Valsugana News n. 6/2021 Luglio

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ANNO 7 - NR. 6 - LUGLIO 2021

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Società oggi di Patrizia Rapposelli

ALCOOL E GIOVANI

Piaga sociale che fa tendenza

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ockdown e alcool. Riaperture e alcool. Il problema sia nel primo caso che nel secondo è evidente. Il suo uso eccessivo e dipendente è una piaga sociale. Durante il periodo delle chiusure i canali di vendita online e di home delivery di bevande alcoliche hanno registrato incrementi percentuali a tre cifre in tutto il mondo. Risultato più alcool nelle case, quindi maggiori difficoltà nel rispettare le raccomandazioni sul suo consumo e minor effetto delle leggi contro la vendita ai minori. La società italiana di Alcologia calcola che in Italia, nei mesi della pandemia, le persone a rischio dipendenza dall’alcool abbiano raggiunto quota dieci milioni, tra cui circa un milione di minorenni. L’apertura verso l’estate miscelata alla voglia di libertà macinata negli scorsi mesi potrebbe essere ancora più deleteria per una grossa fetta di popolazione, in particolare per il mondo giovanile. Dato di fatto è che cresce l’alcolismo tra i giovani, la genitorialità banalizza il problema e le leggi faticano a tenere il passo con le strategie di marketing. Nonostante la moltitudine di campagne di sensibilizzazione sull’argomento, l’industria è libera di sfruttare internet e i social media per pubblicizzare i propri prodotti, bevande alcoliche, a un vasto pubblico di giovani consumatori. Dall’altra è pretendere troppo chiedere coerenza a chi ama tuonare sulla scomparsa dei valori etici nel nostro tempo, gli adulti. Alla parte ancora opposta forse “l’intelligenza” di molti ragazzi è sovrastimata? Essere precoci non vuol dire avere come risultato un prodotto maturo. L’uso smodato di alcool è da

sempre un fenomeno ampiamente diffuso e altrettanto discusso. Soprattutto di questi ultimi tempi si parla di una pratica pericolosa che ha il nome di Binge dringking, vere e proprie abbuffate alcoliche in un lasso di tempo minimo, un’unica serata, allo scopo di ottenere un’ubriacatura tale e immediata da perdere il controllo. Bere fino allo sballo, mischiando bevande alcoliche e superalcoliche, un fatto drammatico aggravato dalla situazione di disagio e isolamento provocata dalla pandemia. Nel nostro Paese si inizia a bere in un’età compresa tra gli undici e dodici anni: 800 mila ragazzi bevono prima dei diciassette anni. Inutile ripetere i danni dall’uso smodato di alcool, in particolare nei più piccoli e successivamente a lungo termine: danni agli organi, danni al sistema nervoso, disturbi comportamentali e la lista è lunga. Sembra evidente che il mondo giovanile non comprenda come i limiti esistono per non avere un effetto dannoso su loro stessi; ma forse i concetti di limiti e regole non sono

così appropriati per l’evoluzione della società oggi. Importante sarebbe ristabilire la giusta distanza tra i ragazzi e le bevande alcoliche. In giovane età è difficile capire come l’idea di controllo non pregiudica la libertà di scelta individuale, ma è diventata prassi generale sballarsi per sentirsi più grandi, per essere accettati dai coetanei, per provare nuovi stimoli, per sopperire a problemi più profondi che troppe volte la famiglia non vede. Il fascino dell’ebrezza alcolica è così da sempre, ma la situazione si è notevolmente aggravata nel corso degli ultimi anni, per i giovani è uno stile di vita che fa tendenza. L’alcool è una piaga sociale, soprattutto nell’adolescenza e in una società che tende a uniformare; un numero importante di giovani crede di essere invincibile, capace di poter provare qualsiasi esperienza senza subire conseguenze. Farei una domanda: è una scelta loro o è indotta dalla paura di essere diversi, non accettati e troppo deboli per affrontare le situazioni senza un “aiutino alcolico”?

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SOMMARIO ANNO 7 - LUGLIO 2021 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munaò - 333 28 15 103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Chiara Paoli - Elisa Corni COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser COLLABORATORI Waimer Perinelli - Erica Zanghellini - Katia Cont Alessandro Caldera - Massimo Dalledonne Francesca Gottardi - Maurizio Cristini Laura Mansini - Alice Rovati Erica Vicentini - Laura Fratini - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover - Veronica Gianello Nicola Maschio - Giampaolo Rizzonelli - Mario Pacher CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott. Francesco D'Onghia - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni D'Onghia - Dott. Marco Rigo EDITORE - GRAFICA - STAMPA Grafiche Futura srl Via della Cooperazione, 33 - Mattarello (TN)

PER LA TUA PUBBLICITÀ cell. 333 28 15 103 direttore@valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a GRAFICHE FUTURA srl, le loro pubblicità, le loro immagini, i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.

A parere mio: Società oggi: alcool e giovani 3 Sommario 5 Punto & a capo 6 Musica & società: suonare dentro 9 Turismo & società: tornano i viaggi 11 Economia e industria: crescere nel Mediterraneo 12 Personaggi della politica: Andrea de Bertoldi 14 A parere mio: chi entra in Italia 17 Società oggi: la storia delle Cooperative Sociali 19 Personaggi di ieri: Maria Grazia Bressan 20 Ritratto d’Artista: Lome-Lorenzo Menguzzato 22 In controluce: il film Arancia Meccanica 25 Il personaggio: Lorenzo Levatino 26 Famiglia 3.0: Il silenzio del dialogo 28 Fatti & personaggi: Non c’è storia senza il Tirolo 30 Trofeo Crucolo 31 Festival di Cannes: premio a Marco Bellocchio 32 Qui America: sposarsi negli USA 33 Il personaggio: Giorgio Armani 34 Turismo post Covid: vivere in spiaggia 37 Società oggi: parte “Liberi tutti” 38 Violenza domestica: Signal for Help: richiesta d’aiuto 39 Uomo, natura e ambiente:la giornata degli oceani 40 Scuola, studenti e territorio 42 Irene Pedrotti, campionessa italiana 43 Sport e personaggi: Gilles Villeneuve 46 Il Ferrari Club a Levico Terme 48 Tradizioni di casa nostra: il Prospereto 50 Il teatro di casa nostra: la compagnia “ La Leggenda” 52 Lettera al direttore: Claudio Taverna 53 Estate, sport e relax: le piscine in Valsugana 54 Scuola & società: l’Architetta Marinetta 55 Storie di casa nostra: a Borgo suonano le campane 56 Conosciamo il territorio: La madonna dell’Ajuto 57 Giovanni Kezich e il destino di un museo 58 L’avvocato Risponde; l’espropriazione 60 Ieri avvenne: castelli e paesaggi rurali 62 Accadde ieri: le scuole in Valsugana dal 1500 65 Indagine Altroconsumo: l’acqua del rubinetto è sicura 67 Turismo & sostenibilità 68 Conosciamo il territorio: la Madonna di Onea 69 La dermocosmesi: per la cura e la salute del nostro corpo 71 Medicina & Salute: gli opposti si attraggono 72 Girovagando: tre mesi in Antartide 74 Remo Wolf 76 Qui Caldonazzo:la Valcarretta 77 Sicurezza domestica: l’utilizzo della bombole a gas GLP 78 Uomo e ambiente: dobbiamo salvare il mondo 80 Tempo libero: il Mojto, bevanda estiva 82 Tempo libero: non solo pizza 83 Che tempo che fa: maggio 2021,l’ultimo mese freddo 84 Società oggi: barbecue in Valsugana 86

Personaggi di ieri Maria Grazia Bressan Pagina 20

Il personaggio Lorenzo Levatino Pagina 26

Il personaggio Giorgio Armani Pagina 34

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Punto a Capo di Waimer Perinelli

Un uomo gentile e corretto

EPIFANI LUCI E OMBRE DELLA POLITICA La morte di Guglielmo Epifani, 71 anni, per due terzi dedicati al lavoro nel sindacato con la segreteria della CGIL dal 2002 al 2010 e Parlamentare per due legislature, riporta d’attualità il legame fra mondo sindacale, politica e Parlamento.

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indacato e politica sono due componenti della società, due culture qualche volta ostili ma spesso necessariamente convergenti. Hanno in comune e solidale una parte consistente della popolazione poiché storicamente chi è iscritto al sindacato CGIL ha simpatia per i partiti della sinistra dal Partito Comunista fino alle recenti trasformazioni; chi ha scelto la CISL si identifica maggiormente con l’area centrista dalla Democrazia Cristiana, oggi defunta, ai movimenti moderati attuali. La UIL da parte sua raccoglie consensi fra i socialisti, socialdemocratici e centristi trovando molti simpatizzanti nella pubblica amministrazione e nella scuola. Negli anni 70 i sindacati furono accusati di essere la cinghia di trasmissione di alcuni partiti. Tutto ciò si rifletté anche in Parlamento dove segretari e membri autorevoli del sindacato, una volta terminato l’incarico accettarono il mandato al Parlamento con la quasi certezza di riuscire nell’impresa avendo coltivato per molti anni il rapporto fiduciario con i propri elettori. Di fatto nelle più recenti legislature i sindacalisti-parlamentari erano una settantina e le liste per le Politiche di un anno fa piene zeppe di ex dirigenti Cgil, Cisl e Uil. Due ex confederali di prima fila sono entrati nel governo di Matteo Renzi: Pier Paolo Baretta, ex Cisl, è sottose-

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gretario all’Economia, mentre Teresa Bellanova, ex Filtea Cgil, è sottosegretario al Lavoro con delega, tra l’altro, alle Pari Opportunità. Qualche anno fa, a Cesare Damiano era andata ancora meglio: era stato lui, che proveniva dal sindacato di Corso d’Italia, ad occupare la poltrona di ministro del Lavoro. Nella partita sul provvedimento del governo Damiano ha giocato un ruolo da protagonista: è presidente della commissione Lavoro a Montecitorio. Capofila dei sindacalisti alla Camera dei deputati è stato certamente Guglielmo Epifani, ultimo segretario della Cgil prima di quello attuale, successore dell’eurodeputato piddino Sergio Cofferati. Guglielmo Epifani ha ricoperto anche un importante incarico politico traghettando il Pd da maggio a di-

cembre del 2013 dopo la crisi aperta dalle dimissioni di Pierluigi Bersani. La sua storia è tutt’altro che banale o scontata. E’ nato a Roma da genitori di origine campana. Una famiglia borghese che nel 1953 si trasferisce a Milano per lavoro ma ritorna nella Capitale poco dopo ,nel quartiere

Guglielmo Epifani (da Biografie Online)


Punto a Capo Talenti. Studi classici e maturità nel 1969 al liceo Orazio e subito impegno nel volontariato. Nel 1973 si laurea in filosofia all’università La Sapienza di Roma con una tesi sulla grande socialista Anna Kuliscioff. Un interesse reale, un abbraccio ideale che lo porta ad iscriversi al Partito Socialista e contemporaneamente entra nella Confederazione Generale del Lavoro. Nel sindacato cresce fino a diventarne segretario nazionale dal 2002 al 2010. “ Lascio, dirà al comizio di addio in piazza San Giovanni a Roma, nella speranza che le cose possano cambiare”. Era un incontro con i lavoratori metalmeccanici della FIOM e quello che doveva cambiare era il rapporto fra Governo, sindacati, per una vera politica del lavoro. E alla politica egli si dedicò approfondendo l’esperienza con i Democratici di sinistra con cui si era schierato dopo il crollo del

Psi sulle macerie di tangentopoli. A chiamarlo era stato Walter Veltroni offrendogli anche un posto nella macchina organizzativa del partito. Gli furono offerte alle elezioni amministrative in Campania, alle Europee ma Epifani continuò la propria attività nel partito, fino al 2013 quando accettò la candidatura al Parlamento, proposta dal Partito Democratico. E’ un uomo tranquillo, si esprime sempre con pacatezza, ma politicamente è inquieto. Nel 2017 abbandona il Pd alla cui segreteria è salito Matteo Renzi, giovane brillante orientato verso una politica più liberale, per aderire al movimento dei scissionisti fino ad iscriversi ad Articolo 1 il Movimento Democratico e Progressista. Nel 2018 torna alla Camera dei Deputati con l’elezione in Liberi e Uguali. “ Lascia un vuoto incolmabile,ha detto alla sua morte,Maurizio Landini attua-

le Segretario Generale della CGIL, le sue azioni rimarranno per sempre un esempio di cosa vuol dire essere dirigente del sindacato.” Per Luigi Sbarra segretario della CISL “ Epifani è stato un sindacalista, politico bravo competente, lucido, raffinato”. Il leader della UL, Pierpaolo Bombardieri dice “Perdiamo un amico e una persona per bene, impegnata in molte battaglie.” Guglielmo Epifani è stato certamente tutto questo ma un quesito gli sopravvive. Molti si chiedono ancora perché egli pur avendo abbandonato il PD, per aderire a Liberi e Uguali, all’arrivo del vulcanico Renzi, abbia votato in Parlamento la riforma del lavoro nota come Jobs Acht destinata a cambiare l’organizzazione del lavoro e dei lavoratori alla cui difesa Epifani aveva a lungo lottato come sindacalista e politico.

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Musica e società di Gabriele Biancardi

SUONARE DENTRO O FUORI DAL GARAGE

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uonare in una band è un sogno che non ha stagioni. Ogni ragazzo che imbraccia una chitarra o mette le mani su una tastiera, sogna di emulare qualcuno. Noi maschi siamo animali più sociali delle ragazze, il numero di band maschili sovrasta in percentuali quello delle donne. In fondo basta poco, il garage di babbo opportunamente insonorizzato, si noleggia qualcosa e via. Esempio di quello che si può fare è piuttosto recente. Quattro anni fa i Maneskin, suonavano nelle vie della capitale, con il classico berretto davanti per raccogliere monete. Oggi sono in cima. Migliaia di dischi, concerti sold out, vittorie prestigiose, Sanremo e Eurovision. Loro ce l’hanno fatta. Ovviamente sulla bilancia ci sono i tanti che invece sono nel famoso garage e lì destinati a finire. Finire in “radio” oggi è molto più semplice di una volta. Basta una buona registrazione, oggi la tecnologia ha migliorato molto la facilità, prendere gli indirizzi delle radio di tutta Italia e con una semplice mail cumulativa, mandare in mp3, nemmeno in cd, il proprio prodotto. Chi fa radio, non può permettersi di non ascoltare

Daniele Groff (da Wikitesti)

tutto quello che arriva. Io una volta mi feci condizionare dalla copertina inguardabile e arrivai in ritardo a suonare una hit come “asereje” delle Las ketchup. Da allora, qualunque cosa arrivi, si ascolta. Devo dire che il 70% è discutibile, ma qualcosa si trova sempre. Purtroppo i gruppi, o complessi come erano chiamati anni fa, sono quasi sempre destinati a sciogliersi. Vari motivi, di solito il cantante preferisce fare tutto da solo, non si va d’accordo su soldi/fama/stile, ma soprattutto soldi, e quindi si chiude baracca e burattini. Una cosa è certa, tutti i solisti che vediamo in classifica, sono sempre partiti da un gruppo. Rari coloro che nella propria cameretta hanno sviluppato la propria vena artistica. Ho visto qualche settimana fa Daniele Groff, ecco magari non ci si ricorda di lui, ma per un certo periodo è stato sui palchi importanti, anche Sanremo, poi si è come vaporizzato. Questo accade perché questi sono i tempi. Veloci, iperveloci. Devi essere sul pezzo, Daniele è un ottimo cantautore, anche Lucio Dalla lo notò, ma sembra di un’altra generazione. I requisiti odierni sono altri. Sono convinto che tantissimi artisti di cui possediamo tutto, oggi non troverebbero spazio. Se ci pensiamo, i grandi artisti, sono frutto di generazioni passate, dove esisteva la lentezza. Negli anni 70, vigeva una sorta di formula. Tre dischi. Il primo poteva tranquillamente essere un flop, il secondo doveva almeno pareggiare le spese. Il terzo era una sentenza. Se non avevi successo, potevi tranquillamente abbandonare tutto. Oggi una “regola” simile, suonerebbe come blasfemia. Non si ragiona in dischi, ma in un

Lucio Dalla (da Wikipedia)

brano, se non spacchi, ciao. Il garage è sempre lì. I primissimi lavori di autori oggi idolatrati, sono rari come il santo graal, poco conosciuti o solo per i parenti stretti. A Giorgio Gaber ci vollero due anni di 45 giri per arrivare a farsi conoscere. Lucio Dalla è la prova della teoria del 3. nel 1966 uscì il primo lp, “1999”, filato da nessuno, idem come sopra per il secondo uscito nel 1970, “Terra di Gaibola”. Ma solo con il terzo del 1971, “storie di casa mia”, Lucio conobbe il successo, infatti al suo interno si trova quel brano meraviglioso che ancora oggi amiamo ascoltare: “4/3/1943”. A quei primi lavori, si aggiungeranno 50 album. Una pazzia oggi credere che possa succedere a qualcuno. Insomma, se da un lato oggi puoi mandare un tuo brano in giro in pochi giorni, rimane difficile lasciare una impronta profonda. Ma la musica, trova sempre le sue strade, che siano casuali come in Maneskin in via del corso, o dalla cameretta di un “nerd” appassionato di computer, arriva. Sempre.

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Turismo e società di Nicola Maschio

Torna l’ESTATE, tornano i VIAGGI:

tutti i dati di queste vacanze

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orna l’estate, stagione che ha un particolare sapore: quello della normalità. Certo, la pandemia ha lasciato solchi importanti nelle nostre vite, ma con l’arrivo del caldo, delle belle giornate e dei lunghi pomeriggi soleggiati, ecco puntuale anche la prenotazione della vacanza da parte di tanti, tantissimi italiani. A facilitare le cose poi, proprio da questo inizio di luglio, ecco il Green Pass, strumento fondamentale per la ripresa del movimento in tutta Europa. Di cosa si tratta? Per chi ancora non ci avesse preso dimestichezza, il passaporto digitale europeo altro non è che una certificazione “anti-Covid”, la quale attesta l’avvenuta vaccinazione con due dosi, la guarigione dal Coronavirus oppure l’esito negativo di un tampone effettuate non meno di quarantotto ore dal momento della partenza. Insomma, una sorta di “semaforo verde” per la ripresa del turismo. E dunque, come sarà quest’ultimo in questa estate ancora particolare? I dati rivelati da Demoskopika, elaborati grande al contributo dell’Università del Sannio, prevedono circa 40 milioni di arrivi nel nostro Paese, con un totale di 166 milioni di presenze sulle nostre coste (e non solo). In sintesi un +12% rispetto al 2020 quando, ricordiamo, la libertà di movimento

la aveva comunque fatta da padrone in un momento in cui la pandemia aveva allentato la presa. Non avendo precedenti storici tuttavia, la situazione, come sappiamo, si è nuovamente complicata da ottobre in avanti. Comunque, la campagna vaccinale procede ad ottimo ritmo e dunque, con uno sguardo rivolto al futuro, è lecito accennare ad un cauto ottimismo. Dicevamo, un incremento del turismo: è comunque impressionante il numero di italiani che, anche in questi caldi mesi, ha deciso di restare nello Stivale per le vacanze. Parliamo infatti dell’86,8%, con una percentuale invece di poco superiore al 13% rispetto a coloro che andranno all’estero. Di questi ultimi, l’11% viaggerà verso mete europee, mentre solo il 2% azzarderà un viaggio internazionale. Nel Belpaese, resta alta l’attrattività delle Regioni con il mare più bello e cristallino: la Puglia prevede un +14% di arrivi e 10,6 milioni di presenze in tutto, mentre la Toscana prevede un incremento complessivo del 23% rispetto allo scorso anno e la Sicilia si mantiene su questi dati. Chiude la Sardegna, che conta su un 20% in più di arrivi per un totale di 8,2 milioni di presenze. Quasi il 50% degli italiani tuttavia si fermerà per un periodo di sette-otto giorni nella

meta turistica scelta, con un 17% invece che prevede di soggiornare per ben due settimane. Solo il 15% coloro i quali invece sosterranno una vacanza di quattro o cinque giorni in tutto. Interessante invece il punto di vista della sicurezza, soprattutto in epoca post-pandemia: le case in affitto prenotate sono il doppio dello scorso anno (37% in tutto), anche se la metà degli italiani intenti a prenotare ha comunque deciso di optare in modo massiccio per alberghi o villaggi turistici (29%), Bed & Breakfast (12%) e qualche agriturismo (4% dei casi). Ancora, saranno sei su dieci gli italiani che andranno in zone di mare rispetto a quelle montane, con ben 10 milioni e mezzo di nostri concittadini che hanno già messo al sicuro la propria prenotazione, confermando l’arrivo e pagando, in alcuni casi, in anticipo. Per quanto riguarda le destinazioni estere, è la Grecia a farla decisamente da padrone. Solamente il 20% degli italiani ha ancora così tanti dubbi rispetto al Covid da non volerne sapere di partire, percentuale in diminuzione rispetto al 25% di un paio di mesi fa. Insomma, sembra proprio che dopo ben quindici mesi di pandemia abbia, infine, vinto la voglia di tornare finalmente (e si spera definitivamente) alla normalità, come un anno e mezzo fa.

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Economia e industria di Cesare Scotoni

CRESCERE NEL GRANDE MEDITERRANEO

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a posizione di chi ha del capitale familiare è soggetta ad un contesto internazionale di notevole incertezza in parte legata alla distanza tra i partners dell’Alleanza Atlantica allargatasi dal 2009 in termine di visione e ricette a fronte della crisi “subprimes” ed alla divergenza seguita a quella in termini di politiche monetarie con il suo riflesso sui cambi. La Presidenza Trump, la sua fine e la vicenda Covid19 stanno rappresentando una fase di instabilità che modifica in modo assai profondo alcuni settori dell’Economia la stessa struttura della Catena del Valore con accelerazioni e decelerazioni impreviste nei tempi e negli esiti. Trasporti, Turismo, Mobilità ed Organizzazione del Lavoro e della Distribuzione sono i settori che nel breve hanno più risentito delle turbolenze mentre altre, ad esempio la meccanica con la “svolta elettrica” nella mobilità, ne avvertiranno più pesantemente gli effetti nel medio periodo. Perciò è comprensibile la scelta di molti è di investire su beni a minor volatilità e

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più legate al Patrimonio Immobiliare ed alla Produzione che ai Servizi, in attesa che le Catene del Valore trovino nuovi equilibri. Per le imprese più piccole, che vivono i riflessi domestici di perturbazioni di ben altre dimensioni, si porrà a breve un problema di posizionamento, stando le conseguenze delle scellerate scelte intervenute negli ultimi 15 mesi. Quel cambio già in atto sia sul lato della domanda che dell’offerta, per un 70% del tessuto economico nazionale si svilupperà quindi puntando a dei mercati noti per individuare delle nicchie che offrano sufficienti prospettive alle aziende che, se sono sopravvissute alle “chiusure governative”, troveranno sicuramente gli spazi lasciati vuoti da chi invece non ha resistito, ma anche una domanda segmentata in modo più netto da quel generale impoverimento che dovrebbe avere definitivamente archiviato le farneticazioni sulla Decrescita felice che hanno disgraziatamente imperversato nell’ultimo lustro. Certo lo strumento infor-

matico e la portabilità dei “supporti” incideranno in modo più significativo nell’acquisire e mantenere una clientela, ma il concetto di “Prodotto / Servizio” cambia profondamente e si integra maggiormente a fronte dell’esigenza di far fronte a players globali con approcci costruiti su una competitività costruita sulle tecnologie e del Confronto alternativo. La parte del tessuto produttivo nazionale più proiettata verso l’esterno che ha in parte vissuto un significativo cambiamento nel decennio precedente, vivrà invece una fase in cui le logistiche di Produzione e Distribuzione dovranno mutare in funzione di quella “ristrutturazione” delle relazioni in atto tra Potenze Globali (USA e Cina) e Potenze Regionali che vede ancora centrale il concetto di Grande Mediterraneo. L’Italia è comunque un partner europeo che può avvantaggiarsi dalla distanza tra le due sponde dell’Atlantico e dalla frattura intervenuta con la Brexit tra quell’asse franco – tedesco – (russo) eternamente in divenire e quel Regno Unito che


Economia e industria

ha sempre pesato oltremisura sulle scelte nazionali del secondo dopoguerra. Il nostro Paese può giocare quella carta del Grande Mediterraneo da cui dal 2011 Francia, Inghilterra e Russia han provato a marginalizzarlo riuscendovi solo in parte e perdendo

ora con la Brexit un vantaggio geopolitico. Lì il nostro Paese si muove rappresentando un contesto di gran pregio sul lato dell’offerta di Cultura, Tecnologie, Locations, Food & Beverage. Peraltro la tradizionale inefficienza della macchina pubblica e della giu-

stizia sembra destinata a non essere più un accessorio ineludibile di quel “pacchetto”. Per cambiare marcia servono quindi spazi di sviluppo ed integrazione delle iniziative che si offrano alle imprese sia a quei segmenti produttivi che appaiono oggi non sufficientemente presidiati che, in termini di prospettiva di crescita, alla creazione di una proposta integrata. Vi è l’esigenza di costruire un “prodotto nuovo” sul lato dell’offerta ed individuare una posizione appetibile in termini logistici in un contesto già ricco. E questo è il compito di chi, politica ed amministrazione, è delegato a pianificare lo sviluppo per linee progettuali e non ad immaginare le azioni che invece spettano agli imprenditori ed a tutti coloro che, giorno dopo giorno, costruiscono e ricostruiscono la Catena del Valore.

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Personaggi della politica di Waimer Perinelli

ANDREA de BERTOLDI,

SENATORE

Il nostro Senato non sarà più il Populusque Romanus ma è sicuramente il più autorevole consesso della nostra Repubblica e farne parte è ancor oggi un onore.

