, capofila dei giornali locali. Come ha scritto nell’ultimo numero in edicola sabato 16 gennaio il direttore Paolo Mantovan nel suo saluto di commiato: il Trentino è stato un pezzo importante di democrazia, un luogo in cui la comunità si è misurata e costruita. Perdere una voce – ha concluso Mantovan - in un momento in cui la democrazia conosce capitoli come
quello del Campidoglio a Washington, dove, graffiato sulle pareti durante l’invasione del 6 gennaio, si leggeva “murder the media” (“uccidi il giornalismo”), perdere una voce è un grave rischio per tutti. Credo che queste parole racchiudano plasticamente l’amarezza con la quale è stata accolta la decisione repentina della società editrice, proprietaria oltre che dei giornali di lingua italiana Trentino anche dell’Alto Adige, dell’Adige, di Radio Dolomiti, che, senza preavviso ha chiuso il giornale con effetto immediato e annunciato di volere mettere in cassa integrazione a zero ore tutti i giornalisti. Rimarrà – di fatto sulla carta - la testata online, alimentata dalla redazione infragruppo, che quindi non assorbirà che uno dei giornalisti rimasti senza lavoro. Decisione che disattende l’impegno preso due mesi prima dall’azienda che, in concomitanza con l’annuncio
Il fatto in cronaca della fusione per incorporazione di SETA SPA in SIE SPA del 18 novembre 2020, dichiarava che si sarebbe impegnata a presentare entro il mese di gennaio 2021, per ogni giornale del gruppo, un nuovo piano editoriale per il mantenimento dell’autonomia delle testate e per il rilancio delle stesse sul mercato e che, dall’operazione aziendale, non si sarebbero avute ricadute occupazionali eccedenti al numero degli esuberi già individuati dall’azienda nell’ultimo anno. Ma la chiusura del Trentino chiama in causa anche il comportamento del gruppo Athesia di proprietà dell’imprenditore sudtirolese Michl Ebner sotto il profilo etico: soltanto lo scorso anno, il quotidiano di lingua tedesca Dolomiten, di proprietà dello stesso Ebner, ha percepito oltre sei milioni di euro di contributi pubblici del fondo per le minoranze linguistiche, accaparrandosi oltre il 60 per cento delle risorse messe a disposizione dal governo centrale. Situazione che è anche la conseguenza di una evidente posizione dominante raggiunta sul mercato editoriale regionale dal gruppo Ebner, sulla quale rimane quanto mai necessaria una riflessione in sede politica e parlamentare che la Federazione Nazionale della Stampa Italiana non mancherà di sollevare. Il tema non è soltanto
sindacale, umano che investe diciannove persone, diciannove famiglie, diciannove mondi, ma il patrimonio culturale, ideale, giornalistico che ha rappresentato per 75 anni questo testimone della storia locale, pensiamo soltanto alla nascita, crescita e sviluppo dell’Università di Trento, che è stato annientato, impoverendo il panorama giornalistico regionale e facendo mancare una voce significativa, che costituisce un depauperamento per la stessa democrazia. Ecco cosa accade in questa ricca ed opulenta terra di confine, dove i denari dello Stato centrale hanno fatto diventare questa autonomia la più tutelata del mondo e nello stesso tempo questo territorio privilegiato non ha avuto finora uno scatto di
Promuovere crescita è stato il volano del nostro 2020. Siamo felici di affermare la riuscita del nostro intento.
orgoglio in grado evitare la chiusura di un giornale che ha contribuito non poco a farla crescere. Timide finora le reazioni che sono venute dalla cosiddetta società civile. Il 2021 comincia più povero ed all’insegna di una voce in meno in questo territorio.
* Rocco Cerone (già giornalista RAI, è segretario del sindacato giornalisti del Trentino Alto Adige)
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Punto & a capo di Waimer Perinelli
Il condominio Italia Alberto Beneduce, un nome una profezia, è persona che troviamo nel libro “Perché l’Italia amò Mussolini” scritto da Bruno Vespa, giornalista ovvero persona capace di vedere, approfondire e raccontare quanto gli accade intorno. E’ anche moderatore e coordinatore di incontri televisivi, talk show salottieri dove si muove come un domatore e ammansisce gli “animali” della politica.
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u Beneduce a dare vita all’ IRI, l’istituto della ricostruzione, con cui l’Italia superò la crisi mondiale degli anni Trenta e fino al 2002 i molti momenti neri. Socialista, anticlericale, il casertano, economista e pubblico amministratore, godette della fiducia di Benito Mussolini che, scrive Vespa, ne sfruttò le molte doti. La prova di una intelligente politica aperta a tutti i contributi. Questo senza nostalgie, perché la storia non si ripete, ci deve far riflettere sui nostri tempi tragici. Sulle poltrone di Porta a Porta si sono seduti personaggi vari che, in una sorta di Bestiario, sono descritti dal Corriere della Sera, come zoo politico: lo scorpione Matteo Renzi capace di pungere ed affondare la rana da cui è salvato; l’ineffabile Giuseppe Conte la Volpe bianca ; il lupo Matteo Salvini.
Noi aggiungiamo Vespa, il profeta. La profezia del collega Rai è stato il libro “ Perché l’Italia amò Mussolini” regalatomi da mio figlio in occasione del compleanno, triste giorno che ti accorcia la vita quando, girata la boa, non conti più gli anni raggiunti ma i rimanenti. La letteratura, storica o letteraria riguardante Benito Mussolini è vasta. Recentemente ho letto “M il figlio del secolo” di Antonio Scurati, una storia romanzata sull’ascesa al potere del Duce socialista e fascista, rispetto al quale la proposta di Vespa mi è sembrato uno strumento psico analitico per analizzare una parte della propria vita; approfondire un capitolo di storia già affrontato nel suo precedente libro “Perchè l’Italia diventò fascista”. Ma il libro non è solo storico bensì profetico. Seduto nello studio di Porta a Porta, frequentando le poltrone dei salotti, i luoghi santi e le antiche rovine della Città eterna, tanto ben descritte anche da Corrado Augias nel suo libro sui Misteri di Roma, il giornalista e politologo Bruno Vespa ha raccolto umori e sensazioni attuali ricche di suggestioni del passato capaci di interpretare il presente indicando a chi guarda oltre il dito, una soluzione per le nostre angustie presenti. Il libro affronta, in forma inedita, ma basandosi soprattutto su precedenti studi storici, la nascita del fascismo con la trasformazione di Mussolini, da socialista a nazionalista, la crescita e affermazione del movimento fascista e il contributo che ad esso fornirono uomini capaci e intelligenti, come Italo
Scurati, vincitore del premio Strega 2020
Balbo, l’eroe sacrificato, Grandi, Bottai e appunto Beneduce, che malgrado il nome benedicente, fascista non era. E’ questo politico campano e massone uno dei molti esempi proposti da Vespa quali testimoni dell’intuito ed accortezza dell’Uomo solo al comando. Gli italiani lo amarono afferma il giornalista show man. Molti ma non tutti: certamente non i fratelli Rosselli, né Matteotti, tanto meno Togliatti e Degasperi...e oggi lo rinnega anche Emanuele Filiberto, il Re D’Italia emerito, che chiede scusa per le leggi razziali del 1938. Ma questa ricerca di Vespa rivolta al passato si attualizza nella parte finale con l’analisi della pandemia da Covid che sfocia nel caos della politica. All’ Eur che Augias definisce, l’ultimo serio intervento urbanistico di Roma e siamo nel 1942, sta scritto: italiani popolo di eroi, poeti, navigatori...e possiamo aggiungere pescatori. Oggi nell’acquario del Parlamento ricco di pesci multicolori si pesca a strascico con la rete a maglie strette, mentre il dibattito più che parlamentare sembra condominiale. Il condominio Italia.
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A parere mio di Cesare Scotoni *
Uno non vale uno
Manifesto “per una politica attiva” La cartina tornasole del ritardo del Paese lo troviamo nella genesi del libro “La Casta”, uscito nel 2007. Un libro di denuncia e di costume, uscito però con 20 anni di ritardo sulla Storia. In cui per comodità si scambiavano i Sintomi con le Cause in omaggio ad antichi Usi Nazionali ed in cui l’individuazione del “Capro Espiatorio” era la via scelta per fuggire da ogni ipotesi Riformista. Il successo avuti da quel libercolo e da quel titolo hanno rappresentato il massimo che lo Spirito Rivoluzionario Nazionale riuscisse ad esprimere dal comodo dei Talk Shows visti in TV.
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artiamo quindi da lì per dirci che “quella roba” non era e non è Politica. Era la denuncia di un Degrado, forse era Parodia o forse Pantomima, ma certamente una fuga dal ruolo della Politica in Democrazia. Ed ha fornito “legna” al fuoco dell’Antipolitica, facendo leva sullo sdegno anziché sulla sfida di un’alternativa. Gli orfani della Prima Repubblica, frastornati dallo scoprire che al di fuori delle comode rigidità dei ruoli voluti da un Occidente diviso in due Blocchi, la Politica deve essere fatta di Elaborazione e Pensiero, Scelte ed Azioni, di Progetti di Progresso Sociale, si son dispersi e riaggregati più volte, mettendosi al centro delle proprie riflessioni con il loro destino anziché con il loro agire. Cosa si vuole dalla Politica? Si vuole innanzi tutto una lettura convincente della Realtà che viviamo, di ciò che accade a noi ed attorno a noi, si vogliono delle scelte ben motivate e possibilmente giuste, si vogliono risposte concrete e si vogliono prospettive. Si vuole uno Spazio in cui selezionare Classe Dirigente. Chi non crede che la Politica sia fatta di quei “mattoni” e si riduca a comunicazione e belle parole è stato misurato in questi 30 anni di chiacchiere e di grida, in
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cui il nostro Paese ha proseguito nel suo arretramento verso la marginalità. Cosa si deve dare alla Politica? Si debbono offrire Persone, Competenze, Sentimento, Intelligenza. Coerenza. Visione. Che ciascuno con la sua esperienza avrà costruito. Ed il valore dell’Esperienza ed il suo limite son proprio lì. Che le Esperienze che si incontrano son diverse, per fortuna. Una Politica ha il Dovere della Sintesi ed ora il Paese purtroppo sa che significa scegliere e saper scegliere. Che le scelte sbagliate feriscono il Paese ed il suo Futuro mentre i sussidi ed i bonus dati come elemosina a tacitare gli animi ed a comprare il consenso sono solo il sintomo dell’incapacità di scegliere.
Il chiedere alle Energie di un Paese di dedicarvisi è chiedere tanto. A pochi. L’Antipolitica, l’uno vale uno, l’egualitarismo sostituito all’Eguaglianza di fronte alla Legge, sono la negazione del Valore che l’Individuo può dare alla propria Comunità. L’impegno individuale ha un Costo e chi lo nega è in malafede. Chi ancora ci racconta di una Politica fatta senza riconoscere un Valore a quell’Impegno è un “pataccaro”, uno che fa il gioco delle 3 carte fuori dall’Autogrill ed il Paese, che a quello ha già creduto, ora lo sa fin troppo bene. L’idea che un partito si raccolga attorno ai problemi che si presentano, elabori sul comune sentire delle de-
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A parere mio
Come eravamo
cisioni da prendere nell’interesse del Paese e scelga di proporre i migliori al servizio della Comunità ha però già perso il primo ed il secondo round contro chi proponeva uno Stato inteso come un semplice Ente “erogatore di servizi” in concorrenza sul libero mercato anziché come il tutore degli interessi generali di una comunità che INSIEME individua quegli interessi. La Politica esprime quindi la capacità di riconoscere ed ordinare le priorità e di guidare le scelte e supporto e scudo per chi da solo certi Diritti non può tutelare. Le vicende tristissime del decennio appena trascorso hanno svelato il bluff, l’abitudine ad interpretare per gli amici ed applicare per gli altri delle norme volutamente costruite in modo contraddittorio e confuso, l’uso strumentale di un Concetto di Interesse Nazionale che, ancora una volta viene calibrato sulla
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contingenza, senza la capacità di quel confronto democratico che invece ne legittima l’individuazione. Gli ultimi 12 mesi ci hanno mostrato in modo chiaro come quel gioco Palazzo Madama - Roma non valesse la candela. L’abuso semantico ha sostituito ogni elaboraPretendendo e Costruendo Qualità, zione del Pensiero e con l’elemosina senza fingere di credere che il fango si è fatta politica sociale ed ora che si faccia spontaneamente mattone. “clade factum est”, a latte versato, si Ripensando la nostra Comunità fuori può solo prenderne atto. Deleganda degli schemi esausti e tornando alla Parodia abbiamo affidato il do ai fondamentali del Confronto Futuro dei figli di questo Paese a chi, Democratico e di quelle geometrie annegato in un’ideologia debole, ha costituzionali fatte di ruoli che troppi mostrato l’incapacità di passare dalla protagonisti sembrano aver scordato. Protesta al Progetto. Dunque è il momento di ambire ad una partecipa* L’ Ingegnere Cesare Scotoni zione alla vita democratica più qualiè Consigliere di Amministrazione ficata, larga, massiccia e determinata. della Patrimonio Trentino spa.
In controluce di Waimer Perinelli
Salviamo la Democrazia Ringrazio Cesare Scotoni per l’ ammirevole volontà di interpretare la decadenza o mancanza della politica, riportata nell’articolo “Uno non vale uno”. Ci vuole tenacia per non arrendersi all’evidente scadimento della democrazia.
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el manifesto “Per una politica attiva” esordisce con l’attacco al libro “La Casta” di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, edito nel 2007, accusandolo a ragione di essere stato in ritardo di vent’anni. E’ vero ma era in anticipo di una decina di anni sull’ antipolitica proclamata dai Cinque Stelle del Vaffa del comico Grillo e dell’imprenditore piattaformista Casaleggio. La Casta è un libro ed una denuncia che è in anticipo anche sulle tesi del rottamatore Matteo Renzi al quale va riconosciuto il merito di avere tentato nel 2017/18,e in questo 2021 una risposta politica al degrado del nostro sistema democratico. Se lo stesso Salvini, avesse colto la novità del referendum del 4 dicembre 2016, approvando la riforma elettorale, ora sarebbe al governo da almeno tre anni. E invece si logora nella trebbiatrice, nella rete a strascico, dei cacciatori di poltrone, conservatori della propria, nel modo che nessuna democrazia matura può sopportare. Caro ingegnere, ottima ed intrigante la tua premessa: Cosa si deve dare alla Politica? La risposta: Persone, Competenze, Sentimento, Intelligenza. Coerenza. Visione. Aggiungerei Mediazione e Sintesi, che anche tu citi. Come diceva Churchill: La democrazia altro non è che la dittatura di una maggioranza su di una minoranza. Una cinica interpretazione che tutti gli eletti allontanano con la dichiarazione: sarò il presidente di tutti, ben sapendo che prima di tutto vengono i desideri dei propri eletti e protettori riuniti attorno al partito che, per definizione rappre-
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella
senta una parte. Ma il particolare non esclude il generale come hanno in passato dimostrato alcuni importanti leader . Togliatti, che pochi citano, seppe muoversi pur avendo il suo partito interessi e ideologie particolari, nell’interesse generale e non fu inferiore a Degasperi che muoveva da un’idea opposta e amministrava con sentimento, intelligenza, coerenza, visione: da persona competente. Ciò non lo sottrasse alla mortificazione dei poltronisti, delle tre carte, bianco e nero, la briscola e rosso perde. Il bianco diventerà in breve tempo fuligginoso e, cacciato Degasperi, riuscirà a portarci alle stragi di Milano, Brescia, Bologna..... alla P2, alla trattativa con la mafia. Poveri noi, che vuoi che sia la misera denuncia di Rizzo-Stella sulla meschinità individuale davanti alla delinquenza di tanti piccoli uomini prestati all’interesse di pochi. Il ponte dei Frati neri a Londra, la finestra del Monte dei Paschi di Siena, il caffè amaro di Sindona, sono tentativi di . demolizioni della democrazia che venne salvata dalla parte onesta della società fortunatamente sempre presente. Anche Bettino Craxi,
socialista riformista, che Francesco Cossiga classificava fra gli statisti italiani, fece parte dei salvatori. Pur travolto dall’accusa di corruzione non mortificò mai il Parlamento. Eccoci allora tornati alla tua domanda: cosa si deve dare alla politica? Sicuramente persone non comuni come speciali sono questi tempi. La politica chiede leader carismatici ovvero dotati delle qualità da te elencate; capaci di comunicarle e di applicarle nel modo giusto con il comportamento non solo con le parole. In una Paese dove politica e democrazia sono a infimi livelli corre la tentazione dell’uomo della provvidenza solo al comando ma non lasciamoci travolgere da leader che riconosciamo nell’ironica figura descritta da Beppe Fenoglio: “ Io sono il capo se avanzano li seguo”. Il Transatlantico galleggia, l’Europa ha impedito diventasse un Titanic, la Pandemia ci ossessiona , se non recuperiamo in fretta una democrazia parlamentare ordinata e credibile non ci saranno scialuppe per tutti e cominciano a scarseggiare anche i salvagente individuali.
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Le donne nella storia di Waimer Perinelli
Chiara Lubich Il focolare dell’anima
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ono passati dodici anni dalla morte di Chiara Lubich ma il suo fuoco non ha perso una sola fiamma, il focolare una brace, il cuore un solo anelito di speranza. Questa donna, morta a Rocca di Papa nel 2008, il cui amore ha contagiato tutto il mondo era nata a Trento nel 1920, il 22 gennaio, due anni dopo la prima guerra mondiale che aveva donato all’Italia il Trentino e SudTirolo. Nello stesso anno il deputato trentino Alcide Degasperi compiva ad aprile 41 anni ed aveva già maturato un’esperienza parlamentare alla Camera dei Deputati austriaca. Nel 1921 era stato eletto al Parlamento italiano e nel 1922 sposava Francesca Romani a Borgo Valsugana. Poco dopo avrebbe contrastato con alterne vicende, prigione compresa, il potere del Fascismo. I destini di Degasperi fondatore della Democrazia Cristiana e di Chiara Lubich s’incontrarono il 21 aprile del 1951 e come ricorda Maria Romana Degasperi, figlia dello statista, il padre fu profondamene colpito dalla serenità e fermezza della donna. “ Debbo a lei ed alle sue associate, scrisse, un
Chiara Turrini nel film "L'amore vince tutto" su Chiara Lubich
Chiara Lubich (da Vatican News)
ringraziamento per gli affettuosi auguri e le fraterne preghiere.” Da poco tempo Chiara aveva fondato con un piccolo gruppo di donne il Movimento dei Focolari destinato a diventare uno dei capisaldi dell’ecumenismo cristiano, messaggero i pace e fraternità, espressione del bene. Ad animare Chiara, che del Movimento fu la prima presidente, era il desiderio di aiutare i bisognosi, la ricerca dell’unità dei popoli e la fraternità universale. Come affermato alla cerimonia di conferimento del Premio Unesco per l’Educazione alla Pace 1996, «costante è stato il suo impegno a gettare ponti di pace e di unità tra persone, generazioni, ceti sociali e popoli coinvolgendo persone di ogni età, cultura e credo». Alla figura di questa donna, battezzata con il nome di Silvia che cambiò in Chiara quando entrò nel terz’ Ordine dei Francescani nel 1942, ed al suo impegno politico, Rai Fiction, in collaborazione con Casanova Multimedia e Trentino Film Commission, per la produzione di Luca Barbareschi, attore e regista, hanno dedicato il film “Chiara Lubich,
l’Amore vince tutto”, proiettato in prima assoluta sugli schermi Rai all’inizio di gennaio. Molte sequenze del film sono state girate in Val Canali, sul confine fra Trentino e Feltrino ai piedi delle Pale di San Martino dove Chiara negli anni 40 trascorse diverse estati ed è proprio qui che oltre a maturare le proprie convinzioni spirituali e di fratellanza tra i popoli, la Lubich organizzò Mariapoli, evento che nell’estate del 1959 arrivò a coinvolgere fino a 12.000 persone. La notorietà e la folta adesione al Movimento insospettirono il Sant’Uffizio, erede del noto Tribunale dell’ Inquisizione, voluto da Papa Paolo Farnese nella metà del Sedicesimo secolo, che sollevò pesanti osservazioni. Ma questa è un’altra storia. Quello che ci interessa qui, oggi, è che il film diretto da Giacomo Campiotti, con protagonista Cristiana Capotondi, nel ruolo di Chiara, ha avuto successo, ma, e soprattutto che al film hanno partecipato molti figuranti veneti e trentini e fra questi Chiara Turrini, personaggio vivace, intraprendente e professionale di tante esperienze cinematografiche nazionali.
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Il personaggio di Laura Mansini
Chiara Turrini: la scena della vita Esplosiva, divertente, fuori dagli schemi, ma profondamente colta, appassionata del suo lavoro Chiara Turrini è uno di quei personaggi che sanno conquistare chi la incontra. Sposata con Silvano Scartezzini nel 2000: “Ci siamo sposati a Trento, nella sala Falconetto di Palazzo Geremia- racconta con tenerezza- Ci ha sposato il sindaco Alberto Pacher ed avevamo le nostre due figlie con noi: Stefania nata nel 1990 e Beatrice nel 1995”. Stefania, attualmente è a Roma, scrive sceneggiature, copioni televisivi. Beatrice, dieci volte campionessa nazionale di canoa, si è formata al CUS Trento , del quale ora è alla ricerca di sponsor, sottolinea sorridendo.”
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hiara, molto conosciuta a Caldonazzo per la sua partecipazione come lettrice a tutte le edizioni del Book Festival (2012-2019), ma anche e soprattutto insegnante, ama parlare del suo lavoro; laureata in Psicologia all’Università di Padova ha insegnato al liceo Rosmini dal 1991 al 2019: ” Adoravo i miei studenti, dice, li incontravo in quel periodo difficile ma bellissimo dell’adolescenza. Mi hanno sempre dato energia, allegria e soprattutto bellezza”. E devo confermare che gli studenti amavano lei, tanto che hanno fatto un gruppo d’ascolto on-line per vederla fra gli interpreti del film: “Chiara Lubich,- l’amore vince tutto”. Il film, andato in onda, in prima assoluta, domenica 3 gennaio su RAI 1, è dedicato alla fondatrice del movimento dei Focolari, e ha conquistato 5.641.000 telespettatori pari al 23% di share. Un grandissimo successo per quest’opera diretta da Giacomo Campiotti ed interpretata da Cristiana Capotondi, ottima attrice che ha dato vita ad una Chiara Lubich dolce, innamorata di” Dio Amore”, ricordata nel centenario della sua nascita, il 1920. Il film è una coproduzione Rai Fiction- Casanova Multimedia prodotta da Luca Barbareschi. Nel sentire
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del gruppo d’ascolto dei suoi vecchi allievi la prof. Turrini si commuove un po’ e scoppia a ridere quando le dico la loro delusione nell’averla vista in una parte piccola “ Lei è così brava “ mi hanno detto gli ex allievi, ed infatti la sua Jole è stato un cammeo nell’economia del film. “Ma a me è piaciuto lavorare in quel film, dice l’attrice, ho incontrato persone deliziose come la Capotondi. “ Dotata di una voce calda, molto interessante, Turrini ha iniziato il suo percorso artistico frequentando i corsi di Adriana Zardini Lorenzoni, poi ha partecipato a corsi per doppiaggio e dizione alla RAI di Trento ed a Milano. “Amo molto il teatro ma mi affascinano il Cinema e la Radio, afferma, – io non mi sento di impegnarmi in una compagnia teatrale ho sempre troppe cose da fare”. Attivissima, esuberante sottolinea che suddivide la sua vita in due momenti; “prima della nascita delle figlie e dopo la nascita delle figlie”. Prima della nascita delle figlie ha partecipato alla Maratona di New York, poi ha preso parte a tre spedizioni in montagna, 2 sulla catena dell’Imalaya , la terza, la più alta è stata quella dei seimila metri, sull’Island Peach. E poi viaggi, corsa, atletica.
