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ANNO 8 - NR. 6 - LUGLIO 2022
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L’ editoriale
di Waimer Perinelli
INTERNET Gli esami non finiscono mai
L
o diceva Eduardo De Filippo nella celebre commedia: gli esami non finiscono mai. E’ proprio così la vita è tutto un esame, oggi anche sui banchi a rotelle, che proprio non ruotano nelle aule, circostanza forse sconosciuta all’ex ministra Lucia Azzolina, che li ha commissionati. Cinque stelle non l’hanno illuminata a sufficienza e mentre i banchi a rotelle sono rimasti in maggior parte degli scantinati, gli esami di maturità sono usciti dal limbo della pandemia da Covid e la prova scritta ha evidenziato quanto siamo tutti interconnessi. Il 28 per cento dei maturandi, prendendo spunto dal testo di Vera Gheno e Bruno Mastroianni, ha scelto il tema: Tienilo acceso, posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello. Ovvero pensa anche quando sei connesso. Non mancavano altri temi interessanti e l’attuale ministro all’istruzione, Patrizio Bianchi che ha definito i banchi a rotelle “cartoline del passato”, ha dichiarato la sua pre-
ferenza per il testo sulla musicofilia descritta da Oliver Sacks. La tecnologia digitale, presente da sette anni, in varie forme nella prova d’esame, ha aperto una montagna di polemiche fra i sostenitori e gli oppositori del suo uso. Naturalmente si riferisce al telefonino e al computer. Molti genitori ed educatori si sono dichiarati impreparati e impotenti davanti al dilagare della connessione con le centinaia di app e giochi. I meno informati o connessi dicono che chattare a lungo annebbia il cervello e la vista. Ricordo la nonna che usciva dalla stanza ogni volta che il frigorifero di prima generazione si refrigerava e il motore cigolava; ho nelle orecchie le raccomandazioni dei genitori per le radiazioni emesse dal televisore dove i ragazzini degli anni Sessanta s’incollavano per seguire le avventure di Rin Tin Tin o Penna Bianca. E che dire dei cartoni animati giapponesi degli anni Ottanta, Ufo Robot e Mazinga, dei quali dicevano le
mamme “ a forza di guardare questi cartoni diventerete gialli”. Oggi il pericolo è che rimanendo troppo interconnessi si spenga il cervello. La psicologa Laura Fratini teme che i giovani abbandonino la lettura perché essa richiede concentrazione e tempi lunghi, mentre le nuove tecnologie digitali sono immediate e non richiedono fantasia. Si apprende con un clic. Ma attenzione non tutto è scienza quel che luccica. Ci sono le fak news, gli hackeraggi, le proposte indecenti. L’ultima novità, temo già penultima, è la proposta di TikTok per la parlata in CORSIVO. Ha già due milioni di visualizzazioni e insegna a strascicare le vocali allungando le parole come fossero di gomma. Il corsivo d’altri tempi era scrittura istituzionale, nella connessione è spesso vissuto come minaccia. TikTok la giudica ironica. Imita si dice sul web, la parlata snob milanese con la erre moscia. Su Milano vigila la Madonnina con la quale pare non tutti siamo interconnessi.
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SOMMARIO ANNO 8 - LUGLIO 2022 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munaò - 333 28 15 103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Chiara Paoli COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser COLLABORATORI Waimer Perinelli - Erica Zanghellini - Katia Cont Alessandro Caldera - Massimo Dalledonne Emanuele Paccher - Francesca Gottardi - Maurizio Cristini Dott. Claudio Girardi - Silvana Poli - Laura Mansini Marco Nicolò Perinelli - Francesco Zadra - Erica Vicentini Eleonora Mezzanotte - Laura Fratini - Patrizia Rapposelli Dott. Alvise Tommaseo Ponzetta - Zeno Perinelli Alice Rovati - Adelina Valcanover - Nicola Maschio Giampaolo Rizzonelli - Mario Pacher CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott. Francesco D'Onghia - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni D'Onghia - Dott. Marco Rigo EDITORE - GRAFICA - STAMPA Grafiche Futura srl Via della Cooperazione, 33 - Mattarello (TN)
PER LA TUA PUBBLICITÀ cell. 333 28 15 103 direttore@valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a GRAFICHE FUTURA srl, le loro pubblicità, le loro immagini, i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.
Internet: gli esami non finiscono mai 3 Sommario 5 Quando si dice donna: Tina Anselmi 7 Vivere meglio il nostro territorio 10 Comunicazione: propaganda e razionalità 12 Qui Bosnia Erzegovina: storia dell’immigrazione 15 Qui Bosnia Erzegovina: dialogo con il Ministro e il Sindaco 16 Qui Bosnia Erzegovina: intervista a Roberto Paccher 17 Buon compleanno Stivor 18 Il senso religioso: e le stelle stanno a guardare 21 Trentino: è allarme pensionati 22 Società oggi: L’Italia è povera 24 Musica oggi: passata la festa arriva Maitea 27 La politica e l’interesse generale 28 In ricordo di Leonardo Del Vecchio 30 Elena Casagrande: sogni di china 31 Qui USA: Ketanji Jackson fa la storia 32 La leggenda del Sanguanèlo 35 Il personaggio: suor Elena Bosetti 36 Qui Valsugana: in attesa delle Olimpiadi 2026 38 Qui Borgo Valsugana: Trentino 2060 40 Le comunità energetiche alla luce del sole 43 Federico Carboni, primo suicidio assistito in Italia 46 Concorso fotografico Cerbaro 47 Interviste impossibili: Il fascino discreto di Poirot 48 Girovagando nell’arte: Bansky, tra anonimato e attivismo 50 La scomparsa di don Armando Costa 52 Agenzia Immobiliare Sbetta Novello 55 Il lavoro c’è... manca il personale 56 La Valsugana e il Tesino in cronaca 58 Tra natura e territorio: gli Ecomusei 60 Il Coro Tridentum... da incorniciare 62 Estate archeologica in Valsugana 64 Inaugurazione LAC, libri, arte, cultura 65 Pergine Valsugana in cronaca: 67 Tra Storia, Poesia e Letteratura: Giuseppe Ungaretti 68 Medicina & Salute:la rabbia dei bambini 70 Medicina & Salute: Il Gruppo Romano Medica 72 Salute & Benessere: MusicalMa a Pergine 73 Salute & Benessere : Ottica Valsugana 74 Il personaggio di ieri: Carlo Clementi 75 Quando a Levico arrivarono i polacchi 76 Valsugana Wild Ride e la mascotte Bikey 79 Scurelle in cronaca: i tempi sono cambiati 80 Gelateria OFFICINA27: gusto per le cose buone e genuine 81 La Valsugana Irridenta 82 Che tempo che fa: continua il caldo e la siccità 84 La petizione online contro gli autovelox 86
LA CIMINIERA
Quando si dice donna
TINA ANSELMI Pagina 7
Il personaggio
Suor ELENA BOSETTI Pagina 36
Interviste impossibili
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Quando si dice donna di Waimer Perinelli
TINA ANSELMI Una goccia buona nel mare del mondo L
a storia e l’esperienza non ci impediscono di commettere gli errori ma ci permettono almeno di riconoscerli. E’ per questo che in molti della prima generazione post seconda guerra mondiale dovranno ripensare ad alcuni protagonisti della loro e nostra storia. Fra di essi spicca con forza una donna: Tina Anselmi. Era democristiana, cioè di quel partito detto elefante bianco, che guardava al popolo di Dio senza trascurare la cassetta delle elemosine. Tina Anselmi con lo scudo crociato guardava all’umanità. E’ stata per questo una delle donne maggiormente contestate da una certa sinistra gelosa del proprio presunto esclusivo ruolo sociale. Era democristiana ma figlia di un socialista per questo punito durante il fascismo. Era una donna, veneta, nata il 25 marzo del 1927 a Castelfranco Veneto, patria del Giorgione, in provincia di Treviso, in quella Marca tanto vicina per economia agricola al Trentino, quanto positivamente lontana da esso per capacità imprenditoriale, anche se proprio l’agricoltura con due eccellenze spumantistiche, il Prosecco e il Doc Trento, le unisce al mondo contadino, all’industria, al marketing. L’immagine di Tina Anselmi è di una donna sorridente, amabile, il viso largo con occhi scuri dove s’intravvede curiosità, determinazione:un carattere forte. Apparentemente mite confessò di avere come figura di riferimento la nonna materna, di origine ungherese che ella descrive come :” grande e bella, fumava la pipa sfidava tutte
Tina Anselmi, la prima donna Ministro (da Archivio storico Istituto Luce - autore Fatigati-Proto)
le convenienze; ciò che era solo forma. Dormivo con lei, racconta, e la sera recitavo con lei le preghiere. Era simpaticissima, perché tutto ci lasciava fare, purché non si facesse male né agli animali né ai cristiani”. (Vanzetta 2011-pp128.) E’ questa la forza, la determinazione dettata dalla libertà ideale che troviamo
Tina Anselmi con Giovanni Leone
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Quando si dice donna
La giovane Tina Anselmi - 1944-1948 (da Cisl Veneto)
Tina Anselmi (da Biografieonline)
in lei. Nel 1944 si iscrive alla Democrazia Cristiana e partecipa alla lotta partigiana contro il nazi-fascismo, una scelta che, scriverà, è maturata di fronte ai “ragazzi impiccati”. Per una donna cattolica praticante non era una decisione facile e scelse il nome di battaglia di Gabriella in onore all’Arcangelo Gabriele, il messaggero, il mediatore. Da partigiana si trasformò in sindacalista a difesa soprattutto dei diritti delle donne per le quali s’impegnò in vertenze infinite nelle filande con forme di lotta molto decise. Ebbe così modo di osservare la durezza che poteva assumere la vita femminile: «Dopo questa prima giovanile esperienza, disse, il mio interesse per la la specificità della condizione femminile non sarebbe mai venuto meno” (Vinci 2006 pp 85) . Fu di parola e operò alcune scelte da cattolica-laica. Eletta deputata dal 1968 al 1992 visse alcuni momenti drammatici della crescita di coscienza soggettiva nel mondo femminile. Il 1974 la trova schierata con la DC, il partito di maggioranza relativa e la Chiesa, nel votare al referendum a favore dell’abrogazione della legge sul divorzio. La battaglia fu persa la legge rimase, come restò ai vincitori l’illusione della fine dei “divorzi
all’italiana”, femminicidi di cui ancora oggi purtroppo è ricca la cronaca. Di questa sconfitta fece tesoro fino a vivere, pensiamo drammaticamente sul piano personale, la lotta delle donne al diritto di rifiutare la gravidanza indesiderata, il dovere di negare a stregoni abortisti per denaro (ricordiamo molti casi giudiziari nei cattolicissimi Trentino e Veneto), il diritto di sostituirsi alle antiche mammane. Tina Anselmi diventata, prima donna nel nostro paese, ministro del Lavoro e poi della Salute firma, in tale veste, la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza. E’ il 1978 l’anno dell’uccisione di Aldo Moro. Nel 1979 presentò, in accordo con la comunista Nilde Iotti, un progetto di legge contro la violenza sessuale. L’Italia politica era infuocata ed ella disse “ la democrazia ha bisogno di normalità”. Nel 1982 viene assassinato il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Da un anno Tina era stata nominata presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2 di Licio Gelli. Di questa esperienza ha detto”«Questi due anni e mezzo sono stati per me l’esperienza più sconvolgente della mia vita. Ho fatto il ministro due volte, mi sono trovata dentro quella
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che chiamano la stanza dei bottoni. Ma solo frugando nei segreti della P2 ho scoperto come il potere, quello che ci viene delegato dal popolo, possa essere ridotto ad un’apparenza. La P2 si è impadronita delle istituzioni […] ha fatto un colpo di stato strisciante. […]. Per più di dieci anni i servizi segreti sono stati gestiti da un potere occulto» (in Vanzetto,2011,p.176). A questo proposito e per ribadire quanto il male sia banale ma proprio per questo più feroce, riportiamo la sua descrizione sul “burattinaio” come fu chiamato Lucio Gelli il massone piduista. «Quante volte, noi commissari, ci siamo interrogati su di lui, persona non di grande fascino, neanche di straripante intelligenza, un uomo insignificante, in fondo. Le mie conclusioni sono che proprio la monomania unita alla totale amoralità lo ha posto al di sopra della sua stessa mediocrità. La storia è sempre attraversata da grandi uomini piccoli. E gli ha trasmesso quella grande energia e quella capacità di scartare tutto ciò che impediva la realizzazione del suo progetto» (Anselmi - Vinci, 2006, p. 121). Purtroppo i piccoli uomini ancora imperversano nel mondo facendo distruggere con le bombe e le ideologie intere culture. Ma questa è un’altra storia. Tina Anselmi si è spenta nella sua Marca il 1 novembre del 2016 e siamo certi che la sua vita è stata una goccia d’acqua buona nel grande mare del mondo.
Tina Anselmi insieme a Nilde Iotti (da Fondazione Nilde Iotti)
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Vivere meglio di Marco Nicolò Perinelli
È tempo di decidere
il futuro del nostro territorio
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l cambiamento climatico non è più solo una teoria decantata da qualche apocalittico in cerca di una propria ragione d’essere, ma un fatto evidente che viviamo quotidianamente anche in Trentino. Certo, siccità ci sono sempre state, così come alluvioni e grandinate. Ma negli ultimi anni abbiamo vissuto sulla nostra pelle l’estremizzazione dei fenomeni: Vaia è stato un evento straordinario, ma da allora in poi tutti noi abbiamo tremato all’avvicinarsi di un forte temporale, temendo che potesse trasformarsi in una tempesta. E così, mentre qui aspettiamo l’ennesimo temporale estivo in una stagione caratterizzata da ciclici violenti rovesci, appena a sud dei nostri confini, la terra è riarsa e stiamo assistendo al prosciugamento di fiumi come il Po. Certo, nel nostro piccolo possiamo fare poco, ma se prendiamo insieme una direzione, anche quel poco può trasformarsi da una goccia nel mare ad un vero torrente, e poi in un fiume. Da tempo si parla di transizione ecologica, un tema sempre più di attualità, ma in Trentino, pur avendone la possibilità concreta alla luce di una autonomia speciale che non viene oggi pienamente compresa e sfruttata dalla politi-
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ca, siamo ancora indietro. Nascono le Comunità energetiche e nascono dal basso e questa è la prima piccola rivoluzione. Ma occorre fare scelte diverse, pensare al futuro in un’ottica di innovazione e cambiamento. Innanzitutto dobbiamo ricominciare ad avere davvero cura del nostro territorio, non più come un prodotto di marketing da spendere sul mercato internazionale, ma un bene prezioso che dobbiamo mantenere per noi stessi e per i nostri figli, ricordandoci sempre che loro non solo il futuro ma il nostro presente. Stiamo pagando ancora oggi scelte poco lungimiranti dei nostri padri, ma siamo ancora in
tempo per correggere la via. Innanzitutto si deve partire dalla mobilità, ripensando il sistema dei trasporti. Certo oggi pensare di ridurre il traffico su gomma sembra difficile per i trasporti merci, soprattutto per quanto riguarda il pendolarismo si devono pensare nuove modalità. Venendo alla nostra Valsugana, se la Valdastico per qualcuno è una soluzione – e lo potrebbe anche parzialmente essere con un tracciato ben studiato che sia vera alternativa e non specchietto per le allodole – per una parte del flusso di veicoli che inquina quotidianamente la valle, rimarrebbe il problema delle persone che usano
Vivere meglio tutti i giorni la SS47 per arrivare a Trento e tornare indietro. Qualche anno fa venne ipotizzato il progetto metroland: nel 2011 ci fu chi studiò una rete ferroviaria trentina, con quattro linee principali a collegare le principali valli del Trentino, circa 200 chilometri totali di rete di cui ben 170 in galleria, che avrebbe consentito un rapido trasporto per tutti coloro che si spostano quotidianamente verso le città e avrebbe permesso un turismo sostenibile. Probabilmente i tempi non erano maturi, ma oggi, a fronte di 40 mila veicoli che si spostano tra Borgo Valsugana e Trento tutti i giorni, forse una vera metropolitana che in tempi rapidi possa percorrere quei pochi chilometri, risolverebbe gran parte del problema traffico. E come risolvere il problema dell’inquinamento del lago? Gli esempi ci sono, in Cina,
Olanda, Belgio, solo per citare qualche Stato che sta procedendo in questa direzione: coprire la strada. E’ una ipotesi che può sembrare azzardata, ma un’operazione di questo tipo, che prevede non di scavare ma di costruire un terrapieno con una riqualificazione a verde della parte soprastante, potrebbe salvare il lago di Caldonazzo dall’inquinamento e, se ben pensata, evitare gli incidenti attraverso un controllo della velocità. Per quanto riguarda poi il collegamento con gli altipiani, ci basta tornare indietro di un secolo, quando nella Valsugana austroungarica si muovevano teleferiche e si pensava ad impianti a fune. La strada del Menador, oggetto di progetti che la vorrebbero denaturata per accontentare poche persone e cancellarne invece gli aspetti storici, culturali e paesaggistici, potrebbe rimare com’è, se ci fosse un
impianto con parcheggio di attestamento a valle, a Caldonazzo dove già di fatto esiste in stazione, e un rapido collegamento a monte. Di fatto si verrebbero a creare condizioni tali da abbattere drasticamente l’uso del mezzo privato, favorendo trasporto pubblico (veloce) per la quotidianità. Nel campo dell’agricoltura, vediamo poi come ragionare in un’ottica di sostenibilità stia dando frutti: sono sempre più le persone che cercano di consumare biologico e puntano sulla qualità: un biologico che non può essere reale se non vi aderiamo come sistema e che avrebbe un ritorno anche sulla salute di chi vive le nostre valli. Suggestioni, ipotesi, ma che possono diventare realtà se si inizia a lavorarci seriamente, non con promesse vane per il futuro, ma mettendosi ad un tavolo e imparando da chi sta già andando avanti.
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Accade nel mondo di Guido Tommasini
COMUNICAZIONE: propaganda e razionalità
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na delle tematiche attuali è spesso quella delle interviste ai giornalisti russi o altri funzionari di regime che vengono invitati ad esporre le loro ragioni e allora accade che subentrano reazioni da parte di opinionisti di tendenza opposta che denunciano queste esibizioni come propaganda. Inoltre è stata anche identificata sulla stampa una presunta galassia italiana filorussa composta da freelance, economisti e politici che farebbero propaganda a Putin, poi ridimensionata. Senza voler entrare nel merito specifico, per capire questi fenomeni bisogna intendersi innanzitutto sul significato del termine “Propaganda” che ha diversi significati. Nella sua accezione negativa significa più o meno un complesso di notizie diffuse ad arte per fini propri o comunque particolari, ma questa parola storicamente era il gerundivo neutro plurale del verbo latino “Propagare”, tradotto come”Cose da diffondere” (non esiste in italiano il modo gerundivo ma i latini lo usavano spesso). “Propaganda” in seguito trovò la sua prima importante utilizzazione nel Rinascimento(1622) con l’istituzione vaticana della famosa “Sacra Congregazione De Propaganda Fide”(dopo la riforma di Giovanni Paolo II cambiò la denominazione in “Sacra Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli”). Il significato del termine “Propaganda” nel contesto odierno dovrebbe essere, anche se-
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condo una condivisa interpretazione letteraria – “la verità espressa da un certo punto di vista - oppure la verità interpretata da una certa prospettiva o da un certo angolo di visuale”. Si trova conferma di ciò da quanto affermato dal filosofo Giorgio De Santillana, il quale ai Colloqui di Royaumont del 1964 sull’argomento – Il concetto di informazione - , specificò testualmente: “Il cambio di prospettiva può dare un senso anche alle cose che non lo hanno, voglio dire anche alle cose che si possono attribuire liberamente alla fantasia, senza peccare per esagerazione” Vorrei fare un esempio storico a proposito dell’informazione alternativa: nei primi Anni Sessanta la guerra del Vietnam era già iniziata a piccoli passi con l’invio in quel paese da parte di
Kennedy di quaranta consiglieri (advisers). Il periodo successivo fu quello della guerra limitata e allora Jean Larteguy(Jean Pierre Lucien Osty) ex militare francese divenuto giornalista e scrittore di romanzi bellici, scrisse un articolo sulla situazione politico militare che vedeva contrapposti sudvietnamiti e americani da una parte e vietcong(Fronte Nazionale di Liberazione) con la RDV dall’altra. Avendo l’esperienza della guerriglia nell’Indocina francese ed in Algeria, Larteguy era uno specialista sul campo e così scrisse tranquillamente che i vietcong avevano già vinto la guerra in quanto dominavano tutto il Vietnam centrale dove amministravano normalmente i villaggi e riscuotevano le tasse mentre nelle grandi città stavano già instaurando un dualismo di potere. Le opinioni di Larteguy vennero snobbate sia dagli USA, sia dalla grande stampa occidentale ma i fatti avrebbero dimostrato in seguito che Larteguy aveva ragione.
Accade nel mondo Infatti dopo l’incidente del golfo del Tonchino(Agosto 1964) la guerra ebbe una crescita esponenziale con l’escalation americana(1965). Andò avanti così con battaglie sanguinose ed offensive da ambo le parti, ma poi accadde un fatto fondamentale: nel 1971 Daniel Ellsberg, uno dei quei primi quaranta consiglieri americani, membro anche della Rand Corporation, passò al New York Times e soprattutto al Washington Post una valigia di documenti fotocopiati dai quali trasparivano tutte le notizie secretate e le omissioni nelle notizie divulgate dove si capiva che le amministrazioni USA erano coscienti delle enormi capacità di resistenza vietnamita e avevano già capito fin dall’inizio che non avrebbero mai potuto vincere quella guerra. Si scoprì così che le amministrazioni che si erano succedute avevano mentito e ci fu
uno scandalo enorme, Così nel giro di pochi anni (30 Aprile 1975) grazie a quelle rivelazioni quella guerra impossibile da vincere ebbe fine, ma nel frattempo erano morti circa 56.00 americani senza contare le enormi perdite vietnamite e cambogiane. Potrei fare altri esempi similari su questi meccanismi ideologici come i genocidi nel Bangla Desh e in Timor Est, ma la questione più emblematica è stata la seconda guerra contro l’ Irak (2003), innescata da fake news inerenti alle inesistenti armi di distruzione di massa di Saddam, che furono avallate in pieno dalla grande stampa, mentre i pochi che avevano denunciato quella bufala venivano snobbati. Talvolta sottovalutare tematiche di primaria importanza esposte da un altro punto di vista o comunque alternative(non antagoniste) può diventare un fondamentale errore di
disinformazione. Sulla questione dell’Ucraina aggredita militarmente dalla Russia bisogna dire che se le informazioni belliche che pervengono sono esaustive, invece di certi aspetti laterali non si parla molto. Non ci sono per esempio informazioni relative ad un certo contesto politico-economico: tanto per fare un esempio, non viene detto quasi nulla su certe multinazionali straniere alle quali i vari regimi, da Poroshenko a Zelensky hanno concesso la totalità dei raccolti di grano. E poi c’è il caso Soros: nessuno s’interroga per quali finalità uno speculatore come Soros il quale auspica la rimozione degli stati-nazione sostituendoli con uno scenario sovranazionale di ingegneria politico-sociale, abbia appoggiato con forza la rivoluzione arancione ucraina del 2014, promuovendo il nazionalismo ucraino.
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Qui Bosnia Erzegovina di Emanuele Paccher
La storia
dell’emigrazione e gli inizi
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issione in Bosnia Erzegovina per il consigliere regionale della Valsugana Roberto Paccher. Al centro del suo viaggio nelle scorse settimane, una volta di più, la comunità trentina di Stivor. La vicenda di Stivor è bella e particolare allo stesso tempo, visto che si tratta di un centro abitato solamente da una popolazione partita (ormai 140 anni orsono) dal Trentino. In larghissima parte dalla Valsugana, ma anche dal Primiero, come pure da Cimone e da Aldeno. La storia di questa comunità prende le mosse a cavallo tra il 1881 e il 1882. Paccher che da quelle parti è ormai di casa, avendo voluto mantenere il più possibile saldo il legame con la gente emigrata, le origini di quella grande migrazione le sa raccontare con dovizia di particolari ed uguale partecipazione emotiva: “In quel periodo il Brenta uscì dagli argini per via delle copiose piogge e l’alluvione che ne conseguì ebbe effetti disastrosi sull’attività agricola di molte famiglie. Diverse famiglie della Valsugana ( che a quel tempo era provincia austriaca del Tirolo) si videro distruggere le case dall’acqua e altrettanti videro sconsolate le loro attività economiche andare a rotoli. A quel punto molti di loro, circa un migliaio, si misero d’accordo per andare a cercare fortuna altrove, di emigrare, e la scelta all’inizio cadde sul Sud America, con le famiglie valsuganotte decise a cambiare vita in Brasile. Tuttavia, questo è quello che racconta la voce popolare, sembra che alcune
persone che avevano preso l’incarico di acquistare il viaggio via mare siano scappate con i risparmi dei paesani che già si trovavano in gravi difficoltà” spiega Paccher. Il piano b, la decisione di emigrare in Bosnia, arrivò dunque per una serie di circostanze, anche legate a questioni storiche. Perchè? Il paese di Roncegno era molto apprezzato per le cure termali all’epoca della dominazione austriaca. E l’imperatore Francesco Giuseppe, visitatore dei centri termali della Valsugana, una volta conosciute quelle vicende, decise di venire in aiuto alla popolazione, donando ai migranti un pezzo delle terre, in particolare nella provincia di Banja Luka: “Ecco allora che nel 1882 i valsuganotti, dopo settimane di viaggio, arrivarono nel luogo che era stato loro destinato. Promesso e descritto prima della partenza, a suo tempo, come un terreno fertile ma che alla prova dei fatti non si rivelò propriamente tale. Tuttavia prosegue - il consigliere Paccher - la comunità si integrò molto bene nel territorio circostante” I motivi alla base del fatto che la comunità trentina sia rimasta sempre molto coesa è dovuta anche a motivi religiosi: i cattolici trentini rimasero, lo sono orgogliosamente ancora, una enclave perché dall’inizio della loro
avventura hanno trovato una popolazione locale di religione musulmana: “Infatti. Dunque i trentini non si sono sposati con i loro vicini che praticavano un’altra fede ma hanno scelto di farlo con i propri connazionali, con quelli emigrati assieme a loro. Finendo per mantenere chiuso il loro gruppo per motivi religiosi e culturali. E questo per decenni, sino ad oggi, con i trentini rimasti a Stivor ancora un fiero nucleo autoctono. Che non vuole rescindere - chiosa l’esponente politico - il cordone ombelicale con il Trentino”.