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ndrea de Bertoldi, 55 anni compiuti a maggio, è stato eletto senatore il 23 marzo del 2018, nel collegio uninominale di Trento, sostenuto dal Centro-Destra, in rappresentanza del partito di Fratelli d’Italia. Eletto ed emozionato, anche onorato? “ Un grande onore, pensando ai trentini che mi hanno votato, e quando ho varcato la porta di Palazzo Madama a Roma, si è concretizzata una passione giovanile, iniziata al Liceo Classico di Bolzano e proseguita all’università a Trento. A Roma si è realizzato l’impegno politico confluito in Alleanza Nazionale che nel 1995, assieme a Gianfranco Fini, Adolfo Urso ed altri, abbiamo fondato a Fiuggi completando il percorso avviato l’anno prima come compagine elettorale ed il superamento del Movimento Sociale Italiano”. Il partito di destra e delle nostalgie? “Nessuna nostalgia, ed anche i fondatori del MSI avevano sempre sostenuto che bisognava lavorare senza nulla rinnegare e senza restaurare il passato. Il passato è parte della storia di ognuno ma l’impegno deve essere rivolto al presente. Già Alleanza Nazionale si era costituita come forza politica di una destra patriottica moderna e liberale, avendo fatto, a differenza delle Sinistre, i conti con il proprio passato. Parliamoci chiaro una certa cultura per anni

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dominante ha indicato in modo subdolo la destra come retriva contraria alla libertà ed alla democrazia. Vale la pena osservare come nel mondo ben altri regimi identificabili con la sinistra sono contro la libertà e la democrazia. “ Partito di destra maschilista? “ Direi proprio di no! E’ l’unico partito italiano ad avere , in Giorgia Meloni, una donna leader e presidente. Nel primo governo Berlusconi del 1994 /1995 Adriana Poli Bertone, fu Ministro all’Agri-

Andrea de Bertoldi

Andrea de Bertoldi e Alfonso Urso in Senato


Personaggi della politica Di cosa si stratta, uno sgarbo, di un’invasione di campo o una provocazione? “ Ribadisco quanto già affermato da Claudio Cia: Francesca Gerosa non è in quota Fratelli d’Italia, ma di esclusiva attribuzione al Presidente Fugatti. Se la sua nomina voleva essere una cortesia, sottolineo che noi non abbiamo chiesto cortesie, non abbiamo chiesto poltrone, bensì condivisione politica. Ed al riguardo c’è un’inequivocabile delibera ufficiale dell’Esecutivo provinciale del partito che impegna tutti i nostri dirigenti. Anche Giorgia Meloni, che forse aveva fiutato l’aria, aveva detto chiaramente a Trento durante le Amministrative dello scorso anno, che Fratelli d’Italia non è il Partito di chi ambisce a collezionare poltrone. “. Andrea de Bertoldi e Giorgia Meloni

coltura in rappresentanza di Alleanza Nazionale, completando un percorso politico iniziato con il Movimento Sociale Italiano di cui fu esponente di primo piano diventando anche sindaca di Lecce. Se dobbiamo proprio indicare un partito poco favorevole al genere femminile pensiamo al PD che per eleggere due donne Capogruppo alla Camera ed al Senato, ha dovuto imporle dopo forti pressioni del segretario Enrico Letta.” Nel 2018 si è votato anche per le elezioni provinciali e Fratelli d’Italia ha contribuito alla vittoria del centro destra pur non portando in Consiglio alcun esponente. Non sono passati nemmeno tre anni e se ne ritrova tre. Che cosa è successo? “ La storia è nota. E’ successo che Claudio Cia, fondatore di Agire, è confluito con il suo Movimento in Fratelli d’Italia, condividendone la coerenza e la linea politica espressa a livello locale e nazionale, e rinunciando conseguentemente all’assessorato regionale per le differenti

posizioni politiche con la Svp. Alessia Ambrosi e Katia Rossato hanno poi lasciato la Lega, perché in disaccordo con la decisione nazionale del partito di Salvini di governare con PD e Movimento 5 Stelle, apprezzando la coerenza di Giorgia Meloni. Hanno aderito a Fratelli d’Italia e sono ora parte attiva ed apprezzata del partito. Credo comunque, alla luce dei sondaggi e del clima che si respira in Trentino, come nel resto d’Italia, che l’attuale rappresentanza di Fdi sia addirittura sottodimensionata rispetto al reale. Ovviamente alle prossime elezioni ogni riscontro! “. Il Presidente della Provincia autonoma, Maurizio Fugatti sembra non essersi accorto dell’importanza assunta da Fratelli d’Italia. Per la presidenza dell’ ITEA, Istituto per l’edilizia popolare, ha nominato di sua iniziativa Francesca Gerosa un’esponente di Fratelli d’Italia con il quale tuttavia, dopo essere stata commissaria, ha avuto alcune polemiche.

Adolfo Urso, dopo avere assunto la carica di Presidente del COPASIR, la commissione parlamentare per i servizi segreti si è dimesso da tutte le cariche di partito compresa quella di commissario per il Trentino, lei pensa che Fratellli d’Italia avrà presto un presidente trentino? “Dobbiamo ringraziare Urso per il lavoro fatto in Trentino e per le dimissioni nel rispetto dei ruoli nazionali e locali. Intanto abbiamo la gestione apprezzata da tutti del vice Commissario vicario Roberto Biscaglia, medico, ed esponente di spicco del partito a Trento, in attesa di un congresso che potrebbe svolgersi il prossimo anno.” Andrea de Bertoldi sorride e saluta. Parte per Roma dove esprime la sua professionalità di commercialista anche come Segretario della sesta Commissione permanente Finanze e Tesoro, capogruppo Fdi nella Commissione bicamerale di vigilanza dell’Anagrafe tributaria, nonché capogruppo Fdi nella Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario.

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ABBIGLIAMENTO E INTIMO DA 0 A 99 ANNI

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A parere mio di Nicola Maschio

IMMIGRAZIONE IN ITALIA: chi entra nel nostro Paese?

I

l fenomeno dell’immigrazione e dell’emigrazione da e nel nostro Paese è costantemente oggetto del dibattito pubblico, ormai da tantissimo tempo. Ma quali sono i dati reali di questi flussi migratori, soprattutto relativi a coloro che vengono dall’estero e si fermano in Italia? Il rapporto dell’ISTAT elaborato e pubblicato lo scorso 20 gennaio 2021 aiuta a fare chiarezza. Innanzitutto, sono in calo le iscrizioni anagrafiche degli stranieri. Come riportato dallo stesso istituto di ricerca: “Le iscrizioni anagrafiche dall’estero registrate nel corso del 2019 ammontano nel complesso a 332.778, un numero sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente (+0,1%); la componente dovuta agli ingressi di cittadini stranieri, pari a 265mila, è tuttavia in calo del 7,3% rispetto al 2018, mentre aumentano del 46% i rimpatri degli italiani (68mila). A livello nazionale il tasso di immigratorietà totale è pari a 6 immigrati per mille residenti”. Insomma, prosegue l’attendibile fonte a livello nazionale, i numeri inerenti gli ingressi

dall’estero sono in costante e lento declino. Nota a margine, ma non poco importante, i flussi provenienti dal Mar Mediterraneo. A tal proposito, l’ISTAT commenta: “Dal 2015 al 2017 le immigrazioni sono tornate ad aumentare per via dei consistenti flussi provenienti dai paesi che si affacciano sul Mediterraneo, caratterizzati prevalentemente da cittadini in cerca di accoglienza per asilo e protezione umanitaria. Dal 2018 questi ingressi hanno subito una battuta d’arresto, continuando a diminuire nel corso del 2019 anche come conseguenza del Decreto legge (Ddl 840/2018, noto come “Decreto Sicurezza”) recante modifiche alla disciplina sull’immigrazione, la protezione internazionale e la concessione e revoca della cittadinanza italiana”. Nel 2019, tuttavia, il numero maggiore di stranieri entrati nel nostro Paese sembra provenire dalla Romania: con 35 mila ingressi si conferma infatti al primo posto, mentre l’Albania, che registra un +23% rispetto al 2018, si piazza seconda. “Seguono le iscrizioni dall’Ucraina (circa

7mila, -15%) - prosegue il rapporto ISTAT, - Moldova (6,5mila, +13%) e dal Regno Unito (4mila, +68%). Consistenti alcune immigrazioni di origine africana, in particolare quelle provenienti dal Marocco (oltre 19mila, pari a +16%, rispetto al 2018). Più contenute in valore assoluto ma sempre in aumento quelle provenienti da Egitto (9mila, +17%) e Tunisia (4mila, +25%). Molto diversa, invece, la situazione per tutti quei paesi che negli anni precedenti avevano fatto registrare ingressi record per motivi umanitari: le immigrazioni dalla Nigeria passano da 18mila nel 2018 a poco meno di 5mila (-72%), quelle dal Gambia da 6mila a meno di 2mila (-77%). Variazioni negative importanti anche per Mali (-76%) e Costa d’Avorio (-73%) che passano da oltre 5mila ingressi a poco più di mille”. In forte aumento invece i cittadini provenienti dall’India (+10%, cioè 12 mila), Cina (10 mila e quindi +2%) e Brasile, con un +24% e circa 22 mila ingressi in tutto. Più contenute in termini di valore assoluto, ma ugualmente in aumento, quelle provenienti da Egitto (9mila, +17%) e Tunisia (4mila, +25%). Il rapporto ISTAT infine si è soffermato anche sul rientro degli italiani dall’estero, fattore da non sottovalutare in termini demografici. Si legge infatti: “Le immigrazioni di cittadini italiani (68mila) provengono in larga parte da paesi che sono stati in passato mete di emigrazione italiana. Ai primi posti della graduatoria per provenienza si trovano, infatti, Brasile e Germania (che, insieme, originano complessivamente il 18% dei flussi di immigrazione italiana), il 7% dei flussi di rientro proviene dalla Romania, il 6% dal Regno Unito e il 5% dalla Svizzera”.

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Società oggi di Nicola Maschio

La storia e l’importanza delle COOPERATIVE SOCIALI

S

i chiama CoopsDay ed indica la Giornata Internazionale delle Cooperative. Il tema di quest’anno è “Ricostruire meglio insieme”, per fare il punto su quanto fatto e quanto ancora sarà necessario fare per superare, in modo unito e compatto, la pandemia di Coronavirus. Solidarietà, resilienza e coraggio: sono gli elementi che contraddistinguono da sempre l’attività della cooperazione, che fonda sull’aiuto verso il prossimo la propria attività, il proprio agire. Ma di cosa si tratta nello specifico? Le cooperative di tutto il mondo celebrano la Giornata dal 1923, anche se solo nel successivo 1925, anno del centenario dell’ICA (l’International Cooperative Alliance) che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la proclamò ufficialmente Giornata internazionale delle Cooperative. La celebrazione è stata poi decisa per ogni primo sabato di luglio, da quel momento in avanti. L’obiettivo di #CoopsDay è sensibilizzare le cooperative e promuovere gli ideali del movimento, quali la solidarietà internazionale, l’uguaglianza tra popoli o la pace nel mondo. Tuttavia, come nasce la cooperazione e, di conseguenza, come prendono vita le cooperative nella nostra società? La prima in assoluto risale al 1844, in Inghilterra, con poco meno di una trentina di lavoratori che decisero di fondare questo movimento sociale. Per vedere in Italia l’ “Associazione degli operai” bisognerà aspettare una decade, dunque il 1854. Successivamente, nell’autunno del 1886, cento delegati in rappresentanza di 248 società e di 70.000 soci si riunirono in Congresso a Milano: nasce così la Federazione Nazionale delle

Cooperative, divenuta poi nel 1893 la Lega delle Cooperative. Quest’ultima tuttavia verrà poi sciolta nel periodo fascista, durante il quale si cercò in ogni modo di fare della cooperazione un modello economico, a scopo di lucro. Al termine della seconda Grande guerra però, ecco la svolta: data la voglia di far ripartire definitivamente ed in modo concreto il Paese italiano, è la Costituzione stessa a schierarsi al fianco delle Cooperative, con l’articolo 45 che ancora oggi possiamo leggere ogniqualvolta vogliamo capire di quale mondo stiamo parlando. “La Repubblica – spiega il testo, riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità”. Insomma, l’idea è quella di aiutare nel maggior modo possibile e con gli strumenti necessario la crescita e lo sviluppo dell’attività di cooperazione in Italia. E se vogliamo dare un’occhiata più da vicino allo svi-

luppo di questo fenomeno, basta consultare i dati forniti da Confcooperative Federsolidarietà, l’organizzazione di rappresentanza politico-sindacale delle cooperative sociali. Come riportato da quest’ultima sul proprio portale online, in riferimento ai dati, “al 2019, si contano 6.225 aderenti. Tra le cooperative sociali aderenti il 67% opera nel settore socio sanitario ed educativo e il 33% nell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate e disabili. Le cooperative sociali aderenti contano complessivamente 229.000 soci, di cui 26.000 volontari, circa 244.307 lavoratori di cui 18.000 svantaggiati. Il fatturato aggregato è pari a 8 miliardi di euro. Sono circa 4 milioni le persone raggiunte ai loro servizi”. Esistono poi due tipi di cooperative sociali: quelle del tipo A (settori educazione, assistenza sociale e servizi alla persona) con 176 mila soci in tutto e quelle di tipo B (cooperative con scopo di inserimento lavorativo) con 52 mila soci complessivamente ed un fatturato complessivo di circa 2 miliardi di euro (rispetto ai 6 miliardi del precedente tipo A).

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Personaggi di oggi di Laura Mansini

MARIA GRAZIA BRESSAN: UNA DONNA ATTIVA “Non si è nessuno se non c’è la collaborazione di tante persone che ti aiutano a concretizzare le idee; alla fine si tratta di mettere le proprie capacità, anche le più semplici, a disposizione della Comunità”

M

aria Grazia Bressan, da venticinque anni Presidente dell’Associazione Tenna Attiva, rifiuta di sentirsi un “Personaggio” speciale. Incontrare Lei, assieme ad Anna Maria Beber, preziosa collaboratrice, è stato per me molto gradevole. Mi è sembrato di ritrovare vecchie amiche di un Trentino che fu; molto è cambiato negli ultimi 70 anni con la crescita economica e culturale, tuttavia non è venuta mai a mancare quell’apertura cortese della vecchia Trento e delle sue Valli. Forse, proprio in questi ultimissimi anni, si sta perdendo una parte dell’antica socialità seguendo il percorso opportunista di certa politica. Per fortuna non nelle piccole comunità, come a Tenna, la Penisola dei due laghi della Valsugana, dove si

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trovano ancora persone come Maria Grazia che vedono nel volontariato l’opportunità di aiutare il paese a mantenere le proprie tradizioni ed idee contribuendo a mantenere vivo il mondo dell’associazionismo. Maria Grazia Bressan nata a Padergnone, in Valle dei Laghi, il 18 dicembre del 1953, diplomata in ragioneria, nel 1975 venne assunta in Provincia “Quando sono stata assunta- racconta- mi hanno chiesto se preferivo un lavoro di routine oppure un lavoro vario, con una forte connotazione personale. Ho scelto il secondo e sono stata assegnata al servizio Enti Locali divenuto poi Autonomie Locali.” Apprezzata da tutte le amministrazioni, è rimasta in questa struttura fino all’età della pensione, rivestendo negli anni ruoli di prestigio. “ Serbo un

bellissimo ricordo del periodo lavorativo e di questo ne è testimonianza l’affetto e la riconoscenza che ho ricevuto dai comuni all’atto del mio pensionamento” Persona preparatissima è stata un valido punto di riferimento per gli Amministratori Locali, ma l’Associazionismo ha sempre rappresentato per Maria Grazia un importante aiuto alle amministrazioni, soprattutto per i piccoli Comuni. “Da dove viene questa forza, quest’impegno che stai portando avanti da molti anni ?” ” Credo dipenda dalla famiglia, dal contesto dal quale si proviene” Risponde sorridendo e continua .”Già da ragazza, a Padergnone ho fatto parte di molte associazioni, del resto la mia famiglia faceva dell’accoglienza un punto di forza. Grandi lavoratori, mio padre e miei zii hanno portato avanti per tutta la vita l’impresa avviata dai nonni nel 1933”. Parliamo di un negozio di


Personaggi di oggi

generi misti che di lì a poco, a causa di un locale nel retro bottega iniziò l’attività di “ libera mescita del vino rigeneratore” secondo i segreti del mestiere carpito in Baviera da Alberto Bressan il secondogenito dei tre fratelli nati da Rinaldo e Dina Grazioli, che entrerà nella leggenda locale col nome di “Cantinota” . Il primo nato è Ezio, padre di Maria Grazia e l’ultimo era Luciano. La famiglia Bressan ed il loro locale sono diventati famosi per l’accoglienza e la qualità dei prodotti riservati agli avventori. Grazia Bressan è giunta a Tenna nel 1983, avendo sposato Fiorenzo Malpaga. Segretario comunale, appassionato di Storia e di Scrittura, figlio di Enrico Malpaga, storico sindaco di Tenna (ha mantenuto la carica per trent’anni, a lui si deve l’acquedotto Comunale). Ben presto si è inserita nella comunità ed ha iniziato a collaborare con le donne del paese, e qui entra in campo Anna Maria Beber, tennarota doc, nata a Tenna l’11 luglio 1954. “Infatti, conferma sorridendo Anna Maria, l’incontro con Grazia è stato importante e

nei piccoli paesi, come il nostro la disponibilità, l’apertura agli altri era di casa. Pio, mio padre, era contadino, lavorava la campagna, faceva parte dei pompieri e dell’Associazione degli agricoltori, mentre mia mamma teneva l’orto, aveva sei Mucche nella stalla che accudiva personalmente e pur con quattro figli la sua casa era sempre aperta agli amici ed a chi ne avesse bisogno.” Maria Grazia descrive Anna Maria come figura eclettica, una persona li-

bera, sempre disponibile per tutti, l’artista e l’artefice di tante iniziative della Parrocchia e delle varie associazioni. A lei ci si rivolge ogni qualvolta si ha la necessità di un consiglio che va oltre la semplice richiesta “dame na man”. La sua manualità e senso artistico sono uniche..” Parlando con loro si scopre un mondo fatto di progetti, di incontri, di impegno sociale, non solo Tennattiva, nata alla fine del 1994, tenuta a battesimo da Andrea Castelli, che ha dato vita ad “Estate Ragazzi” ma anche di feste parrocchiali, di scampagnate estive, nel 2000 è stata organizzata la Festa della donna. Ricordo il concorso di poesia “Di.. Versi sentimenti” (quattro edizioni); senza dimenticare le serate di teatro, gli eventi musicali; lunghissimo è l’elenco delle cose fatte, grazie anche alla collaborazione delle Amministrazioni Comunali e di tutte le associazioni del paese,che non sono mai venuta a mancare. Tutto questo fa di Tenna un territorio che possiamo godere ora: non solo grande bellezza naturale, ma impegno delle persone che fanno di un Pese una comunità viva, raccontando una civiltà che viene da un lontano passato.

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Ritratto d’Artista di Waimer Perinelli

LOME-LORENZO MENGUZZATO

UNA VITA PER L’ARTE La parola Inquietudine sintetizza la personalità e l’arte di Lorenzo Menguzzato. Inquietudine vuol dire ansia e turbamento, curiosità e ricerca, difetti e pregi per una vita d’ artista.

H

o incontrato LOME anagramma del suo nome, nello studio di Trento e abbiamo conversato circondati da tubi di colore, tele dipinte con macchie e linee, occhi che indagano, bocche serrate, labbra corpose e sensuali. A terra sculture fatte di linee metalliche intersecantisi che formano figure o solo vuoti riempiti dall’ambiente circostante, pareti o natura, cielo o acqua. L’autoritratto di un artista concreto e aperto, sintetico e prolisso. Mai banale. Solo conoscendo la sua personalità si capisce l’amicizia di Luigi Serravalli, poeta e scrittore, e la recensione, la prima, scritta da Rinaldo Sandri. L’arte è la sua passione. Aveva tredici anni quando la famiglia gli offrì un regalo per la brillante prova di terza media ed egli chiese di visitare la Biennale di Venezia. Non fu solo istinto, ma una scelta nata dalla contaminazione con la madre artista, “la più brava di famiglia” dice con orgoglio in cui s’inserisce anche la sorella Maria; il padre appassionato d’arte,collezionista di opere e storie d’ artisti. Alle spalle nonni pratici, concreti, di Castello Tesino dove i Menguzzato erano ricchi e stimati commercianti di legnami tra il Trentino e il Veneto, e gli altri di Montagnaga di Pinè, agricoltori all’ombra del santuario mariano. A Venezia Lorenzo incontra Emilio Vedova e con lui visita i padiglioni, anche quelli riservati, della Biennale . “Ci rivedremo fra un anno”, dice il grande artista salutandolo, ma il destino è già segnato: l’ultimo giorno in Laguna

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Lome con Vittorio Sgarbi

mentre si reca alla stazione incoccia in una locandina che recluta aspiranti artisti per la scuola di grafica di Riccardo Licata, insegnante di mosaico, in momentanea trasferta da Parigi. Lorenzo entra e paga l’iscrizione con le ultime 50mila lire rimaste. Poi telefona a casa: “Ho fatto una sciocchezza, dice al padre, ho usato gli ultimi soldi per iscrivermi al corso di Licata e non ne ho per vivere a Venezia”. Il giorno dopo Roberto Menguzzato è a Venezia con ricambi di biancheria e fondi per l’ arte. Inizia così la

Lome con Sergio Dangelo


Ritratto d’Artista

nazionali ed internazionali. Tra loro Sergio Dangelo, 89 anni, un maestro della pittura contemporanea, con il quale da vita al progetto DANGELOMELODIES, un tour espositivo, seguito dal movimento New Situazionisme, idea anglo francese, paradosso letterario prima che artistico. “ I critici mi hanno classificato artista della neo figurazione, dice Lorenzo, non mi spiace, ma credo che ogni definizione sia una gabbia” E le gabbie gli stanno strette ” L’artista, dice, deve essere libero, cosmopolita, cittadino del mondo”. Liberi come gli uccelli presenti in tante opere di Lorenzo. Le ali dell’artista sono le doti innate, il sesto dito, doni delle fate, che fanno la

differenza. Lorenzo Menguzzato, sposato, ha un figlio, Davide di 21 anni ( erede della passione per il commercio dei bisnonni e del nonno Roberto, storico commerciante di calzature in centro a Trento), è un poeta pittore, sognatore ma anche concreto. E’ il custode di un bosco di 132 ettari a Dolcè al confine con la provincia di Verona. Al Bosco dei Poeti ospita artisti internazionali, con loro si confronta e cresce. Non trascura le istituzioni, anzi crede che gli Enti pubblici debbano diventare seri mecenati dell’Arte come lo furono Principi e Papi nel Rinascimento: “ Solo così, dice, l’arte ritroverà il suo Centro. Gli artisti oggi sono smarriti, non hanno punti di riferimento.” Lorenzo collabora con architetti e urbanisti, partecipa ai concorsi sempre più rari e onerosi della legge per l’abbellimento delle scuole, banche ed agglomerati urbani. Una sua opera è presente sulla facciata della Cassa Rurale a Levico Terme.“ Questa pandemia, dice, dovrebbe farci riflettere; il suo superamento può avvenire anche attraverso l’arte da inserire in un grande piano d’ investimenti come fece negli anni 30 del Novecento il presidente americano Franklin Delano Roosevelt”. Si può vivere per l’Arte ma è difficile vivere d’Arte.

Lome con Umberto Eco, di lui diceva un ottimo allievo

Lome con Luigi Serravalli

Lome al lavoro nello studio

vita d’artista di Lorenzo, nato a Trento il 27 agosto del 1967, iscritto all’Accademia di Belle Arti della città lagunare a 15 anni e laureato al corso di pittura Emilio Vedova a soli 21 anni. Un colpo di fulmine diventato realtà. Solo un anno prima della laurea la sua prima mostra importante a Salisburgo, nella galleria intitolata al poeta austriaco Georg Trakl. Seguono altre duecento mostre in Italia e, finora, almeno 50 all’estero. “ Io credo, dice Lorenzo, che la vita come l’arte sia fatta di relazioni, la frequentazione di persone diverse, di scambi di pensieri ed esperienze”. E anche in questo ci vuole fortuna e Lome incontra Luigi Serravalli, emiliano di nascita, ma residente a Rovereto, classe 1914, poeta, narratore, critico cinematografico e d’arte, aperto alle novità dell’ultimo decennio del Novecento. Fra Lome e Serravalli nasce un sodalizio artistico che produce i “Libri Rossi” seicento acquerelli per cento quadri, illustrati dagli epigrammi ironico-satirici del poeta. Segue, nel 1990 la pubblicazione “Zirudele, Strambotti, Epigrammi e Frottole” e un anno dopo il grande libro “Campai Sodo” racconti di vita e di luoghi. Lorenzo ascolta, capisce e comunica, con la parola e le opere, una dote importante per chi vive delle relazioni, che lo porta a collaborare con artisti

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In controluce di Katia Cont

Buon compleanno

ARANCIA MECCANICA!

