EUROCARNI
Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXVI N. 8 • Agosto 2021
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EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD
Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi
Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.eurocarni-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985 Tariffe abbonamenti Annuale (12 numeri): Italia € 65,00 – Estero € 85,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910 Stampa
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Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Chiara Zaccaroni Fotografia Luigi Credi
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Abbonamenti Fioretta Fiorentin Amministrazione Andrea Tomassone
Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – François Tomei (Assocarni) Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini – Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi – Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata Euro Annuario Carne
EURO ANNUARIO CARNE 2021
Eurocarni, 8/21
La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2021 Copia cartacea: € 95,00
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EUROCARNI
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La prima rivista veramente europea
A pagina 48. In questo numero:
La carne nel mondo
USA – UE
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Agenda
Parma: Cibus 2021 dal 31 agosto al 3 settembre
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Diamo i numeri
3 kg: i consumi annui pro capite della carne di vitello in Italia
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Anticipazioni
World Butchers’ Challenge il 2 e 3 settembre 2022 a Downtown Sacramento, California
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Tendenze
Viva l’Italia
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Naturalmente carnivoro
Butchers for Children, presto di nuovo insieme
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Eurocarni, 8/21 1/21
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Attualità
ASSOCARNI e UNICEB insieme per la sostenibilità dei sistemi zootecnici
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Fame di proteine, ecco le risposte
Angelo Gamberini
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Legislazione
Agricoltura biodinamica?
Guido Guidi
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Slalom
Crescita sì, ma attenzione a inflazione e costi delle materie prime
Cosimo Sorrentino
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Speciale vitello
Viva il Vitello, prosegue la campagna di promozione
La carne in rete
Social meat
Zootecnia
Presentato il Piano d’azione per la zootecnia bovina da carne
Aziende
Un sogno chiamato Fattoria Zivieri
38 Elena Benedetti
44 50
Gaia Borghi
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Agnello irlandese: gusto unico tra allevamento tradizionale e sostenibilità
62 Roberto Villa
Mercati
Export UE di carne suina, un 2020 da record
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Indagini
Gnam gnam style: in 100 grammi di roll i consumi degli Italiani
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Benessere animale
One Health/Benessere animale: il valore dell’impegno e della ricerca per la salute di tutti
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Macellerie d’Italia
Macelleria smart, in smart city
Gian Omar Bison
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Centro Carni Boldrini: una fettina di meno ma che sia di qualità
Federica Cornia
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EUROCARNI
Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXVI N. 8 • Agosto 2021
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A pagina 98. In copertina: i fratelli Fabrizio, Stefano, Elena e Aldo Zivieri con Zigulì.
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Fiere
Anuga 2021, focus sulla trasformazione alimentare
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Assemblee
Un progetto per accrescere la conoscenza dei salumi italiani
Anna Mossini
L’avicoltura italiana e le sfide della transizione ecologica
94 98
Convegni
Suini, il consumo razionale del farmaco in porcilaia premia
Anna Mossini
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Razze
Vacca Bianca modenese: che bella (ri)scoperta!
Chiara Papotti
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Sheep AL.L. Chain
Riccardo Lagorio
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La carne in tavola
Asado, passione argentina
Nunzia Manicardi
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Packaging
Gruppo Happy, imballaggi sostenibili e circolari
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A pagina 64.
A pagina 106. A pagina 132.
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Referente vendite per l’Italia andrea.conticelli
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A pagina 44.
A pagina 80.
A pagina 104. Tecnologie
Ottimizzazione della filiera grazie alla completa integrazione dei processi
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Schur Flexibles acquisisce Termoplast Srl e incrementa la sua capacità di innovazione nel packaging riciclabile
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Sono 180 grammi, lascio?
Un Bestiario moderno, evocativo e surreale
Statistiche
Dati Anas: classificazione delle carcasse suine 2021
Storia e cultura
Buffalo Bill in Italia
Giovanni Papalato 126 130 Andrea Gaddini
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Eurocarni, 8/21
Il meglio della
C A R N E D I V I T EOLl a Ln d eO se La carne bianca di vitello è un alimento straordinario: ricca di proteine e amminoacidi, facilmente digeribile, povera di grassi e con un alto contenuto di ferro. Cosa volete di più? C’è di più!! La carne di vitello ha anche un gusto raffinato e duttilità nella cottura: questo la rende protagonista della storia gastronomica italiana. Non a caso il vitello è tra le carni più presenti nei Menu dei grandi Chef in Italia. Lo sapevate che la vera cotoletta alla milanese è fatta con la carne di vitello? Trovate la ricetta dello Chef Stefano De Gregorio insieme a tante altre su www.carnedivitello.it. Garanzia data dall’integrazione. Tutte le aziende del VanDrie Group sanno di essere responsabili al 100% per la qualità ottimale del prodotto finale. Questo vale sia per gli allevamenti sia per le aziende produttrici di latte in polvere e di carne. In quest’ottica la collaborazione per offrire al consumatore finale la garanzia di un prodotto di elevata qualità diventa logica. Così il VanDrie Group ha sviluppato la sua strategia integrata, assistito da uno dei più avanzati sistemi di controllo. www.vandriegroup.com La carne di vitello con una percentuale di grasso inferiore al 5% ha la seguente composizione media per 100 grammi: 104 kcal, 439 kJ, 22,1 g di proteine e 1,7 g di grassi. (fonte RIVM - NEVO).
“LA COTOLETTA ALLA MILANESE” interpretata da Chef Stefano De Gregorio
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LA CARNE NEL MONDO
USA La Food Safety and Inspection Services (FSIS) promuove il sistema italiano di macellazione e trasformazione della carne suina. Con raccomandazioni. I risultati, sia pure preliminari, dell’audit condotto dalle autorità americane “non identificano criticità sostanziali per il sistema italiano di macellazione”. Le carni suine possono quindi continuare ad essere esportate verso gli Stati Uniti. Condotto da remoto a causa della pandemia, l’audit ha visto un confronto con il team ispettivo e offerto “spunti di riflessione utili all’affinamento dell’impianto regolatorio adottato dall’Italia per sostenere i principi di equivalenza concordati con USDA-FSIS”. Lo ha reso noto il Ministero della Salute in una circolare ai servizi veterinari in cui dettaglia alcune raccomandazioni che gli operatori e le Regioni “sono chiamate a rispettare per assicurare la corretta implementazione dei requisiti addizionali export USA”. Le raccomandazioni attengono alle misure che devono essere attuate negli impianti di macellazione italiani autorizzati ad esportare negli Stati Uniti; la necessità di riportare per esteso nei verbali di verifica le evidenze raccolte in fase di controllo ufficiale; i provvedimenti di sospensione che non possono perdurare per un periodo superiore ai 6 mesi, trascorso il quale, nel caso in cui i problemi permangano, il controllo ufficiale dovrà proporre al Ministero il delisting dello stabilimento interessato dalla lista USA. “Il delisting — precisa la nota ministeriale — non va considerato come un provvedimento punitivo per quell’impianto, bensì come una misura a tutela dell’integrità dell’intero sistema e in tal senso, il reinserimento in lista potrà avvenire secondo le vigenti procedure autorizzative non appena risolte le non conformità”. Infine, per quanto riguarda l’etichettatura di prodotti composti contenenti prodotti carne, il controllo ufficiale, in fase di certificazione del prodotto, dovrà accertare che gli stabilimenti utilizzino solo etichette approvate dalle autorità statunitensi (fonte: www.anmvioggi.it; photo © Erwin Wodicka – wodicka@aon.at).
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UE L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha valutato il rischio di diffusione della Peste Suina Africana (PSA) negli allevamenti suini all’aperto e ha proposto misure di biosicurezza e controllo per gli allevamenti all’aperto nelle zone dell’UE colpite dalla PSA. L’allevamento all’aperto di maiali è comune nell’UE. Non esiste tuttavia una legislazione a livello europeo che categorizzi tale tipo di allevamenti, per cui le informazioni sono limitate, non armonizzate tra loro e da interpretare con attenzione. Il gruppo di esperti scientifici EFSA sulla salute e il benessere degli animali ha concluso che gli allevamenti di suini all’aperto comportano un rischio notevole di introdurre e diffondere la PSA, ritenendo però che l’installazione di robuste recinzioni singole o di recinzioni doppie in tutti gli allevamenti di suini all’aperto nelle zone dell’UE in cui è presente la PSA potrebbe ridurre tale rischio almeno del 50%. Inoltre, l’attuazione di valutazioni in termini di biosicurezza complete e obiettive in allevamento e l’approvazione di allevamenti suini all’aperto sulla base del rispettivo rischio di biosicurezza ridurrebbero ulteriormente il rischio di introduzione e diffusione della malattia. Le valutazioni effettuate sul sito dell’allevamento sono uno strumento efficace non solo per migliorare la biosicurezza, ma anche per affrontare questioni zootecniche più ampie. L’EFSA è dell’avviso che le deroghe alle attuali restrizioni sull’allevamento di suini all’aperto nelle zone interessate da PSA possano essere prese in considerazione caso per caso, una volta attuate tali misure e altre misure specifiche di biosicurezza. Il parere scientifico (Scientific opinion on African swine fever and outdoor farming of pigs) si basa su evidenze raccolte da enti veterinari nazionali, associazioni di agricoltori e letteratura scientifica. È stata effettuata un’elicitazione della conoscenza di esperti (EKE) per classificare gli allevamenti di suini all’aperto in base al loro rischio di introdurre e diffondere la PSA, onde classificare le misure di biosicurezza in base alla loro efficacia, e proporre migliorie in termini di biosicurezza (fonte: www.efsa.europa.eu).
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AGENDA
Parma Cibus 2021 sarà la prima grande fiera internazionale italiana B2B a riaprire in presenza a Parma dal 31 agosto al 3 settembre. Nel lungo periodo del lockdown, l’agroalimentare made in Italy non solo ha soddisfatto la domanda domestica, ma ha aumentato le sue quote di esportazione. La richiesta dall’estero, infatti, è stata crescente, sia per quanto riguarda i prodotti tipici della Dieta Mediterranea (pasta, pomodoro, olio, formaggi), sia per i prodotti premium. Buone premesse, dunque, per una forte ripresa produttiva del comparto e il consolidamento di nuove posizioni sui mercati internazionali. In esposizione a Cibus ci saranno tutte le merceologie: dai salumi ai formaggi, dalla pasta al pomodoro, dall’olio ai prodotti da forno, dal beverage al grocery, dai surgelati ai prodotti locali, e altro. Si aggiungerà anche una nuova area dedicata al canale dell’HO.RE.CA. (ristoranti, bar e affini), chiamata “Ho.Re.Ca. The HUB”, in collaborazione con Dolcitalia. Tanti i nuovi prodotti che saranno presentati a Cibus 2021, già consultabili sul sito della fiera. Segnaliamo anche la convegnistica del XX Salone Internazionale dell’Alimentazione, chiamata Cibus Forum oltre ad un convegno sui prodotti alimentari italiani a denominazione d’origine, per presentare le best practice di prodotti certificati che contribuiscono ad un’alfabetizzazione del gusto, e incontri sulla ripresa dei consumi e sui cambiamenti nei processi di distribuzione ed acquisto (photo © MDiSchiavi). www.cibus.it
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DIAMO I NUMERI
3 kg Sono i consumi annui pro capite della carne di vitello in Italia. Il nostro Paese si pone al secondo posto dopo la Francia (con 3,5 kg) e prima del Belgio (con 1,8 kg). Lo scorso fine giugno si è svolta a Milano, finalmente in presenza, una giornata di cooking show e presentazione delle pregiate carni di vitello con gli chef SONIA PERONACI e ROBERTO VALBUZZI. L’evento faceva parte integrante della campagna triennale 2019/2021 di promozione della carne di vitello europea cofinanziata dall’Unione Europea e realizzata in Italia da ASSOCARNI – Associazione Nazionale Industria e Commercio Carni e SBK – Stichting Brancheorganisatie Kalversector, la Fondazione Interprofessionale olandese dell’industria della carne di vitello. L’articolo lo trovate a pagina 38 (photo © Yaruniv-Studio – stock.adobe.com)
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ANTICIPAZIONI
World Butchers’ Challenge il 2 e 3 settembre 2022 a Downtown Sacramento, California
La notizia è ufficiale: la prossima competizione mondiale del World Butchers’ Challenge si svolgerà al Golden 1 Center a Downtown Sacramento, California, il 2 e 3 settembre 2022. L’evento in programma lo scorso settembre 2020 — e per ovvi motivi poi sospeso —, potrà finalmente svolgersi in sicurezza nella splendida cornice del palazzetto dello sport sede di eventi musicali e sportivi, tra cui l’NBA dei Sacramento Kings e dotato delle più sofisticate tecnologie. Questo scatto risale alla prima partecipazione della Nazionale Italiana Macellai, all’edizione 2018 del World Butchers’ Challenge svoltosi a Belfast, in Irlanda del Nord. In foto, Andrea Laganga, Gianni Giardina e Ale Elaloui, che insieme al capitano Francesco Camassa, Orlando Di Mario, Mara Labella, Federico Dal Lago, Roberto Passaretta e Davide Cecconi, formarono un fantastico team azzurro (photo © Simon Graham Photography). >> Link: www.worldbutcherschallenge.com www.facebook.com/ItalianButchersTeam
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TENDENZE
Viva l’Italia
Lo conferma l’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, che ha monitorato l’andamento dei prodotti alimentari confezionati, presenti in supermercati e ipermercati, che presentano in etichetta un richiamo all’italianità e/o alla regionalità: complessivamente sono oltre 21.000 prodotti, che hanno superato gli 8,1 miliardi di euro di vendite (+6,3% rispetto ai 12 mesi precedenti) e che rappresentano il 25,6% di tutta l’offerta food di super e ipermercati. Si tratta di un paniere molto ampio e trasversale alle diverse categorie alimentari, in cui l’Osservatorio Immagino ha individuato sette tra claim, bollini e indicazioni geografiche europee: tutti (tranne “prodotto in Italia”) hanno registrato vendite in aumento, e in particolare i prodotti DOP (+12,3%) e quelli con il claim “100% italiano” (+9,4%). Se un prodotto alimentare su quattro presenta sulle confezioni un riferimento esplicito alla sua italianità, uno su dieci si spinge oltre e sottolinea in modo evidente la sua origine regionale: si tratta di oltre 8.600 prodotti di provenienza regionale, che hanno realizzato oltre 2,4 miliardi di euro di vendite, crescendo di +5% nell’arco di un anno. Quali sono le regioni italiane che hanno conquistato il carrello degli Italiani? Al primo posto si riconferma il Trentino-Alto Adige, seguito da Sicilia, Piemonte ed Emilia-Romagna. Ma nella classifica delle regioni stilata dall’Osservatorio Immagino spiccano anche le performance dei prodotti made in Molise (+28,7%), Liguria (+15,6%) e Calabria (+13,1%). La classifica completa delle regioni è pubblicata nell’ottava edizione dell’Osservatorio, scaricabile gratuitamente dal sito osservatorioimmagino.it (photo © DenisMArt – stock.adobe.com).
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NATURALMENTE CARNIVORO
Butchers for Children, presto di nuovo insieme. La rete dei macellai Butchers for Children, che unisce gli artigiani delle carni dal Nord al Sud Italia, ha iniziato le proprie scorribande paesane e cittadine nel 2001 per volontà di Dario Cecchini dell’Antica Macelleria Cecchini proprio da Panzano in Chianti (FI). Da allora la staffetta benefica dei Butchers — che nel corso degli anni, ricordiamolo, ha raccolto oltre 600.000 euro — non si è mai fermata, trasferendo il testimone da Panzano a Milano, passando per Mirano (VE), Asiago (VI), Sovizzo (VI), Treviso, Val di Non (TN), Carpi (MO), Bomporto (MO), Genazzano (RM) e Sabaudia (RM). «Butchers for Children funziona perché è nata in modo spontaneo ed è rimasta tale negli anni, lontana da logiche politiche o dinamiche poco costruttive. L’unico elemento che ci guida è la solidarietà e il piacere di stare insieme» ricorda spesso Roberto Papotti dell’omonima Macelleria di Fossoli di Carpi (MO) e organizzatore degli eventi in terra emiliana. «Che belle persone i macellai! Gente sana in tutti i sensi, forte e generosa» è solito ripetere il nostro Dario. È proprio vero! Qui uno scatto all’interno dell’Antica Macelleria Cecchini, con il primo ritrovo dei Butchers post-lockdown, un’occasione per celebrare l’amicizia che li unisce e programmare gli appuntamenti autunnali. Stay tuned (in foto, insieme a Dario Cecchini, da sinistra Roberto Papotti, Macelleria Papotti di Fossoli di Carpi, Giuliana e Daniele Biassoni della Macelleria Maggio di Milano e Moreno Favaretto della Macelleria Favaretto di Mirano).
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NOVITÀ
ATTUALITÀ
ASSOCARNI e UNICEB insieme per la sostenibilità dei sistemi zootecnici Una tavola rotonda che ha riunito le due associazioni del mondo zootecnico e della trasformazione e lavorazione delle carni per fare il punto sui traguardi raggiunti e i futuri obiettivi. Scordamaglia (ASSOCARNI): «l’ideologia il principale nemico della transizione ecologica». Siciliani (UNICEB): «filiera delle carni pronta alla transizione ecologica ma sono necessari incentivi per il volano degli investimenti»
«È
l’ideologia il principale nemico della transizione ecologica, di questa transizione verde alla base del PNRR e della futura PAC, strumenti fondamentali per il futuro su cui oggi non possiamo, anche come settore, sbagliare». Così LUIGI SCORDAMAGLIA, presidente di ASSOCARNI è intervenuto alla tavola rotonda “La sostenibilità dei sistemi zootecnici italiani: traguardi raggiunti e obiettivi futuri”, organizzata lo scorso 5 luglio da ASSOCARNI e UNICEB e che si è svolta in diretta streaming moderata dal giornalista ANTONIO BOSCHETTI, direttore de L’INFORMATORE AGRARIO. L’evento, realizzato in vista del Summit delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari (UN Food Systems Summit) e dei lavori preparatori che si sono svolti a Roma a fine luglio, ha voluto porre l’attenzione sul modello di allevamento italiano fatto di equilibrio in termini di benessere animale, sostenibilità ambientale, economia circolare e presidio ambientale. «Un consumo consapevole del prodotto carne crea sicuramente più vantaggi che svantaggi». «Dove si consuma carne è migliorata la vita». «Il prodotto italiano è già eccellente, dobbiamo migliorare la percezione a livello internazionale
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della qualità dell’azienda italiana». «C’è stata una riduzione del 43% di antibiotici negli ultimi decenni, bene. In realtà si potrà fare ancora meglio.” Queste sono alcune delle dichiarazioni di ROBERTO CINGOLANI, Ministro della Transizione ecologica, che ha partecipato alla tavola rotonda insieme a GIAN MARCO CENTINAIO, sottosegretario di Stato alle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, FILIPPO GALLINELLA, presidente della Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati, PAOLO DE CASTRO, primo vicepresidente della Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale. I saluti introduttivi sono stati riservati a LUIGI CREMONINI,
Inalca Spa e past president ASSOCARNI, e a CARLO SICILIANI, presidente UNICEB. Luigi Cremonini past president ASSOCARNI «Il mondo della zootecnia e dell’agricoltura sono il nostro mondo e per questo dobbiamo proteggerlo. La zootecnia — ha ricordato il cav. Cremonini in apertura della tavola rotonda — è l’ossatura del sistema agricolo nazionale favorendone lo sviluppo. Servono quindi sforzi per aprire questo comparto alle nuove sfide che ci apprestiamo ad affrontare, come l’economia circolare e la sostenibilità».