L'attrice trentina Chiara Turrini
Dopo la nascita della prima figlia ha iniziato ad insegnare continuando però a lavorare per il cinema, la radio certo con minori partecipazioni quando le bimbe erano piccole. Fa sempre parte con Renzo Francescotti del gruppo Neruda, è presentatrice di manifestazioni artistiche, presidente della corale “I Cantori di Serignano , è stata la Voce recitante nell’evento di apertura del Muse di Trento (luglio 2013). Nel 2019 e’ stata lettrice ed
Il personaggio interprete dello sceneggiato radiofonico della RAI di Trento “La manutenzione dell’Universo , indagine su Maria Domenica Lazzeri” scritto da Pino Lo Perfido, per la regia di Giorgio Balducci. Ma è il Cinema la sua grande passione. Ha iniziato nel 1973 facendo “una comparsata” in un film di Mauro Bolognini, interpretato da Claudia Cardinale : ” Libera, amore
Chiara Turrini con Cristiana Capotondi, la protagonista del film (sul set a Pergone Valsugana - 14 agosto 2020)
Come eravamo
Chiara Turrini in una scena del film "L'amore vince tutto"
mio”. Mandando il proprio curriculum ai Casting cinematografici ha potuto partecipare a vari film, fra i quali ama ricordare: “Alcide de Gasperi- l’uomo della speranza” regia di Liliana Cavani interpretato da Fabrizio Gifuni, lei era la madre di De Gasperi. Il film in due puntate è andato in onda su RAI 1 il 25 e 26 aprile 2005. Poi ha partecipato a “Vincere” nel 2009 ,regia di Marco Bellocchio, (vincitore del premio Donatello). Nel 2019 è stata la Strega Ierata nel film “Exitus- il Passaggio” interpretato fra gli altri da Athina Cenci, la regia di Alessandro Bencivenga. Per Chiara Turrini una vita artistica fondamentale nell’economia dello spettacolo e un importante ruolo nella vita reale vissuta da protagonista.
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Le donne nella storia di Chiara Paoli
Chiara Lubich, ponte fra culture
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l film TV “Chiara Lubich – L’Amore vince su tutto”, per la regia di Giacomo Campiotti, è stato recentemente messo in onda e visto da moltissimi trentini e italiani. Il film è stato apprezzato ma in molti si sono chiesti se non sarebbe stato meglio proporre una miniserie in 2 puntate per approfondire ulteriormente la sua storia. Nella versione cinematografica, la protagonista viene sempre chiamata Chiara, ma il suo nome all’anagrafe era Silvia, nata a Trento il 22 gennaio 1920. Silvia sceglie di divenire Chiara, seguendo le orme dell’omonima Santa di Assisi, nell’autunno del ‘42, quando entra a far parte del Terz’Ordine francescano. Come appare dalla trasposizione televisiva, la vita per la sua famiglia non è stata semplice. Il 7 dicembre 1943 Chiara pronuncia il voto di castità, segue la parte di storia narrata attraverso il film TV; l’orrore della guerra, Chiara che assieme ad altre giovani, in primis Natalia Dallapiccola legge il Vangelo e vi trova tutto l’amore di Dio per il prossimo, dando avvio al movimento dei focolari, nella convinzione che «è l’Amore la salvezza del XX secolo». (C. Lubich, Lettera a Duccia Calderari, Avvento 1944, in Lettere dei primi tempi. Alle origini di una nuova spiritualità, Città Nuova, Roma 2010, p. 53) Chiara e le sue compagne si attivano per aiutare i più poveri, mettendo a disposizione quel poco che hanno e chiedendo a chi le circonda di fare altrettanto. Il vescovo di Trento Carlo De Ferrari, ascolta Chiara e sostiene il suo operato, vedendoci “il dito di Dio”. Questa esperienza viene ufficialmen-
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Chiara Lubich con Madre Teresa di Calcutta
te riconosciuta il 1º maggio del 1947, con l’approvazione dello “Statuto dei Focolari della Carità – Apostoli dell’unità”. Nell’estate del “Paradiso ‘49”, come verrà ribattezzato questo periodo che Chiara passa con le sue compagne in Primiero, sulla fondatrice del movimento si concentrano molteplici «comprensioni spirituali». Nell’autunno del 1948 aveva intanto preso avvio il primo focolare maschile, grazie a Marco Tecilla e Livio Fauri. Dal 1950 per 9 anni sui monti trentini, si radunano ogni estate moltissime persone, provenienti da diversi paesi, dando forma al primo gruppo multiculturale rinnovato nel Vangelo, che verrà definito “Mariapoli” (città di Maria). Nel 1953 a Fiera di Primiero, c’era anche Alcide De Gasperi e nel ‘59, sono oltre 10.000 le persone giungono lassù da 27 Paesi.
Nel 1953 entrano a far parte del focolare anche persone sposate, il primo è Igino Giordani, pioniere dell’ecumenismo che diverrà un valido aiuto, tanto da essere individuato quale co-fondatore del Movimento insieme al pistoiese Pasquale Foresi. Ma Dio Amore spaventa e si affacciano accuse di fanatismo, comunismo e protestantesimo. Chiara viene allontanata dal Movimento su richiesta del Sant’Uffizio nel febbraio del ‘52 per provare se l’opera da lei fondata fosse veramente opera di Dio. Solo dopo 12 anni viene riconosciuta la volontà divina di questo progetto e nel ‘65 Paolo VI riconosce pubblicamente Chiara quale fondatrice e presidente del Movimento. 1956 rivoluzione ungherese, Chiara incontra a Vienna un combattente, in queste tragedie vede l’assenza di Dio e mentre papa Pio XII invia un ra-
Le donne nella storia
Chiara Lubich (da La Fedeltà)
diomessaggio, lei stessa invia un suo messaggio, invitando a “edificare una società nuova, rinnovata dalla Buona Novella, sempre antica e sempre nuova, dove splendano con l’amore la giustizia e la verità. Una società che testimoni un solo nome: Dio” (C. Lubich, I volontari di Dio, in «Città Nuova» (1957), n. 1/, in C. Lubich, Attualità – Leggere il proprio tempo, a cura di M. Zanzucchi, Città Nuova, Roma 2013, pp. 11-13). A rispondere sono molte persone comuni che per primi vanno a costituire i ranghi dei “volontari di Dio”, che si suddivideranno successivamente in centri specifici, dedicati alla politica, all’economia, alla medicina e all’arte, fino a divenire nel 1968 il movimento “Per una Società Nuova”, definito poi “Umanità Nuova”. Chiara nelle pagine del periodico “GEN” invita i giovani di tutto il mondo ad unirsi, per divenire un tutt’uno come dice il Vangelo, nasce il movimento Gen (Generazione nuova). Nel ’72 prevede l’irreversibilità dell’incontro tra i popoli e al V congresso internazionale del movimento Gen presenta il nuovo modello di Uomo-mondo, cui seguiranno i movimenti Giovani per un mondo unito (1985) e Ragazzi
per l’unità (1984). Il 19 luglio 1967 Chiara fonda il movimento Famiglie Nuove, affidando alle famiglie che la seguono, quelle smembrate o in difficoltà. Chiara chiama all’unità nel nome dell’amore di Dio, anche tutti coloro che operano nella chiesa. Già nel 1967 il Movimento dei focolari è diffuso nei 5 continenti, Chiara si reca personalmente e invia focolarini ove vi sia bisogno, a partire dalla Cecoslovacchia, dove la chiesa era perseguitata; ma anche in Africa a Fontem in Camerun, dove gli abitanti erano a rischio estinzione. Nel 1991 è a San Paolo in Brasile, dove si confronta con la miseria delle favelas e promuove un Economia di comunione per la lotta alla povertà. Chiara intesse rapporti con la comunità luterana, riformata e anglicana; si reca più volte a Istanbul, dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli Atenagora, con cui instaura un profondo legame spirituale. Rapporti fraterni la legano ai membri del Consiglio Ecumenico delle Chiese e grande amicizia con Frère Roger Schutz, fondatore della comunità ecumenica di Taizé. Nel 1977, a Londra, riceve il Premio Templeton per il progresso della religione. L›eco suscitata in personalità di varie religioni le aveva fatto intuire
di dover dare concreto sviluppo al dialogo interreligioso e così si trova a raccontare la sua esperienza di Dio a buddisti, musulmani, ebrei e indù. Chiara dedica la sua opera a perseguire l’unità tra i popoli e la fraternità universale, figura di spicco per quanto concerne il dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale. Sempre pronta a trovare l’unità tra le persone, ha ricevuto nella sua vita molteplici riconoscimenti, cittadinanze onorarie e lauree Honoris Causa. Ci lascia molteplici scritti che testimoniano la sua grande spiritualità, che la vede entrare a pieno diritto tra i mistici della modernità; molte le meditazioni e i testi su argomenti vari. Chiara Lubich muore a Rocca di Papa il 14 marzo 2008. Il 27 gennaio 2015, nella cattedrale di Frascati, è stata aperta la sua causa di beatificazione e canonizzazione, motivata da papa Francesco con queste parole: «far conoscere la vita e le opere di colei che, accogliendo l›invito del Signore, ha acceso per la Chiesa una nuova luce sul cammino verso l›unità» (https://www.repubblica.it/ esteri/2015/01/28/news/chiara_lubich_beatificazione_focolarini_papa_ francesco-105966232/).
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Qui USA di Francesca Gottardi
Biden ha giurato L’insediamento del 46mo Presidente USA
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l 20 gennaio scorso, il candidato democratico Joe Biden ha prestato giuramento, diventando il 46mo presidente degli Stati Uniti. Biden era stato ufficialmente dichiarato vincitore delle elezioni presidenziali USA il 3 novembre scorso, aggiudicandosi 306 dei 270 grandi elettori necessari per battere Donald Trump. A seguito dei vittoriosi ballottaggi tenutosi il 5 gennaio in Georgia, il partito democratico ora controlla sia il potere esecutivo, che quello legislativo (camera e senato). Il neoeletto presidente USA si trova pertanto in una situazione di vantaggio nella realizzazione del suo programma elettorale. L’insediamento In occasione di ogni insediamento si tiene una cerimonia ufficiale conosciuta come Inauguration Day. Il presidente-eletto presta giuramento e quello uscente dà il benvenuto al presidente entrante. Rompendo dalla tradizione, l’ex Presidente Trump e la first lady Melania hanno lasciato la Casa Bianca prima dell’insediamento del nuovo presidente. La Costituzione USA prevede l’inizio ufficiale del mandato presidenziale a mezzogiorno del 20 gennaio successivo alle elezioni e che il Presidente eletto presti giuramento prima di entrare in carica. Biden ha giurato fedeltà agli Stati Uniti sulla Bibbia di famiglia del 1893, sorretta dalla moglie Jill e con lui ha prestato giuramento anche la prima vicepresidente donna e afroamerica-
Il Presidente USA Biden e la vicepresidente Harris prestano giuramento (da il Messaggero)
na, Kamala Harris. Nel discorso d’insediamento il Presidente USA ha puntato sull’unità degli americani, sulla verità opposta alle fake news, e sulla necessità di ricostruire la nazione dopo i danni della pandemia e delle divisioni politiche. “La democrazia è preziosa e fragile, ma qui negli USA ha prevalso,” ha detto Biden in riferimento agli ultimi avvenimenti, aggiungendo “c’è tanto da riparare e da guarire.” Le critiche A seguito della cerimonia di insediamento, sono immediatamente partite le prime critiche: in molti si sono indignati per l’extravaganza delle celebrazioni, con tanto di fuochi d’artificio, in un momento dove il Paese è in ginocchio a causa della pandemia e per aver bloccato l’intera città di Washington DC il giorno dell’inaugurazione, per favorire la sicurezza del Presidente e delle celebrities che sono accorse per la cerimonia. L’ammin-
strazione Biden è stata inoltre criticata per aver dato indicazioni alla guardia nazionale di dormire in un parcheggio nei giorni della cerimonia. I primi provvedimenti E il neo Presidente non ha perso tempo. Una volta prestato giuramento, Biden ha firmato 15 ordini esecutivi per fare retromarcia sulle posizioni prese da Trump. Tra i provvedimenti l’obbligo di indossare la mascherina all’interno degli edifici federali e quello per mettere fine alla situazione di emergenza dichiarata da Trump per reperire i fondi necessari alla costruzione del muro al confine col Messico. Ha inoltre emanato un provvedimento per rientrare a far parte degli Accordi di Parigi sul clima e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, a seguito dell’uscita degli USA su ordine dell’ex presidente Trump. Il neopresidente Joe Biden sta lanciando un forte messaggio: basta isolazionismo, l’America è tornata.
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Arte, musica e spettacolo di Katia Cont
La prima della Scala virtuale: un’opportunità? Resterà sicuramente nella storia “La Prima della Scala 2020”. Una Prima come quella scaligera, è già di per sé un avvenimento particolare, carico di tensioni, aspettative, critiche e gossip. In questa occasione, però non c’è stata solo una rappresentazione virtuale trasmessa in diretta dalla prima rete nazionale, ma per la prima volta in assoluto la Scala di Milano ha inaugurato la Stagione non con un’opera Lirica, ma con uno spettacolo di musica e danza in diretta televisiva.
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runo Vespa e Milly Carlucci hanno accompagnato il pubblico in un viaggio musicale trasmesso dalle 5 alle 8 del pomeriggio del 7 dicembre con quasi il 15% di share . Lo spettacolo per la regia di Davide Livermore, diretto dal Maestro Riccardo Chailly con la partecipazione di ventiquattro cantanti, ha portato “A riveder le stelle” in casa di tutti gli Italiani, offrendo un momento di rinascita sia culturale che spirituale. Certo non è la prima volta che la Rai trasmette la “Prima Scaligera”. Nel suo ruolo di servizio pubblico propone l’evento dal 2016 con sempre ottimi risultati di auditel, ma si può pensare che questa “Prima” ha un significato diverso per chi l’ha vissuta dal palcoscenico e per chi l’ha seguita dal divano di casa. L’evento non è stato trasmesso live, ma registrato e questo ha permesso di moltiplicare le scenografie, ampliare il cast musicale e di inserire infinite sezioni recitate. Il risultato è stato la messa in scena di uno spettacolo sontuoso, elaborato e completo dal punto di vista di un evento culturale. La pandemia ha obbligato i teatri a chiudere al pubblico, ma non a smettere di lavorare al loro interno. Ciò ha permesso, sempre con l’adozione di tutte le attenzioni del caso, di portare in scena uno spettacolo dal grande impatto emotivo e significativo.
Non mi addentrerò nella recensione dell’Opera e della sua esecuzione, quel tipo di analisi la lascio ai melomani deputati a farlo, la mia vuole essere una riflessione sull’effettiva possibilità di Milly Carlucci e Bruno Vespa (da Formiche.net) proporre questo genere di sere fisicamente in teatro a respirare spettacolo anche tramite i canali web l’odore del palcoscenico, percepire social e tv. Sicuramente però un’asulla pelle la tensione di un cantante, nalisi va fatta, anche volta all’ampliadi un attore o di un ballerino prima mento della fruizione culturale. Per di un debutto. Non sarà mai la stessa un popolo così segnato da evoluzioni cosa certo, il pubblico ha bisogno televisive di dubbio gusto e con una di particolari sensazioni che solo il collettività ormai lontana da una teatro dal vivo riesce a trasmettere, coscienza culturale e critica, forse e l’attore, il cantante o il ballerino questa può essere una possibilità. Sì, ha bisogno di sentire il pubblico, di perché non tutti possono permettersi scrutare le se espressioni di soddisfadi andare alla “Prima della Scala” o zione o di dissenso. Sono momenti semplicemente di assistere ad un’Ofondamentali che dovranno ritornare. pera. Non solo per questioni econoMa ciò non vieta che ci possa essere miche, ma per dinamiche famigliari e sempre l’uno e anche l’altro, con i impegni che non lo permettono, per giusti equilibri e le giuste accortezze. problemi di salute, o semplicemente Trasformiamo questa unica possibile perché non si ha voglia di andare da alternativa in questo periodo come soli. Ci possono essere infiniti motivi per i quali una persona non può esun’opportunità per il prossimo futuro.
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In controluce di Cesare Scotoni *
C’e’ un virus nella sanità Siamo ad un anno dall’Emergenza Sanitaria proclamata in Italia nel gennaio 2020 e non sussiste in alcuno un dubbio su quel grave deficit di competenza e capacità che, pur contrabbandato per un “Modello Operativo” vincente, ha umiliato il nostro Paese in Europa, nelle Statistiche e nei Fatti. Una pressione mediatica inusitata ed un uso estremamente disinvolto delle pieghe della norma hanno restituito ai Cittadini l’idea di un Paese in cui i Valori di una Costituzione che, a differenza della Magna Charta introdotta nel 1215, ha solo 73 anni ed è stata profondamente rimaneggiata in chiave para federalista nell’ottobre 2001, restano sempre delle dichiarazioni di intenti più che essere le fondamenta del Diritto.
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er quanto inerente alle Cause della Crisi Pandemica ad ora vi è ancora poca chiarezza e quindi poco se ne può trarre, ma volendo riassumere per punti le poche cose note: 1-In Cina dove, in precisi contesti, le norme consentivano attività con elevato azzardo biologico altrove non permesse, sono state localizzate delle ricerche “di frontiera” per conto anche di committenti occidentali;
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2-Lì,a quanto noto ad oggi, si è sviluppato un focolaio piuttosto aggressivo di una variante meno letale della SARS-2 che, in quello specifico contesto e dopo una iniziale sottovalutazione, è stato confinato con energia. Ciò mentre l’obbligo di trasparenza e tempestività nel comunicare l’anomalia, cui sono tenuti tutti i membri dell’WHO (OMS) veniva violato in nome della urgenza di una messa in sicurezza ed il virus “usciva”
dalla Cina; Questo ha comportato il ritardo di un paio di mesi nell’elaborazione di una credibile risposta al rischio e, nel contempo, a trascurare l’esigenza di un coordinamento a livello sovranazionale tra i Paesi dell’Unione Europea; La stessa WHO (OMS) veniva pesantemente e ripetutamente interferita nei suoi obblighi e nelle sue funzioni sia lì che successivamente altrove e, forse per quello, si rivelava ai più come un
In controluce Comitato di Interessi piuttosto che uno strumento di Monitoraggio e Coordinamento. In Italia fattori compresenti come uno Stato Centrale debole e preda dei più diversi interessi e delle diverse lobbies, competenze tra Stato e Regioni confuse fin dal 2001, un Servizio Sanitario Nazionale più focalizzato alla gestione amministrativa che nel coordinare l’erogazione di Servizi e Cure su base Territoriale, si sono sommati ai deleteri esiti di un percorso iniziato nel 2012 con il taglio lineare dei costi ed una riorganizzazione mai passata dal voto del Parlamento e basata sulla riduzione dell’offerta pubblica di servizi sanitari, con un’indiscriminata esternalizzazione di parte di quei servizi in un’ottica di solo contenimento della spesa in investimenti. La contingenza nazionale è stata poi esaltata nella caduta del P.I.L. su base continentale da quel deficit di competenze e credibilità che segna fin dal principio il Governo di questa Legislatura e la conseguente capacità di quello di “leggere e interpretare” la Realtà del Paese. Le scelte operative hanno pagato inoltre un prezzo altissimo alla propensione tipicamente italiana di fuggire le responsabilità ed il dovere del decidere per cercare comunque un vantaggio contingente al proprio personale tornaconto anche nel
mezzo di un naufragio. Il Governo non ha risparmiato al Paese tanti errori e continue contraddizioni, con un ricorso sconsiderato al panico collettivo come strumento di pressione e controllo sul Parlamento ed all’elemosina di Governo ed al Debito per allentare le tensioni sociali. Qualcosa di più rilevante si può invece dire invece sugli effetti: se molti dei fenomeni macroeconomici cui stiamo assistendo erano già nelle cose, le cattive scelte del Governo hanno solo accelerato delle dinamiche già in atto e finora frenate da quella pulviscolare diffusione di attività economiche deboli, tipicamente italiana e nata storicamente come risposta all’assenza di prospettive strategiche nazionali e politiche infrastrutturali a quelle conseguenti, si è assistito ad un risoluto “scontro globale” tra delle opzioni tecnologiche nel campo della Ricerca Medica e delle Biotecnologie il cui costo di Sviluppo viene in gran parte ripagato dalla Spesa Sanitaria Pubblica. Il Mercato più interessante per chi ha investito nel campo della Ricerca Medica e delle Biotecnologie è quello dove il Public Welfare ha più risorse, ovvero l’Europa, che è stata dunque il “campo di battaglia” tra chi ha investito nella produzione di una o dell’altra tecnologia. Qui il Public Health System, parte essenziale del Welfare
State post bellico, ha mostrato tutti i suoi limiti venendo sconfitto. In Italia però, una percezione ideologica della Realtà Economica del Paese e della Funzione della Politica nelle dinamiche che la governano ha esaltato i danni e profondamente penalizzato un Paese che già ha perso almeno 30 anni di crescita economica in cui la Tecnologia ha impattato in modo dirompente sull’organizzazione della Catena del Valore più tradizionalmente fordista. La distonia che è nel Governo, ma non solo, nel comprendere “cosa costituisce” l’ossatura del Paese ed il come salvaguardare quell’ossatura ed in funzione di quale prospettiva, è la causa di quello che appare oggi come il peggiore risultato complessivo in Europa e, se per conseguire l’insuccesso si è costruito un impianto normativo in cui, nel silenzio dell’informazione mainstream, meno del 3% degli oltre 430 provvedimenti connessi alla dichiarata pandemia sono passati dal Parlamento, ciò significa anche che i contrappesi costituzionali non hanno funzionato e che la Nostra Democrazia Repubblicana merita più di una Riflessione. Se ancora vogliamo bene alla Repubblica. * L’ Ingegnere Cesare Scotoni è Consigliere di Amministrazione della Patrimonio Trentino spa.
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Il personaggio di Waimer Perinelli
Sofia Loren: vita d’attrice
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86 anni l’attrice partenopea è tornata davanti alla macchina da presa. L’ha fatto per amore ed in un film diretto dal figlio Edoardo. In tutta la mia vita, che è stata lunga e con fortuna alterna, ho scritto una sola recensione cinematografica. Si trattava del film “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”, era il 1974 interpreti erano Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, la regia di Lina Wertmuller. Ho svolto la parte sociologica della pellicola mentre il grande critico Morando Morandini ne analizzava gli aspetti cinematografici. Senza nemmeno sentirci ci siamo trovati d’accordo e l’abbiamo stroncato. Sono stato fiero di avere inconsapevolmente condiviso la sua opinione e sono ancora oggi pentito di avere stracciato il film. Volevo troppo dal cinema forse per troppo amore. Non voglio commettere lo stesso errore e celebro oggi il ritorno di Sofia Loren, al secolo Sofia Costanza Brigida Villani Scicolone, che ho amato fin dal debutto. A 86 anni è tornata davanti alla cinepresa nel film “La vita davanti a sé” diretto dal figlio Edoardo Ponti che, con Ugo Chiti, ha curato la sceneggiatura.
LOGO DI ART & WOOD
Logo ART&WOOD FONT: Fiker Futura Regular &: Abadi MT Condensed Extra Bold Ellisse verde: Dry Brush 2. CMYK: 64, 0, 100, 0. Ellisse arancione: Dry Brush 2. CMYK: 9, 64,100,1. Linee di contorno da adattare alla grandezza del logo stesso.
Sofia Loren a Miss Italia (da Dagospia) Logo in negativo. Da usare su tutti gli sfondi colorati che non siano arancione e/o verde. NB: da valutare SEMPRE se la resa diventa migliore nel caso in cui i cerchi vengano come sotto, quindi BIANCHI.