A “

Clockwork Orange”, è un libro del 1962 scritto da Anthony Burgess. Fu reso famoso dall’omonimo film del 1971 del regista Stanley Kubrick, che lo trasformò nel film cult per un’intera generazione e nell’opera simbolo della ribellione verso il sistema. “Arancia meccanica” salì alla ribalta delle cronache soprattutto per via delle polemiche suscitate dalle numerose scene di violenza presenti nel film, che in molti paesi portarono alla censura. Nel 1973, lo stesso Stanley Kubrick arrivò a chiedere la censura del film in Inghilterra, dopo aver iniziato a ricevere lettere minatorie rivolte a lui e alla sua famiglia. Il registra chiese ed ottenne dalla Warner Bros il ritiro dalle sale inglesi della pellicola, che non fu più trasmessa in Inghilterra (perlomeno in via ufficiale ed autorizzata) fino alla morte dello stesso Kubrick. Il romanzo è stato inspirato da un fatto realmente vissuto dallo scrittore nel 1944, quando lui e la moglie furono aggrediti da quattro marines statunitensi. La moglie incinta a causa della violenza subita perse il bambino. “Arancia Meccanica” compie quest’anno 50 anni. Mezzo secolo di vita per un racconto cruento ed al tempo stesso lucido, un sofisticato manifesto della violenza e della manipolazione degli individui da parte del sistema politico-economico. Scene di violenza agghiaccianti, analizzate attraverso diversi generi cinematografici, che sono entrate nell’immaginario collettivo di sempre. Il rallenty, le accelera-

Stanley Kubrick

zioni da comicità muta, le distorsioni grandangolari, gli ipercromatismi portano il pubblico ad una sensazione di disagio che lo accompagna dell’inizio alla fine. A 50 anni dall’uscita del film sappiamo ancora di più apprezzare il gusto e l’estetica anni Settanta di un film distopico per eccellenza. Partendo dalle location e passando per gli arredamenti, gli oggetti di design, le opere d’arte, i colori, e gli outfit, “Arancia Meccanica” è un film confezionato alla perfezione che racconta l’estetica di quel periodo. Chiunque abbia visto il film, e forse anche chi non l’ha mai visto, ha sentito parlare della Cura Ludovico e del Latte +, ingredienti fondamentali di un film che merita comunque di essere visto, soprattutto per lo stupefacente contrasto musicale che lo caratterizza e che accompagna le varie scene di brutalità e violenza di cui è intriso. Nel film, infatti, numerosi sono i riferimenti a “Beethoven”, confiden-

zialmente chiamato dal protagonista Ludovico Van, con l’“Inno alla Gioia” e la “Nona”. Le note de “La gazza ladra” di “Rossini” sono invece capaci di trasportare il pubblico nel “piacere” per la violenza o di renderlo complice inerme delle angherie di Alex De Large. I brani di musica classica fanno da colonna sonora ad Arancia Meccanica. Ma indimenticabilmente crudo è il momento in cui Alex canticchia ironicamente “Singin’ in the Rain” di Arthur Freed durante la scena del pestaggio a casa dello scrittore, facendo sì che le pause ritmiche del brano siano cadenzate “a tempo” dai calci e dalle bastonate che sferra. Mezzo secolo di “Arancia Meccanica”, il capolavoro cinematografico partorito dal genio di Kubrick, capace all’epoca di mettere sotto shock il mondo e che, dopo 50 anni, resta ancora un paradigma dell’arte che divide e provoca dibattiti.

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Il personaggio di Francesco Zadra

ROSARIO LIVATINO il giudice ragazzino

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mmagina di essere uno studente di Giurisprudenza (e fa già piangere così) in piena sessione d’esami. Intere giornate con gli occhi che sanguinano e la mente che reclama una pausa, ore e ore di gioventù perse in quel labirinto di codici, commi e cavilli. Chi te lo ha fatto fare? La tentazione di darsi all’agricoltura è sempre più forte. Se poi scopri che l’albo degli avvocati è ormai prossimo alla saturazione e ti arriva voce dell’ennesimo scandalo legato alla magistratura cominci a mollare la presa. L’idea di fuggire a pescare tonni in qualche sperduto atollo del Pacifico si consolida ogni secondo di più. Tutto ad un tratto una voce rompe il silenzio. Un oracolo? La tua coscienza? No. Semplicemente la radio, che hai messo in sottofondo nel tentativo di rendere meno amaro il ripasso di diritto privato. Ciò che ha catturato la tua attenzione ha un nome e cognome: Rosario Angelo Livatino. Cominci ad ascoltare rapito l’annunciatrice radiofonica mentre narra vita,

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La Ford Fiesta, sulla quale viaggiava Rosario Livatino quando venne assassinato dalla mafia messa sotto tutela e diventa di “interesse culturale”

morte e, sì, anche miracoli, di questo giovane magistrato assassinato dalla mafia trent’anni or sono. Nato a Canicattì il 3 ottobre del 1952, il nostro eroe si contraddistinguerà fin da piccolo per il forte senso di giustizia e la temeraria voglia di mettersi in gioco. Terminata la vita liceale, dove militò tra le fila dell’Azione Cattolica, il giovane Livatino s’iscrive alla facoltà di Giurisprudenza da cui uscirà, cum laude, nel ‘75. Gli anni passati sui libri danno i loro frutti: dopo essere finito in vetta alla graduatoria del concorso da magistrato nel ‘78, divenne sostituto procuratore del tribunale di Agrigento l’anno successivo. A soli 26 anni d’età. Una carriera brillante. Ma ben presto Rosario farà i

conti con l’amara realtà. I concetti di Giustizia, Verità e Trasparenza, che tanto sognava di difendere, erano lungi dall’essere messi in pratica. E non solo negli inferni delle periferie sicule. Perfino i colleghi togati e le alte sfere dello Stato sembravano predicare bene e razzolare male. Nonostante ciò decise di non scoraggiarsi e perseguire con ancor più convinzione il suo obiettivo. Etiam si omnes ego non. Anche se tutti io no. Passò così al setaccio la società siciliana, trascorse notti insonni per scoprire dove si annidasse la criminalità organizzata arrivando perfino a interrogare personaggi “intoccabili”: sindaci, parlamentari e pure un ministro della repubblica. Il tutto mentre affrontava una profonda crisi interiore che lo portò, dopo un travagliato percorso, ad abbracciare convintamente la fede cattolica chiedendo la cresima da 36enne. Inutile dire che la sua incorruttibilità e intransigenza non gli attirò certo le simpatie della mafia. Nel 1990 la


Il personaggio

LA BEATIFICAZIONE Fin dai primi anni dopo la morte di Rosario la curia agrigentina incaricò la prof.ssa Ida Abate, un tempo sua insegnante, di raccogliere testimonianze per il processo di beatificazione. Perfino papa Wojtyla si commosse incontrando i genitori di Livatino nella valle dei templi di Agrigento, poche ore prima di scagliare lo storico anatema contro la mafia. Il processo diocesano si avvierà nel 2011 su decreto di mons. Francesco Montenegro per concludersi solo nel 2018. Anni intensi, durante i quali furono interrogate oltre 40 persone circa la condotta di vita del magistrato, tra cui uno dei killer, l’ergastolano Gaetano Puzzangaro, ora pentito. I documenti e testimonianze vennero poi spediti a Roma in un dossier di 4’000 pagine pronto a essere esaminato dalla Congregazione per le cause dei santi. Nel dicembre 2020 arriva il nulla osta del Santo Padre Francesco circa il riconoscimento del martirio. Finalmente lo scorso 9 maggio il giudice Livatino è stato innalzato all’onore degli altari, nella cattedrale di Agrigento, per bocca del cardinal Semeraro. La memoria liturgia del neo-beato sarà celebrata ogni 29 ottobre, data in cui (nel 1988) ricevette il sacramento della confermazione. E’ ora in corso un’indagine della Santa Sede circa suoi 2 presunti miracoli. Arriverà presto il giorno in cui potremo chiamarlo “San Rosario Livatino”?

Come eravamo

Stidda, cosca mafiosa locale, assoldò, a poche settimane dal suo compleanno, 4 sicari col mandato d’inseguirlo. E non certo per consegnargli torta e candeline. Il 21 settembre la tragedia: mentre si recava al lavoro sulla statale che collega Caltanissetta ad Agrigento la sua auto venne speronata. Rosario ebbe un orrendo presentimento: la sua corsa era giunta al termine. Tentò quindi la fuga attraverso i campi, ma venne raggiunto e freddato a colpi di pistola. Spirava così, a quasi 38 anni, il giudice ragazzino. Impossibile non pensare alle parole di Saulo di Tarso: bonum certamen certavi, cursum consummavi, fidem servavi. Ho gareggiato una bella gara, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.

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Famiglia 3.0 di Patrizia Rapposelli

IL SILENZIO DEL DIALOGO

A

ltro che uomo come “animale sociale” nel modo in cui scrisse Aristotele! È vero che per natura tende ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società, ma l’uomo post-moderno ha dimenticato una parte fondamentale dell’essere sociale: il comunicare. Glaciale silenzio tra persone che si imbattono fisicamente le une con le altre, accigliate, immerse nei pensieri, al cellulare o impegnate in qualche social, manca una comunicazione profonda. Assenza di parole che ben più grave appare quando pensiamo alla famiglia. Infatti, nella “famiglia 3.0” non si parla. Manca una partecipazione vera tra genitori e figli: assenza di dialogo, senza contare il conversare di base o bofonchiato. È un argomento scottante e sentito oggi; tanti episodi di cronaca e problemi sociali che riguardano i giovani mandano il messaggio chiaro che, se fossero stati ascoltati e valutati prima, molto si sarebbe evitato. Le famiglie che navigano ogni giorno nell’abisso del silenzio, nell’incapacità di parlarsi e ritrovarsi sono numerose, troppe. In questo secondo decennio del terzo millennio trovare il giusto canale con i figli è difficile, complice un mondo complesso. I ritmi di lavoro, la competitività, la labilità dei legami, un egoismo spacciato per individualismo, forse all’apparenza più accettabile, un narcisismo che fatica la trasmissione dei valori ai futuri adulti e un’era di digitalizzazione massiva. Un mondo iperconnesso, fatto di social network e app di instant messaging che come dice la sociologa e psicologa statunitense Sherry

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Turkle hanno portato ad una grave crisi nei rapporti interpersonali. La conversazione è strettamente legata alla capacità di empatizzare, che è a sua volta importante per stringere rapporti significativi tra gli uomini. Oggi la comunicazione digitale permette di “bypassare” i vincoli del dialogo faccia a faccia e lascia poco tempo all’attenzione dell’altro. In casa succede lo stesso, teste e sguardi chinati, dita impegnate a chattare e silenzio; pranzi e cene consumati a casa con genitori e figli alienati dagli smartphone, sempre se almeno lo spazio attorno al tavolo è condiviso nella “famiglia 3.0”. Silenzio foriero di conflitti e incomprensioni: dove sono i limiti e le regole, i vecchi valori della famiglia e il buon senso di aprire una conversazione con i ragazzi? Costa fatica offrire del tempo ai giovani, meglio obbligarli a occupare il tempo e

assecondare il loro non parlare. Il silenzio nell’adolescenza fa parte della naturale rottura con il mondo degli adulti. La mancanza di parola che abita il giovane entra in risonanza con un fermento interiore proprio di quell’età. Mamma e papà dovrebbero rallentare il ritmo della giornata e parlare con loro ogni giorno, raccontarsi, anche se la risposta sarà uno sbuffo (nel tempo si vede il risultato). Il crollo del dialogo è una crisi di attenzione e un conseguente perdere di vista i bisogni reali dei figli. Una comunicazione profonda, reciproca e di fiducia si crea fin dall’infanzia. La vita può essere rallentata come i fotogrammi di una pellicola scanditi uno alla volta, spazio alla parola, all’immaginazione, al fare insieme, fermando il vortice di voracità che trascina sempre avanti. Vedremo se il genitore avrà la capacità di saper cogliere il tempo in cui parlare, parlare davvero.


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Fatti e personaggi di Chiara Paoli

“Non c’è storia

del TRENTINO senza il TIROLO”

“N

on c’è storia del Trentino senza il Tirolo”, questo il titolo del libro dell’attivista politica Clara Anna Celestina Marchetto, nata a Pieve Tesino il 9 novembre del 1911, quando la nostra regione era parte integrante dell’impero Austroungarico. Nel 1933 Clara inizia a lavorare come maestra a Roncegno Terme e due anni più tardi si sposa con Giusto Antonio Gubitta, originario di San Stino di Livenza in provincia di Venezia. La coppia si trasferisce a Genova, dove Giusto trova impiego presso l’Ansaldo, mentre Clara continua a fare la maestra. Il 21 dicembre 1940 i due sposi vengono condannati, assieme ad altre 25 persone, con l’accusa di spionaggio,

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dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato di Roma, con la sentenza n. 201. Nello specifico il gruppo avrebbe fatto avere ad agenti speciali francesi, i progetti della corazzata Littorio. Entrambi furono condannati all’ergastolo: Giusto sull’isola di Santo Stefano, mentre Clara viene incarcerata nella sede circondariale femminile di Perugia, dove rimane fino al 19 giugno 1944, data che vede la sua liberazione grazie alle truppe anglo-americane. Clara decide di ritornare in Tesino, dove divenne attivista dell’ASAR, Associazione Studi Autonomistici Regionali, suggerendo dj farla divenire una sezione trentina interna all’SVP, partito autonomista sudtirolese. Grazie a questa fusione nasce il Partito del Popolo Tirolese Trentino, che alle elezioni regionali del 28 novembre 1948, riesce ad incassare il 16,83% dei voti alle urne, per un totale di 33.137 voti. Clara riesce ad ottenere ben 1.149 preferenze, ma non può essere eletta in qualità di Consigliere regionale, a causa della condanna lei del tribunale fascista che pende su di lei ed è ingiustamente causa interdizione politica. Il primo febbraio 1949 viene rimpiazzata da Cornelio Ropelato,

primo dei non eletti. La giovane donna viene attaccata prima e dopo le elezioni, è vittima di molteplici calunnie a mezzo stampa, per cui essa intenta un processo per diffamazione contro Flaminio Piccoli, la cui prima e unica udienza si svolge l’11 gennaio 1949. Il primo febbraio seguente Clara, non avendo mai fatto domanda di revisione del processo, viene nuovamente arrestata e riportata nel carcere di Perugia dove rimane fino al mese di novembre, quando viene liberata in attesa del riesame. La Marchetto viene condannata al pagamento delle spese per il processo contro Flaminio Piccoli che viene assolto dall’accusa. L’anno seguente Clara se ne va prima a Innsbruck, poi in Tunisia e infine


Fatti e personaggi in Francia, dove vive fino alla morte, avvenuta il 17 settembre del 1982. Nel 1953 la revisione del processo firma la condanna a 15 anni e 4 mesi di carcere, per aver rivelato segreti di Stato e aver preso parte al complotto. Nel 1972 la pena viene condonata e nel 1979 Clara ritorna per la prima volta nel suo paese d’origine, proprio per presentare il suo volume, Non c’è storia del Trentino senza il Tirolo. La premessa di Clara Marchetto la dice lunga sulle sue intenzioni; “Ho scritto questo libro per raccontare la storia dei nostri antenati, la storia del popolo, per il popolo. Non è la grande storia che è stata raccontata tante volte, e nella quale il popolo ebbe ben poco a vedere. Mi si perdoni se oso

parlare semplicemente, per difendere il nostro popolo, che è stato spesso ignorato o peggio, trattato da bastardo, tanto al nord, come al sud. Qui nella regione, non ci sono grandi monumenti, orgoglio di altre regioni e di altre civiltà, perché qui non c’erano gli schiavi, obbligati a lavorare sotto la sferza e a pagare col sangue tante meraviglie. Qui il popolo si era organizzato nelle comunità, che per millenni gli hanno permesso di vivere libero, nella più perfetta democrazia. Per conoscere la storia e la psicologia del popolo, ho consultato solamente autori trentini, i quali, avendo esaminato i documenti che si trovavano negli archivi delle valli, hanno potuto scrivere la verità su fatti avvenuti nelle diverse

epoche della vita regionale. Questi autori si definiscono spesso cronisti e, pur dimostrando i loro sentimenti di simpatia all’Italia, raccontano ciò che hanno trovato, anche se spesso gli avvenimenti, sono contrari alle loro idee. E questo dimostra la loro onestà, il loro carattere trentino. Il Trentino o Tirolo Meridionale, essendo posto fra due mondi diversi, si può considerare come il punto d’incontro delle due razze. Ma il popolo qui ha avuto sempre una personalità, marcata dalla sua vita sociale, che lo ha distinto dai popoli confinanti e che gli ha permesso di vivere libero, per millenni, quando altrove i contadini erano definiti servi della gleba. È stato un popolo ammirevole, senza grandi monumenti, ma anche senza schiavi.”

L'ottava edizione del “Trofeo Crucolo” Il 13 giugno scorso si è disputata l'ottava edizione del “Trofeo Crucolo" riservato alle ruote grasse, organizzato dal Team Sella Bike presieduto da Ingrid Tezzele, una gara entrata nel 2016 nel "Circuito delle Valli", punto di riferimento per tutti coloro che in bicicletta o in mountain bike, si divertono in mezzo alla natura scoprendo il bellissimo territorio che ci circonda e, oltre a trarne beneficio in ogni aspetto psicofisico, ne fanno un'importante occasione di socializzazione. Giornata di sport e divertimento riuscita in pieno, complice anche il bel tempo che ha caratterizzato tutta la manifestazione nella splendida Val Campelle, nel cuore del Lagorai. Sono stati 63 gli atleti a prendere il via alle 10 del mattino davanti al Rifugio Crucolo, affrontando un percorso di circa 25 km, disegnato tra strade forestali e sentieri sterrati con lo sfondo della splendida catena montuosa. Per la cronaca di gara, la vittoria è andata a Elia Lorenzi del Team Todesco, seguito dal perginese Andra Zamboni, portacolori del Team Carina Brao Podio femminile Caffè; terza posizione per Daniele Rossi del Team Pro Sport Tremosine. In campo femminile, la vittoria è andata a Silvia Lizzi del Team Bike Movement Trentino, seconda posizione per Alessandra Sassano del Team Sella Bike, e terza per Barbara Bertoldi del Dragon Bike di Strigno. Archiviato il Trofeo Crucolo 2021 che ha visto il record di partecipanti ai nastri di partenza, il Team Sella Bike sarà impegnato nell'organizzazione della Tesino Lagorai Bike XC (terza edizione) in programma per il mese di agosto a Cinte Tesino che quest'anno vedrà il percorso parzialmente rinnovato per questioni logistiche, sotto la regia di Podio maschile Mirco Mezzanotte e Sunil Pellanda, ideatori della manifestazione.

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Festival di Cannes di Katia Cont

Marco Bellocchio

e l’onore della PALMA D’ORO alla CARRIERA

«I

premi, lo sappiamo, ci servono per andare avanti nel nostro lavoro. Questo è un riconoscimento che renderà leggermente più facili i progetti futuri. Ha un sapore particolare poi, perché tutte le volte che sono andato a Cannes non ho mai ricevuto un premio, a parte per “Salto nel vuoto” quando premiarono gli attori (Michel Piccoli e Anouk Aimée, nel 1980, ndr), ma questa Palma non la considero una ricompensa. Non è che rivoluzionerà la mia vita, la metterò in una bacheca, in una libreria, sono contento ma non è che mi butto nel Tevere per festeggiare. Quando sarà il momento ovviamente ringrazierò tutte quelle persone che mi sono state vicine durante questi tanti anni di lavoro». Con queste parole Marco Bellocchio ha commentato a caldo al microfono di chi lo ha contattato appena giunta la notizia dal Festival di Cannes. Il Festival, infatti, sabato 17 luglio renderà omaggio al regista assegnandogli la prestigiosa Palma d’Oro onoraria durante la cerimonia di chiusura.

Pierre Lescure, presidente del Festival, nel presentare alla stampa i motivi di questa scelta ha detto: «Marco ha sempre messo in dubbio le istituzioni, le tradizioni, la storia personale e quella collettiva. In ciascuno dei suoi lavori, quasi involontariamente o almeno nel modo più naturale possibile, ha rivoluzionato l’ordine costituito». Thierry Frémaux, delegato generale, ha completato il discorso aggiungendo: «Siamo fieri di premiare Marco Bellocchio, uno dei grandi maestri del cinema italiano, dopo 56 anni di affascinante lavoro, dopo i suoi amici registi Bernardo Bertolucci, Manoel de Oliveira e Agnès Varda. È un cineasta, un autore e un poeta. Onorarlo con la Palma d’Oro alla Carriera non ha bisogno di giustificazioni per tutti quelli che ammirano il suo lavoro».

Marco Belloccchio (da Videoinformazioni)

A 56 anni dal suo esordio nel lungometraggio con “I pugni in tasca”, Bellocchio si presenterà nuovamente al Festival nella sezione Cannes Premiere, con “Marx può aspettare”, un documentario dedicato al suicidio di suo fratello gemello a soli 29 anni. Il Maestro ha portato i suoi capolavori a Cannes dal 1980 fino al 2019 dove si presentò con “Il traditore” che, purtroppo, nonostante gli elogi della critica non vinse nemmeno un riconoscimento. Il regista ha vinto una sola volta il Premio della Giuria Ecumenica per “L’ora di religione”nel 2002.

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Qui America di Francesca Gottardi *

Sposarsi negli USA:

gli ostacoli del matrimonio “internazionale” Il matrimonio è un evento gioioso ma che presenta diversi ostacoli se a sposarsi negli USA sono un cittadino americano ed uno straniero. È invece più accessibile se due cittadini italiani decidono di convolare a nozze negli USA. Italiani che convolano a nozze negli USA Ogni anno centinaia di cittadini italiani decidono di convolare a nozze negli USA. Vuoi per evitare le scocciature di un grande matrimonio, vuoi per rendere il tutto più esotico ed interessante. In molti optano per Las Vegas, in Nevada, meta nota per i matrimoni internazionali. Questo perché nello stato del Nevada ottenere la licenza matrimoniale è semplice e veloce, non serve lasciar intercorrere un certo lasso di tempo prima di sposarsi, come avviene in altri stati USA ed in Italia. La cappella più famosa dove in molti decidono di sposarsi si chiama “A Little White Chapel.” Lì si sono sposati personaggi noti come Britney Spears (anche se poi il matrimonio è stato poi subito annullato), Demi Moore e Bruce Willis, Frank Sinatra, e Michael Jordan. Le procedure sono semplici e veloci, basta presentarsi, pagare per il servizio, ed in quattro e quattr’otto il gioco è fatto! Posti come la “A Little White Chapel” offrono dei pacchetti per rendere il tutto ancora più agevole, che includono automobile (o persino un elicottero!), intrattenimento, bouquet, fotografo. Per il riconoscimento in Italia bisogna far trascrivere l’atto presso il proprio comune di residenza. Sposare un americano negli Stati Uniti Sposarsi con un americano non è

di per sé difficile. Per ottenere la licenza matrimoniale, occorre solamente presentarsi in tribunale USA con il proprio documento d’identità, prestare giuramento che non ci sono impedimenti nello sposarsi, come l’essere già sposati ma non ancora divorziati, avere legami di parentela che renderebbero l’unione incestuosa e così via. Occorre inoltre essere maggiorenni o aver ottenuto l’emancipazione giudiziale. Dopo un lasso di tempo variabile di stato in stato (dai pochi minuti ai 6 giorni), si sceglie un giudice o un officiante abilitato a celebrare matrimonio…et voilà! L’aspetto complicato è il processo legale per risiedere e lavorare negli Stati Uniti. A differenza di quanto accade in Italia (e nella maggior parte dei Paesi Europei), il coniuge straniero non acquista automaticamente lo

status di residente dopo il matrimonio per via di leggi migratorie particolarmente complesse. Pertanto, una volta sposati i coniugi devono iniziare un processo lungo, costoso e faticoso per ottenere prima la carta verde, e poi della cittadinanza americana. L’iter richiede anni. Occorre tenere presente che senza l’autorizzazione, almeno temporanea, per risiedere e lavorare in USA, l’individuo è soggetto a significative limitazioni. Non può lavorare, accedere a certi prestiti federali, e non può nemmeno viaggiare liberamente dentro e fuori al territorio USA. Anche se per alcuni sposarsi con un cittadino americano e vivere negli USA è un sogno, non è tutto oro quello che luccica! * Francesca Gottardi è nostra corrispondente USA

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Il personaggio di Laura Paleari

GIORGIO ARMANI

Q

uinto uomo più ricco d’Italia, stilista e fondatore di uno dei marchi più famosi e importanti del mondo della moda. Giorgio Armani nasce l’11 luglio del 1934, a Piacenza, durante gli anni della Grande Guerra. Non era un periodo facile per la sua famiglia, costretta a vivere in ristrettezze economiche; quello che oggi è conosciuto come Re Giorgio, finì addirittura all’ospedale, quaranta giorni in reparto, a causa dell’esplosione di una bomba. Dopo i suoi studi superiori si trasferì con la famiglia a Milano, e cominciò “senza troppa convinzione” (cit.) gli studi di medicina, interrotti dalla leva militare e che decise poi di abbandonare definitivamente. Trovò impiego inizialmente come assistente alle vetrine dei negozi della Rinascente di Milano e come assistente fotografo e, dopo 6 anni, entrò, finalmente, a far parte del mondo della moda. Nel 1964 disegnò la collezione uomo

Giorgio Armani by AreaDomani Academy

per Nino Cerrutti, senza una vera a propria preparazione in materia; ma il successo inaspettato che riscosse e, grazie al suo braccio destro e compa-

Armani e modelle by Style

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gno di vita Sergio Galeotti, che ebbe fiducia in Giorgio dal primo momento, fu decisivo per convincerlo a fondare, il 24 luglio 1975, la Armani S.p.A., con una prima linea maschile e femminile: l’inizio del successo. Il suo emblema? La giacca destrutturata. Nelle sue prime collezioni le sue giacche diventano semplici, pulite per un uomo disinibito e informale. Anche il suo modello di donna venne rivoluzionato: una figura nuova, indipendente e affascinante, con tailleur modellati su quelli maschili, che andavano incontro alla crescente emancipazione femminile. Il successo però non fu per niente facile, Armani in seguito rivelò “Sono stati anni di sacrifici e fatica. Non avevo più tempo per me. Spesso mi ritrovavo a piangere disperato alle 11 di sera, in fabbrica, dove ero rimasto solo tra migliaia di metri di stoffa. Andavo su e giù da Milano a Biella


Il personaggio

con la mia macchinetta di quinta mano nella nebbia e nella neve.” A tutto ciò si aggiunse la morte di Sergio, dopo 10 anni di relazione, a causa di una leucemia fulminante. In questi anni pensò seriamente di lasciare ma il ricordo della passione del compagno e dei suoi consigli sul proseguire la sua carriera, lo spinsero a continuare. Nel 1982 il magazine Time lo “consacrò” dedicandogli la copertina, un onore fin a quel momento dato solo a Christian Dior. Sempre nei primi anni ’80 fondò una nuova linea, ideata per i più giovani: Emporio Armani, dove riuscì a miscelare il suo stile con un abbigliamento più fresco e sportivo. La filosofia di Armani è rimasta immutata nel tempo: i colori che utilizza sono freddi e monocromatici, il beige, il grigio, il greige (una tinta a metà tra il grigio e il sabbia) e, ovviamente, il blu Armani, il quale lo considera un colore al pari del nero, un evergreen. Lo stile è classico e ispirato al cinema in Bianco e Nero Americano degli anni Venti e Trenta. Nel 2020, alla domanda: “Quali sono i 5 pezzi del guardaroba femminile che Giorgio Armani definisce fondamentali?” Lui sicuro rispose: “La giacca. Per me è fondamentale in ogni guardaroba, femminile o maschile che sia. È un capo versatile che ho reinventato in modo casual, morbido e soprattutto non troppo formale. Le giacche destrutturate che ho creato negli anni ‘80 per uomo e donna sono diventati il mio “marchio di fabbrica”: tutto sembra derivare da questo pezzo unico che rivedo e rivisito a ogni collezione. Dimostrando come un capo può rimanere iconico e attuale nel tempo. Gli altri quattro capi fondamentali in un guardaroba, per Armani, sono nell’ordine: un comodo tailleur pantalone, alcune t-shirt basic, qualche camicia dal taglio femminile e un cappotto lungo. Gran parte della sua fama, la si deve alla sua sfrenata dedizione verso il lavoro. Ad oggi, non sono rare le volte in cui Armani si presenta di persona presso le sue boutique, per sistemare le vetrine e i capi esposti. Durante gli ultimi due anni di Covid, ha inoltre riconvertito la sua produzione per creare camici e mascherine per il servizio sanitario italiano e offrire donazioni agli ospedali. Un esempio di grande imprenditore e creativo che sa guardare oltre il mero guadagno. L’unico rammarico del grande Re Giorgio? Non aver avuto figli. Ma possiamo ammettere che, in effetti, è come li avesse avuti, lasciando un’eredità non tanto materiale quanto concettuale alle nuove generazioni.