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LA DOPPIA PISTA:
quella nazionale con il ministro e quella locale con il sindaco
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urante il proprio viaggio in Bosnia Roberto Paccher si è mosso su due fronti. Uno più propriamente politico, per mettere a disposizione della comunità di Banja Luka la nostra particolare esperienza, quella di una Regione Trentino Alto Adige che è diventata un esempio di convivenza, grazie ad uno Statuto di Autonomia che, proprio in queste settimane, celebra i 50 anni del Secondo Statuto. Non a caso, a Banja Luka, Paccher ha incontrato un esponente del governo nazionale, il ministro all’integrazione e alla cooperazione europea Zlatan Klokic. Alla riunione ha perso parte anche il rappresentante delle minoranze linguistiche del Paese Franjo I. Rover, un trentino originario proprio di Stivor. “In una terra dove le minoranze sono tante, sempre alla ricerca della migliore formula di convivenza, il Trentino Alto Adige è, una volta di più, esempio da studiare, da capire. Ecco perché - ha osservato Paccher - ho invitato il ministro dell’integrazione Klokic a farci visita a Trento, magari nei prossimi mesi, in occasione dei 140 anni dalla migrazione dei trentini nella zona di Stivor. In Trentino Alto Adige abbiamo minoranze tedesche, ladine e cimbre, nel territorio della Bosnia siamo di fronte ad un calderone culturale molto composito che deve armonizzare ben 17 diverse espressioni di minoranze. Ecco perché ben volentieri ci siamo proposti come una formula di convivenza di grande successo, studiata in Europa e non solo, ed abbiamo chiesto al ministro Klokic di venirci a trovare a
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Roberto Paccher con Darko Tomas, sindaco di Prnjavor
Trento, magari proprio in quel Consiglio regionale che è la casa anche fisica dell’Autonomia. Del resto che i trentini siano gente che cerca la con-
Roberto Paccher con il MinistroZtalan (Integrazione europea e Cooperazione Internazionale) e con Rover Franjo (Rappresentante della minoranza in Bosnia)
vivenza lo si nota anche dalla nomina di Rover in un ruolo di rappresentanza tanto prestigioso quanto delicato” osserva il consigliere regionale. Ma Paccher ogni volta che si reca a Stivor, al di là di aspetti politici importantissimi legati agli equilibri di una terra che ne è sempre alla ricerca, ha soprattutto a cuore le soluzioni pratiche, quelle legate al benessere di una comunità che parla il valsuganotto, quello doc di una volta, non influenzato da contaminazioni dialettali diverse. Ecco dunque la seconda pista battuta dall’uomo politico, quella discussa con il sindaco di Prnjavor, Darko Tomas, sotto la cui giurisdizione nella regione di Banja Luka, ricade anche Stivor, la località dove vive la comunità di origine trentina: Non ho potuto che elogiare le condizioni create dai nostri trentini di Prnjavor, che non si sono limitati ad una semplice convivenza ma hanno lavorato per una reale integrazione. Nell’occasione - ha detto il vicepresidente - si è parlato di un immobile che a suo tempo era stato costruito come magazzino per i vigili del fuoco di Stivor, capannone che dal 2003 è sostanzialmente dismesso. Ho chiesto dunque al sindaco Tomas di coinvolgere la comunità trentina per valutare a quale uso adibirlo, quale destinazione dargli. La finalità unica deve essere il benessere della popolazione che era partita dalle nostre valli, dei loro discendenti. Dovranno essere loro - ha osservato - con le forme più opportune ad indicare il futuro di quella struttura che deve rimanere patrimonio dei trentini di Stivor”.
Qui Bosnia Erzegovina di Eleonora Mezzanotte
LA NOSTRA INTERVISTA A
ROBERTO PACCHER Consigliere Paccher quale bilancio si sente di trarre dalla sua trasferta in Bosnia? Debbo dire che ogni volta che ci vado, questa era la settima volta, torno soddisfatto, contento di vedere come rimanga un legame fortissimo tra quella comunità ed il Trentino. La prima volta che sono stato a Stivor è stato nel 1984. Mi sono recato in primo luogo per la profonda amicizia che nutro nei confronti degli abitanti di quella località, poi perché affascinato dalla storia di quella popolazione di migranti, fieri e legati alle proprie origini. Poi ci sono tornato da presidente del Consiglio regionale ed ora da vicepresidente. Le istituzioni trentine hanno mantenuto legami molto saldi con quella comunità. Non c’è dubbio. Ricordo che anni fa la Provincia organizzò qualcosa come 11 pullman dal Trentino, nel 1982, in occasione del centenario di quella migrazione. E non solo: Stivor venne “adottato” come il 22 comune della bassa Valsugana Durante la guerra dei Balcani non deve essere stato facile vivere in quelle zone. Infatti. I trentini che decisero di ritornare in Italia furono aiutati dalle nostre istituzioni e si sono visti riconoscere la cittadinanza italiana. Ma a Stivor sono rimaste comunque tuttora un migliaio di persone, tutte originarie delle nostre valli. Il 90 per cento è ritornato in Italia ma hanno mantenuto anche la casa in quella
Che tipo di dialetto trentino si sente parlare a Stivor? La parlata di quelle persone è incontaminata, originale, senza eventuali influssi veneti, tedeschi. Come del resto sono doc, al 100 per cento, la loro cucina, le loro tradizioni. C’è il bar Trentino, l’unico, un negozio di alimentari, una bella chiesa.
Paccher con i titolari del Bar Trento a Stivor
zona, l’hanno ristrutturata. E durante i periodi di vacanza quel paese si ripopola, di tanta gente che ritorna dove sono nati loro, gli stivorotti. O i loro genitori e nonni.
Stivor - Nei boschi della Bosnia si trova un villaggio italiano (da Milano Città Stato)
In concreto si è occupato anche di una struttura che a Stivor ha cambiato destinazione d’uso, è così? Si. Avevo presentato un ordine del giorno, approvato in Consiglio provinciale, e nel mio viaggio in quella località ho voluto dare seguito all’approvazione di quel documento. Ho chiesto al sindaco Tomas di chiedere alla comunità trentina, coinvolgendola, quale destinazione dare a quello che in origine doveva essere il capannone per i vigili del fuoco locali. Io non ho una soluzione preconcetta, debbono essere i trentini di Stivor ad individuarla. La Provincia a suo tempo ha finanziato l’opera e si deve impegnare per completarla non appena deciso che cosa dovrà diventare. Quest’anno sono 140 anni che i valsuganotti hanno lasciato la loro terra per andare a cercare fortuna a Stivor. Esatto. Ho chiesto al ministro dell’integrazione Klokic di tenere qui da noi, in Regione a Trento, un momento di approfondimento, pensiamo ad un convegno con diversi apporti. Visto che si tratta di un terra, come lo è il Trentino Alto Adige, dove convivono diverse minoranze linguistiche.
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Tra Italia e l’Europa di Massimo Dalledonne
BUON COMPLEANNO
STIVOR
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el 1877, in seguito alla rivolta scoppiata in Bosnia da parte dei contadini cattolici ed ortodossi contro i funzionari ed i grandi proprietari, ci furono delle violente reazioni da parte dei turchi. A queste violenze, con lo scopo di proteggere gli Slavi, rispose la Russia dichiarando guerra alla Turchia. Dopo un anno di combattimenti la Turchia ne uscì sconfitta e fu costretta a firmare un accordo di pace molto vantaggioso per la Russia, accordo che, le altre grandi potenze europee non hanno “digerito” bene. Con il congresso di Berlino (13 giugno - 13. luglio 1878) uno dei provvedimenti presi fu quello di consentire all’Impero austro-ungarico l’occupazione “provvisoria” della Bosnia ed Erzegovina. E ciò avvenne. In che modo? Colonizzarlo parzialmente con la popolazione cristiana del proprio Impero. Per far questo, l’Imperatore promise ai futuri coloni di “dare una delle sue terre, tolta ai Turchi, che si trova vicino alla città di Banjaluka, sul cui antico forte ora sventola la sua bandiera” (Guido Lorenzi: Stivor, ritorno a casa). A questo annuncio ha risposto anche un bel numero di famiglie trentine, soprattutto quelle della Valsugana che, in quel periodo era stata devastata dall’inondazione. E cosi iniziò l’emigrazione dei trentini (1882 – 1892) anche verso il territorio del comune di Prnjavor, uno dei comuni della regione di Banjaluka. La maggior parte delle famiglie italiane si stabiliscono a Palackovci, una località di Prnjavor che i suoi nuovi
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Una veduta di stivor
abitanti la chiamavano Palascozia. A metà dicembre del 1891 il parroco Marsic di Prnjavor (BiH) informa con una lettera il vescovo Markovic di Banjaluka (BiH) che i coloni Italiani hanno già cominciato a disboscare la nuova località Stivor (una delle più piccole delle 63 località del comune di Prnjavor), dove intendono trasferirsi e costruire una cappella. Il nome Stivor compare per la prima volta in questa corrispondenza ecclesiastica, per cui si può ritenere che il 1891 è l’anno della nascita di questa località. Buon compleanno Stivor, quindi! Una storia che abbiamo ricostruito insieme ad Anton Andreata, ex sindaco di Prnjavor, da anni residente a Borgo Valsugana dove ha ricoperto anche l’incarico di consigliere comunale. “Moltissime famiglie trentine, deluse dalle promesse governative non mantenute, sono tornate in Italia,
ed un numero significativo di queste famiglie hanno intrapreso un’altra odissea, quella verso l’America. Quelle rimaste sul territorio del comune di Prnjavor – ci racconta - si sono rimboccate le maniche e con estrema fatica hanno realizzato le condizioni minime per sopravvivere. L’ultimo censimento austriaco (1910) certificava una importata crescita del numero di trentini a Stivor (+30%), una conferma che la battaglia per la sopravvivenza era stata vinta. Dai registri parrocchiali di Prnjavor risulta che il 70% delle famiglie italiane si sono inizialmente sistemate a Palackovci ed il rimanente 30% si è distribuito nelle altre cinque località dello stesso comune. Con il passare del tempo, tutte le famiglie sono confluite a Stivor o alla confinante località Tabak (Donja) Ilova, sul cui territorio si sono trasferite soprattutto
Tra Italia e l’Europa dopo il rimpatrio della popolazione di origine tedesca avvenuta all’inizio della Seconda guerra mondiale. Nel 1899 a Stivor era stata costruita la prima chiesetta, venticinque anni dopo un’altra più grande e nel 1979 quella attuale, alla cui costruzione hanno contribuito anche concittadini di altre confessioni e la stessa Provincia di Trento”. Stivor con il suo popolo, durante questa sua “lunga” vita, ha condiviso il destino di tutti gli altri abitanti di quel territorio. Ancora Andreata. “Oltre ad un lungo periodo di crisi economica il territorio balcanico è stato tropo spesso coinvolto nei vari scontri bellici con tutto quello che ne deriva. Anche se i coloni trentini in Bosnia hanno tentato sempre di stare fuori da tali scontri, qualche vittima sui campi di battaglia c’è stata in ambedue guerre mondiali (una quindicina solo nella prima guerra). Il fatto che, da quanto si sa, non ci sia stata nessuna vittima civile, vuole dire che la nostra gente si è sempre comportata bene e che, tutto sommato, ha creato intorno a se, solo buoni rapporti. L’uva ed il vino di Stivor erano molto apprezzati in molte zone bosniache. Le sue squadre di operai specializzate in opere edili erano conosciute in quasi tutto il territorio yugoslavo e di loro si trovava anche qualche lodevole articolo sui giornali dell’epoca”. In
L'ingresso del paese di stivor
Stivor Anton Andreata
una poesia dedicata ai Stivorani, in occasione della visita di un gruppo di trentini a Stivor negli anni settanta, Luigi Ferrai di Telve scrisse una poesia di dieci strofe tra cui anche queste: “I omeni, note e giorno se dà le man d’atorno, a nome de l’Austria o de l’Italia, spianano na gran boscaglia. Veri e autentici pionieri, del lavoro gran cavalieri, senza aiuti, a proprie spese no pianteli en paese! Or questi vèci sono morti ma i figli di questi forti, m’è stato reso noto, parlano ancora el valsuganòto”. Stivor era alla soglia di festeggiare il suo centenario quando sul territorio yugoslavo è arrivato un nuovo assetto politico, quello “democratico”. “Le prime elezioni democratiche hanno partorito una guerra (in)civile mai vista finora. La Yugoslavia – scrive ancora Anton Andreata - si è disciolta ed è partita un incredibile migrazione della sua popolazione. A causa della guerra degli anni novanta ha cominciato anche lo spopolamento di Stivor,
cosi come anche di altri comuni e località bosniache”. Se nel 1882 iniziò l’odissea della speranza verso Prnjavor (Sandra Frizzera: Stivor, odissea della speranza), centodieci anni dopo ha avuto inizio una nuova odissea, questa volta in senso opposto, quella dei discendenti di quelli sfortunati “austriaci” trentini. “Dal censimento della popolazione bosniaca, eseguito nel 1991, risultava che a Stivor e nella confinante località Donja Ilova abita poco più di cinquecento persone di origine italiane. Questo numero è calato di oltre il 75% se si analizzano i dati del censimento realizzato nel 2013. Oggi la situazione risulta essere ancora peggiore. Esistono circa 130 case nelle quali abitavano gli oriundi italiani, delle quali adesso più di due terzi sono chiuse. Delle rimanenti case, circa cinque sono abitate in maniera stabile di famiglie con tre o più componenti familiari mentre in una ventina di dimore vivono solamente una vedova o un vedovo”. Questi dati confermano che, al suo centotrentesimo compleanno, Stivor si trova in disperate condizioni di sopravvivenza. “Il suo precoce invecchiamento era prevedibile, visto tutto quello che succedeva sulla penisola balcanica dai primi anni novanta in poi. Oggi, quando sarebbe il momento di festeggiare, si pone una seria domanda: questa sproporzionata declinazione del villaggio di Stivor si poteva evitare o quantomeno attenuare? La domanda va fatta ai stivorani in primis, ma altrettanto alle istituzioni italiane e/o provinciali”. Una ultima considerazione. “Anche se non si intravede granché futuro per Stivor, io gli faccio un cordiale augurio per il suo centotrentesimo compleanno, nella speranza che la mia visione del suo futuro risulti infondata e che ci sia ancora tempo e voglia per cambiare le sue sorti”.
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Il senso religioso di Franco Zadra
E le stelle stanno a guardare... Come di solito evitiamo le domande fondamentali Il nesso più vitale e profondo del senso religioso con la nostra esistenza, e con l’esistenza tout court, è rivelato a chi s’impegna nel considerare la realtà tenendo conto di tutti i fattori in gioco, facendosi carico di un confronto aperto con la realtà tutta intera, così come le circostanze la presentano in ogni istante. Una faccenda semplice a prima vista, che richiede però la massima trasparenza nello smascherare quelle che sono invece posizioni irragionevoli, alibi che di volta in volta costruiamo per sfuggire a quel confronto.
È
irragionevole, ci ricorda don Giussani nel sesto capitolo del suo “Il senso religioso”, «una posizione che pretenda spiegare un fenomeno in modo non adeguato a tutti i fattori implicati». Il meccanismo di rimozione, di occultamento, di negazione, o più banalmente, di svuotamento della domanda di senso, è senz’altro molto subdolo quanto corrente nel nostro quotidiano, però può essere rivelato non solo nei macro fenomeni, nei disastri e fallimenti che segnano fatalmente i nostri rapporti, ma anche nel più piccolo dettaglio, una battuta fortuita che ci capita, sembrerebbe, per caso. Mentre mi accingevo a redigere questo articolo, ho dato prima una veloce occhiata allo smartphone che subito mi indicava una telefonata in ingresso alla quale non avevo risposto, registrata da quello che ormai è una seconda pelle, un potentissimo computer, un paio di ore prima. Non avendo quel numero in rubrica, lo richiamo meccanicamente con l’intento di corrispondere a quella che sembrava una richiesta da parte di qualcuno. Dall’altra parte della linea, una voce di donna mi dice seccata: «io non ho chiamato questo numero, buonasera!», e riattacca senza attendere replica. Da parte mia ho subito
bloccato quel numero per evitare che mi richiamasse. Un fatto insignificante che vi starete chiedendo come possa trovare spazio in questa pagina o richiedere solamente il tempo della vostra lettura. A me però ha subito messo di fronte alla durezza potenziale, la insensatezza, e la capacità distruttiva che ci portiamo in giro nei nostri rapporti quotidiani, come una bomba pronta a esplodere. È un attimo dimenticare che chi ci sta parlando, la persona che incontriamo anche per caso e ci rivolge un saluto, è un essere umano. Come il più scafato dei nazisti, siamo
capaci di liquidarlo senza ripensamenti, farlo scomparire dal nostro orizzonte per non pensarci mai più. Dimenticare o rinnegare qualcosa, pur costretti dalla logica della nostra lettura parziale delle circostanze, è però un errore non da poco, un atteggiamento che definisce statisticamente l’atteggiamento almeno pratico dei più. Siamo umani, ovviamente, e non possiamo mai essere sicuri di niente, ma proprio per questo è necessario che sappiamo aprirci a quel fattore (che esiste!) che trascenda l’umano e ci permetta di far “essere” i nostri rapporti, perché occorre una ragione vera per il rapporto, una ragione che possa connetterlo con il tutto. Riconoscere questo Tutto e scoprirci innestati in Lui, è la grande conquista della vita di chiunque, l’Unico successo auspicabile. Varrebbe la pena rileggere “E le stelle stanno a guardare” (The Stars Look Down), il famoso romanzo di Joseph Cronin, per cogliere quel meccanismo implacabile, come spiega bene Giussani, della «natura che abbandona anch’essa, arida, insensibile, l’uomo nella solitudine totale, quando l’uomo stesso lasci cadere, in qualunque modo, la spinta al mistero, cui le domande costitutive del suo cuore lo sospingono autorevolmente».
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Pensioni e pensionati di Nicola Maschio
Trentino, pensionati in allarme: metà vive con meno di mille euro al mese
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ispetto al reddito pensionistico, circa il 50% dei trattamenti in corso, 79.146 , si trova nella fascia sotto ai mille euro». In questo modo Claudio Floridda, direttore dell’Inps di Trento, ha spiegato in poche parole una situazione oggettiva, grave e preoccupante per il nostro territorio. Complessivamente, ha aggiunto ancora Floridda, al primo gennaio 2022 le pensioni (che sono poi il core business dell’Istituto) sono aumentate fino a toccare quota 164.854, contro le 163.661 dello stesso mese del 2021, ma a lasciare quantomeno perplessi è proprio l’importo percepito dalla metà di coloro che hanno smesso di lavorare. Sì perché non è difficile immaginare le difficoltà che queste persone si trovano ad attraversare in un momento come questo, dove i costi dell’energia (e di conseguenza delle bollette) sono praticamente schizzati alle stelle. Se a questo si unisce la spesa per un eventuale affitto, vivere il resto del mese con quel poco che rimane sembra davvero un’impresa al limite del possibile. In realtà, va sottolineato che il trend del numero di pensioni erogate è in aumento ormai dal 2019, quando il dato complessivo si fermò alle 161.173 pratiche. Poi le 162.837 del 2020, prima dei sopra citati dati degli ultimi due anni, in risalita. Ma sono appunto gli importi a destare preoccupazione: il 17% degli aventi diritto percepisce fino a 499,99 euro (parliamo di 27.586 soggetti), mentre la percentuale maggiore, e cioè il 31% (dunque 51.560 persone) si attesta tra 500 e 999,99 euro. Insomma, il 48% dei trentini pensionati vive con meno
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di mille euro al mese. Abbastanza stabili invece i numeri rispetto a coloro che si collocano nella fascia tra mille euro e fino a 1.500 euro mensili (il 18%, 30.260), mentre sono il 16% (25.370 persone) coloro che sfiorano anche i duemila euro al mese. Oltre quest’ultima cifra vanno “solo” in 30.078, cioè il 18% del totale. Calano notevolmente invece i numeri dei beneficiari del reddito e della pensione di cittadinanza in Trentino: rispetto al primo, si è passati da 4.966 nuclei famigliari a 3.605 tra 2021 e 2022, cioè da 12.366 persone in tutto a 8.731, mentre nel secondo caso il numero di nuclei è passato da 705 a 525 e le persone coinvolte da 749 a 562. «Il reddito di cittadinanza pone sicuramente l’attenzione sul tema degli stipendi – ha spiegato l’assessore provinciale Achille Spinelli, – dall’altra però si tratta di un intervento “passivo” che, per lo Stato, non rappresenta
una soluzione in un momento in cui la necessità è quella di assumere. La verifica della percezione del sussidio deve essere fatta in modo serio, per rispetto di chi ne ha realmente bisogno e riducendo invece l’aiuto verso chi ha poca voglia di lavorare». Il 2021 infine ha registrato una diminuzione di richieste di disoccupazione, passate dalle 44.212 del 2020 a 39.977, mentre restano solide le entrate: tra 2020 e 2021 Inps ha incassato 70 milioni in più dalle aziende con dipendenti (+6,6%), raggiungendo poco meno di un miliardo e 133 milioni di euro, mentre crescono dell’1,8% gli incassi dal 2018 al 2021 dalle ditte artigiane (da 99 milioni e 400 mila euro a 101 milioni e 334 mila euro). In quattro anni invece è decresciuto del 7,8% l’apporto dei commercianti: da 102 milioni e 464 mila euro del 2018 ai 9 milioni e 474 mila euro del 2021.
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Società oggi di Patrizia Rapposelli
ITALIA POVERA
Istat conferma massimo storico raggiunto nel 2020
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n Italia è povertà. L’Istat ha rilasciato i dati relativi alla povertà assoluta che confermano i massimi storici toccati con lo scoppio della pandemia. Nel 2021 le famiglie in difficoltà assoluta sono più di 1,9 milioni, il 7,5 % della popolazione. Una percentuale vicina al 7,7 % registrato nel 2020. E circa 5,6 milioni gli individui, numeri quasi identici all’anno precedente. Corrispondono al 9,4 % della popolazione. Sempre secondo i dati riportati dall’Istat sono circa 1,4 milioni i minori in povertà, il 14,2 %. Emerge un netto divario tra Nord e Sud. Osservando la situazione famiglie, nell’alta Italia la condizione è nettamente migliorata. Nel 2021 in povertà assoluta sono il 6,7 %, contro il 7,6 % del 2020, circa 90 mila in meno. Nel Mezzogiorno, invece, l’indigenza è cresciuta ulteriormente rispetto l’anno precedente: le famiglie povere sono il 10 % del totale, contro il 9,4 % del 2020, siamo circa oltre 51 mila in più. Probabilmente, la ripresa nel 2021 è stata più forte al Nord rispetto al Sud, così come nel 2020 la pandemia ha inciso maggiormente nel settentrione. Non cambia di molto a livello individuale. Nelle regioni a Nord sono circa oltre 2 milioni 200 mila gli indigenti contro i 2 milioni 455 mila nel Mezzogiorno. Al Centro Italia l’incidenza di povertà individuale sale al 7,3 % da 6,6 % del 2020. Cresce, ma l’incidenza rimane la più bassa tra le varie aree del Paese. Interessante guardare anche i dati relative alle famiglie di soli italiani, dove la povertà è calata dal 6 % al 5,7 %, mentre tra le famiglie con almeno uno straniero è cresciuta dal 25, 3 % al 26,3 %. In ge-
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nerale, non c’è netto peggioramento, ma sostanziale stabilità. Il mancato aumento di miseria a livello nazionale potrebbe essere letto come una buona notizia, però va considerato che il valore del 2020 è il più alto mai registrato da quando Istat pubblica i rapporti sulla povertà. L’anno di ripresa e un Pil rimbalzato del 6,6 % non rassicura. Infatti, pare che la ripresa abbia investito le fasce medie-alte dell’Italia, mentre la parte povera del Paese, dopo essere scivolata sotto la soglia di povertà durante la pandemia, è rimasta povera. Dunque, la miseria non cresce, ma nasconde una media molto eterogenea, citando le righe lette in un articolo: “In media tutti possono permettersi di mangiare un pollo all’anno, ma c’è chi ne mangia due e chi ne mangia zero”. Nel 2021 l’inflazione al di sopra della norma non ha aiutato il Paese. A subire l’aumento dei prezzi sono state le famiglie povere. Energie e alimenti, i bene più colpiti dal fenomeno inflattivo, hanno, per forza, un peso maggiore nelle case dei meno
abbienti. Prendendo in considerazione il bollettino Istat sull’inflazione di dicembre 2021, i prezzi per il 20 % più povero delle famiglie sono cresciuti in un anno del 2,4 %, contro l’1,6 % per le famiglie ricche. È importante tenere presente che i dati pubblicati non considerano il forte incremento dell’inflazione di questi ultimi mesi. Punto che fa presumere un ulteriore aumento dell’incidenza della povertà assoluta. Altra nota da considerare è l’azione della politica italiana durante la crisi pandemica nel mercato del lavoro. Sono stati premiati i dipendenti a tempo determinato e lasciati da parte precari e disoccupati. Oltre ad una ripresa economica che coinvolga il Sud del Paese, è importante un insieme di politiche che considerano anche i lavoratori poveri. In attesa dei dati del 2022, che non saranno migliori tra nuova crisi e inflazione alle stelle, il 2021 ha confermato un Paese pesantemente condizionato da disuguaglianze e povertà, e il massimo storico di povertà raggiunto nell’anno precedente.