Il film, tratto dal romanzo del francese Romain Gary, pubblicato nel 1975, racconta la storia di Madame Rosà, Sofia Loren, una prostituta ebrea in pensione a cui le colleghe affidano i loro figlioli. Si trova ad ospitare un ragazzino ebreo, un altro (Momo) nero e mussulmano affidatogli dal medico Coen (Renato Carpentieri), e un terzo piccolissimo portatogli da un omosessuale, forse transessuale, Abril Zamora. Il film, finanziato anche da Apulia Film Commission, ci regala belle immagini del porto, degli ulivi di una masseria, e della città di Bari dove vivono i protagonisti come in un crogiolo di razze, religioni, criminalità e salvezza. “La vita davanti a sé” per assonanza filosofica mi richiama alla mente “Un grande avvenire alle spalle” diventato il karma di Vittorio Gassman altro mostro del cinema mondiale. Sofia Loren nel momento in cui poteva cullarsi nel grande avvenire lasciato dalla propria ombra, dopo avere vinto tutto il possibile, avere regalato al cinema mondiale cammei immortali, ha accolto la sfida lanciatagli dal figlio e disegna un personaggio di intensa, commovente umanità. Gli occhi, la bocca sono quelli della Ciocara, le gambe di “Ieri oggi domani”, le rughe diffuse non nascondono, ma sottolineano i tratti del viso rendendoli solo più gravi, così come richiede questa figura di donna, provata dalla vita e dalla morte, che diventa amica del ragazzino nero e riesce a strapparlo alla solitudine, alla malavita .” Il messaggio del film - ha detto Sofia Loren- è quello di “Comunicare tolleranza e amore. Perché tutti abbiamo diritto di essere amati, e
Sophia Loren - La vita davanti a sè (da La Repubblica)
che i nostri sogni si realizzino”. Lei è una leonessa affettuosa, severa, coccola, ma pur sempre un felino feroce mai domato. Sofia Loren è così. Mi ha sempre dato l’idea della donna libera, bella, spontanea a volte sfacciata, come sanno essere le femmine dei vicoli dei quartieri spagnoli o delle vie di Posillipo. Desiderata da molti e non solo sullo schermo, ma per oltre quarant’anni, sposata con Carlo Ponti. Edoardo che ha diretto la madre la prima volta nel 2002 in “Cuori estranei” conferma in “La vita davanti a sé” una bella padronanza della tecnica cinematografiche, ma il film si presenta a volte sfocato come certe immagini volutamente fuori fuoco, quasi dissolvenze mal riuscite. A firmare la canzone bella e originale del film, “Io si-Seen”, che parla d’amore, fiducia e solidarietà, è Laura Pasini e c’è chi sostiene che potrebbe arrivare alla candidatura all’Oscar. Il film è visibile anche su Netflix.
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Es: nel caso scegliessi uno sfondo viola, io lascerei i cerchi
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Le donne nell’arte di Sabrina Chababi
Milano si tinge di rosa
Donne e arte:
due secoli e 34 artiste "Finché vivrò avrò il controllo sul mio essere” (Artemisia Gentileschi)
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uesto anno è cominciato ricordando le donne del passato ma anche noi, donne del presente. Cominciamo con il ricordare che per la prima volta in una nazione come gli Stati Uniti d’America dopo la vittoria di Joe Biden 46esimo Presidente ha onorato e deciso di farsi affiancare promuovendo come vicepresidentessa Kamala Devi Harris, politica ed attivista democratica che è diventata la prima donna a ricoprire un ruolo che da sempre era solo maschile. Ormai la storia è abituata a riservare
Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita Oloferne (1620 ca.)
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il primato artistico all’uomo. Ricordiamo ad esempio i capolavori nelle sculture dei greci Fidia e Lisippo e citando solo alcuni dei tantissimi e bravissimi maestri della grande arte italiana come Cimabue, Giotto, Raffaello e Michelangelo.... Qui la domanda sorge spontanea. Ma è possibile che le donne si dedicassero solo alla vita famigliare? Sono esistite donne artiste? Ebbene si. A loro è dedicata la mostra ideata per Palazzo Reale di Milano da Anna Maria Brava, Gioia Mori e Alain Tapié. Un’esposizione intitolata “ Le Signore
Ginevra Cantofoli Giovane donna in vesti orientali, seconda metà del XVII secolo Padova, Museo d’arte Medioevale e moderna, legato del Conte Leonardo Emo Capodilista, 1864
dell’Arte “ che una volta aperta dal 5 Febbraio al Palazzo Reale di Milano (restrizioni Covid permettendo) sarà da non perdere perché i curatori ci offrono un viaggio tra il 1500 ed il 1600 con donne capaci di segnare la storia alta dell’arte regalandoci opere uniche di grande valore culturale. Artiste come le Artemisia Gentileschi, Sofonisba Anguissola ,Lavinia Fontana, Elisabetta Sirani e Giovanna Garzoni. Trentaquattro artiste di cui la più famosa è certamente Artemisia Lomi Gentileschi. Nacque a Roma l’8 luglio 1593 da Orazio Gentileschi, un pittore
Elisabetta Sirani Cleopatra, 1664 circa, Collezione Privata
Le donne nell’arte di origine pisana dedito soprattutto agli affreschi, dal quale apprese le prime tecniche per poi divenire icona di capacità, consapevolezza e rivolta, in grado di imporsi nella considerazione artistica nonostante all’epoca la pittura, come tutta l’arte, non fosse una bravura riconosciuta alle donne. Di lei ha grande stima il padre che scrive alla Granduchessa di Toscana: «Questa femna, come è piaciuto a Dio, avendola drizzata nelle professione della pittura in tre anni si è talmente appraticata che posso adir de dire che hoggi non ci sia pare a lei, havendo per sin adesso fatte opere che forse i prencipali maestri di questa professione non arrivano al suo sapere» . E’ proprio Orazio che negli anni del Barocco si avvicina a Caravaggio alla cui pittura si inspira Artemisia tanto da essere considerata artista di scuola caravaggesca. In realtà i due pittori
furono perfino rivali come testimonia il confronto dell’opera della decapitazione di Oloferne da parte di Giuditta. Purtroppo nonostante la bravura e la passione la sua vita sarà segnata da un dolore che come donna la farà soffrire molto. Nel 1611, all’età di 18 anni, fu stuprata da un amico del padre, Agostino Tassi, pittore alla moda, che solo dopo diversi anni verrà punito ed esiliato. Il disonore metterà nella povera ragazza collera e tristezza così da indurla a trasferirsi a Firenze per poter continuare la sua vita di donna e artista a cui è stato rubato un pezzo di futuro ma non il talento. E’ sicuramente lei la principale protagonista della mostra di Palazzo Reale a Milano, ma accanto alle sue opere si possono ammirare altri 150 capolavori nei quali si rispecchia la vita e le opere di donne “talentuose e moder-
ne”, vissute tra Cinque e Seicento. Fra loro nomi noti, altri meno conosciuti e nuove scoperte come la nobile romana Claudia del Bufalo. Quindi non ci resta che aspettare l’apertura del Palazzo Reale e goderci la colorata storia di queste donne che sono riuscite a farsi accettare e a diventare oltre che delle eroine, anche delle vere e proprie “Maestre dell’arte” che onoreremo a vita. Ben sessantasette prestigiose sedi museali, sia italiane sia internazionali, hanno contribuito con i loro prestiti, a questo imperdibile allestimento. Fra loro ricordiamo le Gallerie degli Uffizi, il Museo di Capodimonte, la Pinacoteca di Brera, il Castello Sforzesco, la Galleria Nazionale dell’Umbria, la Galleria Borghese, i Musei Reali di Torino, la Pinacoteca Nazionale di Bologna, il Musée des Beaux Arts di Marsiglia e il Muzeum Narodowe di Poznan in Polonia.
da sin. il dottor Federico Giuliano e a dx Il dott. Gabriele Bonini
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Feste e ricorrenze di casa nostra di Waimer Perinelli
Il Sole Invictus e il Carnevale E’ il 21 dicembre quando il sole solleva il cupo mantello dell’autunno e fa capolino fra le foschie annunciando l’avvio di una nuova stagione. Sol invictus, il sole vittorioso, dicevano i romani, il nostro astro che sconfigge le nebbie autunnali e torna a prevalere sulle tenebre. Si prepara la primavera. I nostri avi nel tardo romano impero celebravano questo giorno con una grande festa rinnovata e sovrapposta dal cristianesimo al Natale, ovvero la nascita del Redentore, da cui ogni celebrazione pagana è stata definitivamente cancellata.
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a la tradizione e la tenacia della cultura popolare riprendono il sopravvento già a gennaio con la festa dell’Epifania. Hai voglia a raccontare che si tratta del giorno della manifestazione del Bambino Santo al popolo con l’arrivo dei Re Magi alla capanna: appena usciti dal portone della chiesa, l’epifania è il giorno della Befana, la strega con la scopa volante, preludio alle festività del Carnevale. La Befana il sei gennaio vola sopra le vallate, salutata dai falò, o fuochi propiziatori, che nell’Agordino si chiamano Pavarui; nella val di Zoldo sono i Paaruoi; a Rocca Pietore i Pagaruoi. Un tempo nell’alto Agordino e nel Cadore era diffuso il rito della Donaza o Redode30
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sa assimilabile proprio alla Befana, la vecchia che fa dispetti ai bimbi cattivi e porta dolcetti ai buoni. I fuochi accesi all’imbrunire e alimentati tutta la notte pronosticano con il loro fumo l’ andamento dell’anno. Nella valle dei Mocheni, del Trentino orientale, abitata da una comunità germanofona, a questo rito s’accompagna quello della Stern o Stella, di Natale, presente in Carinzia come nel sud Tirolo. I coscritti portano un’ insegna a forma di stella a sei punte, di casa in casa per annunciare la nascita di Gesù e l’arrivo dell’Epifania. Martin Lutero riteneva il rito poco aderente al Vangelo ma la Chiesa della Controriforma grazie ai gesuiti lo rafforzò proprio per ribadire il proprio
primato. Tuttavia, vuoi perché fuori faceva freddo e le case di montagna avevano sempre un bel fuoco e molta grappa, l’annuncio si tramutava spesso in baldoria e bagordi. Per questo la Chiesa pensò di raffreddare gli animi con un po’ di cenere come si fa con il fuoco e la tradizione venne lentamente sopita per tornare più viva che mai ai nostri giorni. L’ antico proverbio recita: l’Epifania tutte le feste si porta via. E’ vero, ma solo fino al Carnevale ovvero alla festa più trasgressiva dell’anno quella che precede la Quaresima il periodo in cui, aspettando degnamente la Pasqua con la morte e risurrezione del Salvatore, si toglie la carne dalla tavola . Il Carnevale(Carne-Levare) è una
Feste e ricorrenze di casa nostra festa che non ha una data fissa ma si basa sul ciclo lunare. Nella Chiesa Cattolica corrisponde alla domenica di Settuagesima ed è celebrata circa settanta giorni prima della Domenica di Pasqua segnando l’inizio del cosiddetto Tempo di Settuagesima o Tempo di Carnevale, un periodo di preparazione alla Quaresima, in cui si inizia, come detto, l’astinenza dalle carni nei giorni feriali. Quest’anno l’inizio di questa festività è avvenuto il 31 dicembre. Poiché tutto ciò ch’è bello prima o poi finisce anche per la festa di Carnevale arriva un termine che per quest’anno è il 16 febbraio. Come vuole la tradizione il periodo è segnato da banchetti a base di frittelle, grostoi, frappe, bugie, strauben, gnocchi e sfilate di carri, manifestazioni folcloristiche, scherzi, mascherate con i costumi che un tempo erano ricavati da abiti dimessi o comunque confezionati in casa con nastri e fiori colorati e le maschere erano rigorosamente realizzate in legno da artisti locali secondo una tradizione tramandata da padre a figlio. In valle di Fassa i Matoci ed il Bufon aprono le sfilate per i paesi ladini; Matoci e facere di legno in Valfloriana e Valle di Non; nel Comelico ci sono i Lachè e il Matazin,
il matto sopravvissuto alle proibizioni del Concilio di Trento, che a Venezia lanciava uova “profumate” ai passanti. Il caratteristico Carnevale del Comelico culmina con la Mascherata di Santä Ploniä a Dosoledo, una colorata e allegra sfilata aperta dalle maschere. Ancora oggi in quasi tutti i paesi della provincia di Belluno è tradizione festeggiare il Carnevale con varie iniziative: fiaccolate mascherate, balli. Negli ultimi anni anche Canale d’Agordo ha recuperato l’antica tradizione del Carnevale con la festa della Zinghenesta, una sfilata di maschere e personaggi caratteristici aperta dalla ragazza più bella del paese, la Zinghe-
nesta appunto, con un abito colorato e ornato di fiori e nastri che guida il corteo fino alla piazza principale dove continuano i balli. A Fornesighe di Forno di Zoldo, invece, la Gnaga non è solo la maschera tradizionale di una vecchia che porta nella gerla un giovane a simboleggiare l’anno vecchio che porta la primavera, ma anche un apprezzato concorso di scultura dei volti lignei dei Carnevali di montagna. A Grauno, un paesino di 150 abitanti in valle di Cembra, l’ultimo giorno di Carnevale, detto anche martedì grasso, da qualche tempo si rinnova il rito del pino bruciato. I coscritti del paese e di quelli vicini trascinano un grosso pino fino ad una collinetta fuori dall’abitato, lo rivestono di paglia ed altro materiale infiammabile e lo incendiano. E qui termina il periodo di carnevale dove si dice “ogni scherzo vale”, per lasciare il posto al mercoledì delle ceneri con le quali si cosparge il capo per ricordare la brevità della vita. Inizia con questo rito la Quaresima, quaranta giorni precedenti la Pasqua, durante il quale si è invitati a riflettere sulla caducità della vita. Nel frattempo il sole invitto continua a raddrizzare i suoi raggi sulla terra e con l’equinozio del 20 marzo, quando la notte è lunga quanto il giorno, arriva la primavera ed a rinascere è tutta la natura.
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In ricordo di… di Massimo Dalledonne
Padre Beato Stefano Bellesini Papa Pio X lo ha proclamato beato il 27 dicembre del 1904. Esattamente 64 anni dopo la sua scomparsa. Era il 2 febbraio del 1840, infatti, quando, all’età di 64 anni, moriva padre Stefano Bellesini. Esattamente 180 anni fa a Genazzano. Era nato a Trento, il 2 novembre del 1774. La mamma era di Borgo Valsugana, si chiama Maria Orsola Maichelpech. Un nome che ancora oggi viene spesso evocato in paese. Infatti, alla sua memoria, è stato dedicato l’oratorio parrocchiale.
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ome si legge nel primo volume “Ausugum”, a cura di don Armando Costa, uno dei suoi padrini al fonte battesimale era il nobile Michele Gerloni. Si distinse “ancor fanciulletto per docilità e pietà. Trascorse la giovinezza sotto i vigili occhi materni e, a poco a poco, nel suo cuore si fece strada il desiderio di consacrarsi al Signore”. Ne parlò allo zio materno, padre Fulgenzio Maichelpech, ed anche il padre diede il suo consenso. Nel 1790 ricevette l’abito agostiniano nel convento di San Marco a Trento dalle mani dello stesso zio. Il suo noviziato lo fece a Bologna, presso il convento di San Giacomo Maggiore per poi, un anno dopo, venire ammesso alla professione dei voti solenni con i pieni suffragi dei Padri Capitolari. “Professando la regola degli Agostiniani – si legge ancora – cambiò il nome Luigi con quello di Stefano. Nel 1794 arriva a Roma per studiare filosofia e, quando la valanga della rivoluzione francese travolse l’Europa e l’Italia, si trovava a Bologna. La città divenne una repubblica ed i religiosi – scrive ancora don Costa – furono espulsi dai loro asili di pace ed i loro beni confiscati”. Padre Stefano Bellesini trovò riparo presso il convento di San Marco a Trento dove, scoperta la sua solida dottrina teologica, anche se non ancora sacerdote, venne incaricato di predicare”. È il 29 ottobre del 1797. In quella data venne ordinato
diacono e, successivamente, il 5 novembre dello stesso anno sacerdote. La cerimonia avvenne nella Cattedrale del Duomo di Trento alla presenza del vescovo Emanuele Maria, conte di Thun. Poco dopo anche il convento San Marco di Trento venne chiuso e padre Stefano Bellesini si rifugiò a casa della madre che, nel frattempo era rimasta vedova. Assieme a lui anche padre Francesco dell’Orsola del Borgo, suo cugino. Maria Orsola Maichelpech morì, assistita dal figlio, il 26 dicembre del 1808 all’età di 70 anni. Negli anni della sua permanenza fra le mura domestiche padre Bellesini non rimase con le mani in mano, dedicandosi con entusiasmo all’istruzione dei giovani. Tanto da essere riconosciuto dall’Austria, con decreto imperiale, insigne pedagogo e nominato Ispettore Generale di tutte le scuole del Tirolo. Come scrive ancora don Armando Costa “quando seppe che negli Stati Pontifici erano stati ripristinati gli ordini religiosi, abbandonò Trento per raggiungere Roma. Qui, i suoi superiori lo accolsero a braccia aperte affidandogli l’incarico di maestro dei novizi. Qualche anno dopo
venne nominato parroco nel santuario della Madonna del Buon Consiglio a Genazzano, dove esercitò fino alla fine dei suoi anni la sua missione. Qui si dedicò con premura ad aiutare i poveri, istruire gli ignoranti, soccorrere ogni genere di miserie e correggere i costumi”. Fino a quando, in parrocchia, arrivò la febbre petecchiale. Padre Stefano Bellesini contrasse il morbo e concluse la sua vita terrena il 2 febbraio del 1840 con una santa morte”.
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Il cinema in controluce di Katia Cont
“Pasqualino sette bellezze”
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eduta in una vecchia trattoria romana, di quelle dove mangi come a casa della nonna, scorgo all’improvviso un viso conosciuto. Un viso familiare, di quelli che hai già visto parecchie volte, di quelli che conosci. Senti di sapere molto su quella persona eppure non riesci a localizzarlo nella mente. Ad un certo punto, però, l’illuminazione. È Giannini. Sì, Giancarlo Giannini, l’attore! Improvvisamente un velo di timidezza mi accompagna lo sguardo mentre lo riguardo intimorita. Non sono una persona che quando vede un attore o un personaggio famoso gli si fionda addosso, lo trovo indelicato. Ma Giancarlo Giannini è un colosso del Cinema Italiano, è la storia del cinema Italiano! Lo collego ai nomi più importanti della favola cinematografica del nostro Paese. È una persona che potrebbe scrivere l’enciclopedia del Cinema. Eppure sono li con un piatto di puntarelle davanti a me che lo guardo e penso…che, seduto al tavolo a fianco a me, assieme ad un signore con il suo stesso stile che li fa sembrare quasi fratelli, c’è Giancarlo Giannini. Finisco la mia cena. Un paio di volte i nostri sguardi si sono incrociati, e lui ha sicuramente capito che l’ho riconosciuto e penserà: “Ecco adesso quella viene a stressarmi mentre mangio per chiedermi l’autografo”. Mi alzo, vado a pagare e prima di uscire mi volto e con coraggio vado verso di lui. “Mi permette di stringerle la mano?” – chiedo - “certamente” risponde lui. Si alza addirittura, e allora aggiungo: “Lei è il più grande di tutti!”. Lui si gira verso il signore che aveva al tavolo e gli dice: “Vedi? Te lo dico sempre anche io! Ora lo
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dice anche lei, vedi che ho ragione?” Poi mi guarda e mi dice sorridendo: “Lui è il mio manager, oggi mi hai aiutato in una buona causa!”. Felice e sorridente me ne vado. E’ un ricordo di qualche anno fa, ma ancora indelebile. Ho sempre riconosciuto in lui un talento fuori dal comune e un segno attoriale che ha in qualche modo segnato un cambio nel modo di recitare fino a quel momento. Attore per caso, la sua formazione non è certo quella canonica che porta alla recitazione, nasce infatti come perito elettronico. Anche se la sua formazione scolastica può sembrare completamente scollegata da quella dell’attore, in realtà Giannini ha tenuto a precisare in diverse occasioni che nella vita tutto è collegato, proprio come nei transistor. Ha dichiarato di analizzare ogni suo personaggio nel dettaglio fino a concepirlo come diagramma, ognuno con i suoi momenti e con le reazioni che
Pasqualino Settebellezze - Manifesto (da Metropolita Magazine)
Rossana Podestà e Giancarlo Giannini (1973 - da Wikipedia)
Il cinema in controluce
Giancarlo Giannini con Claudia Cardinale (da CameraLook - Ph Lorenzo Moro)
dovrà avere davanti alla macchina da presa. “È indispensabile una visione totale del personaggio dall’inizio alla fine. L’approccio è di tipo scientifico, proprio come in una sinfonia musicale. Un lavoro di estrema pazienza, fantasia e curiosità”. Come dicevo, gli esordi di Giannini furono del tutto casuali: un suo amico impiegato al Comune di Napoli, Mario Ciampi, lo invitò a prendere parte alle prove di uno spettacolo. La sera della prima venne però a mancare un attore ed il regista, avendolo notato durante tutte le prove in sala, lo chiamò sul palco per sostituire il personaggio venuto meno all’ultimo momento. Giancarlo Giannini frequentò per circa un anno e mezzo l’Accademia d’arte drammatica continuando a fare teatro. Poi il vero successo, grazie all’incontro con la regista Lina Wertmuller che lo scelse come protagonista insieme all’attrice Mariangela Melato in “Mimì metallurgico ferito nell’onore”, film che gli valse nel 1972 il David di Donatello come miglior attore protagonista e l’anno successivo il Nastro d’argento ed Il Globo d’oro come miglior attore rivelazione. Sempre della Wertmuller, nel 76 lo
ritroviamo nel film “Pasqualino sette bellezze”, che fu accolto con grande entusiasmo di pubblico e critica, tanto da conquistarsi quattro Nomination all’Oscar tra cui quella di Giannini come attore protagonista. Attrici straordinarie lo hanno accompagnato in una lunga carriera cinematografica e teatrale, da Anna Magnani in teatro con “La Lupa” di Zeffirelli, a Laura Antonelli in “Sesso Matto” di Dino Risi, Lina Sastri in “Mi manda Picone”, Sofia Loren in molte occasioni, Mina che lo convinse a cantare con lei, la sublime Monica Vitti, considerata dallo stesso Giannini una donna particolarmente intelligente perché aveva capito che è bene lavorare con gli attori bravi, quelli che avevano lavorato in teatro. Tra loro era nata oltre che un’amicizia artistica, anche una “complicità di luci”. Insieme ne “Il dramma della gelosia” con Mastroianni di Ettore Scola del 1970: una grandissima attrice drammatica e comica. Poi ancora con Mariangela Melato, attrice di teatro e con la quale aveva recitato insieme quando erano ragazzi, prima ancora di raggiungere il successo con il cinema. Erano in una sintonia tale che gli consentiva di interpretare scene
soltanto con gli sguardi. Su tutti “Mimì metallurgico ferito nell’onore”. Questo e molto altro Giannini lo racconta in uno spettacolo di musica e parole andato in scena un paio di anni fa a Napoli e ideato dall’attrice e regista Susy Mennella nel quale il celebre attore italiano analizza la sua vita attraverso immagini e video, intervistato dall’attrice Rosaria de Cicco. Le origini liguri, l’amore per Napoli, la sua carriera da attore di cinema e teatro, da doppiatore, sceneggiatore. Giannini ha inoltre cantato, ballato, ha portato il cinema italiano a Hollywood, la stessa città che nel 2021 gli assegnerà la stella sulla celebre Hollywood Walk of Fame. Non potevo non emozionarmi quella volta in quel piccolo ristorantino di Roma.
