LA CARNE IN TAVOLA
A tavola da Gueuleton Lyon con il Blackmore Wagyu di Josette Baverez Blanco
N
on c’è verso, la vita è un succedersi di cause-effetti in qualsiasi campo. La cosa più importante per l’uomo è dunque la capacità di adattamento a situazioni a volte totalmente inaspettate e il riuscire a trasformare in gradevole un’esperienza drammatica. Brutto da dire ma, “grazie” al ricovero di una cugina, a Lione, ho potuto scoprire e provare qualche nuovo locale del suo quartiere. Sono stata attratta in particolare da un ristorante moderno, con grandi vetrine e celle per il dry aging. Ho scoperto che si tratta di una catena, “Gueuleton”, che ha già altre sedi nel
Sud-Ovest e in altre regioni della Francia. Difficile tradurre questa parola in italiano che ha per origine gueule, ossia “bocca dell’animale”; le gueuleton rappresenta una bella mangiata epicurea, la gioia della convivialità, del buon mangiare e del buon bere, della tavola ricca condivisa con chi sa apprezzarla. Non a caso il loro motto è “Bienvenue les bons vivants”, ovvero benvenuto ai buongustai (www.gueuleton.fr). Bar-ristorante specializzato in carni e con un’ottima carta dei vini, Gueuleton anche a Lione offre tante altre pietanze alla sua clientela godereccia. Ho notato in
Le vetrine di Gueuleton Lyon (photo © www.gueuleton.fr).
96
carta due Wagyu, uno giapponese, del quale ho già parlato in passato su questa Rivista, e uno australiano, il Blackmore Wagyu. Sappiamo che il 95% dei manzi Wagyu dell’Australia è crossbred, ossia incrociato, mentre solo il 5% è fullblood, di razza pura. Tutti provengono originariamente dal Giappone, che dal 1992 al 1996 ha esportato generosamente maschi e femmine Wagyu fullblood in vari Paesi del mondo. Il Wagyu venne introdotto per la prima volta in Australia tra il 1989 e il 1999, arrivando come gene dagli Stati Uniti, dove venivano esportati bovini a scopo di ricerca. Sono pochi nel mondo gli esemplari rimasti puri anche se, fino al quarto incrocio, si chiamano purebred. Ero curiosa di assaggiare il Blackmore Wagyu e di conoscerne la storia. Mi si è presentata una carne tenerissima, burrosa e con venature di grasso che potremmo definire perfette, dal sapore morbido, quasi caramellato. Da sottolineare che sul menu, a fianco della costata australiana ordinata, c’era il numero 9, che indica il grado di marezzatura della carne (grade marble; i due sistemi di classificazione australiani basati sulla marezzatura — Ausmeat e MSA, Meat Standards Australia — vanno da 0 a 9), mentre a fianco di quella giapponese c’era A5, il grado più alto per il sistema di classificazione del Wagyu giapponese, che attribuisce un punteggio che va appunto da A1 a A5. Questo punteggio prende in considerazione tutte le caratteristiche della carne: la marmorizzazione, il colore e la brillantezza della carne, la sua consistenza, la qualità, la lucentezza e il colore del grasso. Si tratta quindi di un voto per così dire più completo.
Eurocarni, 7/22