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«La Filiera ha un bisogno assoluto di riconquistare la fiducia del consumatore che troppo spesso è stata minata da campagne denigratorie sotto il profilo nutrizionale e salutistico e riaffermare il suo ruolo di asset strategico per il Paese nell’ambito del comparto agroalimentare. Senza una rinnovata fiducia non si può raggiungere l’obiettivo di una piena ripresa ma, soprattutto, non si può rilanciare il volano degli investimenti da parte degli imprenditori» (Carlo Siciliani)
Carlo Siciliani presidente UNICEB Nel suo intervento il presidente UNICEB Carlo Siciliani ha sottolineato la soddisfazione per aver promosso questa tavola rotonda, perché il tema della “transizione ecologica” è centrale sia nelle politiche europee che in quelle nazionali e il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza ne è la dimostrazione. La Filiera delle carni — ha proseguito Siciliani — non teme le sfide legate alla sostenibilità, perché già da molti anni è impegnata a fare la sua parte anche su questo aspetto. Purtroppo, però, non solo non è mai riuscita ad ottenere il dovuto riconoscimento sui risultati sin qui raggiunti ma, paradossalmente, continua troppo spesso ed a torto ad essere demonizzata. Nel settore della macellazione e trasformazione non siamo mai riusciti ad utilizzare gli scarti delle nostre lavorazioni a fini energetici per arrivare ad una vera economia, circolare e sostenibili, sia da un punto di vista ambientale che economico-finanziario. Da anni siamo impegnati — prosegue Siciliani — su questo tema con un’apposita “Sezione Energia” per studiare, da un
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lato, l’ottimizzazione dei fabbisogni energetici delle aziende e, dall’altro, le soluzioni tecnologiche più adatte per lo sfruttamento degli scarti. Per questo riteniamo necessario — ha sottolineato il presidente UNICEB — ed urgente richiedere al Governo che venga concesso un incentivo dedicato per l’utilizzo degli scarti di macellazione per quegli impianti costruiti all’interno delle
aziende che producono energia sul posto generando, in tal modo una vera economia circolare in termini di sostenibilità ambientale ed economica. Altro punto toccato dal presidente Siciliani ha riguardato gli investimenti per la creazione di impianto a biometano o biogas che ad oggi beneficiano di forme incentivanti esclusivamente se realizzate da
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aziende agricole. Siciliani ha chiesto al ministro Cingolani un nuovo inquadramento autorizzativo che permetta non solo ad una azienda agricola ma anche ad un’industria agroalimentare di poter accedere al meccanismo incentivante. La presenza del sottosegretario Centinaio ha permesso al presidente Siciliani di rivolgere l’invito a prevedere una campagna di informazione sul comparto delle carni che possa accompagnare la ripresa e rilanciare il volano degli investimenti da parte degli imprenditori.
«Da ultimo — ha concluso Siciliani — voglio porre l’accento sulla futura riforma della PAC appena approvata che fra i tanti elementi di novità prevede che il 25% degli aiuti diretti sia destinato ai cosiddetti eco-schemi. Sarà estremamente importante partecipare attivamente alla formulazione del Piano Strategico Nazionale affinché queste misure siano effettivamente realizzabili e accompagnino gli allevatori verso gli obiettivi di sostenibilità più volte ricordati».
«La filiera zootecnica e della trasformazione delle carni è centrale nell’assetto economico e occupazionale di questo Paese; è distintiva per qualità e pregio dei propri prodotti; è dipendente dall’estero ma ha tecnologie e asset che possono aiutarci non a consumare di più ma a importare di meno; non ultimo, è orgogliosa di ciò che è pronta a fare» (Luigi Scordamaglia)
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Luigi Scordamaglia presidente ASSOCARNI «Il settore zootecnico — ha detto Scordamaglia — è uno dei settori maggiormente penalizzati da un approccio ideologico che non ha nulla a che fare con la realtà, con i numeri, con i dati di un comparto che opera nel nostro Paese con un modello fortemente distintivo e che oggi vogliamo rivendicare con orgoglio». Il presidente di ASSOCARNI poi ha sottolineato l’impatto economico della zootecnia italiana. «A chi pensa sia la cenerentola economica ricordiamo che il nostro settore vale complessivamente 30 miliardi di euro, con più di 180.000 addetti, un settore capace di generare indotto come nessun altro». Dati che risultano altrettanto significativi a livello europeo dove l’agroalimentare è il primo comparto e di questo ben il 40% pari a 170 miliardi di euro è rappresentato proprio dalla zootecnia con la cifra record di 4 milioni di famiglie impiegate. Al centro della tavola rotonda la necessità di un dibattito informato sul settore. «Un settore che come nessun altro è oggetto di fake news che non tengono nessun conto della realtà dei dati scientifici» ha sottolineato Scordamaglia che ha evidenziato come il consumo di carne rossa in Italia non solo sia in linea, ma addirittura al disotto delle raccomandazioni dell’OMS. «Per quella bovina meno di 25 grammi al giorno». Su impatto ambientale e allevamento il presidente di ASSOCARNI ha ricordato che «Il nostro modello, secondo la FAO, per un chilogrammo di carne prodotta emette 1/5 di CO2 rispetto a quello di Asia o America». E sulla fake meat: «Chiunque è libero di mangiare delle cellule indifferenziate prodotte in un brodo di crescita e antibiotici. Per produrre la carne bovina consumata in Italia ci vorrebbero 470 piscine olimpioniche di questo brodo di crescita, tra l’altro ottenuto da cellule bovine non certo vegetali — ha detto Scordamaglia — ma chiamarla con termini che richiamano la carne (hamburger, steak…) è una vera e propria frode».
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E proprio sugli antibiotici Scordamaglia ha ricordato come il settore stia facendo enormi passi avanti «solo trattamenti terapeutici con rigidi tempi sospensione e –42% negli ultimi anni». E ancora sulla PAC, «non possiamo smantellare produzione — ha detto il presidente di ASSOCARNI — non dobbiamo frammentare chi è già piccolo, non possiamo pensare di ridurre il sostegno a chi produce, non possiamo pensare che i costi maggiori del benessere animale li possa sostenere solo il consumatore che nel concreto rischierebbe trovare sul mercato prodotti da Paesi Terzi realizzati senza gli stessi standard. La vera offensiva in atto al food system dell’ONU — ha aggiunto — è di chi vuole slegare la produzione alimentare dalla terra, togliendo lavoro a 4 milioni di famiglie, non si può fare la transizione verde contro la produzione naturale». E ha concluso Scordamaglia «Siamo orgogliosi di dove siamo ma consapevoli e decisi a fare sempre di più soprattutto su aspetti fondamentali come il benessere animale e l’impatto ambientale. Abbiamo progetti cantierabili per il PNRR ed è per questo che vogliamo usare le risorse». Bruno Ronchi, panoramica scientifica ed approfondita del mondo zootecnico nazionale La relazione del prof. Ronchi ha centrato l’attenzione sui reali impatti ambientali delle produzioni zootecniche confutando le informazioni che molto spesso vengono veicolate in modo strumentale e ideologicamente schierato: rispetto al 1990, il sistema zootecnico italiano ha ridotto le emissioni del 12%, e rispetto al 1970 gli allevamenti italiani hanno ridotto le emissioni di metano, il principale gas serra della zootecnia, del 40%. Il contributo della zootecnia italiana alle emissioni gas serra è modesto e in costante diminuzione; attualmente rappresenta il 5,2% del totale nazionale. Sull’utilizzo dell’acqua per la produzione di 1 kg di carne in Italia, ben l’87% è costituito da acqua piovana.
Eurocarni, 8/21
Il prof. Ronchi ha evidenziato come per ridurre ulteriormente l’impatto sull’ambiente delle produzioni zootecniche occorra migliorare l’efficienza produttiva e riproduttiva degli allevamenti, anche per mezzo dell’adozione di piani di alimentazione improntati alle tecniche di precision feeding, impiego di tecnologie per il controllo integrato dei dati aziendali e per la formulazione di interventi di adeguamento. Roberto Cingolani, Ministro della Transizione ecologica «L’Italia nel settore agrifood è una nazione guida a livello mondiale ma dobbiamo migliorare la percezione della qualità italiana a livello europeo» ha detto il ministro, ricordando anche che la carne è un alimento fondamentale della Dieta Mediterranea e che il consumatore va educato ad un consumo corretto. In materia di PNRR Cingolani ha detto che «questa è una scommessa
mondiale che l’Italia si trova a giocare. Dobbiamo trovare soluzioni comuni e fare una buona figura come nazione», rinnovando la propria disponibilità a collaborare. Paolo De Castro, primo vicepresidente della Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale De Castro ha sottolineato l’importanza di una tavola rotonda con la doppia regia ASSOCARNI e UNICEB: «questa è una giornata importante perché serve coesione per affrontare insieme il tema della sostenibilità nel settore zootecnico».
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Fame di proteine, ecco le risposte Gli allevamenti si stanno preparando a nutrire un mondo sovraffollato, migliorando al contempo l’impatto sull’ambiente
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di Angelo Gamberini
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i attende un mondo molto più popolato: chi se ne intende (onuitalia.com) parla di 10 miliardi di persone nel 2050, fra appena 29 anni. Facile prevedere che la maggior spinta demografica giunga dai Paesi in forte sviluppo, dove l’economia è in maggiore crescita. Emblematica a questo proposito la recente decisione del governo cinese di alzare a tre il numero dei figli consentiti ad ogni coppia. Più persone e con maggiori capacità di spesa si tradurrà con tutta probabilità in aumento del consumo di carne. È una “naturale” evoluzione conseguente all’aumentato potere d’acquisto. Poco potrà fare l’Europa per controbilanciare questa crescita con la sua controproducente e contraddittoria politica del Farm to Fork, tesa a ridurre gli acquisti di carne. Nel Vecchio Continente il consumo di carne (reale, non quello apparente delle statistiche) è già a livelli fisiologici e l’Italia, con i suoi 38 kg di carne pro capite all’anno è un virtuoso esempio al quale ispirarsi. Così, mentre la produzione mondiale di carne è stimata dalla Fao in 339 milioni di tonnellate per anno (con riferimento al 2019), nel mondo del 2050 si arriverà a 465 milioni tonnellate. Ma ci sono le risorse sufficienti a sostenere questa crescita? E sul piano della sostenibilità, cosa potrebbe accadere? Da tempo la scienza è al lavoro per rispondere a questi interrogativi e già oggi ci offre alcune risposte su come affrontare la “fame di proteine” (non solo quelle animali) senza incidere sull’ambiente. L’attenzione all’impiego di soia proveniente da produzioni ottenute senza deforestazione va in questa direzione. In Europa, ricorda FEFAC, l’associazione delle imprese mangimistiche, il 78% della soia impiegata risponde ai criteri di sostenibilità. La soia, grazie al suo elevato contenuto proteico e alla buona composizione amminoacidica è la leguminosa di riferimento per l’alimentazione degli animali monogastrici, come polli e suini.
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Ma di soia in Europa ce n’è poca e ancor meno in Italia, tanto da doverne importare oltre 4 milioni di tonnellate ogni anno. Nulla di fronte alla Cina, che da sola importa cinque volte di più di tutta l’Unione europea. Non è dunque all’Italia e nemmeno a tutta l’Europa che bisogna guardare, quando si pensa alla soia come causa di deforestazioni o altri scempi ambientali. Tanto più che lo stesso Brasile, fra i più grandi produttori mondiali, dichiara con forza di aver messo sotto controllo la coltivazione di soia, limitandone la produzione al rispetto di precisi vincoli ambientali. Ma non è la soia, da sola o insieme alle altre colture proteiche, che potrà rispondere alla “fame di proteine” di oggi e soprattutto di domani quando crescerà la “fame di carne”. Occorrono altre fonti proteiche, sia per gli animali sia per l’uomo. Una di queste è rappresentata dagli insetti, che negli ultimi tempi hanno ricevuto il via libera delle autorità comunitarie per essere annoverati fra i novel foods e come tali arrivare direttamente sulle nostre tavole. Ma il loro ruolo resta limitato (e lo sarà ancora per lungo tempo, per la gioia di molti) all’alimentazione degli animali. Pur se con una forte variabilità, che dipende dalla specie e dal substrato di allevamento, gli insetti vantano un elevato contenuto proteico, paragonabile a quello della soia. La chitina dei loro esoscheletri, insieme ad altri elementi bioattivi in essi contenuti, promettono interessanti effetti sul sistema immunitario degli animali da allevamento. Vantano poi la presenza di acidi grassi (il laurico fra questi) ai quali si attribuiscono proprietà antimicrobiche. Si vedrà in seguito quanto utili per ridurre ulteriormente l’impiego di antibiotici in zootecnia. Una loro influenza positiva è segnalata poi sul fronte del benessere animale. Le larve vive, messe a disposizione di polli e galline, stimolano comportamenti naturali che ne aumenterebbero appunto lo stato di benessere.
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Carni Sostenibili La carne è un alimento di primaria importanza. Che, da almeno due decenni, è però soggetto a numerosi attacchi e critiche. Fra le principali accuse che le si rivolgono, spiccano il suo impatto ambientale e i supposti problemi a livello salutistico a essa collegati. Al dibattito sulla produzione e il consumo di carne partecipano organizzazioni e stakeholder di vario genere, caratterizzati da scopi differenti: associazioni animaliste e/o ambientaliste, centri di ricerca, media. In questo contesto non si è mai inserito, almeno in Italia, il punto di vista dei produttori di carne, che hanno invece sentito la necessità di partecipare al dibattito fornendo informazioni, dettagli e dati oggettivi utili a correggere, dove necessario, alcune posizioni, a volte pregiudiziali se non completamente scorrette. Per far questo, dal 2012 un gruppo di operatori del settore zootecnico (aziende e associazioni) si è organizzato per supportare studi scientifici che, in una logica di trasparenza pre-competitiva, hanno permesso di arrivare, oltre che alla pubblicazione dello studio “La sostenibilità delle carni e dei salumi in Italia“, all’avvio del progetto “Carni Sostenibili” e, quindi, del portale carnisostenibili.it. Nato dalla comunione di intenti delle tre principali associazioni di categoria, Assocarni, ASS.I.CA. e UNAItalia, il sito si propone di trattare in modo trasversale tutti gli argomenti legati al mondo delle carni: un progetto senza precedenti, in Italia, che con un approccio formativo e informativo vuole contribuire a una informazione equilibrata su salute, alimentazione e sostenibilità. >> Link: www.carnisostenibili.it
Ci sono però dei limiti. Della variabilità del loro valore nutritivo si è detto. L’altro è di carattere normativo. Per l’Unione Europea quello degli insetti è un allevamento come tutti gli altri. E dunque deve sottostare alle stesse regole. Ne consegue che non si possono utilizzare rifiuti o scarti di origine animale. In quanto “animali” il loro impiego nell’alimentazione delle altre specie è vietato, con l’unica eccezione dei pesci. Ma presto, si dice nei corridoi di Bruxelles, si darà il via libera al loro utilizzo nell’alimentazione delle specie avicole. Ma c’è un altro scoglio da superare, quello dei costi. La farina di insetto ha prezzi enormemente più
alti rispetto a qualunque altra fonte proteica, farina di pesce compresa, che è una delle più care. Simili alla farina di pesce e con un contenuto proteico altrettanto elevato, intorno al 60%, sono le microalghe, la più “famosa” delle quali è probabilmente la “spirulina” (Arthrospira platensis), già nota per il suo impiego nell’uomo. Molte altre sono le microalghe di interesse per l’alimentazione zootecnica, grazie al buon contenuto proteico e alla presenza di carboidrati e grassi che garantisce un interessante apporto energetico. Si stanno valutando poi le proprietà antimicrobiche e antiossidanti di alcuni micronutrienti in esse
Il mondo degli allevamenti si sta attrezzando per produrre più carne nel modo più sostenibile. Non è la prima volta che questa impresa riesce. È accaduto nella metà del secolo scorso, innovando e perfezionando coltivazioni e allevamenti per nutrire un mondo che passava dai 2,5 miliardi del 1950 ai sei miliardi di abitanti del 2000
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contenuti. I punti di debolezza, anche in questo caso, sono la composizione variabile, cui si aggiunge una quota di indigeribilità delle pareti cellulari. Infine, gli elevati costi di produzione che ne rendono del tutto antieconomico, per il momento, l’impiego. Problema che l’affinamento delle tecniche e l’aumento della produzione potrebbe in futuro risolvere. Il mondo degli allevamenti si sta dunque “attrezzando” per produrre più carne e per farlo nel modo più sostenibile. Non è la prima volta che questa impresa riesce. È accaduto nella metà del secolo scorso, innovando e perfezionando coltivazioni e allevamenti per nutrire un mondo che in pochi decenni passava dai 2,5 miliardi del 1950 ai sei miliardi di abitanti del 2000, sino agli odierni 7,85 miliardi di persone. Ora si dovrà ripetere un analogo “miracolo”, ma senza uscire dal perimetro della sostenibilità. Gli strumenti ci sono e si sta lavorando per metterli a punto. Angelo Gamberini Carni Sostenibili
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EFSA: insetti commestibili e valutazione scientifica dei nuovi alimenti L’EFSA (www.efsa.europa.eu) ha pubblicato lo scorso 13 gennaio un insieme di pareri scientifici in esito a richieste di valutazione di nuovi alimenti [Scientific opinion on dried mealworms (Tenebrio molitor) as a novel food]. Tra i pareri compare la prima valutazione completa di un prodotto proposto come alimento derivato da insetti. Le valutazioni EFSA in termini di sicurezza sono una tappa necessaria per la regolamentazione dei nuovi alimenti in quanto la sua consulenza scientifica affianca il lavoro degli enti europei e nazionali che autorizzano tali prodotti per il mercato europeo. Dall’entrata in vigore del regolamento sui nuovi alimenti il 1o gennaio 2018 l’EFSA ha ricevuto un gran numero di richieste di valutazione in merito ad un’ampia varietà di fonti di alimenti sia tradizionali che inedite: prodotti erboristici derivati da piante, alimenti a base di alghe e frutti non autoctoni, oltre a diverse varietà di insetti commestibili. «Le richieste di valutazione di nuovi alimenti sono talmente varie che abbiamo bisogno di competenze scientifiche diversificate per valutarle» ha dichiarato in proposito HELLE KNUTSEN, biologa molecolare e tossicologa, presidente del gruppo di lavoro sui nuovi alimenti. «Tanto per citarne alcune: nutrizione umana, tossicologia, chimica e microbiologia. La composizione del gruppo di lavoro le riflette e, insieme, i nostri scienziati formano un gruppo multidisciplinare di grande esperienza». «Gli insetti sono organismi complessi, e ciò rende problematica la caratterizzazione della composizione dei prodotti alimentari da essi derivati» commenta ERMOLAOS VERVERIS, chimico ed esperto EFSA in scienza degli alimenti che ha coordinato l’elaborazione del primo parere adottato su insetti usati come nuovi alimenti. «Comprenderne la microbiologia è di fondamentale importanza, considerato anche che si consuma l’insetto intero. Vari cibi derivati da insetti vengono spesso dichiarati fonte di proteine per l’alimentazione. Le formule a base di insetti possono essere ad elevato contenuto proteico, benché i livelli proteici utili possono risultare sovrastimati quando sia presente la chitina, una delle principali sostanze che compongono l’esoscheletro degli insetti. Un nodo fondamentale della valutazione è che molte allergie alimentari sono connesse alle proteine, per cui dobbiamo valutare anche se il consumo di insetti possa scatenare reazioni allergiche. Tali reazioni possono essere provocate dalla sensibilità individuale alle proteine di insetti, dalla reazione crociata con altri allergeni o da allergeni residuati da mangimi per insetti, ad esempio il glutine. È un lavoro impegnativo perché la qualità e la disponibilità dei dati varia, e c’è molta diversità tra una specie di insetti e l’altra». La novità di usare insetti nei cibi ha suscitato grande interesse da parte del pubblico e dei media, per cui le valutazioni scientifiche dell’EFSA sono cruciali per i responsabili politici che debbono decidere se autorizzare o meno tali prodotti prima della loro immissione sul mercato dell’UE. GIOVANNI SOGARI, ricercatore all’Università di Parma, ha commentato: «Ci sono ragioni derivanti dalle nostre esperienze sociali e culturali, il cosiddetto “fattore disgusto”, che rendono il pensiero di mangiare insetti repellente per molti europei. Col tempo e l’esposizione tali atteggiamenti potranno mutare». MARIO MAZZOCCHI, esperto di statistica, ha affermato: «Ci sono chiari vantaggi ambientali ed economici nel sostituire le fonti tradizionali di proteine animali con quelle che richiedono meno mangime, producono meno rifiuti e provocano meno emissioni di gas serra. L’abbassamento di costi e prezzi potrebbe migliorare la disponibilità di alimenti, mentre la nuova domanda creerà nuove opportunità economiche, che potrebbero però interferire con i settori esistenti». Gli scienziati EFSA continueranno a inserire le numerose richieste di valutazione di nuovi alimenti nella loro agenda, mentre i responsabili delle decisioni a Bruxelles e nelle capitali nazionali decideranno se tali alimenti debbano essere autorizzati per finire nei piatti europei. In definitiva, i consumatori potranno scegliere con fiducia ciò che mangiano, ben sapendo che la relativa sicurezza è stata accuratamente verificata.
