Società oggi di Emanuele Paccher
FEDERICO CARBONI:
il primo caso di suicidio assistito in Italia
A
veva 44 anni Federico Carboni quando il 16 giugno 2022 ha deciso di porre fine alle sue sofferenze. Negli ultimi 12 anni ha vissuto da tetraplegico a causa di un tragico incidente stradale, in mezzo a mille tormenti e dolori. Troppi. Federico non ne poteva più, e dopo un lungo iter burocratico ha ottenuto il via libera dal comitato etico per poter ricorrere al suicidio assistito, legalizzato in parte dalla Corte costituzionale nel 2019. È bene sottolineare che il suicidio assistito è ancora un reato. L’art. 580 del codice penale punisce infatti chiunque determini altri al suicidio o chiunque ne rafforzi il proposito o ne agevoli in qualsiasi modo l’esecuzione. È una norma che ha chiaramente la sua logica, e che è fondamentale in uno Stato come il nostro che tutela la vita. Tuttavia, diventa irragionevole laddove non preveda alcuna eccezione, neppure nel caso di un uomo da anni costretto a vivere in condizioni miserabili, afflitto da una patologia degenerativa e irreversibile. Era questo il caso, tra i tanti, di Dj Fabo, al quale la legge negava un diritto che altrove in Europa è riconosciuto da anni. Come ormai accade da troppo tempo, nell’incapacità del legislatore di legiferare, in materia è dovuta intervenire la Corte costituzionale. Tutto può esser fatto risalire alla vicenda di Marco Cappato, europarlamentare, il quale nel 2017 aiutò Dj Fabo a suicidarsi, trasportandolo in Svizzera in una clinica apposita. Per l’ordinamento italiano Marco aveva commesso un delitto. Il giudice del suo processo sollevò la questione di legittimità costituzionale, e la Corte
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Marco Cappato (da Wikipedia)
costituzionale si è trovata a dover dichiarare se l’art. 580 fosse compatibile o meno con il dettato della Costituzione. La Consulta, con la sentenza numero 242 del 2019, ha dichiarato che tale articolo è incostituzionale nella parte in cui non prevede la non punibilità di colui che agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, liberamente e autonomamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, previo parere del comitato etico territorialmente competente. È stata una sentenza storica, che ha permesso, ancora una volta, di colmare un pochino le lacune orribili lasciate da un legislatore incapace di discutere sui temi importanti. Perché ognuno può avere le sue opinioni, specialmente in una materia difficile e intrisa di considerazioni etiche come quella sul fine vita, ma l’ignorare la questione e il rifiutarsi di deliberare sul punto è espressione di una grande decadenza della politica italiana. È facile lamentarsi della poca affluenza il giorno
dopo le elezioni, ma è ben difficile far tornare la fiducia nell’elettorato se si ignorano le richieste dei cittadini. In Italia è quindi oggi possibile ricorrere al suicidio assistito qualora ricorrano tutte le circostanze suddette. Ben si comprende però che si tratta di condizioni assai stringenti, e infatti si è dovuto attendere 3 anni per il verificarsi del primo caso, nonostante non fosse Federico l’unica persona che richiedesse di poter fare questa scelta. E qui la memoria va a Fabio Ridolfi, deceduto il 13 giugno 2022, dopo che per mesi aveva tentato invano di poter ricorrere al suicidio assistito. Aveva ottenuto il via libera dal comitato etico, ma le pratiche burocratiche non erano terminate. Il dolore però rimaneva quello di sempre, e l’attesa per lui era insopportabile. Ha scelto quindi di rifiutare le cure e l’alimentazione, chiedendo al contempo la sedazione profonda. Se ne è andato lentamente, dopo ore di sedazione e non immediatamente come avrebbe voluto. Il tema del fine vita e della sofferenza umana ricorda a tutti noi quanto siamo deboli. In una scena del film Exitus di Alessandro Bencivenga viene detto che “Siamo tutti appesi a un filo pronto a essere tagliato”. Alcuni di noi hanno la sventura di sopravvivere tra mille sofferenze soltanto grazie ad un filo pronto a essere staccato. E la legge non sempre glielo lascia fare. Occorre chiedersi se sia più egoistica la scelta del voler decidere il quando porre fine alla propria esistenza se si versa in condizioni di dolore tremendo, oppure se lo sia la volontà di negare ad altri, e forse un giorno anche a sé stessi, questa scelta, in nome di non si sa bene quale principio superiore.