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Turismo post-covid di Patrizia Rapposelli

Vivere la spiaggia La stagione estiva è cominciata. Ebbene si parte per le vacanze. La gente ha voglia di mare e gli operatori del settore hanno bisogno di lavorare. Le spiagge Romagnole, da sempre ai primi posti dell’offerta turistica italiana le abbiamo scelte per domandarci come sia questo turismo “Post-Covid”. Delineano per noi lo scenario i titolari del Bagno 131 Miramare di Rimini portatori di una voce comune a diverse località della Riviera.

È

azzardato fare previsioni sulla ripresa economica certa nel settore del turismo e volo pindarico pensare ad un’inversione di tendenza capace di dare serenità dopo la tempesta Covid. Infatti, non è possibile ancora voltare pagina definitivamente, ma qualcosa si sta muovendo, piccoli segnali di schiarita all’orizzonte. Il turismo in prossimità rimane la prima scelta, il mare in testa, specchio di un italiano colpito duramente. Una stagione che parte a rilento, complice un clima d’insicurezza su alcune tematiche: questione green pass, tampone per lo spostamento, protocolli di sicurezza per le strutture ricettive. In realtà ci viene detto che per le spiagge i protocolli anti- Covid sono identici a quelli dell’anno precedente. Via libera a una vacanza in sicurezza con avvisi che spiegano le procedure; nulla di diverso dall’amata-odiata routine anti-contagio. Distanziamenti tra ombrelloni, lettini, attrezzature sanificate e dispositivi igienizzanti disposti nei punti strategici. “La pulizia, marchio di fabbrica di molti stabilimenti, è stata ulteriormente accentuata. Igienizzazione di tutti i luoghi comuni è routine.” La distesa di ombrelloni divenuta un’icona delle cartoline anni’80 si specchia oggi nella fotografia di stabilimenti dai parasole assottigliati. In tempo di Covid sulla Riviera Romagnola le strutture serie e attente hanno aumentato la già larga

distanza fra gli ombrelloni. “Ad esempio noi piantiamo un ombrellone ogni 22 metri quadrati.” È offerto un livello di confort forse mai assaporato da anni, un distanziamento che suona ridondante, ma che permette il piacere responsabile di godersi l’aria di mare senza indossare dispositivi di sicurezza, necessari solo in luoghi affollati o all’interno di strutture. Lo stesso turista è cambiato, scomparso quello da discoteche, sostituito in parte dal cliente habitué dell’estero che ha riscoperto un luogo prima accantonato. Una vacanza post-Covid che vede in prima linea gli operatori del turismo pienamente affaccendati a far sì che l’ordinario antecedente alla pandemia possa piano-piano riprendersi la scena e fare in modo che il comparto del turismo torni a sorridere. Situazione che sintetizza e rispecchia lo stato del suolo italiano.

In questo lungo periodo pandemico gli Italiani hanno imparato a convivere con la paura e i cambiamenti rapidi di regole, misure restrittive e divieti, risultato un viaggiatore stressato. “Capiamo lo stress causato dalla pandemia ai nostri ospiti e il bisogno di evadere, quindi la tradizionale accoglienza romagnola diviene ancora più importante per far passare qualche giorno in tranquillità”. Parole che sintetizzano un turismo orientato alla sicurezza, alla tranquillità e alla voglia di normalità su tutto il Paese. Dopo un anno precedente disastroso, guardando ai dati di giugno: 44.7 per cento l’anno scorso, nello stesso periodo, le prenotazioni per il periodo estivo degli italiani già al 54.7 per cento quest’anno. Seppur con calma l’impressione è quella di una discreta risalita per l’industria delle vacanze che rimane sempre il fiore all’occhiello del “made in Italy”.

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Società oggi

Parte “LIBERI TUTTI” Un contest intergenerazionale che parla di filosofia e libertà ai tempi del Covid-19. Un concorso di idee e filosofia organizzato dall’Officina delle Nuvole e FilosEventi nell’ambito dell’edizione 2021 del bando “Generazioni 2021”

Q

uanto è stata condizionata la nostra libertà dal Covid-19? Quanto hanno pesato il lockdown e le restrizioni imposte dalla pandemia sulla nostra possibilità di autodeterminarci e decidere liberamente per le nostre vite? Parte da questi interrogativi il contest “Liberi tutti”, una qualificata e importante iniziativa “filosofica” intergenerazionale, proposta dall’associazione culturale L’Officina delle Nuvole, in collaborazione con la Rete Riserve Fiume Brenta, con FilosEventi e con la Comunità Valsugana e Tesino, nell’ambito del bando “Generazioni 2021” e ispirata al tema della ‘libertà’ in rapporto alla responsabilità civile ai tempi del Covid-19. La dimensione intergenerazionale del contest punta a mettere in contatto classi d’età differenti, con l’obiettivo di creare quella “solidarietà nella vulnerabilità” tanto più auspicabile in un momento storico come quello che stiamo vivendo. Per partecipare a “Liberi tutti” occorre vivere in Trentino e avere almeno 11 anni. Il concorso si articola in due sezioni, una per under 18 e l’altra per over 18. Nella prima categoria possono concorrere elaborati di qualunque tipo (video, testi, foto, disegni), purché coerenti con il tema

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del contest, La seconda categoria è invece aperta ad aforismi e brevi testi filosofici. In palio, 700 euro in buoni acquisto che saranno suddivisi fra gli elaborati vincitori. A tutti i partecipanti agli eventi verrà inoltre regalata una tazza su cui scrivere la frase preferita sulla libertà con appositi pennarelli per ceramica. I vincitori e le vincitrici saranno premiati a settembre nel corso di cinque Caffè filosofici tematici. Le iscrizioni per la partecipazione sono

state già aperte e si chiuderanno il 20 settembre 2021. Al momento e mentre andiamo in stampa in molti hanno già aderito all’iniziativa, inviando la propria idea di libertà agli organizzatori. Per la sola categoria Under 18, coinvolta con la collaborazione degli Istituti Scolastici del Territorio, sono già più di un centinaio i ragazzi che si sono cimentati nell’impresa! Tutte le informazioni e il regolamento completo del contest sono su www. filoseventi.it/liberitutti. BANDO GENERAZIONI Il bando Generazioni punta a incentivare la nascita di reti di collaborazione e progettazione per lo sviluppo di iniziative legate al mondo del lavoro e all’autonomia dei giovani, stimolando, in una logica di scambio, i processi di transizione verso l’età adulta. L’obiettivo è mettere al centro temi come il lavoro culturale, le professioni creative, ma anche i mestieri legati alla tradizione e l’autonomia giovanile, valorizzando il patrimonio di entusiasmi, talenti ed energie che esprimono i territori. “Generazioni” è organizzato dalle cooperative sociali Young Inside e Inside con Mercurio Società Cooperativa e con il sostegno delle Province autonome di Bolzano e Trento e della Regione autonoma Trentino - Alto Adige/Südtirol.


Violenza domestica e maltrattamenti

Signal for Help...

Il segnale per la richiesta di aiuto Il nuovo modo silenzioso di denunciare la violenza domestica promosso da associazioni sensibili sul tema. Il Signal for Help permette di denunciare senza essere visti dall'aguzzino.

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er aiutare le vittime di violenza domestica a denunciare i maltrattamenti subiti in epoca Covid, le associazioni Canadian Women’s Foundation e Women’s Funding Network hanno istituito il Signal for Help. Un gesto che, nella sua semplicità, è capace di salvare parecchie vite. Con lo scoppiare dell’emergenza epidemiologica e il conseguente lockdown, sono drasticamente aumentati gli episodi di violenza domestica e femminicidio. Donne, bambini e di frequente pure uomini si sono ritrovati reclusi nella loro abitazione con i propri aguzzini, isolati dall’ambiente esterno. Secondo quanto indicano le statistiche, nella fase di quarantena Covid si è avuto un incremento del 119 per cento delle chiamate al numero verde 1522* per lo stalking e la violenza domestica. Tuttavia, spesso chi è vittima di violenza non ha la possibilità di effettua-

re chiamate, con le quali dovrebbero esplicitare a voce i motivi, rischiando di farsi udire dall’aguzzino e, dunque, di subire ripercussioni. Alla luce di ciò l’associazione Women’s Funding Network (WFN), in compartecipazione con la Canadian Women’s Foundation, ha creato il cosiddetto Signal for Help. La campagna Signal for Help, che sta ottenendo sempre maggiore considerazione sul web grazie al passaparola dei social media e a video esplicativi, ha ideato un segnale gestuale in grado di salvare parecchie vite. Si tratta di una maniera silenziosa di chiedere aiuto: ad esempio lo si può fare in videochiamata, senza suscitare sospetti nel responsabile dei maltrattamenti. Le fasi gestuali del Si-

gnal for Help sono due. La prima consiste nel mostrare il palmo della mano con quattro dita alzate, mentre sul palmo è appoggiato il pollice. La seconda prevede di abbassare le quattro dita, in modo da ‘intrappolare’ il pollice. Il Signal for Help è diventato un simbolo internazionale per denunciare, senza dare nell’occhio, la violenza domestica. È importante continuare a promuoverlo e a farlo conoscere.

*Il 1522 è un servizio pubblico promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Al numero rispondono operatrici specializzate che accolgono le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking.

Tratto da : https://notiziariodelweb.com

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Uomo, natura, ambiente

di Armando Munao'

GIORNATA MONDIALE

degli OCEANI

L’

8 giugno è stata la Giornata mondiale degli oceani. L’evento è stato istituito dall’Onu per fare luce sulla fragilità del sistema marino e per indurre a una riflessione collettiva in merito alla nostra interazione con esso. L’obiettivo è di raggiungere la tutela del 30% dei mari entro il 2030. Il consumo eccessivo di pesce e le attuali politiche della pesca, dati alla mano, rappresentano la principale minaccia per gli abitanti del mare. Secondo i più recenti dati Fao, circa il 34,2% degli stock ittici viene pescato a livelli biologicamente non sostenibili. Nel 1970 questa cifra si attestava intorno al 10%. Secondo l’ex direttore generale della Fao, Josè Graziano da Silva, “dal 1961 ad oggi la crescita annuale globale del consumo di pesce è stata il doppio della crescita demografica”. Se nel 1961 il consumo pro capite annuo di

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Per riflettere in merito allo sfruttamento dei mari a causa del consumo alimentare prodotti ittici a livello mondiale era di soli nove chilogrammi, oggi supera i venti. Per fare il punto della situazione abbiamo posto alcune domande al naturalista Gabriele Bertacchini, autore del libro “Il pesce è finito – lo sfruttamento dei mari per il consumo alimentare” (Infinito edizioni), uscito di recente in libreria. Come spiega questo aumento nei consumi? Nel corso del Novecento abbiamo costruito sistemi di conservazione (pensiamo alle celle frigorifere e a

quando sono arrivate) e sistemi di trasporto che hanno tolto al pesce il connotato territoriale. L’utilizzo dei prodotti ittici non è più legato alla reale disponibilità di un luogo quanto ad una domanda basata su mode e disponibilità di natura economica. Il loro consumo si inserisce poi all’interno di un sistema più ampio che abbiamo messo in piedi e che definirei “perverso”. Tale sistema non segue le leggi naturali, fatte di tempi di riproduzione, andamenti stagionali e periodi di pausa, quanto quelle del mercato. Da qui un “vecchio” paradosso che ritorna attuale ogni volta che si applica la parola crescita a delle risorse finite e potenzialmente esauribili, se anche considerate “rinnovabili”. Quali sono le specie maggiormente minacciate? Bisogna differenziare le diverse zona di pesca, in quanto una specie po-


Uomo, natura, ambiente trebbe essere “abbondante” in un’area e ridotta all’estremo in un’altra. Il merluzzo nordico, ad esempio, già negli anni ’80 e ‘90, ha subito un collasso zona dei Grandi Banchi di Terranova. Più di recente l’ha subito nella zona del Baltico Orientale, mentre in prossimità delle isole Svalbard è più abbondante. Comunque, in generale, possiamo dire che tutte le specie più commerciali, quelle che per prime ci vengono in mente, con particolare riferimento a quelle di maggiori dimensioni, non se la passano troppo bene. A livello globale, in soli sessant’anni, abbiamo aumentato il consumo di tonno (a cui appartengono più specie) del 1000%. Su centosessantatrè specie di cernie, venti sono a rischio di estinzione. Secondo l’Ong Oceana, il pesce spada, nel Mediterraneo, è diminuito del 70% in poco più di trent’anni. Il nasello presenta un tasso di sovrasfruttamento di 5,5 volte superiore a quello sostenibile con picchi che superano dieci volte il livello di sfruttamento sostenibile nel Mediterraneo occidentale. E ancora Verdesca, Palombo, Smeriglio, Anguilla, Rana pescatrice….L’elenco è davvero molto lungo. E quali sono le problematiche associate ai moderni attrezzi da pesca? Il primo problema è che spesso non sono selettivi, finendo per intrappolare anche specie protette da normative internazionali (pensiamo a tartarughe o cetacei). Quelli “industriali” sono stati pensati per catturare con facilità quanti più pesci o prodotti ittici, non per rispettare il mare. In alcuni casi, ma bisogna differenziare caso per caso, possono catturare anche il doppio rispetto la specie target per la quale si è usciti in barca. In secondo luogo, pensiamo alle reti a strascico o alle draghe turbosoffianti, possono rovinare l’ecosistema

marino. Le prime, con il loro grattare, rimuovono ad esempio i sedimenti, liberano carbonio e rendono l’acqua torbida; le seconde, fanno perdere la consistenza originaria ai fondali sabbiosi nei quali vengono utilizzate, finendo per alterare la fertilità del mare. Infine, sebbene esistano già soluzioni meno durevoli non molto usate per via dei costi più elevati, sono fatte di materiali che possono restare nei mari per più di cinquecento anni, continuando così la loro opera annientatrice. L’Unione europea stima che circa il 20% delle attrezzature da pesca impiegate in Europa venga disperso in mare E le possibili soluzioni percorribili? Ci sono soluzioni che possono partire “dall’alto” e altre “dal basso”, le due cose devono andare di pari passo. Pensando ai consumatori, se anche può sembrare scomodo e impopolare, bisogna ridurre prima di tutti i consumi. In questo campo non ci possono essere scorciatoie. Come ho scritto nel mio ultimo libro “la natura non può essere fregata con dei giochi di prestigio, seppure ben eseguiti”. Nel 2003, un italiano, consumava in media poco più di ventuno chilogrammi di prodotti ittici. Oggi siamo vicini ai ventinove. L’aumento dei consumi che si è verificato in questi vent’anni

ci sta facendo vivere così meglio? Poi bisogna ridurre gli sprechi. La filiera è fatta di molteplici passaggi e anche il consumatore ha delle responsabilità. Il 35% del cibo che una famiglia italiana butta via è riconducibile a prodotti ittici. Se si desidera mangiare del pesce è fondamentale differenziare quello che si acquista, rispettando la stagionalità del mare e non domandando sempre gli stessi prodotti. Infine, penso sia importante “premiare” chi se lo merita. Sono convinto che, per quanto se ne dica, le nostre scelte e i nostri pensieri siano in grado di disegnare il mondo di domani. Vivere in un mondo globale richiede di pensare in modo globale, ed è forse questa una delle maggiori sfide ambientali a cui siamo chiamati.

Note sull’autore Il Dott. Gabriele Bertacchini è un divulgatore ambientale. Dopo la laurea in Scienze naturali e un master in comunicazione ambientale, nel 2006, fonda AmBios, azienda specializzata in educazione e comunicazione ambientale. Collabora con molti enti sul territorio nazionale. Ha all’attivo oltre duemila incontri pubblici tra conferenze e momenti formativi. Ha pubblicato: Il mondo di cristallo (2017); L’orso non è invitato (2020); Il pesce è finito (2021).

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L’Istituto “Degasperi” di Borgo Valsugana in cronaca

Scuola, studenti e territorio

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n gruppo di studenti dell’Istituto “Degasperi” di Borgo Valsugana, nella sala consiliare del Municipio di Ospedaletto, ha consegnato, il frutto del proprio lavoro triennale di studio del territorio e di elaborazione di proposte per la valorizzazione dello stesso. Ad accoglierli erano presenti il Sindaco di Ospedaletto Edy Licciardiello, la vicesindaco Genny Cavagna e l’assessore comunale, nonché deputato, on. Mauro Sutto che hanno espresso sentimenti di entusiasmo e gratitudine. Un’intera classe del corso tecnico economico Amministrazione Finanza e Marketing (AFM) ha lavorato al Report “Idee e spunti per la valorizzazione, anche turistica, del paese di Ospedaletto” mentre alcuni studenti del corso tecnico Costruzioni Ambiente e Territorio (CAT) hanno elaborato delle cartografie progettuali per la realizzazione di un sentiero ciclo-pedonale in Val Bronzale, anche nell’area antistante i vecchi siti minerari di lignite in Val Bronzale. Il progetto era partito infatti a fine 2018 su una proposta di Iva Berasi, direttrice di Accademia della Mon-

Momento introduttivo

tagna, che chiedeva alla scuola di lavorare a questo compito di realtà: la valorizzazione dei siti minerari, oramai abbandonati, in Val Bronzale. Gli studenti hanno allargato l’oggetto d’indagine a tutto il territorio di Ospedaletto occupandosi di storia, tradizioni, morfologia, turismo, comunità, economia. Considerando l’evoluzione dei flussi turistici hanno dedotto che anche un paese come Ospedaletto

Panoramica di Ospedaletto (da Wikipedia)

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potrebbe attrarre viaggiatori da tutto il mondo, nell’epoca che Domenico De masi, autorevole studioso del settore, ha definito “età dell’erranza”. Tra le proposte degli studenti primeggia quella di recuperare la memoria storica del paese come punto di sosta quasi obbligato per i pellegrini che transitavano in Valsugana, con destinazioni di viaggio anche molto lontane. L’antica presenza di un ostello medioevale per pellegrini ha lasciato un segno indelebile nel nome del paese. Il toponimo Ospedaletto deriva infatti da “Hospitalis Careni” (ospitale di Careno). Questo aspetto è parso molto interessante anche in considerazione della presenza in Valsugana della Via Romea Germanica, una moderna proposta di turismo lento, recentemente riconosciuta dal Consiglio d’Europa come Rotta Culturale Europea. La storia dei pellegrinaggi medioevali attira curiosità proprio in concomitanza con la diffusione dei viaggi a piedi lungo antiche rotte.


L’Istituto “Degasperi” di Borgo Valsugana in cronaca Ospedaletto potrebbe diventare turisticamente interessante proprio per chi ama fare esperienze di cammino. Gli studenti hanno infatti progettato un sentiero ciclo-pedonale in Val Bronzale di alcuni chilometri, per valorizzare il bosco antistante i siti minerari. Si tratta di un sentiero con limitata pendenza massima, accessibile a tutti, che consentirebbe di osservare da vicino non soltanto le miniere ma anche altre attrattive interessanti come il santuario della Madonna della Rocchetta, la calchera, il Ponte dell’Orco e Col Fortin. Guardando lontano nello spazio e nel tempo, gli studenti suggeriscono di pensare anche ad un sentiero di trekking di collegamento col Tesino proprio attraverso la Val Bronzale, sulla scia di un vecchio tragitto su cui realmente

in passato transitavano le persone dirette a Pieve, Cinte e Castello Tesino. Un altro sentiero del futuro per belle esperienze di trekking potrebbe essere quello di collegamento con l’altopiano di Marcesina. La Valsugana stessa sta scommettendo sullo sviluppo turistico sostenibile del territorio, in parallelo con un importante traguardo raggiunto: prima eco-destinazione turistica certificata secondo i criteri delle Nazioni Unite (GSTC). In questo contesto, investire sulle risorse naturali, storiche e artistiche di un luogo per promuoverne la vivibilità e l’attrattività turistica, non può che rivelarsi una scelta vincente. Per gli studenti del “Degasperi” questo progetto ha costituito un’interessante esercitazione didattica, valida ai fini dell’Alternanza Scuola-Lavoro

Panoramica di Ospedaletto (da Wikipedia)

e dell’Educazione civica e alla cittadinanza attiva. Voleva promuovere sentimenti di identità territoriale e di rispetto per la natura insieme a capacità tecniche, relazionali e imprenditoriali. E’ stata occasione di contatto diretto con le istituzioni, le associazioni locali e le reti sovracomunali. Il tempo potrà dire se sarà riuscito a lasciare anche tracce concrete sul territorio oggetto di studio.

CAMPIONATO ITALIANO SENIORES 2021 DI JUDO

IRENE PEDROTTI medaglia d‘ Oro

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a trentina Irene Pedrotti, ormai da quattro anni a Bologna per studiare ed allenarsi, riconferma il titolo di campionessa italiana. Si sono svolte a Lignano Sabbiadoro (UD) le Finali Nazionali Senior, nei giorni 20-21 giugno 2021. Gara organizzata dalla FIJLKAM, la federazione italiana di Judo Lotta e Karate, che sancisce la ripartenza agonistica della classe Senior Under36. La gara si è svolta sotto dei rigidi controlli federali che hanno ricreato una „bolla“ di sicurezza all‘interno del villaggio „Bella Italia“ di Lignano Il podio Sabbiadoro. La gara era riservata esclusivamente ai migliori atleti del ranking nazionale divisi per categoria dipeso si è disputata in due giorni: sabato riservato alla classe maschile e la domenica riservata alla classe femminile. Risultato eclatante per la giovanissima perginese che al primo anno Senior, vince la categoria fino a 70kg. Dopo i titoli ottenuti a livello giovanile per Irene questo è il primo titolo nazionale conquistato a livello Senior, il suo ottimo stato di forma era stato testimoniato anche dalla medaglia sfiorata a livello europeo. Percorso perfetto per Irene, che ha battuto le sue avversarie tutte per Ippon in pochi minuti. Convocata nuovamente dalla Direzione Tecnica della Nazionale Italiana di Judo, presso il centro Federale di Ostia dal Irene Pedrotti e il coach Paolo Natale 25 giugno al 02 luglio, per raduno con la Squadra Olimpica.