Giancarlo Giannini
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Musicalmente di Gabriele Biancardi
La Sanremo che verrà
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a proposta, il format, del Festival non cambierà per me perché le serate le vedrò in TV, per scelta, come ho sempre fatto; un po’ perché la sala del teatro Ariston è un inferno e molto per lavoro assieme a colleghi radiofonici, nell’albergo cittadino, a commentare e lavorare per trasmissioni che arricchiamo sempre di interviste stellari. Può sembrare strano, ma la parte divertente è proprio questa. Una decina di “radiofonici di vecchio pelo”, che analizzano come gli anziani al bar, i cantanti, le canzoni, il look..e poi fuori fra la gente, nella mischia dei fans, a “toccare” i divi. Quest’anno gli organizzatori hanno scelto una compilation di artisti che possa “coprire” tutte le età ed i gusti. Si va dai giovani, attratti da nomi come Maneskin, i miei preferiti, Fulminacci e altri, per poi fare felici le
mezze stagioni dell’età. Malika Ayane, Noemi, Renga, per finire con i miei genitori, che attendono Orietta Berti, dato che in Italia, siamo tutti virologi, politologi, allenatori, vuoi esimerti nel fare una classifica al buio? Ecco la mia. Il podio lo immagino così: Francesca Michielin/Fedez, Malika e Renga. L’ordine non importa. Per tanti alcuni Big, potrebbero risultare perfetti sconosciuti, Random, Madame, Willy Peyote, ma non dobbiamo dimenticare che i giovani
seguono altri mezzi per seguire la loro musica, da altre piattaforme quelle attraverso cui Amadeus ha invitato questi “egregi” sconosciuti, che in effetti non lo sono. Dai giovani ci si aspetta sempre qualcosa di altrettanto valido. Davide Shorty è il mio cavallo vincente.
Gabriele Biancardi, mi presento Motto della vita è “piuttosto che lavorare”, ecco perché dal febbraio 1980 trasmette a radio Dolomiti, da 20 anni speaker di volley serieA maschile e femminile, suona i due formazioni, i PuntoG e gli I Vazanicchi. Proprio perché ha molto tempo libero, scrive anche per il teatro, “avete mai provato ad essere donne”, replicato da diverse compagnie in tutta Italia e “diversi da chi”. Giusto per non farsi mancare nulla, anche tre libri all’attivo. “Il mio nome è Aida” , “il respiro dei ricordi”, usciti per Minerva e “vite nel kaos”, scritto a quattro mani con Loreta Failoni per Curcu. Vegetariano per scelta ma senza voler imporre nulla a nessuno. Responsabile artistico - Radio Dolomiti e-mail: g.biancardi@radiodolomiti.com
CHI È Conosco Gabriele Biancardi da quando ragazzino, forse nemmeno diciottenne, venne a Radio Dolomiti, di cui ero direttore giornalistico, per avviarsi alla carriera di disk jokey o intrattenitore. Intelligente, dotato di auto ironia, competente, sbarazzino come l’età esigeva. Ma serio, attento, curioso al punto che mi sarebbe piaciuto avviarlo alla professione giornalistica. Ma poi la vita volle diversamente e forse è meglio così. Sono contento di averlo sul nostro mensile. (W.P.)
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Sanremo Story di Gabriele Biancardi
Sanremo: i miei primi trentuno anni Ci sono avvenimenti in Italia che non si possono toccare, la mamma, il calcio, il caffè ed insieme ad altri, il Festival della Canzone di Sanremo. Ne ho vissuti sul posto esattamente 31, quest’anno purtroppo salterà, gli artisti non usciranno dagli alberghi, per cui niente interviste. Sarà strano, lo ammetto, ma sarà interessante avere una percezione diversa. Quando sei lì, si parla, si respira, si litiga e si discute, solo del festival, come se il mondo fuori si fermasse. Nel 1990, primo anno di presenza, sono stato fortunato, ho avuto al microfono gente come Ray Charles, Nikka Costa e tanti artisti di calibro. Ma se vuoi fare un lavoro professionale, non neghi a nessuno dei minuti dove possono raccontare i loro sogni, le loro aspettative.
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anremo in fondo è una mega vetrina e come tale va sfruttata. Sanremo è stata protagonista di drammi e gioie, è l’effimero che diventa lavoro. In tre minuti di palco ci si gioca alle volte una carriera. Al successo alle volte, non basta una buona canzone, ma tutto un lavoro dietro le quinte. Si deve creare un personaggio. Si deve vendere un artista. Negli anni 90, l’atmosfera era molto diversa. Potevi trovare nei locali notturni, performance musicali di rilievo, Jam sassions con Tullio De Piscopo alla batteria, Andrea Braido alla chitarra (notissimo chitarrista valsuganotto) e tanti altri, non avevano paura di fare le ore piccole, suonavano per il gusto di farlo. Andavamo negli alberghi durante il giorno, spostandoci come una transumanza umana, valigette con registratori e tempo per aspettare questo o quel artista che scendessero nelle hall. Tutto improvvisato, tutto genuino. Oggi, devo dire, funziona molto meglio, hai uno studio fisso dove loro vengono per essere incontrati. Certo,
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si è perso il gusto dello scoop, ora il tempo dei saluti, domande e ciao. La città di Sanremo pare sospesa nel tempo, non certo nell’approfittarsi di questa occasione. Fino ad una settimana prima e subito quella dopo, i prezzi sono normali se non bassi. Quei 7 giorni si monetizza il più possibile. Quest’anno nemmeno questo. Gli hotel saranno vuoti, i ristoranti pure. Una volta mi sono fermato due giorni dopo la finale. Sanremo diventa una specie di ghost town, le strade tornano affollate il giusto, il tempo si allunga, diventa liquido. Se chiedi ad un sanremese doc cosa pensa del festival, ti dirà che senza di quello, pochi conoscerebbero la cittadina. Amo osservare la gente in quella settimana noti le differenze sociali più che in altri posti. Se sei nella hall dell’hotel Londra, verso le 19.30, vedrai scendere coppie leggermente agè, lei rigorosamente in pelliccia e gioielli, lui smoking e orologio d’oro. Arrivano da tutta Italia per poter sedersi a teatro. Il quale tra l’altro è molto più piccolo di quello
Con Francesco Gabbani
che appare. Poi nelle strade del centro, musicisti di strada, costellano il tragitto come una parata militare. Di coloro che chiedono oboli nemmeno l’ombra, l’amministrazione locale non vuole far trasparire nulla di triste. La famosa polvere sotto il tappeto. Poi arrivi all’Ariston è un cinema, eppure su quel palco sono saliti nomi PESI, Louis Armstrong, Bruce Springsteen, Madonna, non voglio fare elenchi, ma davvero non è mancato nessuno. Eppure ai cittadini, la maggior parte almeno, il
Sanremo Story festiva interessa, criticano al mattino al bar mentre prendi un caffè, basta allungare le orecchie per poter capire da che parte gira il vento. Molti mi chiedono come si fa a sapere prima il nome del vincitore. Ci sono stati anni in cui era facile, avevi il nome grosso, magari per la prima volta e sapevi che avrebbe vinto. Poi ci sono le case discografiche, io ti porto questo se ti mi fai vincere quell’altro. Nulla di scandaloso eh, anche perché non esiste nessun accordo che possa creare il successo di un brano. Ci sono le radio che scelgono cosa trasmettere, anche in base alle richieste. Qui di solito si citano due artisti. Vasco Rossi che arrivò ultimo e i Jalisse che vinsero. Non occorre aggiungere nulla vero? Le due carriere sono sotto gli occhi di tutti. Mi fanno un pochino sorridere coloro che “snobbano” il festival come se fosse una volgarità, poi gli indici di share ti fanno capire che metà Italia, alle volte anche di più, era incollata davanti allo schermo. Ma perché? Beh, da una parte c’è il “lo vedevano i miei genitori”, dall’altro con il supporto dei social, siamo diventati tutti esperti e critici di musica, immagine e dio sa cos’altro ancora. Poi, perché è un momento di stacco, di pausa. Ecco perché credo che quest’anno raggiungerà picchi mai visti. Gli artisti selezionati hanno un’occasione d’oro. Sinceramente sono contento che venga fatto, dietro ad un cantante, ci sono attrezzisti, operai, scenografi, tecnici una filiera di lavoratori che avranno modo, finalmente, di poter lavorare, dopo essere stati praticamente fermi un anno. Sanremo non grava sulle nostre tasche, con la pubblicità che raccoglie, addirittura fa incassare alle Rai diversi milioni (16 in uscita, 37 in entrata nel 2020), per cui possiamo vederlo sereni. Guardiamolo, ascoltiamolo, critichiamolo, ma vogliamogli bene.
Con i Ricchi e Poveri
Con Irene Grandi
Gabrile con il cantante Bugo e Laura Paolazzi di Radio Dolomiti
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Tra passato e presente di Chiara Paoli
Michele Bettega e gli albori dell’alpinismo in Primiero M
ichele Bettega nasce a Mezzano il 19 dicembre 1853, da una famiglia di contadini. “…La sua prima occupazione fu quella di pastore…” (P.F. Zatta, “Michele Bettega, la prima guida alpina delle Dolomiti del Primiero”, Cierre, pag. 42). All’età di 19 anni diviene famiglio (servo) dei fratelli Carlo e Leopoldo Ben, occupandosi del bestiame. Al loro servizio rimarrà per 20 anni, iniziando a guidare le ascese alpine con i turisti dell’Albergo Alpino di San Martino di Castrozza. Per anni praticava l’attività di guida ricevendo il solo salario da famiglio. “Nel 1873 fece la prima ascensione con due signori inglesi sulla Cima Pradidali ascendendo da San Martino e precisamente da Val di Roda e discendendo per il passo di Ball per Val Pradidali a Primiero. La seconda ascesa fu la Pala di San Martino guidando il conte Pallavicino e la terza fu cima Canali.” (P.F. Zatta, “Michele Bettega, la prima guida alpina delle Dolomiti del Primiero”, Cierre, pag. 42). È don Carlo Giacomelli nelle sue
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Memorie a parlare di Michele, dicendolo terzo a salire sul Cimone, trovando una sua via, la più comoda, che successivamente venne praticata da tutti; su questo monte salì ben 267 volte. All’epoca in cui scrive il parroco, Michele ha 55 anni, è sano, robusto e sempre pronto a nuove ascese. Durante la sua vita da alpinista ha praticato tutte le cime delle Dolomiti di Primiero, ma anche le più difficili delle valli di Fassa e Gardena, in Tirolo e Svizzera. Per Michele non si tratta solo di un istinto naturale che lo spinge ad arrampicarsi, ma anche una sorta di riscatto dalla miseria, un modo per cambiare vita. Agli inizi Michele non possiede l’attrezzatura giusta, ma ha tutta la grinta e le capacità necessarie per affermarsi come competente guida alpina. La prima corda professionale gli venne donata da alcuni clienti inglesi. L’iscrizione di Michele Bettega alla Società degli Alpinisti Tridentini è datata 25 giugno 1881, come da “libretto di legittimazione”. “…Michele Bettega fin dalle prime
ascensioni in montagna dimostrò un talento innato e uno stile del tutto particolare che bene si coniugava con la sua coraggiosa prudenza e con l’eleganza dell’arrampicare, cose che non sfuggivano all’occhio attento degli alpinisti di talento. La grande occasione che aveva cambiato la vita al Bettega si era presentata in modo del tutto casuale
Tra passato e presente
nel 1878, quando era stato ingaggiato dagli alpinisti austroungarici Alfred von Pallavicini e Julius Meurer, decisi a conquistare la pala di San Martino salendo dal versante nord.” Queste parole, tratte dal volume “Michele Bettega, la prima guida alpina delle Dolomiti del Primiero”, di Paolo Francesco Zatta (Cierre 2020) ben esemplificano le qualità che lo hanno portato a divenire tra le più note personalità dell’alpinismo all’ombra delle Pale. All’età di 32 anni Michele era ormai divenuto una guida alpinistica assai nota e molto richiesta. “29 giugno 1887. Torno a raccomandare il Michele Bettega a tutti gli alpinisti che volessero tentare cime di prima forza ed ascensioni ancora sconosciute per la sua rara abilità nell’arrampicarsi e per l’istinto di orientazione nel mezzo della nebbia ed a rocce per lui sconosciute. Con esso ho asceso il 27 p.p. la vetta dell’Agner in Agordo, senza altre guide, notando che per il Michele era sconosciuta. Fiera di Primiero ut supra. G. d’Anna S.A.T.” (P.F. Zatta, “Michele
Bettega, la prima guida alpina delle Dolomiti del Primiero”, Cierre, pag. 137) Queste sono solo alcune delle parole di elogio e apprezzamento rivolte a Michele Bettega, che nel suo operato da guida aveva avuto modo di conoscere e accompagnare più volte nelle loro imprese personaggi illustri, spesso stranieri. Il gruppo delle “Aquile di San Martino” viene fondato nel 1881 da Michele Bettega assieme ad altre 3 talentuose
guide alpine: Bortolo Zagonel, Antonio Tavernaro, Giuseppe Zecchini. “[Le] guide di S. Martino: il capo di esse Michele Bettega, il cui nome è così congiunto alla storia delle esplorazioni del gruppo delle Pale da appartenere quasi alle sue meraviglie. Si prova già piacere ad osservare la sua fisionomia ben marcata, con quell’occhio vivo e sicuro nel quale si uniscono coraggio, energia, intelligenza e amorevolezza. Egli conosce i suoi monti in ogni recondito meandro ed ha compiuto importanti salite anche in altri paesi. È un simpaticone che nel suo temperamento e nella sua vivace allegria ha ottime qualità da aggiungere a quelle incomparabili di Guida Alpina.” (P.F. Zatta, “Michele Bettega, la prima guida alpina delle Dolomiti del Primiero”, Cierre, pag. 181) La sua più grande impresa fu quella intrapresa con Beatrice Tomasson, assieme al compagno Bortolo Zagonel, che li ha visti conquistare il 1° luglio 1901 la parete sud della Marmolada. Molti ancora sono gli aneddoti raccontati in questo ampio testo di oltre 400 pagine, come i suoi servizi alla guida degli alpini durante la guerra. A 83 anni, con alle spalle una vita colma di vette altissime e di profondità, si spegne la prima aquila del Primiero.
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Conosciamo il territorio di Fiorenzo Malpaga
L’Annunciazione: una chiesa per Tenna Nello scorso numero della rivista ho esposto un breve intervento sulla vecchia Chiesa di Tenna, sull’omonima collina, dedicata a San Clemente, che ora non esiste più, essendo stata trasformata in una casa di abitazione in località Masi. Era una chiesa risultata nel corso dei secoli insufficiente per la crescente popolazione del paese ed inoltre si trovava in posizione decentrata, rispetto allo sviluppo dell’abitato.
P
er questo, previo benestare del Vescovo di Feltre, competente per giurisdizione religiosa sulla Valsugana, nel 1750 da parte della famiglia Baruchelli venne messo a disposizione il terreno, nel centro del paese, per la nuova chiesa dedicata alla Beata Vergine dell’Annunciazione. Grazie anche alla donazione i Baruchelli furono elevati a rango nobiliare. I lavori iniziarono nel 1764 affidati all’impresa dell’arch. Claudio Carneri di Borgo Valsugana, uno dei migliori artisti trentini, che, per limitare il notevole onere finanziario, si avvalse di molti lavoratori locali, tenuti a prestazioni gratuite, i cosiddetti “pioveghi”, Il cantiere durò un decennio. Le dimensioni interne dell’edificio erano di 8 ml. di larghezza per 16 di lunghezza, il piano d’imposta era 8 metri dal livello del terreno, e sopra venne realizzata la volta; il pavimento eseguito in pietra bianca e rossa di Trento, l’altare in marmo policromo, ai lati quattro cappelle. La chiesa è stata costruita in perfetto allineamento con la via principale (via Alberè) e con gli edifici prospicienti, e disposta con l’altare verso oriente. Nel 1780 i lavori erano conclusi, come confermato in occasione della visita del vescovo di Feltre mons. Ganassoni; gli stucchi interni e le rifiniture furono eseguiti nel 1789. (foto 1 pianta
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chiesa originale) Nella nuova chiesa furono rinnovati i cosiddetti “diritti dei banchi” a favore delle famiglie nobili dei Baruchelli e degli Hippoliti, pur con rimostranze della popolazione per questi ultimi, in quanto “forestieri”; tuttora all’entrata della chiesa, nella parte sinistra e destra, ci sono i “banchi dei siori” riservati alla famiglia Baruchelli . (foto 2 banco con lo stemma nobiliare) Nel 1826 fu ampliato il cimitero, su un’area in gran parte della famiglia Baruchelli, circondato da idonea muratura. Nel corso dell’ultimo ampliamento realizzato nel 1977, grazie alle scelte del Concilio Vaticano secondo, è stata eliminata l’area dedicata ai deceduti suicidi ed ai bimbi non battezzati. Nel 1838 venne costruito il campanile, alto 36 metri, dotato di orologio su tre lati verso l’abitato; al riguardo l’ubicazione fu stabilita da una assemblea popolare, che decise di realizzare l’opera nell’attuale sito. Nel 1901, furono demolite le quattro cappelle laterali e costruite le due navate. Nel 1916 furono tolte e fuse le quattro campane, per scopi bellici, poi reintegrate dopo la grande guerra. (foto 3 requisizione campane nel 1916). Nel 1944 la Curazia di Tenna fu eretta in Parrocchia, con un notevole sforzo da parte dei fedeli per reperire il fondo di dotazione
Pianta chiesa originale
Stemma nobiliare Baruchelli sopra il banco dei siori
Conosciamo il territorio
Dario Malpaga suona il campanò
Esterno della Chiesa
Interno della Chiesa
necessario. Nel 1970 si provvide alla elettrificazione della campane; in precedenza venivano suonate manualmente, con delle lunghe corde, che arrivavano fino al locale al piano terra del campanile.
E qui mi sovvengono i ricordi personali della mia infanzia, quando il sagrestano, il “Bepo Cioco”, fischiettava nella vicina piazza per chiamare noi bambini a tirare le corde, con un tocco alternato ed armonico, da Lui diretto; le conosceva talmente bene, che le chiamava affettuosamente per nome: “La vecia”, “La sorda”. Per annunciare la sagra del paese, la “Bela de Magio” el Bepo organizzava poi il “campanò”: si saliva fino alla torre campanaria, si legavano i battocchi della campane ai tasti di legno, per ricavarne una rudimentale pianola. (foto 4, Dario Malpaga mentre suona il “campanò”.) Anche l’orologio del campanile, fino agli anni settanta, era a ricarica manuale e giornalmente noi bambini avevamo a turno l’incarico di salire i ripidi scalini in legno, fino al punto dove era collocato l’ingranaggio dell’orologio, per girare la manovella per la ricarica. Vista dall’esterno, la chiesa della B.V. dell’Annunciazione di Tenna risulta scarna ed essenziale (foto 5), mentre all’interno è veramente piena di fascino, le colonne marmoree, rifinite in cima con foglie di acanto (stile corinzio), le statue, gli altari in marmo policromo, i dipinti, gli stucchi, la
volta, i vecchi banchi gentilizi, il battistero, il pulpito; tutto ricomposto con una armonia di forme e di colori, che la rendono splendida.
Dipinto dell'Annunciazione
Fonti consultate: - Tenna cenni storici ed. Associazione Amici della Storia di Pergine anno 1993 - Cenni storici di Tenna manoscritto di Malpaga Enrico - Storia di un colle scritto da Don Enrico Motter - Tenna anni sessanta di Fiorenzo Malpaga Publistampa 2013
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Società oggi di Veronica Gianello
Tutto quello che ci serve è già dentro di noi:
Enzo Celli e il life coaching
L’
abbiamo aspettato tanto questo nuovo anno. Talmente tanto che ora che si sta facendo strada, giorno dopo giorno, ci sentiamo bloccati dal suo passo veloce e deciso. Abbiamo avuto così tanta voglia di correre, di uscire, di fare, di andare che tutto questo accumulo di desiderio, questa dispensa di energia pronta ad esplodere, sembra svanire di colpo quando finalmente davanti a noi si apre quella porta troppo a lungo chiusa. Non ci sentiamo pronti. Questo salto nel vuoto, zavorrati delle aspettative che ci siamo creati per il nuovo anno, ci spaventa. Restiamo sulla soglia, e se non riusciamo a saltare iniziamo a porci delle domande, a dubitare, spesso addirittura a darci colpe, a dirci che il problema siamo noi. Forse ci stiamo solo ponendo degli obiettivi che non ci rispecchiano, forse non ci siamo nemmeno posti degli obiettivi. Non possiamo sempre pretendere di fare tutto da soli, ci sono altre soluzioni, altri percorsi da intraprendere per farci uscire da questo circolo di negatività e insoddisfazione. La figura del life coach ci aiuta proprio in questo: a fugare i dubbi su noi stessi, a prendere decisioni, ad aprire la strada verso la realizzazione di sogni e obiettivi. Non fa il lavoro per noi, non ci dà le risposte che cerchiamo, non ci cura con terapie mediche. Il life coach pone domande chiave che ci aiutano a capire cosa ci fa stare ancora lì sulla soglia, e cosa possiamo fare per superare blocchi e convinzioni. Questa figura è estremamente diffusa nel mondo anglofono, particolar-
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Enzo Celli
mente negli Stati Uniti, dove già dagli anni ’90 inizia a diventare parte integrante dello staff della grandi aziende. Oggi si coglie il suo valore anche a livello personale, ed è diventata una presenza molto comune nel percorso di crescita personale dei singoli individui. Da qualche anno, non senza la nostra classica iniziale reticenza, anche in Italia stiamo iniziando a capire l’importanza del ruolo del life coach. Se ne avvalgono ormai stabilmente aziende, compagnie e atleti, e in tempi più recenti si sta ampliando la platea di utenti che, singolarmente,
iniziano percorsi di life coaching per cercare di lavorare su quegli aspetti che non ci permettono di realizzare i nostri obiettivi o di vivere una vita che ci soddisfi. Eppure il life coaching non è uguale per tutti, ognuno ha i propri bisogni, i propri tempi di crescita e le proprie motivazioni. A farsi carico di questa diversità, fornendo approcci estremamente stimolanti e vari, che vanno ben oltre un’idea di un life coaching omologante, troviamo in Italia la figura di Enzo Celli. Enzo Celli è regista, autore di danza contemporanea ed educatore.
Società oggi Dottore in Scienze Motorie indirizzo Psicologico, svolge il suo lavoro di Personal Coach Certificato tra i danzatori professionisti di New York dove vive stabilmente dal 2018. È uno dei pionieri dell’applicazione delle neuroscience al training di danza contemporanea; il suo sguardo internazionale e la sua esperienza lo rendono uno dei life coach più apprezzati in Italia e all’estero, anche al di fuori dell’ambito artistico. Le sue competenze gli permettono oggi di mettersi davvero a servizio della sua comunità. Il lavoro di Enzo Celli non è mai frammentario: si sviluppa in maniera organica e coerente, mirando sempre a portare nutrimento. Questo termine è la base attorno cui ruota tutta la sua idea di crescita personale. Come scegliamo di mangiare ciò che ci fa bene, così dobbiamo nutrire anima e spirito. Il desiderio di creare qualcosa di veramente utile e funzionale, lontano da logiche dettate dall’apparenza, è stato particolarmente chiaro quando, lo scorso marzo, ci siamo ritrovati ad affrontare la pandemia. In quel momento Enzo Celli si è fatto avanti per tutti, senza sapere se e quali risposte avrebbe ottenuto. Sono esempi di impegno e generosità come questo che ci hanno permesso Visionary
Visionary
Visionary
di trovare positività in un momento di crisi. Da marzo ha iniziato un seguitissimo appuntamento online: un meeting motivazionale gratuito che incontra il mondo. Si chiama ‘the TALK’, ed è un momento di condivisione e riflessione che fornisce stimoli e strumenti per affrontare il futuro post-pandemico. È inoltre autore di uno dei podcast più seguiti in Italia, ‘Orbo Novo’, e con questo stesso nome, ha fondato qualche mese fa un blog di crescita personale. Il life coaching, per evitare di sembrare inconsistente e per diventare davvero sostegno e guida, dovrebbe fare questo: stimolare, chiedere, accompagnare con ogni mezzo possibile. Non può essere un percorso unidirezionale: deve necessariamente ampliare i propri orizzonti, aprire una relazione e creare un percorso di fiducia organico e coerente. Deve farci comprendere la potenza di ciò che abbiamo già dentro di noi. Deve, per l’appunto, nutrire.