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LEGISLAZIONE
Agricoltura biodinamica? L’interesse del mercato, i dubbi della scienza: si riaccende il dibattito, rischiando di travolgere la riforma del biologico, alla vigilia della sua approvazione di Guido Guidi
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rima che iniziasse la discussione sul DDL 988 in Parlamento, cosa fosse l’agricoltura biodinamica era probabilmente sconosciuto ai più. È un tema complesso quello del disegno di legge in questione, in parte frainteso e oggetto di polemiche, non sempre senza ragione. Certo è che lo scontro che ne è scaturito, pur nella confusione generale, ha costretto all’approfondimento di una materia che appare interessante sotto diversi profili. Dopo anni di attesa e di continui rinvii, il Senato ha approvato, infatti, il DDL sull’agricoltura biologica, che contiene, tra gli altri, il marchio Biologico Italiano, di cui potranno fregiarsi i prodotti bio ottenuti da materia prima nazionale, e un Piano strategico, a cui si aggiungono un aggiornamento sul sistema dei controlli e una serie di altri provvedimenti, che rispondono all’esigenza di standard più elevati e criteri di trasparenza, in un’ottica di tutela del consumatore finale.
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Una necessità, quella di rivedere l’intero sistema, fattasi ancor più pregnante alla luce della netta riduzione dell’impatto della chimica nel suolo, imposta dal Green New Deal europeo. La norma risponde dunque all’esigenza, rilevata da più parti, di una disciplina completa che regoli e sostenga il comparto bio, in cui tra l’altro l’Italia è leader europeo nella produzione e nell’esportazione. Un provvedimento che pone l’attenzione su un settore che sta dando enormi soddisfazioni in ambito economico e di sviluppo e che, a maggior ragione, ha bisogno di ulteriori indicazioni e sostegni. In questo contesto, il pomo della discordia risiede nel fatto che in uno dei primi commi il disegno di legge equipara l’agricoltura biodinamica a quella biologica. Un passaggio che ha scatenato la contrarietà del mondo scientifico, in un dibattito che ha ampiamente travalicato le mura di Palazzo Madama.
Nasce su iniziativa di RUDOLF STEINER nei primi decenni del secolo scorso l’agricoltura biodinamica che unisce i dettami dell’omeopatia ad alcune tecniche del biologico, in un approccio olistico. Una certa importanza viene attribuita alle forze cosmiche e al concetto di energia vitale, sconfinando anche in ambiti religiosi, senza mai comprovare il rapporto di causa ed effetto, tra le pratiche adottate e i risultati ottenuti. Si tratta di un metodo che, pur presentando diverse similitudini con l’agricoltura biologica, se ne discosta quando prevede l’attuazione di particolari protocolli e l’utilizzo di preparati che si somministrano al suolo in determinate fasi lunari e in presenza di una specifica posizione dei pianeti nelle costellazioni dello zodiaco. Nel contempo, la biodinamica rigetta in modo netto qualsiasi innovazione scientifica o tecnologica collegabile alla rivoluzione verde, cioè a quella fase storica dell’agricoltura
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che, attraverso l’impiego di varietà vegetali geneticamente selezionate, fertilizzanti, fitofarmaci, acqua e altri investimenti in forma di nuovi mezzi meccanici, ha consentito nella metà del secolo scorso, di incrementare significativamente le produzioni. Di contro, però, impone l’attuazione di protocolli riportati in altrettanti disciplinari, che prevedono di nutrire il terreno con preparati ottenuti da letame, parti
di animali come la vescica di cervo, le corna di vacca o il suo intestino, il cranio di bue e polvere di quarzo o sostanze vegetali, in diluizione omeopatica. Oggetti, questi ultimi, che in più devono essere trattati, sepolti e poi dissotterrati con un preciso calendario, in parte legato alle fasi lunari. Pratiche a cui probabilmente si rifacevano in tutto o in parte i nostri nonni, ma di cui non era scontata la validità scientifica. Così come è da dimostrare una migliore qualità o sicurezza dei cibi che ne derivano. A maggior ragione gli scienziati mostrano un certo disappunto non solo all’ipotesi di una legittimazione vera e propria di certe consuetudini, ma anche al fatto che a queste vengano destinati fondi pubblici, soprattutto se si considera che lo stesso termine “agricoltura biodinamica” è un marchio commerciale e pertanto privato, con tutte le conseguenze del caso. Corre l’obbligo di precisare che la bozza di decreto prevede che la biodinamica venga finanziata solo laddove ci sia una certificazione di agricoltura biologica e non tutte le aziende biodinamiche — manco a dirlo — ce l’hanno. Questa è la principale argomentazione portata da chi ritiene che le obiezioni siano pretestuose. I sostenitori della norma fanno presente che, seppur in assenza di una dignità scientifica, la biodinamica rappresenta ormai un segmento di mercato di una certa importanza, capace di creare un notevole valore aggiunto, genera-
to sinora con investimenti privati. Nella norma in discussione la biodinamica dovrebbe soddisfare innanzitutto i requisiti del biologico, con in aggiunta una visione olistica dell’agricoltura che, oltre a non nuocere nessuno, crea sviluppo e occupazione e già questo dovrebbe bastare perché la riforma veda finalmente la luce. Come non essere d’accordo? Ci sarebbe però da chiedersi, al netto del DDL 988, se sia corretto che il nostro ordinamento incoraggi certe pratiche, contribuendo a consolidare le errate convinzioni di un consumatore, che — pur avendo il portafoglio pieno — non sempre ha gli strumenti per fare scelte oculate. Non bastasse, questo rischia di condurre alla deriva della contrarietà verso processi che invece hanno piena dignità e basi scientifiche. Da troppo tempo si contrappongono — come avessero pari requisiti ad albergare in certi dibattiti — i pareri di semplici individui senza titolo con quelli della competenza, dell’esperienza e della conoscenza. Il rischio è anche quello di rafforzare la cultura della demonizzazione di ogni tecnologia e ogni innovazione, dando, di contro, piena cittadinanza a credenze prive di ogni fondatezza. Avremmo invece forse bisogno, in questo momento storico, di infondere fiducia nella scienza, nella medicina e nella scuola e di dare nel contempo al consumatore strumenti validi per fare scelte consapevoli di fronte allo scaffale. Guido Guidi
Un esempio classico di metodologia pseudoscientifica usata in agricoltura biodinamica è il cornoletame (o preparato 500). Si tratta di letame inserito in un corno di vacca che ha partorito almeno una volta, tenuto sottoterra, poi estratto e dinamizzato con acqua: tutte operazioni adottate — a detta degli agricoltori biodinamici — per migliorare la resa produttiva del terreno. Le ragioni sono spiegate direttamente da Steiner in una lezione in cui illustra che nelle corna della vacca ci sarebbero forze vitali e che sarebbe quindi un organo che irradia vita e astralità (photo © FreeProd – stock.adobe.com).
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Crescita sì, ma attenzione a inflazione e costi delle materie prime di Cosimo Sorrentino
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ol progredire della campagna vaccinale, che fa sperare in un’uscita dalla pandemia, si avverte un rafforzamento dell’economia e l’Italia, secondo quanto stimato dall’OCSE, sarebbe l’unica tra i Paesi del G7 che nel primo trimestre di quest’anno avrebbe fatto registrare un netto miglioramento del PIL rispetto al precedente trimestre. Né la Germania, né la Francia o il Regno Unito e l’intera Unione Europea hanno fatto meglio, anzi, hanno visto registrare tutti un segno meno. E fa piacere constatare che anche l’agenzia di rating Fitch, che controlla i conti pubblici del nostro Paese, intraveda un quadro generale positivo, con prospettive di crescita del PIL al 4,3% nel 2022. Infine, si presenta solido anche il dato della produzione industriale nel mese di aprile rispetto a marzo, tenendo anche presente che si tratta di un ciclo di 5 mesi consecutivi di crescita congiunturale. Le descritte tendenze sono state peraltro confermate anche dalla presidente della Banca Centrale Europea, che intravede ottimismo nell’Eurozona per la seconda metà del corrente anno. Non ha poi mancato di far sentire la sua voce il nostro presidente del Consiglio, il quale, a fine giugno, ha sottolineato in Parlamento «un marcato aumento» sul termometro di imprese e consumatori a maggio, ma anche i dati sulle esportazioni di aprile e maggio, complessivamente in accelerazione nel primo trimestre di questo anno. Il nostro export, infatti, solo se riferito ad aprile rispetto
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a marzo, risulta cresciuto del 3,4%, il che comporta una raccolta di 6 miliardi e mezzo in più rispetto al precedente periodo sopra indicato. Il presidente Draghi, nel sottolineare che la situazione italiana è «in forte miglioramento», si è in particolare soffermato sul dato per le imprese, visto «in forte accelerazione rispetto alla tendenza positiva degli ultimi mesi», rimarcando che si tratta del «dato più alto da febbraio 2018», evidenziando altresì che ad aprile le esportazioni sono cresciute «notevolmente» rispetto a due anni fa, segnando un +7,4%. Ha poi aggiunto che l’indice della produzione industriale è aumentato, ad aprile rispetto a marzo, dell’1,8%, invocando di non sprecare tanta ritrovata fiducia «mantenendo a livello europeo una politica di bilancio espansiva nei prossimi mesi». Detta politica potrà durare anche più a lungo, visto che, come è stato sottolineato più volte negli ultimi tempi dallo stesso Draghi, non è più ostacolata ossessivamente, aggiungiamo noi, anche da quelli che erano sempre votati all’austerità dei bilanci, poiché gli stessi hanno dovuto prendere atto della situazione che ha imposto grandi impegni di spesa, così come, con molte probabilità, anche il patto di stabilità, almeno fino al 2023, rimarrà sospeso, ma prevediamo sarà rivisto nella sua struttura, anche per tener conto dei rischi che la pandemia non riesce ancora ad eliminare. Non ha mancato di far sentire la sua voce anche il governatore della Banca d’Italia, che ha condiviso l’evoluzione favorevole della con-
Ever Given, una portacontainer della classe Golden tra le più grandi al mondo, è rimasta incagliata ben sei giorni nel Canale di Suez bloccando gran parte del commercio mondiale. giuntura quest’anno ed anche del prossimo 2022, non intravedendo pericoli di instabilità derivanti da una ripresa dell’inflazione. Ma mentre gli ingranaggi dell’economia cominciano a girare, il mercato globale viene afflitto da una domanda sostenuta e dalla scarsità di materie prime, necessarie soprattutto per un Paese trasformatore come l’Italia. In un primo
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momento è sorto il problema nel canale di Suez, col cargo incagliato per 6 giorni che ha causato una perdita aggregata per il commercio mondiale stimata tra lo 0,2 e lo 0,4 del PIL mondiale, rallentando la produzione e gli acquisti dei consumatori. Successivamente, le liquidità che sono state immesse sui mercati, come hanno fatto USA e Cina, non esclusa l’Europa, hanno condizionato il mercato delle materie prime in un momento in cui le commodity stavano entrando nel campo della speculazione internazionale, che sta spingendo l’inflazione dagli USA all’Europa e che potrebbe danneggiare anche la ripresa cinese, la quale aveva fatto registrare, a gennaio scorso, un incremento della produzione industriale del 30%. Ora, da un recente studio effettuato da alcuni enti — in particolare da CONFARTIGIANATO —, si rileva che è stato calcolato in 3,2 miliardi l’impatto del maggior costo delle materie prime sulle 70.000 micro e piccole imprese del solo settore dei prodotti in metallo. Sta rincarando un po’ tutto, dall’acciaio al legno, dalle materie plastiche ai materiali più usati in edilizia. C’entra la ripresa, che spinge all’inflazione e dunque al rialzo dei prezzi delle materie prime facendo lievitare i costi, e quanto dureranno queste fiammate non possiamo ipotizzare, anche se le banche centrali, BCE compresa, ritengono che si tratti di fenomeni temporanei, da valutare nella seconda parte dell’anno. La Banca d’Italia, a nostro avviso, vede nel complesso elementi positivi ed esclude pericoli di instabilità derivanti da una ripresa dell’inflazione. Per quanto riguarda l’Europa ricordiamo che è stato assicurato il sostegno monetario della BCE e, soprattutto, è stato creato il Next Generation EU, che mette a disposizione del nostro Paese un volume ingente di risorse. Ma gli atti concreti e conseguenti spettano al Governo ed alle forze politiche, che dovranno saper portare il Paese sulla strada giusta, finora ignorata. Cosimo Sorrentino
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SPECIALE VITELLO
Viva il Vitello, prosegue la campagna di promozione È un’eccellenza europea, una carne prodotta da una filiera di qualità, controllata e tracciata. Lo chef Roberto Valbuzzi, insieme a Sonia Peronaci, ha presentato le nuove ricette in una cooking class dedicata alla stampa
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rosegue con eventi e iniziative speciali la campagna di promozione della carne di vitello europea 2019/2021 cofinanziata dalla UE e realizzata in Italia da ASSOCARNI – ASSOCIAZIONE NAZIONALE INDUSTRIA E COMMERCIO CARNI e SBK – STICHTING BRANCHEORGANISATIE K ALVERSECTOR (Fondazione Interprofessionale olandese dell’industria
della carne di vitello). Il kick off della campagna 2021 è stata la cooking class dedicata alla stampa che ha avuto luogo lo scorso 25 giugno a Milano presso Sonia Factory, a cui ha partecipato anche EUROCARNI, per presentare in anteprima le nuove ricette ideate dallo chef ROBERTO VALBUZZI, ovvero Raviolone aperto con battuto di vitello, pisellini, carote
e cipolla in agrodolce e il Tataki di vitello, crosta di agrumi e maionese al wasabi (si veda box dedicato). «Anche quest’anno sono felice di far parte di questo fantastico progetto» ha dichiarato lo chef. «Utilizzo spesso la carne di vitello e la trovo incredibile per la sua versatilità. Una carne buona, molto magra e perfetta per gli sportivi come me».
Lo chef Roberto Valbuzzi, Sonia Peronaci e François Tomei, direttore di ASSOCARNI. L’evento milanese rientra nella campagna triennale di promozione della carne di vitello europea 2019/2021 cofinanziata dall’Unione Europea e realizzata in Italia da ASSOCARNI e SBK.
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Gli obiettivi della campagna di comunicazione Viva il Vitello è la campagna di comunicazione che ha l’obiettivo di ampliare la conoscenza sulla carne di vitello, in particolare nei consumatori più giovani. La versatilità dell’ingrediente, la riscoperta della tradizione reinterpretata in chiave moderna, la scelta dei tagli migliori in funzione dei diversi utilizzi, sono tutti aspetti che grazie ad una informazione completa possono diventare patrimonio della community. «Anche nel 2021 la campagna di comunicazione è integrata con azioni articolate su più media e un programma pianificato lungo tutto il corso dell’anno con un intenso piano di contenuti social e digital, attività di ufficio stampa, pubbliche relazioni ed eventi e l’endorsement di un influencer prestigioso come Roberto Valbuzzi» ha dichiarato FRANÇOIS TOMEI, direttore di ASSOCARNI. «Inoltre, visual e ricette Viva il Vitello firmate Roberto Valbuzzi saranno protagoniste anche direttamente nei punti vendita della GDO (canale che veicola il 67% degli acquisti): sui carrelli della spesa dei pdv coinvolti, grazie ad appositi cartelli, i consumatori troveranno una delle ricette a base di carne di vitello, così che potrà comodamente memorizzarla o fotografarla e acquistare il giusto taglio di carne per riprodurla a casa». Tutte le attività di comunicazione confluiranno nel sito dedicato vivailvitello.it, dove i consumatori possono trovare informazioni su sistemi di allevamento, tracciabilità, oltre a tutte le ricette. «La filiera della carne di vitello è un patrimonio tradizionale dell’Italia e dell’UE e “Una buona idea per mille buone idee” è il claim che dal 2019 identifica la campagna di comunicazione, volta a farne conoscere i plus qualitativi e gastronomici» ha sottolineato Tomei. «Oltre all’Italia, la campagna tocca infatti anche Paesi Bassi, Francia e Belgio, nazioni dove si concentrano, per tradizione, la produzione e i consumi di carne di vitello (l’86% della produzione UE a volume, e il 68% come consumi)».
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ASSOCARNI (www.assocarni.it) è una delle principali associazioni del settore delle carni in Italia, fondata nel 1983. Nell’ambito di CONFINDUSTRIA, di cui fa parte, rappresenta l’intera filiera di produzione e di approvvigionamento, dall’allevamento alla produzione, trasformazione, commercializzazione e distribuzione nei settori delle carni bovine, ovicaprine ed equine. Vanta una lunga esperienza di competenza ed attenzione nel promuovere gli interessi del settore e fornisce ai suoi associati consulenza su tutte le questioni relative alle loro attività. La sua conoscenza, competenza e autorevolezza ne hanno fatto il punto di riferimento primario per le istituzioni italiane e comunitarie. SBK (www.kalversector.nl) è la Fondazione Interprofessionale olandese dell’industria della carne di vitello (Stichting Brancheorganisatie Kalversector). È stata fondata nel settembre 2013 dalla Dutch Federation of Agriculture and Horticulture (LTO NEDERLAND), la Dutch Feed Industry Association (NEVEDI) e la Dutch Meat Association (COV). SBK rappresenta tutte le fasi della filiera olandese del vitello: allevatori, mangimifici e macelli. Nei Paesi Bassi è ufficialmente riconosciuta come organizzazione interprofessionale e si occupa di diversi aspetti legati alla produzione: salute e benessere degli animali, resistenza antimicrobica (AMR), alimentazione, stabulazione, trasporto, sostenibilità.