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Oggi Musica di Gabriele Biancardi
PASSATA LA FESTA... ARRIVA MAITEA
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lla fine è accaduto per davvero. Davanti a circa 120.000 persone, Vasco ha regalato una serata da raccontare ai nipotini. Ma non sarà solo il pubblico a condividere con le proprie discendenze le storie legate alle ore di attesa, ad uno show “americano”, alle birre a 8 euro e alle lunghe ore di attesa per tornare a casa. No, ci saranno anche i gruppi trentini che da quel palco hanno visto la stessa marea di teste, hanno sentito le stesse mani applaudire, hanno vissuto la stessa emozione di chi per la prima volta si sono trovati in cima al mondo. Suonare per così tante migliaia di persone è l’occasione della vita. Atop the hill, Maitea, Michele Cristoforetti, the Rumpled, Hi fi Gloom e Toolbar. Sono loro che alla fine sono stati scelti tra decine di domande per poter calpestare il sacro suolo del Palco. Se lo sono meritato? A questa domanda potrebbero rispondere proprio chi c’era. Il lavoro dei “gruppi spalla” è sempre stato un grave rischio. Devono “scaldare” il pubblico, creare l’attesa, spesso sono non dico ignorati ma comunque non seguiti con grande attenzione. Invece pare che sia andato tutto bene, tant’è che gli stessi artisti, perché così vanno giustamente definiti, abbiano avute altre occasioni con Vasco per farsi sentire. Io ho parlato con Maitea che ha aperto il concerto successivo a Firenze. Mi ha detto che non avrebbe mai sognato di ripetere quella prima esperienza nella nostra città. Anche l’accoglienza è stata buona e questo alla fine da una speranza se non a tutti a molti. Il trentino è sempre stata terra di musici. Siamo piccoli, siamo in pochi,
eppure esiste un movimento musicale molto vivo e che tocca tantissimi stili sonori. Posso anche dire, perché ne ho sentiti tanti, che il livello è più che buono. ATOP THE HILL (gruppo bolzanino) Ci sono gruppi o solisti che sono sulla strada giusta. Oggi emerche tanto è sordo, e cominciano a gere in un mondo così fitto e veloce, pensare di vivere di musica. Il gruppo è davvero un’impresa. Ma se giri, nei romano lo potevi trovare cinque anni locali o nelle piazze, ti puoi fa sui imbattere in ragazzi (e anche meno marciapiedi con il berretto per racgiovani) che ci mettono passione e cogliere monete e ora... se ce l’hanno anche una certa tecnica. Non siamo fatta loro, perché noi no? Ecco. Mi solo la provincia che ha una corposa permetto dal basso della mia espestoria “bandistica”. Tra l’altro molti rienza di dire una cosa ai genitori. ragazzi si avvicinano alla musica Aiutateli a fare questo, trovate un proprio grazie al corpo musicale del posto dove possano fare prove, date proprio paese e da lì camminano con loro gli strumenti per poterci provare. le proprie gambe. In questi due anni Non c’è nulla di peggio di un rimpiandi chiusura forzata, ho sempre avuto to, meglio un rimorso. Certo, il lavoro un pensiero per questi giovani che in banca farebbe dormire meglio, ma scalpitavano per poter far sentire la per un sedicenne assomiglia ad una loro musica. Oggi siamo più liberi, condanna. Specie se alla sera si trova mi aspetto da parte delle amminiin cameretta a fare quadrare note e strazioni una visione più “larga” sul parole. Di andare in banca avranno far suonare. Rendere la burocrazia tempo, per coltivare un sogno meno. più agile. Ignorare per una volta la Poi pensateci, non è meglio averli signora del terzo piano che alle 22.01 sotto casa così li avete sott’occhio? Io chiama i vigili perché “ghe casin”. Noi a 14 anni dopo una stagione estiva che abbiamo i capelli più grigi, e con avevo di fronte due possibilità. O il un lavoro stabile, abbiamo affrontato motorino o la batteria. Ho scelto la la cosa con meno peso. Ma i ventenni seconda, non ho mai suonato negli che si trovavano in cantina a creare stadi, ma oggi a distanza di più di musica per due anni, facciamoli usciquaranta anni, ancora la carico in re. Credo che la “favola” dei Måneskin macchina e vado a suonare. I sogni, abbia dato speranza a tutti quelli anche se con meno aspettative, posche si trovano nel garage di nonno, sono comunque essere realizzati.
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Società e politica di Cesare Scotoni
LA POLITICA E L’INTERESSE GENERALE S
ono tempi complessi. Un’Unione Europea malamente allargata sotto la complice guida di un Romano Prodi ampiamente sopravvalutato in Patria, nel 2013 ha presentato il conto a quella Angela Merkel cancelliere tedesco allora in carica la cui statura, misurata sullo scarso parterre, sembrava altro ed al ghignante Nicolas Sarkozy, nel frattempo condannato ai domiciliari ed allora sostituito all’Eliseo da un François Gérard Georges Nicolas Hollande noto anche per le visite clandestine all’amante . La sempre invocata trazione “Franco Tedesca” dell’Unione si concretizzò quindi nel 2012 e fu un vero disastro. Però quella frana tra Londra e Berlino cominciò tra Roma e Bengasi e non, come si pensa oggi, in piazza Maidan, da allora “Euro Maidan” in segno di scherno. Quella roba andava archiviata e la NATO doveva poter arretrare e ribilanciare uno strapotere tedesco costruito su troppi compromessi e l’uomo di Londra che Berlusconi (con molti altri) volle alla BCE prima giocò da Frankfurt e poi da Roma. Noi, dalla periferia dell’Impero cosa possiamo notare? Che i tanti cadaveri che ci son passati davanti agli occhi mentre guardavamo il Fiume non erano Morti. O forse ancora rivendicano delle posizioni da difendere perché non han capito che nel frattempo li ha uccisi la Storia. La Conservazione prevede da sempre il Cambiare Tutto per Non Cambiare Alcunché, ma si riferisce ai Burattinai e non ai troppi burattini. Le scelte dell’ultimo biennio hanno archiviato
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Nicolas Sarkozy (da Wikipedia)
Angela Merkel (da Wikipedia)
anche la pretesa di riconoscere almeno formalmente alle Costituzioni il Valore Fondante per le Comunità che su quelle si basano. Il Compromesso come Arte del Possibile ha lasciato spazio alla Prepotenza di Governi la cui Legittimazione prescinde ormai dal Consenso. Il danno attraversa così le singole Comunità Nazionali. A quel punto del racconto però le scelte sbagliate cessano di invocare forme di condivisione delle colpe e divengono responsabilità precise. Proprio su questo si gioca una Nuova Complessità che chiederà molti riposizionamenti, altrettanti passi indietro e la rinuncia da parte dei più a tre decenni di slogan ormai disgiunti da ogni significante. Questo per accadere ha bisogno che più di una parte riconosca la propria oggettiva e devastante inadeguatezza e ricomponga i pezzi di un Progetto che, così come si pone oggi, non contenta alcuno e danneggia troppi. L’Alleato d’Oltre Atlantico la sua capacità di leadership la perse nei comportamenti di Blair e Bush, ma ciò non toglie che per molti il duo Merkel – Sarkozy sia stato una iattura. E chi ha celebrato quelle scelte, ma anche chi ha solo taciuto deve trovare il modo per spiegare quelle scelte. Difficile. Molto difficile. Prendiamo a riferimento ciò che più da vicino tocca questi nostri territori di confine. Confine degli Stati, degli Eventi e della Storia. Come possono pensare coloro che han fatto quelle scelte sbagliate, che la gente ha pagato e continua a pagare, di poter vantare una credibilità che non passi
Società e politica da quei processi di revisione dei meccanismi decisionali che tutelino i più deboli dal ripetersi dello scempio? La Costituzione o è Garanzia per Tutti o non è. Questa la prima dura lezione che viene dalla superficialità con cui quella è stata docilmente piegata, da pochi e deboli, all’Opportunità ed all’Opportunismo. La seconda lezione riguarda l’uso che troppe di quelle forze politiche che profondamente schifano l’impianto della Costituzione Repubblicana, senza produrre un’idea di assieme sul valore del Consenso su di un Interesse Nazionale, fanno del malcontento o dei malcontenti che, come banale strumento di costruzione del Consenso diventano soggetto anziché oggetto dell’Azione Politica. Il risolvere i problemi della gente, nell’ambito di un Interesse Generale che per certo non può non interessare l’evoluzione multipolare del
Mario Draghi (da Wikipedia)
consesso internazionale dopo la fine di un Bipolarismo morto 33 anni fa, è il senso di un’Azione Politica che non
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può rifugiarsi nell’Astrazione, né ridursi a mera gestione dell’Ordinario. I Cambiamenti richiedono Idee, tempo e idee. Non si può scambiare la ricerca di vuota visibilità come fine dell’agire politico, perché quel consenso così ottenuto si fonda sul nulla e si riduce a reazione pavloviana. In Italia è dal 1994 che si contrabbandano di volta in volta la gestione delle risorse più o meno scarse o gli interessi di pochi, come obiettivi necessari al conseguimento del Bene Comune. L’uso proposto da parte del Governo Draghi dell’incompleto e non funzionale PNRR voluto dal Governo Conte sostenuto dal PD è in quest’ottica l’ultimo e più disastroso esempio di Impotenza della Politica. Speriamo solo che sia l’ennesimo fallimento di una burocrazia orfana di una Politica che agisca nel perseguimento di un Interesse Generale.
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Protagonisti del nostro mondo di Waimer Perinelli
IL MONDO VISTO CON GLI OCCHIALI DI DEL VECCHIO L
a comunità di Agordo ha donato due pezzi della sua terra a Leonardo Del Vecchio. Sul primo, molto ampio, l’imprenditore ha costruito le fondamenta dell’impero Luxottica; sul secondo, più piccolo, ha voluto fosse onorata la sua salma. Leonardo De Vecchio è morto il 27 giugno scorso all’età di 87 anni lasciando al mondo intero un’eredità di miliardaria ma e soprattutto un modello imprenditoriale. Era nato a Milano nel 1935 da genitori emigrati dalla Puglia, ultimo di quattro figli. Il padre muore poco prima della sua nascita e la madre lo affida all’ orfanatrofio Martinitt, la struttura per orfani o bimbi abbandonati, fondata nel XVI secolo dal nobile veneziano san Girolamo Emiliani. Era consuetudine in quegli anni incontrare per la vie milanesi i ragazzini, in fila per due, con i capelli rasati, il berrettino con la visiera rigida e la mantellina grigia. Leonardo rimane nell’orfanatrofio fino al termine delle scuole medie. A 14 anni trova lavoro come garzone alla Johnson dove si incidono coppe e medaglie e la sera studia arte e incisione a Brera. Aveva 26 anni quando la comunità di Agordo offre un terreno a chiunque s’impegni ad avviare un’azienda. Inizia così l’avventura della Luxottica Group la fabbrica mondiale produttrice di montature, occhiali finiti, proprietaria come
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EssilorLuxottica dei più prestigiosi marchi internazionali. Una produzione globale che inizia nel 1961 nel fazzoletto di terra bellunese e si espande grazie all’ingegno e alla creatività di Del Vecchio. Produceva soprattutto parti per conto terzi ma un giorno assieme al collaboratore ed amico Luigi Francavilla decise Leonardo Del Vecchio (da Biografieonline) di partecipare al Mido, la grande fiera di Milano. “Con Tarantino, sono le scelte manageriali una decina di modelli ideati da me e che hanno segnato la crescita del suo da Luigi, amava raccontare, ci siamo impero che oggi conta 9mila negozi presentati alla fiera. Eravamo timorosi in tutto il mondo e 80 mila dipendendi non riuscire a vendere nulla, invece fu ti, almeno 5 mila negli stabilimenti un successo. Il nostro futuro era camdel bellunese e 600 circa a Rovereto. biato per sempre”. Del Vecchio acquisisce nel tempo Creativo, pratico, rispettoso dei suoi potere ed esperienza anche in gruppi collaboratori, dipendenti, queste le bancari ma di lui è bene ricordare la qualità principali di Leonardo De disponibilità verso gli altri. Nei suoi Vecchio. stabilimenti introduce e rispetta l’oInvestire in negozi di proprietà e acrario flessibile, il nido per le lavoratrici quistare marchi importanti e fra quemadri e incentiva la partecipazione sti i mitici Ray-Ban, quelli per intenazionaria dei dipendenti al gruppo derci indossati di Blues Brothers, da industriale. Di sè diceva:«Sono creJohnny Depp, dalle Iene di Quentin sciuto senza padre e in istituto. Crescere senza famiglia è qualcosa che non si può spiegare. Ti segna» Per essere uno senza famiglia è stato capace di formarne una con 80 mila persone che nel giorno del suo funerale, in tutto il mondo si sono fermate in segno di affetto e stima.
Tra fumetti, arte e creatività di Armando Munao’
ELENA CASAGRANDE
Sogni di china In esposizione a Castel Ivano i lavori della fumettista romana approdata negli USA.
P
er l’estate 2022 il circolo Croxarie, attivo dall’ottobre 1990 a Strigno, membro fondatore dell’Associazione Ecomuseo della Valsugana, propone, nello Spazio Civico Albano Tomaselli di Castel Ivano dal 25 giugno al 4 settembre, un’incursione nel mondo del fumetto contemporaneo, presentando i lavori di Elena Casagrande, fumettista romana, classe 1983. Dopo il Liceo Scientifico, Elena si diploma alla Scuola Internazionale di Comics a Roma, e, in breve, dalla Scuola del fumetto della capitale raggiunge l’America e grazie alla sua tenacia, creatività e alla indubbia bravura, aprendo le porte di editori prestigiosi come Marvel, DC e IDW, disegnando personaggi come Spiderman, Spitfire, Red Hulk, e varie copertine, fino alla conquista, nel 2021, del prestigioso Eisner Award
per la serie Marvel dedicata a Black Widow. L’Eisner, giova ricordarlo, sta al fumetto come l’Oscar sta al cinema Lo Spazio civico Albano Tomaselli è da qualche anno presente nel panorama espositivo e culturale trentino con una serie di mostre che animano l’estate attraverso proposte che hanno toccato il mondo dell’arte nelle sue più diverse espressioni, dalla grafica all’incisione, dalla fotografia alla pittura. Le tanto amate vignette hanno una data di nascita universalmente riconosciuta, domenica 5 maggio 1895 il supplemento a colori del New York World pubblica per la prima volta le avventure di Yellow Kid di R.C. Outcalt, una grande vignetta dove appaiono le caratteristiche “nuvole” che contengono i dialoghi dei personaggi. Intrattenimento, certo, ma nella sua lunga storia il fumetto è stato anche altro; testimone della società, promotore di riscatto sociale, strumento per promuovere valori, arma potente dello status quo come delle più importanti battaglie civili. La sua popolarità ha attraversato confini e generazioni per arrivare fino a noi grazie alle grandi multinazionali come Marvel e DC ma anche a piccoli e tenaci editori, molti di questi italiani, che lavorano con passione allevando talenti che ogni tanto escono dal piccolo recinto degli appassionati per raggiungere un pubblico più ampio. Elena Casagrande è dunque la protagonista di una mostra che vuole
Elena Casagrande
rendere omaggio al suo talento, grazie al quale ha saputo mescolare i manga delle letture giovanili a una robusta conoscenza della storia del fumetto americano per rileggere il tutto attraverso un segno originale e affascinante, con l’augurio, rivolto soprattutto ai giovani, di seguire con passione e tenacia i loro sogni. La mostra, aperta dal lunedì alla domenica, 9-12 e 15-18, chiusa di martedì, è organizzata dal Circolo Croxarie in collaborazione con il Comune di Castel Ivano, la Provincia autonoma di Trento, Litodelta, l’Ecomuseo della Valsugana, la Comunità Valsugana e Tesino, il BIM Brenta, l’APT Valsugana Lagorai e la Cassa rurale Valsugana e Tesino. In mostra è disponibile il catalogo dell’esposizione (formato 17x26cm, copertina cartonata, 216 pagine). L’esposizione è disponibile in formato digitale su IZITravel.
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Qui USA di Francesca Gottardi *
Ketanji Jackson fa la storia La prima donna afroamericana alla Corte Suprema USA
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l 7 aprile 2022 il senato ha confermato Ketanji Brown Jackson alla Corte Suprema statunitense. La giudice Brown, candidata del presidente USA Joe Biden, è la prima donna (e terza persona) afroamericana, a coprire il prestigioso incarico nei 232 anni di storia della Corte. Prenderà il posto del giudice Stephen Breyer, che andrà in pensione in estate, dopo aver servito alla Corte per 42 anni. Per la prima volta ci saranno quattro donne al massimo organo della giustizia statunitense e gli uomini bianchi non saranno in maggioranza. Il presidente Joe Biden ha commentato la notizia affermando che si tratta di un momento storico per gli Stati Uniti e che si è fatto un passo importante per “rendere la nostra Corte un luogo che rifletta le diversità dell’America.” Kamala Harris, prima vicepresidente USA di colore, è a stento riuscita a contenere l’emozione nel comunicare lo storico esito del voto. Al Campidoglio, la conferma è stata accolta con un fragoroso applauso.
La Corte Suprema
La nuova giudice è stata confermata al Senato con 53 voti a favore e 47 contro. Il presidente Biden soddisfa così una delle sue promesse elettorali: quella di nominare la prima donna nera alla Corte Suprema. Ketanji Brown Jackson, 51 anni, è tra le più giovani giudici che siederanno alla Corte, seconda solo ad Amy Coney Barrett. Figlia di un ex insegnante di storia poi diventato avvocato e di una dirigente scolastica, la giudice
Brown Jackson si è laureata in giurisprudenza ad Harvard ed ha lavorato per molti anni prima come avvocato, poi come giudice. La sua dedizione per il servizio pubblico emerge già negli anni dell’avvocatura. Prima di diventare un giudice, Jackson ha infatti lavorato come difensore d’ufficio per imputati indigenti. Nonostante la portata storica dell’evento, la conferma di Ketanji Brown Jackson non altererà gli equilibri
Annullata la sentenza Roe contro Wade: negli Stati Uniti l’aborto non è più un diritto costituzionale Il 23 giugno 2022 la Corte Suprema USA ha ufficialmente sancito la fine del diritto all’aborto. Da oltre 50 anni, la sentenza Roe contro Wade aveva protetto il diritto delle donne americane di aver accesso all’aborto sicuro. Il massimo organo della giustizia statunitense ha però stabilito che questa competenza non spetta allo stato federale su base nazionale, ma ai singoli 50 stati. Ci si aspetta che la metà degli stati USA adotteranno misure legislative per restringere in modo significativo la possibilità di abortire. Alcuni stati, come l’Arizona, si sono adoperati il giorno stesso per implementare queste misure. Altri, come il Texas, avevano già da qualche mese messo in atto misure draconiane che di fatto impediscono alle donne di abortire. La sentenza dà le basi per mettere in discussione altri diritti fondamentali attualmente protetti dalla Costituzione USA, quali la possibilità per le persone dello stesso sesso di sposarsi ed avere relazioni intime e l’accesso alla contraccezione.
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Qui USA
Ketanji Brown Jackson (2020)
ideologici della Corte Suprema USA. I giudici di orientamento conservatore, che sono sei, rimangono in decisa maggioranza rispetto a quelli di orientamento liberale, che invece sono tre. Il grande impatto della
giudice sarà quello di portare all’interno della Corte la sua esperienza di donna afroamericana. Per la maggior parte della storia della Corte la popolazione afroamericana, che costituisce quasi il 13% della popolazione complessiva USA, non ha avuto adeguata rappresentazione. È inoltre solo la sesta donna ad essere eletta giudice al massimo organo di giustizia USA. È proprio sulla sua esperienza di donna e madre che ha puntato durante la fase delle udienze di conferma al Congresso, sostenendo di aver affrontato numerose sfide per gestire carriera e maternità ed ammettendo di non avercela sempre fatta a bilanciare le due cose. La giudice è sposata con un chirurgo di Boston ed ha due figlie adolescenti. Una delle immagini della figlia che guarda orgogliosa la madre durante una delle udienze ha fatto il giro
del mondo per la sua importanza simbolica. Il mandato di Ketanji Brown Jackson inizierà ufficialmente il 30 giugno con il giuramento e con il pensionamento di Stephen Breyer. Le sue visioni politiche e del diritto verranno subito messe alla prova. Particolarmente in luce del recente annullamento della sentenza Roe contro Wade, che garantiva l’accesso all’aborto a livello federale e su tutto il territorio USA. Ci si aspetta che nei prossimi mesi la Corte sarà chiamata a deliberare su altre questioni sociali e politiche molto controverse, quali il matrimonio gay e l’accesso alla contraccezione. Staremo a vedere come si posizionerà la nuova giudice. *Francesca Gottardi, avvocato, docente universitario, è nostra corrispondente USA
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Le leggende del Tesino di Andrea Casna
Il Sanguanèlo Fra i molti personaggi fantastici che animano il folklore popolare del Tesino troviamo il Sanguanèlo. Ma non solo in Tesino. Molte leggende del Trentino e del Feltrino hanno come attore principale questa figura mitologica dalle origini molto incerte.
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a chi è il Sanguanèlo (detto anche Martorèo o Martorèlo)? Il Sanguanèlo è una figura simile ad un folletto che, come detto sopra, fa parte del panorama folkloristico delle nostre vallate. E, per certi aspetti, come narrano le leggende, era il terrore degli abitanti del Tesino. Amava, infatti, fare scherzi alle persone, ai bambini e agli animali. Con i bambini disobbedienti non andava certo leggero. La sua attività principale era andare di notte a caccia di bambini ai quali succhiava il sangue dopo averli catturati e immobilizzati. Era una sorta di vampiro ma, a differenza dei classici succhiasangue, utilizzava delle tecniche di persuasione assai, potremmo dire, in un certo senso scontate. Infatti si presentava alle sue future vittime vestito semplicemente di verde indossando un berretto rosso pieno di sonagli. Ma, se di luna buona, sapeva anche essere un vero burlone perché amava scherzare con uomini e donne facendo però (c’è sempre il però perché alla fine il Sanguanèlo è sempre il Sanguanèlo) perdere l’orientamento per condurli, di notte, per vie e sentieri sconosciuti. Amava anche divertirsi con gli animali ai quali, come si legge in molte leggende, annodava, per diletto, le code. Ma come la gran parte dei personaggi mitologici dell’arco alpino, anche il Sanguanèlo, come le anguane o le fate, poteva rivelarsi un prezioso aiuto
per la gente del posto. Unica regola? Non tradire la sua fiducia. Si narra, infatti, che un servo di casa Buffa, al quale i padroni avevano affidato la gestione di un Maso in località Malene, era spesso in paese, nell’osteria, a breve e a mangiare, con ovviamente i suoi amici, fino a tarda notte. Ai Buffa sorse il sospetto e iniziarono a porsi qualche domanda: «Ma guarda quel servo -si diceva da qualche giorno in casa Buffa. È sempre in osteria a fare festa. Chi manda avanti il maso? In che condizioni saranno le nostre povere bestie?». Dopo qualche giorno i Buffa, mentre il servo era in osteria, salirono di nascosto al maso e, sorpresa delle sorprese, trovarono
tutto in ordine: la casa ben tenuta senza un filo di polvere, le bestie nutrite e la stalla ben pulita. Il giorno seguente i Buffa chiesero al servo: «Come fai a tenere il maso in ordine se sei sempre a far festa giù in paese?». E il servo, con ancora da smaltire la sbornia del giorno prima: «Ma no... signor Buffa...il merito è tutto del Sanguanèlo. È lui che fa tutti i lavori per me: pulisce la casa, ordina la stalle e si prende cura delle mucche». La sera stessa, al rientro dalla solita festa in osteria, il servo trovò le bestie con le code legate, la casa sottosopra e la stalla sporca di letame. Era stato il Sanguanèlo per vendicarsi dell’amico che aveva svelato il segreto.