Si ringrazia Enzo Celli per la gentile concessione delle foto tratte dal suo archivio personale
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Volontariato e solidarietà
Gruppo Poli:
«coltiviamo i vostri progetti» Il 18 gennaio è partita la 6^ edizione di “Coltiviamo i Vostri Progetti”, l’iniziativa di charity sostenuta dal Gruppo Poli. Dal suo lancio ad oggi il progetto ha supportato ben 79 associazioni di volontariato locali, devolvendo loro una quota complessiva di quasi 2 milioni di euro. Parliamo del progetto con Mauro Poli.
C
ome funziona Coltiviamo i vostri progetti? Il meccanismo è semplice e rispecchia quello degli anni passati. Dal 18 gennaio e fino al 31 dicembre 2021 i clienti accumuleranno 1 punto cuore ogni 20 euro di spesa effettuato con DupliCard in tutti i nostri punti vendita Poli, Orvea e Regina. Fino al 5 febbraio 2022 potranno esprimere le proprie preferenze per una o più delle 20 associazioni partecipanti donando i propri punti cuore direttamente in negozio oppure on line - dal sito www.gruppopoli.it e dalla app MyDupliCard -. 10 punti cuore danno 1 preferenza all’associazione scelta. I 400.000 € che anche quest’anno abbiamo messo a disposizione verranno suddivisi tra ciascuna associazione in base al numero delle preferenze ricevute. Saranno quindi i nostri clienti a scegliere come la cifra verrà suddivisa fra le associazioni. Come sono state selezionate le associazioni? Si tratta di 20 associazioni scelte tra Organizzazioni di volontariato, Cooperative sociali o Associazioni di Promozione sociale che hanno sede legale nelle provincie di Trento, Bolzano o Verona. Le associazioni che si sono candidate al progetto fra luglio ed ottobre 2020, sono state quasi 100, un numero importante che a nostro avviso conferma l’effettiva necessità di iniziative come la nostra. Nella
Mauro Poli
valutazione e scelta delle associazioni ci siamo fatti aiutare dai CSV di Trento, Bolzano e Verona e da una rappresentante del mondo Accademico della Università degli Studi di Trento. Con il progetto aiuteremo tanti soggetti appartenenti a categorie svantaggiate e fragili tra cui anziani, minori a rischio, persone con disabilità fisiche o psichiche, persone in stato di salute debole, donne in difficoltà, persone sole o senza fissa dimora, giovani o adulti con dipendenze o persone in stato di povertà. Tutti i progetti delle associazioni sono raccontati sul nostro sito internet www.gruppopoli. it nella sezione dedicata all’iniziativa. Perché Coltiviamo i vostri progetti, un’iniziativa con tante fasi, che richiedono tempo e lavoro, e non
una semplice donazione? Volevamo uscire dalla logica della sola donazione e affermare il valore del “fare rete” con le associazioni, coinvolgendo i nostri clienti. Siamo consapevoli di essere un mezzo di comunicazione importante, con quasi 70 negozi sul territorio e una base di 280mila clienti: la nostra volontà è mettere questo potenziale a disposizione di chi ha difficoltà a farsi conoscere, al di là del contributo economico. Il progetto, nelle sue sfaccettature, prevede tanti momenti di comunicazione, che hanno proprio l’obiettivo di dare la massima visibilità alle associazioni. E’ per questo che abbiamo cercato di coinvolgere anche le realtà più piccole e periferiche, con l’intento di dar loro una visibilità che si traducesse, anche al di fuori del nostro progetto, nell’arrivo di donazioni e di nuovi volontari. Un ultimo pensiero In tutti questi anni ho imparato che il motore delle associazioni sono i volontari, persone che donano tempo, energie, professionalità, e spesso anche il loro denaro, per aiutare e mettersi a disposizione. Ho potuto vedere la loro grande forza, l’impegno profuso per raggiungere gli obiettivi e la profonda motivazione che li muove. Per questo a Loro va un ringraziamento sentito. Anche loro sono un motore importante del nostro progetto.
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Il calcio in evidenza di Alessandro Caldera
Josè Mourinho “Special One”
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think I am a Special One”. Letteralmente, “penso di essere speciale”. Queste sono alcune delle parole che riassumono alla perfezione uno degli allenatori più vincenti della storia del calcio o, meglio, con queste stesse, lui si definisce. L’autore della frase in questione è un uomo prossimo ai 58 anni, originario di Setùbal in Portogallo, all’anagrafe José Mário dos Santos Mourinho Félix: per tutti, più semplicemente, Josè Mourinho. Chi era quindi questo signore prima di diventare “speciale” e quali tappe della sua carriera hanno contribuito a consacrarlo come tale? Innanzitutto, la passione per questo sport va attribuita al padre Felix, scomparso nel 2017 all’età di 79 anni, portiere con più di 250 partite in carriera e con svariate esperienze da allenatore, anche se con esiti neanche lontanamente paragonabili a quelli del figlio. Per quanto riguarda Josè, di ruolo difensore, possiamo parlare di un trascorso più che modesto all’interno del rettangolo di gioco con all’incirca un centinaio di partite disputate tra
il 1981 e il 1987, prima di un prematuro ritiro, all’età di 24 anni, per dedicarsi poi all’attività che lo avrebbe proiettato nell’Olimpo del calcio. Nella stagione 1992-1993, Mourinho viene finalmente nominato assistente di Bobby Robson, suo mentore, all’epoca allenatore dello Sporting Lisbona. Tra i due nasce un vero e proprio sodalizio che porta il tecnico inglese a nominare Josè suo vice anche nelle successive esperienze, prima al Porto e poi al Barcellona. Il lusitano rimarrà in Catalogna fino alla stagione 1999-2000 e qui, grazie a mister Louis van Gaal (nome da tenere a mente perché ritornerà nella notte più importante della sua vita), avrà anche la fortuna di alzare il primo trofeo in carriera. Con l’avvento del nuovo millennio, assistiamo alla consacrazione definitiva del genio portoghese; ecco perché parlare esclusivamente dei singoli risultati, senza analizzare come siano stati
raggiunti, sarebbe un errore imperdonabile. Riassumere il tutto in modo cinico, impedirebbe di comprendere la vera essenza di Josè, il suo essere leader e la sua grandissima capacità oratoria. Prove inequivocabili di tutto ciò possiamo trovarle durante la sua prima militanza al Chelsea tra il 2004 e il 2007 quando, reduce dalla vittoria della Champions League della stagio-
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Il calcio in evidenza ne 2003 con il Porto, si presenta alla stampa con l’indimenticabile frase riportata in apertura di articolo. Parole dirette e taglienti grazie alle quali, da quel momento in avanti, sarà appunto noto con l’epiteto di “Special One”. Testimonianza invece della sua straordinaria capacità di plasmare e scovare giocatori emergenti, si ha durante la sessione estiva di mercato quando, incalzato dal presidente dei londinesi Roman Abramovich disposto a dargli carta bianca pur di vincere, Mourinho pretende un giocatore allora sconosciuto di nome Didier Drogba. Il patron, di fronte alla richiesta, scoppia a ridere perché si sarebbe aspettato giocatori più blasonati e pronti, non certamente uno ancora in rampa di lancio. Il risultato? Josè viene accontentato, il club vince nel 2004 il campionato dopo 50 anni e il calciatore ivoriano ne diventa il miglior marca-
tore straniero della storia. Non è però all’ombra del Big Bang che Mourinho scrive le pagine più indelebili della sua carriera: ciò avviene infatti in Italia, al termine di un percorso iniziato un pomeriggio di tarda primavera del 2008. È il 2 giugno, quando il presidente nerazzurro di allora, Massimo Moratti, individua nel portoghese il successore di Roberto Mancini. Le motivazioni della scelta sono attribuibili al fatto che lo stesso Moratti non si accontenta più di primeggiare solamente in patria, ma vuole ora imporsi anche all’estero, così come 43 anni prima aveva fatto il padre Angelo. Il calcio che Mourinho esprime nel campionato italiano, non è dei più spettacolari; la squadra però ha una coralità ed una tenacia mai viste prima, che rispecchia in parte anche la sfrontatezza e l’irriverenza del proprio allenatore, capace di gesti
come quello delle “eloquenti manette”, per descrivere un arbitraggio non propriamente di suo gradimento. All’Inter il tecnico ha dimostrato perché è speciale: lo ha fatto una sera di maggio a Madrid nel 2010 quando, riportando i nerazzurri sul tetto d’Europa dopo 45 anni, ha ottenuto anche il “Triplete” (Campionato, Coppa Italia e Champions League), divenendo il primo allenatore in Italia a riuscire nell’impresa. Quella notte il portoghese ci ha voluto dare anche un insegnamento di vita: con il successo in terra spagnola ha dimostrato infatti che l’allievo può superare il maestro. O almeno, questo è quanto riportato dal tabellino al termine di quel magico incontro. Lo “Special One” si impose infatti per due reti a zero contro Louis van Gaal, suo mentore, entrando così di diritto nella leggenda.
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Storie di casa nostra di Andrea Casna
La bella anguana di Roncegno
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grandi massi che si trovano nei pressi di Maso Fraineri non sono altro che l’antica dimora delle anguane. Si narra infatti che sotto di essi vi siano ancora le stanze, collegate fra loro da lunghi corridoi, un tempo dimora dalle anguane: le donne delle acque, famose per la loro bellezza e, se stuzzicate, anche per loro crudeltà. Per le popolazioni locali le anguane erano creature più simili alle streghe che non ad essere legati al bosco e alla natura. Per questo gli abitanti della Valsugana (e non solo), soprattutto i giovani, si guardavano bene dal starne alla larga. «Non si sa mai -dicevano fra loro. Queste donne potrebbero ingannarci con la loro bellezza per tramutarci in schiavi..o.. addirittura ucciderci». Gli anziani raccomandavano, infatti, di stare alla larga da quei massi. Le anguane ricambiavano con il non farsi mai vedere, le si poteva però notare il venerdì quando uscivano allo scoperto per stendere il bucato sull’erba. Al tempo dei fatti viveva a Roncegno un giovane contadino di bell’aspetto. Era un solitario. Evitava le persone del paese e trascorreva gran parte del suo tempo a parlare con i suoi due buoi: il Bigio e il Ciaro. Ovviamente gli abitanti vedevano con diffidenza il giovane. «Un giovane che vive da solo e parla con i suoi buoi? Meglio evitate...non si sa mai». Un venerdì il nostro giovanotto, terminato il lavoro nei campi, si trovò, con il suo carro, a passare, proprio con Bigio e Ciaro, vicino a Maso Fraineri. Ad un certo punto alzò gli occhi e vide due bellissime fanciulle, con i capelli sciolti, intente a stendere il bucato sull’erba. La scena sembrava quasi una danza. Le loro, infatti, erano movenze aggraziate
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e delicate. Senza pensare, così d’istinto, le chiamò per fare due chiacchiere. Le belle anguane abbandonarono i loro panni e si diressero, con i loro movimenti dolci e aggraziati, verso il giovanotto. Al corteo se ne aggiunsero altre... arrivando ad una ventina che, in men che non si dica, erano già salite sul carro. Tutte iniziarono a parlare riempendo il giovanotto di domande: «Come ti chiami? Cosa fai? Come si chiamano i tuoi buoi? Che succede in paese? ...». Iniziarono poi a raccontare aneddoti sui nani e gnomi del bosco. Insomma... non smettevano mai di parlare. Il ragazzo frastornato da tante chiacchiere («nani e gnomi poi...che gente è questa?» - si domandava il ragazzo che parla con i buoi ) iniziò subito a pensare ad un modo per salutarle. «Siamo anguane» esclamò un di esse che gli aveva letto nel pensiero strizzandogli poi l’occhio in modo malizioso. «Anguane! -pensò fra se e se il ragazzo. E ora come faccio? Gli anziani hanno sempre detto di evitarle. Mi sono proprio messo in un bel pasticcio. Ora le saluto in modo gentile e garbato, perché mai far arrabbiare un’anguana». Il ragazzo prese coraggio. «Bene belle fanciulle. Purtroppo vi devo salutare perché per me si è fatto tardi. È stato veramente bello trascorrere del tempo in vostra compagnia, ma ora devo proprio tornare a casa. Ho molto lavoro arretrato... ». «E no -disserro in coro. Ora sei nostro prigioniero e non ti possiamo lasciare andare». «Mi sono proprio infilato in un bel pasticcio -rispose il giovanotto». «Oh no -disse una di loro. Ti libereremo subito. Devi solo sposare me». «Che sposi me -dissero tutte le altre in coro. Resteremo qui… tutti insieme per sempre». «Come
faccio? -si domandò il ragazzo. Non posso sposarle tutte. Una sì.... ma tutte no... Come faccio ad uscire da questo impiccio?». A quel punto intervennero i due buoi: «che la più bella resti sul carro -pensarono Bigio e Ciaro». E le anguane, ridendo, scesero dal carro. Tutte tranne una: la più bella rimase lì al fianco del giovanotto. Dopo qualche giorno i due si sposarono. Fu un’unione felice e allietata dalla nascita di numerose anguane che, una volta diventate adulte, a loro volta si sposarono mettendo al mondo altre anguane. E queste anguane...chi erano? Nella credenza popolare le anguane sono esseri che fanno parte del mondo spirituale/magico. Donne bellissime che, nella cultura pagana, abitano nei pressi dei corsi d’acqua ai piedi delle montagne o nei boschi. Sono figure femminili con poteri magici e fortemente legate all’acqua; quindi alla vita. Ed essendo legate ai corsi d’acqua, spesso, nelle leggende le si trova impegnate nel lavaggio dei panni: in alcuni racconti sono infatti le lavandaie del dio pagano dei boschi e delle selve. Nell’immaginario popolare trentino sono protagoniste di leggende positive e, a volte, anche di leggende drammatiche, in cui spesso vestono, in modo ingiusto, i panni di strega malvagia. Con l’avvento del cristianesimo durante il processo di demonizzazione della cultura pagana, vennero infatti accostate al diavolo e agli spiriti maligni. Le leggende a loro riferite si trovano in zone vicine ai corsi d’acqua, come le località di Mezzolombardo, Mezzocorona e in Valsugana. La loro credenza è diffusa nell’area alpina del nord-est (Trentino-Alto Adige, Veneto e Friuli).
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Storie d’altri tempi di Andrea Casna
Quando si credeva nei vampiri
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vampiri sono solo frutto della cultura cinematografica? La risposta è no. I vampiri esistevano molto prima del cinema e molto prima della letteratura. I vampiri sono esseri mitologici che affondano le loro origini in un passato antico e arcaico. Tutte le culture del mondo, dall‘Europa all‘America, dall‘Africa all’Asia, sono ricche di racconti sui vampiri. Un tempo, quindi, si credeva nell‘esistenza di questi esseri. La scienza e la ragione, poi, hanno relegato queste figure nell‘ambito delle credenze popolari e del folklore. Ma fino alla fine del Settecento (e per gran parte dell‘Ottocento) molti gruppi sociali dell‘Europa, in modo particolare dell‘area tedesca e slava, credevano proprio nell‘esistenza di queste creature malefiche che si nutrivano del sangue degli esseri umani. A metà del Settecento iniziarono a dilagare in Europa notizie legate ad aggressioni ad opera dei vampiri. In molti villaggi dell‘Europa orientale, al tempo soggetti all‘Impero d‘Austria, vi furono delle vere e proprie cacce ai vampiri con la distruzione di cadaveri perché “sicuramente dei vampiri”. Questi rituali prevedevano la riapertura delle tombe, abitate dai presunti „vampiri“, e la messa al rogo del cadavere, oppure la sua decapitazione con il classico paletto conficcato nel cuore. Nel 1732 il London Journal, per esempio, riportava la notizia di un caso di vampirismo in un villaggio dell‘Ungheria. Le autorità locali, come si legge nell‘articolo, dopo appurate indagini, furono concordi nell‘affermare che un certo Arnold Paul era morto perché morso da un vampiro. Alcuni giorni dopo il suo funerale molte persone del villaggio afferma-
rono di essere state morse proprio da Paul. Di fronte a questa minaccia, su consiglio del giudice locale, alcuni abitanti del villaggio riesumarono la salma (che trovarono perfettamente integra) per poi trafiggerne il cuore con un paletto. Notizie di questo tipo circolavano con una certa facilità e, a metà del Settecento, arrivarono anche alla corte dell‘Imperatrice Maria Teresa d‘Austria la quale decise di avviare un‘indagine scientifica per vederci chiaro. A capo di questa spedizione fu nominato il medico di corte Gerard van Swieten il quale concluse, dopo un periodo di studio sul campo, l‘inesistenza di queste creature. L‘imperatrice approvò quindi una legge che proibiva l‘apertura e la profanazione delle tombe e dei cadaveri: fu il primo passo che portò il vampiro ad abbandonare il mondo reale per entrare piano piano, dopo millenni, in quello del folklore. L‘archeologia nel corso degli anni ha dimostrato la credenza nei vampiri. In Polonia e in Bulgaria sono stati trovati i resti di scheletri con evidenti lesioni in prossimità del cuore, oppure, con un mattone, o un sasso, conficcato in bocca.
Ritornando a Maria Teresa d‘Austria e alla sua legge contro “il vampirismo” dobbiamo dire che la credenza verso queste creature non sparì definitivamente. Per tutto l‘Ottocento, nelle aree agricole dell‘Europa, si continuò a credere nei vampiri. Ma, sempre nell‘Ottocento il vampiro entrò a far parte del panorama letterario dell‘epoca. Il primo a trasferire il vampiro nella dimensione letteraria fu John William Polidori che nel 1819 pubblicò il racconto “il Vampiro”. Anni dopo, nel 1872 lo scrittore Joseph Sheridian Le Fanu diede alle stampe “Carmilla”; un racconto vampiresco al femminile. Poi, Bram Stocker, nel 1897, pubblicò il celebre romanzo “Dracula”, un capolavoro della letteratura gotica che ispirerà molti film contribuendo definitivamente a fare del vampiro un elemento costante nella cultura popolare.
Anche in Italia non mancano leggende o ritrovamenti. A Venezia, sull‘isola del Lazzaretto Nuovo, infatti, in alcuni scavi archeologici condotti fra il 2006 e il 2008 furono rinvenuti resti di un donna-vampiro. Il teschio, infatti, aveva un mattone in bocca. In questo caso, erano gli anni della peste e si pensava che fossero proprio i vampiri a diffondere la tremenda malattia. E anche in Trentino non mancano racconti. A Luserna, infatti, sono numerose le leggende sui vampiri, o meglio, sulle vampire.
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Società oggi di Francesco Zadra
Quattro buoni propositi per il nuovo decennio
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l semplice ricordo di quando, con il 2019 agli sgoccioli, la gente si chiedeva «Cosa facciamo a Capodanno?», ci permette di rivivere il gusto provato allora nell’aprirsi non solo di un nuovo anno bensì un nuovo decennio, gli anni ‘20 del XXI° secolo, con le sue esplosioni di petardi, e folle festanti che riempivano piazze per brindare, nell’illusione – percorsi i primi passi nel 2021 sappiamo bene quanto c’illudevamo – che il nuovo anno sia migliore del passato. Il “decennio”, una convenzione studiata a tavolino per raggruppare gli anni in numeri decimali, un artificio, una mera consuetudine. Come può esercitare un tale fascino sulla mente umana? Come fa un semplice numero stampato sul calendario a sprigionare una così grande voglia di cambiamento, tanto da stilare liste di buoni proposi-
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ti, in tante persone? Certo, questi stock di annate sono dei veri e propri campioni di storia umana, con cambiamenti epocali che segnano indelebili le generazioni a venire, nel vortice del “tutto e subito” con nuove mode, tendenze sociali, perfino movimenti e leadership politiche che nascono e muoiono di continuo, dove un attimo prima sei il nuovo che avanza e, passati i tuoi 15 minuti di gloria, cadi nel dimenticatoio. Guardare a cent’anni fa ci può servire da spunto, almeno nel constatare che «la Storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia e la seconda come farsa» (Marx docet), così eccovi la “to-do-list” a sfondo storico che forse stavate aspettando. Proposito numero 1 Occhio al portafoglio! Chi non sogna di mettere da parte un gruzzoletto per fare quella vacanza
da sogno alle Maldive o acquistare il cellulare all’ultimo grido? Ora, a parte il Covid, siamo lontani da la “Grande depressione” succeduta al crollo di Wall Street del 29 ottobre 1929, con milioni di persone ritrovatesi di colpo a fare la fila alla mensa dei poveri per un tozzo di pane e un piatto di minestra, la quasi totalità delle banche fallite e la disoccupazione alle stelle, ma sappiamo che dietro a ogni difficoltà si nasconde un’opportunità. Dopotutto il Giovedì nero aprì le porte al “new deal” del presidente Roosvelt, un grande piano ricco di misure riguardanti il controllo del sistema bancario, regolazione della concorrenza, creazione di enti per lo sviluppo economico, e sblocco di grandi opere pubbliche che fecero ripartire l’economia. Il tutto grazie al deficit nel bilancio statale.
Società oggi Proposito numero 3 Non trascurate chi vi vive accanto Il movimento proibizionista crebbe soprattutto grazie al contributo femminile, con migliaia di donne, stanche di subire abusi a causa dell’ebbrezza, che si univano alle leghe proibizioniste assumendo una maggiore consapevolezza del proprio valore all’interno della società. Debuttarono così le “flappers”, donne che amavano godere della propria indipendenza sfoggiando trucchi vistosi, cimentandosi alla guida piuttosto che dandosi al tabagismo. Dunque? Nel decennio a venire dedicate meno tempo ai bar e un po’ più d’attenzione al partner. Non aspettatevi però di avere “la botte piena e la moglie ubriaca”! Proposito numero 4 Date il giusto peso… alla bilancia Le flappers sdoganarono nella
comunità statunitense il concetto di “magro è bello” e la situazione degenerò; le giovani americane si dirigevano a lunghe falcate verso il baratro con un fardello di disturbi fisiologici e psicologici non da poco che per noi oggi è “emergenza anoressia”, uno dei gravi disturbi alimentari che affliggono oltre tre milioni di italiani in fasce d’età ogni anno più basse. All’epoca il regime fascista schierò la stampa e l’istituto Luce in una guerra mediatica ad hoc volta a impedire che la moda della magrezza proveniente da oltreoceano attecchisse anche in Italia. Dunque, abbiate cura del vostro corpo, ma non esitate a farvi aiutare in presenza di problematiche. Bastano quattro propositi per il decennio per capire che chi dimentica i propri errori è condannato a ripeterli.
Come eravamo
Proposito numero 2 Meno alcol! Guardando al proibizionismo di cent’anni fa con la messa al bando di bevande alcoliche in risposta agli abusi sempre più frequenti e al diffuso alcolismo per il disastro di relazioni, famiglie e carriere lavorative, che fece chiudere le serrande ai “saloon” nel tentativo di salvare l’America, scopriamo che si diffusero a macchia d’olio gli “speakeasies”, bar clandestini in cui si continuava a bere illegalmente. Anzi, vi fu una crescita della criminalità organizzata che cavalcò questo nuovo filone di affari, e il governo americano fu costretto a riportare tutto allo stato iniziale con l’abolizione del “Volstead Act” nel 1933. Morale? Non rinunciate ai vostri “happy hours”, ma evitate di alzare troppo il gomito!