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Uno scatto durante la cooking class all’interno dello spazio Sonia Factory di Sonia Peronaci a Milano. La carne di vitello in Europa e in Italia Protagonista in molte preparazioni della cucina italiana tradizionale, quella di vitello è la carne europea per eccellenza, poiché è frutto di una filiera unica al mondo, riconosciuta per l’attenzione al benessere animale, alla tracciabilità, alla sicurezza e alla qualità. Sottoposta a vincoli stringenti, a controlli accurati e a norme severe, la filiera europea della carne è anche un importante comparto economico, che dà lavoro a 25.000 addetti. Da questa filiera tipica dell’Europa si ottiene una carne molto radicata nella cultura alimentare e gastronomica del Vecchio Continente. Sono tante, infatti, le ricette tradizionali a base di carne di vitello e molte sono ormai un “classico” della cucina europea, come gli spiedini e lo stufato in Francia, o come i saltimbocca
alla romana, il vitello tonnato e le scaloppine alla milanese in Italia. La carne di vitello si adatta anche molto bene ad essere valorizzata in ricette moderne e accostamenti insoliti, dalle polpette alla tartare, dagli straccetti agli hamburger. Sicurezza di una filiera controllata e all’insegna del benessere animale La carne di vitello proviene da animali controllati e allevati nel rispetto del benessere animale. Un sistema di tracciabilità e un piano di controlli ne garantisce origine e sicurezza. La filiera della carne di vitello si integra in modo indissolubile con quella del latte e dei formaggi: la nascita dei vitelli, infatti, garantisce il ciclo continuo della produzione di latte. I vitelli che nascono negli allevamenti da latte vengono destinati in parte
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Produzione di carne di vitello nella UE: 649.000 tonnellate l’anno. Maggiori produttori: Paesi Bassi (36% di quota), Francia (28%), Italia (13%) e Belgio (9%). Consumi: Francia (3,5 kg annui pro capite), Italia (3 kg annui pro capite), Belgio con (1,8 kg annuo pro capite).
all’allevamento da carne e in parte (se femmine) restano nelle stalle per diventare a loro volta vacche da latte. Il rispetto del benessere animale è una priorità per la filiera europea della carne di vitello ed regolamentato da una precisa legislazione valida in tutta l’Unione Europea. Ad esempio, fin dal 2004, per l’allevamento dei vitelli non è più possibile usare box individuali e i vitelli devono essere allevati in stalle grandi, luminose e ben ventilate. Inoltre, devono essere nutriti in base ai loro bisogni fisiologici e secondo diete nutrizionalmente bilanciate, che contengano ferro, fibre e tutti gli oltre 40 nutrienti essenziali per la loro crescita. Qualunque sia il metodo di allevamento adottato, viene data particolare attenzione alle condizioni di salute degli animali, che vengono verificate più volte al giorno. In caso di necessità, le cure vengono erogate in modo personalizzato su ciascun vitello e gli antibiotici vengono utilizzati, sotto controllo veterinario, solo quando necessario. Gli operatori della filiera sono tenuti a rispettare anche le severe norme europee in materia di tracciabilità della carne di vitello, degli animali e dei mangimi: un requisito essenziale per garantire l’origine e la sicurezza della carne di vitello che il consumatore acquista. La parola agli chef La carne di vitello è un alimento dalle mille possibilità, un prodotto di eccellenza che arriva da una filiera controllata, semplice e veloce da portare in tavola, base di tante gustose ricette tradizionali e creative, e delizioso anche a crudo. Lo chef Roberto Valbuzzi ha interpretato questo ingrediente versatile e gustoso con altre tre ricette: Bao buns con vitello speziato, salsa allo zenzero e chili, Vitello al rosa con spuma tonnata, briciole di pane ai capperi e polvere di limone, Puntine di vitello glassate alla BBQ di ciliegie con anguria arrostita leggermente piccante. Anche SONIA PERONACI, conduttrice TV e fondatrice di Giallo Zafferano, ha realizzato otto nuove ricette dedicate al vitello, da condividere
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Tataki di vitello, crosta di agrumi e maionese al wasabi (chef Roberto Valbuzzi) INGREDIENTI Per il vitello: 400 g di filetto di vitello • 1 cucchiaio di senape • 3 limoni non trattati • 3 arance non trattate • qualche rametto di aneto • sale Maldon • pepe. Per la maionese: 2 tuorli freschi a temperatura ambiente • succo di mezzo limone • 200 g di olio di semi • 50 g di olio evo • 1 cucchiaino di aceto di mele • 1 cucchiaio di pasta di wasabi • 1 pizzico di sale. Per decorare: foglie di misticanza • foglie di carota • foglie di melissa Procedimento Preriscaldare il forno a 40 °C. Preparare la panatura per il vitello. Grattugiare la scorza di arance e limoni, mischiarla con un pizzico di sale e una grattata di pepe, aggiungere anche l’aneto tritato. Stendere il composto in una teglia foderata con carta forno e lasciar asciugare in forno a 40 °C per 25 minuti. Nel frattempo, preparare la maionese: sbattere insieme ai tuorli l’olio di semi incorporandolo qualche goccia alla volta. Una volta che il composto si raddensa, iniziare a versare l’olio a filo (sia di semi che extravergine). Una volta ottenuta una maionese densa condirla con aceto di mele, sale e pasta di wasabi. Amalgamare il tutto e tenere da parte. Preparare quindi il filetto di vitello tagliandolo in modo da ottenere una forma il più regolare possibile. Cospargerlo di senape e massaggiare fino a coprirlo completamente. Passare ora la carne all’interno della panatura di agrumi facendola aderire bene. In una padella ben calda (meglio su una piastra) scottare la carne su tutti i lati. Una volta pronta scalopparla e impiattarla con alla base la maionese e guarnire con foglioline di misticanza ed erbe aromatiche.
nel corso del 2021 con i suoi 1,5 milioni di followers su Instagram e Facebook. «In cucina utilizzo molto la carne di vitello — ha detto Sonia — poiché è davvero molto versatile e buona. Adatta a tutta la famiglia, anche per i bambini, considerato il suo sapore delicato, la sua tenerezza, si presta ad essere declinata in tante preparazioni diverse che sanno dare
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grandi soddisfazioni, dalle più classiche alle più elaborate. Col vitello quest’anno ho preparato otto ricette che ripercorrono l’Italia da Nord a Sud, in un itinerario gastronomico all’insegna alla tradizione, a cui sono molto affezionata. Dal vitello tonnato piemontese, caposaldo intramontabile, alle ravazzate siciliane, queste preparazioni mostrano come
il vitello sia molto apprezzato nella cucina regionale italiana di un tempo ma anche di oggi». * Campagna triennale 2019/2021 di promozione della carne di vitello europea cofinanziata dall’Unione Europea >> Link: vivailvitello.it
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I tagli del filetto, scegliere bene per cucinare e gustare meglio 1. Filetto. È il taglio più pregiato, perché è magro e privo di nervi, tenero e succoso. Intero, il filetto è l’ideale per arrosti e tagliate, mentre diviso in parti si presta a cotture differenti. La parte anteriore è la più indicata per le bistecche, quella centrale per i medaglioni e quella finale per il classico filetto e i bocconcini. 2. Fesa. È l’equivalente della “rosa” del bovino adulto: un taglio di qualità, molto tenero, perfetto per bistecche alla paillard, scaloppine, spiedini e fettine per preparare gli involtini. 3. Noce. Questo taglio, ricavato dalla parte sottostante la fesa, è indicato per arrosti, paillard, spezzatini e scaloppine. Ma anche per tartare e piatti di carne a crudo. 4. Sottofesa. È indicato per arrosti, fettine, involtini e anche brasati 5. Scamone. Ricavato dalla parte esterna della coscia, è molto versatile perché adatto per arrosti e bolliti, bistecche, carpacci e tartare. 6. Nodini. Composti da filetto e controfiletto, separati da due ossa che formano una specie di “T”, sono molto teneri e sono indicati per tutte le preparazioni in padella. 7. Carré. È la parte dorsale del vitello. Dalle prime vertebre anteriori si ottengono le costolette, con la loro rosetta di carne tenera ma compatta. Ecco perché il carré è il taglio migliore per le costolette alla milanese. Sono perfette anche da cucinare in padella o alla griglia. 8. Magatello. Chiamato anche “girello”, è un taglio di seconda categoria, molto magro, che, una volta affettato, si rivela perfetto per scaloppine, carpacci, paillard, fettine per involtini e cotolette. È il taglio per eccellenza per preparare il vitello tonnato o da aprire a tasca e da farcire. 9. Codone. Detto anche “codoncino”, dà il meglio di sé quando viene tagliato a fettine. È insuperabile per le scaloppine alla pizzaiola. 10. Pesce. Noto anche con il nome di “piccione”, è un taglio di seconda categoria di ridotte dimensioni (al massimo 1 kg di peso), consigliato per polpette, polpettoni e bolliti.
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11. Spinacino. È un taglio di seconda categoria, ha carne compatta con lievi filamenti di grasso che lo rendono molto tenero e gustoso. È il più utilizzato per la tasca farcita. Ma si usa anche per bolliti, stracotti e spezzatini. E se ne ricavano bistecche e macinato scelto da ragù o per hamburger. 12. Geretto posteriore. Chiamato anche “lanterna” o “muscolo”, è un taglio di terza categoria che rappresenta l’ingrediente d’elezione per lo stinco e, una volta sezionato, per gli ossibuchi. 13. Collo. Ecco un pezzo poco conosciuto ma tenero e saporito, muscoloso e grasso il giusto per reggere lunghe cotture e ottenere deliziosi stracotti, bolliti, spezzatini e brasati. Una volta tritato è molto indicato per polpettoni e polpette. 14. Reale. È un taglio piuttosto tenero, che, affettato, si usa per bistecche e involtini. Intero è consigliato per bolliti e cotture in umido. È un’ottima soluzione anche per spezzatini e macinati. 15. Cappello del prete. È ottenuto dalla spalla ed è un taglio che richiede lunghe cotture, perfetto per bolliti, umidi e spezzatini. 16. Fusello. È un taglio di seconda categoria ricavato dai muscoli della spalla, e viene usato soprattutto per gli spezzatini. Da intero, è consigliato per bolliti e cotture in umido. 17. Brione. È un taglio di seconda categoria molto indicato per straccetti e spezzatini. Si può cucinare anche intero per farne bolliti e brasati. 18. Punta di petto. È un taglio che comprende anche la pancia, e che si suddivide in due sottotagli. Il primo è il fiocco di punta, usato soprattutto per preparare roll farciti ma gustoso anche arrosto. Il secondo è la pancia (o pancetta), piuttosto grassa e ricca di cartilagini, che viene usata per preparare i teneroni e gli hamburger. 19. Fesa di spalla. Un taglio venduto disossato (e spesso anche arrotolato), ottimo per spezzatini, arrosti farciti e arrotolati, umidi e scaloppine. È il più indicato per i saltimbocca alla romana. Lo si trova anche con l’osso: in questo caso è chiamato anche “aletta” o “copertina di spalla” e si usa per i bolliti. 20. Fiocco. Ecco un taglio di terza categoria, immancabile per i tradizionali bolliti misti all’italiana. Si usa soprattutto lessato.
LA CARNE IN RETE
Social di Elena
1. Osservatorio Ismea sui consumi Sulla piattaforma www.ismeamercati.it, nella sezione Dati, e in particolare in Acquisti domestici, l’Osservatorio Ismea monitora in maniera continuativa l’andamento degli acquisti di prodotti alimentari e di bevande. L’intento è quello di mettere sotto la lente d’ingrandimento i comportamenti d’acquisto degli Italiani, per capire come si muovono e si orientano i gusti e le preferenze dei consumatori. Per questa valutazione quali-quantitativa e il monitoraggio degli acquisti di prodotti alimentari (tra cui carne bovina, suina, avicola e ovicaprina) ISMEA si avvale di una banca dati gestita in collaborazione con Nielsen Italia, attraverso un panel costituito da un campione di 9.000 famiglie rappresentativo dell’universo delle famiglie italiane (fonte: Consumer Panel; photo © M.studio – stock.adobe.com).
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2. Viva il Vitello Carne di vitello: come scegliere il taglio giusto? Come cucinare al meglio la carne di vitello? Con quali ingredienti si sposa? Quali sono le sue qualità nutrizionali? A queste domande e a tante altre risponde vivailvitello.it, il sito realizzato nella campagna triennale di promozione della carne di vitello europea cofinanziata dall’Unione Europea 2019/2021 e realizzata in Italia da ASSOCARNI e SBK. La carne di vitello possiede una tenerezza ed una delicatezza unica che consentono una grande versatilità in cucina, lasciando spazio a creatività e inventiva. Il suo sapore delicato si presta non solo a piatti tradizionali ma anche ad abbinamenti audaci. W il vitello!
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meat Benedetti
3. Eurocarni e la filiera delle carni Siamo felici di annunciarvi che abbiamo rinnovato pubblicitaitalia.com, il portale di Edizioni Pubblicità Italia, la casa editrice modenese che dal 1986 pubblica EUROCARNI (oltre ad altre testate trade dell’agroalimentare). Il nostro obiettivo? Essere sempre più connessi con voi lettori, agevolando l’accesso ai contenuti (abbiamo oltre 19.000 articoli on-line), alle notizie di settore e ai nostri canali social. Vi aspettiamo su pubblicitaitalia. com/it/carne
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4. Bontà Più su Instagram Bello il profilo Instagram di Bontà Più di Sesto San Giovanni (MI), macelleria moderna che cura magistralmente la selezione, la lavorazione e la maturazione delle carni: instagram.com/bontapiusesto. In foto una lombata da 50 kg di puro Black Angus nato e allevato in Irlanda con finissaggio presso la Tenuta Ca’ Negra a Loreo(RO) e frollatura di Bontà Più per 100 giorni. Spettacolo! (photo © instagram.com/bontapiusesto).
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ASSOCARNI, è on-line il nuovo sito associativo che migliora la fruizione dei contenuti da parte degli utenti
ASSOCARNI, Associazione Nazionale Industria e Commercio Carni e Bestiame da sempre informa in tempo reale, attraverso e-mail quotidiane e sito internet, su materie specifiche del settore carni e su argomenti generali di interesse aziendale (normativa fiscale, ambientale, di lavoro e sindacale, dati statistici, prezzi nazionali ed esteri e andamento dei mercati). Da poche settimane è on-line il nuovo portale di ASSOCARNI, www.assocarni.it, riprogettato nella grafica e nella fruizione dei contenuti. “Il sito, che da sempre è stato un fondamentale strumento di lavoro a disposizione degli associati, rimane anche il principale mezzo di presentazione della nostra attività; l’elevato numero di accessi (dal 2010 ad oggi si contano oltre 1.587.000 pagine visitate totali e più di 463.000 visitatori), ci spinge ad un’ulteriore ottimizzazione del portale” scrive in proposito ASSOCARNI. Una nuova veste grafica e una navigazione dei contenuti più rapida ed efficiente permettono, secondo gli attuali standard progettuali, di raggiungere più facilmente i contenuti che si è soliti consultare. Nella homepage del sito le sezioni appaiono pubblicate in modo orizzontale e, in alto a sinistra, il “burger menu” racchiude tutte le sezioni di cui è composto il portale, sia quelle ad esclusivo uso dei soci tramite credenziali personali che quelle rivolte a tutti gli utenti. Nella homepage appare ben visibile la “Ultim’ora”, con all’interno le notizie delle circolari appena pubblicate, mentre sulla sinistra vengono evidenziate tutte le notizie che sono state pubblicate nelle numerose sezioni del portale. I tre pulsanti verdi “accordion”, in alto sotto la testata, richiamano tramite un link diretto le rubriche più consultate dagli utenti. Il nuovo portale istituzionale ASSOCARNI è stato progettato e realizzato seguendo il paradigma del mobile first, che ne permette la fruizione del contenuto ottimizzato in funzione del dispositivo utilizzato per la visualizzazione. Il sito rispetta inoltre le nuove Linee Guida sull'Accessibilità degli Strumenti Informatici sviluppate da AgID, nonché la Legge 4/04 (Legge Stanca) aggiornata dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018 n. 106 e ai requisiti di cui al punto 9 della norma UNI EN 301549:2018 che equivalgono alla conformità con il livello AA delle WCAG 2.1, garantendo di fatto la fruibilità dei contenuti da parte dei soggetti diversamente abili che a vario titolo e in varie modalità fanno ricorso a tecnologie assistive di vario genere. >> Link: www.assocarni.it
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Cattel: al via la docu-serie “La filiera del gusto” col primo video dedicato alla filiera delle carni. A tu per tu con Simone Fantato, category manager settore carne Con il docu-video di approfondimento sulla filiera delle carni ha preso il via il progetto “La filiera del gusto”, un percorso informativo fortemente voluto da Cattel Spa per analizzare — attraverso la competente voce dei suoi category manager — le filiere dei settori aziendali più rappresentativi. L’azienda di Noventa di Piave (VE) distribuisce prodotti food e no-food nel canale HO.RE.CA. e si è sempre distinta per il vasto portafoglio prodotti e l’attenzione al benessere delle persone e alla cultura della buona alimentazione attraverso servizi e prodotti della migliore qualità. In quest’ottica va considerato il lungo e articolato processo che vede come protagonisti gli eccellenti tagli di carne proposti dall’azienda veneta, soggetti a controlli e verifiche di filiera dal pascolo fino ad arrivare al prodotto finito e pronto. “Dal pascolo al piatto”, appunto, come correttamente spiega SIMONE FANTATO (in foto), category manager carne di Cattel, nel videotestimonianza ora disponibile nei canali ufficiali dell’azienda. Per garantire la tradizionale tenerezza e il sapore unico delle carni distribuite da Cattel, il primo essenziale fattore è la selezione della carne stessa, e quindi della tipologia di allevamento coinvolto. «I capi lasciati liberi di pascolare e non nutriti con mangime presentano una carne più tenera, dotata di una percentuale di grasso ottimale e un colore più marcato. Una carne perfetta per la ristorazione» afferma Fantato, responsabile anche della selezione e del controllo della filiera. A questa scelta della tipologia di allevamento, segue la fase di selezione della materia prima all’interno dello stabilimento. Qui viene controllato il peso della merce in ingresso e, soprattutto, la provenienza. Una volta collocata nell’apposita cella, la carne viene lasciata frollare affinché possa acquisire maggior sapore e tenerezza. Dopo il periodo di riposo, viene misurato il ph della carne, in base al quale essa sarà ulteriormente selezionata e così destinata ai tipi di lavorazione più consoni. Nella fase di disosso si ottengono i vari tagli anatomici, alcuni dei quali vengono messi subito in vendita mentre altri vanno ulteriormente porzionati. Il porzionamento è un servizio a cui Cattel dedica particolare attenzione perché consente di evitare sprechi e garantire grande praticità. Esso è fondamentale soprattutto per l’innovativa tecnica di surgelamento adottata dall’azienda e identificabile come protocollo IQF (Individually Quick Frozen). Questa tecnologia IQF fornisce alimenti surgelati di qualità superiore perché è in grado di conservare inalterate le proprietà organolettiche dell’alimento, che si manterrà morbido e saporito e si presterà ad una cottura uniforme. Infine, vanno considerati il vantaggio sanitario (per l’assenza delle alterazioni) e quello economico, visto che offre una shelf-life di 18 mesi, il che consente al ristoratore di acquistare il prodotto quando il prezzo è conveniente e di utilizzarlo nel tempo secondo occorrenza, sempre ad un food-cost certo. Le tipologie di tagli e preparazioni effettuate con la tecnica IQF sono varie, dagli hamburger (confezionati singolarmente e disponibili in varie grammature e diametri) alle braciole (di suino e di vitello) al roastbeef già tagliato a fettine, tutti articoli pesati al grammo e quindi garantiti sul food-cost del cliente di Cattel. >> Link: www.cattel.it
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ZOOTECNIA
Presentato il Piano d’azione per la zootecnia bovina da carne Il valore generato dal settore nel 2020 sfiora i 2,8 miliardi di euro. Il Disciplinare “Allevamenti Sostenibili” apre una nuova pagina
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er ridurre la quota di carne bovina importata nel nostro Paese, attualmente vicina al 47%, a favore di una produzione nazionale, certificata e riconoscibile
attraverso un marchio come quello del Consorzio Sigillo Italiano, l’unica strada è l’adozione del Piano d’azione per la zootecnia bovina da carne, strumento in grado di
garantire, peraltro, la sostenibilità degli allevamenti. Se ne è parlato il 28 giugno scorso a Padova durante un meeting organizzato dalla AOP Italia
Solo il 10% della carne prodotta in Italia può fregiarsi della denominazione e del marchio europeo IGP (Chianina, Marchigiana, Romagnola, Piemontese), mentre il restante 90% è commercializzato da produttori e macellatori in forma anonima, senza un brand, ed è perciò ovvio che per il consumatore diventi difficile riconoscerla e preferirla a quella estera. Anche per questo motivo, ha sottolineato Giuliano Marchesin, «il marchio ombrello di certificazione Consorzio Sigillo Italiano è fondamentale per la zootecnia bovina da carne» (photo © Pixel Shot – stock.adobe.com).
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PRESENTA IL SIGILLO ITALIANO I DISCIPLINARI DEL SISTEMA QUALITÀ NAZIONALE ZOOTECNIA (SQNZ) RICONOSCIUTI DAL MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE
“Vitellone ai cereali” “Scottona ai cereali” “Fassone di razza Piemontese”
SITO PRODUTTIVO - MACELLO PIEMONTE NORD S.R.L. - Via Nazionale, 13 - 10010 Carema (TO) Tel. +39 0125 80 68 62 - Fax +39 0125 19 02 034 - info@consorziocarnipiemonte.it
www.consorziocarnipiemonte.it
FORNITORE UFFICIALE
Il Piano d’azione della zootecnia bovina da carne sottoposto all’approvazione delle Organizzazioni produttori e Associazioni produttori aderenti all’AOP Italia Zootecnica: OP Azove, OP Arborea, OP Bovinmarche, OP Scaligera, OP Unicarve, OP APZ Calabria, OP Carni di Sicilia, OP Asprocarne Piemonte, OP Vitellone di Marca, OP Vitelli di Marca, AP Produttori del Boccarone, Consorzio Carni Qualità del Piemonte, AP Unicarve, Cooperativa Terramadre Campania (photo © AOP Italia Zootecnica). Zootecnica, svoltosi in presenza e in digitale. Un ricco programma di interventi ha caratterizzato l’evento che, nel sottolineare il valore e le potenzialità di un comparto strategico per l’agroalimentare italiano, ne ha gettato le basi affinché dalle parole si passi, in tempi ragionevolmente brevi, ai fatti. «Il Piano d’azione della zootecnia bovina da carne che abbiamo elaborato non può prescindere dall’adozione
Il Consorzio Sigillo Italiano è riconosciuto dal MIPAAF con i Decreti Ministeriali del 28 febbraio 2018 e dell’8 febbraio 2021. Esso può essere apposto su carni bovine, suine, ovicaprine, avicole, cunicole, uova, pesce, latte e formaggi, ottenuti con i disciplinari di produzione riconosciuti dall’SQNZ (Sistema di Qualità Nazionale Zootecnia).