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Il personaggio di Claudio Girardi
SUOR ELENA BOSETTI
È
nata di agosto al Maso Rover baciata dal sole del Trentino, inebriata dal profumo di vigneti e frutteti, cullata dal suono dolcissimo delle campane di Maria Ausiliatrice. E’ la primogenita di tre fratelli e due sorelle, immenso dono di mamma Pia e papà Cornelio. Da piccola sognava di fare la missionaria nelle Filippine, viaggiare, attraversare monti e mari... era curiosa, amava studiare e incontrare genti di varie culture.Stiamo parlando di Elena Bosetti, suora di Gesù buon Pastore della famiglia Paolina, che ha conseguito il baccellierato in filosofia e la licenza in teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Dopo aver trascorso diversi periodi di ricerca a Gerusalemme presso lo Studium Biblicum Franciscanum e l’École Biblique, ha conseguito con somma lode il dottorato in teologia alla Gregoriana, dove ha insegnato teologia ed esegesi del Nuovo Testamento. Per diversi anni ha commentato il
Vangelo della domenica nel programma televisivo “A sua immagine - Le ragioni della speranza” (Rai 1). Ha contribuito a qualificare teologicamente le suore della sua Congregazione avviando il CTP (Corso di Teologia Pastorale) affiliato al Pontificio Ateneo Antoniano (Roma). Oggi conduce la rubrica “Percorsi biblici” su Radio Maria (ogni quarto sabato del mese, dalle 21,00 alle 22,30); si dedica alla formazione biblica, al ministero della Parola, alla guida di ritiri e di esercizi spirituali, in Italia e all’estero. Suor Elena, è in arrivo l’estate, quali consigli per i lettori? Estate in arrivo e dunque possibilità di fare il pieno di aria pura, di
Chiesetta Maso Rover & Casa natale
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Suor Elena Bosetti
passeggiate in montagna, tra valli e boschi… Ma per godere davvero della bellezza che la natura ci offre non basta andare in montagna e tuffarsi nella natura. Occorrono occhi di stupore, pieni di meraviglia come quelli dei bambini. “Noi non vediamo le cose come sono, vediamo le cose come siamo”, recita un detto del Talmud. E dunque con quale animo affrontiamo l’estate? Anche la natura più bella potrebbe apparire opaca se il tuo animo è offuscato. Pensa di passare qualche giorno in Trentino? A Dio piacendo direi proprio di sì, e non solo per impegni, anche per ossigenarmi. Recentemente a fine di giugno ho tenuto un corso di esercizi spirituali alle Orsoline nella splendida casa di “Villa Moretta”, in quel di Pergine. Poi ho fatto qualche giorno di relax con i miei cari al Maso Rover (Pressano) dove sono nata, e sul lago di Caldonazzo dove mia sorella ha una roulotte e una comoda piazzola
Il personaggio in campeggio. Sogno già di fare belle e lunghe passeggiate anche a Levico e dintorni dove ho ricordi bellissimi vissuti con la mia mamma, godendo le acque termali e il meraviglioso parco con la Villa dell’imperatrice Sissi. Progetti da sviluppare in Trentino? Carissimo, non è in mio potere organizzare eventi e progetti nella Provincia autonoma di Trento. La mia residenza è altrove (attualmente a Verona) e sono spesso itinerante nelle varie Diocesi di Italia e anche all’estero. Mi è però molto gradito, quando è possibile, rispondere a richieste specifiche, a progetti culturali e religiosi organizzati dalle parrocchie e dalla diocesi di Trento. La scorsa Quaresima, ad esempio, sono stata invitata da don Lamberto, parroco della comunità di Lavis-Pressano-Sorni e anche di Giovo in Val di Cembra, a predicare ogni mercoledi i Quaresimali… Abbiamo vissuto un percorso sinodale sulla traccia del Vangelo di Luca, un percorso che ad ogni tappa ha visto coinvolte nell’animazione le diverse comunità parrocchiali. L’entusiasmo suscitato non si è esaurito con la fine dell’evento perché Don Lamberto ha già lanciato una nuova proposta decisamente coinvolgente: mi ha chiesto di guidare un pellegrinaggio in Terrasanta preceduto da accurata preparazione biblica. Dunque, in Trentino avrò diverse occasioni per ritornare anche nel prossimo anno pastorale. Lei gira spesso in tutta Italia, secondo lei ogni persona ha qualcosa da darci? E se sì, secondo lei i Trentini che cosa le hanno dato? Non c’è dubbio che ogni persona, per il fatto stesso di essere unica e originale, ha molto da darci. Noi siamo le nostre relazioni. Incontrare l’altro, ogni “altro/a” qualsiasi esso sia, lo ritengo una grazia speciale. È proprio nell’incontro, guardandoci negli occhi senza pregiudizi e presunzioni, che ci
Parlo della bellezza del Trentino
è dato di cogliere in ogni persona un raggio della bellezza divina. A volte è più facile cogliere la bellezza di Dio nella natura (in un fiore, nel bosco silente, nelle vette mozze fiato delle Dolomiti…) che nelle persone. Ma sarebbe sconcertante lodare Dio per il sole e per le stelle e non avere occhi per le persone che ci vivo accanto, per l’uomo e la donna che Dio ha creato a sua immagine. Dunque, cosa consiglio per le vacanze? Di riempirsi gli occhi della bellezza e bontà della creazione e al contempo aprire occhi e cuore per incontrarci come fratelli e sorelle. Possiamo incontrare persone nuove sulle strade alpine ma anche, magari, alla stazione di servizio dove ti fermi per fare benzina o al mercato, facendo la spesa. Per dirla con papa Francesco, abbiamo bisogno di una “ecologia integrale”, rispettosa della madre terra e di tutte le sue creature, dalle piante, agli animali, agli umani. Suor Elena, cosa le hanno dato i Trentini? Mi hanno dato le radici, il DNA delle montagne, il senso del dovere e anche dell’ironia. Mai prendersi troppo sul serio. Le montagne stanno lì a ricordarci che a salire si fa fatica, ma quando sei sulla cima l’orizzonte si allarga e ti sembra di toccare il cielo.
Non potrei pensarmi Elena senza il Trentino. Nuovi progetti in cantiere, può illustraceli? Ebbene sì. Ho progetti di carattere editoriale e progetti formativi. Curo la collana “Tra Bibbia e psicologia” per la Cittadella editrice di Assisi. E ho varie scadenze di libri in cantiere… Inoltre sono coinvolta in progetti formativi della Famiglia Paolina fondata dal beato don Giacomo Alberione, composta di 10 diverse realtà, congregazioni religiose, istituti secolari, famiglie e cooperatori, accomunati dalla medesima spiritualità che pone al centro Cristo Via Verità e Vita e la comunicazione del Vangelo che occorre annunciare, secondo don Alberione, con la passione dell’apostolo Paolo che si è fatto tutto a tutti, avvalendosi a tale scopo di tutti i mezzi che il progresso ci offre, dalla editoria alla radio alla Tv ai vari social. In particolare io collaboro al corso di formazione annuale sul carisma della famiglia Paolina, mettendo in luce i fondamenti biblici. Ho in vista anche viaggi di predicazione all’estero, a partire dalle Filippine dove guiderò di esercizi spirituali ai Sacerdoti Paolini e agli membri della Famiglia Paolina. Insomma, lavoro e progetti non mancano. Ma finché Dio mi dà le forze e la buona salute, cosa c’è di più bello che restituire i doni ricevuti?
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Valsugana e mobilità di Laura Mansini
In attesa delle Olimpiadi invernali del 2026
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inalmente si parla anche in Valsugana di Mobilità alternativa. Nell’assemblea dei soci dell’APT Valsugana, avvenuta a Levico lo scorso giugno, durante la quale si è rilevato il bilancio positivo con l’incremento delle attività privatistiche ed un lusinghiero fatturato che è arrivato a superare i 2,6 milioni di euro, il presidente Denis Pasqualini ha sottolineato l’importanza di rendere sempre più appetibile il nostro territorio per un turismo sostenibile, rivalutando vecchi sentieri, riprendendo la costruzione della circumlacuale del lago di Caldonazzo, già iniziata con gli accordi di programma dei primi anni 2000 che ora da Calceranica porta a Pergine. Fra le proposte da riprendere è stata sottolineata l’importanza di una Funivia che possa collegare il fondovalle con gli Altipiani. Evviva ! Correva l’anno 2002 quando un gruppo di amministratori ed operatori turistici, forse visionari, certamente innamorati del proprio territorio decisero di formare un comitato teso alla realizzazione di una Funivia che potesse collegare l’Alta Valsugana agli Altipiani Cimbri. Devo dire che all’entusiasmo dei fondatori, i quali si diedero il nome di “Avianova”, non ne corrispose uno altrettanto importante da parte degli amministratori Provinciali, e da quelli turistici del tempo. Non si era capita l’importanza strategica di una funivia che andasse da Caldonazzo a Monterovere calcando le orme della funicolare usata durante la prima guerra mondiale dagli Austriaci nel 1915 che partiva dalla ferrovia di Levico fino agli Altipiani. L'Alta Valsugana aveva già visto sfumare
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la possibilità di collegare Levico alla Panarotta con una funivia, progettata negli anni 90, che godeva di progettazioni, finanziamenti, aiutando in tal modo il turismo locale, dopo anni di impegni dei vari amministratori. Avianova era certa che la nuova idea, avrebbe potuto creare importanti opportunità turistiche, ecologicamente compatibili collegandosi con Folgaria, Lavarone, Luserna....Naturalmente adeguando nel tempo una mirata rete ferroviaria che collegasse le nostre terre. Presentata ufficialmente nel 2006 Avianova sembrò decollare, ma invano il Comitato per molti anni ha cercato di coinvolgere la Provincia. Si dovette arrivare al 25 gennaio 2012 per vedere approvata all’unanimità dei consiglieri provinciali la Mozione presentata da Nerio Giovannazzi, (che è di Dro) . Seguirono le mozioni approvate dai comuni di Luserna (6/07 2012), Lavarone (28/07/2016), Tenna (20/04/2017), Caldonazzo (19 07 2017), La Magnifica Comunità degli Altipiani Cimbri ( 28/09/2017). Levico Terme (30/10/2017) il Consiglio Comunità dell’Alta Valsugana e Bersntol
il 19/04/2019 con 4 astenuti. L’ultima approvazione è venuta da Folgaria il (30/ 07/ 2020). Ora attendiamo. Forse è finalmente giunto il tempo che due delle più belle terre del trentino vengano adeguatamente valorizzate, sperando nelle Olimpiadi invernali del 2026. Il Giro d’ Italia con il passaggio sul Menador ha dimostrato la grande bellezza dei nostri territori che sanno offrire Terme, piste da sci, passeggiate, laghi che hanno incantato Freud, Musil ed anche il grande martire trentino Cesare Battisti, che scrisse in uno dei suoi volumi sul Trentino :” Il paese di San Cristoforo si trova a Nord del Lago e fra le attrattive del luogo vi è la stazione di partenza di un piccolo Battello che nei giorni festivi percorre il lago. Una fresca brezza increspa sempre il boschetto sulle rive che nel pomeriggio dei giorni festivi fa diventare la Valsugana il Parco dei cittadini di Trento.” Forse riuscire a collegare adeguatamente treni, funivie, piccoli battelli, ci aiuterebbe a riscoprire antiche bellezze, sommerse ora dal traffico di Camion durante la settimana e di automobili il sabato e la domenica.
Fondazione Il nostro investimento sul futuro La Fondazione Valtes nasce per promuovere, soprattutto tra i giovani, futuro del nostro territorio, cultura, modi di vita sani e sostenibili, coesistenza cooperativa e tutela ambientale, per un nuovo modello di comunità generativa.
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Una quattro giorni sul futuro della democrazia di Massimo Dalledonne
TRENTINO 2060
Borgo Valsugana diventa luogo di incontro e confronto di economisti, giornalisti, docenti, filosofi e influencer
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una quarta edizione di Trentino 2060 che punta ad innalzare il suo livello, quella che si terrà dal 14 al 17 luglio 2022 a Borgo Valsugana. Non più una piccola rassegna, ma un vero e proprio festival; non più una sola punta di diamante, più o meno discussa, come accadeva negli anni precedenti, ma una quattro giorni intensa, capace di convogliare su Borgo grandi nomi e importanti relatori, per dar vita ad una discussione libera e varia sui principali temi di attualità, legati alla politica e alla società. “Le sfide e il futuro della democrazia occidentale”, questo il tema sul quale si incontreranno e scontreranno giornalisti, economisti, filosofi, docenti e pensatori vari. «Motore del Festival è l’Associazione culturale Agorà, un gruppo di ragazzi under30 – ha chiarito il direttore scientifico Davide Battisti, ricercatore in Bioetica all’Università dell’Insubria e professore a contratto di bioetica all’Università degli Studi di Milano, nel corso della conferenza stampa di presentazione tenutasi al MUSE – preparati e competenti che avvertono la responsabilità di contribuire allo sviluppo della propria comunità e cercano di farlo attraverso la promozione di una riflessione critica e razionale sulle questioni più urgenti dell’oggi. L’obiettivo è quello di creare uno spazio di dialogo per costruire un futuro che sia sostenibile sotto ogni punto di vista». Saranno quattro giorni di confronti intensi grazie anche al sostegno economico messo in campo dalla Cassa Rurale Valsugana e Tesino, che fin dall’inizio ha appoggiato e sostenuto questo laboratorio locale di giovani del territorio. «La
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Cassa Rurale – ha affermato il presidente, Arnaldo Dandrea - interpreta convintamente il ruolo di co-promotrice della manifestazione. Siamo consapevoli che l’apporto prezioso di tutte queste giovani competenze ed energie è uno strumento eccezionale oltre che di sviluppo di idee su temi così importanti, anche di crescita delle nostre comunità. Il tema di quest’anno, poi, è particolarmente stimolante: per cercare di “agire” al meglio la democrazia, penso ci si debba assumere proprio la responsabilità circa la fatica e la bellezza dell’informarsi, dell’ascoltare, del conoscere, dell’aprirsi a punti di vista nuovi». Un pensiero da cui parte anche Agorà: «Riteniamo che i fenomeni degli ultimi tumultuosi decenni, dalla pandemia, alla recente guerra in Ucraina, fino ad arrivare al cambiamento climatico e le tecnologie, abbiano messo in luce dei problemi strutturali del sistema democratico – ha aggiunto infatti Battisti -. Un sistema, questo, che nonostante la sua imperfezione intrinseca, garantisce una tutela di valori irrinunciabili come la libertà, il pluralismo e lo stato di diritto. È pertanto imprescindibile discuterne per essere in grado di affrontare ostacoli
Gherardo Colombo (by Stefano Bolognini - da Wikipedia)
Cathy La Torre
sempre meno aggirabili e rispondere alle richieste di una società in rapido
Una quattro giorni sul futuro della democrazia
Lucrezia Reichlin
mutamento». In questa direzione va allora la scelta di far coesistere nell’intenso programma, ospiti come Gherardo Colombo, un ex magistrato, giurista, e saggista divenuto famoso per le inchieste Mani Pulite e Loggia P2, che interverrà venerdì sera alle 20:45; Lucrezia Reichlin, economista, docente di Economia alla London Business School e, per un istante, papabile premier del governo Mattarella, che interverrà a Trentino 2060 domenica alle 20.45; Cathy La Torre, avvocata specializzata in diritto di genere, il cui successo deriva dalla sua attività social e che porterà il suo punto di vista giovedì alle ore 20.45. E ancora, il sindacalista Marco Bentivogli (venerdì alle 18.30); Annamaria Lusardi (sabato 18.30), economista, docente di Economia alla George Washington University e fondatrice del Global Financial Literacy Excellence Center; il giornalista e analista geopolitico, noto per la sua ricorrente presenza su La7, Dario Fabbri (sabato alle 21.15); e un’inviata diventata celebre grazie anche al podcast “Stories” di Chora Media, Cecilia Sala (domenica alle 10.30). Molteplici percorsi, molteplici visioni, molteplici media a sostegno, «per dimostrare – ha concluso Battisti – come Trentino 2060 sia un luogo dove diversi modi di fare comunicazione si possono e si devono confrontare al fine di arricchirsi vicendevolmente, restituendo così ai partecipanti dei momenti di informazione e approfondimento, utili per “decidere” in un mondo complesso come il nostro». Chiuderà il fitto programma – disponibile completo sul sito trentino2060.it e nato dalla co-promozione con Cassa Rurale Valsugana e Tesino e dalle partnership con il Comune di Borgo Valsugana, Pensplan Centrum, Fondo Comune delle Casse Rurali del Trentino, Acqua Levico, Arte Sella e MUSE - un extra-festival giovedì 21 luglio alle 20.45 con lo spettacolo di Paolo Rumiz in collaborazione Fondazione Alcide Degasperi.
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Economia ed energia di Marco Niccolo’ Perinelli
LE COMUNITÀ ENERGETICHE: ALLA LUCE DEL SOLE
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ttenti al gas! Tra guerre e speculazioni la prima fonte energetica della nostra industria nazionale sta vacillando, sia come prezzi che come quantità. E allora lo Stato promuove le fonti alternative come le idroelettriche molto appetibili per il Trentino ricco d’acqua e le solari, più adatte al sud Italia ma valide anche per alcune nostre località, Valsugana compresa. A Pergine, Caldonazzo, Levico, Calceranica e Tenna, paesi affacciati su due laghi, esposti favorevolmente a sud, la possibilità di produrre energia elettrica con l’impianto fotovoltaico è una realtà. Ne ha fatto tesoro la Cassa Rurale Alta Valsugana che ha esposto un progetto specifico, ma anche i singoli paesi si sono mossi e stanno nascendo comunità energetiche dal basso. Il 16 giugno, per esempio, è stata registrata presso l’Agenzia delle entrate di Trento, la prima Comunità energetica del Trentino promossa da cittadini privati coadiuvati dagli enti locali. Sono già quaranta le famiglie, di Pergine, Caldonazzo e Tenna che hanno firmato l’Atto costitutivo e lo Statuto, della Comunità energetica di cui si è fatto promotore ed interprete l’ingegner Roberto Valcanover che di centrali elettriche se ne intende avendone gestita una in prima persona. “Lo scopo principale della Comunità energetica, dice l’ingegner Valcanover, è fornire benefici ambientali, economici e sociali a livello di comunità ai propri membri o alle aree locali in cui opera, piuttosto che profitti finanziari.” Il concetto è stato espresso una prima volta lo scorso 4 aprile in una serata pubblica all’interno del programma de “I lunadì dell’Ortazzo”, dedicata a “Energie rin-
novabili e condivise contro il caro bollette”, il tema è divenuto di dominio pubblico e in breve tempo le persone hanno voluto saperne di più, incontrandosi, confrontandosi e scambiandosi idee. Un comitato promotore, presieduto dall’ingegner Valcanover, ha verificato i diversi aspetti, da quelli burocratici e giuridici, a quelli economici. Dopo aver redatto e condiviso l’Atto Costitutivo e lo Statuto, è iniziata una campagna di raccolta firme, con una cifra di adesione di 50 euro a testa, che ha permesso di dare vita all’Associazione di Comunità Energetica Rinnovabile Tenna (CER Tenna). Alcuni dei soci diverranno produttori, installando sui propri tetti pannelli fotovoltaici, mentre altri saranno consumatori. La partecipazione all’associazione è aperta e volontaria e può avvenire infatti secondo due assetti principali: uno base, cui il partecipante non effettua investimenti, ma partecipando alla comunità come consumatore concorre all’utilizzo dell’energia prodotta istantaneamente e quindi alla possibilità di ottenere gli incentivi. Partecipa eventualmente anche mettendo a disposizione i propri spazi (ad esempio la copertura o altro spazio limitrofo) consentendo alla comunità di perseguire il proprio scopo sociale attraverso lo sviluppo di impianti di produzione da Fonti Energetiche Rinnovabili; l’altro è l’assetto attivo in cui il membro dell’associazione partecipa agli investimenti ottenendo una remunerazione
dell’investimento (secondo una logica di gestione del patrimonio mobiliare/ risparmio) oltre a tutti i vantaggi che derivano dall’appartenere alla comunità energetica. La produzione di energia avviene esclusivamente attraverso impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili: gli obiettivi della Comunità sono infatti quelli di costruire un modello energetico sostenibile, democratico, partecipato, basato sulla produzione e sul consumo locale e condiviso di energia proveniente da fonti rinnovabili, limitando, ove possibile, l’approvvigionamento esterno della risorsa energetica. Una volta tenuta la prima assemblea dei Soci, il Direttivo nominato potrà iniziare a lavorare per stendere un progetto che trovi concretamente applicazione tra tutte le famiglie che partecipano. “L’interesse per la nostra Comunità va oltre i confini del singolo paese – spiega l’ing. Valcanover – e già alcune famiglie di Caldonazzo e Pergine hanno dato la propria adesione. Il seme che abbiamo gettato sta germogliando e l’auspicio è che si arrivi in breve tempo a unire sempre più persone interessate a dare una svolta importante, in chiave di sostenibilità, al nostro territorio”.
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Società oggi di Emanuele Paccher
FEDERICO CARBONI:
il primo caso di suicidio assistito in Italia
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veva 44 anni Federico Carboni quando il 16 giugno 2022 ha deciso di porre fine alle sue sofferenze. Negli ultimi 12 anni ha vissuto da tetraplegico a causa di un tragico incidente stradale, in mezzo a mille tormenti e dolori. Troppi. Federico non ne poteva più, e dopo un lungo iter burocratico ha ottenuto il via libera dal comitato etico per poter ricorrere al suicidio assistito, legalizzato in parte dalla Corte costituzionale nel 2019. È bene sottolineare che il suicidio assistito è ancora un reato. L’art. 580 del codice penale punisce infatti chiunque determini altri al suicidio o chiunque ne rafforzi il proposito o ne agevoli in qualsiasi modo l’esecuzione. È una norma che ha chiaramente la sua logica, e che è fondamentale in uno Stato come il nostro che tutela la vita. Tuttavia, diventa irragionevole laddove non preveda alcuna eccezione, neppure nel caso di un uomo da anni costretto a vivere in condizioni miserabili, afflitto da una patologia degenerativa e irreversibile. Era questo il caso, tra i tanti, di Dj Fabo, al quale la legge negava un diritto che altrove in Europa è riconosciuto da anni. Come ormai accade da troppo tempo, nell’incapacità del legislatore di legiferare, in materia è dovuta intervenire la Corte costituzionale. Tutto può esser fatto risalire alla vicenda di Marco Cappato, europarlamentare, il quale nel 2017 aiutò Dj Fabo a suicidarsi, trasportandolo in Svizzera in una clinica apposita. Per l’ordinamento italiano Marco aveva commesso un delitto. Il giudice del suo processo sollevò la questione di legittimità costituzionale, e la Corte
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Marco Cappato (da Wikipedia)
costituzionale si è trovata a dover dichiarare se l’art. 580 fosse compatibile o meno con il dettato della Costituzione. La Consulta, con la sentenza numero 242 del 2019, ha dichiarato che tale articolo è incostituzionale nella parte in cui non prevede la non punibilità di colui che agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, liberamente e autonomamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, previo parere del comitato etico territorialmente competente. È stata una sentenza storica, che ha permesso, ancora una volta, di colmare un pochino le lacune orribili lasciate da un legislatore incapace di discutere sui temi importanti. Perché ognuno può avere le sue opinioni, specialmente in una materia difficile e intrisa di considerazioni etiche come quella sul fine vita, ma l’ignorare la questione e il rifiutarsi di deliberare sul punto è espressione di una grande decadenza della politica italiana. È facile lamentarsi della poca affluenza il giorno
dopo le elezioni, ma è ben difficile far tornare la fiducia nell’elettorato se si ignorano le richieste dei cittadini. In Italia è quindi oggi possibile ricorrere al suicidio assistito qualora ricorrano tutte le circostanze suddette. Ben si comprende però che si tratta di condizioni assai stringenti, e infatti si è dovuto attendere 3 anni per il verificarsi del primo caso, nonostante non fosse Federico l’unica persona che richiedesse di poter fare questa scelta. E qui la memoria va a Fabio Ridolfi, deceduto il 13 giugno 2022, dopo che per mesi aveva tentato invano di poter ricorrere al suicidio assistito. Aveva ottenuto il via libera dal comitato etico, ma le pratiche burocratiche non erano terminate. Il dolore però rimaneva quello di sempre, e l’attesa per lui era insopportabile. Ha scelto quindi di rifiutare le cure e l’alimentazione, chiedendo al contempo la sedazione profonda. Se ne è andato lentamente, dopo ore di sedazione e non immediatamente come avrebbe voluto. Il tema del fine vita e della sofferenza umana ricorda a tutti noi quanto siamo deboli. In una scena del film Exitus di Alessandro Bencivenga viene detto che “Siamo tutti appesi a un filo pronto a essere tagliato”. Alcuni di noi hanno la sventura di sopravvivere tra mille sofferenze soltanto grazie ad un filo pronto a essere staccato. E la legge non sempre glielo lascia fare. Occorre chiedersi se sia più egoistica la scelta del voler decidere il quando porre fine alla propria esistenza se si versa in condizioni di dolore tremendo, oppure se lo sia la volontà di negare ad altri, e forse un giorno anche a sé stessi, questa scelta, in nome di non si sa bene quale principio superiore.