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Sport e personaggi di Alessandro Caldera

GILLES VILLENEUVE l’ultimo volo dell’ “aviatore”

“S

e mi vogliono così, di certo non posso cambiare: perché io, di sentire dei cavalli che mi spingono la schiena, ne ho bisogno come dell’aria che respiro”. Parole chiare, sincere, che rispecchiano in modo inequivocabile la visione e l’approccio alle corse di un pilota la cui fine è giunta troppo presto a causa di un destino avverso, tiranno, che ha presentato la sua inimpugnabile sentenza in un pomeriggio belga del 1982. Il talento in questione è Gilles Villeneuve, un uomo minuto ma con la tempra di un leone, capace di incantare uomini e bambini, cresciuti ed estasiati dalla sua persona, divenuti però ben presto orfani, dopo quello sciagurato Gp delle Fiandre. Soprannominato successivamente “l’aviatore” dalla stampa italiana, a causa del fatto che molti suoi incidenti sfociavano in un volo della sua vettura, Gilles nasce nel territorio canadese del Quebec, un luogo freddo e umido, chiaramente in antitesi con quel suo modo focoso e da scavezzacollo di guidare. A differenza di molti suoi colleghi, precedenti e successivi, Villeneuve non si avvicinò al mondo della F1 da giovanissimo, prima infatti mostrò le proprie abilità alla guida delle motoslitte, esperienza che lo formò e che utilizzò come trampolino di lancio. Il momento della svolta nella la sua vita fu il 1977, precisamente il gran premio di Trois Rivières, una manifestazione di importanza secondaria alla quale però, nonostante ciò, parteciparono i volti noti del “circus” di allora

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Gilles Villeneuve (da Biografieonline)

tra i quali il campione del mondo in carica: James Hunt. Proprio il britannico segnalò alla Mclaren, capitanata al tempo da Teddy Mayer, il nome di Gilles che fu allora sottoposto a test privati da parte della casa di Woking, venendo poi conseguentemente arruolato per il Gp di Silverstone. Malgrado la notevole prestazione nella gara britannica, il pilota canadese non ottenne la conferma da parte del già citato Mayer, che preferì Patrick Tambay. Nell’agosto del medesimo anno, arrivò la chiamata che gli avrebbe stravolto la vita, quella della Ferrari, intenta a trovare un sostituto dopo la decisione di Lauda di voler abbandonare il team di Maranello. L’esperienza in rosso per Villeneuve fu segnata inizialmente da un incidente in occasione del gran premio del Giappone, durante il quale, dopo un contatto con la vettura di Ronnie

Peterson, “volò” sulla folla, situata comunque in un punto vietato del tracciato, provocando la morte di un fotografo e di un commissario di gara. L’episodio impressionò la critica e la stampa che ne esortarono il licenziamento da parte di Enzo Ferrari, il quale però rimase fermo sulla sua posizione. Il 1978 passò velocemente, un anno di transizione segnato di fatto da continui problemi alla vettura che gli permise, ciononostante, di ottenere il suo primo trionfo. Il ’79 fu invece il momento della consacrazione. Il mondiale non riuscì a conquistarlo, lo vinse il compagno di scuderia Jody Scheckter: un trionfo indimenticabile per i tifosi della casa romagnola, al quale seguiranno però ben 21 stagioni di digiuno, cessato solamente nel 2000 con la vittoria iridata di Schumacher. Torniamo però a Gilles, nel tentativo di spiegare perché quel momento e soprattutto quest’uomo siano stati importantissimi nella storia di questo sport. Tutto si può ricondurre ad una gara, divenuta poi pietra miliare, che si svolse a Digione, in Francia. Il giorno fu memorabile, perché vide il primo successo di un motore turbo, introdotto nel ’77, traguardo raggiunto grazie ad una Renault guidata dal transalpino Jabouille. La vittoria del pilota, passò però di fatto inosservata, perchè tutta l’attenzione si concentrò sul duello magico ed infinto tra Villeneuve ed Arnoux, un testa a testa leggendario al punto da poter essere scelto come il manifesto per le corse automobilistiche. La magia e l’estasi di quel pomeriggio furono diametral-


Sport e personaggi

Gilles Villeneuve, Imola 1979 (da Wikipedia)

mente opposte alla disperazione e all’incredulità che “investirono” i tifosi

della Ferrari, quel dannato sabato di maggio sul tracciato di Zeltweg, in

Belgio. A qualifiche praticamente ultimate, Gilles impattò contro la vettura dell’incolpevole Jochen Mass, la sua monoposto fu lanciata per aria a causa dello schianto e Villeneuve sbalzato fuori dall’abitacolo; la situazione apparve subito drammatica, finchè alle 21.12 non fu dichiarato il decesso. In quel momento non se ne andò un semplice pilota, scomparve un vero uomo, un individuo indomito, divenuto in poco tempo leggenda. Il “drake”, Enzo Ferrari, l’uomo più scosso da tale disgrazia, ne vorrà omaggiare la memoria con parole meravigliose, ricche di rimpianti e profondo rammarico: «Il mio passato è pieno di dolore e di tristi ricordi: mio padre, mia madre, mio fratello e mio figlio. Ora quando mi guardo indietro vedo tutti quelli che ho amato. E tra loro vi è anche questo grande uomo, Gilles Villeneuve. Io gli volevo bene.»

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Sport, motori e società di Armando Munao'

LA FERRARI È A LEVICO TERME Inaugurato il Club Ferrari Valsugana

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laudio Giongo, classe 1973, titolare del Bar Campiello “ Al Giongo” è il presidente del Club Ferrari di Levico Terme- Valsugana. Il taglio del nastro e quindi l’inaugurazione della nuova sede sociale, è avvenuta il 26 giugno alla presenza di amici, simpatizzanti, ragazze immagine “Ferrari” e del referente regionale dei Ferrai Club, Andrea Cobbe, che ha espresso piena e sentita soddisfazione per l’avvenimento. E Claudio? Anche per lui grande soddisfazione. E non solo perchè questa è per lui la prima volta che partecipa attivamente ad una vera attività sociale e sportiva, ma “essere il rappresentante in Valsugana della casa di Maranello, la Ferrari, che ha fatto e sta facendo la storia dell’automobilismo in Italia e nel mondo, è per me vero motivo di orgoglio”, ci dice con leggera emozione. “Il nostro obiettivo, continua, è potenziare ancor di più l’immagine della Ferrari in Valsugana, coinvolgendo nuovi simpatizzanti e nuovi tifosi del Cavallino rosso. A tal proposito, ci precisa Claudio, sono aperte le iscrizioni e il tesseramento presso il Bar Campiello “ Al Giongo” ,che è la nuova sede,(sulla S.S. 47, direzione Bassano Trento) oppure tramite i membri del direttivo. Al momento siamo oltre 20 soci, ma siamo certi e fiduciosi che questo numero aumenterà e in maniera significativa. Mi permetta di sottolineare, ci dice in conclusione Giongo, che la tessera del Club Ferrari, oltre a comportare particolari agevolazioni e sconti su visite ai Musei di auto,

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moto e bici, o su acquisti nei Ferrai Store (anche On line), permetterà, e questo è l’aspetto più significativo, una vista guidata alla sede storica della Ferrai in quel di Maranello. Il Direttivo: Claudio Giongo - Presidente (340 3130495) Carlo Piffer (345 6298806) Roberto Sartori (338 6087332) Michele Bittilleri (349 1092694) Giancarlo Campestrin (342 3269288) Thomas Antonioli (347 8767159)


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Tradizioni di casa nostra di Massimo Dalledonne

IL PROSPERETO

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a riscosso grande successo la mostra, allestita presso lo Spazio Klien a Borgo Valsugana, dedicata alla storia del Prospereto. Organizzata dal comune di Borgo, in occasione della donazione dell’archivio da parte della storica redazione, è stata l’occasione per un tuffo nel passato, ricordare quello che, in Valsugana, era e sarà sempre ricordato come un unicum. E, quasi certamente, lo è anche per il resto del Trentino. El Prospereto è una pubblicazione unica nel suo genere. Scritto in dialetto, ma anche in lingua italiana, la sua satira arguta ma mai volgare ha accompagnato intere generazioni di borghesani. Non si interessava di politica ma di quella attività “spicciola”, quotidiana e di contorno, alla stessa politica, che si viveva in paese. Una storia, quella del Prospereto, che si vuole affondi le sue radici nella seconda metà dell’Ottocento quando, all’occorrenza, venivano stampati i primi fogli. E’ nel 1911 che la nostra pubblicazione edita il suo primo numero, quello che ancora oggi in molti conservano in casa. Della redazione del tempo si ricordano Luigi Taddei, Amleto Gasperetti, il vignettista Ferruccio “Uccio” Segantini, Luigi Cerbaro ma anche Aldo Caron e Mario Sartori “el nane pantalon”. Fino al 1929 proseguono le pubblicazioni poi, il regime fascista ne impone la chiusura. La voce del Prospereto si tace fino alla conclusione della Seconda Guerra

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Mondiale quando, nel 1946, un gruppo di volenterosi decide di riportarlo in vita. Con Pergentino Divina “Boccadoro” anche Giovanni Limana, Gilberto Amellini, Ivo Rossi, Livio Rossi, Claudio Galvan, Paolo Meggio, Ferruccio Gasperetti, Giovanni Ferrari, Riki Armellini, Renato Morizzo, lsa Segnana, Aldo Caron, Gianni Moranduzzo, Adriana Armellini, Giorgio Masina, Guido Lorenzi e Andrea Rigo, C’erano pure Mario Sartori, Roberto Malinverni (segretario) e Elio Alberini come direttore responsabile. Per due decenni, in occasione della sagra del paese,

e all’occorrenza, la voce arguta e pungente del Prospereto si fa sentire. Sono gli anni della ricostruzione. Nel 1966 le pubblicazioni si interrompono. Per otto anni Borgo e la Valsugana restano senza Prospereto fino a quando, una sera del 1974, un gruppo di amici ne decidono la nuova rinascita. Tutto accade al bar Cantinota, in via Fratelli. Con Gino Cappello anche Luciano Battisti “Ciano Ciapa”, Adriana e Riccarda Armellini, Renzo Morizzo, Enzo Cazzanelli e tanti altri altri. Detto e fatto. Il resto fa parte della storia. Una storia legata alla figura di Giuseppe “Pino” Campestrin, anche e soprattutto per aver messo a disposizione la storica sede nel vecchio camerone di casa, Rinaldo Ferrai, Giuseppe “Pippo” Oss Emer e Bruna Sartori. Nei primi anni hanno dato il loro contributo alcuni dei “veci della redasion” come Divina, Gasperetti, Meggio e Armelli-


Tradizioni di casa nostra ni. Ogni numero nasceva da lunghe serate di discussioni, confronti e sane risate. Con il tempo la redazione si amplia, arrivano facce nuove come l’indimenticabile Roberto Spagolla. Fin dal dopoguerra nel Prospereto trovano spazio anche alcune facciate dedicate “ai bechi de Telve” e, successivamente, arrivano notizie sui “bogheli de Samon”. Fa la sua comparsa pure “la voze del paito”, a cura del maestro Claudio Brandalise, dedicata al paese di Strigno. Il tempo passa tra una satira e un sberleffo. A ogni sagra del Borgo viene messo in vendita il Prospereto il cui ricavato, dopo aver sostenuto le spese di stampa, viene interamente donato in beneficenza. Spazio anche alla pubblicità, diventata famosa per la sua pungente e originale composizione grafica e i contenuti. Non ci sono solo articoli, spazio anche alla

Borgo - inaugurazione della mostra sul Prospereto

prosa, le poesie sia in dialetto che in lingua italiana. Davvero belle, originali e pungenti quanto basta le vignette. Portano le firme dei vari Ivo Fruet, Nereo Fontana, Giorgio Mattrel, Enrico Dandrea e Walter Giosele. La satira arguta ma mai volgare del Prospereto fa la sua ultima comparsa nel 2011. In quell’anno è stato editato l’ultimo nu-

mero storico di un foglio che ha fatto per più di un secolo ridere, sorridere, discutere, commentare e, in qualche caso, anche arrabbiare la comunità del Borgo e di Olle. Una storia unica nel suo genere, forse irripetibile. Una storia da raccontare, da documentare e da conservare. La storia del Prospereto

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Il teatro di casa nostra di Francesco Zadra

Una “leggendaria” compagnia teatrale

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n uno specchiato pomeriggio di metà maggio, tra pollini e starnuti, ci accingiamo a partire per le fresche alture tesine. Pochi giorni prima ci è arrivato un misterioso messaggio da parte di una compagnia teatrale: il nostro articolo sulla “Leggenda dell’Impiccato” ha fatto scalpore in tutta la valle e li ha spinti a contattarci. Col cuore in gola e, non lo nascondo, un po’ di preoccupazione ci incamminiamo per le viuzze di Castello Tesino rimuginando circa i motivi della convocazione. Abbiamo pestato i piedi alle persone sbagliate? L’articolo mancava di rispetto nei confronti del sacro folklore castelazo? Abbiamo fatto qualche sgarro a qualche industria di caffè? L’ansia aumenta. L’appuntamento si svolge nelle sale del teatro San Giorgio, un desueto ma dignitoso edificio messo a disposizione dalla curia. Qui, al secondo piano, ha sede la “Filodrammatica della Leggenda.” Giunti nella spaziosa sala prove, messa a nuovo dai volontari dell’as-

La Compagnia La Leggenda

sociazione e dal comune di Castello, troviamo un canuto signore intento a riordinare copioni teatrali. Si tratta di Giuseppe Patti, siciliano d’origine ma residente in Trentino da oltre 50 anni. Dopo aver svolto per decenni la professione di dirigente scolastico si gode la meritata pensione dando libri alle stampe e cimentandosi nella drammaturgia. Affianco a lui Cristina Andreatta, «la mia alter ego - commenta Patti - validissima collaboratrice e aiuto-regista.» Anche lei tesina d’adozione, in quanto originaria di Levico, ma fiera cittadina dell’Altopiano da un quarto

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di secolo. Il motivo dell’invito viene presto svelato: la compagnia sta lavorando alla ri-messa in scena della pièce teatrale ispirata agli affreschi di S.Ippolito, e vorrebbe raccontarlo ai mass media. Tutto qui. Tiriamo finalmente un sospiro di sollievo. “La leggenda dell’impiccato” si colloca all’interno di un vasto filone di opere scritte, dirette e adattate dal professor Patti. Ha infatti inscenato in più occasioni capolavori del calibro de “La mandragola” di Machiavelli e “Il malato immaginario” di Molière. Tutte


Il teatro di casa nostra

Giuseppe Patti e Cristina Andreatta

tradotte nel locale dialetto, «una singolare derivazione di quello feltrino-bellunese» puntualizza Cristina, e calate nel contesto socio-geografico della valle del Tesino. Pure le rappresentazioni religiose non sono sfuggite all’eclettico radar del regista, è infatti allo studio un gospel drama, “Testimonianze”, ispirato alla

Passione di Cristo. Molti sono i copioni battuti a macchina da Patti, ma quello dedicato “all’impiccato” (adattato di proprio pugno dall’originale medievale di fra Jacopo da Varagine) riserva un posto speciale nel suo cuore. Da qui, appunto, il nome della troupe de théatre. Compagnia che nasce nel 2010, in occasione della première de “la Leggenda”, spettacolo itinerante in costume cinquecentesco che abbracciava l’intera borgata, dal colle San Polo al centro storico. Successo che si replicherà l’anno successivo e, più tardi, pure in tourneè a Fondo, Val di Non. Poi il nulla. «Abbiamo provato per anni a riproporlo invano nel nostro paese - racconta Giuseppe - quest’anno sembrava ci riuscissimo ma, causa covid, siamo stati costretti a rimandare. Però contiamo, dall’anno prossimo, di tornare

finalmente a calcare le scene con quest’opera tanto apprezzata da turisti e castelazi, magari proprio il 25 luglio, memoria di San Giacomo Apostolo a cui la commedia è dedicata.» Festività che è molto sentita dal professore: per anni ha dedicato l’estate all’accoglienza dei pellegrini sul cammino di Santiago, nelle vesti del caratteristico “hospitalero”. Ovviamente Cristina e “Pippo” non lavorano da soli. Sono coadiuvati da un affiatatissimo manipolo di attori, per i quali la regia confeziona le parti su misura della personalità di ognuno, e ovviamente dai tecnici audio e luci. Ogni commedia è quindi «un lavoro a quaranta mani», amano ricordare. Dopo questa lunga ma appassionante chiacchierata ci congediamo, con gli occhi pieni di meraviglia per il contagioso entusiasmo che Patti e Andreatta sprizzano da ogni poro…

Da parte del dott. Claudio Taverna, già consigliere regionale e provinciale per tre legislature, ci giunge questo comunicato che volentieri pubblichiamo

TRENTO: imposta di bollo su indennità e vitalizi: il Consiglio regionale sbaglia da 10 anni. Per i vitalizi dei consiglieri regionali è prevista l’esenzione.

L’

Agenzia delle entrate – Direzione Centrale di Roma ha pubblicato sul sito istituzionale la risposta n. 419 del 18 giugno 2021 all’interpello che ho presentato, lo scorso 12 marzo: l’imposta di bollo non va applicata sui prospetti dei vitalizi erogati agli ex consiglieri regionali ( e nemmeno sui prospetti delle indennità dei consiglieri). A seguito di ciò, il consiglio regionale è in errore da oltre 10 anni, cioè da quando l’ha introdotta nel mese di novembre 2010. L’oggetto del contendere è irrilevante sul piano quantitativo, mentre assume valore sul piano del principio, ovvero la corretta applicazione del DPR 642/72. Le conclusioni a cui è pervenuta l’Agenzia delle entrate sono conseguenza delle argomentazioni che ho sviluppato con approfondita professionalità, sebbene da anni “fuori esercizio”. Infine, regalo un piccolo consiglio agli sprovveduti colleghi che a sproposito sono intervenuti sulla questione qualche tempo fa: prima di scrivere, accertarsi cosa scrivere! (Claudio Taverna)

Claudio Taverna

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Estate, sport e relax di Chiara Paoli

Piscine in Valsugana sì, ma solo alcune In questa calda estate 2021 purtroppo qualche piscina della Valsugana rimarrà chiusa e non potrà ristorarci con le sue acque nelle giornate di calura. Tra le piscine chiuse quella di Pergine, visto che i lavori necessari alla struttura, non potevano più essere rimandati. Considerato anche il periodo di chiusura forzata a causa della pandemia i lavori sono stati avviati e per il loro completamento, dovremo attendere l’autunno. Anche il complesso natatorio di Roncegno Terme non aprirà a causa di “deficit strutturali e di sicurezza e per la protezione al Piano economico e finanziario della convenzione con la Comunità di Valle e tutti i comuni della Valsugana e Tesino”, come specificato il 12 giugno nella nota della società sportiva Rari Nantes Valsugana che gestisce l’impianto. Non si tratta anche in questo caso di una chiusura definitiva, il Comune si sta impegnando per poter rimettere in sicurezza e a norma la piscina, che si rivela essere un servizio prezioso e apprezzato da residenti e turisti. Il 14 giugno scorso, con il passaggio della nostra provincia in zona bianca hanno finalmente aperto i battenti le piscine di Levico Terme, Borgo Valsugana e Castel Ivano, per offrire ai nuotatori un’estate di ristoro e svago. Ripartono anche i corsi di nuoto, acquagym e le lezioni più specifiche per rimettersi in forma, godendo del refrigerio dell’acqua. Le piscine di Borgo e Levico hanno esteso gli orari infrasettimanali a partire dalle 6 del mattino fino alle 22 della sera, il fine settimana gli orari si riducono leggermente, garantendo la possibilità di accesso dalle 7 alle

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20, anche per sopperire alla chiusura dello stabilimento di Pergine. A Borgo Valsugana si può trovare una struttura moderna e funzionale, dotata anche di lido estivo con tanto verde, piscina all’aperto e un lungo scivolo, che sarà sicuramente molto apprezzato da bambini e Anche all’interno la struttura è decisamente apprezzabile, con le sue quattro vasche: una vasca da ben 10 corsie per gli agonisti, una vasca fitness con l’acqua alta 1,30 metri, una piscina dedicata ai più piccoli, profonda 90 cm e una vasca benessere con acqua a 35° C, idromassaggio e dove è possibile effettuare il nuoto controcorrente. Anche all’interno si può trovare un grande scivolo riservato ai bambini alti più di 120 cm. Tra i servizi offerti, comodo il parcheggio gratuito adiacente alla struttura e la presenza del bar. Nel lido di Levico le piscine sono solo interne, una dedicata al nuoto e una seconda con 34° C, pensata per i più piccoli e per il relax. È presente e fruibile nella bella stagione una zona solarium all’aperto, dove poter prendere il sole comodamente sdraiati su un lettino, attorniati da alte palme, che ci faranno sognare di essere in vacanza. Anche il lido estivo di Castel Ivano offre due piscine all’aperto per rinfrescarsi nelle giornate di afa, una dedicata ai più piccoli con i suoi 80 cm

di profondità ed una per i più grandicelli, molto spazio verde con splendide palme d’intorno, un campo da pallavolo per chi vuole tenersi allenato e un chiosco bar dove potersi ristorare. Per maggiori informazioni sulle singole strutture potete chiamare i seguenti numeri: 0461 700373 Levico; 0461 751227 Borgo e 0461 751227 Castel Ivano.

Borgo Valsugana

CastelIvano

Levico Terme


Scuola e società di Chiara Paoli

L’architetta Marinetta e il bene comune

L

’Architetta Marinetta è il titolo dell’ultimo progetto realizzato dall’Istituto Comprensivo Pergine 2, con le insegnanti Rita Scarcipino e Laura Leonardi; in collaborazione con l’Associazione H2O+, in particolare Marianna Moser e Michela Boldrer e reso possibile grazie al contributo di Fondazione Caritro e al supporto tecnico del Comune di Pergine Valsugana. In questo percorso sono state coinvolte 2 classi della scuola secondaria di primo grado Tullio Garbari e 5 classi della scuola primaria di Canale, che da febbraio a giugno hanno esaminato il tema del “bene comune”, che è andato ad inserirsi di diritto nella nuova materia di educazione civica e alla cittadinanza. I temi principali su cui si sono concentrate le lezioni sono stati: la cura dell’ambiente che ci circonda, l’attenzione per i beni della collettività, l’inclusione sociale, l’uguaglianza di

tutti di fronte alla legge, l’importanza dei comportamenti corretti e l’osservanza delle regole. Per fare tutto ciò si è reso necessario anche un incontro di formazione rivolto alle insegnanti, che hanno appreso un nuovo approccio didattico, quello del Service Learning, grazie all’intervento di MLAL Trento-. Per chi non lo conoscesse, si tratta di proporre un’idea di scuola civica, dove agli studenti viene chiesto di fare qualcosa di concreto, in un’ottica di solidarietà, per la comunità di cui sono parte integrante. La formazione dei docenti ha previsto tra gli argomenti trattati anche il concetto di sostenibilità e i punti dell’Agenda 2030. Gli incontri con gli studenti delle classi coinvolte sono moltpelici; per iniziare si è discusso con loro di cosa sia un bene collettivo, spiegando il concetto di patrimonio comune, compreso l’ambiente che ci sta intorno e conferendo loro l’incarico

di prendersene cura. Ai bambini è stato assegnato un compito di realtà: quello di “mappare” e studiare le fontane che si trovano nei dintorni delle loro abitazioni; queste fonti di acqua sono state analizzate sia come bene storico, sia per la preziosa risorsa che forniscono. Nel secondo incontro l’Architetta Marinetta, interpretata dall’attrice Marta Marchi, ha raccontato dei suoi viaggi, che l’hanno portata a vedere molte opere d’arte in preda all’incuria. Il terzo incontro, con Michela Luise gli studenti sono usciti fuori dalle pareti della scuola, per una lezione sul territorio. L’ultimo incontro si è svolto con l’artista Luciano Civettini che con l’aiuto dei bambini ha potuto così dare forma all’opera di decoro che è andate a colorare la fontanella del parco giochi di Canale, già un po’ scrostata e rovinata dal tempo. I lavori svolti dai ragazzi della scuola secondaria sono stati raccolti e mappati; in data 8 giugno si è svolta con la presenza delle classi che hanno aderito al progetto, l’inaugurazione della fontanella ispirata alle coloratissime opere dei bambini. Potete “sbirciare” la nuova veste della fontanella presso il Parco giochi dietro alla scuola L. Senesi di Canale.

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Storie di casa nostra di Massimo Dalledonne

A Borgo…

SUONANO LE CAMPANE

I

primi due campanoni furono fusi esattamente un secolo fa. Dovevano trovare posto nella cella campanaria della chiesa arcipretale di Borgo Valsugana. La decisione era stata presa da tempo. Le vecchie campane dovevano essere sostituite. Era il 26 luglio del 1921, infatti, quando, presso la Fonderia Colbacchini di Trento ci fu la fusione del Si bemolle e del Do destinati al nuovo concerto del campanile della chiesa parrocchiale della Natività di Maria di Borgo. Come si legge nel volume “Ausugum” di don Armando Costa, informazioni tratte dall’articolo pubblicato il 27 luglio del 1921 su Il Nuovo Trentino “l’opera di fusione riesce egregiamente e l’ottimo fonditore si ha i ben meritati mi rallegro dei numerosi spettatori presenti nonché del rappresentante ufficiale del municipio di

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Borgo, il sindaco Carlo De Bellat”. In quei giorni la comunità borghesana era in attesa dell’arrivo del nuovo arciprete, don Vigilio Grandi che fece ingresso nella parrocchia l’8 settembre dello stesso anno. Durante l’estate e l’autunno del 1921 la Fonderia Colbacchini fuse anche le altre quattro campane minori. Tutte e sei arrivarono in paese esattamente un anno dopo. Come scrive ancora don Armando Costa “è il 22 ottobre del 1922 quando vennero benedette le sei grandiose campane: Prospero, Maria nascente, Candida, Giovanna, Stefano e Giuseppe. Alla cerimonia assiste in massa la popolazione, sfidando la pioggia che cade continua per l’intera giornata”. In quell’occasione, come si legge ancora nel volume Ausugum, esce il numero unico de “Il nuovo Prospero”, ben accetto specialmente per l’inno alato di don Giuseppe Maurina, antico cooperatore di Borgo, e per i cenni storici sulla chiesa e il campanile fatti da Giovanni Holzhauser e monsignor Riccardo Rigo. Quel 22 ottobre del 1922 fu una vera giornata di festa per la comunità del Borgo. Dopo i discorsi dell’arciprete don Viglio Grandi e del sindaco, in serata ci fu una rappresentazione teatrale con “Le Piastrine”. Ancora don Costa sull’arrivo delle nuove campane. “Dopo la solenne benedizione, le campane furono levate dal grande arco e collocate ai piedi della torre mentre nella cella campanaria fu dato inizio al lavoro per la costruzione del nuovo castello in

Borgo - La benedizione delle nuove campane il 22 ottobre del 1922

ferro”. Le vecchie campane, infatti, era disposte diversamente: il campanone era sospeso nel mezzo della cella e le altre gli facevano da corona. “Fatti parecchi calcoli – si legge ancora nel volume Ausugum – fu scelta la disposizione attuale come la più felice. Il vecchio castello, costruito con travi stagionate e robuste in larice rosso, fu demolito e, con sollecitudine fu allestito quello nuovo. Inutile dire – conclude nella sua descrizione della giornata di festa don Armando Costa – che tutte le fasi del lavoro furono seguite con grande interesse dalla popolazione fra molti commenti e riscuotendo, in verità, ben poche approvazioni”. Oltre all’arrivo delle sei campane, nella stessa giornata venne inaugurato anche il campo sportivo con la partecipazione de La Sportiva di Borgo, la Libertas di Levico, l’Unione Ginnastica e la Pro Trento. Per l’occasione si esibì la fanfara della Ginnastica di Pergine con in discorsi del presidente della Sportiva di Borgo Luigi Taddei e dell’onorevole Pietro Romani che esaltano lo sport come supporto di virtù civili e morali.