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di un Disciplinare di sostenibilità ambientale, sociale ed economica che intendiamo sottoporre al MIPAAF e alla Commissione europea per il necessario riconoscimento, a cui legare la registrazione del marchio di certificazione Allevamenti Sostenibili gestito direttamente dagli allevatori» ha sottolineato GIULIANO MARCHESIN, direttore della AOP Italia Zootecnica. «Non solo. Proprio per favorire il miglioramento del
benessere animale, la sostenibilità ambientale, sociale ed economica delle aziende e riuscire soprattutto a comunicarla ai consumatori attraverso un marchio di certificazione, pensiamo sia fondamentale sfruttare tutti gli strumenti che la nuova PAC metterà a disposizione a iniziare dall’adozione degli ecoschemi, che potranno trovare la loro massima espressione proprio attraverso il Disciplinare Allevamenti sostenibili». Il Piano prevede inoltre una serie di richieste da presentare al MIPAAF a partire da un adeguato impegno finanziario per favorire l’operatività degli organismi riconosciuti come la AOP Italia Zootecnica, il Consorzio Sigillo Italiano e la OI IntercarneItalia. Ma anche l’implementazione del Sistema di qualità nazionale zootecnia (SQNZ), l’emanazione di una norma che renda obbligatoria la tracciabilità delle carni nella ristorazione pubblica e privata e il sostegno, anche finanziario, di un progetto per la produzione di ristalli in Italia che porti ad una filiera 100% italiana utilizzando seme sessato e seme di tori da carne. Un progetto, quello del Piano d’azione per la zootecnia bovina da carne presentato a Padova, che poggia le sue fondamenta proprio sulla sostenibilità, un concetto che come ha ricordato nel suo intervento CHIARA FERRARESE, vicedirettore dell’ente di certificazione CSQA, «oggi non è più solo un’opportunità, bensì una necessità. Il mercato e le politiche comunitarie la richiedono e per centrare questo obiettivo è indispensabile una visione organica e realistica che preveda una strategia di comparto e non una frammentazione delle certificazioni. La sostenibilità è un tema molto vasto che coinvolge numerosi attori e proprio per questo la strada da intraprendere deve essere quella di una prospettiva strategica e di un approccio condiviso». E a pochi giorni dall’accordo del trilogo siglato a Bruxelles sulla nuova PAC, il punto su questo importante documento è stato fatto da SAMUELE TRESTINI dell’Università di Padova il quale, al termine del Eurocarni, 8/21
CARRELLO RIBALTATORE
CARRELLO MULTILIFT
Promosso dalla AOP Italia Zootecnica, il meeting di Padova, finalmente anche in presenza, si è svolto nel pieno rispetto delle norme anti Covid (photo © AOP Italia Zootecnica). suo articolato intervento, ha voluto sottolineare che «nascerà un nuovo modello di pagamenti accoppiati — ha affermato — non saranno infatti più previste risorse per coprire i costi di produzione, bensì per finanziare nuovi progetti. Si tratta quindi di una grande occasione che non deve essere sprecata, attraverso la quale sarà possibile dimostrare e vedersi riconosciuto, soprattutto attraverso l’adozione degli eco-schemi, il valore del modello produttivo italiano». Le aspettative legate all’entrata in vigore della nuova Politica Agricola Comunitaria, fissata al 1o gennaio 2023, sono molto elevate soprattutto per il settore zootecnico che per la prima volta potrà contare sul finanziamento delle OP. «Il comparto dei bovini da carne in Italia merita una maggiore tutela» è stato il ragionamento di VERONICA BERTOLDO, della Direzione agroalimentare della Regione Veneto. «Il nostro Paese è quarto a livello europeo come produttore ma più di altri, e questa è una criticità, dipende dall’estero per rispondere al proprio fabbisogno. Lombardia,
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Piemonte e Veneto coprono il 52% della produzione nazionale, il Centro Italia il 9% e il Sud e le Isole il 24%. Solo Italia Zootecnica, che associa tutte le OP dei bovini da carne del Veneto, genera un valore di oltre 500 milioni di euro corrispondente al 18% del valore nazionale. Per la prima volta nella storia di tutte le riforme della PAC la Comunità introduce la possibilità di finanziare le OP e le AOP di tutti i comparti agricoli attraverso la realizzazione dei Programmi operativi — ha concluso — che rappresentano lo strumento strategico di programmazione attraverso il quale pianificare e organizzare la produzione, ottimizzando i costi di produzione e la redditività degli investimenti per stabilizzare i prezzi alla produzione e la negoziazione dei contratti relativi all’offerta di prodotti agricoli». AOP Italia Zootecnica www.italiazootecnica.it •
Link evento: www.youtube.com/ verdeanordest
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Ai fini fiscali, svolgere attività di selezione del bestiame per conto di altri acquirenti è attività di intermediazione Ai fini fiscali, l’allevatore che svolge attività di selezione del bestiame per altri allevatori può considerare questa attività come rientrante nella sua stessa attività principale di allevatore? All’interpello, l’Agenzia delle Entrate ha risposto negativamente. Nonostante le argomentazioni dell’allevatore-istante, l’Agenzia ha spiegato che si tratta di attività di “intermediazione” e come tale deve essere trattato il compenso incassato. L’allevatore che ha rivolto l’interpello alle Entrate si rivolge a fornitori esteri, principalmente francesi, per approvvigionarsi di bovini. Occasionalmente, svolge questa attività di selezione anche per altri allevatori italiani: valuta la merce visionata in riferimento al peso, struttura, età, razza, qualità, stato di salute, qualifica sanitaria e, in generale, su ogni particolare che interessi per valutare l’opportunità o meno di procedere all’acquisto. Ma poi è l’allevatore terzo a decidere autonomamente se acquistare o meno. Per l’allevatore istante si tratta di svolgere un’attività secondaria e marginale all’interno della principale, sempre in quanto allevatore (è proprio il fatto di essere allevatore a rendere possibile la selezione zootecnica con la dovuta competenza ed esperienza). Inoltre, il processo di selezione dei bovini richiede poche ore distribuite in uno/due giorni della settimana e i compensi risultanti da detta attività sono di importo marginale rispetto al volume d’affari derivante dall’attività agricola e zootecnica. I compensi dovrebbero essere tassati con i vantaggi dell’attività agricola (ex articolo 56-bis, comma 3, del TUIR). Le Entrate non la pensano così. È vero che sussiste il requisito soggettivo (l’attività di selezione è svolta dal medesimo allevatore-imprenditore agricolo). “Tuttavia, il servizio reso, anche se occasionale, risulta funzionale ad acquisire uno dei fattori produttivi dell’impresa agricola (propria o di terzi)”. Il servizio che l’istante dichiara di fornire a terzi allevatori per supportarli nella selezione dei capi di bestiame prevede un compenso che gli viene erogato non da questi ultimi, bensì direttamente dal venditore fornitore dei bovini. In sostanza, quindi, il servizio è reso al fornitore dei bovini e non ai terzi allevatori acquirenti. Ciò significa che l’istante “svolge un’attività che appare una intermediazione a favore del fornitore di bovini, dal quale riceve il compenso, proponendo ad allevatori terzi i capi di bestiame dallo stesso commercializzati”. Sul piano fiscale, quindi, il reddito che ne consegue non può essere considerato come reddito di “imprenditore agricolo” (fonte: ANMVI – Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani; photo © Lev Dolgachov).
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AZIENDE
Un sogno chiamato Fattoria Zivieri di Gaia Borghi
Sulle colline di Sasso Marconi, ad una mezz’ora circa di auto da Bologna, c’è un’oasi verde fatta di animali, orto, cucina, camere e bottega. Agriturismo, fattoria didattica e impresa che punta alla valorizzazione del territorio. Un progetto che nasce in una piccola macelleria di montagna e oggi diventa realtà
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U
n luogo fatto di Appennino, di collina, di agricoltura e di animali. Di ospitalità nella natura. Di cibo buono e di pace, ricercata, ritrovata. Un sogno che nasce da lontano e che oggi si avvera. Ma non è certo un punto di arrivo. «Perché il bello inizia ora» dice ALDO ZIVIERI, titolare con i fratelli FABRIZIO, ELENA e STEFANO dell’omonima macelleria che vedeva la
luce nel lontano 1987 a Monzuno, piccolo comune situato sempre sulle colline bolognesi, e che dal 2017 ha la sua sede principale nella zona industriale di Zola Predosa, meno scenografica se vogliamo ma decisamente più comoda dal punto di vista logistico. In quest’area si trovano uno stabilimento di oltre 500 m2 di superficie dedicato alla trasformazione, alla vendita diretta
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e alla distribuzione delle carni e, proprio accanto, un laboratorio dedicato esclusivamente alla produzione di salumi, dalla mortadella artigianale al salame rosa al salame di Mora romagnola. All’inizio del 2020, in linea con le proprie mutate e maggiorate esigenze, è stato inoltre preso in gestione un macello nel comune di Valsamoggia, a pochi chilometri da Zola Predosa.
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Fattoria Zivieri rappresenta la naturale prosecuzione del lavoro fatto fino ad oggi della famiglia Zivieri che, in questa nuova avventura, ha al proprio fianco quattro soci imprenditori che hanno condiviso in toto la visione del progetto: Licia Franchini, Roberto Melloni, Luciano Messori e Giancarlo Nigelli. In alto: l’ingresso con reception per accedere alle quattro camere grazie alle quali si può soggiornare all’interno della Fattoria, insieme a quattro appartamenti ubicati in un altro stabile. L’arredamento delle stanze è arricchito dalla presenza di mobili in legno restaurati o realizzati appositamente dalla falegnameria presente in Fattoria. In basso: Andrea Flora, direttore di Confagricoltura Bologna, Giancarlo Tonelli, direttore Confcommercio Ascom Bologna, Aldo, Elena e Fabrizio Zivieri e Giancarlo Nigelli.
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All’interno della Fattoria si trovano gli allevamenti della Macelleria Zivieri, che gli ospiti possono (anzi, dovrebbero assolutamente!) visitare: 450 capi di bestiame, tra cui un centinaio di bovini. Presenti, naturalmente, le razze da carne italiane come la Romagnola, la Maremmana, la Piemontese…
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Ospiti di questa meravigliosa famiglia e dei soci di questo straordinario progetto che vede finalmente la luce, abbiamo visitato Fattoria Zivieri, che inizia la sua stagione di accoglienza nello splendido scenario di Sasso Marconi. 80 ettari di terreno con gli allevamenti, l’orto, le camere, la cucina, spazi per eventi, una bottega dove comprare le carni, i salumi, i formaggi prodotti in azienda. Un’apertura coraggiosa, fatta dopo un anno e mezzo che definire difficile è per molti versi riduttivo e che ha colpito gli Zivieri in maniera particolarmente tragica, avendo i quattro fratelli perso i genitori, GRAZIANO e ADUA, nel giro di poche settimane l’uno dall’altro proprio a causa del Covid. «Nell’affrontare quest’ultima iniziativa voglio ringraziare in primis i miei fratelli, coi quali siamo riusciti a far fronte comune alle tante difficoltà continuando a lavorare coesi con l’unico obiettivo di realizzare questo sogno che viene da molto lontano» racconta Aldo. «Subito dopo vorrei ringraziare i nostri collaboratori, una squadra di ragazzi fantastici, alcuni dei quali sono con noi e ci seguono in tutte le nostre attività oramai da tanto tempo. Infine, un ringraziamento particolare va ai soci che ci hanno accompagnato in questa avventura: GIANCARLO NIGELLI e ROBERTO MELLONI, LICIA FRANCHINI e LUCIANO MESSORI. Soci che hanno condiviso ciò che all’inizio era soltanto una speranza, poi è diventata una follia e ora è, forse — aggiunge con un sorriso — divenuta realtà». Un realtà che da oggi è dunque possibile visitare, conoscere, “assaggiare”, esperire in varie modalità, a seconda delle proprie esigenze. «Sperando che l’orrenda parentesi vissuta in quest’ultimo anno e mezzo si chiuda una volta per tutte — conclude Aldo — vorremmo che Italiani e stranieri, turisti e non, potessero tornare in luoghi come questo, un rifugio in cui trascorrere del tempo diverso da quello scandito dalla quotidianità e dalla frenesia cittadina, nel quale tornare a scoprire e imparare a godere di quel qualcosa di cui molto probabilmente nessuno di noi può fare a meno».
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Il controllo diretto su tutta la filiera produttiva di proprietà Fattoria Zivieri nasce negli spazi di quello che fu uno dei primi agriturismi e fattorie didattiche della regione Emilia-Romagna. E proprio l’intento “didattico” è centrale nella filosofia che sottende alle diverse e numerose attività della famiglia Zivieri, la quale, anche per questo motivo, ha deciso di abbandonare la gestione del Teatro della Carne di FICO e uscire dal relativo progetto, non condividendone più le linee direttive, orientate maggiormente ad un’idea di “parco del divertimento”. D’altronde, con 450 animali tra bovini, suini, ovini e caprini, allevati allo stato semibrado, polli da carne e galline, cavalli e asini, un orto di oltre due ettari, quattro camere e cinque appartamenti, e una cucina in grado di accogliere, tra interno e esterno, oltre 400 ospiti, di cose da fare e su cui concentrare tutto il proprio impegno ce ne sono più che a sufficienza. «Qui uomo e natura ritrovano un equilibrio, si può staccare la spina e dedicarsi a fare qualcosa di bello» ha sottolineato il direttore di CONFCOMMERCIO ASCOM GIANCARLO TONELLI. «Puoi restare a pranzo e/o a cena, pernottare, passeggiare, visitare la fattoria didattica insieme ai bambini. È un intervento importante dal punto di vista imprenditoriale che, dopo 16 mesi di pandemia, rende accessibile un contesto di benessere, salute e riflessione». «Questo posto meraviglioso lo conosco da 30 anni» rimarca infine il direttore di CONFAGRICOLTURA BOLOGNA ANDREA FLORA. «Il valore aggiunto dalla famiglia Zivieri e dai suoi soci è l’aver coniugato in maniera virtuosa, in una cornice ambientale unica, il mondo dell’agricoltura e della produzione primaria con il mondo del commercio, che qualcuno, spesso, vorrebbe antagonisti». Qualcuno, forse, ma non oggi, non qui. Gaia Borghi Fattoria Zivieri Via Lagune 78 40037 Sasso Marconi (BO) E-mail: info@fattoriazivieri.it Web: www.fattoriazivieri.it
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Tra gli animali presenti in Fattoria anche suini Neri di Parma e Large White, pecore biellesi e capre della Val Nerina… Tutte le greggi sono allevate allo stato semibrado: quando la stagione lo consente, gli animali sono portati al pascolo in aree fuori della proprietà, liberi di nutrirsi di ciò che la natura offre.
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La bottega della Fattoria per acquistare e/o degustare le carni e i salumi della filiera Zivieri, insieme agli altri prodotti dell’azienda, dalle verdure ai formaggi ai vini del territorio.
La cucina di Fattoria Zivieri, il rispetto per la terra ed il territorio “Dicono che la buona cucina si svegli ogni mattina senza sapere che piatti preparerà per il mezzogiorno. La buona cucina va al mercato e studia i banchi, individua le verdure più fresche, i migliori formaggi della zona, la frutta più profumata…e solo a quel punto decide cosa portare in tavola. È proprio a questa filosofia che ci siamo ispirati per l’organizzazione della cucina della Fattoria Zivieri. I banchi del mercato da noi sono sostituiti dall’orto, dal caseificio, dagli allevamenti: la maggior parte dei prodotti proposti nei nostri piatti provengono dalla nostra azienda agricola e per i restanti ci avvaliamo della collaborazione di produttori locali. La carne ed i salumi, punta di diamante della nostra proposta culinaria, sono tutti della filiera chiusa Zivieri, una filiera che presta la massima attenzione al benessere degli animali e dell’ambiente in cui questi vivono: basterà una lenta passeggiata tra i nostri pascoli per apprezzare il modo in cui, qui da noi, gli animali vengono lasciati crescere. Ma la garanzia del nome Zivieri la troverete anche tra le proposte di selvaggina, di funghi e di tartufi: il bosco rappresenta senza dubbio un altro ‘banco del mercato’ dal quale attingiamo con grandissima attenzione. I sapori della NATURA, la tradizione della CUCINA emiliana e il piacere dell’OSPITALITÀ in ogni sua forma”: questi sono gli ingredienti e l’essenza dei piatti che potete gustare a Fattoria Zivieri. A dirigere le “danze” ai fornelli LORENZO BIAGIONI.
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Agnello irlandese: gusto unico tra allevamento tradizionale e sostenibilità
L
a carne di agnello irlandese è sicuramente un prodotto che si distingue dagli altri per diverse ragioni: innanzitutto il metodo di allevamento che, ancora oggi, applica le pratiche tradizionali, le stesse utilizzate per centinaia di anni. Nell’Isola di Smeraldo ci sono circa 34.000 allevatori di ovini e oltre 2.5 milioni di capi da riproduzione. Ognuno di questi allevamenti, a conduzione familiare, ha un gregge medio di poco più di 100 animali e ciò permette agli allevatori di prestare loro molta attenzione durante tutto l’anno. Il periodo principale per la produzione di carne d’agnello in Irlanda va da maggio a settembre, ma le diverse tipologie di quest’ultimo consentono di creare un ciclo continuo durante tutto l’anno. L’Irlanda è uno dei principali produttori di carne d’agnello in
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Europa, riuscendo a soddisfare sia il fabbisogno interno che quello di altri Paesi: nel 2020, infatti, il Paese ha esportato 75.000 tonnellate di carne ovina per un valore di 364 milioni di euro. L’export è cresciuto costantemente, con due terzi della produzione esportata ogni anno. Anche in Italia l’agnello irlandese è particolarmente apprezzato (tra i Paesi europei ci posizioniamo prima di Germania e Svezia, per esempio), soprattutto dalla fascia d’età 35-54 che dichiara di acquistarla mediamente una volta al mese (fonte: Thinking House – EU Shopper Insights Lamb Purchase Behaviour). Un’altra ragione che rende questa carne così speciale è il clima: i terreni fertili d’Irlanda, la diversità dei paesaggi e il clima temperato contribuiscono a rendere verdi e
rigogliosi i prati su cui pascolano gli agnelli. Le abbondanti precipitazioni forniscono una lunga stagione di crescita dell’erba — più lunga che in qualsiasi altra parte d’Europa — e ciò fa sì che nelle zone collinari si creino ricchi ecosistemi in grado di sostenere sistemi di allevamento tradizionali. Il risultato di queste pratiche si ritrova nella varietà dei prodotti disponibili, dall’agnello da latte a quello pasquale e da quello di stagione a quello di collina, ognuno dei quali con un gusto unico e inconfondibile. Nella regione del Connemara — una zona selvaggia situata nella parte occidentale del Paese — e più precisamente sulle colline delle Contee di Mayo, Donegal e Kerry, vengono allevati i cosiddetti hill lambs (o agnelli di collina), una specie autoctona molto importante
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anche per il mantenimento della flora e fauna locali: attraverso la loro dieta fatta di erbe selvatiche, carici, eriche e fiori di montagna, mantengono l’equilibrio ambientale. Questo fa sì che gli animali siano leggermente più piccoli rispetto agli agnelli irlandesi tradizionali, con una carne dal gusto più caratteristico, merito delle erbe di cui si cibano e dell’influenza salina proveniente dall’Oceano Atlantico. Bord Bia, l’ente governativo che si occupa della promozione del food & beverage irlandese, ha di recente lanciato, come per la carne di manzo, un protocollo per analizzare l’impronta di carbonio negli allevamenti di pecore che sarà calcolata usando i dati forniti dagli allevatori attraverso un innovativo sondaggio sulla sostenibilità. Quest’ultimo è in fase di sperimentazione su un piccolo numero di aziende agri-
Eurocarni, 8/21
cole per poi diventare, in futuro, un requisito per tutti gli allevatori che si sottopongono a un audit del Quality Assurance Scheme (QAS), il
programma di qualità assicurata che stabilisce requisiti e condizioni precise negli allevamenti e lungo tutta la filiera produttiva.