Il Circolo Fotografico Luigi Cerbaro in collaborazione con Valsugana News in occasione del 55esimo anniversario del Circolo
ORGANIZZA
il CONCORSO FOTOGRAFICO LE QUATTRO STAGIONI IN VALSUGANA Il concorso inizia il 3 novembre 2021 e terminerà il 21 settembre 2022. Il concorso, che è aperto a tutti, è suddiviso in 4 categorie:
Autunno, Inverno, Primavera, Estate. E ognuna terminerà con lo scadere delle varie stagioni. Le classifiche - per stagione e quella finale - saranno stabilite in base ai like ricevuti su Facebook. Al termine di ogni stagione sarà stilata la classifica temporale e quindi annunciati i vincitori. Regolamento su Facebook gruppo e pagina Circolo Fotografico Cerbaro - Borgo Valsugana. Per ulteriori informazioni: circolofotograficocerbaro@gmail.com In caso di utilizzo improprio e illegale o per appropriazione indebita delle foto pubblicate su Facebook del Circolo fotografico Luigi Cerbaro, quest’ultimo declina qualsiasi responsabilità civile, penale ed economica. Per la pubblicazione delle foto aventi come soggetto dei minori è obbligatoria la liberatoria sottoscritta da entrambi i genitori.
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Interviste impossibili di Laura Mansini
IL FASCINO DISCRETO
DI POIROT
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hi l’avrebbe mai detto che sarei stata conquistata da: ”Un Tipo che a vederlo era difficile non ridergli in faccia... alto poco più di un metro e mezzo, grassoccio, con un enorme paio di baffi, non più giovane, e soprattutto una testa simile ad un uovo”. Eppure quell’uomo elegantissimo, in un completo leggero di lino coloro avana ed un elegante panama a coprire la sua testa, dominata certo dai grandi baffi, molto curati, ma soprattutto da occhi verdi, intensissimi che sembravano scavarti nell’animo, emanava un grande fascino. Correva l’anno 1936, quando ebbi l’ occasione d’incontrarlo nella sala da The del “Tigres Palace Hotel” di Bagadad. Egli accettò questa mia intervista al termine di un inatteso lavoro d’indagine, da lui svolto presso “Tell Yaringià”, sede di una missione archeologica americana, che stava compiendo degli scavi in un luogo dove si dice che un tempo sorgesse una grande città assira, una specie di Ninive. Mi trovavo a Bagdad dove ero scesa durante un viaggio archeologico, una mia passione ed ero delusa dal centro città, molto sporco, ben diverso dal quella fantastico raccontato dalle “Mille e una notte”. Mentre stavo sorseggiando un thè ghiacciato con foglie di menta, lo vidi arrivare, come già detto, a piccoli passi decisi e leggeri, mentre mi rivolgeva un ampio sorriso. Dopo avergli spiegato il motivo dell’ intervista, avendo letto sui fogli locali l’ennesimo suo successo nello svelare l’intricato caso di due omicidi all’in-
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Ercule Poirot con l'amico Hastings
terno della grande casa degli scavi archeologici, egli mi disse con profonda amarezza che il suo lavoro era a volte molto duro e i risultati raggiunti mettono in luce storie terribili che lo lasciano incredulo e profondamente scosso. Gli chiesi allora perché facesse questo lavoro, Con un sorrisetto mi rispose “A causa delle mie celluline grigie che appena vi è qualche mistero, qualche cosa di non chiaro, si mettono in moto, comunque- continua - già in Belgio ero funzionario della polizia locale, ma durante la guerra fuggii in Inghilterra, nell’ Essex, a Styles Curt. Lì ebbi modo di incontrare un mio vecchio amico, l’ufficiale Arthur Hastings, che mi coinvolse nell’assassinio della mamma di amico che lo ospitava nella grande villa di famiglia. Un caso difficile ed intricato, ma le mie celluline grigie seppero dipanarlo con successo” Un sorrisetto
soddisfatto mentre sorseggiava il suo The e con il tovagliolino si asciugava i baffi, mi fecero chiaramente capire la grande autostima che questo personaggio aveva di sè, “Certo che la mia autrice dice di non amarmi. Anzi mi trova molto antipatico, ma pazienza. In fondo non può fare a meno di me” Agatha Cristie infatti, appena può, alle spalle, ma anche davanti, lo prende in giro, prima di tutto nei particolari; nella sua pomposità nel vestire, nonostante il fisico, le piccole manie, la puntigliosità nel curare i propri baffi e poi quel parlare in francese, la sua paura dei dentisti. Tante cose minuscole che lo rendono umano e gradito al lettore. Se invece fosse bello, alto biondo, al lettore le sue celluline grigie ci annoierebbero, mentre la Christie da donna ed autrice straordinaria qual’è ci invita, sorridendo, nei tortuosi ragionamenti del suo piccolo investigatore belga e ce lo rende
Interviste impossibili amabile, vicino ,comprensibile. “ Perchè sorride”-mi chiese all’improvviso-” Stavo pensando alle sue celluline grigie, lei non sembra il classico investigatore”. “Davvero lei è troppo intelligente per non capire che l’investigatore non è necessariamente un uomo che si appiccica una barba finta e si nasconde negli angoli bui. E’ rarissimo che qualcuno compia un’azione che non sia nel suo carattere. La natura umana si ripete più di quanto si crede abitualmente, il mare è molto più vario” . Mi guardava ironico e mi sorprese quando mi apostrofò “ Lei ad esempio non è la turista innamorata dell’Archeologia, come vuol apparirmi, è una giornalista in cerca di scoop e vorrebbe che le raccontassi che cosa è accaduto realmente all’interno della casa di Tell Yarimgià. Ma credo lo debba scoprire da sola cercando
Ercule Poirot
di capire i caratteri dei personaggi coinvolti; il lupo si traveste da agnello, ma la tartaruga può battere la lepre, a me interessa arrivare alla verità, non importa quando..io non sono sentimentale, io mi accontento di essere logico; non mi piace l’inspiegabile e finisco sempre per spiegarlo.” Rimasi a guardarlo ammutolita per questa sua uscita, però ripensandoci me l’ero meritata. Detto questo si alzò e, con un elegante mezzo inchino , se ne andò, sparendo nelle viuzze di Bagdad.
Poirot, uno dei personaggi più intriganti assieme a miss Marple, della “regina del giallo”, come generalmente è considerata la Christie, con le sue analisi, le apparenti sconfitte, che si risolvono sempre con la felice soluzione finale è l’alter ego dell’autrice, che gioca col lettore, accompagnandolo in luoghi affascinanti, apparentemente felici, facendoci poi conoscere i profondi abissi del male, non trascurando alcun mezzo, anzi molto spesso l’Assassino è il personaggio più insospettabile, come nel caso appena risolto da Poirot agli scavi archeologici di Tell Yarimgià, dove, proprio alla fine, si scopre che l’integerrimo professor Eric Leidner, capo della missione , uomo colto, integerrimo, mite, profondamente innamorato della bellissima moglie Luise, è il colpevole. E per il movente? Cherchez la femme!
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Girovagando nell’Arte di Eleonora Mezzanotte
BANSKY:
TRA ANONIMATO E ATTIVISMO
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rosegue il nostro viaggio nell’arte contemporanea e questa volta andiamo ad approfondire una delle personalità più singolari ed interessanti nel panorama artistico odierno: Bansky, street artist e writer inglese, tra i più attivi e conosciuti al mondo. Il lavoro di Bansky nasce e si diffonde nel tessuto culturale underground di Bristol. Va detto, innanzitutto, che né l’identità né il suo vero nome sono noti, ci si basa su ipotesi per stabilire chi ci sia dietro a questo personaggio divenuto, ormai, quasi un’icona pop. C’è chi suggerisce che dietro all’artista si celano più persone, chi avanza il nome di Robert Del Naja, musicista e street artist di Bristol più volte citato nelle opere di Bansky come fonte di ispirazione. Pare che Rob sia il vero nome o il diminutivo del nome reale e sulla base di tale supposizione, un’altra tesi riconosce in Robin Gunningham, artista britannico e studente non a caso della Bristol Cathedral Choir School, il vero Bansky. Tra le sue citazioni più celebri echeggia l’importanza che l’artista attribuisce alla sfera privata e alla discrezionalità: “Non so perché le persone siano così entusiaste di rendere pubblici i dettagli della loro vita privata, dimenticano che l’invisibilità è un super potere.” La fascinazione che si cela dietro alla personalità di questo artista sta proprio nell’anonimato della sua identità e nella potenza comunicativa delle sue opere. Messaggi di sensibilizzazione verso temi scottanti di attualità politica, economica e sociale, moniti
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Love is in the Bin (da Wikipedia)
verso il graduale declino della società civile e dell’etica, immagini a sfondo satirico e polemico che inducono, in chi le osserva, uno spirito critico e di razionale contemplazione. In un mondo sfigurato dalla guerra, dalla povertà, dal razzismo e dall’odio, la voce di Bansky è un ammonimento che si manifesta attraverso la
potenza evocativa delle immagini, attraverso l’universalità di un’arte che si fa denuncia sociale e che diffonde messaggi di pace, uguaglianza e libertà. Si veda ad esempio la celeberrima Girl with balloon, opera del 2002 che ha inaugurato una serie di stencil graffiti con il medesimo soggetto; trattasi di un murale apparso per la prima volta sul Waterloo Bridge, sul lato di South Bank a Londra e che ritrae una bambina con il braccio teso verso un palloncino rosso a forma di cuore che vola via. L’immagine era accompagnata dalla scritta There is always hope, ovvero “c’è sempre una speranza”, messaggio sotteso all’opera ed espresso dal palloncino rosso, unico dettaglio colorato. L’immagine è stata ripresa da Bansky più volte per supportare le più disparate campagne sociali: nel 2005 è apparsa sulla barriera della Cisgiordania, nel 2014 a supporto della crisi dei rifugiati siriani e anche durante le elezioni britanniche del 2017. Nel 2018 una copia incorniciata dell’opera è stata messa all’asta
Banksy Girl and Heart Balloon (da Wikipedia)
Girovagando nell’Arte dalla famosa casa d’aste Sotheby’s. In quell’occasione, Bansky progettò un congegno simile a quello di un comune distruggidocumenti e lo inserì di nascosto e all’insaputa di tutti nel telaio della cornice. Con sorpresa di tutti i presenti, l’opera venne triturata, ma solo per metà, così che tante striscioline sottili fuoriuscivano dalla cornice rendendo sgomenti i banditori e i collezionisti. L’opera, ribattezzata Love is in the bin, fu comunque battuta per la cifra astronomica di sedici milioni di sterline, divenendo così la prima opera d’arte venutasi a creare durante un’asta. Sovversivo, poliedrico e performativo, Bansky fa della propria arte un mezzo di comunicazione di massa che si rivolge, non ad una specifica elite di appassionati e fruitori, bensì a ciascuno di noi. Degne di menzione anche altre opere dell’artista inglese, tra cui Flower Thrower apparsa a Gerusalemme nel 2005, che ritrae un ragazzo mentre, anziché lanciare una bomba a mano, lancia un mazzo di fiori; il bouquet variopinto diventa simbolo di pace e mediazione tra i popoli. O ancora Kissing Coppers a Brighton, opera del 2004 che ha per soggetto una coppia di poliziotti che si scambiano un bacio appassionato, chiaro messaggio contro l’omofobia. Una spiccata denuncia contro il modello consumistico della società americana
Banksy Sweep at Hoxton (da Wikipedia)
è veicolata dalla serigrafia Napalm Girl del 2004, una delle immagini più fortemente connotate nella produzione artistica di Bansky: al centro dell’opera una bambina nuda che piange e urla dalla disperazione mentre fugge da un bombardamento (immagine estrapolata da una famosa fotografia scattata durante la Guerra in Vietnam), tiene per mano da un lato Topolino e dall’altro Ronald McDonald, due delle maggiori icone della cultura di massa statunitense. La felicità impressa nei volti dei due personaggi di fantasia è in forte contrasto con la sofferenza della bambina, creando un’immagine di immediato impatto emotivo. Molte le opere che si potrebbero ancora citare
del repertorio figurativo di questo straordinario artista di strada, capace di elaborare la realtà e di restituircela attraverso il filtro dell’arte con una lucidità disarmante. Dal 19 giugno all’11 settembre 2022 a Palazzo delle Albere di Trento si terrà una mostra dedicata proprio a Bansky, con oltre 100 opere, tra cui alcuni dipinti, serigrafie, numerosi stencil e oggetti installativi. Da un’idea di Vittorio Sgarbi, la mostra utilizzerà gli spazi del Palazzo per predisporre una narrazione diretta e incalzante sulla personalità e il genio artistico di Bansky, per comprendere un po’ più a fondo e da vicino la cifra stilistica di questa grande ed indiscussa icona del nostro tempo.
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In ricordo dell’ “Uomo della fedeltà” di Massimo Dalledonne
LA SCOMPARSA
DI DON ARMANDO COSTA Se ne è andato a 95 anni un uomo della fedeltà e un sacerdote di grande spessore culturale che ha dato lustro alla comunità di Borgo Valsugana
D
a qualche mese aveva festeggiato il suo 95esimo compleanno. Da qualche settimana ci ha lasciato don Armando Costa, un uomo e un sacerdote di grande spessore culturale. “Don Costa era spiritualmente innamorato del suo Borgo – ricorda il parroco don Roberto Ghetta – e spesso mi ricordava come pregasse sempre per la sua comunità ed i suoi amati borghesani. Lo ricordo come un servo fedele e discreto di tanti vescovi che si sono succeduti alla guida della Curia trentina”. Alla missione nella cura delle anime ha affiancato la preziosa e infaticabile figura di storico: sono quasi cinquanta i volumi di cui è autore, opere che riguardano soprattutto la storia del suo paese natale. Libri che non vanno solo letti e sfogliati, ma studiati ed approfonditi. Nato a Borgo il 25 gennaio del 1927 da Luigi e Maria D’Andrea, dopo gli studi classici e teologici nei seminari diocesani, viene ordinato presbitero a Trento il 29 giugno del 1951 dal vescovo Carlo De Ferrari e, due settimana più tardi, celebra la prima Messa a Borgo in occasione della festa di San Prospero. Insegnante di materie letterarie e di religione, guidò varie parrocchie del Trentino e dell’Alto Adige. A Borgo collaborò con diversi arcipreti (Botteri, Stefani, Tomasi) ed è stato il fondatore del notiziario parrocchiale Voci Amiche che diresse per 38 anni per mezzo secolo. Don Costa per mezzo secolo è stato
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Don Armando Costa (da Diocesi di Trento)
I 90 anni di don Armando Costa con S.E. Luigi Bressan, Arcivescovo emerito di Trento (da diocesi di Trento)
l’abate della chiesetta di San Lorenzo al monte dove, ogni anno, il 10 agosto celebrava a Messa. “Lo ricordo sempre presente all’eremo, promotore di diverse iniziative storiche e di recupero degli affreschi ma anche per la cura e manutenzione della
chiesetta”. Così il sindaco Enrico Galvan. A Borgo, assieme all’allora amministrazione comunale guidata da Giorgio Zottele, costituì l’Associazione Combattentistica e d’Arma riuscendo a salvare la Chiesa di Santa Anna da un sicuro abbattimento, cre-
In ricordo dell’ “Uomo della fedeltà” ando il Tempio Civico a memoria dei caduti del Borgo e di tutte le guerre. Nel 1977 viene nominato canonico onorario della Cattedrale di Trento e, grazie agli importanti incarichi ricoperti nel corso degli anni, ricevette il titolo onorifico di Monsignore. In Curia avviò l’attività dell’ufficio liturgico, fu “Custos reliquiarum” e direttore del Laboratorio liturgico diocesano. Nel 1978 venne inserito, come Preposito, nel Capitolo metropolitano della cattedrale di San Vigilio a Trento che, otto anni dopo, lo elesse a proprio decano, incarico ricoperto fino al 2001. Membro e segretario del Collegio dei Consultori, fu vicepostulatore delle cause di canonizzazione del beato Giovanni Nepomuceno de Tschiderer, Alcide de Gasperi e Maria Domenica Lazzeri. La sua penna per tantissimi anni è stata presente sulle pagine della Strenna Trentina e della
Rivista Diocesana Tridentina come direttore e del Notiziario Alcide De Gasperi. Dal 1965 al 2017 è stato iscritto all’Ordine dei Giornalisti come pubblicista, attento curatore dell’Annauraio Diocesano e per vari decenni corrispondente diocesano dell’Osservatore Romano. Nel 1978 dal comune di Borgo ebbe il riconoscimento del “Prospero”, nel 1994 la medaglia d’oro per la sua attività di divulgatore e nel 1996 la nomina a cittadino onorario. ”Don Costa è stato un uomo di fede, amato e stimato, capace di descrivere la nostra storia e renderla ai posteri. Ricordare quanto accaduto – conclude il sindaco Enrico Galvan – apprezzarne il bello e sentirsi profondamente legati a un territorio, sono valori che ogni cittadino dovrebbe coltivare nel suo vivere in comunità. E don Costa sarà ricordato anche per questo: le
sue ricerche storiche hanno permesso a diverse generazioni di approfondire conoscenze, legami e tradizioni che altrimenti sarebbero andate perse e mai più ritrovate”. In occasione dell’ultimo saluto l’arcivescovo di Trento monsignor Lauro Tisi ha descritto don Armando Costa come l’uomo della fedeltà. Di una grande e intensa fede che mai ha vacillato anche nei momenti più difficili. Un uomo senza eccessi, equilibrato anche nella comunicazione. Don Costa se ne è andato in silenzio e preghiera, frase a lui davvero cara che ha caratterizzato la persona e il suo cammino. “Negli anniversari e nei funerali – ricordava sovente ai giovani preti – niente lodi inutili ma solo preghiera e silenzio”. Ora riposa nel cimitero comunale di Borgo, nella cappella cimiteriale dove riposano tutti i parroci del paese.
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Mondo del lavoro
di Pietro Sighel
IL LAVORO ESTIVO C'È,
MANCA IL PERSONALE
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“
ercasi personale”. Questo uno dei cartelli più letti ed ignorati dell’estate 2022 nei pressi dei locali ed esercizi pubblici. Nei casi più gravi la scritta è sostituita con “ Chiuso per mancanza di personale”. Che cosa accade? L’offerta d’impiego nei ristoranti, bar, alberghi è in estate generalmente rivolta a giovani studenti intenzionati ad arrotondare la paghetta familiare o rendersi indipendenti dalle elargizioni condizionate ai buoni propositi. Un comportamento lodevole che si scontra con la dura realtà del mondo del lavoro, con le mutate condizioni sociali e con le opportunità di divertimento. La crisi apre un abisso fra due fronti.
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I datori di lavoro incolpano i giovani e disoccupati adulti di parassitismo. Gli studenti accusano i gestori dei locali di proporre orari da folli e paghe da schiavisti. La verità però, ha mille volti. “Durante l’estate voglio divertirmi. Per questo ho deciso di andarmene” -spiega Davide che ha deciso di abbandonare il posto da cameriere in una pizzeria sull’Altopiano di Pinè. Il ragazzo, studente, per la durata dell’anno scolastico, ha lavorato la sera e durante i fine settimana. Ora i mesi estivi con l’arrivo dell’estate le priorità cambiano - “Io, a 18 anni, voglio avere i sabati e le domeniche liberi- dice il neo maggiorenne poi continua spiegandoci di essere stato compiaciuto del
lavoro svolto nonostante la difficoltà di coordinarlo con lo studio - Mi sarei aspettato di guadagnare anche meno dato il mio livello di esperienza. Per quanto riguarda le ore, erano tante ma passavano velocemente. Non mi accorgevo neanche del tempo”. La “causa di tutti mali” non sarebbe tuttavia solo il lavoro domenicale. “Sono convintissimo che la causa di tutto ciò sia anche il reddito di cittadinanza. C’è molta gente che viene a chiedere di essere assunta in nero perché ha il reddito - Asserisce Francesco, gestore di un bar galleggiante sul lago della Serraia.- Ai giovani poi…manca voglia di fare. Anni fa già in maggio avevamo sul tavolo un bel numero di curriculum.
Mondo del lavoro
CERCASI PERSONALE Ora, un disastro. Probabilmente anche i genitori non spronano i ragazzi ad andare a lavorare. Altrimenti non vedo come sia possibile una cosa del genereNon tutto è perduto, infatti Francesco rassicura-Per fortuna ho uno staff giovane e competente, raro da trovare”. Ad avere difficoltà nel trovare stagionali è stato anche Andrea Dallapiccola, proprietario di un altro bar della zona. Andrea ha messo in evidenza il problema degli stranieri che, quest’anno, non sono arrivati: “In passato il problema della mancanza di stagionali era sopperito dall’arrivo di stranieri. La maggior parte provenivano dall’est Europa. Dal 2021 il problema si sta facendo pesante. Dall’estero non arriva nessuno, probabilmente perché l’economia sta fiorendo ora da quelle parti. Anche i giovani trentini si sono accorti che conviene loro essere mantenuti oppure trovarsi un lavoro con il sabato e la domenica liberi”. Affibbiare tutte le colpe al reddito di
cittadinanza e agli studenti sfaticati è facile. Sembra la più semplice e logica delle risposte. Non tutte le aziende ed i datori di lavoro garantiscono buoni salari e un buon clima di lavoro. “Prima di tutto, non mi pagavano tutti gli straordinari- In questo modo comincia la testimonianza di una 20enne che vuole mantenere l’anonimato- Avevo cominciato la stagione sul Garda piena di speranze ma ciò che sembrava l’inizio di un sogno si è rivelato un incubo. Ho cominciato a lavorare verso metà maggio e per le prime settimane era tutto tranquillo. Sono stata aiutata dai colleghi e dall’uomo che gestiva la sala. Anche se sbagliavo e mi cadeva qualche piatto non c’erano problemi. Il giorno libero era regolare, gli orari giusti e tutto sembrava filare liscio. Verso metà luglio sono cominciati ad arrivare moltissimi clienti. Non c’erano abbastanza camerieri. Verso la fine di luglio i pasti sono cominciati a saltare quotidianamente. I turni a diventare insostenibili. Non si riusciva a respirare. Tutti sono diventati nervosi. Volavano insulti e urla. Il giorno libero è
diventato di intero sonno. Il problema si è accentuato dal momento in cui pure i riposi sono diventati un optional. Mi dicevano di essere a corto di personale e solo per quel giorno, nonostante fosse libero, avrei dovuto essere disponibile. Il più delle volte venivo chiamata. Ho continuato fino a metà agosto. Poi non ce l’ho più fatta e me ne sono andata. Eh, ma il lavoro stagionale è così, mi è stato risposto”. La situazione raccontata dalla 20enne è drammatica. A causa di casi analoghi alcuni decidono di non perseguire questa strada lavorativa. C’è anche chi questa via l’ha già imboccata da tempo. Fra questi c’è il giovane Noè che ci parla con passione del suo ruolo di gestore, del. Cocktail bar di un hotel, facendo alcune considerazioni: “Se nel periodo pre-covid diciamo, erano un po’ i datori di lavoro a ‘trattare male’ ora la situazione si è invertita. Io capisco i giovani che preferiscono non lavorare 7 su 7. I sacrifici però li abbiamo fatti tutti quanti. Le stagioni sono così e se vuoi studiare e mantenerti durante l’anno con i soldi della stagione devi tener conto che devi lavorare sodo. Non si può voler tutto per niente”. Tutto per niente no, ma il giusto si può pretendere, ma questa è un’altra storia che coinvolge sindacati e politici.
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La Valsugana e il Tesino in cronaca di Chiara Paoli
LA SCUOLA VA A TEATRO
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inalmente anche la scuola è riuscita a ripartire a due anni dal lockdown ed era ora di ricominciare a mettersi in gioco con i progetti che rendono questa istituzione viva, dando l’opportunità ai ragazzi di vivere esperienze che possono essere condivise anche con genitori e familiari. Bellissima occasione è stata quella portata avanti dall’insegnante di musica Rachele Lo Giudice, che ha permesso ai ragazzi della II E della scuola secondaria di primo grado di Castello Tesino di portare in scena il mito di Teseo e Arianna al cinema teatro San Giorgio. Il copione è il frutto del lavoro di una ragazza della classe III D del medesimo istituto, Miriana Tessaro. L’invito per “Un pomeriggio a teatro” è stata anche l’occasione per presentare alle famiglie il video della premiazione della classe II E al concorso “Euregio fa scuola”, avvenuta al Muse di Trento lo scorso 7 giugno. Gli studenti hanno partecipato al progetto nelle ore di lingua tedesca con la docente Lucia D’Agostino, realizzando un poster politematico che è stato premiato con una somma di 500,00 €. L’evento ha consentito di mostrare
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inoltre il lavoro svolto dalla classe III E nelle ore di educazione civica, assieme alle docenti di musica Lo Giudice e Edda Parotto di inglese, che ha portato alla realizzazione di un video inerente le pari opportunità e un altro volto a promuovere le bellezze del territorio. In un’ottica di accoglienza e partecipazione gli studenti della classe prima E hanno imparato e cantato per l’occasione l’inno ucraino e quello italiano assieme al loro compagno
di classe proveniente dalle zone di guerra, che si è unito al gruppo dopo le vacanze pasquali. Assieme alla classe terza ha avuto il suo spazio anche la musica in lingua inglese con il successo internazionale del 1961 di Ben E. King “Stand by me”. In questo frangente è stato presentato al pubblico numeroso in sala, anche il frutto del progetto del lavoro svolto in collaborazione con l’artista Carlo Scantamburlo nelle ore di arte e immagine con tutte le classi della scuola media, concretizzato in un piccolo catalogo dal titolo “Racconto per immagini” che è stato distribuito a studenti, studentesse, insegnanti, parenti e a chi avesse piacere di conservare questo ricordo. Tutto ciò è stato possibile anche grazie all’impegno e al contributo economico delle amministrazioni comunali, un ringraziamento particolare va al vicesindaco Fabio Franceschini per aver proposto questa iniziativa che è stata molto apprezzata dai ragazzi e dalle ragazze. Dopo anni difficili è bello vedere che la scuola riesce nuovamente a dare spazio ad eventi come questi che servono a rendere partecipi i genitori, i parenti e la comunità della vita scolastica, ma che sono anche un’occasione di ritrovo e di confronto in presenza. Abbiamo tutti bisogno di momenti così, per comprendere quanto la scuola possa essere importante per formare i giovani, ma anche per far vivere loro esperienze che li guidino verso la maturità e la consapevolezza delle loro capacità, perché è bello fare e stare assieme.