Conosciamo il territorio di Massimo Dalledonne

A Torcegno la

Madonna dell’Ajuto

A

quando risale la costruzione della cappella dedicata alla “Madonna dell’Ajuto” di Torcegno? Sono trascorsi 185 da quando, nell’estate del 1836 il paese fece i voti di erigere la cappella per difendersi dal Morbus Cholera. Una storia raccontata nelle memorie del parroco don Andrea Strosio nel 1845 in cui si legge testualmente come “fu anche proposta e accettata la promessa di recarsi ogni anno in processione a detta Cappella la mattina del 5 agosto, in cui si solennizza la festa della Madonna della Neve. Ma per il decorso del tempo se ne erano i più del tutto dimenticati, altri affermavano di non esserne mai stati resi consapevoli. Siccome però anche nell’atto di questa divozione se ne serba memoria per iscritto, furono gli uni e gli altri resi persuasi”. Ma nel mese di agosto Torcegno, così come il vicino paese di Ronchi, erano pressoché deserti in quanto gran parte delle famiglie si trovavano sui monti a raccogliere il fieno. Scendere in paese per la mattina del 5 agosto era un bel problema, risolto dall’allora sindaco Domenico Dal Castegné che chiese formalmente al vescovo di Trento di spostare la celebrazione alla mattina dell’8 settembre di ogni anno, festa della Natività di Maria. Nello stesso giorno, l’8 settembre, però, i “traozeneri” dovevano adempiere anche un altro antico voto: recarsi in processione fino a Civezzano (sostituito poi con Onea), processione questa proibita per gli ordini emanati dall’imperatore Giuseppe II. Il 30

giugno 1845 il vescovo diede il suo parere favorevole. I fedeli del paese, ancora oggi, si recano in processione alla cappella il 24 maggio di ogni anno. Quel giorno la chiesa ricorda Maria Ausiliatrice (dell’Ajuto), dal lontano 1571, data della vittoria di Lepanto, attribuita dai credenti all’intercessione di Maria “Aiuto dei cristiani” e che pose fine all’espansione turca verso l’Europa. Ma il vero motivo è ancora un altro, come scrive nelle “Cronache parrocchiali” la maestra Anna Santuario. Anche questa volta c’entra un voto (l’ennesimo), fatto dai giovani “traozeneri” nel 1914 alla vigilia della disperata partenza verso il fronte, quando la scelta era o di rischiare di morire in combattimento o di finire davanti al plotone di esecuzione per renitenza. Si legge testualmente. “1914. Anno avventuroso, che la dichiarazione di guerra con tutte le sue conseguenze rende ad ognuno indimenticabile! Anche Torcegno dunque è sotto posto alle prestazioni volute; gli uomini abili alle armi sono chiamati d’urgenza ai primi di agosto e le famiglie

rimaste trovano fiducia e coraggio nella speranza d’un presto ritorno dei loro cari. Al 2 agosto nella nostra devota Cappella di Maria Ausiliatrice sono raccolti i militi partenti per ricevere la Sacerdotale benedizione. E per interessare la Vergine SS. ma maggiormente a proteggerci, si pronuncia ad unanimità il voto solenne di portarci in processione alla cara cappella ogni anno il 24 maggio. Silenziosamente i militi discendono dall’altipiano e i loro congiunti ritornano lacrimosi alle proprie case, a sostituire le forze maschili anche nei faticosi lavori di campagna”. Nell’autunno del 1914 partì dal suo paese anche Candido Giosafatto Rampelotto (1878-1962) che così descrive, in un italiano appreso a scuola nel tempo libero tra far fen, moldre le vache, cavar patate e pelar fasoi, la partenza dei soldati italiani da Torcegno. “Il gorno[giorno] medesimo sono partito di casa sulaneve a ta[alta] 3 metri e anevegando e molto puscuro che novedeva lastrada dan dare col cuore trafito via al paese e li trovai conpagni e li sono proti[pronti] per partire li tuti salutano li banbini e i padri e lemadri e le suedone e suoi parenti tuti e siparte tuti in sieme A fila un canto dielegria main ta[n]to lera dimaninconia e via col cufr[e] [baule] si lespale con unna candella acesa e via a fila a puracole unno dopolaltro siamo rivati a Borgo e li trovati tuti in sieme Alla stazione e Il treno pronto e per partire cucu laneafato la ferata e via lenta lenta perlasua stra da…”

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L’antropologia ai nostri giorni di Waimer Perinelli

KEZICH E IL DESTINO DI UN MUSEO “Sino a Pochi anni or sono, si poneva in dubbio l’esistenza dell’Antropologia Culturale, siamo spesso stati costretti ad illustrare l’oggetto, le finalità, la metodologia della disciplina”. Questo scriveva Tullio Tentori nel 1967 docente di Antropologia Culturale all’università di Trento e aggiungeva “Oggi tale compito è superato”. Ne siamo sicuri?

C

redo di interpretare il pensiero di Giovanni Kezich, 64 anni, dismesso direttore del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, affermando che, mezzo secolo dopo, tale sicurezza sulla conoscenza antropologica è ancora azzardata. Almeno in Trentino dove il Museo di San Michele all’Adige, uno dei più qualificati in Europa, è stato repentinamente decapitato e il ruolo di direttore scientifico e culturale è stato affidato ad un, pur benemerito nel suo campo, dirigente amministrativo. Scelte di questo tipo nel “colto” Trentino non sono infrequenti, ma finora, almeno per il Museo etnografico-etnologico, si erano limitati alla presidenza caratterizzata nei 21 anni di dirigenza di Kezich da una sola de-

Giuseppe Sebesta e Giovanni Kezich

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signazione, nel 2004, di un’antropologa, Emanuela Renzetti già assistente di Tullio Tentori alla cattedra dell’Università di Trento e poi essa stessa docente. Ero con lei, collaboratore extra moenia alla fine degli anni 70, quando a Milano avevo conosciuto Tullio Kezich, padre di Giovanni, stimato critico cinematografico originario di Trieste. Anche per questo la collaborazione con il direttore del Museo, nei primi anni del Duemila, fu serena e culturalmente proficua. Giovanni Kezich ha un carattere singolare, timido all’apparenza, ma forte e determinato. Geloso del proprio lavoro, rispettoso delle competenze e intelligenze altrui quanto intollerante e sbrigativo con gli incompetenti. E’ un neo pesante che lo ha portato a litigare con tutti coloro che, presidenti o no, s’intromettevano. Quello che si dice un cattivo carattere, ma se non è cattivo, che carattere è? Al Museo degli Usi e costumi della gente trentina, ha dedicato tempo e affetto perché ha amato profonda-

Giovanni Kezich, antropologo

mente questo territorio conosciuto ed esplorato attraverso l’etnografo e fondatore Giuseppe Sebesta. Verso il “padre” culturale ha manifestato sempre stima e riconoscenza ricordandone la figura e valorizzandone l’opera. Appassionato di musica Giovanni Kezich, suona il violino e altri strumenti musicali, anche a notte fonda, sottolinea una sua vicina di casa a Bolzano, e ama non solo osservare, ma immergersi nelle feste popolari. Ideatore del Carnival king of Europe nel 2008, ne fa uno strumento di collaborazione con Francia, Croazia, Macedonia e Bulgaria, valorizzando


L’antropologia ai nostri giorni in tal modo tutti i carnevali dell’Arco alpino. I giorni del Carnevale trasformano San Michele all’Adige nel palcoscenico dei gruppi carnevaleschi tradizionali del Trentino. Il Carnevale nelle antiche tradizioni montane rappresenta l’annuncio della fine dell’inverno e l’arrivo della Primavera; tale compito spetta a dei coloratissimi messaggeri. Nella valle di Fassa gli eleganti Lacchè corrono di maso in maso avvisando gli abitanti che il Bufon sta per arrivare. E così in ogni vallata troviamo esempi straordinari di maschere, di personaggi che raccontano la storia di coloro che le hanno vissute e la divertente manifestazione si trasforma nel confronto di usi e costumi e nella scoperta di

Giovanni Kezich al violino, la Vecchia Mitraglia (Segonzano 2017)

una creatura viva, creatrice di cultura, cenacolo di studiosi, fucina di idee. In provincia, Kezich, promuove e

Sezione Riti Dell'Anno

quanto le montagne, coperte dalla neve, separate dalle valli, non siano riuscite a frantumare lo spirito del popolo trentino. A livello museale esso è raccontato nelle sale dello splendido palazzo-convento, già degli agostiniani, dove sia Sebesta che Kezich, grazie ai molti collaboratori e fra essi Antonella Mott, hanno raccolto, catalogato, descritto, interpretando attraverso essi la cultura e la tradizione. Il maso rivive, con le diverse stanze, la stalla, la segheria, gli attrezzi di campagna, i costumi tradizionali, il canto, la musica... le fiabe. Tutto questo senza mai dimenticare che il museo non è solo una raccolta di oggetti o scritti, bensì

lo ha scansato dalla falce politica e Mirko Bisesti, assessore provinciale alla cultura, ha deciso che “Bisogna cambiare”; “Spostano i dirigenti come fossero sacchi di patate” ha detto Kezich, che ha reagito duramente alla scelta. Non è stato sufficiente a difendere il suo lavoro un documento firmato da quasi mille persone, e fra loro illustri studiosi italiani e stranieri. Il Museo, decapitato, non morirà ma siamo altrettanto certi che sarà un’altra cosa, speriamo almeno nel segno della tradizione. “La funzione che l’Antropologia è chiamata a svolgere, ha scritto il Pontefice Paolo VI, è che le discipline antropologiche con quelle filosofiche(..) collaborino alla soluzione di problemi spirituali e divini” . Auspichiamo senza trascurare la correttezza e l’etica.

coordina una serie di musei locali assecondando una spontanea volontà popolare e avvicinando la gente alla propria tradizione. Il suo impegno viene riconosciuto a livello nazionale con incarichi universitari a Venezia e Verona, coordinamenti di grandi incontri antropologici a Roma e all’estero, gemellaggi con musei importantissimi come quello della Sardegna. Sezione Viticoltura Distillazione museo S. Michele Tutto questo non

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L’Avvocato risponde di Erica Vicentini *

Espropriazione di pubblica utilità e la quantificazione dell’indennizzo

L

’espropriazione è definita nel codice civile (art. 834 c.c.) come l’istituto in base al quale un soggetto, previa corresponsione di una giusta indennità, può essere privato di beni immobili di sua proprietà per una causa di pubblico interesse legalmente dichiarata. La Pubblica Amministrazione può dunque essere legittimata a sacrificare l’interesse privato in vista di un superiore interesse pubblico che, nel caso dell’espropriazione per pubblica utilità, generalmente, consiste nell’attuazione di un’opera pubblica.

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La definizione del codice civile è costruita in negativo: la tutela della proprietà fondiaria può cedere il passo solo se, nel bilanciamento degli interessi contrapposti, è posta a confronto con un interesse pubblico che è oggettivamente e concretamente definito. Risulta poi prevista per legge la corresponsione di un indennizzo. La potestà espropriativa trova la propria legittimazione anche nella Costituzione. Ferma restando la tutela degli interessi privati garantita dall’art. 23 Cost. (“nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta

se non in base alla legge”) l’art. 42 Cost. è chiaro nel prevedere che solo la legge possa disciplinare le ipotesi di esproprio per motivi d’interesse generale, salvo indennizzo per il soggetto destinatario della pretesa. La limitazione del potere di esproprio è quindi duplice: da un lato deve essere esplicitato e definito l’interesse che determina la necessità del provvedimento ablatorio, con la precisa considerazione delle ragioni per cui esso, comunque, comporti il minor sacrificio possibile per l’esecuzione, ad esempio, dell’opera di pubblica


L’Avvocato risponde

utilità; dall’altro, è prevista una precisa riserva di legge, unico strumento ritenuto idoneo a limitare la proprietà privata. Oltre a questi limiti, di natura oggettiva, è poi previsto l’obbligo per la P.A. di indennizzare il soggetto spogliato della propria proprietà. Sul punto occorre precisare il concetto di indennizzo, che è diverso da quello di risarcimento o restituzione: nella nozione di risarcimento è insita la necessità di riportare a parità un rapporto obbligatorio, nel senso di rifondere la sfera giuridica di un soggetto danneggiato del vulnus subito a causa del fatto dannoso; nel concetto di indennizzo, tale necessità non si pone, in primo luogo per il fatto che la sua liquidazione non segue ad un fatto lesivo, secondariamente perché il rapporto con la Pubblica Amministrazione non è, per definizione, caratterizzato da un piano di oggettiva e assoluta parità. Ma come viene quantificata l’indennità da esproprio? Ai sensi dell’art. 37 del T.U. (D.P.R. 327/2001), l’indennità di espropriazione di un’area edificabile è determinata nella misura pari al valore venale

del bene. Quando l’espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, l’indennità è ridotta del 25%. Per le aree non edificabili, è previsto che l’indennità sia determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e sul valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati. Il valore di mercato del bene è determinato al momento dell’accordo di cessione o alla data dell’emanazione del decreto di esproprio, con valutazione delle caratteristiche intrinseche del bene, in particolare dei vincoli di qualsiasi natura preesistenti. Solo le opere preesistenti all’avvio del procedimento espropriativo (costruzioni legalmente realizzate, piantagioni ed altre eventuali migliorie) possono essere inserite nella stima che conduce alla determinazione dell’indennità di esproprio da corrispondere al soggetto che subisce la perdita del bene; tutti gli interventi realizzati dopo l’avvio del procedimento espropriativo non possono

essere inseriti nella determinazione dell’indennità di esproprio. Nel caso di espropriazione parziale di un bene unitario il valore della parte espropriata è determinato tenendo conto della relativa diminuzione di valore: è necessario dunque individuare la differenza tra il giusto prezzo che l’immobile avrebbe avuto prima dell’espropriazione ed il giusto prezzo della parte residua dopo l’espropriazione stessa, in modo da ristorare l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo Dal punto di vista procedurale, il D.P.R. 327/2001 in materia di espropriazioni prevede due momenti: 1) il decreto di occupazione; 2) il decreto di esproprio. Già dalla lettura del decreto di esproprio deve essere possibile constatare l’esistenza di tutti i presupposti per la sua emanazione, in particolare che l’opera sia stata prevista nello strumento urbanistico generale, che sia stato apposto il vincolo preordinato all’esproprio, sia stata dichiarata la pubblica utilità e determinata, anche in via provvisoria, l’indennità di esproprio. La relazione di stima del bene è depositata presso l’ufficio per le espropriazioni: da quel momento, termine 30 giorni, è possibile per il proprietario espropriato impugnare innanzi al Tribunale ordinario gli atti dei procedimenti di nomina dei periti e di determinazione dell’indennità. È consigliabile quindi redigere immediatamente una perizia sul bene che dovrà essere espropriato, al fine di valutare la congruità dell’indennizzo. *Avvocato Erica Vicentini, del Foro di Trento, Studio legale in Pergine Valsugana, Via Francesco Petrarca n. 84

Chi desiderasse avere un parere su un problema o tematica giuridica oppure una risposta su un particolare quesito, può indirizzare la richiesta a: direttore@valsugananews.com

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Ieri avvenne di Massimo Dalledonne

“Castelli e paesaggi rurali – I signori di Telve nel Medioevo”

L

a storia di una famiglia di 900 anni fa. Una famiglia del territorio. Nobile, ricca e, soprattutto, dei grandi strateghi. In grado di allacciarono ottimi rapporti sia con i vescovi di Trento che di Feltre. Un libro, quello scritto da Katia Lenzi, presentato nelle scorse settimane presso la sala riunioni della biblioteca comunale di Telve, realizzato grazie al contributo finanziario del Gal Trentino Orientale e dei comuni di Telve, Telve di Sopra e Torcegno con il coinvolgimento dell’Associazione Ecomuseo del Lagorai e di diverse persone che hanno collaborato con l’autrice. Una ottantina di pagine ricche di storia, ma non solo. “Castelli e paesaggi rurali – i signori di Telve nel Medioevo”, questo è il titolo, è un tassello del progetto “PaRCa”, acronimo di Paesaggi Rurali Castellato, finalizzato al consolidamento statico e il restauro del passo carraio voltato della corte aperta e di parte del cortile nuovo dell’antico maniero di Castellato a Telve. Una ricerca storica in più fasi. Una di queste è la pub-

blicazione di Katia Lenzi che prende come punto di riferimento l’archivio Buffa-Castellato ricco di atti relativi ai signori di Telve, alla famiglia Buffa e alla giurisdizione di Castellato. In tutto 763 pergamene, dal 1245 al 1708, 90 buste e 36 volumi con 204 documenti dal 1196 al 1411. La notizia più antica, come si legge nel libro, della famiglia dei Telve risale

Promuovere crescita è da sempre il nostro volano. Siamo felici di affermare la riuscita del nostro intento.

al 1160 quando Wala e Adalpreto parteciparono all’assemblea dei vassalli presente all’atto di concessione a Gandolfino di Fornace della custodia del castello di Belvedere a Pinè. La famiglia era titolare di diverse fortificazioni: non solo Castellalto, costruito, come presume l’autrice, tra fine XII e inizio XII secolo, da Ottolino da Telve, Anche Castel S. Pietro a Torcegno, Castel Arnana, Castel Telvana e Castel Savaro tra Borgo e Roncegno. Attorno al 1280 dai Telve si stacca il ramo collaterale dei Castellalto e nel 1331 si arriva alla vendita di parte del patrimonio di famiglia ai Caldonazzo-Castelnuovo. Compresi anche i diritti di riscossione, uso e usufrutto. Le proprietà erano concentrate in particolare a Telve, Telve di Sopra, Carzano, Torcegno e Ronchi e molte notizie sono state attinte anche dall’Archivio del capitolo del Duomo di Trento. Nel suo libro Katia Lenzi parla dei rapporti dei Telve con il Capitolo, di tutti gli insediamenti presenti sul territorio, degli abitanti e dell’antico maso di Salla a Ronchi. Ma anche della gestione del patrimonio. Riscuotere

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Ieri avvenne Serata di presentazione

e prelevare, per i Telve, era un modus operandi tramandato di padre in figlio, di generazione in generazione. Katia Lenzi descrive il tipo di prelievo signorile, la sua stagionalità. Si trova traccia anche di un Urbario, redatto da Guglielmo di Castellato, un elenco delle rendite e delle proprietà della famiglia tra il 1409 ed il 1411. In tutto 28 carte, atti di compravendite ed affitti, anche della durata di 29 anni, a 112 contadini della zona: 57 di Telve, 12 di Telve di Sopra, 7 di Torcegno, 19

di Carzano, 18 di Ronchi ma anche di Samone e del Tesino. Non davano solo soldi ai signori ma anche dell’altro, in natura. Come prestazioni d’opera, beni materiali e le famose “decime”. Quest’ultime, altro non erano che l’obbligo dell’affittuario di versare la decima parte della produzione al proprietario: vino, cereali, piccoli di animali e tanto altro ancora. Una concessione rilasciata ai Telve dai vescovi di Trento e Feltre. Spazio anche al paesaggio agrario, iniziativa promossa dalla famiglia, e ancora oggi visibile ad occhio nudo, nelle campagne tra Telve e Carzano con strade e collegamenti viari che hanno permesso, per secoli, la coltivazione di campi e terreni nella località Valli, Pivan, Ziropa, Pasquaro, Castegnaro, Vallin, Rore, Viadaman,

Santa Giustina, Ortisè, Longhini, Nale e Tolver. Una zona compresa tra i torrenti Ceggio e Maso, un sistema cristallizzato con ricchi vigneti, vini di qualità, ottimi cereali. Nel libro si parla anche dei possedimenti di montagna, pascoli e malghe sui monti del Lagorai. Tre secoli di storia, la storia della famiglia dei Telve. “Al giorno d’oggi – conclude Katia Lenzi – le tracce della presenza patrimoniale del gruppo nobiliare non sono visibili solo nei mozziconi di muro dei loro castelli. Sono nel sistema agrario costruito tra Telve e Carzano, nei centenari terrazzamenti di Telve di Sopra, nei toponimi dei masi di Ronchi e delle micro-località attorno ai paesi e sui monti. Il territorio è un grande contenitore, Sta a noi riconoscere e conservare le tracce del passato”.

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Storie di ieri di Mario Pacher

Le scuole in Valsugana

dal 1500

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a prima scuola in Valsugana, di cui si ha notizia, risalirebbe al 1552 e sarebbe stata aperta a Borgo Valsugana dove per la sua gestione la comunità avrebbe speso ogni anno 90 lire. Nel 1580 anche Pergine ebbe la sua scuola, affidata al maestro Orazio Leporini originario di Thiene. Nel 1601 Borgo decise di chiamare da fuori un prete che provvedesse a “istruir i figliuoli nelle virtù e creanze et tener scuola pubblica”. Il 9 febbraio 1607 il comune concesse ad Antonio Terzi, definito “uomo di gran fama et dottrina”, il diritto esclusivo d’insegnare a Borgo dietro il compenso di 300 lire all’anno, nonché quelli che oggi chiameremo benefit che all’epoca consistevano nella casa e nella legna per scaldarsi, ma anche in una retta mensile che i genitori degli scolari dovevano corrispondere al maestro con queste modalità: “gli abbicidari e quelli che cominciano daranno al maestro ogni mese Gazzette 10; quelli che leggono e principiano a scrivere, 12; quelli di concordanze e che latinano per le passive regole fino agli impersonali, 30; quelli delle Epistole e altro studio, 45; quelli degli impersonali fino alle figure e che ascoltano lezioni, 40; quelli di aritmetica, 20”. Si trattava ovviamente di scuole riservate ai figli dei benestanti, benché gli amministratori locali si fossero mostrati molto lungimiranti introducendo anche la clausola che ai fanciulli poveri il maestro Terzi avrebbe dovuto insegnare gratis. Non sappiamo quanti effettivamente usufruirono di questa opportunità, ma a quei tempi l’istruzione doveva essere considerata davvero un op-

tional se ancora nel 1803 il perginese don Francesco Tecini scriveva: “Molti col pretesto che l’uomo di campagna e l’artigiano non ha da essere un letterato, si tengono all’opposto estremo e lo lasciano giacere nei pregiudizi e nell’ignoranza. Taluno tra costoro giustifica la sua pigrizia o la sua ignoranza col mettere in derisione come inutili le eccellenti scuole normali che già da molti anni per nostra vergogna sono in pieno fiore nei vicini paesi già austriaci fra’ quali esemplarmente si distingue la coltissima città di Rovereto”. Le scuole normali cui si fa riferimento sono quelle introdotte dal “Regolamento Scolastico” emanato dall’imperatrice Maria Teresa il 6 dicembre 1774 con il quale si stabiliva l’obbligatorietà dell’istruzione. In Trentino solo Rovereto si adeguò fin da subito, mentre per gli altri paesi passarono degli anni. A Borgo Valsugana l’11 agosto 1776 il Consiglio comunale approvò un decreto che ordinava di istituire una Scuola Capitale “onde impari a leggere e a scrivere e far di conto, secondo

il nuovo metodo di Roveredo”, chiedendo al Comune “di improntare due camere comode, larghe, lustre e fuori di strepito, fornite degli occorrenti sedili; e che esso Comune scelga per primo maestro un Sacerdote capace al quale verrà dato dall’Eccelsa Camera il salario”. Il primo maestro a Borgo fu don Giuseppe Fiorentini. Due anni dopo fu la volta di Pergine. Nelle “Memorie di Pergine”, infatti, l’archivista Pietro De Alessandrini racconta che nel 1788 “per ordine di Pietro Vigilio dei conti Thun s’istituirono le scuole Normali in questa borgata. Dovevano servire pei soli fanciulli maschi, e per provvedere in qualche modo alla mancanza dei fondi, si trovò conveniente di sottomettere anche le pie fondazioni e le confraternite in allora esistenti ad un’annua contribuzione, e di obbligare anche i capi di famiglia nonché i tutori, a concorrere mediante lo sborso di fiorini 1,36 per ogni scolare”. Fra le prime scuole in Valsugana c’era anche quella di Novaledo, di cui vi proponiamo una foto.

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Dalla parte del consumatore di Alice Rovati *

Indagine di Altroconsumo

L’acqua del rubinetto è buona, sicura e controllata

A

confermarlo è l’inchiesta-indagine di Altroconsumo che ha analizzato ben 400 parametri (tra i quali durezza, residuo fisso, sodio, nitrati, metalli pesanti, pesticidi, solventi, disinfettanti) sull’acqua prelevata dalle fontanelle di 35 citta’ italiane e ha dimostrato che la scelta di prediligere l’acqua pubblica e’ sicura. Tutti i valori delle realta’ considerate risultano ampiamente al di sotto dei limiti di legge (90% delle fontanelle con giudizio buono ottimo, con Trento al top ed una sola insufficiente) e la scelta di rinunciare all’acqua in bottiglia risulta la piu’ sostenibile, perche’ permette di evitare circa 17 kg di rifiuti di plastica per persona all’anno. Spesso la contaminazione da pesticidi viene utilizzata come argomento di “sospetto” nei confronti dell’acqua di rubinetto. Ma su ben 374 pesticidi

ricercati, in soli due casi abbiamo riscontrato tracce minime, con valori molto al di sotto del limite di legge: a Palermo e Torino (rispettivamente, 0,028 μg/l e 0,07 μg/l di antiparassitari totali, a fronte di un limite di 0,5 μg/l). Non solo, l’acqua pubblica italiana, che nell’85% dei casi arriva da falde profonde - più protette da contaminazioni rispetto a quelle superficiali, o rispetto a fiumi e laghi - ha mostrato caratteristiche paragonabili a quelle delle acque in bottiglia. Sembra che a livello nazionale e globale si stia prendendo sempre più coscienza del valore dell’acqua e delle nostre preziose risorse di “oro blu”. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza post-Covid ha previsto investimenti anche per le reti idriche del Paese; reti che sprecano ancora troppa acqua a causa delle cattive condizioni dell’infrastruttura e che necessitano di importanti interventi poco soste-

nibili dalle gestioni comunali, spesso “in economia”; senza considerare che in alcune aree del Paese non ci sono ancora impianti di depurazione delle acque reflue. Rispetto alla tutela della nostra salute, nella nuova Direttiva europea sull’acqua potabile è stata finalmente prevista l’analisi di nuovi parametri, tra cui perturbatori endocrini come i Pfas, noti per l’inquinamento di una falda in Veneto ricondotto all’industria chimica Miteni: 15 manager della società sono stati recentemente rinviati a giudizio per avvelenamento delle acque e non solo. In futuro, verranno inoltre monitorati sistematicamente anche il batterio della legionella e le microplastiche. Pur non essendoci ancora limiti e metodo di analisi definiti, abbiamo voluto vedere com’è la situazione attuale: nessuna traccia dei 21 Pfas ricercati in cinque città (Verona, Venezia, Firenze, Milano, Roma); anche la legionella non era presente nelle città dell’inchiesta. Diverso, invece, il discorso per le microplastiche. Questi contaminati, che potrebbero provenire da fattori esterni sia nell’acqua pubblica che in quella in bottiglia, sono stati trovati in tutti i campioni analizzati. Altroconsumo ritiene fondamentale introdurre l’analisi delle microplastiche tra quelle di routine effettuate dai laboratori e di comunicare alla popolazione i risultati. * la dott.ssa Alice Rovati, docente di diritto, è rappresentante provinciale di Altroconsumo- Trento- e membro del Consiglio di Altrocunsumo.