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Qui Pergine di Nicola Maschio
L’associazione culturale “Dorma Mentis Tridentinae”
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reare cultura e conoscenza, valorizzando il territorio. A Pergine Valsugana, la neo-nata associazione Forma Mentis Tridentinae ha le idee chiare per il proprio futuro, già indirizzato su un percorso ben tracciato. Al timone troviamo Francesco Barni, ideatore anche della prima fiera del fumetto trentina, il Pergine Comics, fondata dopo anni di collezionismo nel medesimo ambito. <<Questa associazione culturale nasce esattamente un anno fa, anche se purtroppo il Covid ci ha costretti ad uno stop immediato – ha spiegato Francesco. - Solo lo scorso ottobre infatti abbiamo terminato l’iter burocratico ed ora, insieme ai miei collaboratori, stiamo ideando progetti in grado di creare cultura a trecentosessanta gradi. Qualche esempio? Un cineforum, un caffè letterario, concerti, supporto alla fiera del fumetto ed eventi a tema. Inoltre, qualche iniziativa del tutto particolare che possa permettere a grandi e piccini di riscoprire il nostro splendido territorio>>. Ecco dunque che, con il passare del tempo, hanno preso forma le prime idee. Semplici nel pensiero, ma ben più complesse nella realizzazione. Con l’emergenza sanitaria ancora in corso, la possibilità di organizzare manifestazioni o aggregazioni di qualunque tipo (oggi più comunemente noti come “assembramenti”) si è ridotta veramente al minimo. Per questo, Francesco e gli altri membri dell’associazione, in particolar modo Catia Borgogno e Michele Contin (rispettivamente vicepresidente e segretario/ tesoriere), hanno deciso di cominciare con qualche progetto più piccolo, ma
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di grande impatto. In primo luogo, l’Acchiappa Pergine. Ricordate il celebre gioco del Memory? Ecco, esattamente la stessa cosa, ma con i luoghi storici e gli edifici più rappresentativi della cittadina. Dalla piazza del Municipio all’ex Filanda Chimelli, senza dimenticare il meraviglioso Castello di Pergine. Il coinvolgimento di ben 15 artisti diversi, i quali hanno mostrato la propria disponibilità a titolo gratuito, ha permesso di realizzare un piccolo capolavoro. Vere e proprie opere d’arte, intagliate su quadrati in legno delle dimensioni di una tessera da gioco, realizzati dallo studio grafico locale Irydea, con il contributo di Ilenia Froner e Cristiano Offer. Successivamente, ecco il secondo gioco: una versione più territoriale del classico Monopoly, il Perzenopoly. Un percorso tra le principali vie del Comune, con tanto di carte Imprevisti (“Orco can!”) e Probabilità (“Poderia eser”) scritte rigorosamente in dialetto trentino. "Con questi giochi, i ragazzi più giovani potranno riscoprire luoghi storici della città e, di contro, i genitori oppure i nonni racconteranno loro “la Pergine del passato”, con aneddoti personali e sconosciuti alla comunità – ha aggiunto Francesco. – Il Perzenopoly è stata un’idea di Catia e Michele e, fino a questo momento, ha riscosso davvero
Qui Pergine
un grande successo. Tutto ha preso forma quando ci siamo rivolti al Piano Giovani di zona, proponendo il progetto “Vei a Zugar” con l’intento di realizzare giochi da tavolo in legno. Parliamo non solo di un materiale eco-sostenibile, ma soprattutto di un aiuto concreto al nostro territorio visto che il legno utilizzato proviene dai danni causati dalla tempesta Vaia. Questi primi progetti sono importanti sotto tanti punti di vista: il territorio, la storia, ma anche il turismo. Abbiamo
in programma altre idee, perciò invitiamo chi volesse ad associarsi con noi e seguirci sulla pagina Facebook, per non perdersi le prossime novità!". Piccolo spoiler: sono in fase di ultimazione gli scacchi perginesi (si baseranno sulla tradizione giapponese del
gioco), il Tractor race (versione locale del più celebre Vector race) ed infine i Krampus in Perzen, una rivisitazione del più conosciuto Lupus in Tabula. Insomma, si prospetta un 2021 ricco di sorprese e divertimento, ma soprattutto di cultura.
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Didattica, educazione e comunicazione di Chiara Paoli
Per imparare la lingua italiana dei segni “T
utto è iniziato per colpa di quello spilungone, di Matteo. È nato dalla tenacia, dalla voglia di comunicare, dalla caparbietà con la quale, per ore e ore, cercavamo assieme di capire ciò che volevamo dirci a vicenda. Abbiamo letteralmente consumato libri e imparato quasi a memoria il susseguirsi delle loro pagine. Da qui l’idea. Conciliare la passione e competenza grafica di Samuele con l’esigenza rilevata nel nostro lavoro: un dizionario di segni illustrato, uno strumento didattico, educativo e comunicativo che coniughi immagine, parola e segno LIS e che sia consultabile e utilizzabile in completa autonomia senza mediazione alcuna.” Queste le parole della prefazione di Iris Piva alla pubblicazione di Samuele Maranelli, “Di-Segni LIS – Nuove parole su tecnologia, natura, scuola e quotidianità”, volume pubblicato da edizioni31 con il patrocinio dell’Ente Nazionale per la protezione e l’assistenza dei Sordi – Onlus sezione provinciale di Trento. L’idea di questa pubblicazione si affaccia nelle menti di Samuele e Iris circa cinque anni fa, quando si sono ritrovati a lavorare assieme con Matteo, un
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ragazzo che negli anni aveva interiorizzato solo pochi segni e quindi comunicava attraverso un abbecedario della lingua dei segni, che però si è rivelato povero, contenendo solo le parole più comuni. Questo progetto prende avvio concretamente tre anni or sono, partendo proprio dall’esigenza pratica di operare a scuola con bambini e ragazzi affetti da sordità, per cui era necessario avere uno strumento utile soprattutto in due fasi dell’apprendimento: per imparare a riconoscere il segno (osservando il disegno) e successivamente a scrivere la parola. Questo volume è una sorta di dizionario o Abecedario della Lingua dei Segni italiana che propone disegno, segno e parola scritta. Il testo è opera di Samuele Maranelli, che si è occupato anche della parte grafica, con il supporto e la consulenza di Iris Piva che ha fornito un’analisi delle parole ad alta frequenza della lingua italiana, ma al suo interno vi sono anche parole a media e bassa frequenza. Uno strumento utile a coloro che operano nel settore, ma anche un prezioso
aiuto per adulti stranieri affetti da sordità o per i genitori che hanno bambini sordi in età prescolare o all’inizio del proprio percorso di studi. Il manuale si rivela un testo pratico e indispensabile per chi si approccia allo studio della lingua italiana dei segni (LIS). Per lavorare con i sordi stranieri sono utili le immagini contenute nel testo, che aiutano anche nella conoscenza della lingua italiana. All’interno del volume anche alcune curiosità che riguardano la sordità e il mondo della Lingua Italiana dei Segni utilizzata dai Sordi. La sordità appare ancora oggi come un’handicap intangibile, quasi invisibile, se non si ha un contatto diretto con persone sorde, non si ha idea di quelle che sono le loro difficoltà quotidiane. Appare difficile soprattutto capire le loro difficoltà di comunicazione e socializzazione; l’intento di questo testo è anche quello di sensibilizzare le persone su questa disabilità che passa spesso inosservata. Un libro adatto a tutti e che mira ad abbattere le barriere comunicative.
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Le cose belle successe
nel 2020 I
n novembre si è svolta #ioleggoperché, la più grande iniziativa nazionale di promozione della lettura, organizzata dall’Associazione Italiana Editori, sostenuta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo. Durante l’ultima settimana del mese, nelle librerie che hanno aderito a questo progetto è stato possibile acquistare libri da donare alle Scuole. Quest’anno #ioleggoperché è stato “a prova di Covid-19”: infatti per agevolare le donazioni la libreria Il Ponte ha favorito anche i numerosissimi acquisti a distanza. Nonostante questo, è stata letteralmente presa d’assalto dalle tantissime persone che hanno voluto contribuire a incrementare il patrimonio delle biblioteche scolastiche e disposte ad aspettare ordinatamente il loro turno all’esterno del negozio. Alle donazioni dei privati si sono aggiunte quelle di coloro che hanno dimostrato una particolare sensibilità nel comprendere l’im-
portanza del progetto e ai quali va un grazie con tutto cuore da parte della libreria, delle insegnanti e degli alunni: Apt Valsugana e Tesino, Cassa Rurale Valsugana e Tesino, Proloco di Borgo Valsugana, Mobili Tomaselli di Castel Ivano, Comune di Borgo Valsugana e Comune di Ospedaletto. Fin dalla prima edizione della manifestazione, Borgo Valsugana si è distinta per le tantissime scuole iscritte e quest’anno ci sono state 19 adesioni ufficiali e 3 informali, per un totale di 22 scuole partecipanti, considerando anche il fatto che la Libreria Il Ponte non ha accettato il gemellaggio delle scuole che hanno una libreria presente nel loro territorio, nella ferma convinzione che sia eticamente corretto favorire le realtà locali. Il grandissimo successo
dell’iniziativa è dovuto anche alle peculiarità del negozio che è conosciuto soprattutto per il suo impegno per la diffusione della lettura, infatti da molti anni appartiene al circuito delle librerie “Nate per Leggere” e fa parte del virtuoso “Distretto Famiglia Valsugana e Tesino”.
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Come eravamo di Mario Pola
Caldonazzo e le trippe del castello Caldonazzo è oggi un paese di quasi quattromila abitanti. Da sempre la sua economia si basa prevalentemente sull’agricoltura ma da una trentina d’anni, la vicinanza con la città di Trento, la facilità dei collegamenti con la ferrovia della Valsugana e la strada statale 47, il servizio di autobus, hanno invogliato molti trentini a trasferirsi fra le rive del lago e il monte Rive e la popolazione è quasi raddoppiata. Caldonazzo è oggi una ridente cittadina che ospita pubblici dipendenti, artigiani, albergatori, ristoratori, operai e naturalmente contadini.
P
er uno strano fenomeno di urbanizzazione, sicuramente legato alla nascita di supermercati in periferia, mentre sono cresciuti gli abitanti sono diminuiti alcuni servizi, quali le macellerie, le panetterie e le osterie. Racconta Beppi Toller, storico sindaco di Caldonazzo, nel secondo volume de” I passi ritrovati” edito dal Centro d’Arte La Fonte, che nei bei tempi, quando alle discoteche si preferivano i “filò” nelle stalle, di osterie in paese ce n’erano almeno quindici. Una di queste, fra le più caratteristiche era la trattoria Al Castello nota anche come osteria del Pasqualoto. Un locale modesto in una vecchia casa nella piazza della chiesa sul lato di Corte Trapp e per questo chiamata appunto del Castello. Ma era anche detta del Pasqualoto perché il titolare era Pasquale Curzel, discendente di una famiglia, probabilmente originaria della Germania. Pasquale era rientrato nel 1900 dall’America, aveva rilevato il locale e sposato Tecilla Maria già impiegata come cameriera all’Hotel Caldonazzo, ora Kinderdorf. La coppia aveva avuto undici figli e fra questi Emilio, che con la sorella Pia, ha ereditato l’attività. La trattoria, presente almeno dal sedicesimo secolo, aveva i muri di un bianco polveroso e i tavoli di legno brunito dal tempo e dal vino
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che in molti casi veniva fatto traboccare dal bicchiere dai grossi pugni picchiati dagli avventori sulle assi per scandire i numeri della Morra. Erano i tempi in cui la chiesa si riempiva ogni domenica ed in occasione di funerali, matrimoni e battesimi e i fedeli dopo le cerimonie si riversavano all’osteria e qui, grazie all’arte dei Pasqualoto, trovavano delle ottime trippe. Tanto rinomate che ai consueti avventori si aggiungevano spesso buongustai provenienti dalla città di Trento e dai paesi vicini. Nessuno è mai riuscito ad emulare le trippe del Pasqualoto, che consistevano in una minestra fatta con le frattaglie, in particolare del vitello, con verdure tra cui sedano e cipolla. Alla conduzione della trattoria, quando morì Pasquale, si dedicarono i figli Elmilio, detto il Milio, e Pia, i quali raccolsero la tradizione e rafforzarono la fama. Quando si chiedeva al buon Emilio e alla sorella Pia di svelare la ricetta ovvero come erano state confezionate le trippe, loro con sorriso quasi ironico, rispondevano che non erano in grado di dare ricette in quanto tutto era stato fatto secondo una vecchia maniera spesso definita “ad occhio”. Certo avevano un gusto prelibato e una consistenza dovuta agli ingredienti impiegati; non erano liquide, ma spesso la quantità di pane
usata, creava della buona minestra una specialità unica. Negli anni Ottanta del Novecento i fratelli Emilio e Pia decisero di andare in pensione e avendo il Milio una sola figlia poco propensa alla cucina e alla professione di oste, chiusero i battenti. Il locale venne affittato ad una parrucchiera ed ancora oggi vi si svolge tale attività. Sta di fatto però che, nonostante sia trascorso del tempo, ancor oggi è rimasto il ricordo di quelle trippe che in nessun altro locale si riesce ad assaporare e l’osteria del Pasqualoto resta nella storia del paese, in quanto locale alla buona, senza grosse pretese, e soprattutto accessibile ai buongustai, desiderosi delle buone trippe.
Tra poesia e prosa di Laura Mansini
Livia Marchesoni, pensieri di una poetessa
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ome ‘n refol de vento/ galopa i me pensieri,/ ‘n te na nugola de petali/ i va, emprofumadi e lizeri./ Na folada de aria/ la i smissa a ‘n po’ de fantasia…” Questi versi fanno parte di “Pensieri” una poesia scritta da Livia Marchesoni nel Gennaio 2016. Una riflessione su attimi di vita che tutti possiamo provare. “Ma io non sono una poetessa” si schermisce Livia, “Ho iniziato a scrivere piccoli pensieri, qualche rima, ma quando sono andata in pensione e sono tornata a Caldonazzo”. Livia è nata a Caldonazzo il 25 dicembre del 1933, “Una bellissima data per nascere- commenta sorridendo- così ricevevo i regali di Natale e compleanno tutti nello stesso giorno, compresa la festa unica”. Un’allegra ironia che fa parte del suo carattere, la stessa ironia che troviamo in certi versi . Sposata con il toscano Roberto Turri, ha una figlia ed una nipote, delle quali è orgogliosissima- “A vent’anni sono partita con il diploma di puericoltrice nella valigia dice, ed ho iniziato a lavorare a Busto Arsizio”. Aveva infatti trovato lavoro presso un’importante famiglia del luogo che aveva tre figli, dei quali si è occupata per 10 anni, fino a quando sono diventati grandi; in seguito ha partecipato ad un concorso per lavorare in un Istituto per l’Infanzia di Novara e vi è rimasta per 13 anni. Tornata al suo amato paese Livia ha iniziato a scrivere qualche piccola riflessione, qualche verso, poi, ritrovando le amiche d’infanzia che frequentavano l’Università della Terza età ha iniziato ad impegnarsi più compiutamente, trovando il piace-
re nello scrivere. Ricordo le poesie così carine ed ironiche che scriveva e leggeva in occasione della Festa della Villa. “La Villa” è una delle vie più antiche di Caldonazzo, che ogni anno d’estate ospita la Banda e per l’occasione Rosa Maria Campregher e Livia Marchesoni “le poetesse della Villa” leggono le loro riflessioni sulla vita e la storia di questa bella via. Sono momenti piacevoli nei quali la comunità si ritrova. Molto importante per la propria formazione poetica è stato per lei l’ingresso, promosso da Rosanna Gasperi, nel Cenacolo della Valsugana nel 2012. Ancora oggi ricorda con molta stima ed affetto, il presidente di allora Luciano de Carli. “Incontrare Luciano per me è stato un momento di crescita, mi ha insegnato tanto, assieme agli altri componenti del gruppo. Con loro mi sono trovata molto bene. Ma ripeto, non mi considero una poetessa. L’ispirazione la trovo qualche volta rivivendo con ironia il mio passato, od affidandomi a qualche fatto o a qualche fantasia del momento. “ Mi ha incuriosito questo non considerare se stessa una poetessa e mi sono chiesta che cosa sia veramente un poeta. La poesia è una forma di narrativa che cerca di sintetizzare in versi il proprio pensiero, la poesia é una forma d’arte che crea, con la scelta e l’accostamento di parole secondo particolari leggi metriche , un componimento fatto di frasi dette versi, in cui il significato semantico si lega al suono musicale dei fonemi. Ma poesia è
anche cogliere un attimo e regalarcelo come questi versi che concludono i “Pensieri” di Livia Marchesoni: I se sbalza/ i fa qualche schiamela/ e po’ i va via,/ i rudola, i se svoltola,/ ‘n te le terlaine ‘narzentade/ de bruma./ Slusenti al calar del sol,/ i se poza’n la so cuna,/ I se chieta….i se ‘ndormenza,/ chizneradi dala luna.
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Attualità di Nicola Maschio
Con il Covid in calo furti e rapine in casa Il momento storico che stiamo attraversando non è sicuramente di quelli in cui, per scomodare un vecchio detto, “non tutti i mali vengono per nuocere”. Tuttavia, e lo confermano le statistiche di questo funesto 2020, la pandemia di Covid si porta appresso un risultato, per certi aspetti, inaspettato: il virus ha letteralmente fatto crollare furti e rapine in casa.
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cippi, borseggi, rapine nelle strutture “classiche” come banche o uffici postali. Una flessione di quasi il 50% rispetto ai dati del solo 2019, con l’attività criminale trovatasi incastrata tra lockdown (e dunque le persone chiuse in casa), coprifuoco e soprattutto aziende, uffici e strutture commerciali con accessi ridotti se non addirittura chiusi a causa della situazione epidemiologica. Ciò non significa ovviamente che la maggior parte dei reati non abbia (purtroppo) proseguito la sua corsa ormai inarrestabile negli anni, ma sotto certi aspetti si è davvero registrato un calo statistico importante. Partiamo però da ciò che il Covid non è riuscito ad intaccare, con i numeri a livello nazionale: rispetto al 2019, e considerando il semestre dal giorno 1 gennaio al 30 giugno 2020, i delitti informatici sono cresciuti del 23,3% (9.380 in tutto). Dato tuttavia abbastanza deducibile, se consideriamo che la maggior parte delle attività, ed il lavoro in particolare con il potenziamento dello smartworking, si è spostato sui computer spesso domestici. Grande distacco invece per quanto riguarda i delitti riferiti all’usura, solo 101 con un +9,8% rispetto all’anno precedente, così come dello stop alla mobilità ha risentito il contrabbando, con un solo +6,7% ed un totale di 222 delitti registrati. Ancora, si fermano ad appena 18 le scoperte
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di nuove associazioni per spaccio di stupefacenti, con gli incendi boschivi (988) a segnare il dato più basso, cioè un +2,4%. Restando con gli occhi puntati sul panorama nazionale, ecco che contraffazioni di marchi e prodotti industriali
sono letteralmente crollate, fermandosi a quota 1.345, ovvero -49,3% rispetto al 2019. Numeri incoraggianti anche per quanto riguarda la violazione della proprietà intellettuale, con sole 138 denunce ed un -44,4% totale, così come i furti che hanno fatto
Attualità registrare un decremento del 41,3%, ovvero “solo” 311.824 casi in tutta Italia. Bene anche il -29,9% riferito allo sfruttamento della prostituzione ed alla pornografia minorile (538 episodi riscontrati), così come il -29,6% attribuibile a rapine di varia natura (8.669 in totale). Un commento sui dati lo ha inoltre fornito Stefano Delfini, direttore del Servizio Analisi Criminale della Direzione Centrale della Polizia Criminale, che lo scorso 25 ottobre al Sole 24 Ore ha dichiarato: <<In questi mesi abbiamo studiato con attenzione cosa stava succedendo. Le limitazioni alla libertà di circolazione sono state un fatto eccezionale, che ha ovviamente influito su alcune forme di criminalità. Per altre, la diminuzione è stata meno marcata, come per maltrattamenti e percosse, che spesso sono reati spia di violenze di genere. Lo dimostrano anche l’aumento delle
NUOVA RIVENDITA BOMBOLE
telefonate al numero 1522 durante il lockdown e il fatto che, con la riapertura delle attività, sono tornate subito a crescere le denunce di violenze su donne o minori. Inoltre, smart working e didattica a distanza hanno spostato una parte della delittuosità sulla rete>>. Relativamente al Trentino Alto Adige, ci sono anche in questo caso dati più o meno significativi. Calano infatti dell’11,1% le rapine in esercizi commerciali, così come del 18,6% le percosse e del 19,6% le rapine. Ancora, in controtendenza rispetto al resto d’Italia è significativa la diminuzione delle frodi e truffe informatiche (-24,5%), del riciclaggio e impiego di denaro (-28,6%) e anche del traffico di stupefacenti (un calo addirittura del 33,1%). Calano in modo considerevole anche i furti di autovetture (-40,8%), i furti in abitazione (-45,9%) e quelli che
vengono definiti “furti con destrezza” (-54%) e “furti con strappo” (-71,7%), rispettivamente un furto attuato con particolare abilità (ritenuto più grave del reato classico) ed il consueto scippo, ovvero la privazione di un oggetto dalle mani di una persona in modo sostanzialmente violento. Dato più che positivo per la nostra realtà, infine, è il vero e proprio crollo del contrabbando e della violazione della proprietà intellettuale, che scendono del 100% nel primo semestre del 2020. Ci sono però anche delle note dolenti che vanno necessariamente sottolineate: salgono infatti i delitti informatici (diversi dalle truffe e in aumento del 4%), così come gli incendi boschivi (+12,5%) e gli omicidi colposi (+15,4%). Preoccupa particolarmente l’aumento pari al 100% di reati connessi alla pornografia e allo sfruttamento della prostituzione.
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Medicina & Salute di Laura Fratini
La comunicazione nella coppia "La comunicazione parte non dalla bocca che parla ma dall’orecchio che ascolta. Quindi per far funzionare una coppia, si deve iniziare con una buona comunicazione, che vuol dire predisporsi all’ascolto’’
L
e persone quindi vivono le relazioni sentimentali non solo sulla base degli aspetti “pragmatici” e coscienti della relazione con l’altro, ma anche in funzione delle rappresentazioni interne, i modelli, che hanno costruito nel corso dell’esistenza all’interno dei rapporti più significativi. La propria storia d’attaccamento, ci da gli strumenti, giusti o sbagliati che siano, per stare in relazione con l’altro, a questo si aggiunge le esperienze che facciamo e che abbiamo fatto nelle precedenti relazioni sentimentali. Ma qual è il meccanismo attraverso il quale avviene la scelta di una persona piuttosto che di un’altra? Cosa del proprio bagaglio personale peserà maggiormente nell’effettuare la scelta? il partner, l’amato, è sempre, in parte, usato narcisisticamente come un contenitore per alcune parti di noi. Possiamo proiettare sull’altro parti angoscianti di noi e vedere in lui una parte complementare. Questo processo può dimostrarsi evolutivo, quando il rapporto con il partner permette di riconoscere e bonificare le parti di noi che abbiamo fino a quel momento respinto e che ci mettevano ansia o angoscia. Nella scelta della nostra metà della mela influisce molto il modello di coppia che ci portiamo dentro, così come l’abbiamo interiorizzato sulla base della nostra esperienza con i genitori. La scelta del partner è importante perché è il punto di partenza per una relazione che potrà funzionare in un
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futuro. Questo però non è il solo punto fondamentale, la comunicazione all’interno della coppia è una parte essenziale per il buon funzionamento. Proviamo a vedere quali potrebbero essere i punti per un dialogo fallimentare: ● il puntualizzare, quando cioè un partner tende a puntualizzare condizioni, sensazioni, emozioni del rapporto di coppia indicando all’altro come dovrebbe essere la relazione, è probabile che in lui/lei nasca la voglia di trasgredire alle regole della relazione; ● il recriminare, ovvero il protestare in maniera energica puntualizzando le colpe del partner, ciò tende a creare, nella persona che si sente accusata, una reazione emotiva di ribellione; ● il rinfacciare, inteso come il vittimismo da parte di uno dei partner, favorisce l’esasperazione dei conflitti, questo raramente cambia il comportamento dell’altro che anzi si indispone a tal punto da peggiorare il comportamento in discussione; ● il predicare, quando uno dei partner critica e giudica l’altro indicando ciò che è giusto e cosa non lo è a livello morale, la reazione dell’altro è quella di suscitare la voglia di trasgredire le regole morali impostegli. Il classico “Te l’avevo detto!” (che provoca ed irrita il partner), il “Lo faccio solo per te” ( porta il partner in debito per qualcosa), il “Lascia…faccio io” (infastidisce ed indispone); ● il “biasimare”, ovvero il complimen-
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tarsi affermando che l’altro avrebbe potuto fare di meglio. Tenere bene a mente questi punti sarebbe importante per non incorrere negli errori che poi, a lungo andare, sfaldano la coppia. Allo stesso modo è importante evidenziare quali potrebbero essere i punti di forza e di successo per far si che la comunicazione sia efficace: Domandare piuttosto che affermare: domande strategicamente costruite con al loro interno le alternative di risposta verso cui vogliamo guidare il nostro partner. Così si arriva ad una congiunzione di vedute, evitando contrasti e resistenze al cambiamento; Chiedere verifica piuttosto che sentenziare: parafrasare due o più risposte ricevute è un modo per rafforzare ciò che si sta costruendo, rendendo più rapido il processo verso il cambiamento costruttivo della situazione problematica; Evocare piuttosto che spiegare: saper toccare le corde emotive del nostro interlocutore ancor prima che influenzare le sue capacità cognitive. La capacità di evocare sensazioni ed emozioni intense è lo strumento persuasivo più potente di qualunque forma logica e razionale dell’argomentare; Agire piuttosto che pensare: per ottenere un cambiamento reale è indispensabile non solo capire ma essere in grado di agire diversamente.