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Tra natura e territorio di Gianluca Puppo
ECOMUSEI: dove la cultura avvolge il territorio Dalla conservazione della natura e del territorio alla sua gestione condivisa: la dimensione altra che rende unica l’esperienza degli ecomusei nel panorama culturale italiano. Rispetto al resto d’Italia il Trentino è una delle zone in cui questo modello culturale si è più felicemente diffuso
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comuseo: il nome rimanda a qualcosa di indefinibile inserito tra le parole ecologia e museo, natura e conservazione storica, ambiente e cultura; ma cos’è precisamente un ecomuseo? Ci viene in aiuto il suo inventore, l’antropologo culturale francese Hugues de Varine: «Ho inventato la parola ecomuseo quasi per caso. Intendevo un soggetto che unisse conservazione diffusa ambientale alla gestione della cultura e del territorio. Mille altri poi le hanno dato un contenuto, o meglio più contenuti, ogni volta diversi ». Un incipit che riesce a dare, in modo esplicito, il senso del termine. Più precisamente, l’ecomuseo può definirsi come una realtà orientata a favorire la valorizzazione e la messa in
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rete delle dinamiche culturali locali, la creazione di sinergie con il comparto turistico ed economico, l’attenzione all’ambiente e la promozione delle logiche della sostenibilità. Riguardo il nostro Paese, gli ecomusei hanno avuto sviluppi lenti e territorialmente disomogenei, seppure in costante crescita. Nati all’inizio nel solco della cultura italiana della conservazione, gli ecomusei –in Italia enti associativi che si occupano della conservazione, comunicazione e cura di un territorio - , si stanno oggi decisamente trasformando, anche da noi, in centri di gestione culturale e paesaggistica di un territorio, in una triplice prospettiva: quella del connubio tra natura e cultura, quella della prospettiva di una cultura della sostenibilità, infine guardando l’intero territorio locale, di cui si fa anche portavoce attivo. Riconnettendo in questo modo tecniche e culture produttive ai luoghi, ai loro beni culturali (anche Immateriali e folklorici) e alle peculiarità storiche, gli ecomusei, in Italia, indi-
cano un nuovo paradigma di cultura del territorio, in cui la salvaguardia non impedisce e, anzi, richiede uno sviluppo sostenibile dei territori. Negli ecomusei la visione sterile di mera conservazione cede il passo a pratiche e politiche di cura e valorizzazione condivise che generano un connubio tra cultura e natura , che si rivela nella capacità trasformativa di panorami territoriali marginali che sarebbero altrimenti, il più delle volte, lasciati a se stessi. Un ecomuseo non è infatti un museo dell’ecologia ma un centro culturale ed ecologico: non si limita infatti ad archiviare, contemplare e pubblicizzare l’opera o le unicità territoriali, ma interviene attivamente facendosi portavoce della comunità locale. A conferma di ciò è nata, nel novembre 2015 ad Argenta, la rete italiana degli ecomusei che emblematicamente si chiama “Mondi Locali” (http://www.mondilocali.it). In Trentino si è diffusa da tempo, assieme a poche altre realtà italiane (come ad es. il Piemonte), la cultura e la diffusione degli ecomusei: gli
Ecomuseo del Tesino (da Visitvalsugana)
Tra natura e territorio
Museo degli usi e costumi della gente trentina (da Wikipedia)
ecomusei trentini sono attualmente soggetti importanti di gestione e comunicazione delle specificità storico-culturali di luoghi e territori locali. Attualmente sono ben 9, diffusi in varie zone diverse e con molteplici attività e con l’istituzione della Rete degli ecomusei trentini costituitasi nell’ambito del progetto “Mondi Locali del Trentino” (https://www. ecomusei.trentino.it/la-rete-mondi-locali-del-trentino/la-mappa-de-
gli-ecomusei/), che supporta i nove Ecomusei riconosciuti e attivi nella Provincia autonoma di Trento. Sono nove realtà simili e diverse nello stesso tempo, dislocati a macchia d’olio nel territorio trentino, dalle vallate alpine alle zone prealpine e collinari adiacenti le città: ecomuseo Argentario, del Vanoi, della valle di Peio, della Judicaria, , del Lagorai, del Tesino, della Valsugana, della Valle dei laghi, della Val Meledrio. Meritano tutti una
visita, ognuno nella sua particolarità che li rende unici. Possiamo concludere con una chiosa che forse prova a identificare in sintesi ciò che possono rappresentare queste realtà culturali: in un momento storico che ha visto la perdurante difficoltà a mantenere attivi i luoghi classici della cultura, gli ecomusei possono rappresentare un modello che supera la funzione di mera visione estetica artistico culturale per lasciare campo ad una vera e propria altra dimensione esistenziale della cultura, attraverso il loro connubio tra ambiente, territorio e tradizioni storiche: un luogo nel quale il turista contemporaneo vive non solo l’esperienza estetica tipica dei luoghi turistici quanto quella umana, della storia ancora viva delle tradizioni non ancora museificate, del vissuto antropico sul territorio (cioè del paesaggio), in poche parole della cultura nel senso più profondo del termine.
BORGO VALSUGANA IN CRONACA
CONCLUSA L'INIZIATIVA "INDOVINA E VINCI" ORGANIZZATA DALLA BOTTEGA DEL COLORE GIANNI DIVINA Sabato 11 giugno, con lo spoglio delle numerose schede-risposta e alla presenza di Enrico Galvan, sindaco di Borgo Valsugana e del Vicesindaco Luca Bettega, si è conclusa la simpatica iniziatica che la Bottega del Colore Gianni Divina ha ideato in occasione della tappa del Giro d'Italia con partenza a Borgo Valsugana il 26 maggio 2022. Iniziativa che metteva in palio 2 biciclette da assegnare a chi avrebbe indovinato quanti erano i campioni di colore totali presenti in due grandi mazzette esposte nella vetrina della BOTTEGA DEL COLORE DIVINA in via XX settembre a Borgo Valsugana. Il regolamento prevedeva che, qualora nessuno avesse indovinato il numero dei campioni, le bici sarebbero state assegnate ai due partecipanti che di più si fossero avvicinati al numero esatto delle mazzette (1493). E due sono stati i vincitori: Marino Cappello con 1.505 e Gisella Schlotting con 1.480.
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Musica, canto e amicizia in palcoscenico di Franco Zadra
TRIDENTUM , un coro da incorniciare «L
a passione per il canto e le emozioni che da essa scaturiscono, spesso danno vita ad amicizie profonde e durature nel tempo. Ed è proprio da un gruppo di amici di vecchia data, che in uno dei consueti incontri conviviali, è nato il desiderio di incontrarsi con più regolarità e impegno per coltivare la gioia di cantare insieme». Parole semplici, quelle di Danilo Vesco, presidente del coro Tridentum, capaci però di dire perfettamente l’essenziale del “miracolo” della nascita di una compagine corale, giovanissima, compirà il prossimo inverno il suo primo lustro, ma dal canto già
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maturo, forte dell’esperienza dei suoi coristi, gran parte dei quali provenienti da una lunga militanza canora in altri cori del Trentino, alcuni dei quali non hanno superato la dura prova della pandemia. «Tali sono stati fin dall’inizio – continua Vesco - l’entusiasmo e l’affiatamento, che in modo molto naturale e spontaneo il progetto musicale si è fatto via via più ambizioso, con l’aggiunta di nuove leve che hanno così allargato la compagine iniziale». Il gruppo composto inizialmente per lo più da valsuganotti, ha iniziato pia-
no piano a parlare anche “el solandro, el nones, el fiamaz, el giudicariese, el trentin de zità”, e da ultimo perfino il veneto, sotto la direzione artistica del Maestro Stefano Vaia, con l’ausilio
Musica, canto e amicizia in palcoscenico di Fausto Ceschi e Davide Minati. Il ritrovo settimanale, nella sala prove ospitata nella Casa delle associazioni in via Bronzetti, a Trento, è stato fissato al mercoledì, tant’è che gli amici del gruppo si definivano simpaticamente «quei del mercol»; denominazione che è rimasta sino alla costituzione ufficiale del coro, avvenuta nel 2020 con il nome di “Coro Tridentum”, scelto proprio per rappresentare la provenienza di cantori da tutto il Trentino. La formazione corale conta attualmente 33 elementi diretti dal Maestro Stefano Vaia di Masi di Cavalese, guida esperta e sensibile. Il Coro Tridentum ha già avuto modo di esibirsi all’estero, a Matrei (2019) e Hard (2018) in Austria, e finalmente in Italia, dopo due anni di pandemia, a Scurelle per il concerto di Natale 2021. «Le difficoltà di questo periodo – dice ancora Vesco - incerto e complicato, che ha imposto distanziamenti e nuove regole da assimilare per la convivenza tra le persone, hanno sicuramente rallentato il nostro percorso, ma senza intaccare il nostro entusiasmo e tanto meno la nostra amicizia». Ma l’esordio ufficiale dal Coro Tridentum, più volte rimandato a causa della pandemia, è stato ai primi del mese scorso sul palco del Palarotary di Mezzacorona dove, con palpitante trepidazione, il presidente Vesco ha potuto dire giustamente che: «Non abbiamo mai perso di vista il nostro obiettivo e quindi eccoci qui oggi, motivati più che mai e soprattutto felici di poterci esibire pubblicamente, con la speranza di trasmettere a chi ci ascolta le stesse intense emozioni che proviamo noi mentre cantiamo». A riprova che sia l’amicizia il seme ori-
I coristi del CORO TRIDENTUM
Danilo Vesco con il maestro Stefano Vaia
ginario del coro Tridentum vi è anche il connubio artistico scaturito dall’incontro del coro con la pittrice tirolese Margit C. Egg, figlia di un operaio delle ferrovie di origine trentina che, ritrovando le sue radici valsuganotte è stata colpita dallo spirito interpretativo della compagine di Vesco, e ha così prodotto una serie di quadri, esposti al Palarotary il giorno dell’esordio, intitolata “Canto”, realizzati con sicura tecnica iper-realistica, sembrano rappresentare dal vivo lo spirito dei coristi, in una sorta di istantanee del cuore, nella loro caparbia ricerca di fare qualcosa di nuovo, di perfezionare le sonorità e l’armonia corale, attraverso l’impegno e la costanza, che per alcuni coristi costa più di un’ora di viaggio per la prova settimanale e il rientro in famiglia a notte fonda. La creatività comune, per l’artista tirolese, era proprio l’opposto della dominanza egoistica maschile e patriarcale con cui si era confrontata in tutta la sua vita professionale e sociale. Un giudizio “artistico” del tutto sorprendente che in qualche modo ribalta alcuni luoghi comuni inveterati sul carattere chiuso e introverso, poco femminile, della gente di montagna. Sarà anche questo da attribuire alla miracolosa dinamica di gruppo che
Acler Stefano Aliprandi Gabriele Anderle Diego Armellini Paolo Broilo Mirko Calovini Sartori Gianluca Campestrini Marco Ceschi Fausto Dalmut Luciano Decarli Maurizio Dell’eva Roberto Divigili Alessio Dezulian Giuliano Divan Mirko Flori Elvio Fontanari Luigi Fuitem Ivan Giotto Andrea Gonzo Stefano Gregori Elio Mariotti Damiano Mariotti Francesco Mazzarolo Michele Micheletti Alvise Minati Davide Penasa Gianni Ropelato Oscar Sbetti Roberto Tomaselli Fabio Tomaselli Luca Trentin Antonello Usini Gianluca Vaia Stefano Vesco Danilo
funziona nei cori? Comunque sia, “quei del mercol”. sono lanciati verso un luminoso orizzonte di successi corali che faranno presto dimenticare le ristrettezze dei due anni appena trascorsi. Un programma di eventi che tutti gli appassionati e simpatizzanti possono fin d’ora seguire consultando la pagina Facebook @corotridentum.
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Girovagando in Trentino di Chiara Paoli
Estate archeologica in Valsugana
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estate può essere anche tempo di scoperte e di approfondimento, tra le proposte offerte in Valsugana anche quella dei Servizi Educativi dell’Ufficio Beni archeologici della Soprintendenza per i beni culturali di Trento. Si comincia al Passo Redebus il 15 luglio alle ore 15 con lo spettacolo per famiglie intitolato “A tu per tu. Storie di uomini preistorici e di animali fantastici”; il professor Felipe Corazon condurrà grandi e piccini alla scoperta degli animali preistorici, cui seguirà la visita guidata al sito archeologico di Acqua Fredda, dove sarà possibile vedere i forni fusori della tarda età del Bronzo (XIII-XI sec. a.C.) che rimangono a testimonianza dell’intensa attività estrattiva dei minerali di rame. Nelle mattinate del 22 luglio e del 26 agosto con partenza alle ore 9 è prevista l’escursione “Esplorare ad Acqua Fredda: archeologia e natura”, si tratta di una passeggiata adatta a famiglie con bambini a partire dai 6 anni con ritrovo al Passo Redebus, per poi dirigersi assieme verso Malga Pontara. Accompagnati da un’archeologa e un’accompagnatrice di territorio, per osservare insieme la magia della natura che ci circonda e apprendere curiosità legate al mondo della metallurgia. Il 29 luglio e il 19 agosto sempre alle ore 9 viene proposto “Dal legno al metallo! Van hólz en metal!” che prevede una breve visita all’Istituto culturale mòcheno e al Museo Mineralogico Sperkmandelhaus di Palù del Fersina, per poi incamminarsi fra boschi e masi verso l’area archeologica Acqua Fredda. Un prezioso connubio che porta a conoscere la cultura
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mòchena, la metallurgia preistorica e il mondo naturale. Il rientro a Palù del Fersina è previsto con bus navetta intorno alle ore 13.30. In questo caso è richiesto un contributo di 5 euro per l’ingresso ai musei e il pulmino. Sempre al passo Redebus il 5 agosto alle ore 15 è previsto un laboratorio di archeologia sperimentale intitolato “La spada è nella roccia” per scoprire i segreti dell’estrazione del minerale di rame dalla malachite con visita partecipata al sito, mentre il 12 agosto sempre ore 15 si potrà assistere allo spettacolo teatrale per famiglie a cura di TeatroE “Una capra per amica” con a seguire visita guidata all’area archeologica. La partecipazione alle diverse attività è gratuita (esclusi 29 luglio e 19 agosto, come riportato sopra), ma è necessario iscriversi entro le 17:00 del giorno precedente l’iniziativa chiamando l’ApT di Piné Cembra allo 0461/557028. A questo fitto programma si aggiungono i “Lunedì dell’archeologia” che inizieranno il 4 luglio ore 9.00 con la “Torre dei Sicconi, il castello nel giardino” appuntamento che sarà ripetuto l’8 agosto, in compagnia di un’archeologa e dell’accompagnatrice di territorio Paola Barducci per andare alla scoperta di questo luogo ricco di natura e storia. Il punto di ritrovo è fissato davanti al Municipio di Caldonazzo. “Antichi paesaggi tra archeologia e natura” in calendario per il 18 luglio e 1 agosto ore 9.30, prevede il ritrovo presso il parcheggio del Bar al Ponte, con partenza verso il sito archeologi-
co di Montesei di Serso e passeggiata che prosegue fino alla riserva naturale del Lago Pudro. Il 25 luglio e 22 agosto ore 9.30 con partenza dal parcheggio della segheria Rindel in Valcava, fra Fierozzo e Palù del Fersina è la volta degli “Archeotrekking in Valcava”. Una camminata fra natura e archeologia nell’incantata Valle dei Mòcheni per
Girovagando in Trentino
Inaugurazione LAC Libri Arte Cultura
raggiungere i pascoli di Malga Pletzen. Questa escursione è adatta anche alle famiglie con bambini e percorribile con passeggini. Per partecipare ai “Lunedì dell’archeologia” è richiesta la prenotazione entro le ore 18 del giorno precedente l’iniziativa al seguente numero di cellulare 3334861088 (Paola) o via mail a p.barducci@libero.it. Soprattutto per quanto concerne i trekking si raccomandano un abbigliamento e calzature adeguate. Si segnala che in caso di maltempo le iniziative non avranno luogo. L’archeologia attraversa anche altre valli del Trentino in questa estate 2022 e in particolare il parco Archeo Natura di Fiavè, inaugurato a giugno del 2021, ma anche la città con eventi nell’area archeologica del Sass e la Val di Non con il Museo Retico di Sanzeno e le diverse aree archeologiche del nostro territorio, tutto il programma si può trovare online su Trentino Cultura (https://www. cultura.trentino.it/Approfondimenti/Archeologia-estate-2022-nella-macchina-del-tempo-sulle-tracce-del-passato) Per rimanere aggiornati è possibile seguire la pagina Facebook della Soprintendenza per i beni culturali Trento e su Instagram @soprintendenza_beni_culturali.
Nel pomeriggio di sabato 18 giugno, alla presenza delle autorità pubbliche, è stata inaugurata la nuova biblioteca di Baselga di Pinè, ribattezzata con l’acronimo Lac, che sta ad indicare Libri, Arte e Cultura. Il taglio del nastro è stato preceduto e allietato dall’intervento della locale banda e del Coro Costalta. Numerosi i cittadini che hanno partecipato a questo momento tanto atteso, e tra le autorità: i sindaci di Balselga Alessandro Santuari e di Fornace Mauro Stenico, la vicesindaca di Bedollo Irene Casagrande e per la Provincia autonoma di Trento ha presenziato l'assessore alla cultura Mirko Bisesti. Questa biblioteca è una realtà sovracomunale e si presenta come una piazza del sapere con una splendida vista sul lago della Serraia. L’opera avviata con la precedente amministrazione comunale è ora una realtà condivisa tra i comuni di Baselga di Pinè, Bedollo e Fornace. Una splendida struttura che s’incastona nel paesaggio seguendone le linee, un tetto verde che permette di vedere dall’alto lo specchio d’acqua e due piani splendidamente arredati che propongono spazi di studio e lettura accoglienti e luminosi grazie alla parete vetrata. Un nuovo polo culturale che offre anche un’ampia sala riunioni al pian terreno, che potrà essere richiesta e fruita dalle locali associazioni per momenti d’incontro e confronto. Oltre 1000 mq che sono stati una sfida anche per il bibliotecario Francesco Azzolini, che ha curato gli arredi nel dettaglio assieme al designer Bruno Pozzer. Un trasloco che ha impegnato bibliotecari e collaboratori, ma che ora godono di questa nuova struttura che sarà sicuramente molto apprezzata anche dagli utenti della biblioteca. (C.P.)
Le foto si riferiscono “all’Area archeologica Acqua Freddaarchivio Ufficio beni archeologici,-Provincia autonoma di Trento- Soprintendenza per i beni culturali”.
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Pergine Valsugana in cronaca di Chiara Paoli
Premiata a Milano la 2 F delle scuole Garbari di Pergine
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l 6 giugno scorso, la classe 2 F della scuola secondaria di primo grado Tullio Garbari è stata doppiamente premiata al Politecnico di Milano nell’ambito della sedicesima edizione del progetto PoliCultura, per il video “Women in Stem”. Questo progetto, portato avanti dalle insegnanti di lingua inglese Martina Minati e dalla docente di tecnologia Rita Scarcipino Pattarello, ha consentito al gruppo di ottenere ben due premi, rispettivamente nella categoria “Digital storytelling” e “Premio per la qualità e l’approfondimento dei contenuti”. Il concorso, rivolto alle scuole di ogni ordine e grado in Italia e nel mondo, che intende promuovere il digital story telling come strumento per una didattica efficace; ogni classe seleziona e decide in autonomia l’argomento da presentare, che va però rigorosamente esposto utilizzando strumenti multimediali. Al concorso nazionale hanno partecipato: 5 classi della Scuola dell’Infanzia, 11 classi della Primaria, 21 classi della Secondaria di Primo Grado e 12 classi della Secondaria di Secondo Grado, provenienti da undici regioni italiane. I lavori sono stati valutati sulla base dell’impatto pedagogico e della capacità comunicativa volta ad attivare pratiche positive nel gruppo classe da una giuria composta da professori del Politecnico di Milano, Università di Padova e Università del Sacro Cuore, con il contributo di Boston Consulting Group. Gli obiettivi didattici del digital storytelling in ambito educativo sono molteplici; serve ad aumentare la familiarità con le tecnologie e migliorare l’approccio con la multimedialità
non solo come strumento passivo ma attivo, perché studenti e studentesse possano sviluppare e realizzare in gruppo progetti complessi che chiamano in causa anche capacità di problem solving. Questo tipo di attività inoltre è funzionale ad incrementare negli studenti la motivazione e la partecipazione alle attività scolastiche in generale. I ragazzi della seconda F si sono messi in gioco realizzando un video che attraverso la simulazione di un telegiornale, volto a narrare la vita di molte donne che si sono distinte nel corso degli anni nel campo della scienza, della tecnologia, della matematica e dello spazio, da cui il titolo
“Women in STEM”, acronimo inglese per science, technology, engineering and mathematics. Un lavoro volto a mettere in luce che anche le donne possono brillare nella scienza, anche se ancora oggi in Italia solo il 22% delle ragazze sceglie facoltà di questo tipo. È invece importante sottolineare che l’uguaglianza di genere, anche in campo scientifico, è cruciale per perseguire gli obiettivi dell’Agenda 2030.
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Tra Storia, Poesia e Letteratura di Silvana Poli
GIUSEPPE UNGARETTI il poeta soldato
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iuseppe Ungaretti è uno dei poeti più importanti del Novecento. La sua poesia è caratterizzata da versi brevissimi, da parole pure e da lunghi silenzi. Ungaretti nasce ad Alessandria d’Egitto nel 1888. I suoi genitori sono lucchesi, trasferiti lì perché il papà lavora come sterratore al canale di Suez. Quando Giuseppe ha solo due anni il padre muore e la mamma rimane sola con i due figli. Mentre la madre lavora in un panificio ad Alessandria, i figli vengono affidati alle cure di diverse balie. In particolare Giuseppe si ricorda delle splendide favole raccontate da Anna, un’anziana croata. Ad Alessandria Giuseppe frequenta la gioventù egiziana ma studia in una scuola svizzera dove viene a contatto con la letteratura europea. Nel tempo libero frequenta anche la “Baracca rossa”, un ritrovo internazionale di anarchici. Nel 1912 Ungaretti decide di lasciare Alessandria per iscriversi all’università a Parigi. Durante il viaggio però si ferma in Italia dove visita le terre d’origine della sua famiglia. Per la prima volta i suoi occhi incontrano i paesaggi collinari e montani della Toscana. Parigi è la “Ville lumière”, il centro mondano e culturale della Belle Époque, con i suoi caffè, i teatri e il cinema, dove artisti di ogni genere vivono vite bohemien.
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Giuseppe Ungaretti, l'ultimo poeta
Ungaretti studia alla Sorbona, frequenta i maggiori caffè letterari di Parigi e conosce gli artisti e gli intellettuali più importanti dell’epoca.. Il 1914 è l’anno dello scoppio della Grande Guerra. L’Italia, reduce dalla fallimentare campagna di Libia, tentenna; il governo è consapevole che l’esercito italiano non è né addestrato né equipaggiato per affrontare un nuovo conflitto. Ma Ungaretti appartiene a quella corrente di pensiero che ritiene che sia necessario anche l’intervento italiano. Quindi rientra in Italia e partecipa attivamente alla campagna interventista. Tra discorsi gridati sulla pubblica piazza e accordi segreti, nel 1915 l’Italia entra in guerra.