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Qui Levico Terme

Turismo e Sostenibilità

N

ella suggestiva cornice delle Terme di Levico si è tenuto il partecipato incontro dedicato a “Turismo e sostenibilità a Levico Terme”. Un evento promosso dal Consorzio Levico Terme in Centro che ha registrato il coinvolgimento degli operatori economici e turistici, dell’Amministrazione Comunale di Levico, della Cassa Rurale Alta Valsugana e dell’Azienda per il Turismo Valsugana Lagorai. L’iniziativa, nata per stimolare la collaborazione e la condivisione di idee e progetti per lo sviluppo di Levico Terme dopo i lunghi mesi critici causati dalla pandemia Covid-19, mira a valorizzare la rete di collaborazioni sempre attiva e continuamente in cerca di soluzioni innovative finalizzate a far percepire al turista l’esistenza di una cittadina di benessere a 360°, un posto dove il tempo rallenta, dove lago e montagna avvolgono il villeggiante in un abbraccio coinvolgente che lo distoglie dal frastuono della affannosa routine quotidiana. Levico Terme vanta, infatti, un patrimonio territoriale non indiffe-

rente che offre di per sé molteplici possibilità sia al cittadino che turista. Consapevoli di questo tesoro, tutti gli operatori si impegnano a tutelarlo, mettendoci amore e passione nel raccontare il territorio e promuovendone le qualità. L’accoglienza è un altro punto di forza di Levico Terme, pensata per soddisfare desideri ed esigenze dell’Ospite che non solo esplora il territorio ma trova una cittadina viva ed attiva in grado di offrire attività, eventi e manifestazioni di alto livello. Il Benessere dell’Ospite come obiettivo condiviso, infatti, genera un processo di ricerca e miglioramento continuo per anticipare le richieste del turista che va di pari passo con l’innovazione e la ricerca di soluzioni sempre più efficaci per lo sviluppo del nostro territorio. Tra i numerosi interventi dell’iniziativa, la Cassa Rurale Alta Valsugana, da sempre vicina alle esigenze di Soci, Clienti e Imprese presenti sul nostro territorio, ha recepito le richieste e le necessità provenienti dagli esercenti avviando il progetto “Zèrni el Nòs”. Nato per trovare una risposta agli

Levico- Le Terme (da APT Valsugana)

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impatti economici e sociali prodotti dal Covid-19, il progetto si pone l’obiettivo di valorizzare gli esercizi commerciali sostenendo gli operatori commerciali locali, attraverso un invito all’acquisto alle persone che vivono e lavorano sul nostro territorio. All’evento hanno partecipato in qualità di relatori: • Monica Moschen - Assessore al Turismo, Commercio, Industria, Artigianato, Pari Opportunità Comune di Levico Terme • Efrem Filippi - Presidente CONSORZIO LEVICO TERME IN CENTRO • Walter Arnoldo - Presidente Asat Levico (Associazione Albergatori ed Imprese Turistiche della Provincia di Trento) • Franco Pedrotti - Presidente Unat Levico (Unione Albergatori del Trentino) • Denis Pasqualin - Presidente Apt Valsugana Lagorai • Giorgio Vergot – Vicepresidente Cassa Rurale Alta Valsugana Luca Brugnara – Ufficio Marketing Cassa Rurale Alta Valsugana


Conosciamo il territorio di Chiara Paoli

La miracolosa immagine della Madonna di Onea

I

l santuario della Madonna di Onea, si trova a Borgo Valsugana e la sua costruzione risale alla prima metà del XVII secolo, più precisamente si colloca tra il 1621 ed il 1639. La struttura venne edificata grazie al contributo artistico di Lorenzo Fiorentini e dei suoi figli, per dare una casa alla miracolosa immagine della Madonna dell’Aiuto affrescata all’interno di un’edicola, risalente alla fine del Quattrocento e che si collocava tra i masi di Ronchi e Torcegno. Il luogo diviene immediatamente meta di assidui pellegrinaggi e la devozione per questa effige è molto sentita. La chiesetta è decorata al suo interno con dipinti ed affreschi, eseguiti tra il 1636 e il 1639, sempre in collaborazione con i figli, mentre l’immagine sacra trova sede ancora oggi sull’altare maggiore. Tutt’intorno “Angeli reggenti l’icona della Vergine di Onea” una cornice pittorica realizzata dai Fiorentini per valorizzare l’immagine sacra o come ben esemplifica nel saggio dedicato a questa famiglia di pittori Vittorio Fabris, una sorta di “quadro nel quadro”. Il volume in questione dal titolo “La bottega dei Fiorentini. Un secolo di

pittura nella Valsugana del ‘600”, realizzato dal Comune di Borgo Valsugana può essere utile per approfondire la conoscenza delle opere realizzate nella nostra vallata da questa famiglia di pittori che ha dedicato il suo tempo e la sua arte anche per il decoro del Santuario della Madonna di Onea. Angeli e cherubini sorreggono l’immagine oggetto di devozione e appaiono mentre offrono in dono alla Vergine uno scettro ed una corona d’oro. All’interno trovano posto anche sei pannelli pentagonali mobili dipinti ad olio, che si collocano sulla volta dell’aula; il bordo è decorato con una cornice di finto marmo rosso, mentre all’interno di ogni pannello tre angeli sorreggono delle iscrizioni dedicate a Maria. L’edificio di culto appare esternamente molto semplice e spoglio, con la sua facciata a due spioventi, ai cui lati trovano posto due pilastri in pietra. Unica altra decorazione esterna è quella del portale con trabeazione spezzata, movimenti a spirale, su cui spiccano diverse cromie e stemma ovale con croce nera su fondo rosso. Sopra l’architrave della porta compare l’iscrizione D.O.M BEATISS. V. MARIA UNIVERSITAS BURGI D.D.D. Con una breve e semplice passeggiata adatta a tutti, dalla piazza centrale di Borgo Valsugana è possibile raggiungere il piccolo santuario dedicato alla Madonna di Onea, percorrendo via Città di Prato, il Primo Boale, via per Roncegno, arrivando così in località Onea. Per tornare al punto di Borgo Valsugana, Santuario della Madonna di Onea partenza è possibile fare il

Madonna di Onea Madonna di Onea, Angeli

giro ad anello, passando per via Lunar e quindi nuovamente su via Città di Prato. Lungo il percorso non sono presenti fontanelle, quindi soprattutto nelle calde giornate estive è consigliabile portarsi un piccolo zainetto con una bottiglietta d’acqua. Per informazioni sul santuario è possibile contattare la Biblioteca Comunale di Borgo Valsugana al numero 0461 754052

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C

on il termine parafarmacia si intende un’attività commerciale, presso la quale è possibile acquistare farmaci, parafarmaci e prodotti farmaceutici, da banco o di automedicazione, comunemente chiamati OTC e SOP, per i quali non esiste l’obbligo di presentare apposita prescrizione medica. E quindi la differenza tra una farmacia e una parafarmacia consiste nel fatto che mentre nella prima si possono vendere farmaci soggetti a prescrizione medica e tutti i prodotti da banco (anche senza ricetta medica), nella parafarmacia l’attività di vendita può riguardare farmaci e/o medicinali presenti nell’elenco del Ministero della Salute e tutto ciò che comprende prodotti per la cura, bellezza e benessere del corpo, che non necessitano di prescrizione medica.

Presso il Centro Commerciale “Le Valli” di Borgo Valsugana, opera dal 2016, “Il Farmacista del Centro”, che è l’unica

Lunedì: 15.00 - 19.30 Martedì: 9.00 - 12.30 / 15.00 - 19.30 Mercoledì: 9.00 - 12.30 / 15.00 - 19.30 Giovedì: 9.00 - 12.30 / 15.00 - 19.30 Venerdì: 9.00 - 12.30 / 15.00 - 19.30 Sabato: 9.00 - 19.30 (continuato) Domenica: 9.00 - 12.30 / 15.00 - 19.30

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parafarmacia in Bassa Valsugana per la vendita di medicinali e prodotti da banco senza l’obbligo di ricetta. Una particolare struttura, inaugurata da CaKu Erida, che del “Il Farmacista del Centro, è la competente titolare, che in pochi anni ha saputo dare una particolare impronta al “suo” negozio riuscendo, sempre di più, a soddisfare chi si rivolge a lei con specifiche richieste ed esigenze, anche particolari. Il tutto grazie alla presenza, al suo interno, di collaboratori farmacisti regolarmente iscritti all’Ordine Nazionale. Un comodo punto di riferimento e una organica funzionale esposizione per l’acquisto, oltre che di prodotti farmaceutici, anche di moltissime specialità quali: integratori alimentari, prodotti erboristici e fitoterapici, farmaci omeopatici, farmaci veterinari (senza obbligo di prescrizione), prodotti cosmetici, con una particolare linea adatta al trattamento di problematiche cutanee e anche anallergici. E ancora, oli essenziali, articoli sanitari, di alimentazione, prodotti per l’infanzia, per il bambino e per l’igiene, (compresa la foratura dei lobi), e un completo e vastissimo assortimento di creme solari, protettive, abbronzanti e dopo sole. (P.R.)


In collaborazione con Il Farmacista del Centro- Borgo Valsugana

LA DERMOCOSMESI P er dermocosmesi, secondo la scienza medica-dermatologica, s’intende quella particolare materia che nello specifico tratta e trova appropriate soluzioni, prodotti e preparati cosmetici arricchiti di principi attivi destinati, appunto, alla cura e salute del viso e del corpo donando e mantenendo un aspetto sano e vitale alla pelle, potenziandone anche la bellezza. Ed è anche documentato che la dermocosmesi, proteggendo e mantenendo la pelle e tutte le zone trattate, può favorire, indiscutibilmente, la prevenzione di possibili patologie. I “dermocosmetici” possiedono alcune particolari proprietà rispetto ai “comuni” cosmetici. Per esempio una crema idratante per pelli atopiche o per persone che soffrono di allergie da contatto è una crema i cui ingredienti sono stati studiati e formulati per rispondere a queste particolari esigenze. A tal proposito è bene ricordare quanto precisano i regolamenti dell’Unione Europea che definiscono i prodotti cosmetici come “qualsiasi sostanza o miscela destinata a essere applicata sia sulle superficie esterna del corpo umano (epidermide, sistema pilifero, capelli, unghie, labbra, organi genitali esterni) sia su quella interna (denti e mucose della bocca) allo scopo esclusivamente o prevalentemente di mantenerla in buono stato e di protezione, pulizia e profumazione, eliminando e/o correggendo, nel contempo, gli odori corporei. E tra gli importanti principi riportati dalla Commissione europea, vale la pena sottolineare quello per il quale si riconosce al prodotto cosmetico un’interazione con le funzioni fisiolo-

giche del corpo umano, ma che non ha effetti significativi sul metabolismo e non modifica in realtà le condizioni del suo funzionamento al punto da essere classificato come farmaco. Molti parlano anche di cosmetica, ma la differenza sostanziale con la dermocosmesi sta nel fatto che la

prima normalmente tenta di coprire o diminuire le imperfezioni e i problemi della pelle, la seconda, invece servendosi della Medicina Estetica e della Dermatologia, cerca di soddisfare le necessità mediche della pelle e di applicare prodotti e trattamenti che migliorino la pelle dall’interno. I prodotti per la dermocosmesi non solo hanno un livello formulativo più complesso e concentrazioni più elevate di principi attivi e sono sempre sviluppati in laboratori certificati da ricercatori esperti nel settore chimico farmacologico, ma sono anche dotati di brevetti in collaborazione con le Università. La dermocosmesi non può essere, però, improvvisata oppure praticata con il famoso “fai da te”. E’ infatti necessario rivolgersi agli esperti (dermatologi, medici estetici, farmacisti) tutti dotati dell’esperienza e della tecnologia necessaria per assicurare al paziente una diagnosi esaustiva dello stato della propria pelle e i trattamenti più idonei, mirati e adatti alle personali esigenze.

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Medicina & Salute

di Erica Zanghellini *

Gli OPPOSTI si ATTRAGGONO? Spesso e volentieri siamo cresciuti con la frase “gli opposti si attraggono”, basta pensare anche ai film; in quante trame si incontrano due persone di origine, storie, vissuti ecc ecc diversi, ma che poi alla fine sembrano trovare l’amore perfetto tra di loro? Ma, è proprio così? E’ vero che le differenze uniscono?

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e guardiamo la letteratura i dati in realtà son ben altri. Come prima cosa dobbiamo differenziare se si tratta di amore duraturo oppure di attrazione. Quest’ultima infatti, sembrerebbe beneficiare di più delle differenze. Il diverso sembra far in modo che si crei quel circolo virtuoso, tra curiosità e il sentirsi complementari che crea sicuramente suspense nel conoscersi. Se invece, si parla di amore duraturo, le cose si complicano. Attenzione

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non sto dicendo che due persone per stare assieme devono essere uguali su tutto, anche perché non sarebbe possibile, non c’è nessuno che è uguale ad un altro, ma forse bisogna passare a un piano diverso per capire che cosa può far da legante a una coppia. Le ricerche in campo psicologico, infatti, indicano che sembrerebbero le somiglianze invece a far resistere l’amore. Ma di che tipo di somiglianze stiamo parlando? Il segreto sembrerebbe essere la

condivisione di valori, chi ha i valori simili ai nostri lo sentiremmo più vicino a noi. Proviamo ad esplicare questo concetto, due persone possono ad esempio fare beneficenza, ma qual è la motivazione per cui la fanno? Perché credono nel valore di aiutare l’altro o perché vogliamo far arrivare agli altri una certa immagine di loro? Capite bene, che le cose sono estremamente differenti, ed è qui che entra in gioco lo star bene oppure no con una persona. Se secondo me far


Medicina & Salute beneficenza è uno modo per aiutare l’altro, e credo in questo valore, non condividerò la motivazione di farlo per l’immagine pubblica e alla lunga anche se i due ipotetici partner fanno la stessa cosa potranno risentirne. Logico che una coppia non si basa su un singolo valore, ma se la questione si allarga allora le cose sono potenzialmente dannose. Questo invece, di contro può voler dire che una coppia può avere dei valori condivisi e anche se poi a livello comportamentale sono diversi, ad esempio uno dei partner è sportivo, l’altro no, riescono a mantenere nel tempo la loro storia. Ecco perché alcune coppie che magari ci sembrano opposti hanno storie durature, perché sono diverse a livello manifesto, ma poi il legante tra loro lo fa la condivisione dei valori, che ne sò ad esempio il valore della famiglia, dell’onestà o ancora dell’aiutarsi. Diciamo che una coppia che ha in comune tre/quattro valori è già a un buon punto di partenza. Logico qualsiasi coppia ha delle aree di insoddisfazione e alcuni temi per cui continuano a litigare ma, se poi sotto il collante c’è, riusciranno a superare le normali crisi che una relazione attraversa. Ricordiamoci che in realtà naturalmente noi siamo propensi a scegliere qualcosa che conosciamo e questo entra in gioco anche a livello relazionale. Altra fonte di attrazione importantissima è la comunicazione. Alcune ricerche, riportano proprio come il modo di comunicare e interagire con una persona siano uno degli stimoli attrattivi

fondamentali nelle relazioni d’amore. Se ci pensiamo infatti, la seduzione non è un’arte comunicativa? Direi di si, e inoltre posso aggiungere che chi più riesce a interagire positivamente maggiore sarà il suo grado di attrattività. Logicamente non sono le uniche caratteristiche che entrano in gioco, anche l’aspetto estetico, la sensibilità ecc tanto per citare alcuni fanno la loro parte. Ed infine teniamo conto che non è sempre così facile vedere le similitudini tra i due partner della coppia, anche perché in una relazione spesso si assiste a dei fenomeni di complementazione per esempio due persone che stanno assieme e che tutte e due sono estremamente estroverse, per forza dovranno trovare un compromesso per raggiungere un equilibrio, per cui magari a prima vista una persona sembra più riservata e meno incline ad aprirsi, ma magari si è solo adattato alla situazione. L’ultima cosa a cui vorrei dar spazio è una specifica, per stare in coppia dobbiamo aver in mente chi siamo,

i nostri valori e i nostri obiettivi. Ci sono infatti, alcune persone che diciamo sono molto malleabili. Potremmo dire per rendere l’idea, che assumono un po’ le caratteristiche dell’altro. In questo caso non siamo di fronte a due persone simili, ma a una difficoltà di individuare o manifestare quello che si vuole, quello che piace, i propri obiettivi. In questi casi il mio consiglio e di fermarsi, di magari riflettere e se fosse necessario intraprendere un percorso di crescita personale per poter scegliere liberi da ogni condizionamento. D’altro canto solo se stiamo bene con noi stessi saremmo in grado di selezionare le persone che vogliamo intorno a noi perché ci piacciono e no perché abbiamo bisogno di loro per non rimanere soli. Coppia vuol dire essere in due, e ognuno deve portare le sue peculiarità, i suoi desideri e i suoi obiettivi. Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel- 3884828675

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Girovagando di Giampaolo Rizzonelli

Tre mesi in Antartide e ritorno in “pandemia” Nostra Intervista a Riccardo Benetti

I

n questo numero la nostra rubrica meteo andrà oltre i confini locali e oltre le consuete statistiche, parleremo di uno dei posti più inospitali, freddi e al tempo stesso affascinanti del nostro Pianeta, ovvero l’Antartide. Intervistiamo Riccardo Benetti, con molte conoscenze alle spalle in tema di meteorologia, climatologia, studio di microclimi, ma soprattutto con un’esperienza di tre mesi in una base in Antartide, la Mario Zucchelli, una delle tante basi che svolgono ricerca scientifica come ben evidenziate in fig. 1.

tra l’Appennino Emiliano e il Passo del Piccolo San Bernardo ad una quota di 2300m e infine un’ultima visita medica a Roma poco prima della partenza. L’addestramento consisteva in prove di primo soccorso e scenari incidentali, arrampicata, galleggiamento in acqua con tute stagne, spegnimento e attraversamento fuochi, orientamento al buio, allestimento di un campo remoto, e la “magnifica” cordata sul ghiacciaio del Monte Bianco. E il viaggio andato il viaggio dall’Italia all’Antartide? Il viaggio è stato indimenticabile, è durato quasi tre giorni complessivi con circa 32 ore di aereo. Dall’Italia ho volato a Dubai e da qui a Auckland, in Nuova Zelanda, passando

da Bali in Indonesia, poi un volo interno per l’Isola del Sud (NZ). Dopo una notte di riposo il volo militare di 6h gestito dal governo degli Stati Uniti ci ha portato alla base Americana Antartica ‘’McMurdo’’ e infine un piccolo aereo da 12 posti ci ha portato alla nostra cara base italiana ‘Mario Zucchelli Station. (Fig. 2). Cosa ti ha colpito di più appena arrivato in Antartide? Troppo scontato rispondere il freddo, la prima cosa che mi ha colpito è stato quando hanno aperto il portellone dell’aereo (l’aeromobile era senza finestrini), il bianco era ovunque, ed era accecante. Tutto quello che mi circondava era bianco, un deserto, e in lontananza le montagne che sbucavano dalle nuvole, sembrava così irreale.

Fig. 1 - Antartide, le basi sul continente

Riccardo raccontaci dei preparativi per poter accedere a questo programma, che test hai dovuto eseguire e che programma di preparazione hai effettuato? E’ stato un inter molto lungo, durato circa 10 mesi prima di poter partire per il continente bianco. Prima un colloquio telefonico, poi uno di persona a Roma, le visite mediche al centro di medicina aerospaziale di Milano, poi due settimane di addestramento suddivise

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Fig. 2 - Riccardo Benetti in Antartide


Girovagando Fig. 4 - Pinguini in Antartide

Ci parli delle tue mansioni alla base? In quanto il gruppo della spedizione era formato solo da 14 persone, le mansioni erano molteplici, mi occupavo di piccola manutenzione, igiene, gestivo un piccolo magazzino interno, dei container esterni e infine mi dedicavo attentamente alle previsioni meteorologiche. Riccardo: il tempo meteorologico come era alla base? Raccontaci di qualche episodio “meteo” che ti ha particolarmente colpito Il tempo meteorologico era perlopiù stabile, ma con l’arrivo dell’autunno (le stagioni sono inverse nell’emisfero australe rispetto alle nostre) non sono mancate varie irruzioni fredde e violente. La prima metà di febbraio (fine estate) le temperature si aggiravano tra i -5/-8 e gli 0 gradi, già verso la seconda metà del mese le prime irruzioni fredde dal Plateau ci hanno portato a -15, il mese di marzo è stato stabile tra i -15 e i -20 con un’altra violenta incursione che ha portato la temperatura a scendere fino a -30. Ricordo le notti dove il vento raggiungeva anche i 180kmh, la base tremava e dormire non era così facile ma è stato fantastico (Fig. 3).

Sicuramente avrai visto i pinguini. E c’erano altri animali? I curiosi pinguini Adelia erano i nostri vicini di stanza, erano a pochi metri dalle nostre camere sparsi qua e là, non grandi come i pinguini imperatore ma molto simpatici, le foche, molto vicine anche loro, stavano tutto il giorno a prendere il sole e ogni tanto si concedevano un bagno, infine vi erano gli Skua, fastidiosissimi predatori simili ai gabbiani ma molto più grandi, sono stato attaccato più volte da loro, mi sono dovuto fingere un uccello anche io per difendermi! (Fig. 4)

Fig. 3 - Giornata con bufera di vento

Riccardo: è vero che l’acqua del mare quando si ghiaccia non contiene sale? L’acqua dell’Oceano Meridionale per via della sua salinità inizia a ghiacciare ad una temperatura di circa -2°C, il processo di congelamento porta ad una formazione di un reticolo orizzontale di ghiaccio che espelle man mano tutto il sale rilasciandolo in acqua. Raccontaci di quando eravate nella base ed avete visto arrivare una persona con il giubbotto di salvataggio Durante una cena un collega è entrato in sala urlando di aver visto qualcuno aggirarsi tra i container, lì per lì nessuno gli ha creduto, anzi, risate a volontà, ma invece effettivamente era il comandante di una piccola nave da crociera i che stava circumnavigando l’Antartide, voleva far vedere ai suoi passeggeri la nostra base, e così è stato, a man mano con le scialuppe i turisti sono scesi e hanno fatto un ‘’giro turistico esterno’’. Voi eravate gli unici al Mondo in quel periodo ad essere in una zona “Covid free”, come è stato il viaggio di rientro in piena pandemia? Essere nel posto più remoto al mondo dove nessuno poteva raggiungerci, e le nostre famiglie a casa in quella situazione ci ha fatto stare molto in pensiero, il rientro è stato a bordo di una rompighiaccio coreana (unica possibile via

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Girovagando di ritorno), 19 giorni di navigazione nel mare più tempestoso al mondo, 10 giorni di attesa di un volo in Nuova Zelanda, altre 25 ore di aereo per Roma e altri 14 giorni di quarantena in casa ad Asiago. Direi turbolento! Quale è il più bel ricordo che porti a casa di questa esperienza? Non riesco a concentrare tale bellezza e unicità in una sola cosa, un grande bagaglio di esperienza, amicizie, momenti, ricordi che non dimenticherò mai. ‘’Più della metà del periodo trascorso nel sesto continente l’ho vissuto con il sole di mezzanotte, non scendeva mai ed anche a mezzanotte era bello alto sull’orizzonte, avevo già sperimentato questa cosa in Lapponia Norvegese e devo dire che non mi ha dato noie, avendo un ritmo lavorativo il corpo e la mente si sono adattati. Con il passare delle settimane il sole

scendeva sempre più fino a tramontare, i primi tramonti che nessuno prima aveva mai visto (normalmente il personale abbandona la base ad inizio febbraio). Non dimenticherò mai l’arrivo della notte, ho visto le prime luci del cielo, Giove, Saturno e altri corpi celesti, stavo ore e ore con il mio binocolo astronomico a guardare la Luna, che mi sembrava alquanto strana, e in effetti così era, essendo io all’estremità dell’emisfero australe la vedevo al contrario! Nessuno se n’era accorto, ma io che la Luna la conoscevo bene si, il grande cratere Tyco che tutti riusciamo a distinguere era all’opposto di dove doveva essere, incredibile ho pensato.’’ Per chiudere, quanto tempo sei rimasto alla base in Antartide? Complessivamente più di 80 giorni, da fine gennaio a metà aprile 2020.

Ho avuto il piacere e l’onore di frequentare spesso Riccardo negli ultimi mesi, una delle cose che ho imparato da lui, è che l’Antartide, che per tutti noi è un continente ricoperto di ghiaccio (vedi fig. 1) in realtà è un insieme di territori, isole e penisole separati dal mare e la figura n. 5 ne è un chiaro esempio e scommetto che pochi di noi hanno mai visto.

