Qui Caldonazzo di Mario Pacher
LA VALCARRETTA
U
na nuova simpatica storia ci ha raccontato, nella sua piena lucidità mentale, la fedele lettrice della nostra Rivista, la maestra Agnese Agostini di Caldonazzo, 96 anni compiuti lo scorso 3 maggio, autrice in passato d’interessanti pubblicazioni storiche. Questa volta ci racconta: “Era il mese di aprile del 1955 quando Arminio Menegoni venne assunto come operaio addetto alla manutenzione ordinaria della “Valcarretta”, una strada che collegava la piana di Caldonazzo con l’altipiano di Lavarone. In quel tempo la Valcarretta era una strada idonea solo ad un traffico molto limitato: qualche carro con trazione animale a servizio di negozi, alberghi, imprese varie dell’altopiano. Molti “carradori” storici erano scomparsi; resisteva ancora con la sua carretta con su un po’ di roba il “Toni Bort”. Trionfava il camioncino del Franco Brida; qualche vettura “Topolino” e le “moto” la facevano da padrone come pure le biciclette alle quali qualcuno fissava come freno nel discendere un fascio di frasche. L’estate era la stagione d’oro: comitive di allegri turisti la percorrevano conquistati dal fascino della variabilità del percorso e dalla particolare bellezza dei panorami. A metà del percorso la strada s’allargava in un bel piazzale protetto a sinistra da una struttura che portava i segni di una recente ristrutturazione; a destra i ruderi di un’altra costruzione che poteva essere stata una stalla e luogo di disbrigo. E proprio lì erano evidenti le tracce dell’esistenza non tanto tempo prima di una “pesa” per carri, merci ed altro.
Quelle tracce erano la conferma di quanto raccontavano i nostri vecchi e/o scrivevano certi libri di storia che lì fino al 1914 esisteva un posto di blocco dove si pagava una certa cifra per passare. In siffatto contesto nella primavera 1955 vi arrivò il Menegoni con in tasca tutte le autorizzazioni e con tanta voglia di valorizzare ogni angolo: si diede a pulire, aggiustare, acquistare qualche mobile. Tanto lavoro per sistemare le piante ad alto fusto che abbellivano il piazzale, riparare i tavoli e le sedie esterne, vangare e seminare il piccolo orto a ridosso della casa padronale, rifare la siepe e poi c’era la cappella di Sant’Antonio con la statua del Santo a grandezza quasi d’uomo chiusa con una lastra di vetro nella sua nicchia. Approssimandosi il 13 giugno festa del Santo e per l’occasione si voleva festeggiarlo con la celebrazione di una S.Messa che poteva significare devozione e buon segno per l’inizio della nuova attività. C’era tutto; man-
cava solo un piccolo altare che costruì il Menegoni con tavole reperite sul posto. Il giorno stabilito arrivò padre Ruggero Paldaof, carissimo amico dei Menegoni, che celebrò davanti a tante persone venute dal fondovalle ma anche dall’altopiano di Lavarone. Ricordo, dice ancora la maestra, molti partecipanti arrampicatesi sull’erba a ridosso della cappella seminascosti dai ciuffi dei tanti rododendri in fiore. Tra i presenti non poteva mancare don Alpino Slomp che notò la mancanza del Gesù Bambino sul libro del Santo; non trascorse molto tempo che don Alpino arrivò con una statuina acquistata agli Artigianelli di Trento che andava bene. Dicevano che quella di prima era stata portata via dai soldati della Grande Guerra. La consuetudine di festeggiare, a giugno, Sant’Antonio proseguì, finchè fu possibile anno dopo anno fino al 1989, alla Stanga, al Giaron di Valcarretta ad opera del Menegoni e degli “Amici del Monte Cimone”.
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