Bord Bia, Irish Food Board, è un ente governativo dedicato allo sviluppo dei mercati di esportazione dei prodotti alimentari, bevande e prodotti ortofrutticoli irlandesi. Lo scopo di Bord Bia è quello di promuovere il successo dell’industria Food & Beverage e dell’orticoltura irlandese attraverso servizi di informazione mirati, la promozione e lo sviluppo dei mercati. Nel 2019 le esportazioni dell’industria Food & Beverage irlandese sono arrivati a quota 13 miliardi di euro, con una crescita di quasi il 67% dal 2010. L’Italia è un mercato importante, con esportazioni del valore di 314 milioni di euro nel 2019; è il secondo mercato più importante per l’export di manzo irlandese in Europa con scambi valutati, per l’anno scorso, a 178 milioni di euro. >> Link: www.irishbeef.it
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MERCATI
Export UE di carne suina, un 2020 da record Superate le 6 milioni di tonnellate e i 15 miliardi di euro in valore, il primo trimestre 2021 in ulteriore incremento
Photo © Mark Agnor
di Roberto Villa
S
econdo i dati dell’Osservatorio di mercato sulle carni suine della Commissione europea il 2020 è stato l’anno record nelle esportazioni rispetto all’ultimo ventennio, con oltre sei milioni di tonnellate (6.029.540 tonnellate, dato escluso il Regno Unito), in aumento del 14% rispetto al 2019. Il primo trimestre del 2021 ha visto varcare i confini comunitari oltre 1,5 milioni di tonnellate, in
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crescita del 9,3% sul medesimo periodo dell’anno precedente. Fa impressione confrontare questi dati con quelli di inizio del nuovo secolo, quando le esportazioni, pure in crescita costante, andavano dalle 2 milioni di tonnellate nel 2001 alle 2,8 milioni nel 2007, per superare quota 3 milioni solo nel 20081. L’andamento dei volumi è determinato per gran parte dall’esportazione di carni congelate, soprattutto
a partire dal 2014. Più della metà dei volumi del 2020 (3,2 milioni di tonnellate) è costituita da carni congelate, seguite da frattaglie (1,39 milioni di tonnellate), preparazioni a base di carni (452.000), carni fresche (424.000), grassi (323.000), carni salate, essiccate, affumicate (213.000). In termini di valore, le esportazioni hanno superato quota 15 miliardi di euro, pari al 18% in più dell’anno 2019, col primo trime-
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Esportazioni di carni suine dall’Unione Europea, escluso Regno Unito1 Totale annuo (tonnellate)
Gen.
1.516.948
474.742
495.405 546.801
2020
6.029.540
475.615
426.821 490.690 509.825
477.494 461.460
503.457 467.338
526.809 565.801 585.505
538.726
2019
5.283.808
408.430
404.424 456.096 426.094
428.323 379.091
420.074 409.666
454.585 535.183 537.655
424.186
2018
4.638.699
384.247
388.619 402.769 364.716
371.584 374.058
371.032 379.206
385.864 442.995 434.318
339.290
2017
4.655.932
406.960
369.483 428.692 340.697
372.627 369.623
357.912 372.829
397.369 416.788 436.316
386.636
2016
4.892.709
346.746
369.657 414.121 441.600
427.947 463.426
391.951 396.567
412.469 406.280 448.435
373.509
2015
4.192.378
299.786
307.064 351.271 307.271
299.319 343.186
366.624 348.174
391.311 406.747 402.057
369.569
2014
3.876.452
325.496
264.189 294.392 314.200
327.488 294.538
327.164 314.249
356.410 400.530 345.593
312.203
2013
4.033.332
321.814
307.279 316.425 334.069
338.549 322.356
355.346 340.876
339.364 379.345 375.899
302.011
2012
4.045.785
325.064
334.033 354.867 317.716
326.289 312.924
350.044 352.338
324.845 355.673 383.695
308.297
2011
4.134.938
277.639
317.693 368.691 322.779
337.971 334.378
349.344 364.744
401.903 377.255 372.207
310.334
2010
3.673.970
228.745
261.500 324.275 304.292
304.024 309.956
290.725 281.138
372.497 346.447 337.828
312.542
2009
3.362.429
256.833
261.565 286.595 272.215
263.956 267.102
283.920 251.934
291.465 308.163 305.152
313.531
2008
3.521.190
249.056
285.494 260.947 346.571
308.622 311.884
340.764 292.331
298.076 330.325 248.844
248.277
2007
2.874.237
211.539
215.416 235.063 219.471
225.926 234.778
233.091 259.831
243.432 270.950 300.728
224.011
2006
2.987.573
202.554
224.270 263.405 230.783
241.422 251.728
229.022 245.869
270.690 280.102 296.662
251.065
2005
2.828.182
184.737
209.260 232.807 237.233
218.219 257.440
240.008 236.207
260.155 254.602 262.024
235.490
2004
2.700.319
192.318
204.829 261.084 229.718
216.713 244.976
211.239 198.338
225.049 232.630 248.012
235.415
2003
2.339.655
179.812
176.153 200.312 193.685
176.271 205.556
184.687 182.228
212.627 237.871 209.377
181.077
2002
2.272.340
198.690
178.164 178.595 182.601
187.766 188.721
179.350 185.351
206.250 213.583 206.043
167.226
2001
2.041.061
162.186
179.719 178.030
148.632 168.493
160.143 176.529
180.425 208.195 219.536
170.731
Anno 2021 1º trim.
Feb.
Mar.
Apr.
Mag.
Giu.
Lug.
Ago.
Set.
Ott.
Nov.
Dic.
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–
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88.442
Fonte: Commissione europea, Pigmeat Trade Data, 12/05/2021 (modificato).
stre 2021 che ha segnato però una contrazione del 7% se comparata al periodo gennaio-marzo 2020. Le importazioni, per contro, sono rimaste stabili attorno alla media dell’ultimo quinquennio, equivalente a 200.000 tonnellate, rappresentate essenzialmente da carni fresche (81.000 t), frattaglie (46.000) e grassi (21.400). La Cina copre oltre il 50% delle esportazioni comunitarie La Repubblica Popolare Cinese ha importato 3,2 milioni di tonnellate di tagli carnei suini nel 2020, in crescita del 43% sul 2019, costituiti da carni congelate (2,1 milioni di tonnellate), frattaglie (850.000),
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grassi (150.000); gli scambi sono ulteriormente aumentati nel primo trimestre 2021 con un +25,7% sul medesimo trimestre del 2020. In termini di valore, la crescita, anno su anno, tra il 2019 ed il 2020, si è attestata ad un +53% per un equivalente nell’anno concluso di 7,1 miliardi di euro. Il secondo Paese per destinazione è stato il Giappone, con 308.000 tonnellate (–20% sul 2019), delle quali 270.000 carni congelate, per un controvalore di 1,3 miliardi di euro (in contrazione del 14% sull’anno precedente). Hong Kong, noto Paese di triangolazioni verso la Cina ed altri Stati asiatici, è stato la meta di
279.000 tonnellate di tagli carnei per un controvalore di 457 milioni di euro, rispettivamente +39,5% e +46% sul 2019. Seguono Corea del Sud, con 178.000 tonnellate, pari ad un fatturato di 594 milioni di euro, entrambi in calo sul 2019 rispettivamente del 27% e del 16%; le Filippine, con 147.000 tonnellate, per un controvalore di 219 milioni di euro, in contrazione del 29% in volume e del 18% in valore; Vietnam, con 95.000 tonnellate ed un fatturato di 114 milioni di euro, in crescita dell’1,2% in quantità e di ben il 40% in valore sul 2019; Stati Uniti con 94.000 tonnellate per un valore di 458 milioni di euro, in netta
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Esportazioni di carni suine dall’Unione Europea 20012020 per categoria in tonnellate, escluso Regno Unito1
Fonte: Commissione europea, Pigmeat Trade Data, 12/05/2021 (modificato).
diminuzione quantitativa (–13%) ma contenuta in valore (–1,2%). Roberto Villa Nota 1. Occorre tenere presente che Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Slovenia, Malta e Cipro sono diventati
Paesi membri nel 2004, Romania e Bulgaria nel 2007 e infine la Croazia nel 2013. Sebbene, tranne la Polonia, non si tratti di Paesi con una elevata propensione all’esportazione di carni suine, la serie tiene conto dei contributi di ciascuno Stato a partire dall’effettiva entrata nell’Unione.
Il “paradosso” delle carni suine trasformate Il 1 febbraio 2021 è entrato in vigore il Decreto 6 agosto 2020 sull’indicazione obbligatoria del luogo di provenienza nell’etichetta delle carni suine trasformate. «Il decreto si applica ai prodotti preimballati, ovvero confezionati dal produttore nel salumificio e la definizione di “alimento preimballato”, secondo il Regolamento europeo 1169/2011 sull’etichettatura, non comprende gli alimenti imballati nei luoghi di vendita. Un paradosso» osserva l’on. GUGLIELMO GOLINELLI (Lega) in una interrogazione al MIPAAF, chiedendo la proroga del decreto oltre la data del 31 dicembre 2021, «nonché di estendere l’obbligo di origine delle materie prime in etichetta a tutti gli alimenti». «Stiamo implementando l’azione a livello di UE, con l’obiettivo di favorire un’evoluzione della normativa comunitaria attraverso la revisione del Reg. (UE) n. 1169 del 2011» ha risposto il Sottosegretario al MIPAAF FRANCESCO BATTISTONI. «A causa di una lacuna del Regolamento europeo, è possibile eludere l’obbligo di etichettare gli alimenti imballati nei luoghi di vendita, pertanto, considerato che è nostra intenzione prorogare i decreti, attualmente in essere, che recano l’obbligo di indicare in etichetta l’origine delle materie prime, valuteremo anche l’estensione ad ulteriori alimenti» conclude Battistoni (fonte: ANMVI, www.anmvioggi.it).
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INDAGINI
Osservatorio Immagino GS1 Italy 2021
Gnam gnam style: in 100 grammi di roll i consumi degli Italiani
I
l 2020 passerà alla storia come l’anno della pandemia da Covid-19. Un fenomeno che non solo ha generato una inedita, impegnativa e complicata situazione sanitaria, ma ha anche modificato in modo importante la vita di miliardi di persone. Un cambiamento che, ovviamente, è arrivato anche nel carrello della spesa, come ha rilevato l’Osservatorio Immagino (si veda box a pagina 72). La nona edizione ha monitorato l’andamento delle vendite nel corso del 2020 di 120.411 prodotti confezionati di largo consumo, tra food, pet food, cura casa e cura persona. Un cospicuo paniere che genera oltre 38,6 miliardi di euro, ossia l’82,6% del giro d’affari realizzato in Italia da supermercati e ipermercati. Incrociando questi dati di sell-out con le indicazioni, i loghi e i claim inseriti sulle loro etichette sono stati individuati, misurati e monitorati, semestre dopo semestre, i fenomeni che stanno cambiando il carrello della spesa degli Italiani. A partire dal suo profilo nutrizionale, che viene espresso da un indicatore esclusivo: il metaprodotto Immagino, ottenuto elaborando i valori indicati sulle etichette nutrizionali presenti su 72.845 prodotti alimentari rilevati dall’Osservatorio Immagino. Il metaprodotto Immagino rispecchia il contenuto medio di calorie e macronutrienti in 100 g/ml di prodotto e consente di seguirne l’evoluzione nel tempo. Nel corso del 2020 l’apporto nutrizionale medio della spesa alimentare degli italiani ha subito un’ulteriore evoluzione frutto del cambio nel mix degli acquisti realizzati in supermercati e ipermercati. I trend più significativi? Nel nuovo metaprodotto Immagino
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Il “metaprodotto” è un prodotto statistico disegnato dall’Osservatorio Immagino calcolando la media ponderata dei contenuti dei nutrienti indicati sulle etichette nutrizionali di 72.845 prodotti, appartenenti principalmente ai reparti delle bevande, della drogheria alimentare, del fresco e del freddo (photo © Osservatorio Immagino GS1 Italy).
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A destra: la pubblicazione raccoglie i risultati della nona edizione dell’Osservatorio Immagino GS1 Italy, che incrocia le informazioni riportate sulle etichette di oltre 120.000 prodotti digitalizzati nel corso del 2020 dal servizio Immagino di GS1 Italy (photo © Osservatorio Immagino GS1 Italy).
è aumentato il peso di grassi, proteine e grassi saturi, si è stabilizzato l’apporto di carboidrati ed è calata l’incidenza di fibre e zuccheri. Complessivamente, il valore calorico è salito a 181,4 calorie ogni 100 g/ml di prodotto ed è aumentato del +1,4% su base annua, mentre nel 2019 era diminuito del –0,5%. Il maggior contributo al valore energetico del metaprodotto Immagino si deve ai carboidrati, che ne rappresentano il 20,1%. Nel 2020 il loro ruolo è stato stabile (+0,3% su base annua) dopo un 2019 in cui erano calati (–2,1%). La seconda famiglia di nutrienti per quota sul metaprodotto Immagino è quella dei grassi, che ne rappresenta l’8,9%. Nel 2020 è cresciuta
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del +2,3%, trovando nuovo slancio rispetto al +0,6% del 2019. La forte crescita si deve, in particolare, al maggiore apporto delle uova, dell’olio extravergine di oliva, dell’olio di semi, del burro, dei prodotti di pasticceria, di maionese e salse, delle creme spalmabili dolci, delle mozzarelle, dei formaggi grana e simili, del latte e della panna UHT. Le proteine contribuiscono per il 6,6% al metaprodotto Immagino targato 2020: nell’ultimo anno sono state le componenti più dinamiche (+2,7%) e hanno mostrato una performance migliore di quella messa a segno nel 2019 (+1,5%). L’accelerazione della crescita dell’apporto proteico dei cibi acquistati nel 2020 dagli italiani in supermercati e iper-
mercati si spiega con i maggiori acquisti di alcuni prodotti, come uova di gallina, farine e miscele, pasta, latte UHT, mozzarelle, paste filate uso cucina, formaggi grana e simili, affettati (in particolare prosciutto cotto, bresaola e arrosti), legumi secchi e fagioli conservati, pesce naturale surgelato, tonno sottolio, prodotti di pasticceria, carne avicunicola, würstel ed elaborati di carne (soprattutto hamburger). Bandiera bianca (rossa e verde): loghi e certificazioni La bandiera del Paese di origine, la precisazione che il prodotto è stato ottenuto nel rispetto degli animali o in modo sostenibile, oppure che proviene dal circuito del commercio
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L’accelerazione della crescita dell’apporto proteico dei cibi acquistati nel 2020 dagli Italiani in supermercati e ipermercati si spiega coi maggiori acquisti di alcuni prodotti, come uova di gallina, farine e miscele, pasta, latte UHT, mozzarelle, paste filate uso cucina, formaggi grana e simili, affettati (in particolare prosciutto cotto, bresaola e arrosti), legumi secchi e fagioli conservati, pesce naturale surgelato, tonno sottolio, prodotti di pasticceria, carne avicunicola, würstel ed elaborati di carne, soprattutto hamburger (photo © yuriygolub – stock.adobe.com). equo o che è certificato come biologico grazie alla presenza del logo organic europeo. Sono solo alcuni degli esempi di informazioni valoriali volontarie sempre più frequenti sulle etichette dei prodotti di largo consumo e che offrono ai consumatori delle garanzie aggiuntive sulle modalità con cui sono stati ottenuti e commercializzati i prodotti. Si tratta di un mondo in costante e rapida evoluzione, che sfrutta anche il ruolo di mass media delle etichette per veicolare direttamente agli shopper i valori che stanno dietro i prodotti e che spesso, oltre alle semplici asserzioni dei produttori, sono certificati da organismi terzi e attestati da loghi e bollini. L’Osservatorio Immagino ha riunito questa diversificata offerta in un paniere, in cui rientrano diversi loghi e certificazioni, a partire dalla bandiera del Paese di origine quale garanzia di provenienza, dal logo EU Organic come certificazione dei prodotti biologici e dal marchio di conformità europeo “CE”. A questi
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si aggiungono un claim (Cruelty free) e sette certificazioni (Ecocert, Ecolabel, Fairtrade, Friend of the sea, FSC, Sustainable cleaning, UTZ) relative alla Corporate Social Responsibility (CSR). Nel corso del 2020 quest’ampio e diversificato carrello della spesa ha ospitato circa 26.000 prodotti, dei quali ben circa 16.000 (13,6% di incidenza sul totale rilevato) sono stati accomunati dalla presenza on pack della bandiera del Paese d’origine, principalmente l’Italia. Oggi quest’agglomerato di prodotti, alimentari e non, pesa per il 14,4% sul sell-out del largo consumo confezionato di super e ipermercati e nell’arco del 2020 lo ha visto crescere del +6,0%. Un risultato ancora più significativo se confrontato con il +0,5% che aveva ottenuto 12 mesi prima. È stata la domanda la componente trainante (è cresciuta del 7,7% nel corso del 2020). Tra i prodotti che hanno più contribuito alla crescita delle vendite ci sono le uova, l’olio extravergine di oliva, il latte UHT e
i surgelati vegetali naturali/frutta. Nel 2020 è proseguita la crescita dei prodotti che riportavano in etichetta il logo EU Organic: queste 8.033 referenze (6,7% della numerica totale) hanno aumentato le vendite del 2,8% su base annua, contro il +2,1% realizzato nel 2019. Bilancio 2020 in negativo, invece, per i 2.573 prodotti dotati del marchio europeo di conformità CE: il calo del –3,8% del giro d’affari si spiega con l’importante contrazione dell’offerta (–7,4%) e col forte decremento delle vendite di uova pasquali, merendine e kit per merende dolci. Nel paniere lifestyle creato dall’Osservatorio Immagino giocano un ruolo importante i prodotti accompagnati da claim o certificazioni riguardanti la corporate social responsibility (CSR). Attestazioni che, anche nel corso del 2020, si sono confermate un elemento distintivo dei prodotti, offrendo ai consumatori garanzie sulle materie prime e sui processi produttivi utilizzati e
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Sul cucuzzolo (e in tavola): Alpi, colline e pianure in etichetta Non solo richiami alle regioni di provenienza, riconoscimenti DOP o IGP, bandiere tricolori e claim relativi alle diverse declinazioni del made in Italy: l’italianità dei prodotti può essere segnalata sulle etichette anche facendo riferimento alle caratteristiche morfologiche di uno specifico territorio. E l’Italia, con la sua variegata configurazione territoriale e la sua biodiversità, si presta molto bene a questo tipo di connotazione. L’Osservatorio Immagino ha voluto verificare come e quanto sono indicati in etichetta monti e colline, pianure e altipiani, Alpi e Appennini, scoprendo che sono presenti su 1.160 prodotti (1,4% della numerica rilevata), per un giro d’affari complessivo di 674 milioni di euro (2,1% del totale), solo per un terzo sovrapposto a quello del mondo dell’italianità / regionalità. Nel 2020 questo paniere ha aumentato le vendite del +4,0%, grazie alla dinamica positiva sia dell’offerta che della domanda. Il segmento più rilevante (0,6% dei codici) è quello dei prodotti con claim che fanno riferimento ad allevamenti o colture o a sorgenti poste su “altipiani”. Nel 2020 hanno contribuito per l’1,1% alle vendite complessive del paniere rilevato e sono rimaste stabili (+0,1%). Le “Alpi” sono citate sullo 0,2% dei prodotti, con lo 0,6% di quota a valore: nel 2020 le vendite salite del +4,4%, grazie soprattutto alla domanda. Se la provenienza da una fonte alpina è un elemento importante nel mondo delle acque minerali, in quello dei vini è la coltivazione sulle “colline” a fare la differenza. Sono i vini, infatti, i prodotti più rilevanti di questo paniere, che comprende lo 0,3% di tutti i prodotti, e che ha chiuso il 2020 con un +2,5% di vendite. Altre categorie importanti sono gli affettati di cui viene indicata la stagionatura in collina, e, a distanza, l’olio extravergine di oliva. Vendite in crescita nel 2020 anche per quello 0,1% di referenze che fa riferimento alla sua origine di “pianura” (Maremma, in particolare): l’aumento è stato del +4,7% e le categorie principali sono risultate latte fresco, vini, uova e passate di pomodoro. Le performance migliori del 2020 sono state quelle dei prodotti di “montagna” e di quelli provenienti dagli “Appennini”. I primi hanno aumentato le vendite del +18,3% anche grazie alla maggiore diffusione del claim (+15,1% la componente di offerta) e sono arrivati allo 0,2% di quota a valore. Tra le categorie più rilevanti ci sono latte fresco e UHT, kefir e yogurt intero, tutti in forte crescita. Più limitato il peso dei prodotti che richiamano gli Appennini (0,1% di quota a valore) che però sono i top performer del 2020, con aumento del 38,1%, determinato dal mix positivo di domanda e offerta. Hamburger di carne bovina e pasta fresca ripiena sono state le categorie più rilevanti (photo © Ralph Hoppe, www.FooTToo.de).