Fig. 5 - L'Antartide il continente visto senza ghiacci

"Remo Wolf. Cicli xilografici"

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’ la mostra inaugurale del nuovo Spazio civico Albano Tomaselli, gestito dal Circolo Croxarie e sito al piano terra della omonima biblioteca comunale di Castel Ivano. In esposizione circa sessanta opere dell'incisore trentino selezionate dal Priamo Pedrazzoli e Giovanni Daprà. La mostra, promossa dal Comune di Castel Ivano in collaborazione con la Comunità Valsugana e Tesino, Croxarie, Ecomuseo della Valsugana, Litodelta e Terre del Lagorai, è stata inaugurata nei giorni scorsi ed è visitabile gratuitamente fino al 29 agosto dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 18 (chiuso il lunedì). Come scrive nella presentazione del catalogo l’architetto Roberto Festi “la statura europea dell’opera di Remo Wolf è incontestabile. Non è un caso che egli sia indicato come un riformatore della xilografia, artista che si è impegnato, assieme ad altri pochi e prestigiosi artefici, per riportare la tecnica incisoria ai fasti del passato. Remo Wolf è anche indiscutibilmente uno dei protagonisti dell’arte trentina del Novecento. Le sue opere si relazionano con una carriera artistica formidabilmente longeva che si articola per oltre settant’anni. Nel 1952 con Giovanni Barbisan, Lino Bianchi Barriviera, Mario Dinon, Giovanni Giuliani, Tranquillo Marangoni, Neri Pozza, Virgilio Tramontin e Tono Zancanaro è tra i fondatori dell’Associazione Incisori Veneti. La mostra di Castel Ivano, accompagnata da un nuovo e analitico volume sull’artista trentino analizza non a caso un aspetto fondamentale dell’arte di Wolf, che è quello legato ai “cicli”. Nel dopoguerra (1950, 1954 e 1956) la Biennale veneziana ospita Wolf che in quelle occasioni presenta sempre delle xilografie, segnale indiscutibile del ruolo primario che l’attività incisoria è venuta ad assumere nel suo percorso artistico. Cicli fondamentali vi erano stati anche prima della guerra: quelli della Danza della Morte (1933) e dei Sogni (1939) con i quali l’artista inizia a sperimentare la narrazione a tema. E altrettanto determinante nell’opera wolfiana è il ciclo di sette fogli della “Piccola pazzia” (1946), permeato dal dramma della prigionia, che poi riprende e sviluppa tra il 1955 e il 1965 nel più articolato Incubi di ieri e oggi”. L’ingresso è libero e il catalogo è disponibile in mostra.

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Qui Caldonazzo di Mario Pacher

LA VALCARRETTA

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na nuova simpatica storia ci ha raccontato, nella sua piena lucidità mentale, la fedele lettrice della nostra Rivista, la maestra Agnese Agostini di Caldonazzo, 96 anni compiuti lo scorso 3 maggio, autrice in passato d’interessanti pubblicazioni storiche. Questa volta ci racconta: “Era il mese di aprile del 1955 quando Arminio Menegoni venne assunto come operaio addetto alla manutenzione ordinaria della “Valcarretta”, una strada che collegava la piana di Caldonazzo con l’altipiano di Lavarone. In quel tempo la Valcarretta era una strada idonea solo ad un traffico molto limitato: qualche carro con trazione animale a servizio di negozi, alberghi, imprese varie dell’altopiano. Molti “carradori” storici erano scomparsi; resisteva ancora con la sua carretta con su un po’ di roba il “Toni Bort”. Trionfava il camioncino del Franco Brida; qualche vettura “Topolino” e le “moto” la facevano da padrone come pure le biciclette alle quali qualcuno fissava come freno nel discendere un fascio di frasche. L’estate era la stagione d’oro: comitive di allegri turisti la percorrevano conquistati dal fascino della variabilità del percorso e dalla particolare bellezza dei panorami. A metà del percorso la strada s’allargava in un bel piazzale protetto a sinistra da una struttura che portava i segni di una recente ristrutturazione; a destra i ruderi di un’altra costruzione che poteva essere stata una stalla e luogo di disbrigo. E proprio lì erano evidenti le tracce dell’esistenza non tanto tempo prima di una “pesa” per carri, merci ed altro.

Quelle tracce erano la conferma di quanto raccontavano i nostri vecchi e/o scrivevano certi libri di storia che lì fino al 1914 esisteva un posto di blocco dove si pagava una certa cifra per passare. In siffatto contesto nella primavera 1955 vi arrivò il Menegoni con in tasca tutte le autorizzazioni e con tanta voglia di valorizzare ogni angolo: si diede a pulire, aggiustare, acquistare qualche mobile. Tanto lavoro per sistemare le piante ad alto fusto che abbellivano il piazzale, riparare i tavoli e le sedie esterne, vangare e seminare il piccolo orto a ridosso della casa padronale, rifare la siepe e poi c’era la cappella di Sant’Antonio con la statua del Santo a grandezza quasi d’uomo chiusa con una lastra di vetro nella sua nicchia. Approssimandosi il 13 giugno festa del Santo e per l’occasione si voleva festeggiarlo con la celebrazione di una S.Messa che poteva significare devozione e buon segno per l’inizio della nuova attività. C’era tutto; man-

cava solo un piccolo altare che costruì il Menegoni con tavole reperite sul posto. Il giorno stabilito arrivò padre Ruggero Paldaof, carissimo amico dei Menegoni, che celebrò davanti a tante persone venute dal fondovalle ma anche dall’altopiano di Lavarone. Ricordo, dice ancora la maestra, molti partecipanti arrampicatesi sull’erba a ridosso della cappella seminascosti dai ciuffi dei tanti rododendri in fiore. Tra i presenti non poteva mancare don Alpino Slomp che notò la mancanza del Gesù Bambino sul libro del Santo; non trascorse molto tempo che don Alpino arrivò con una statuina acquistata agli Artigianelli di Trento che andava bene. Dicevano che quella di prima era stata portata via dai soldati della Grande Guerra. La consuetudine di festeggiare, a giugno, Sant’Antonio proseguì, finchè fu possibile anno dopo anno fino al 1989, alla Stanga, al Giaron di Valcarretta ad opera del Menegoni e degli “Amici del Monte Cimone”.

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PER LA SICUREZZA DOMESTICA in collaborazione con L.P.GAS-LEVICO TERME

Utilizzo bombole GAS GPL

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’utilizzo di GPL in bombole ad uso domestico, anche nelle zone già raggiunte dalla metanizzazione, è ancora molto diffuso in ambienti condominiali quale fornitura di gas da cucina per la cottura dei cibi, per il riscaldamento e per produrre acqua sanitaria. L’errato utilizzo delle bombole e/o la cattiva manutenzione degli impianti alimentati dalle stesse, sono una delle prime cause d’incidenti in casa ed è quindi opportuno, per ridurre al minimo i rischi, prestare molta attenzione e seguire le norme di riferimento. Le bombole di GPL non devono essere installate a livello più basso del suolo ovvero in vani sotto il livello stradale quali garage, seminterrati e cantine. Il GPL è più pesante dell’aria e tende pertanto ad andare verso il basso. In caso di fughe si accumula, formando una piscina invisibile di gas infiammante ed esplosivo. Le bombole devono essere sempre protette dal sole e lontane da fonti di calore e vanno posizionate possibilmente in locali aerati per favorire il ricambio d’aria. E’ sicura l’installazione all’aperto e anche quella all’interno di un locale tranne gli spazi dedicati ai servizi igienici, i box, le autorimesse e tutti gli

Luca Pacher - L.P.GAS

ambienti assimilabili. Importante è anche sapere che la bombola di gas GPL deve essere sempre posizionata in verticale con rubinetto/valvola in alto e mai capovolta o inclinata o comunque in equilibrio instabile. Riconsegnare sempre la bombola vuota al rivenditore da cui si acquista la bombola nuova e non abbandonare mai la bombola vuota tra i rifiuti. Infine, è necessari sapere che al minimo sospetto di perdita, fuga di gas o odore di gas in casa, bisogna evitare di accendere la luce o di provocare scintille. Si devono subito aprire le finestre e le porte per areare

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i locali. Di poi chiudere il rubinetto della bombola evitando di chiedere aiuto a persone non esperte, perché poche semplici distrazioni possono causare l’esplosione in caso di presenza di risacche di gas. E’ sempre meglio chiamare i Vigili del Fuoco. Buone e fondamentale regola è quella di evitare il famoso “fai da te”. Per ogni esigenza, consiglio o altra necessità, rivolgersi sempre agli esperti che sono gli unici in grado di dare i giusti e appropriati consigli. (A.M.)


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Uomo e ambiente

da Redazione

Abbiamo dieci anni per salvare il mondo” L’appello del noto climatologo italiano Luca Mercalli durante la serata promossa a Vigolo Vattaro da Solidarietà Vigolana.

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e modificazioni climatiche ed il progressivo innalzamento delle temperature riconsegnano alla montagna e alle aree interne una nuova centralità per quanto riguarda la qualità della vita ed il rilancio di un turismo più sostenibile ed in sintonia con la natura. Per questi motivi la montagna intermedia, come nel caso dell’Altopiano della Vigolana, va salvaguardata dalla speculazione e dal cemento per renderla sempre più competitiva ed attrattiva nei confronti di una società sempre più attenta alla qualità dell’ambiente e del paesaggio. Sono alcune considerazioni trattate nel corso della serata con il climatologo Luca Mercalli promossa da Solidarietà Vigolana nell’ambito degli incontri estivi di “Sostenibilità in cammino”.

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Mercalli, giornalista scientifico e presidente della Società Meteorologica Italiana, ha tracciato un quadro della situazione globale riferita ai mutamenti del clima intesi come effetti di un modello di consumo energetico insostenibile. “È a partire dagli anni sessanta del secolo scorso – ha affermato il ricercatore scientifico – che si sono innescati i processi irreversibili causati dall’eccesso di consumi di idrocarburi e da livelli di concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera che non si erano mai verificati negli ultimi tre milioni di anni. Abbiamo circa 10 anni per prendere in mano la situazione e cercare di limitare al massimo i danni di processi altrimenti irreversibili e catastrofici al punto da minare la sopravvivenza stessa delle future generazioni”. Di

fronte a questo quadro è necessaria una mobilitazione delle coscienze e dei comportamenti che sia in grado di coinvolgere sia i decisori politici sia i singoli cittadini in pratiche virtuose

Luca Mercalli (da Wikipedia)


Uomo e ambiente diritti di tutti gli esseri viventi del pianeta. Le considerazioni del noto climatologo e conduttore di fortunati format televisivi sono state accolte dal pubblico presente e dai numerosi cittadini che hanno seguito la conferenza nella diretta Facebook come elementi di riflessione che verranno ulteriormente ripresi ed approfonditi nel corso delle prossime serate ed iniziative previste nel programma di “Sostenibilità in cammino”. Il progetto “Sostenibilità in Cammino”, finanziato all’interno del Bando 2021 del Piano Giovani Zona Altopiano Vigolana, nasce dalla certezza che questo periodo “sospeso” che stiamo attraversando vada vissuto come un’opportunità di cambiamento, un momento di transizione che ci debba gradualmente portare ad una nuova visione del territorio, in un’ottica di

rispetto e valorizzazione dello stesso. Per fare ciò, Solidarietà Vigolana assieme all’associazione “L’Ortazzo” e all’Ecosportello di “Fa’ La Cosa Giusta!” Trento ha organizzato un ventaglio di attività e incontri estivi all’aperto con lo scopo di condividere e far conoscere al territorio alcune buone pratiche e realtà provinciali che operano e promuovono la tematica della sostenibilità ambientale. Prossimo appuntamento: Sabato 17 luglio ore 10.30 presso Loc. Grezzi (fraz. Vigolo Vattaro) “Che cosa significa fare turismo sostenibile? Un motore di sviluppo per le comunità periferiche” Interverranno: Mariangela Franch (Università degli Studi di Trento) Francesco Gabbi (Community Building Solutions / www.ospitar.it) Tutte le info su www.solidarietavigolana.it – solidarietavigolana.it – tel. 353429566

Come eravamo

e scelte di radicale cambiamento. Si tratta pertanto di puntare con convinzione sulle energie rinnovabili così come nel settore della mobilità alternativa (si all’auto elettrica, no all’aereo). Ma una battaglia fondamentale è soprattutto quella contro lo spreco e per il risparmio energetico con la riqualificazione architettonica ed energetica dei centri storici unitamente alla lotta alla cementificazione e al consumo di suolo, il recupero delle aree dismesse e l’approntamento di un programma di riconversione verso l’agricoltura biologica e modelli di turismo green e dell’esperienza. Rispondendo alla numerose domande del pubblico, Mercalli ha ricostruito una strategia che dovrà vedere unità la società civile con i decisori politici per la ridefinizione di un nuovo modello di sviluppo che ponga al centro le future generazioni e il rispetto dei

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In collaborazione con Chiara Giaccio - Koru Bar - Borgo Valsugana

IL MOJITO

I

l mojito, nato a Cuba, è uno dei cocktail estivi più noti in assoluto ed è riconosciuto dall’IBA (International Bartenders Association). Questo cocktail è famoso non solo per essere molto dissetante e fresco, ma anche e soprattutto perché è indicato per giovani e meno giovani. Viene preparato con succo di lime, foglie di menta fresca, soda e rum bianco, acqua minerale frizzante o soda o seltz, il tutto addolcito con zucchero di canna. Ovviamente sono o possono essere previste variazioni sulla preparazione. La ricetta originale, secondo l’IBA, prevede l’uso dell’angostura per sottolineare ed evidenziare il sapore del lime. Il mojito è una bevanda leggera, dal profumo gradevole e molto rinfrescante e quindi ottimo da bere durante l’estate, durante un aperitivo all’aperto, come benvenuto per i vostri ospiti, oppure da gustare prima di iniziare la cena. Il mojito europeo, anche detto “mojito pestato o sbagliato” assomiglia molto alla caipirissima. La differenza principale tra il mojito cubano e quello europeo è data dall’uso del lime: nel mojito cubano si usa solo il succo, invece in quello europeo il lime viene tagliato a cubetti e poi pestato. Inoltre, nel mojito cubano vengono usati cubetti di ghiaccio interi e non il ghiaccio tritato. Per la cronica alcune ricette originali cubale prevedono, al posto della menta fresca piperita o della mentuccia, l’uso della “hierba buena, un’altra specie di menta verde più simile alla menta marocchina.

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In collaborazione con Pizzeria Vintage - Borgo Valsugana

NON SOLO PIZZA

A

ndiamo a farci una pizza? Tanti anni fa questo invito si riferiva espressamente al desiderio di gustare con amici o con la famiglia una specialità nata dalla gastronomia partenoea e che poi si estese in tutto il mondo. La pizza, appunto. Allora, in quegli anni, le pizzerie presentavano la possibilità di una vastissima scelta di pizze. e sebbene cotte nell’uso dei diversi componenti ed ingredienti, sempre pizze erano. Nel tempo e con il tempo le pizzerie si sono riqualificate e potenziate fino a diventare vere strutture in grado di soddisfare ogni qualsiasi esigenza. Oggi, gastronomicamente, chiamarle pizzerie non sarebbe esatto perché di

“Pizzeria” hanno solo l’insegna. Fateci caso, maquesti locali, e sempre di più, con le loro molteplici proposte sono in grado di competere con ristoranti, strutture “mangerecce” , paninoteche e compagnia varia. E il tradizionale pizzaiolo è stato sostituito da un vero cuoco, certamente esperto in pizze ma in grado di preparare con perfetta competenza e professionali tutto ciò che fa parte della “buona” cucina italiana. Entrando infatti in una pizzeria e aprendo il menu e leggendo le varie specialità proposte, ci si accorge che nulla è lasciato al caso e che la tradizionale “pizzeria” è stata egregiamente integrata con un qualcosa pensato

e preparato per appagare le richieste dei clienti, siano essi giovano meno giovani o anziani. Antipasti, appetitosi stuzzichini, primi e secondi piatti, contorni vari e dolci, diventano parte integrante della ristorazione tipica della cucina tradizionale e anche di quella che negli anni si è sviluppata per soddisfare le richieste dei giovani.

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Che tempo che fa di Giampaolo Rizzonelli

MAGGIO 2021 Un mese freddo, probabilmente l’ultimo della “serie”

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el numero precedente abbiamo raccontato di un mese di aprile piuttosto freddo in Trentino, Italia e anche Europa e così anche il mese di maggio si è chiuso con valori sotto la media e in questo caso anche con precipitazioni sopra la media.

TRENTINO Secondo l’analisi meteorologica mensile pubblicata da Meteotrentino, il maggio 2021 in Trentino è stato caratterizzato da frequenti precipitazioni e temperature inferiori alla media. Le precipitazioni più abbondanti si sono registrate il giorno 11 quando una perturbazione atlantica ha interessato le Alpi. A Trento Laste la

temperatura media mensile di maggio è stata di 15.6 °C e risulta 1,5 °C inferiore alla media climatica che è pari a 17,1 °C, la temperatura massima del mese, pari a 26,0 °C è stata toccata il giorno 10 e risulta ben inferiore alla media delle massime che è di 29,0 °C e al massimo assoluto pari a 35,5 °C misurato il 15 maggio 1945. Anche a Levico Terme la temperatura media mensile si è fermata a 14,5°C a fronte di una media climatica di 15,3°C, nel corso del mese sono caduti 195 mm di pioggia in ben 14 giorni piovosi (giorno piovoso= giorno in cui cade almeno 1 mm di pioggia, 1 mm di pioggia per metro quadrato equivale ad 1 litro), quando le precipitazioni medie per il mese sono pari a 113

Fig. 1 - Anomalie di temperatura Italia Maggio 2021 rispetto a media 1981/2010

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mm e 10 giorni piovosi. ITALIA Vediamo ora come è stata la situazione in Italia, secondo il CNR/ISAC il mese di maggio 2021 ha registrato un’anomalia negativa di temperatura di -0,45°C rispetto alla media 1981/2010, come ben evidenziato nell’immagine di fig. 1 Dal 1800 ad oggi il mese di maggio 2021 in Italia è stato il 154° più freddo, maggio più freddo in assoluto fu quello del 1836 con un’anomalia rispetto alla media 1981/2010 di -4,75°C, più caldo quello del 2003 con un’anomalia di +2,15°C. Dall’immagine di fig. 2 peraltro risulta ben evidente che tra le zone più fredde d’Italia, rispetto alle medie, spicca il Trentino Alto Adige. EUROPA Per l’Europa (fonte programma Copernicus) il maggio 2021 è stato, più fresco della media, con un’anomalia negativa di 0,46 gradi rispetto ai valori normali degli ultimi 30 anni. La maggior parte dell’Europa ha registrato temperature inferiori alla media con il centro dell’anomalia della temperatura situato sopra la Germania che ha registrato il maggio più freddo dal 2010 e le temperature massime nel Regno Unito sono tra le più basse mai registrate. Tuttavia, si sono registrate temperature superiori alla media nell’est del continente e nel sud della Spagna, in Grecia, in Turchia e nella Norvegia occidentale.


Che tempo che fa Ad esempio, in Russia, le temperature hanno superato i 30°C a nord del Circolo Polare Artico.

dio Oriente e nella Siberia settentrionale. Le anomalie dall’Africa al Medio Oriente sono quelle responsabili della circolazione di masse d’aria calda che hanno provocato temperature superiori alla media verso l’est dell’Europa. Le anomalie di temperatura per il mese di maggio 2021 per l’Europa e il Pianeta sono riassunte nella figura n. 2

Fig. 2 - Anomalie di temperatura Pianeta Terra ed Europa Maggio 2021 rispetto a media 1991/2020

Come eravamo

PIANETA TERRA Analizzando i dati di temperatura per l’intero Pianeta, sempre secondo il report del programma Copernicus, a maggio 2021 la temperatura media globale è stata di 0,26 °C superiore alla media 1991-2020 di maggio. La temperatura media globale di maggio 2021 è stata superiore alla media del 1991-2020, ma meno estrema rispetto alla maggior parte dei mesi degli ultimi sei anni. Maggio 2021 è stato il più freddo dal 2018 e comunque il più caldo di qualsiasi altro maggio nel periodo 1979-2015. Ci sono state comunque diverse regioni del mondo (oltre a quelle già citate relativamente all’Europa) con temperature di maggio notevolmen-

te inferiori alla media quali gli Stati Uniti meridionali e centrali e parti del Canada settentrionale a ovest della Baia di Hudson, l’Africa centro-meridionale, la Russia orientale e la Mongolia settentrionale, la maggior parte dell’India e l’Antartide orientale. Al contrario, le temperature sono state superiori alla media nella Groenlandia occidentale, nel nord Africa, nel Me-

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Società oggi di Chiara Paoli

Barbecue in Valsugana

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’estate fa subito pensare ai barbecue all’aperto, frequenti per chi ha la possibilità di avere un giardino, ma anche per chi non avendolo, sceglie di trovare aree dedicate per passare la domenica in compagnia, arrostendo qualche braciola. Due sono le aree principali e più note della bassa Valsugana, che offrono questa possibilità: il Parco La Cascatella o il Parco Fluviale Torrente Grigno di Castello Tesino. La prima area pic-nic si trova poco distante dal paese di Castello Tesino e oltre alla grandissima distesa verde, offre la frescura data dalla cascata. Le postazioni per grigliare la carne, ma volendo anche pesce e verdura sono 15; sono presenti i servizi igienici e due campi da pallavolo per divertirsi e smaltire il pranzo facendo sport. Il parco è raggiungibile con una camminata che parte dal centro abitato con direzione passo Brocon, curato con scrupolo nella stagione estiva, ha aperto al pubblico lo scorso 2 giugno e osserva il seguente orario: tutti i giorni, tranne il martedì e in caso di maltempo, dalle ore 9.30 alle 19.30. L’ingresso è gratuito per i residenti nel comune di Castello Tesino, le tariffe per chi viene da fuori sono differenziate e consultabili sul sito internet www.cascatellaracingcafe.it. Ci sono ovviamente alcune regole da rispettare: le immondizie vanno raccolte e il parco va lasciato pulito e in ordine come lo si è trovato; i cani sono ammessi, ma solo al guinzaglio e ovviamente vanno raccolte le deiezioni; è vietato accendere fuochi a terra e accedere al parco quando è chiuso. Altra oasi super attrezzata per i nostri barbecue estivi è quella di Prà Minati, che si localizza nel comune di Gri-

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gno, sulle sponde del fiume Brenta. L’area picnic è gestita dalla Pro Loco Tezze Valsugana, che offre numerosi servizi come tavoli e panche in legno, barbecue in muratura e gazebo, che potranno rendere perfetta la vostra domenica di festa. Tra i molteplici servizi offerti: parcheggio auto, servizi igienici e parco giochi per i bambini, presenti percorsi da effettuare a piedi o in bici, con anche la possibilità di noleggio biciclette (Valsuganarentbike.com), e ancora rafting, trekking con guida e uno splendido panorama a far da cornice. Per tutte le informazioni, la prenotazione e i costi, consultare il sito www. prolocotezzevalsugana.it/pra-minati-tezze-valsugana. Anche nei pressi di Malga Casapinello l’attrezzatura per poter fare barbecue, con una bellissima vista su un piccolo

laghetto contornato da larici. C’è poi chi approfitta delle ferie per prenotare una vacanza in qualche baita della Valsugana, che offre tra i vari servizi un barbecue in muratura e ne approfitta per preparare pranzi e cene, invitando amici e parenti. Vi sono poi numerose aree verdi dove è possibile fare un picnic, portandosi tutto il necessario da casa. I laghi di Caldonazzo e Levico in primis sono luoghi prediletti durante l’estate per mangiare all’aperto in spiaggia, anche grazia alla vicinanza di molti servizi è possibile acquistare direttamente in loco il pranzo da assaporare all’ombra di qualche albero, godendosi il fresco che lo specchio d’acqua offre durante la stagione più calda. La spiaggia di Levico si è dotata anche di pratici gazebi in legno che garantiscono ombra e comodità a chi voglia organizzare una festicciola in spiaggia.



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Che tempo che fa: maggio 2021,l’ultimo mese freddo

3min
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Tempo libero: non solo pizza

1min
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Tempo libero: il Mojto, bevanda estiva

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Uomo e ambiente: dobbiamo salvare il mondo

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Girovagando: tre mesi in Antartide

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Qui Caldonazzo:la Valcarretta

5min
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Remo Wolf

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Turismo & sostenibilità

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Conosciamo il territorio: la Madonna di Onea

11min
pages 69-73

Indagine Altroconsumo: l’acqua del rubinetto è sicura

2min
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Accadde ieri: le scuole in Valsugana dal 1500

3min
pages 65-66

Ieri avvenne: castelli e paesaggi rurali

4min
pages 62-64

Giovanni Kezich e il destino di un museo

8min
pages 58-61

Estate, sport e relax: le piscine in Valsugana

2min
page 54

Scuola & società: l’Architetta Marinetta

2min
page 55

Storie di casa nostra: a Borgo suonano le campane

6min
pages 56-57

Lettera al direttore: Claudio Taverna

2min
page 53

Il teatro di casa nostra: la compagnia “ La Leggenda”

1min
page 52

Irene Pedrotti, campionessa italiana

6min
pages 43-47

Il Ferrari Club a Levico Terme

5min
pages 48-51

Scuola, studenti e territorio

1min
page 42

Uomo, natura e ambiente:la giornata degli oceani

5min
pages 40-41

Società oggi: parte “Liberi tutti”

4min
pages 38-39

Turismo post Covid: vivere in spiaggia

2min
page 37

Qui America: sposarsi negli USA

6min
pages 33-36

Fatti & personaggi: Non c’è storia senza il Tirolo

2min
page 30

Festival di Cannes: premio a Marco Bellocchio

2min
page 32

Trofeo Crucolo

3min
page 31

Famiglia 3.0: Il silenzio del dialogo

2min
pages 28-29

In controluce: il film Arancia Meccanica

6min
pages 25-27

Personaggi di ieri: Maria Grazia Bressan

9min
pages 20-24

A parere mio: chi entra in Italia

2min
pages 17-18

Economia e industria: crescere nel Mediterraneo

8min
pages 12-16

Società oggi: la storia delle Cooperative Sociali

2min
page 19

Musica & società: suonare dentro

3min
pages 9-10

Punto & a capo

4min
pages 6-8

Turismo & società: tornano i viaggi

3min
page 11

A parere mio: Società oggi: alcool e giovani

2min
pages 3-4

Sommario

3min
page 5
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