E così, coerente con le sue idee, il giovane Giuseppe Ungaretti si arruola, volontario, nel 19° reggimento di fanteria, brigata Brescia. Ma un conto è gridare sulla piazza, un altro è trovarsi in trincea, mal addestrati, esposti alle intemperie e al fuoco avversario. La vita al fronte non è eroica come era immaginata dal giovane Ungaretti. La morte, il dolore, l’angoscia, la tristezza, sono accompagnati dalla paura e dal rumore delle granate e dell’artiglieria degli avversari. In quella situazione estrema, la baldanza con cui è partito Ungaretti lascia spazio a riflessioni profonde che trovano voce sul suo taccuino. Il giovane inizia così a scrivere e i suoi pensieri assumono la forma di poesie. Nei lunghi giorni in trincea, Ungaretti realizza il suo diario poetico e affida ai suoi versi emozioni e sensazioni, paure e illuminazioni. Con un linguaggio lapidario, scolpito, il poeta realizza componimenti poetici che talvolta hanno il sapore degli epigrammi come i famosissimi versi di Mattino “M’illumino / d’immenso” oppure quelli che descrivono le condizioni dei soldati “Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie”. Ungaretti si rivela poeta rivoluziona-
Tra Storia, Poesia e Letteratura rio, innovativo. Le sue liriche sono brevi, a volte ridotte ad una sola preposizione, ed esprimono forti sentimenti. La genesi delle sue poesie avviene nella sua quotidianità ma i messaggi che trasmettono assumono il carattere dell’universalità. Le sue poesie offrono infiniti spunti di riflessione e come valevano per noi in quel contesto, così possono valere anche per noi, oggi. Giuseppe Ungaretti è uno dei tanti giovani nazionalisti che si erano gettati con entusiasmo nella prima guerra mondiale. Ungaretti pensa che questa guerra sia inevitabile ed è certo che quel conflitto ponga fine a tutte le guerre. Allora i giovani pensavano che fosse necessario un conflitto per incendiare il mondo vecchio e crearne quindi uno nuovo. Ma la storia dimostra quanto la realtà sia diversa dai sogni: infatti l’Europa si troverà a vivere 40 anni di guerre e violenze. Solo una volta al fronte, sulle montagne del Carso, sull’Isonzo, Ungaretti depone l’ideologia, perché tocca con mano la realtà di morte e di distruzione, di corpi dilaniati. Ma a fianco di questo strazio Giuseppe vede sorgere prepotentemente dentro di sé la fiducia e l’attaccamento alla vita. Assiste alla solidarietà che si crea tra commilitoni e sente crescere dentro di lui un senso di spiritualità
Ungaretti giovane militare
che lo fa sentire parte di un grande universo, a cui si affida come una “docile fibra”. Nel 1916, tra prima linea e retrovie, conosce Ettore Serra, un giovane ufficiale. Proprio lui diventa il suo primo editore che pubblica, a Udine, la prima edizione della raccolta “Il porto sepolto”. Quando la guerra finisce Ungaretti torna a Parigi. Negli anni successivi inizia a lavorare per il Ministero degli Esteri. Intanto si è sposato e con una donna conosciuta in Francia che rimarrà sua compagna per tutta la vita. Il dopoguerra è difficile per tutti, anche per lui che è mussoliniano. Ma
la sua produzione poetica continua ed evolve. Le liriche della seconda raccolta intitolata “Sentimento del Tempo”, la cui prefazione è di Benito Mussolini, sono caratterizzate da un linguaggio più disteso e meno epigrammatico. Nel 1926 muore sua madre, che era rientrata in Italia da poco: non si vedevano dal 1912. Lei profondamente cattolica, lui approdato al cattolicesimo solo recentemente trovano un punto di contatto nella fede comune. Nel 1932 la sua poesia ottiene il primo riconoscimento ufficiale. Alla fine degli anni ’30 Ungaretti si trasferisce in Brasile dove insegna Letteratura Italiana all’Università di San Paolo. Qui due lutti lo lasciano prostrato: muoiono il fratello e il figlio. Il dolore di queste perdite segna il suo animo e lascia traccia nelle sue opere. Rientra a Roma nel 43 e soffre molto l’occupazione della capitale da parte dei nazisti. Negli ultimi anni ottiene molti riconoscimenti pubblici e in occasione degli ottant’anni riceve solenni onoranze da parte del governo italiano. Muore a Milano nel 1970. La sua opera rimane a testimoniare sia i drammi del Novecento che il disagio esistenziale dell’uomo contemporaneo, un uomo privo di certezze ma sempre più assetato di assoluto.
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Medicina & Salute
di Erica Zanghellini *
LA RABBIA DEI BAMBINI
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uante volte diciamo ai bambini che non devono arrabbiarsi, che è inutile arrabbiarsi, che sono cattivi perché si arrabbiamo, ma è proprio così? La rabbia è un’emozione naturale, fisiologica ed innata. Ha la funzione adattiva di rispondere a: un’ingiustizia, un torto subito o percepito, all’impossibilità a raggiungere un obiettivo prefissato o ancora è una reazione che l’essere umano ha quando vengono violati i propri diritti. Quest’emozione quindi ha anche degli aspetti positivi, può essere forza, può essere la forza che mi spinge a non mollare durante una crisi o può essere veleno. Energia positiva o negativa per il nostro corpo se non viene estinta. La conosciamo tutti, tutti l’abbiamo provata, in passato, nel presente e
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anche nel futuro di sicuro prima o poi la proveremo. Il problema non è l’emozione in se, non è esperirla ma, quando questa emozione diventa accecante, quando guida le nostre decisioni nella nostra quotidianità, quando diventa il nostro “filtro” nel vivere la nostra vita. Se siamo in questa situazione allora dobbiamo capire cosa c’è dietro a quest’emozione, cosa scatta nel mio cervello e perché è così frequente che si attivi questo tipo di esperienza soggettiva. Come accennavo prima, la rabbia è quella emozione che ci prepara a rispondere a uno stimolo o a una situazione, il nostro corpo si modifica per reagire. Si parte con l’ attivazione di alcune aree cerebrali-emozionali che a cascata provocano una serie di modifiche nel corpo, come per esempio un
aumento della respirazione, oppure la richiesta di un più alto apporto di sangue, per avere maggior quantità di ossigeno, sia da parte dei muscoli, che del cervello. Questo perché il corpo si deve preparare a reagire mentre, il cervello a prendere verosimilmente molteplici decisioni. Sotto tutte modifiche psicofisiche funzionali per l’ obiettivo di estinguere il pericolo e con esso l’emozione di rabbia. Se invece analizziamo questa sensazione dal punto di vista cognitivo cosa troveremo? Troveremo che dietro la rabbia c’è altro. C’è frustrazione, c’è dolore (quando pensiamo che ci venga negato qualcosa), ingiustizia e che queste influenzeranno il come percepiamo il mondo. La letteratura ha rilevato che quando proviamo rabbia, viviamo l’altro come maggiormente provocatorio e come maggior
Medicina & Salute direttivo nei nostri confronti. Ecco perché è importate capire come viviamo gli eventi e non sono come reagiamo ad essi. E’ fondamentale capire cosa significano per noi, cosa attivano in noi, nel presente ma, anche se ci parlano di momenti lontani. Le parole, le metafore, le immagini del passato che si collegano ad esse. Questo è l’unico modo per comprendere come “funzioniamo” e come siamo. Ci sono anche casi, in cui questi pensieri e/o immagini si attivano, continuamente/costantemente e quindi non fanno altro che rinforzarsi assiduamente e questo si tradurrà nel modo di essere e di esprimersi. E a questo punto che forse vale la pena di mettersi in discussione. Capisco che non è facile e che spesso ci vuole un aiuto, ma è l’unico modo per cambiare. Capire come percepisco
l’evento, lo vivo e reagisco è la parte su cui è possibile lavorare. Non dobbiamo diventare vittime delle nostre emozioni, la rabbia non va repressa va gestita eventualmente in modo più efficace e adattivo. Anche perché spesso e volentieri se ho un problema di questo tipo, ne risentiranno tutte le relazioni e i contesti sociali. Inoltre è importante sapere che se quest’emozione si reprime, si trasforma in altro: in dolore, frustrazione, vendetta e nei casi più gravi violenza. E’ li che nuoce. Noi invece dobbiamo conoscerla e gestirla è il concetto che in psicologia viene definito come la capacità di autoregolazione e autocontrollo. Dobbiamo aver noi il controllo, no gli eventi o chi ci fa arrabbiare. Quante volte sarebbe stato possibile reagire in modo diverso, soprattutto quando non è stata la soluzione la rabbia, non ha risolto
il problema anzi lo ha amplificato? Siamo noi che dobbiamo diventare in grado di scegliere come reagire. Per arrivare a questo punto, ci vuole tanta fatica, ci vuole consapevolezza e pratica; è difficile scardinare le abitudini e gli schemi comportamentali ma, non è impossibile. Le persone arrabbiate croniche ripetono in modo ciclico i loro pensieri e questi amplificano e prolungano l’emozione stessa. Invece è necessario interrompere il rimuginio rabbioso e questo avviene solo con l’ esercizio, fermandosi e ragionando su quello che per noi ha rappresentato quell’ evento. Tutti noi abbiamo problemi, sta a noi capire se e come cercare di risolverli. Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel- 3884828675
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Salute & Benessere di Armando Munao’
MusicalMA a Pergine,
un nuovo centro polifunzionale
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ll’inizio della primavera è stato inaugurato a Pergine Valsugana il centro MusicalMa. Si tratta di un nuovo centro polifunzionale che si pone come obiettivo quello di favorire il benessere nelle persone attraverso una serie di attività. I professionisti di MusicalMa offrono trattamenti che portano beneficio alla persona nella sua globalità. Per saperne di più abbiamo voluto sentire Mariella Micarelli, anima del progetto e responsabile di MusicalMa. L’intervista Dottoressa Micarelli, qual è lo scopo fondamentale di questa struttura. Con l’apertura del centro MusicalMa abbiamo voluto portare a Pergine Valsugana una realtà dove le persone potessero trovare delle risposte di benessere ai loro bisogni. Ho utilizzato il termine “persona” perché in questa parola è racchiuso il significato del nostro operare: per-sona. Il prefisso “per” indica l’elemento del moltiplicare, “sona” viene dal verbo suonare, ma anche vibrare. Ogni persona, per stare bene, ha bisogno di vibrare in armonia. Infatti non basta che il corpo sia sano, serve anche che l’anima sia in pace, che la mente non continui ad arrovellarsi e a rubare energie. Abbiamo saputo che la vostra attività ha avuto un notevole riscontro. A suo avviso a cosa è dovuto questo successo? Io credo che in questi ultimi anni tutta la popolazione sia stata messa molto sotto stress. Inoltre le tensioni internazionali contribuiscono a creare un
clima di insicurezza. In tale contesto emergono le fragilità che naturalmente albergano negli animi di tutti. Nel nostro centro i professionisti lavorano tutti con l’obiettivo di aumentare le energie vitali della persona per permetterle di ritrovare il suo centro di equilibrio. Quando le persone si fanno travolgere dalla negatività, quando la paura condisce i pasti della giornata, quando l’insicurezza economica fa capolino si tende a farsi travolgere; a volte però basta poco per vedere le cose in modo diverso. MusicalMa si pone come obiettivo quello di far suonare, vibrare, anima e corpo delle persone di ogni età, con particolare attenzione verso i soggetti fragili attraverso discipline che intervengono a livello emotivo, cognitivo e corporeo. Ci sono degli aspetti che secondo lei sono particolarmente qualificanti? A MusicalMa si lavora in team. Ogni persona che si rivolge ad ognuno dei professionisti ha a disposizione anche l’esperienza del resto del gruppo. Io, nello specifico, faccio musicoterapia. Quando lavoro con una persona e sento emergere temi particolari, mi accorgo, ad esempio, che la persona sta affrontando un problema, di cui ha bisogno di parlare, la invio alla counselor perché possa essere ascoltata. Quando vedo che nel corpo ci sono dei blocchi,
chiedo aiuto alle professioniste che lavorano più direttamente sul corpo. Se poi emergono problemi che necessitano dell’intervento di un professionista dell’ambito sanitario, ci rivolgiamo ad AlmaMed, la nuova clinica aperta a Vigolo Baselga, con cui MusicalMa collabora. Ci ricorda come è organizzata l’attività? La nostra sede principale è a Pergine Valsugana, in viale Dante 88 e la sede staccata è a Vicolo Baselga n.8. Riceviamo solo su appuntamento. Offriamo trattamenti di musicoterapia, vocologia, channeling, reiki, yoga e shiatsu, pratichiamo il massaggio craniosacrale e l’ipnosi regressiva, proponiamo sedute di coaching e di counseling. Le persone possono trovare informazioni sul sito www.musicalma.it possono chiamare me al numero 3400755482 oppure scrivere a info@musicalma.it I numeri di telefono dei nostri professionisti si trovano anche sulla pagina facebook di MusicalMa.
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Salute & Benessere di Rolando Zambelli, titolare dell’Ottica Valsugana, è Ottico Optometrista e Contattologo
CORRETTO UTILIZZO DELLE LENTI A CONTATTO MORBIDE
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e lenti a contatto (LaC), in base ai materiali con cui vengono prodotte, si possono suddividere in due categorie: lenti a contatto rigide gaspermeabili e lenti a contatto morbide. Le LaC morbide si dividono in due grandi famiglie a seconda dei materiali (polimeri) con cui vengono costruite, LaC in Idrogel e LaC in Silicone Idrogel. Si possono suddividere anche in base alla tipologia di porto: monouso o a ricambio frequente (settimanali, quindicinali, mensili, trimestrali, semestrali e annuali). È importante seguire le indicazioni che il contattologo in sede di applicazione spiega, il portatore deve attenersi a queste regole di igiene e manutenzione per ottenere il meglio dalle LaC usandole in modo efficace e sicuro. Metodologia per un utilizzo efficace e sicuro delle LaC morbide – Prima di applicare la LaC DEVI lavarti ed asciugarti accuratamente le mani; – NON usare l’acqua per pulire le LaC; – Per le LaC a ricambio frequente,
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dopo ogni utilizzo, pulisci (strofinando la lente con la soluzione unica consigliata dal contattologo sul palmo della mano), disinfetta, risciacqua e conserva nella soluzione consigliata; Le LaC monouso (o giornaliera) dopo ogni utilizzo DEVONO essere gettate; Richiudere sempre il flacone della soluzione conservante; Dopo ogni utilizzo il portalenti deve essere svuotato (non lasciare la soluzione e riutilizzarla), dev’essere pulito (NON con l’acqua, ma con la soluzione di manutenzione delle LaC) e poi asciugato; Il contenitore DEVE essere sostituito una volta al mese; Utilizza le LaC per il tempo per cui sono indicate (una settimana, 15
giorni, un mese, . .) e per il tempo che il contattologo consiglia (es: solo qualche ora al giorno); – Applica le LaC prima di truccarti e rimuovile prima di struccarti; – NON usare le LaC nel mare o in piscina (oppure indossa gli occhialini da nuoto e poi getta via le lenti); – NON dormire con le LaC, a meno che non siano lenti apposite; – Le LaC e le soluzione di manutenzioni sono state scelte appositamente per te: non cambiare tipo senza aver prima consultato il tuo applicatore; – In caso di fastidio, arrossamento o altri disturbi NON applicare le LaC, contatta immediatamente il tuo contattologo e/o rivolgiti al medico oculista. È importante che il portatore verifichi periodicamente con il contattologo che la soluzione di manutenzione e le lenti stesse continuino ad essere le più idonee, vanno quindi effettuate visite di controllo periodiche per evitare qualunque possibile complicanza. Fonti: SOPTI (Società Optometrica Italiana) Assottica
Il personaggio di ieri di Andrea Casna
CARLO CLEMENTI Un uomo per l’autonomia del Trentino
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nche lui è personaggio poco conosciuto. Lui è Carlo Clementi nato a Lavis 15 gennaio 1799, da Giovanni Nicolò Clementi e Elisabetta Dall’acqua di Pescantina. Muore all’età di 51 anni il 25 giugno 1849 a Pergine per vaiolo. Si sposa con Carlotta Peterlungher dalla quale ha sette figli; di questi l’unica a sopravvivere sarà Carolina Luigia nata a Civezzano il 5 febbraio 1830. Ha due fratelli: Luigi e Giuseppe. Il primo combatterà al fianco di Giuseppe Mazzini, il secondo morirà nel 1855 nelle carceri di Mantova. Nel 1847 Carlo Clementi è giudice per i distretti di Pergine e di Civezzano. La sua vita e il suo operato si concentrano, principalmente, nel breve periodo rivoluzionario del 1848-49, per l’ottenimento di un Trentino (o Tirolo italiano) autonomo da Innsbruck. Il 19 maggio 1848, infatti, è fra i deputati che firmano un documento di Protesta, indirizzato alle autorità di Innsbruck, in cui i rappresentati del Tirolo italiano, forti del sostegno di 5.000 firme, si dimostrano contrari a partecipare alla Dieta: ai trentini spettavano 20 rappresentati e a quelli tedeschi 52. Lo svantaggio numerico per la classe dirigente trentina, infatti, non avrebbe garantito l’ottenimento delle loro richieste per la modernizzazione dell’apparato legislativo provinciale e dell’autonomia del Tirolo italiano. Fra aprile e maggio il Clementi pubblica sul giornale il «Messaggiere tirolese», due articoli dal titolo «Sulle relazioni del Tirolo Meridionale» (aprile 1848) e «Considerazioni sulla Costituzione Austriaca del 25 aprile 1848» (maggio 1848). Nel 1848 viene eletto, per il distretto di Civezzano, deputato alla Dieta Costituente di Vienna per ottenere il
distacco del Trentino dal Tirolo. Sono gli anni dei moti rivoluzionari che infiammano le principali capitali europee. Milano e Venezia insorgono contro il governo di Vienna: è la Prima guerra d’Indipendenza. A Trento, in questo contesto turbolento, tra proteste e rivolte, un gruppo di intellettuali inizia a operare per fare del Trentino una provincia autonoma di Innsbruck. Le motivazioni erano economiche e linguistiche. Ad avere un ruolo attivo in questo movimento, che durerà fino all’alba della Grande Guerra, troviamo anche Carlo Clementi. Lo storico Pietro Pedrotti, nel libro La deputazione trentina alle costituenti di Vienna e di Kremsier, pubblicato a Trento nel 1929, scrive quanto segue: «Carlo Clementi, cinquantenne, giudice a Pergine, di grande ingegno e di profonda dottrina, rappresentava a Vienna l’ala destra del piccolo gruppo parlamentare trentino. Franco, leale e di sincera fede patriottica, per quanto d’accordo coi colleghi nel propugnare il distacco del Trentino dal nesso provinciale, presagio forse dei successivi sviluppi della lotta così animosamente ingaggiata, avrebbe ritenuto consigliabile nel tempo stesso in cui si chiedeva la separazione, di non respingere a priori una autonomia anche meno ampia, qualora essa -come sperava- fosse meno osteggiata. Quando però egli s’accorse che questa sua aspirazione politica transigente era in contrasto coll’opinione generale del suo paese, seppe con profondo senso di disciplina abbandonarla, e sostenere con ogni energia i colleghi nell’aspra lotta iniziata. Non parlò molto nell’Assemblea, ma fu membro apprezzato in commissioni ed uffici: il suo nome è
legato a quel memoriale -frutto di due mesi di lavoro e che fu di tanto aiuto all’intera deputazione- in cui, sulla base di dati statistici, etnografici, storici e economici, si dimostrava la necessità del distacco; prova questa, anche di fronte ai critici oltremontani, del suo illuminato patriottismo». Nel 1862, all’indomani dell’Unità d’Italia il deputato Pietro Bernardelli, ricorda l’operato dell’amico e collega Clementi in un articolo dal titolo Due lettere di Carlo Clementi. Riportiamo qui di seguito quanto scrive il Bernardelli: «Nella questione di separazione, che si agita nel nostro paese italiano, è stato mosso innanzi, dai pubblicisti avversantisi, un nome illustre, quello di Carlo Clementi, giudice, e nel 1848 deputato al parlamento di Vienna. Chi ebbe la ventura di conoscere questo egregio cittadino, e di essergli amico, non poteva non essere indignato, nel vedere, come lo spirito di parte ardisse di snaturare un carattere sì intemerato, per farlo servire ai propri disegni...»
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Cronache di casa nostra di Andrea Casna
Quando a Levico arrivarono i profughi dalla Polonia
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rofughi polacchi a Levico? Sia ben chiaro che noi non li vogliamo!». Era il titolo dell'Adige del 15 agosto 1987 proprio nella sezione dedicata a Trento. L'articolo è firmato Leonardo Bizzarro. E si tratta di un piccolo spaccato di giornalismo e storia recente della nostra provincia. Era appunto il 1987. La Guerra Fredda era agli sgoccioli. Il sistema sovietico-comunista si stava sgretolando, ma il mondo era ancora ben diviso in due grandi blocchi: quello occidentale, trainato dagli USA e dalla NATO, e quello orientale a guida comunista con il Patto di Varsavia e Mosca. I giornali del tempo riempivano gli spazi con articoli sui rapporti tra Reagan e Gorbaciov, crisi missilistiche e, spesso, cronache dalla guerra in Afghanistan. Oltre la cortina di ferro il malessere popolare stava emergendo con forza, in modo particolare nella Repubblica Democratica Tedesca e in Polonia. E la Polonia, forse perché madrepatria dell’allora santo padre Papa Giovanni Paolo II, era spesso al centro delle notizie. Gli anni Ottanta erano iniziati con le proteste del sindacato Solidarność, (organizzazione appoggiata dal Vaticano): scioperi, proteste, uso della forza militare avevano scandito il ritmo dei primi anni Ottanta. «La Polonia è un grande campo di concentramento» titolavano sempre i giornali occidentali in riferimento alla repressione comunista verso gli operai della Polonia. Ma era solo questione di tempo: a pochi anni da quelle manifestazioni di piazza, nel novembre 1989 il mondo intero avrebbe assistito al crollo del Muro di Berlino e del comunismo.
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I profughi polacchi a Levico. Ed è in questo contesto, qui riassunto brevemente, che si inserisce tale vicenda nostrana. Nel 1987 arrivarono a Levico i profughi dalla Polonia. Ma chi erano questi polacchi in fuga dal comunismo che Levico non voleva? Erano ingegneri, medici, avvocati. Insomma persone istruite e benestanti. E come scriveva l’Adige «non i vu cumprà che affollano le spiagge di laghi e mari italiani cercando di vendere magliette dal falso coccodrillo ed elefantini di legno». Ma non solo polacchi: anche cecoslovacchi (per i più giovani che stanno leggendo una volta esisteva la Cecoslovacchia), albanesi e rumeni. Famiglie in fuga dalle dittature sovietiche per andare, non in Italia, ma dai loro parenti in Canada, Nuova Zelanda, Usa o Australia. Al tempo il campo di Latina era stato chiuso e quindi serviva una nuova sistemazione temporanea: una siste-
mazione per ben 500 polacchi, di cui 250 ospitati nella colonia “Degasperi” di Levico gestita dalla Croce Rossa. E ovviamente all’ora, come oggi, quando si palesa l’ipotesi di ospitare profughi i peli si rizzano. Dall’articolo si apprende il no della giunta comunale ma che allo stesso tempo affermava che «infondo – come si legge nell’articolo – i profughi polacchi non sono degli appestati e possono anche essere accolti dall’ospitale Levico». In una riunione dei capigruppo, scriveva sempre l’Adige in quel lontano 1987, riunione aperta agli operatori economici, tutto era stato ribaltato: «non li vogliamo, questi “turisti” senza soldi - scrive sempre L’Adige riferendosi agli albergatori e commercianti». Le motivazioni di questo no? «La colonia Alcide Degasperi non può contenere una comunità così numerosa. Le strutture non potrebbero sopportare un’invasione di questo genere...». Insomma, in quell’estate del 1987 il
Cronache di casa nostra
Come eravamo
malessere albergava tra gli operatori turistici di Levico. Ma il 18 agosto i polacchi arrivarono a Levico, e l’Adige, in prima pagina, titolava «Benvenuti polacchi»: una settantina sono arrivati con le proprie auto, gli altri con i pullman della polizia. «Al Levico -scrive l’Adige» - i profughi sono stati sistemati dignitosamente, pur con qualche problema di spazio, che si tenterà di risolvere, nei prossimi giorni». Nei giorni successivi (21 agosto) l’Adige scriveva: «A Levico intanto proseguono con celerità i lavori per la sistemazione dei duecentosessantatre – una ventina in più di quelli annunciati – profughi alloggiati nella colonia “Degasperi”. Fra dieci giorni saranno montati alcuni prefabbricati dove troverà posto una ventina di famiglie. Altre venti fra un mese verranno trasferite a Pergine, nella villa Valdagni».
Borgo Valsugana- Oggi Largo Dordi e Corso Ausugum
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Valsugana in cronaca di Massimo Dalledonne
Valsugana Wild Ride ha la sua nuova mascotte: BIKEY I ragazzi delle scuole elementari di Telve e Telve di Sopra hanno creato la mascotte di Valsugana Wild Ride, l’evento Mtb Marathon in programma il prossimo 30 luglio.