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Nel mondo del metodo di lavorazione sono stati selezionati prodotti accomunati da claim e caratteristiche in etichetta come “estratto a freddo”, “trafilato”, “lavorato a mano”, “essiccazione”, “artigianale”, “affumicatura”, “non filtrato”. Sono stati analizzati 84.804 prodotti dell’Osservatorio Immagino nel mondo del metodo di lavorazione. Il perimetro di analisi comprende il canale ipermercati e supermercati (photo © Osservatorio Immagino GS1 Italy).
rispondendo, quindi, in maniera trasparente e concreta alle richieste di eticità e sostenibilità nei confronti dell’ambiente, dei lavoratori e degli animali. All’area della CSR fanno capo complessivamente 9.659 prodotti di largo consumo, alimentari e non, pari al 8,0% di quelli rilevati, per un giro d’affari che ha raggiunto un 11,0% di incidenza sul totale, superando la soglia dei 4,2 miliardi di euro di sell-out. Se nel 2019 questo paniere aveva aumentato le vendite del +1,2%, nei 12 mesi successivi è arrivato al +5,3%. Merito dell’ampliamento della domanda (+5,0%) in un contesto di offerta sostanzialmente stabile (+0,3%). Da notare come questi prodotti mantengano un’elevata pressione promozionale (37,1%), anche se in calo rispetto al 40,5% del 2019. Come son fatto (te lo dico): metodo di lavorazione L’ultima volta che l’Osservatorio Immagino se n’era occupato era stata nella sua quinta edizione
Oggi l’informazione è la nuova materia prima delle aziende. Infatti, anche grazie alle tecnologie digitali, il data management consente di migliorare l’efficienza, ridurre i costi e aumentare il livello di servizio al consumatore. Un consumatore che è immerso appieno in questa rivoluzione dell’informazione “fluida”: disponibile in qualunque momento, in qualunque luogo e in quantità inimmaginabili fino a qualche anno fa. Accanto alla rivoluzione digitale il consumatore risponde, poi, agli stimoli della cultura alimentare e delle scoperte scientifiche su come il cibo influenzi la salute e il benessere. L’informazione sui prodotti alimentari diventa così un elemento fondamentale e l’etichetta è il primo posto “fisico” per entrare in contatto con il consumatore, educarlo e soddisfare la sua esigenza di informazioni complete e trasparenti. Le persone sono alla ricerca di punti di riferimento e i punti di vendita e le marche dispongono di strumenti informativi importanti per costruire una relazione di valore con loro: “informare bene” è oggi una delle mission costitutive per le imprese. Mancava ancora, tuttavia, una misurazione reale del rapporto tra informazione ricercata e risultati di mercato in termini di vendite. Per colmare questo vuoto, nel 2016, è nato l’Osservatorio Immagino GS1 Italy: l’integrazione tra le oltre 100 variabili (ingredienti, tabelle nutrizionali, loghi e certificazioni, claim e indicazioni di consumo) registrate da Immagino sulle etichette dei prodotti già digitalizzati da un lato e i dati NIELSEN di venduto (retail measurement service), consumo (consumer panel) e di fruizione media (panel TV-internet) dall’altro, apre la strada ad un modo nuovo di guardare i fenomeni di consumo che si verificano nel nostro Paese. Si tratta di un patrimonio informativo unico per condividere, secondo l’approccio precompetitivo proprio di GS1 Italy, informazioni di scenario utili alle aziende, alle terze parti, a istituzioni e consumatori. L’Osservatorio Immagino è uno studio che monitora fenomeni di consumo nuovi e inesplorati fino a oggi. Ogni sei mesi (dati a giugno e dicembre), in formato cartaceo e digitale, fornisce e aggiorna le informazioni relative al set di fenomeni più interessanti e al loro trend nel tempo, e si arricchisce ad ogni edizione di nuovi approfondimenti. Utilizzando il codice a barre GS1 (ex EAN) per identificare i prodotti e attraverso l’incrocio delle informazioni di etichetta con i dati Nielsen, l’Osservatorio Immagino consente di misurare fenomeni di consumo emergenti e di identificare i segmenti di popolazione che li determinano. Si scopre così qual è il consumo di prodotti free from e di quelli arricchiti, come evolvono il “senza glutine” o il “senza olio di palma”, come crescono l’universo veg e il biologico, qual è il profilo di consumo di chi è sensibile alle intolleranze alimentari o all’italianità dei prodotti. Grazie alla collaborazione delle imprese del largo consumo e al continuo miglioramento del suo livello di copertura del largo consumo, l’Osservatorio Immagino aiuta a tenere sotto costante controllo la dinamica dei comportamenti del consumatore e a identificare i nuovi trend di consumo e di offerta soggetti a veloci cambiamenti nel tempo.
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Fidatevi del Vostro Gusto e scoprirete la differenza. La bresaola e gli sfilacci di carne di cavallo di Giovanni Coppiello sono tutto il meglio e il buono che potete far provare ai vostri sensi. Scoprirete così un piatto unico dai pregi infiniti: ottimo antipasto, intingolo per condire paste bucate, oppure prelibato secondo. Nella foto una delle nostre Ricette Consigliate : Sfilaccetti di Cavallo con Julienne di Verdure. Esecuzione: bollire per qualche minuto le verdure tagliate julienne, guarnire il piatto e condire con un emulsione di olio d oliva e sale di sedano. Ingredienti per 4 persone 200 gr. di Sfilaccetti, 2 Carote, 6 Cucchiai di Olio d Oliva, 2 Zucchine, 200 gr. Cappuccio Bianco,
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Sostenibilità in etichetta, promettere non basta più Secondo MARCO CUPPINI, research and communication director GS1 Italy, «nel dinamico mondo delle etichette dei prodotti di largo consumo, l’area emergente di questi ultimi mesi è senza dubbio quella della sostenibilità. Sono sempre più numerosi i prodotti sulle cui etichette viene segnalato l’impegno delle aziende nel miglioramento del loro impatto ambientale lungo tutta la filiera. L’Osservatorio Immagino ha fotografato quest’ampio universo, rilevando 24 claim presenti sulle etichette e organizzandoli in quattro aree (management sostenibile delle risorse, agricoltura e allevamento sostenibili, responsabilità sociale e rispetto degli animali). Un lavoro di analisi che ha consentito di misurare quanto la sostenibilità sia diventata un tema di comunicazione anche sulle etichette dei prodotti: sono oltre 26.000 i prodotti coinvolti (quasi il 22% del totale) e nel 2020 avevano realizzato oltre 10 miliardi di euro di giro d’affari (26,2% del totale), in crescita di +7,6% rispetto ai 12 mesi precedenti. Il fenomeno riguarda sia l’offerta che la domanda; un maggior impegno da parte delle aziende (sia di produzione che di distribuzione) a fronte di una crescente sensibilità da parte del consumatore. La percezione della sostenibilità in Italia, infatti, sta cambiando, e oggi più che mai le aziende hanno bisogno di strumenti e di un approccio scientifico per misurare la sostenibilità a tutti i livelli del proprio business. I programmi della Commissione europea definiscono un circolo virtuoso tra digitalizzazione, sostenibilità e consumatore. I dati non sono più solo appannaggio della relazione tra le imprese, ma vedono il consumatore al centro: occorre consentirgli di comprendere che cosa sia realmente sostenibile e cosa no, e dargli informazioni in maniera comprensibile, affidabile e confrontabile, per consentire scelte consapevoli. L’attenzione al tema della sostenibilità si sposa con quello della circolarità in ogni fase del ciclo di vita dei prodotti: dal design, all’approvvigionamento, alla produzione, alla distribuzione, all’utilizzo, allo smaltimento e alla gestione dei rifiuti. L’informazione sulla riciclabilità veicolata attraverso le etichette è, infatti, in crescita (3 punti percentuali in più rispetto all’edizione scorsa). E l’informazione “paga”: nel corso del 2020 sono aumentate le vendite dei prodotti che comunicano la riciclabilità del pack, mentre, al contrario, il bilancio è stato negativo per chi non ha comunicato nulla. In un futuro prossimo l’attenzione del legislatore verso questi temi darà un’ulteriore spinta al fenomeno. La parola sostenibilità ha definitivamente trovato un posto stabile nelle strategie aziendali. Azioni concrete e misurabili eviteranno che il suo significato sia diluito o svuotato, ma anzi daranno una spinta per un suo ulteriore rafforzamento (in foto, la collezione di tè Rhoeco disponibile in confezioni sostenibili: sembrano un vaso da fiori e, in effetti, nella parte interna del coperchio sono inseriti dei semi che si possono piantare proprio nello stesso vasetto quando il tè è esaurito).
quando, presentando il consuntivo del 2018, aveva rilevato come il 3,0% dei 72.100 prodotti alimentari monitorati (ossia 2.138 referenze) riportasse on pack un claim che ne illustrava il metodo con cui erano stati ottenuti come elemento distintivo e valoriale, e come richiamo a una componente di artigianalità.
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Ma ora, a due anni di distanza, come si presenta questo fenomeno? A dicembre 2020 i prodotti che comunicavano in etichetta il metodo di lavorazione erano saliti a rappresentare il 3,3% del paniere alimentare dell’Osservatorio Immagino (esclusi acqua e alcolici). Queste 2.791 referenze, il cui giro d’affari
rappresenta il 3,0% del totale food del perimetro Immagino, nel corso del 2020 hanno realizzato oltre 971 milioni di euro di vendite, in crescita del +5,1% rispetto all’anno precedente. Fonte: GS1 Italy gs1it.org tendenzeonline.info
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BENESSERE ANIMALE
One Health/Benessere animale: il valore dell’impegno e della ricerca per la salute di tutti Un evento on-line che ha riunito rappresentanti di istituzioni, associazioni e aziende con un obiettivo e un approccio comuni. Riflettori su benessere animale, sostenibilità, salubrità, qualità delle produzioni animali e corretta alimentazione
“O
ne Health Benessere animale: il valore dell’impegno e della ricerca di MSD Animal Health per la salute di tutti”: è questo il titolo dell’evento organizzato da MSD Animal Health tenutosi on-line lo scorso 27 maggio. Un’occasione unica di
dialogo e scambio tra i diversi attori della filiera, fondamentale per lavorare in modo coordinato verso uno stesso obiettivo: applicare a tutto campo l’approccio One Health e assicurare così la salute di uomini, animali e ambiente. L’evento ha preso spunto dal recente riconoscimento
da parte dell’EMA di “…un miglioramento statisticamente significativo dei parametri comportamentali indicativi del benessere animale…” 1 associato ad una soluzione già in commercio da più di tre anni per contrastare le infestazioni da acaro rosso nelle galline ovaiole, un vero flagello
Il concetto One Health è oggi un tema quanto mai attuale che, alla luce dell’emergenza sanitaria da Covid-19, assume un valore ancora più rilevante e concreto. È infatti sempre più evidente la relazione tra la salute animale e quella umana e il fatto che non solo una influenzi l’altra ma che entrambe dipendano fortemente dall’equilibrio e della salute anche del nostro ambiente (photo © The World Organisation for Animal Health, www.oie.int).
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per gli animali e per gli allevatori stessi. Questo passo rappresenta un esempio estremamente concreto dell’approccio #OneHealth, che tiene conto del benessere degli animali, degli operatori e dell’ambiente, oltre a contribuire fortemente alla salubrità dell’uovo che arriva sulle nostre tavole. L’evento ha visto la partecipazione di: ROMANO MARABELLI, consigliere della direttrice generale OIE-Organisation Mondiale de la Santé Animale MONIQUE ÉLOIT, ROSSELLA PEDICONE, vicedirettrice UNAITALIA, GIAN LUCA BAGNARA, presidente di ASSOAVI e membro del COPA-COGECA, la prof.ssa DÉBORAH TEMPLE presso l’Università di Barcellona ed EVELINA FLACHI, specialista in Scienze dell’alimentazione. L’appuntamento è stato moderato da STEFANO DI MARZIO, direttore responsabile Aboutpharma and Medical Devices e PAOLO SANI, AD MSD Animal Health Italia. Il concetto One Health è oggi un tema quanto mai attuale che, alla luce dell’emergenza sanitaria da Covid-19, assume un valore ancora più rilevante e concreto. È infatti sempre più evidente la relazione tra la salute animale e quella umana e il fatto che non solo una influenzi l’altra ma che entrambe dipendano fortemente dall’equilibrio e della salute anche del nostro ambiente. Di questi valori MSD Animal Health si fa portavoce e ne ha fatto da sempre la sua missione. «Noi di MSD Animal Health — ha com-
mentato Paolo Sani — sosteniamo e applichiamo da sempre l’approccio One Health in ogni attività e iniziativa che realizziamo, impegnandoci a tutelare l’equilibrio uomo-animaleambiente, affinché il benessere e la salute di tutti vengano garantiti ogni giorno. Per questo crediamo fortemente nell’importanza di un impegno sinergico di tutta la filiera e dei suoi protagonisti: da qui la scelta di organizzare questo evento, per offrire un momento di scambio e arricchimento tra tutti gli attori coinvolti, per muoversi in branco verso un unico obiettivo. È questo del resto, il senso di un vero approccio One Health». L’evoluzione della filiera e l’importanza dell’approccio One Health Proprio sull’attualità del tema si è espresso nel corso dell’evento anche Romano Marabelli, che ha ricordato come addirittura il 70-80% delle malattie umane siano zoonosi, ossia trasmesse all’uomo dall’animale. Non solo, Marabelli ha ricollegato il tema a quello della salubrità e della sicurezza delle produzioni animali, ricordando l’importanza della ricerca scientifica nel settore: «Oggi il consumatore chiede sempre di più prodotti che siano stati realizzati in maniera eticamente adeguata. È fondamentale assicurare che le produzioni seguano un percorso che sia il più naturale possibile e che usufruiscano di tutti gli avanzamenti
e i traguardi raggiunti dal punto di vista scientifico e tecnologico». Su questo fronte Marabelli sottolinea i numerosi miglioramenti raggiunti dalle produzioni animali negli ultimi anni, grazie anche ai rigidi protocolli di sicurezza introdotti anche a livello europeo e ricorda l’eccellenza che rappresentano, in particolare, «le produzioni italiane, apprezzate all’estero non solo per la qualità, ma anche per rappresentare l’esempio della trasformazione della tradizione in un percorso scientificamente ineccepibile». In questo contesto la sostenibilità, intesa come risparmio di energia ed equilibrio del carbone, insieme alla tecnologia informatica rappresentano asset fondamentali che permettono di avere allevamenti di alto livello che riescono a contemperare benessere, prevenzione, corretto uso dei farmaci, sostenibilità, utilizzo e riciclo di energia. «Da qui al 2050 — conclude Marabelli — è previsto uno sviluppo e un moltiplicatore delle produzioni di proteine animali. È importante quindi definire il ruolo dell’Europa in questo contesto e capire se l’Italia ne sarà protagonista come lo è stata finora». L’importanza della ricerca e degli avanzamenti scientifici in ottica di un maggior benessere animale sono stati al centro anche dell’intervento di Rossella Pedicone, che non solo ha ribadito l’attenzione crescente del consumatore verso la tematica One Health e la richiesta
Da oltre un secolo MSD, azienda leader a livello mondiale nel settore biofarmaceutico, sviluppa farmaci e vaccini per molte delle malattie più gravi al mondo, al fine di preservare la salute e la vita di tutti. MSD Animal Health, nota come Merck Animal Health negli Stati Uniti e in Canada, è la divisione di MSD a livello globale dedicata alla salute animale. Attraverso il suo impegno nella Scienza per Animali più sani®, MSD Animal Health offre a veterinari, allevatori, proprietari di animali da compagnia e istituzioni, una delle più ampie gamme di farmaci, vaccini, soluzioni e servizi di gestione della salute in ambito veterinario, nonché una vasta gamma di prodotti di identificazione, tracciabilità e monitoraggio digitali. MSD Animal Health si dedica a preservare e migliorare la salute oltre che il benessere degli animali e delle persone che si prendono cura di loro. Investe significativamente in risorse di ricerca e sviluppo dinamiche e complete oltre che in una moderna catena di approvvigionamento globale. MSD Animal Health è presente in più di 50 Paesi, mentre i suoi prodotti sono disponibili in circa 150 mercati. >> Link: www.msd-animal-health.it
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Sul benessere animale, l’Europa si è adoperata con l’applicazione di direttive trasversali, come, ad esempio, quella del 1999 sulla protezione delle galline ovaiole o quella del 2007 per la protezione del broiler, e si è posta l’obiettivo di arrivare, entro il 2023, a un sistema armonizzato per l’etichettatura del benessere (photo © www.unaitalia.com). alla filiera produttiva di un impegno reale e concreto per assicurare il benessere animale, anche in relazione alla propria salute, ma ha anche indicato come «l’Europa sia da sempre apripista rispetto a queste istanze che sono diventate infatti i pilastri del Green Deal e della strategia Farm to Fork». All’atto pratico, inoltre, «l’Europa si è adoperata con l’applicazione di direttive trasversali, come, ad esempio, quella del 1999 sulla protezione delle galline ovaiole o quella del 2007 per la protezione del broiler e si è posta l’obiettivo di arrivare, entro il 2023, a un sistema armonizzato per l’etichettatura del benessere animale mentre si sta interrogando sul bando delle gabbie». L’intervento della Pedicone ha quindi evidenziato quanto sia importante che tutti gli attori della filiera si muovano insieme e che ognuno faccia la sua parte. A questo riguardo, ha ricordato alcuni dei successi raggiunti da UNAITALIA, come l’introduzione di claim dedicati proprio al benessere animale, come quelli riferiti allo spazio in allevamento o alla maggiore libertà di movimento, agli arricchimenti ambientali, alla disponibilità di luce
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solare, o all’allevamento senza uso di antibiotici, ribadendo, su questo punto, che «solo introducendo in allevamento animali sani in un ambiente idoneo sarà possibile portare a termine dei cicli produttivi senza ricorrere all’uso del farmaco». Un tema, quello dell’antibioticoresistenza e della riduzione dei farmaci, sul quale anche MSD Animal Health è impegnata in prima linea: l’80% del portfolio di soluzioni e servizi è infatti interamente dedicato alla prevenzione e grande importanza è data alla vaccinazione, che garantisce il benessere e la salute animale in alcune specie fin dai primi mesi di vita dell’animale, riducendo l’insorgenza di patologie che prevedano successivamente l’uso di soluzioni terapeutiche. Sostenibilità: dalla filiera alla tavola Scienza, sicurezza e salubrità delle produzioni animali hanno fatto dunque da fil rouge del digital event, ma anche sostenibilità e alimentazione, che hanno infatti rappresentato il focus dell’intervento di Gian Luca Bagnara, che ha evidenziato anzitutto come negli ultimi anni e in particolare nel recente anno 2020,
con la presenza della pandemia, il consumatore abbia sviluppato un nuovo tipo di attenzione per l’alimentazione e per le materie prime, riportando l’agricoltura al centro delle tavole degli italiani. «Conoscere i prodotti che abbiamo sul piatto non significa solamente conoscerne la marca, ma l’intera filiera, sapere dove e come è stato fatto il prodotto e il territorio che lo coinvolge», ha infatti commentato Bagnara che ha ricordato che per rispondere a queste esigenze, è necessario «aprire la filiera a nuovi fronti di lavoro: quello della biosicurezza, del benessere dell’animale, degli antimicrobici, della resa più sostenibile dell’allevamento e soprattutto del rapporto con il territorio». Secondo Bagnara, sono quindi tre i temi di attività da tenere sotto controllo nei prossimi anni: le filiere sostenibili, la gestione delle risorse naturali e la nutrizione. Per quanto riguarda le filiere sostenibili è importante quindi avere prodotti riciclabili, non avere rifiuti, evitare sprechi e migliorare la tracciabilità delle informazioni, della salute e del benessere degli animali. In merito invece alla gestione delle risorse, Bagnara fa riferimento all’acqua, ai packaging sostenibili, ma anche al tema emergente del sequestro di carbonio e auspica un ruolo attivo della filiera agricola in tal senso e non solo di difesa. Sull’ultimo punto, la nutrizione, Bagnara ricorda che, affinché le produzioni animali forniscano tutti i nutrienti per la salute dell’uomo, c’è bisogno che l’animale stia bene e sia in benessere anche con la propria alimentazione. «Ecco perché abbiamo bisogno di una politica comunitaria che riprenda il discorso di sostenibilità delle proteine vegetali. Purtroppo, siamo diventati importatori del 73% di proteine vegetali dall’estero, su cui non abbiamo certezza né consapevolezza sull’origine, sul trattamento e sul rispetto ambientale, come avremmo se queste arrivassero dall’Europa. Per questo, chiediamo di rendere completamente autonoma la filiera locale in modo che possa avere radici anche nell’agricoltura europea
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e possa dare valore direttamente sul nostro territorio comunitario». Un approfondimento tutto sull’alimentazione quello realizzato invece da Evelina Flachi, che ha sottolineato come la nostra salute sia legata a doppio filo a quello che mangiamo e, per questo, sia importante consumare cibi che tengano conto, nella loro filiera produttiva, della sostenibilità ambientale e del benessere animale, per garantirci un migliore stato di salute negli anni. Ha ricordato quindi la centralità del concetto di equilibrio: non solo equilibrio tra entrate caloriche e uscite energetiche ed in relazione al nostro stile di vita, ma equilibrio di ogni organismo con l’ambiente e con tutte le forme viventi che lo circondano. «Solo così possiamo dare valore al cibo che mettiamo nel nostro piatto come nutriente importante per mantenere efficiente il nostro organismo e per mantenerci in salute più a lungo possibile» ha affermato Evelina Flachi. «Questo vuol dire One Health: la consapevolezza di quanto siano correlate la salute umana, la salute animale e la salute ambientale». La dott.ssa Flachi si è poi concentrata sulle qualità nutritive di due alimenti in particolare: l’uovo — alimento completo, miniera di nutrienti, dal basso valore calorico e alto valore proteico — e il pollo, ricco di proteine nobili e minerali, povero di grassi e altamente digeribile. Due esempi virtuosi che non dovrebbero mancare nelle nostre diete, ma che, per apportare tutti i loro benefici devono avere come prerogativa il benessere degli animali stessi e degli allevamenti. Sicurezza degli allevamenti Proprio sulla sicurezza degli allevamenti — di quelli avicoli in particolare — e sul benessere degli animali si è focalizzata Déborah Temple che ha parlato di una delle infestazioni più frequenti e pericolose nel settore avicolo: quella dovuta agli acari rossi. Un problema molto diffuso negli allevamenti che crea ripercussioni sia comportamentali, sia fisiologiche anche gravi. Un vero e proprio fattore di stress, dunque,
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per la cui prevenzione è fondamentale monitorare costantemente i comportamenti e i cambiamenti degli animali all’interno degli allevamenti per essere in grado di riconoscere i sintomi e agire per tempo. «È estremamente importante individuare e riconoscere i cambiamenti negli animali il più rapidamente possibile, per poterli contrastare efficacemente e assicurarsi il benessere di tutto il pollaio», ha ammonito Déborah Temple. «Gli studi effettuati sull’impatto delle infestazioni da acaro rosso sulle galline dimostrano come all’importanza di saper riconoscere i segnali di allarme di potenziale infestazione nei propri animali si aggiunga anche l’importanza di agire tempestivamente per eliminare l’infestazione e permettere così un duplice beneficio: un incremento della produzione di uova e della loro salubrità, a beneficio dell’allevatore e del consumatore finale, e un incremento del benessere delle galline, sia da un punto di vista comportamentale sia fisiologico» commenta CORRADO LONGONI. «Per sostenere la filiera in questo senso — ha concluso Paolo Sani —è necessario fare sistema. Dobbiamo fare ricorso a prevenzione, ricerca, investimenti in nuove tecnologie e soluzioni innovative e ultimo — ma sicuramente non per importanza — applicare una visione One Health in tutto ciò che facciamo. Sono proprio eventi di questa natura che ci permettono di creare un’unica voce per rispondere a tutte le necessità del consumatore di oggi. La sfida di MSD Animal Health è difendere il made in Italy e questo mercato, fatto di aziende e persone con alta professionalità che si impegnano giorno dopo giorno per portare cibo sano e buono sulle tavole degli italiani nel rispetto del benessere animale». Note 1. EXZOLT:EPAR, Riassunto delle caratteristiche del prodotto, European Medicine Agency, www.ema. europa.eu/en/documents/product-information/exzolt-eparproduct-information_it.pdf
MACELLERIE D’ITALIA
Macelleria smart, in smart city La Macelleria Moresco di Bassano del Grappa ha imboccato la via della sostenibilità ambientale, dell’economia circolare e della responsabilità sociale d’impresa, perché il mondo si può iniziare a cambiare anche dal banco di una macelleria di Gian Omar Bison
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iamo abituati a vedere macellai attenti alla qualità organolettica e nutrizionale delle carni e, generalmente, anche alla filiera e al benessere animale. Ma l’idea che da una macelleria si possa salvare il mondo dagli effetti nefasti del cambiamento climatico francamente ci mancava. E invece
se vai alla macelleria di STEFANO MORESCO a Bassano del Grappa, in provincia di Vicenza, su questo non si scherza. Nel loro piccolo, i ragazzi della Macelleria Moresco hanno imboccato la strada della sostenibilità ambientale, dell’economia circolare e della responsabilità sociale d’impresa.