* Dott.ssa Laura Fratini Psicologa-Psicoterapeuta Studio, Piazzale Europa, 7 - Trento Tel. 339 2365808
Benessere & Salute di Rolando Zambelli titolare dell’Ottica Valsugana, è Ottico Optometrista e Contattologo
Delle semplici regole per una buona igiene visiva per i bambini
È
fondamentale già in età scolare fare una buona prevenzione. Questo prevede l’attenzione da parte dei genitori ad insegnare al bambino una corretta postura di studio, poiché un’efficace igiene visiva facilita l’apprendimento e il rendimento. Di seguito una serie di semplici accorgimenti per ridurre lo stress visivo cognitivo, che rappresenta spesso la causa di mal di testa, affaticamento visivo, bruciore agli occhi e lacrimazione, tutti segnali di un sistema visivo che ha bisogno di aiuto. Alzare lo sguardo: a intervalli regolari, durante un prolungato lavoro da vicino (es. lettura di un libro) è necessario distogliere lo sguardo e guardare lontano per alcuni minuti per rilassare il sistema visivo e mantenerne la flessibilità. Corretta distanza di lavoro: la giusta distanza per poter leggere o scrivere si ottiene appoggiando il mento sulla mano chiusa a pugno con il gomito appoggiato sul banco. Evitare le posizioni distese: quan-
do si legge o si guarda la tv ci si deve sedere correttamente evitando posizioni sdraiate o piegate in avanti o di lato. È difficile mantenere distanza e visione equilibrata stando sdraiati sul letto o sul divano. Impugnatura nella scrittura: una scorretta impugnatura della penna o
della matita può portare il bambino ad assumere una postura non idonea, che potrebbe causare problemi muscolo-scheletrici o di visione binoculare. È quindi opportuno tenere la penna o la matita a 2 cm dalla punta, in modo tale da poter vedere la punta senza inclinare di lato la testa o il
busto. Si consiglia di utilizzare matite triangolari o pencilgrip per ottimizzare l’impugnatura. Piano di lavoro: per mantenere una corretta postura è utile e consigliabile utilizzare un piano di lavoro inclinato di circa 20°/30°. Illuminazione: non leggere o scrivere mai con un’ unica lampada accesa, ma utilizzare una luce che viene dall’alto e una lampada posizionata dal lato opposto della mano con cui si scrive. Televisione: per quando riguarda la tv, si consiglia di guardarla ad una distanza pari a 7 volte la diagonale dello schermo (almeno 3 metri) in un ambiente illuminato. Poiché l’utilizzo della TV, dei videogames e di tutti i dispositivi elettronici in generale sviluppa pochissime capacità visive, pertanto si consiglia vivamente di incentivare il bambino a svolgere attività all’aperto. Con queste semplici regole è possibile ridurre molti problemi visuo-posturali cherappresentano un’importante fonte di stress visivo cognitivo nel bambino.
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Medicina & Salute di Erica Zanghellini
Quando l’emozione diventa cibo
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hi di noi non ha ceduto al cioccolatino o a un preciso cibo per noi confortante, in una giornata stressante? Questo è quello che succede quando mangiamo per via di una emozione, tutti noi lo facciamo, il problema si verifica quando questo meccanismo diventa la risposta per la maggior parte degli eventi stressanti o spiacevoli che dobbiamo affrontare. Purtroppo ogni giorno dobbiamo scontrarci con qualche grana o qualche evento spiacevole. Capite bene che se la risposta tendenzialmente sarà sempre questa, saremo schiavi e soprattutto avremmo delle conseguenze spiacevoli con cui fare i conti. Ma cerchiamo di capire meglio di cosa parlo. Proviamo ad immaginare di essere vittime delle emozioni che proviamo ed immaginare un possibile scenario casalingo. Ritorniamo a casa, e poi… di solito chi deve fare i conti con questa problematicità, arri-
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va a casa e se non immediatamente poco dopo, appena si ha un momento libero si dirige verso o il frigo o la dispensa. Può anche succedere che per via di tenere segreta questa difficoltà, per evitare eventuali giudizi negativi e/o sensi di colpa, la persona si ritrovi a “svuotare il frigo” durante la notte mentre, gli altri dormono. La scena che può rappresentare al meglio questa difficoltà è una persona che magri cucina la cena, e mentre lo fa assaggia, spizzica i suoi cibi preferiti, tanto che alla fine il suo apporto calorico del pasto è stato già consumato mentre, preparava le pietanze. Un’altra particolarità sta nel fatto che non per forza tutte le volte che si instaura questo meccanismo e ci dirigiamo verso la dispensa si ricerchino gli stessi cibi. Gli studi in questo campo specifico infatti ci indicano, che è possibile che asseconda dell’emozione provata la persona ricerchi determinati alimenti. Per esempio
può essere che ci si ritrovi in preda all’ansia e si cerchino cibi ipercalorici e salati, e altre volte che magari invece, ci si ritrova ad affrontare emozioni quali tristezza e/o dispiacere per cui gli alimenti ricercati sono sempre ipercalorici ma, molto zuccherini. Alla base comunque della ricerca di questi comfort food è l’anestetizzazione dell’emozione. Ebbene si, l’emozione diviene intollerabile, per cui la persona cerca un metodo di gestione veloce ed efficacie. Il problema emerge se analizziamo le conseguenze a lungo termine, infatti se guardiamo al qui e ora sicuramente l’obiettivo è centrato in quanto l’emozione scende, se invece, guardiamo le conseguenze a lungo termine cominceremo ad intravedere le complicazioni. Questo stile di fronteggiamento emotivo causa diverse difficoltà, se guardiamo il piano emotivo troveremo sensi di colpa/di fallimento, frustrazione, tanto per citarne alcune, se invece ci rivolgiamo al lato pratico troveremo, molto frequentemente aumento di peso che graverà ancora di più sulla precaria situazione oltre a minare la propria autostima. La fame emotiva se domina la nostra vita col tempo bloccherà la percezione della reale fame fisiologica. Spesso infatti, non si riuscirà più a distinguerle e allora come fare per capire? Innanzitutto ricollegandoci a quello che accennavo prima, una delle informazioni che può farci capire che siamo in preda a una fame emotiva, sta nel fatto di aver voglia di un determinato alimento. Se invece, la fame è fisiologica, che ci venga presentato un panino o una bistecca non fa grossa differenza, mentre nell’altro
Medicina & Salute
caso bramiamo qualcosa di specifico e solo quello la placcherà. Le alternative che magari una persona prova a mettere in pratica per gestirla infatti, spesso e volentieri sono inefficaci e non pienamente soddisfacenti. I cibi di solito ricadono in tre categorie, cibo gustoso, cibo calorico e cibo proibito se così si può dire. Queste sono i generi che si evincono dai racconti delle persone. Il cibo gustoso e calorico spesso infatti è collegato a
piacevoli sensazioni, per cui diventa un modo per provare altro, per confortarci. Quanto più intenso sarà il sapore, tanto più ci scatenerà emozioni positive che stiamo ricercando. Ed infine i proibiti, si è visto che spesso e volentieri le persone stilano una specie di lista di cibi vietati che vengono deliberatamente elusi il più possibile. Questo evitamento in realtà non farà altro che aumentare l’attrattiva per quest’ultimi e soprattutto il divieto assoluto di mangiarlo ci spingerà a cercarlo ancora con più intensità. E per concludere, voglio parlarvi di un’ ultima caratteristica della fame emotiva ovvero il suo andamento. Spesso viene definita come un’onda, ovvero arriva, aumenta velocemente
e diventa molto pregnante. Di solito a questo punto la persona cede al cibo, se invece l’individuo riuscisse a distrarsi, con un altro metodo di fronteggiamento più funzionale potrebbe riuscire a spezzare il circolo vizioso. Non è facile e spesso soprattutto nella prima fase ci vuole aiuto, ma se si riesce a interrompere l’automatismo o a ridurlo sensibilmente la persona riesce a giovarne. Di certo vanno capite le motivazioni per cui si è instaurata questa condotta. Niente avviene per caso e solo attraversando il dolore, la preoccupazione o la paura che c’è dietro si potranno avere dei risultati duraturi.
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I nostri piccoli amici di Nicola Maschio
Gli animali domestici
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i fanno compagnia, si affezionano a noi (e noi a loro), diventano parte integrante della nostra vita e della nostra quotidianità. Gli animali domestici sono amici fedeli, diversi nelle forme e nelle dimensioni ma sempre presenti quando rientriamo a casa, sempre pronti a manifestarci il loro affetto. Ma quali sono gli animali preferiti dagli italiani? Esiste davvero una specie di animale domestico perfetto? Si sa che, nell’immaginario collettivo, il cane è il migliore amico dell’uomo. Spesso e volentieri, soprattutto nei giardini di coloro che possono permetterselo, troviamo uno, due, addirittura più cani di piccola, media e grossa taglia. Discorso simile per i gatti, che possono vivere anche semplicemente tra le mura domestiche, senza bisogno di grandi spazi verdi in cui scorrazzare. Ma diamo un’occhiata a qualche numero più da vicino. Partiamo dai dati del 2019, pubblicati dalla ricerca Censis: gli italiani, ormai due anni fa, erano primi in Europa per animali domestici presenti in famiglia. Nel 52% delle nostre case era infatti presente almeno un amico ricoperto di peli, numero che arrivava al 68% nelle persone divorziate e al 54% nei single. Complessivamente, il nostro Paese conta più di cinquanta animali ogni 100 abitanti, poco meno dell’Ungheria (54 ogni 100 persone) e giusto un paio di numeri in più della Francia (49 su 100). In tutto, nel 2019 si contavano 32 milioni di animali domestici, per lo più uccelli (13 milioni), gatti (7,5 milioni), cani (7 milioni) e, notevolmente staccati in classifica, circa due milioni di piccoli mammiferi come criceti, conigli o porcellini d’india. Occupano uno
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spazio interessante anche i pesciolini (1,6 milioni) ed infine i rettili (1,3 milioni di esemplari). Notevole anche e soprattutto la spesa che gli italiani riservano ai loro inquilini speciali: nel solo 2017, ad esempio, sono stati spesi in tutto cinque miliardi di euro per la cura ed il benessere degli animali domestici, con un incremento del 12,9% registrato negli ultimi tre anni. Acquisti che riguardano praticamente tutti gli accessori, dai guinzagli alle gabbie, dalle lettiere al cibo, fino alle cure veterinarie. Praticamente 370 euro medi spesi in un solo anno da ogni famiglia. Insomma, è ovvio come la compagnia di grandi e piccoli animali sia ormai diventata fondamentale per un numero sempre maggiore di persone. Un motivo sopra tutti sembra essere quello portante, unitamente alla compagnia: avere un animale domestico rilassa, permette di allentare la tensione ma, in particolar modo, di combattere la solitudine. Il che ci porta ad un fenomeno attuale, riscontrato nei mesi più duri della pandemia di Covid-19, nella primavera del 2020. L’Osservatorio Coop2020 ha infatti realizzato un’indagine che, se analizzata nel dettaglio, porta alla luce un trend davvero particolare: un vero e proprio “boom” di animali da compagnia a causa dell’effetto lockdown. Gli amici a quattro zampe (e non solo) sono aumentati notevolmente al termine della quarantena, con un +7,8 milioni di persone che ha optato per la scelta, soprattutto, di cani o gatti da inserire nel proprio nucleo famigliare, o che comunque a breve decideranno di adottarne uno. Si è arrivati dunque ad una situazione davvero incredibile, con un rapporto
quasi pari all’1 a 1 tra popolazione italiana e animali domestici. Ad oggi, infatti, sono circa 60 milioni in tutta la Penisola. Ma se questo dato può strappare un sorriso, di contro c’è chi forse storcerà il naso. Un esempio su tutti: le previsioni per il 2021 infatti riportano come il 45% degli italiani ridurrà la spesa prima destinata a discoteche, musei, cinema e teatri. Un numero apparentemente distante dalla tematica degli animali domestici, ma che nasconde in realtà un altro dato di fatto, ovvero che coloro i quali rinunceranno a queste spese si dedicherà, di contro, ad una maggiore attenzione verso il nuovo (o i nuovi) compagni di vita domestica. Non resta che capire in quali contesti questi animali vivano quotidianamente. Il rapporto Assalco Zoomark 2020 ha evidenziato come ben il 58% delle bestiole viva all’interno di appartamenti, ma anche come il 55% di loro appartenga a famiglie con bambini e ragazzi. Sinonimo della voglia, da parte di tutti, di affezionarsi al nuovo inquilino. Inoltre, mediamente chi ama gli animali non ne possiede solo uno, ma ben due, con la propensione ad aumentarne il numero qualora la famiglia stessa diventasse più numerosa. «L’importanza degli animali d’affezione in Italia appare evidente già dal dato numerico — ha spiegato Gianmarco Ferrari, presidente di Assalco —. Sono a tutti gli effetti parte integrante delle famiglie e contribuiscono al loro benessere. Lo constatiamo in questi tempi di Covid-19: il beneficio di un animale da compagnia è inestimabile, sia per i singoli sia per i nuclei più numerosi, perché la sua presenza riduce lo stress e la solitudine».
Storie italiane di Veronica Gianello
Città degli opposti: la Napoli di Elena Ferrante
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arebbe logico iniziare a scrivere un articolo che porta questo titolo inquadrando la figura di Elena Ferrante stessa. Qualche cenno biografico, qualche data, un breve excursus che ci permetta di capire come sia stato possibile per quest’autrice raggiungere il successo mondiale con i suoi romanzi. Invece non possiamo farlo. Non sentiamo mai parlare semplicemente di Elena Ferrante, bensì de ‘il caso Elena Ferrante’: nessuno, infatti, conosce l’identità di questa scrittrice. Questo forte contrasto tra il suo riconoscimento globale come una delle 100 scrittrici più influenti al mondo secondo il Time, e la sua decisione di non rivelare la propria identità, rimanendo nell’anonimato, crea nella critica e nei lettori una curiosità che non fa che fomentare l’interesse nei suoi confronti, nelle sue opere e in tutto ciò che si è venuto a creare attorno ad esse. Recentemente è stata addirittura aperta un inchiesta giornalistica che ha indagato le transizioni bancarie tra la casa editrice della Ferrante e alcuni indiziati papabili come reali autori dietro lo pseudonimo. Quest’indagine non ha portato ad alcuna conclusione, se non all’amara constatazione di quanto, alle volte, il giornalismo possa farsi trascinare da intenti decisamente poco ammirevoli. La ricchezza che si portano dietro le pagine della Ferrante dovrebbe essere sufficiente. Di lei sappiamo, senza alcun dubbio, questo: Napoli. Napoli come centro del proprio vissuto, Napoli come vita, Napoli come morte. Napoli come un
vestito che non ti riesci a levare di dosso, Napoli di mille colori, come cantava Pino Daniele. Da Napoli tutto parte e a Napoli tutto, inevitabilmente, torna. Proprio la città partenopea accoglie le vicende di Lila e Lenù, protagoniste della tetralogia di romanzi che ha portato Elena Ferrante al successo mondiale. Altro non sono, infondo, che romanzi di formazione. La storia e la crescita di questa amicizia, si intreccia, si scontra e si confronta con una storia più ampia: quella dell’Italia del boom economico, dell’Italia del nuovo benessere, delle contraddizioni interne che diventano le contraddizioni di una nazione che si sta scoprendo giorno dopo giorno. Ad aprire questa raccolta è stato nel 2011 L’amica geniale, diventato poi film e serie televisiva in una brillante co-produzione italo-americana. Siamo dunque a Napoli, negli anni ’50. La maggior parte della gente vede i propri paesi cambiare, vede l’agiatezza che inonda prepotente una quotidianità che è sempre stata essenziale, talvolta stentata. Allo stesso tempo, la gente che negli anni precedenti ha conosciuto la fame, fatica a riconoscersi parte di questo benessere, di questa nuova parola: il progresso. Il rione dove crescono Lenù e Lila è uno di quelli che ingabbiano, di quelli che scrivono già il destino dei propri abitanti. La violenza percorre le sue strade dettando ruoli e gerarchie. La Ferrante ci mostra abilmente come in
questo momento storico, la cultura e la conoscenza, possano aprire opportunità di riscatto. Ci sono due strade che si snodano in questo periodo di fermento: la strada di Lenù, dello studio, dell’attesa e della fatica, che prospera però nella possibilità concreta di uscire dal rione, di uscire da una condizione che sembrava fino a quel momento innata; oppure la strada di Lila, della ricchezza immediata, della nuova agiatezza dei vecchi poveracci, degli accordi e dei compromessi che continuano a segnare l’economia di una città che si rivela solo parzialmente. Eppure, la bellezza di Napoli, di questa nuova Italia, e della scrittura della Ferrante sta nella sfumatura dei propri confini. Nulla sembra stabile, le carte in tavola si muovono in continuazione, la Napoli che ci portiamo dentro non ci si scolla di dosso. Eppure anche per chi cambia, per chi riesce ad andarsene, per chi riesce a migliorare la propria condizione quella Napoli che non ci si scolla di dosso diventa salvezza poiché solo aggrappandoci alle nostre radici quando tutto cambia possiamo ricordarci chi siamo, e raccontare l’unica storia vera, l’unica che valga la pena di essere scritta: la nostra.
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Conosciamo il territorio di Massimo Dalledonne
La grotta del Colo,
un documento di pietra a Pieve Tesino
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on tutta probabilità la grotta era già conosciuta in epoca preistorica. Lo confermano le scorie di fusione presenti all’interno e nella struttura muraria all’ ingresso. Siamo a Pieve Tesino dove, con una breve camminata, risalendo la Val Malene, sul Monte Silana si trova la grotta del Colo. Franco Cramerotti, Marco Gramola e Stefano Piffer nel loro scritto “Il Colo sul Monte Silana : un documento di pietra” riportano come “la grotta fino ad ora esplorata si organizza su due livelli. All’ingresso si trovano un muro a secco e antiche vestigia di una fortificazione. Nella parte più profonda si trova un piccolo e poco profondo laghetto, più o meno esteso a seconda della piovosità, formato da stillicidio, presente anche nei periodi di siccità. Lo stillicidio disseta ora caprioli e volpi, ma in passato ha facilitato l’antropizzazione della cavità naturale, forse risalente a più di 2500 anni. Per accedere alla parte inferiore della grotta si passa dalla Natural Burella. L’angusto budello è lungo circa 21 metri e, acqua permettendo, dà accesso al ramo di Pre Zuane ed alla caverna del Lago. Nei periodi di grande siccità l’acqua del sifone scompare, lasciando il posto ad un tappo di limo che ostruisce la galleria”. Le operazioni di pompaggio per liberare il sifone, eseguite dal Gruppo Grotte Selva nel marzo e nel luglio del 1988 e riprese nel gennaio del 1991, permisero di scendere fino ad una quota di – 16 metri dall’ingresso. Come ricordano gli autori “con tutta probabilità la grotta era già conosciuta in epoca preistorica, come potreb-
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Il ramo superiore visto dall'ingresso
bero confermare le scorie di fusione presenti all’interno e nella struttura muraria all’ ingresso. Scorie del tutto simili sono state rinvenute nelle vicine località di Val e Masi Zotta, Fradea,
Dosso di S. Ippolito, Passo del Brocon e Drio Castello, come attestano alcune recenti rilevazioni eseguite da Renato Perini, Giuseppe Sebesta e Tullio Pasquali tra la fine degli anni Ottanta e
Conosciamo il territorio l’inizio degli anni Novanta. La grotta è posta poco sopra la vecchia strada che da Pieve Tesino si inoltrava nella Val Malene e raggiungeva la località Drio Silana, una zona ricca di pascoli, nella cui torbiera si rinvenne un antico stazzo, nonché le malghe Quarazza e Sorgazza. Di questa strada rimangono scarse tracce, essendo stata danneggiata dall’ alluvione del 1966. Non è da escludere che fosse presente in tempi più antichi una pista che senza grossi dislivelli e difficoltà permetteva il passaggio dal Tesino alla Val di Fiemme attraverso Forcella Magna, Passo 5 Croci, malga Val Cion, Forcella Lagorai. Una grotta utilizzata in tempi storici dall’uomo. Anche a scopi militari, in un periodo riferibile alla seconda metà del XV secolo. Simile ipotesi è avanzata da Baldassare Pellizzaro nel 1894 in Pieve Tesino e la sua vicinia: “In questa caverna si rinvennero ossa ed armi antiche; pare che un tempo sia stata fortificata, così è la tradizione e presentemente si riconoscono vestigia di mura, all’en-
L'ingresso della grotta del Colo
La data del 1487 all'ingresso della burella
trata della stessa.”. Ancora Cramerotti, Gramola e Piffer . “All’interno della grotta – scrivono stando ad una tradizione orale locale, vennero ritrovate anche monete, forse alcune di epoca romana, altre riferibili al periodo di Sigismondo d’Austria ed altre di epoca napoleonica, a conferma dell’utilizzo della cavità come rifugio durante i secoli. Ottone Brentari nel 1891 nella sua Guida del Trentino scrive che al tempo dell’invasione francese molta gente si riparò in quei nascondigli”. Il complesso delle scritte del Colo testimonia una frequentazione secolare dell’antro fino nei suoi anfratti più reconditi. Di straordinario interesse è quella in terra rossa posta all’imbocco della Burella e che riporta la data “1487”. Quell’anno, memorabile per la storia trentina e non solo, vide il Tesino interessato ad operazioni militari nella guerra tra i Veneziani e Sigismondo d’Austria. “Proseguendo nel cunicolo – si legge ancora nel volume - ci s’imbatte in alcune scritte a matita, per lo più autografi e brevi note di fine Ottocento e inizio Novecento. Tra esse, subito prima del ramo di Pre Zuane, spicca la seguente: 84° Fanteria, 4° Battaglione. Qui durante la guerra italo-au-
striaca il giorno 26.6.15 in esplorazione tenente Borin Celeste”. Giunti nel ramo Pre Zuane, risaltano altre scritte incise in un lieve strato argilloso della parete “P[ad]re Zuane Casata Cinte 1667”, “P[ad]re Baldassare Brunello”, “P[ad]re Zuan Lun [? 1667”. Gli autori sono chierici, di cui uno oriundo di Cinte Tesino, che hanno forse eletto il Colo a dimora stabile per le loro pratiche anacoretiche. Merita attenzione, per la particolare eleganza del tratto, anche la data “1568”. Una gran quantità di autografi, datati dal 1838 fino alla metà del secolo scorso, costella il tratto iniziale della parete destra. “I firmatari sono generalmente persone del Tesino e della Bassa Valsugana, come si deduce dai cognomi più frequenti: Fabbro. Gecele, Granello, Pellizzaro, Romagna, Tessaro. Quasi tutti si spingevano fin lassù specie d’estate – concludono Franco Cramerotti, Marco Gramola e Stefano Piffer - alla ricerca non solo di un refrigerio ristoratore ma anche di ataviche suggestioni. È quest’ultimo il caso del giovane studente Giuseppe Pellizzaro, che si firma nel 1890, l’anno in cui salì per schizzare una pianta del Colo assieme ad altri ricercatori. Tra i segni incisi, troviamo pure il classico cuore scolpito da Teresa Tessaro, o dal suo amato, nel 1922, a suggello di un amore reso più romantico da quel luogo pieno di fascino e mistero”.