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a libertà che ti regala la bicicletta, il rispetto della natura e il sano divertimento del ciclismo. Si può riassumere così il messaggio lanciato dai bambini delle scuole elementari di Telve e Telve di Sopra, che si sono sfidate per creare la mascotte di Valsugana Wild Ride. L’evento Mtb Marathon in programma il prossimo 30 luglio 2022 ora ha il suo nuovo simbolo ufficiale: Bikey. Il concorso lanciato da GS Lagorai Bike nelle scuole elementari di Telve e Telve di Sopra ha visto gli alunni di dodici classi sfidarsi nella realizzazione della nuova mascotte di Valsugana Wild Ride. L’obiettivo era trovare un simbolo che fosse sintesi perfetta dell’evento, il territorio della Valsugana e la bellezza della natura attraversata dalla competizione. A vincere è stata la classe 4B di Telve che ha realizzato Bikey, un cervo in bici che è stato consegnato a grandezza naturale agli alunni delle due scuole elementari con il Sindaco di Telve di Sopra Giampaolo Bonella e l’Assessore allo sport di Telve Anna Stroppa a fare gli onori di casa e alla presenza della Sindaca di Carzano Nicoletta Trentinaglia, della Sindaca di Torcegno Daniela Campestrin e del Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo “Centro Valsugana” Bruno Gentilini. Il cervo è un animale simbolo per la Valsugana, principe del territorio e sinonimo di libertà. Con la sua bici, Bikey pedala libero tra i sentieri e la
natura incontaminata della Valsugana, lanciando inoltre un messaggio di rispetto e sostenibilità, centrale sia per la realtà di Valsugana Wild Ride che nella filosofia del territorio che ne è protagonista. “Con questo concorso indirizzato agli alunni delle scuole elementari del territorio abbiamo voluto avvicinare le nuove generazioni a Valsugana Wild Ride – spiega il Presidente di GS Lagorai Bike, Enrico d’Aquilio -. È importante avvicinare i più piccoli al ciclismo e allo sport sano svolto all’aria aperta. Nel nostro piccolo, cerchiamo di coinvolgere tutto il territorio, che vorremmo fosse orgoglioso e si sentisse rappresentato dalla nostra manifestazione”. Valsugana Wild Ride, con i suoi due percorsi (Marathon da 62,3 Km e 2.950 m di dislivello e Classic
da 31,8 Km e 1.280m di dislivello) è la perfetta sintesi di un evento in grado di coniugare un’anima competitiva con l’obiettivo di mostrare le bellezze naturali del territorio a un’ampia platea di appassionati. In quest’ottica, al fianco delle due gare, Valsugana Wild Ride proporrà anche la “Fun&Ride”, una pedalata non competitiva e aperta a tutti, per godere del territorio senza fretta. Inoltre, la domenica precedente l’evento (23 luglio) si svolgerà per la seconda volta sul tracciato classic della gara una pedalata enogastronomica-turistica, aperta anche alle e-Bike con i maestri di MTB del gruppo sportivo a fare da guida. Un’occasione diversa ma sempre preziosa per gustare scorci e sapori di un territorio unico.
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Scurelle in cronaca di Massimo Dalledonne
I TEMPI SONO CAMBIATI DAVVERO La storia della scuola elementare di Scurelle tratta dai registri di classe dal 1916 al 1978
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n lavoro lungo, complesso e certosino. Iniziato nel gennaio del 2016 con le prime ricerche nell’archivio della scuola di Scurelle. Un libro scritto a tre mani, pensato e scritto per tutti i “scurelati”. Il titolo? “I tempi sono cambiati davvero”. Gli autori? Mariangela Lenzi, Ivana Tessaro ed Ezia Bozzola che, per diversi anni di lavoro (quattro), hanno raccolto diverso materiale per raccontare, attraverso i registri di classe dal 1918 al 1978, la storia della scuola elementare del paese. Edito da Litodelta, il libro era già pronto nel settembre del 2020 ma, a casa dell’emergenza sanitaria, è stato presentato nelle scorse settimane presso il teatro parrocchiale di Scurelle. In tutto 320 pagine e 600 copie realizzate con il contributo del comune di Scurelle e tanto materiale messo a disposizione dai cittadini. Una operazione che ha coinvolto tante famiglie, una bella collaborazione. Ma l’inizio non è stato facile. “Fin da subito –ricorda Ivana Tessaro – ci siamo resi conto delle grandi difficoltà ed abbiamo chiesto aiuto sia a Quinto Antonelli che all’allora sindaco di Scurelle Fulvio Ropelato. Giorno dopo giorno, consultando i registri abbiamo recuperato una quantità enorme di dati e, soprattutto, di cronache ed annotazioni scritte dai maestri che nei 62 anni presi in considerazione hanno lavorato nel plesso scolastico del paese”. Come scrivono gli autori, la scuola di Scurelle venne avviata nel 1839 dall’Impero Austro Ungarico e, consultando i registri di
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classe, sono venuti alla luce tantissime notizie che riguardavano sia l’attività scolastica che quella di paese. La prima sede era in via del Municipio 3, al secondo piano della sede municipale. Poi, dal 1911, il trasferimento in via XV Agosto. Il libro racconta del passaggio dalla scuola “triviale” dell’impero Austro-Ungarico a quella italiana della Venezia Tridentina, della riforma Gentile fino al ventennio fascista. Non mancano le “cronache” raccolte dagli insegnanti sotto il periodo del fascio, così come gli aneddoti legati alla somministrazione dell’olio di merluzzo, i disagi dal freddo, le assenze degli alunni spesso costretti a lavorare nei campi per aiutare le famiglie. Scorci di vita quotidiana, di povertà. Si parla dell’introduzione della tessera scolastica, dei problemi di igiene scolastica e di salute. Conclusa la dittatura fascista
e la Seconda Guerra Mondiale, ecco il nuovo inquadramento culturale, politico e istituzionale. Il Trentino e la Valsugana conosce il rinnovamento del calendario scolastico. La scuola viene ristrutturata, arrivano le vaccinazioni e sono costruiti i primi bagni. Una nuova didattica, cambiamenti che, leggendo i registri scolastici, vengono quotidianamente commentati dai maestri. A scuola tutto ora è intuizione, sentimento e fantasia. E le aule, finalmente, vengono riscaldate con i termosifoni. Un libro da leggere pagina per pagina, un tuffo nella storia dove trovano posto anche i ricordi degli insegnanti (Giuseppina Derù, Leopoldina Ropele, Natalia Girardelli, Giuliana Venzo e Mercedes Carlettini), degli alunni e genitori di ieri e oggi come Maria Osti, Clelia Girardelli, Maria Bressanini, Fiore Terragnolo, Maria Purin, Faustino Osti, Giuliana Girardelli, Paolina Vesco, Franco Bressanini, Paolo Costa, Delio Costa e Serena Costa. Ricordi di castighi, mani pronte a battere, tabelline da ripetere così come le frasi per cento o duecento volte. “I veri protagonisti di questo libro – scrivono le autrici – sono quegli insegnanti che, anno dopo anno con dedizione e passione, hanno scritto quanto accedeva dentro e fuori le mura scolastiche. Dipingendovi un quadro ricco di particolari e densi di emozioni sulla vita e i costumi della gente di Scurelle”. Una storia, raccontata grazie al materiale raccolto in vari archivi comunali e parrocchiali, che ora entra in tutte le famiglie del paese.
Tempo libero
OFFICINA 27 gusto per le cose buone e genuine C
ristian Coppola e Giorgio Andreatta sono i nuovi titolari e gestori dell’OFFICINA 27, la conosciutissima gelateria che da anni è presente a Levico Terme. Una struttura decisamente dinamica e funzionale che si avvale di un giovane team qualificato ed esperto in grado di soddisfare le esigenze della più variegata clientela fatta, non solo dagli affezionati locali, ma anche dai moltissimi turisti che d’estate frequentano le nostre zone. Una struttura di oltre 400mq con un ampio spazio ricettivo all’interno e 60 e più posti a sedere per godersi, all’ombra di grandi e funzionali om-
brelloni posti nel giardino esterno, le prelibatezze presenti nel completo depliant dell’OFFICINA 27. Un depliant fatto non solo da una vastissima gamma di gelati artiginali da consumare in loco o da asporto, ma sapientemente integrato da prelibatezze mangerecce, quali cornetti artigianali farciti al momento per una gustosa colazione, da focacce e pizze artigianali che senza ombra di dubbio, soddisfano il palato più
esigente. E cosa dire della fornitissima enoteca dove spiccano anche vini regionali, nazionali e dal mondo. Insomma un locale aperto quasi tutto l'anno dove l’ospitalità e il gusto per le cose buone e genuine hanno trovato la loro giusta e qualificata dimensione.
GELATI ARTIGIANALI ANCHE DA ASPORTO AL NOSTRO INTERNO
BISTROT
Da sinistra Emanuele(Esky) Cristian, Virginia, Giorgio, Nadine, Matilde e Sebastiano
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Via Claudia Augusta, 27 LEVICO TERME officinalevico27@gmail.com
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Conosciamo la nostra storia di Massimo Dalledonne
LA VALSUGANA IRREDENTA Fatti e persone (prima parte)
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on questo numero apriamo una finestra sul passato della nostra vallata riportando l’attenzione del lettore su quegli eventi e su quei protagonisti che nell’arco di circa settant’anni hanno contribuito a trasformare anche la Valsugana da terra irredenta a terra redenta, ovvero da aspirazione politica di pochi a realtà concreta e istituzionale. Sebbene inserita nell’ambito dei domini tirolesi e della Casa d’Austria più in generale per ben cinque secoli, infatti, a partire dalla metà dell’Ottocento anche nella nostra entità geografica non sono mancati quei sentimenti d’italianità - maggiormente manifestati all’interno delle città di Trento, Rovereto, Pergine, Riva, Arco e nelle classi degli intellettuali o degli studenti universitari - che porteranno la vallata a ricongiungersi con la madre patria, così come accadde per l’intero Trentino e per una parte consistente delle regioni orientali italofone. Anche se ufficialmente il movimento
Guerra di Crimea (1855)
irredentistico s’apre con la fine della III° guerra d’indipendenza italiana il nostro racconto inizia con il 1848, l’anno della primavera dei popoli, e trae fondamento dalle ricerche del maestro primierotto Antonio Zanetel pubblicate nel Dizionario biografico di uomini del trentino Sud-Orientale. Conosceremo nomi di combattenti volontari (legionari), cospiratori, informatori militari, internati e perse-
Esercito regolare piemontese
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guitati politici. Il nostro viaggio inizia da lontano. Esattamente 144 anni fa. È l’8 febbraio quando a Padova scoppiano i moti studenteschi. Vi partecipa lo studente Giuseppe Rosanelli di Tenna, sfuggito alla polizia saltando dalla finestra della sua camera dove teneva nascosti venti fucili. Ai moti studenteschi di Verona partecipano anche Lodovico Avancini di Levico e Luigi Valdagni di Pergine. Due mesi più tardi Leopoldo Martini di Pergine entra a Tione nella compagnia dei corpi franchi per occupare la val di Non: poco dopo è tra i fondatori, a Brescia, dell’Associazione Legione Trentina. Ne fanno parte anche Pietro Rinaldi di Strigno, Daniele Graziadei di Caldonazzo, Martino Pivio di Strigno, Giovanni Buffa di Pieve Tesino e Francesco Rocchetti di Pergine. Nel mese di maggio Lodovico Avancini e Domenico Benetti di Roncegno entrano a far parte, come volontari, del Comitato Trentino che difese Vicenza e Venezia dagli invasori. Come scrive Zanetel “sono diversi in quei anni gli irredentisti perseguitati dalla polizia
Conosciamo la nostra storia austriaca: Enrico Dalla Rosa di Pergine, il chierico Pietro Menguzzato di Pieve Tesino, don Antonio Zanghellini oltre a Giuseppe Bazzanella, Alessandro Bosisio e Stefano Battisti di Borgo. Nel 1849 entrano nella Legione Trentina anche Pietro Oss di Zava d’Ischia e Valentino Motter di Zivignago con Ferdinando Rinaldi di Strigno e Cristiano Tassainer di Palù del Fersina che militano, da volontari, nell’esercito regolare piemontese. Diversi trentini e valsuganotti risultano presenti a Roma l’8 maggio del 1849 e nei mesi successivi con la campagna garibaldina per difendere la città. È il 1855 quando, entrato nell’esercito regolare, il perginese Leopoldo Martini partecipa alla Guerra di Crimea e l’anno successivo, nella sottoscrizione fatta dalla Gazzetta del Popolo di Torino per offrire 100 cannoni alla difesa di Alessandria, tra i firmatari si leggono i nomi di Enrico Dalla Rosa di Pergine e delle sorelle Rinaldi di Strigno. Arriviamo alla campagna del 1859. Nell’esercito regolare piemontese sono inquadrati diversi valsuganotti: Ferdinando Rinaldi di Strigno, Pompeo Panizza di Civezzano, Enrico Zanotto di Torcegno, Alessandro Daziaro di Pieve Tesino, Pietro Oss di Zava di Pergine, Emilio Rocchetti e Ludovico Giuseppe Rocchetti di Pergine. A San Martino, quando era al comando della sua compagnia, la 10° del 3° Battaglioni Bersaglieri, perde la vita Leopoldo Martini. Come scrive Antonio Zanetel “nel mese di ottobre Lodovico Weiss di Strigno portò a Garibaldi un messaggio ed una bandiera ricamata dalle donne del suo paese. Il messaggio venne lanciato su Trento, presso il Castello del Buonconsiglio, da Gabriele d’Annunzio nel volo che effettuò sopra la città il 15 settembre del 1915”. Una piccola curiosità. Un fatto accaduto molti decenni dopo. Livio Rossi di Borgo, mentre stava ripristinando il pavimento del suo studio a Casa Dordi, trovò la seguente
La lapide di leopoldo martini
scritta sul rovescio di un’asse: “Anno 1859 – la desiderata guerra – finalmente raggiungerà”. Nel suo libro Antonio Zanetel ci racconta anche di due valsuganotti presenti, nel 1860, alla spedizione dei Mille con Giuseppe Garibaldi. Antonio Fattori Biotton era nato nel 1836 a Castello Tesino, sposato con una Dallemule dopo le campagne garibaldine visse nel Vercellese. Morì il 19 giugno del 1879 all’ospedale di Novara per l’amputazione di una gamba. Pietro Sartori, detto “Bezzo”, era nato nel 1831 a Levico Terme e lavorava come prestinaio nel forno della sussistenza piemontese a Milano. Dopo le campagne si trasferì a Como dove morì il 7 agosto del 1870. Da Garibaldi a Giuseppe Medici, protagonista della seconda spedizione di volontari del 9-10 giugno del 1860 in Sicilia. Con lui, come racconta ancora Zanetel, si imbarcarono Emanuele Chini di Pergine, Luigi Giongo di Pergine, Antonio Morelli di Canezza, Giuseppe Moser di Pergine e Giuseppe Lodovico Rocchetti. Sono diversi anche i valsuganotti che, da volontari, fecero parte dell’esercito meridionale costituito da Garibaldi una volta superato, sempre nello stesso anno, lo Stretto di Messina. Ecco i loro nomi:
Giovanni Casagrande di Borgo, Eugenio Cattarozzi di Fierozzo, Domenico Dalmaso di Telve, Arcadio e Filotimo Danieli di Strigno, Luigi Frighello di Roncegno, Francesco Lazzari di Pergine, Lodovico Ognibeni di Levico, Giuseppe Oss di Pergine, Carlo Paoli di Pergine, Domenico Pasquazzo di Ivano Fracena, Clemente Antoniolli di Levico, Giuseppe Poda di Caldonazzo, Francesco e Giuseppe Rocchetti di Pergine, Edoardo e Pietro Sartori di Levico, Fedele Segato di Borgo, Giovanni Stroppa di Telve, Bortolo Tassainer di Palù e Cesare Weiss di Strigno. Nello stesso anno i piemontesi sono impegnati nella campagna delle Marche per unirle al regno di Vittorio Emanuele. Ci riuscirono anche grazie alla partecipazione di diversi volontari arrivati dalla Valsugana. Tra loro il capitano della 43° Compagnia dell’11 Battaglione Nerviski Nervo di Pieve Tesino insignito della Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia. Da ricordare anche la medaglia d’argento al valor militare Francesco Negri di Strigno, Edoardo Gianeselli di Levico, Pompeo Panizza di Civezzano, Andrea Campregher di Centa, Eugenio e Giambattista Cattarozzi di Fierozzo, Lorenzo Cedola di Calceranica, Primo Damaso e Luigi Frighello di Roncegno, Ferdinando Rinaldi di Strigno, Giambattista Rosi di Borgo, Edoardo de Eccher di Susà di Pergine, Giuseppe Fruet di Pergine, Antonio e Giovanni Girardi di Canezza, Felice Lanner di Pergine, Francesco e Giovanni Battista Lazzer, Giovanni Battista Margoni, Bortolo Mariotti, Giuseppe Oss e Luigi Vinciguerra di Pergine, Emilio Rocchetti, Giuseppe Rosanelli di Tenna, Cristiano Tassainer di Palù e Giuseppe Fruet di Pergine. Nella notte tra il 23 ed il 24 giugno diversi trentini e valsuganotti furono arrestati: tra questi anche il perginese Enrico Dalla Rosa. Alcuni vennero liberati poco dopo, altri furono confinati in Boemia e Moravia.
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Che tempo che fa di Giampaolo Rizzonelli
2022 CONTINUA IL CALDO E LA SICCITÀ Probabilmente sarà un’estate “indimenticabile” come quella del 2003
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n anno fa scrivevo un articolo dal titolo “MAGGIO 2021: un mese freddo, probabilmente l’ultimo della “serie”, purtroppo mai titolo fu più azzeccato. Il mese di maggio 2022 è stato un mese estivo ancorché sia un mese primaverile (la primavera dal punto di vista meteorologico inizia il 1° marzo e termina il 31 maggio) con temperature superiori ai 30°C nei fondivalle già subito dopo la metà del mese. A Levico Terme la media delle massime è stata pari a +24,3°C a fronte di una media storica di +21,3°C ovvero ben 3°C superiore. Questi valori record sono confermati dal report elaborato da Meteotrentino. A Trento la media del mese è stata di +19,5°C superiore di 2,5°C alla media storica. I dati sopra media sono confermati anche dalla Stazione di Castello Tesino, dove si è registrata una media di +14,8°C rispetto ad una media storica di +12°C. Per quanto riguarda le precipitazioni, in Trentino è andato un po’ meglio che sul resto del Nord Italia, ancorché la pioggia sia stata comunque inferiore alle medie del mese e caduta in maniera non omogenea, ma il problema è che stiamo uscendo da un semestre molto secco e i quantitativi caduti non hanno aiutato a recuperare il differenziale dalle medie. Guardando solamente i dati della primavera appena conclusa a Trento sono caduti 127,2 mm a fronte di una media storica di 231,5 mm, a Castello Tesino 176,6 mm da confrontarsi con una media storica di 319,6, stiamo parlando di circa il 45% in
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meno di precipitazioni per la sola primavera. In Trentino già a fine maggio diversi comuni hanno emanato ordinanze per limitare l’utilizzo dell’acqua potabile, come ad esempio il Comune di Pergine con l’ordinanza del 26/05, dove è stato ordinato nell’intero territorio comunale il divieto all’uso dell’acqua potabile proveniente dagli acquedotti comunali per usi non strettamente domestici ed in particolare per il lavaggio di autoveicoli (con esclusione degli operatori professionali e impianti autorizzati), per il lavaggio di spazi ed aree private, per il riempimento di piscine private, per ogni altro uso improprio che comporti prelievi anomali da acquedotto, nonché per l’irrigazione di giardini ed orti privati, fatto salvo: l’utilizzo per usi commerciali e produttivi; per alimentare sistemi automatici di irrigazione, ma esclusivamente nelle
ore serali e notturne dalla 21.00 alle 6.00; per l’irrigazione di giardini ed orti con l’ausilio di piccoli innaffiatoi manuali indicativamente da circa 12 litri di capienza. Il problema delle esigue precipitazioni primaverili si è unito a quello delle scarse nevicate, come evidenziato dal report di Meteotrentino sulla “Campagna di misure di accumulo sui ghiacciai trentini” dove si evince che il trimestre invernale (dicembre 2021-febbraio 2022) è stato caratterizzato da precipitazioni particolarmente scarse, uno tra i 10 più siccitosi dal 1921. In totale sono cadute da un terzo a metà delle precipitazioni normali e le temperature sono risultate molto elevate con una stagione che ricade tra le cinque più calde dal 1921. Le misurazioni di accumulo sui ghiacciai trentini eseguite tra il 15 e il 20 maggio sul Careser, de La Mare
Fig. 1 - Piz Boè da Sass Pordoi 15 giugno 2021 (webcam Meteotriveneto)
Che tempo che fa che si otterrebbe sciogliendo il manto nevoso. Questi i dati di “equivalente d’acqua” per i tre diversi ghiacciai monitorati: - CARESER: 495 mm ovvero il 50% dell’accumulo medio (inizio rilevazioni 1967), solo il 2007 era stato peggiore con 381 mm; - DE LA MARE: 607 mm ovvero il 40% dell’accumulo medio (inizio rilevazioni 2003); - MARMOLADA: 714 mm ovvero il 40%-50% dell’accumulo medio. Fig. 2 Piz Boè da Sass Pordoi 17 giugno 2022 (webcam Meteotriveneto)
La tecnica di misurazione consiste nell’eseguire delle misurazioni con sonde che permettono di stimare lo spessore medio della neve, questo valore viene poi convertito in “equivalente d’acqua” ottenendo una stima dello spessore della “lama d’acqua”
Nei prossimi numeri vedremo come sarà proseguita quest’estate, ma mentre sto scrivendo la situazione a giugno si è fatta ancora più “pesante”.
Come eravamo
e Marmolada da Ufficio Previsioni e Pianificazione della Provincia Autonoma di Trento, Commissione Glaciologica della SAT, Muse e Università degli Studi di Padova, hanno evidenziato condizioni di innevamento piuttosto scarso.
In fig. 1 e 2 il confronto dell’innevamento al Sass Pordoi (sullo sfondo il Piz Boè quota 3.152 m) tra il 15 giugno 2021 e il 17 giugno 2022.
Borgo Valsugana - Hotel Valsugana, oggi Caffè Milano
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Il Codice della strada in cronaca di Nicola Maschio
Una petizione online contro gli autovelox “illegali”
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tutti, probabilmente, è capitato di prendere una multa per eccesso di velocità. Ma ciò che in molti non sanno è che, a quanto pare, gli autovelox non sono a norma. La discussione in realtà parte da lontano, ma di recente è tornata alla ribalta. Filippo C. infatti, circa un mese fa, ha lanciato una petizione su change.org chiamata “Autovelox illegali”, che fino ad ora ha raccolto più di 80 mila firme. E non è tutto, perché il ragazzo ha ricostruito una vera e propria cronistoria del perché questi strumenti sarebbero fuori legge. A partire da un fatto di cronaca di appena qualche settimana fa, ovvero l’installazione di nuovi rilevatori di velocità a pochi passi dal locale Gambrinus, prima di Lavis. «Si tratta di un dibattito che ormai va avanti da dodici anni – ha spiegato Filippo, – e che mi ha visto personalmente coinvolto con alcuni ricorsi in merito a multe ricevute proprio dopo una rilevazione degli autovelox. I ricorsi in realtà sono centinaia in Italia, perché c’è davvero una problematica grossa. Di fatto, oggi manca un regolamento che stabilisca come debbano essere omologati questi strumenti, sia a livello europeo che, soprattutto, italiano: l’omologazione è un passaggio fondamentale e imprescindibile perché vengano ritenuti adeguati al loro compito, senza la quale, di fatto, non potrebbero essere installati. Tuttavia, da anni si procede semplicemente con la loro approvazione, una cosa che però è completamente diversa e dunque, nonostante tutte le normative indichino chiaramente come l’omologazione sia necessaria, oggi ancora si vive in una situazione
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paradossale». Per fare chiarezza, Filippo presenta quella che potremmo definire “ricostruzione normativa” della situazione complessiva. Si parte dalla recentissima ordinanza della Cassazione, la numero 8694 dello scorso 27 marzo 2022, in cui viene indicato che “Le apparecchiature di misurazione della velocità devono essere periodicamente tarate e verificate nel loro funzionamento e l’effettuazione di tali controlli deve essere dimostrata o attestata con apposite certificazioni di omologazione e conformità”. «Significa che, per l’ennesima volta, si sancisce la necessità dell’omologazione» ha aggiunto Filippo, che nel frattempo continua a snocciolare riferimenti normativi: c’è poi infatti il Codice della Strada, precisamente l’articolo 142 comma 6, il quale prevede che “Per la determinazione dell'osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate”. Addirittura, aggiunge il ragazzo, gli autovelox non omologati andrebbero confiscati: l’articolo di riferimento questa volta, sempre dal Codice della Strada, è il 45 comma 9. «Se pensiamo al cronotachigrafo utilizzato sui camion, quello è omologato – ha spiegato ancora Filippo. – È poi incredibile come anche in alcuni verbali delle multe venga riportato che l’apparecchiatura è omologata, mentre in altre si dice “approvata”. Ci sono sentenze della Cassazione e della Corte costituzionale che hanno dichiarato come l’affidabilità dell’autovelox si basi su taratura
e omologazione ed entrambe siano necessarie. Capisco poi che nessuno voglia fare un ricorso magari costoso e aspettare diversi mesi per il risultato, ma sulla carta una contestazione come questa sarebbe vincente». Ma come si sono mosse le istituzioni per far fronte a questo inciampo normativo? Nel 2017 il Ministero competente ha emesso un decreto con il quale cerca di equiparare i termini “omologazione” e “approvazione”, ribadendo poi il concetto con una nota dirigenziale datata 11 novembre 2020. <Facendo così però evidenziano solo il fatto che si tratti di due cose diverse – ha concluso Filippo. – Inoltre, non si tratta di una norma retroattiva, perciò tutti gli autovelox messi in funzione prima del 2017, il 95% di quelli attualmente in commercio e installati, sarebbero inutilizzabili e quest’ultimo di Trento è stato approvato nel 2016».
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