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Meteorologia oggi di Giampaolo Rizzonelli
La brina, la rugiada e la galaverna
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n molti pensano che brina e galaverna siano la stessa cosa, ma non è così, nelle tre fotografie (fig. 1 – 2) mostriamo la galaverna fotografata nelle campagne a sud di Levico vicino al biotopo Inghiaie l’8 gennaio 2021, mentre le foto fig. 3 e 4 ritraggono rispettivamente la brinata su Levico del 27 dicembre 2020 e un esempio di brina, la fig. 5 è relativa alla rugiada. La rugiada o la brina che si formano sulle superfici (può essere l’erba di un prato, il tetto di una macchina, una strada o un tetto di una casa) sono causate dalla saturazione in vapore acqueo dell’aria vicina al suolo. Solitamente si formano dopo il tramonto, durante la notte quando l’aria umida vicina al terreno si raffredda raggiungendo il suo punto
Fig. 1 - Galaverna, 8 gennaio 2021
Fig. 4 - Brina
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di rugiada, cioè la temperatura alla quale il vapore acqueo comincia a condensare. La rugiada si forma quando il vapore acqueo condensa a temperature di rugiada superiori al punto di congelamento (0 °C), mentre al contrario si forma la brina quando la saturazione avviene a temperature inferiori a 0 °C. Nel caso della rugiada, se la temperatura dell’aria rimane sopra gli 0 °C, si formeranno delle gocce d’acqua acqua allo stato liquido sulle superfici esposte, quando invece la temperatura dell’aria è sotto gli 0 °C, il vapore acqueo nell’atmosfera può formare direttamente dei cristalli di ghiaccio senza prima passare dallo stato liquido. Condizioni ottimali per la formazione della brina e della rugiada è avere
Fig. 2 - Galaverna, 8 gennaio 2021
Fig. 5 - Rugiada
una notte limpida e con poco vento. Discorso diverso per la galaverna dove abbiamo goccioline d’acqua che da vapore acqueo passano a ghiaccio in sospensione nell’atmosfera che poi si accumulano sulle superfici (nel caso delle fotografie sugli alberi). Con la presenza di questo fenomeno il paesaggio diventa incantato e tutto viene coperto da una coltre bianca. La galaverna si distingue dalla brina in quanto quest’ultima non è interessata dal processo di sopraffusione delle gocce d’acqua ed è formata prevalentemente da granuli su superfici che tendono a perdere calore per irraggiamento durante la notte. La galaverna è un deposito di ghiaccio che si forma in presenza di nebbia.
Fig. 3 - Brinata sulla Valsugana, 27 dicembre 2020
LETTERA AL DIRETTORE Da parte del consigliere regionale Claudio Cia, in merito al suo passaggio Fratelli d’Italia, riceviamo e volentieri pubblichiamo. Caro Direttore, il mio passaggio a Fratelli d’Italia – ufficializzato lo scorso 26 dicembre 2020 - e la conseguente chiusura dell’esperienza civica di AGIRE per il Trentino, rappresentano la conclusione di un percorso di riflessione e di maturazione politica avviato in seguito alle elezioni comunali del 20 e 21 settembre 2020. Infatti, il deludente risultato ottenuto dalla lista di AGIRE per il Trentino sulla città di Trento mi ha portato a riflettere sulla difficoltà, nel momento storico che stiamo vivendo – con una politica fortemente polarizzata tra destra e sinistra - di far passare un messaggio civico e moderato (lontano quindi dalle tifoserie da stadio a cui i dibattiti televisivi ci hanno abituato) con un movimento la cui forza non derivava da un voto di opinione legato al simbolo, ma dalla sommatoria delle preferenze personali dei candidati. Oltre a ciò i miei pensieri si sono rivolti soprattutto alla grande quantità di burocrazia che i partiti nazionali (soprattutto il Movimento 5 Stelle, alla faccia della piattaforma Rousseau e della necessità di stimolare la partecipazione alla vita democratica del Paese) hanno introdotto negli ultimi anni per scoraggiare le liste civiche e i partiti territoriali. È infatti innegabile come non vi sia alcuna semplificazione per i movimenti che operano solamente a livello regionale, che quindi vengono equiparati in tutto e per tutto ai partiti nazionali ed alle loro nutritissime segreterie. Sono inoltre giunto alla conclusione che il fatto che il mio Gruppo consiliare provinciale fosse composto da una persona soltanto (il sottoscritto) e l’assenza di una forte compagine politica alle mie spalle in grado di esercitare massa critica, abbia rappresentato in questi primi due anni di legislatura uno svantaggio, non permettendomi di incidere come avrei voluto sulle politiche provinciali. Al termine di questa riflessione, desideroso di continuare ad apportare il mio contributo alla politica trentina, ho deciso di accettare la proposta del collega ed amico senatore Andrea de Bertoldi. Ci tengo a ricordare come – nel momento critico in cui nello scorso maggio AGIRE per il Trentino e il sottoscritto furono messi alla porta dall’allora candidato alla carica di sindaco di Trento Alessandro Baracetti – il sen. De Bertoldi fu l’unico a stigmatizzare tale comportamento, continuando a sottolineare l’importanza di una coalizione di centrodestra unita. La mia decisione trova il suo fondamento soprattutto nella comunanza di valori tra il sottoscritto e Fratelli d’Italia: la necessità di una politica pulita, coraggiosa, coerente e rispettosa delle Istituzioni che sostenga la famiglia, che dia priorità alla sicurezza e alla legalità, che sappia mettere al centro chi lavora e chi fa impresa, con un’attenzione particolare alla vita nascente e morente e che sia in grado di valorizzare le nostre radici culturali e storiche. Contrariamente a quanto avviene solitamente, il mio passaggio ad un’altra forza politica non è stato gratificato con l’ottenimento di un ruolo istituzionale di maggior prestigio anzi, in coerenza con i miei valori, consapevole che la mia permanenza in Giunta regionale avrebbe potuto creare frizioni tra i partiti che compongono la maggioranza (soprattutto tra quelli che – rincorrendo vecchi fantasmi – vedono Fratelli d’Italia come un partito fascista o neofascista) e soprattutto senza chiedere nulla in cambio, ho deciso di dimettermi dalla mia carica di Assessore regionale agli Enti Locali. D’altronde io non ho mai creduto alla “carriera politica”, ho sempre creduto alla libertà di fare politica, ma questo presuppone che si sia pronti a lasciare la poltrona quando si è costretti a rinunciare alla propria coerenza pur di non perderla. Ho fatto una scelta sulla base di quello che considero utile per il Trentino, non di quello che considero vantaggioso per me stesso, perché per me le idee vengono prima delle poltrone. Ci tengo a sottolineare come la mia adesione a Fratelli d’Italia non cambierà il mio modo di fare e di stare in politica, sempre in mezzo alla gente comune, ascoltandone i problemi e cercando soluzioni. Continuerò quindi a promuovere la nostra Autonomia regionale e provinciale, difendendo l’identità storica e culturale trentina dai continui attacchi di una sinistra che ci vorrebbe tutti uguali ed omologati al pensiero unico, conducendoci quindi verso la perdita di quella specialità che ci caratterizza e che rende realmente unici la nostra terra, la nostra gente ed il nostro modo di vivere. Per fare questo è però necessario mettere da parte i conflitti del passato e riconoscere che l’Autonomia trentina si amministra e si vive a Trento, ma si difende a Roma. Cons. Claudio Cia – Fratelli d’Italia
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Che tempo che fa di Giampaolo Rizzonelli
Le nevicate di dicembre e gennaio 2021 Tanta neve in montagna ma anche in fondovalle. Iniziamo questo articolo con un po’ di numeri riassunti nella tabella di fig. 1 che riporta le nevicate a Levico Terme dal 1° dicembre 2020 al 6 gennaio 2021 (Fig. 1). Lo spessore massimo della neve al suolo a Levico Terme ha raggiunto i 64 cm il giorno 2 gennaio 2021. I giorni (parziali) nevosi dell’inverno 2020/2021 sono 12. Per quanto riguarda Levico Terme dobbiamo tornare all’inverno 2012/2013 per trovare nevicate così abbondanti, il 12/02/13 la neve al suolo aveva raggiunto i 65 cm e in quell’inverno caddero in totale 226 cm in ben 26 giorni nevosi. Da cosa derivano queste nevicate? Il peggioramento di inizio dicembre ha fatto seguito ad un novembre particolarmente mite e con precipitazioni scarse. A Levico Terme, il novembre 2020 è stato di 0,7°C più caldo della media e si sono registrati solo 4,4 mm di pioggia a fronte di una media di 117,4. Il tempo stabile a novembre è stato garantito da una serie di alte pressioni, spesso di matrice nord africana, il tempo si è poi “guastato” a partire dal 01/12, primo giorno di inverno meteorologico a seguito di un radicale cambiamento nella circolazione generale per la rapida discesa di una saccatura dal nord Atlantico, che ha determinato, con irruzione d’aria più fredda associata a correnti cicloniche settentrionali e da nord est, precipitazioni nevose anche a bassa quota in Valsugana ma “saltando”
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GIORNI 02/12/2020 03/12/2020 08/12/2020 09/12/2020 25/12/2020 28/12/2020 29/12/2020 01/01/2021 02/01/2021 03/01/2021 05/01/2021 06/01/2021 Totale
Cm di neve caduti 15 2 9 1 1 39 4 28 18 1 3 3 124
Fig. 1 - Neve caduta a Levico dal 01/12/20 al 06/01/21 (misurazione ore 00.00 ore 24.00)
Fig. 2 - Nivometro Presena 4/7 dicembre 2020
totalmente la città di Trento e molte zone della Val d’Adige proprio a causa dei venti da nord est. Dopo gli episodi nevosi a bassa quota del 2 e 3 dicembre è arrivata una perturbazione con un intenso richiamo sciroccale legato all’approfondirsi di una saccatura sulla Francia che ha provocato intense precipitazioni, in molti casi le precipitazioni e l’effetto riscaldante dei venti di scirocco hanno totalmente sciolto la neve caduta nei
giorni 2 e 3 dicembre come nel caso di Levico dove erano caduti 15 cm. Già dopo la prima settimana di dicembre gli accumuli nevosi in quota erano notevoli, per rendere l’idea basta vedere la fig. 2 che riporta l’incremento dell’altezza della neve a Capanna Presena dal 4 al 7 dicembre, passata da 120 cm a 280 cm o ancora di più l’immagine della webcam di Meteotriveneto al Passo Sella del 01/12 col confronto al 07/12 (Fig. 3)
Che tempo che fa Alcune particolarità relative a questo peggioramento e alle differenze tra zona e zona, in particolare la Valsugana e il Primiero sono stati interessati dal vento scirocco che nella giornata del 05/12 e nella successiva notte ha portato la pioggia anche oltre i 2.000 metri, ad un certo punto della serata del 5 a parità di quota la differenza di temperatura tra Trentino Orientale e Trentino Occidentale era di oltre 7°C. A questi episodi perturbati ha fatto seguito un nuovo peggioramento provocato da un’ampia circolazione depressionaria, alimentata da aria fredda e molto umida di origine nord-atlantica, che ha riportato la neve in fondovalle nei giorni 8 e 9 dicembre.
A questi episodi sono seguite anche le nevicate di fine 2020 e inizio 2021. Lunedì 28/12 una saccatura nord-atlantica da ovest ha portato un peggioramento con conseguenti nevicate fino in fondovalle in tutto il Trentino (39 cm caduti a Levico il giorno 28 e 4 cm il giorno 29). La particolarità della nevicata del 28 dicembre è legata alla sua velocità, dopo un inizio molto ventoso a Levico e l’accumulo di 5 cm in 4 ore, nelle successive 4 ore si sono accumulati 34 cm, in sostanza con un ritmo di quasi 10 cm l’ora, il che ha contribuito a creare notevoli disagi alla viabilità connessi alla necessità di effettuare la pulizia a ritmi pressoché quadrupli rispetto a
nevicate “normali”. Nei giorni successivi la profonda e vasta saccatura presente sull’Europa occidentale ha continuato a influenzare il tempo mantenendo condizioni di variabilità e nello stesso tempo il persistere di un’alimentazione polare con conservazione di temperature invernali. Giovedì 31, pur rimanendo in un contesto depressionario, una lieve curvatura anticiclonica e un’avvezione d’aria più secca avevano favorito un temporaneo miglioramento del tempo ma anche temperature molto basse (-11°C nelle campagne di Levico). In seguito il minimo principale di una saccatura è sceso dalla Scozia verso la Francia, avvicinandosi ha richiamato aria via via più umida e sempre fredda sul nord Italia, la discesa quindi del minimo depressionario sul Mediterraneo occidentale, ha rinvigorito la circolazione depressionaria già presente provocando un richiamo d’aria molto umida e temporaneamente un po’ meno fredda e generando un nuovo episodio di tempo perturbato con precipitazioni consistenti o abbondanti e nuove nevicate (a Levico caduti 28 cm il 01/01 18 cm il 02/01 e 1 cm il 03/01). L’ultimo episodio in ordine cronologico è quello relativo al 5 e 6 gennaio provocato ancora dalla circolazione ciclonica legata alla vastissima saccatura nord Atlantica che ha imperversato sulle Alpi per nove giorni e ha portato a due giorni nevosi a Levico Terme con 3 cm accumulati il giorno 5 e 3 cm. il giorno 6. Fig. 3 - Webcam Passo Sella confronto 1/7 dicembre
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LA CLESSIDRA
Cristini io iz r u a M a cura di
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15 Scrivete nello schema le parole corrispondenti alle definizioni e formate dalle lettere elencate. Partendo dalla prima parola, la successiva conterrà le stesse lettere, meno una. Dopo la strozzatura della clessidra, le parole sono formate da lettere che per le definizioni successive aumentano sempre di una lettera rispetto alla precedente parola. A gioco ultimato, tutte le lettere date dovranno essere consumate. Leggendo di seguito quelle nelle caselle colorate, si otterrà il nome di un famoso geologo e vulcanologo italiano. aaaaaaaaaaaaaaa ccccccccc eeeeeeeeee e f f i i i i i i i i i l l l l l l l m m m r r r r r r r r r s s s s s s 1. Negozio che vende aghi e fili - 2. Restano dopo un crollo - 3. Ridurre l'altezza di un albero - 4. Piantina simile al brugo - 5. La producono le api - 6. Donna colpevole - 7. La targa di Arezzo - 8. Preposizione semplice - 9. Nota fornita dal diapason - 10. Gestisce la pubblica sanità su un territorio - 11. Gruppo montuoso calabrese - 12. Lo scheletro del pesce - 13. L'albero piangente - 14. Il codice con nove lettere e sette numeri - 15. Incidere superficialmente.
SOLUZIONI NR. DI OTTOBRE 2020 CRUCI... TRENTINO 1
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A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà un nomignolo attribuito all'orso M 49.
A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere caselle a sfondo colorato, si otterrà ORIZZONTALI: 1. Si classificano in base alle stelle - 6. nelle L'ametista è una sua varietà - 11. Il nome che aveva la società Trentino Trasporti - 14. Un tracciato la Claudia Augusta Altinate - 15. Quello greco è scritto con π - 16. La unimpugna nomignolo attribuito all’orsocome M 49. il pilota di un aereo - 18. Quando si calzano non si cammina - 20. Enzima contenuto nella saliva umana che inizia la digestione dei carboidrati sin dalla bocca - 22. Una pagina... in breve - 23. La valuta giapponese - 24. Per gli
antichi Greci era la 1. coppiera degli dei - 26. Fiume al confine tra provincie Fermo e Ascoli Picenosua - 27. vaLa Spezia ORIZZONTALI: Si classificano in base alle stelle - 6.diL’ametista è una (targa) - 28. Il marchio di qualità che contrassegna la Trota Trentina - 30. In tanti film ha interpretato il ruolo di "er rietà - 11. Il(iniz.) nome la società Trasporti 14. Un tracciato come Monnezza" - 31.che I due aveva puntini sulla ü tedesca Trentino - 34. Competizioni di tipo-sportivo - 35. Una fastidiosa dermatite 37. Si ripetono in Lincoln - 38. Lo -è15. chi èQuello altruista egreco misericordioso - 41.con Il fiume Berna 42. L' "Old man la Claudia Augusta Altinate è scritto π -di16. La -impugna il ..." nomignolo dato negli USA al fiume Mississippi - 43. Un settimanale destinato ai bimbi - 48. A inizio e fine rapsodia pilota di un aereo - 18. Quando si calzano non si cammina - 20. Enzima contenuto 49. Può sbattere col vento - 50. Suffisso per diminutivi plurali - 52. Meglio... a Roncegno! - 53. Stretto e ripido solco nella saliva che inizia la digestione dei carboidrati sin dalla bocca - 22. Una erosivo sullaumana parete di un monte. pagina... in breve - 23.a La valuta giapponese - 24. Per gli antichi era la VERTICALI: 1. Felice... Londra - 2. Una dolorosa affezione dell'orecchio - 3. La fineGreci delle partite - 4.copNasconde la vistadegli dell'amodei - 5. -Al26. suo Fiume confrontoal Gulliver era untra gigante - 7. Pinot,di Cabernet e Rossara - 8. Preposizione piera confine provincie Fermo e Ascoli Piceno - articolata 27. 9. Una grossa lima per falegnameria - 10. Lo è un'acqua contenente più sali disciolti rispetto a quella di Levico Terme La 12. Spezia (targa) 28. Il marchio di qualità che contrassegna la Trota Trentina 30. Io e gli amici - 13. Un problema cutaneo specie nell'adolescenza - 17. Insieme delle condizioni ambientali che In tanti filmlaha il ruolo di- “er Monnezza” (iniz.)che- 31. puntini sulla della determinano vitainterpretato di una specie di flora o fauna 19. Località presso Trento ospitaI due un Centro per il recupero fauna alpina- -34. 21. Preposizione semplice 25. L'iosportivo dello psicanalista 27. Unfastidiosa cimitero dovedermatite riposano i resti dei Caduti ü tedesca Competizioni di- tipo - 35. -Una - 37. in guerra - 29. Antecedente, precedente - 31. Raggi abbronzanti - 32. Il nome della grande tennista Pericoli - 33. Cupa e Si ripetono in - Lincoln - 38. Loinguinale è chi èè molto altruista - 41.- 43. Il fiume di che si scura di aspetto 36. Però - 39. Quella comunee- misericordioso 40. Si ripetono nell'ovovia La chewing mastica - 44.L’L'ISEE - 45. Glidato occhi...negli a Scurelle! - 46. Santa che si festeggia il-1°43. giugno Berna - 42. “Old senza... man Equivalente ...” nomignolo USA alLafiume Mississippi Un- 47. Il fiume del capoluogo del Tirolo - 51. Il sottoscritto. settimanale destinato ai bimbi - 48. A inizio e fine rapsodia - 49. Può sbattere col vento - 50. Suffisso per diminutivi plurali - 52. Meglio... a Roncegno! - 53. Stretto e ripido solco erosivo sulla parete di un monte.
VERTICALI: 1. Felice... a Londra - 2. Una dolorosa affezione dell’orecchio - 3. La fine delle partite - 4. Nasconde la vista dell’amo - 5. Al suo confronto Gulliver era un gigante - 7. Pinot, Cabernet e Rossara - 8. Preposizione articolata - 9. Una grossa lima per falegnameria - 10. Lo è un’acqua contenente più sali disciolti rispetto a quella di Levico Terme - 12. Io e gli amici - 13. Un problema cutaneo specie nell’adolescenza - 17. Insieme delle condizioni ambientali che determinano la vita di una specie di flora o fauna - 19. Località presso Trento che ospita un Centro per il recupero della fauna alpina - 21. Preposizione semplice - 25. L’io dello psicanalista - 27. Un cimitero dove riposano i resti dei Caduti in guerra - 29. Antecedente, precedente - 31. Raggi abbronzanti - 32. Il nome della grande tennista Pericoli - 33. Cupa e scura di aspetto - 36. Però - 39. Quella inguinale è molto comune - 40. Si ripetono nell’ovovia - 43. La chewing che si mastica - 44. L’ISEE senza... Equivalente - 45. Gli occhi... a Scurelle! - 46. La Santa che si festeggia il 1° giugno - 47. Il fiume del capoluogo del Tirolo - 51. Il sottoscritto.
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A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà il nomignolo col quale sono chiamati i giocatori della squadra di calcio dell'US Telve.
ORIZZONTALI: 1. Ampie rade marine - 6. Al tempo delle filande, era il nome dato a Strigno al bozzolo imperfetto o contenente il baco da seta morto - 12. Ungere... a Roncegno o a Pergine - 13. Re dei Visigoti che nel 410 saccheggiò U truffareR- 16. OgniBmattina aprono I i negozi N - 19. Adolescenti I O- 23. L'Olanda sulle targhe - 24. Il 1 - 14. TImbrogliare, Roma geloso dell'opera lirica - 25. Nello stemma della Povincia di Trento - 29. Il Ness... di un favoloso mostro - 31. Il B R Ue umorista N che siI firmava TSteno - 32. O Ente Nazionale di Addestramento 2 del regista, cognome sceneggiatore Professionale (sigla) - 33. Lercio, lurido - 34. Un antico e storico Palazzo di Trento - 36. Separano la F dalla I - 37. Un U - 38.RCapoluogoBd'AbruzzoI (targa) -N39. L'Ippolito O scrittore garibaldino - 43. La stanza degli tempo si chiamava 3 Eridano inglesi - 45. Vive fra solide mura merlate - 48. Uomo non in divisa - 49. Coraggio, ánimo! - 50. Si legge sull'interruttore B U O N I spento. 4 VERTICALI: 1. Palla in rete! N - 2. Titolo U per Deputato B (abbr.) I- 3. L'attore che interpreta il Commissario Montalbano (iniz.) - 4. Si spargono 5 sui campi coltivati - 5. Arrabbiato, furioso - 6. Albero molto diffuso nei boschi trentini - 7. Aereo che decolla al traino - 8. Conifera che B fornisceUottimo legno I per scandole - 9. In questo istante - 10. Il primo e più 6 per i meneghini famoso grattacielo di Milano... - 11. Il servizio imprendibile nel tennis - 15. In Fisica indica un miliardo di elettronvolt (sigla) - 17. Tutti, nessuno escluso - 18. La sigla della Provincia confinante con quella di Trento B I 7 all'Osteria del Termine - 20. Pianticella velenosa molto diffusa nei boschi trentini, detta Rosa di Natale - 21. Città svizzera sul Lago Maggiore - 22. Titolo onorifico (abbr.) - 26. Il noto crossover Nissan - 27. Elizabeth per gli amici I 28. La zanzara della malaria - 30. Era 8 un coupé familiare della Lancia - 35. Disco in vinile di dimensione più grande di un 45 giri - 36. I l Pian nei pressi di Fornace - 40. Ideali... senza pari! - 41. Quarantacinque romani - 42. Storica I di Algeria - 44. La conduttrice di C'è posta per te e di Amici organizzazione paramilitare francese 9 attivaSnella guerra (iniz.) - 46. Savona - 47. L'ONU senza... Organizzazione! .
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