Paroloni importanti quanto attuali da anni, di cui tutti ci riempiamo troppo spesso la bocca, e che spesso restano inattuati, persi nel mondo delle buone intenzioni. Come? Intanto con l’uso in bottega di corrente elettrica da sole energie rinnovabili e utilizzo di carta riciclabile per avvolgere la carne.
Stefano Moresco, primo a sinistra, con i suoi collaboratori, Nicola, Elisa, Nic e Miriam.
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E poi con un intervento urbanistico concertato col comune, in accordo col comitato di quartiere, che ha visto sistemare l’incrocio ed abbattere alcune barriere architettoniche, piazzando una colonnina per la ricarica delle bici elettriche con corrente offerta dalla macelleria. Non solo. Organizzano serate a tema sulla sostenibilità ed eventi in bottega, legati al festival nazionale della sostenibilità organizzato da ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) per Valorizzare la Cultura della Sostenibilità in Città secondo i 17 Obiettivi della Agenda 2030 dell’ONU. «Abbiamo sposato questa filosofia per contribuire nel nostro piccolo a sensibilizzare la cittadinanza e la clientela su temi ai quali crediamo molto. Ci è sembrato consequenziale — sottolinea Moresco — all’approccio che abbiamo alle carni e ai cibi in generale». Stefano ha quarantacinque anni e si racconta sottolineando di non essere un figlio d’arte, di non aver rilevato attività da nonni o genitori. «Sono originario di Breganze (VI) e li ho iniziato a vent’anni in una piccola bottega (in Veneto si è soliti chiamarla Casoin). Dopo poco sono passato in un supermercato dove mancava la figura del macellaio. La mia passione per la carne e per la macelleria è partita da qui e si è evoluta nel 2001, quando mi si sono aperte le porte della Macelleria Sperotto, la più conosciuta del paese. Nel 2005 ho avuto l’occasione di rilevare l’attuale bottega a Bassano del Grappa e qui sono rimasto». Quando Stefano ha iniziato in quel di Bassano ha trovato la classica bottega di quartiere con la consueta proposta di carni, niente di originale o distintivo. «Ho voluto subito dare un mio stile — prosegue Moresco — e così avanti fino al 2012 quando abbiamo restaurato tutto. In quegli anni abbiamo innanzitutto costruito una proposta sul prontocuoci. E poi abbiamo iniziato a proporre preparati realizzati da noi, e solo da noi, nella nostra cucina. Attualmente la squadra è composta da cinque
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È nel 2018 che la Macelleria Moresco fa il salto di qualità, iniziando a seguire meglio le strategie di comunicazione e di marketing. «Siamo partiti con dei questionari sottoposti ai clienti, coinvolgendo anche i cittadini che abitano qui vicino. Sui risultati abbiamo costruito la nostra politica aziendale e ne è scaturita la nuova brand identity» dice Stefano Moresco. persone: Stefano, Nicola, Elisa, Nic e Miriam. Ma presto saremo in sei con uno chef. In uno spazio contenuto com’è quello nel quale operiamo ci vuole organizzazione e pulizia. E, infatti, la prima cosa che facciamo con i collaboratori neoassunti è formarli sulle nostre
procedure standardizzate “Stile Moresco”. Oltre a questo, siamo aperti alla formazione continua aderendo a tutte le proposte interessanti che ci vengono offerte per fare ulteriori salti di qualità». Dagli esordi, ricorda Moresco, la macelleria è cambiata notevolmente
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In alto: una parte della proposta dei prontocuoci realizzati tutti in proprio dalla macelleria. Molto apprezzate dalla clientela sono le polpette, preparate in diverse varianti stagionali. In basso: il banco della carne fresca. Alla macelleria Moresco la carne bovina assorbe il 70% circa dell’offerta, 20% l’avicolo e il resto lo fanno il maiale soprattutto e una selezione di ovino e cunicolo.
La cosa importante per noi è sentirci parte di una filiera certificata e garantita. Con questo obiettivo abbiamo stretto una partnership col Consorzio AmicΩmega, un’eccellenza che, in collaborazione con l’Università di Pisa, lavora seguendo uno specifico disciplinare e ci dà garanzia sulla salubrità e l’alto profilo nutrizionale della carne, il benessere animale, l’uso consapevole del farmaco, l’OGM free e l’integrazione di Omega-3
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sia sotto l’aspetto burocratico-gestionale che per le nuove e diverse aspettative del cliente. «Negli ultimi quindici anni sono aumentate le formalità e le attenzioni per la tracciabilità, per gli ingredienti e gli allergeni. Inoltre, sono cambiate le aspettative e i desideri del cliente che ha una consapevolezza maggiore e vuole sapere sempre di più e meglio che cosa mangia». Nel 2018 il salto di qualità. A fronte di un giro d’affari in crescita, chiedendosi quali potessero essere le strade da imboccare in futuro, hanno iniziato a seguire meglio le strategie di comunicazione e di marketing. «Siamo partiti con dei questionari sottoposti ai clienti per capire bene cosa volessero da noi. Abbiamo compilato duecento questionari circa, coinvolgendo prima solo i clienti e poi anche i cittadini che abitano qui vicino. Sui risultati abbiamo costruito la nostra politica aziendale e lanciato i nostri obiettivi, inoltre, ne è scaturita la nuova brand identity. I contenuti emersi sono andati ben oltre le richieste sul prodotto, sulla filiera certificata o sul servizio. Ci siamo messi in gioco con tutta la squadra per costruire un modello di impresa che andasse oltre il semplice commercio di carne». Da Moresco la carne bovina assorbe il 70% circa dell’offerta, 20% l’avicolo e il resto lo fanno il maiale soprattutto e una selezione di ovino e cunicolo. «La cosa importante per noi — evidenzia Moresco — è essere e sentirci parte di una filiera certificata e garantita. Con questo obiettivo abbiamo stretto una proficua partnership con il Consorzio AmicΩmega, un’eccellenza che, in collaborazione con l’Università di Pisa, lavora seguendo uno specifico disciplinare e ci dà garanzia sulla salubrità e l’alto profilo nutrizionale della carne, sul benessere animale, sull’uso consapevole del farmaco, sull’OGM free e sull’integrazione di Omega-3. Le razze che lavoriamo principalmente sono la Blonde d’Aquitaine, e selezioni di Aubrac e Limousine. Non abbiamo le celle per il dry aging, anche se ne stiamo valutando, e non facciamo frollature prolungate.
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Costata Decumana, marchio certificato della Filiera AmicΩmega. Al massimo arriviamo ai 30 giorni ma lavoriamo capi che non hanno bisogno di spingere troppo in questa direzione. Per quanto riguarda l’avicolo — continua — ci riforniamo dall’Avicola Artigiana del Ferrarese, da un anno circa. Sono certificati per polli allevati con un accrescimento lento e per un uso consapevole del farmaco. Sul maiale stiamo ricercando alcuni partner territoriali che sposino le nostre attenzioni per la sostenibilità». E poi ci sono i pezzi forti sul cotto. «Intanto abbiamo la chicca del sabato, prodotti esclusivi di quel giorno che difficilmente si preparano a casa. Un esempio? La porchetta e insieme tutti i contorni che sono strettamente stagionali. E poi le polpettine che prepariamo in tanti modi e che sono state la nostra, prima sfida. Il tutto accompagnato dalla nostra selezione di verdure stagionali». Mai pensato di fare ristomacelleria o abbinare alla macelleria un’attività di somministrazione di cibi e bevande? «Dove abbiamo la bottega manca lo spazio. Però su ipotesi ristorative ci hanno coinvolti in un progetto territoriale bassanese nuovo. Vedremo. A noi interessa lavorare per migliorare l’esistente
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puntando ad un posizionamento ancora più alto verso una clientela ancora più esigente. In primis vogliamo concentrarci nel porre sempre più attenzione alla sostenibilità, al benessere animale e alla responsabilità sociale d’impresa. Su questa base solida e garantita stiamo sviluppando e continueremo a sviluppare nuove idee. Ad esempio, dopo aver realizzato il primo evento mostra nella nostra bottega legato al primo Festival della Sostenibilità con pannelli infopoint dedicati, stiamo progettando la seconda edizione che sarà inaugurata a settembre. È un impegno, ma mi piace pensare che anche noi nel nostro piccolo possiamo fare qualcosa di concreto. Il mondo della carne in generale deve evolversi in questo senso facendo tesoro delle esperienze passate, ma anche contribuendo al cambiamento e al destino di tutti. Anche noi macellai dobbiamo fare squadra e proiettarci al futuro». Gian Omar Bison Macelleria Moresco Stefano Via del Cristo 18 36061 Bassano del Grappa VI Telefono: 0424 525016 Web: facebook.com/MacelleriaMoresco
Centro Carni Boldrini: una fettina di meno ma che sia di qualità di Federica Cornia
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giugno 2020. Siamo a Minerbe, paesino in provincia di Verona. In piazza IV Novembre, poco distante dal Monumento ai caduti, si sente un insolito brusio, c’è più movimento del solito. Su un lato della piazza infatti è spuntato un auto-negozio. È una macelleria ambulante e resterà lì per due mesi. Intanto, sull’altro lato della strada, i locali al piano terra di un palazzo vengono messi sottosopra. Muratori ed elettricisti entrano ed escono,
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scavalcano mucchi di calcinacci a terra, aggirano secchi, scale e cavalletti. Si prepara l’intervento all’architetto. Posizionate verticalmente a correre lungo il muro rimangono solo grandi lastre di marmo. Pochi giorni prima, affisso all’ingresso, quando ancora c’era la vetrina, si leggeva: “Comunicazione importante. Da lunedì 8 giugno il nostro storico negozio sarà chiuso per una ristrutturazione completa. Saremo aperti dall’altra parte della strada con
un punto vendita mobile”. Firmato Centro Carni Boldrini. Non a caso in zona sono rinomati per qualità e servizio. Lo stesso che hanno mantenuto attivo in modo tanto creativo nonostante la ristrutturazione della macelleria in atto. «Ci sono voluti due mesi per fare tutto. Non è stato facile, ha richiesto un po’ di sacrifici da parte nostra ma alla fine ce l’abbiamo fatta e siamo contenti. Peccato solo il non aver potuto fare la cerimonia
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d’inaugurazione a lavori terminati. La recupereremo al più presto. Certo non potrà essere una festa di paese come è accaduto nel 2017 per festeggiare i 90 anni di attività, ma lo sarà quando arriveremo ai 100» racconta MICHELE BOLDRINI, figlio d’arte e macellaio di terza generazione oggi a capo dell’attività di famiglia, sempre accompagnato dall’occhio vigile ed esperto del padre. È il 1927 quando i nonni di Michele iniziano come commercianti di bestiame. In un secondo momento aprono una macelleria a Bevilaqua e, attorno agli anni ‘50, il primo negozio a Minerbe, per trasferirsi poi negli anni ‘70 in quello attuale, dal quale, dopo il restyling ad opera di Criocabin, azienda specializzata nella produzione di celle frigorifere e banchi refrigerati, è sparito il buon vecchio banco d’acciaio ma non il bel marmo originale, valorizzato dall’intervento. Segno del cambiamento dei tempi e delle mutate esigenze di operatore e cliente, che nulla toglie ad un discorso estetico e funzionale, aspetti che Criocabin ha saputo ben interpretare. «Chi viene oggi in macelleria — ci dice Michele — rimane come incantato. Più volte mi è stato detto che è un piacere entrare. E per noi lavorare è diventato molto più comodo». Al posto del vecchio banco, ormai troppo stretto, ora c’è il nuovo. Più profondo del precedente permette di esporre più carne e conservarla meglio. Grazie alla bassa ventilazione e al controllo di umidità e temperatura, il calo di peso della carne è inferiore rispetto a quello che si avrebbe con l’utilizzo di un banco tradizionale. Rivestito elegantemente, unisce tecnologia estetica e funzionalità. «Col riassetto del negozio è cambiato anche il modo di lavorare. È tutto molto più comodo. Ora, per esempio, possiamo rifornire il banco per il mattino dopo alla sera, cosa impraticabile prima perché la carne ne avrebbe risentito». Vicino alla cassa è posizionato il banco a caldo, new entry che risponde ad una delle tendenze del momento, ovvero la richiesta di preparati gastronomici, elaborati più o
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Michele Boldrini all’opera nei locali rinnovati (a sinistra) del Centro Carni Boldrini in via Roma a Minerbe (VR). meno semplici, pronti da cuocere e/o a caldo. Altra grande novità è la vetrinetta espositiva EDB Criocabin per la frollatura della carne in cui finiscono soprattutto costate. La carne arriva dal macello fondato dai nonni, una realtà a cui si appoggiano anche altre macellerie della zona «anche se negli anni sono sempre meno» sottolinea Michele. «Per l’acquisto dei capi di bestiame, perlopiù Limousine e Garronese, ci affidiamo a un paio di allevamenti locali, soprattutto alla Fattoria Informa. Ci piace perché mette al centro il benessere dell’animale e ne cura in particolare l’alimentazione». L’azienda pratica un allevamento etico e innovativo e utilizza semi di lino estruso (che fortificano la composizione degli acidi grassi buoni della carne), foraggio autoprodotto e alimenti esclusivamente NO OGM. Lo stesso principio di
fornitura locale vale per i capi suini e il pollame, rigorosamente allevato a terra. Con un servizio che copre quasi tutta la filiera, dalla macellazione alla lavorazione dei tagli alla trasformazione e produzione di insaccati, si capisce perché Centro Carni Boldrini sia considerato il punto di riferimento per i carnivori della Bassa Veronese e perché le sue carni siano tanto ricercate in zona da chi sposa la filosofia di Michele: «Una fettina di meno ma che sia di qualità». Oggi, con otto dipendenti in tutto, tra cui due cuochi che si occupano sia della gastronomia a caldo che dei pronti a cuocere, Michele supervisore ed eclettico tuttofare, la sorella Sabrina a banco, agli acquisti e alle preparazioni, e la moglie Moira alla contabilità, sono proprio una bella squadra.
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Il Centro Carni Boldrini rinnovato vanta oggi anche la vetrinetta espositiva EDB Criocabin per la frollatura della carne e uno spettacolare bancone sempre firmato dall’azienda padovana. «Col riassetto del negozio è cambiato anche il modo di lavorare. È tutto molto più comodo. Ora, per esempio, possiamo rifornire il banco per il mattino dopo alla sera, cosa impraticabile prima perché la carne ne avrebbe risentito» dice Michele Boldrini.
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Manzetta prussiana, Angus, Sashi finlandese e Chianina rappresentano solo una piccola parte dell’offerta del Centro Carni Boldrini per una clientela sempre più esigente ed informata. Non solo numericamente. Lo dice anche lo stesso Michele che subito aggiunge con soddisfazione: «Ci prepariamo tutto noi, dai salami alla gastronomia». Oscillando tra tradizione e innovazione. Perché se è vero che in bottega c’è di nuovo il salame di Sorana, è vero anche che sono sempre presenti la trippa “fatta come la faceva la nonna” e la lingua con la concia, come un tempo. Un’oscillazione tra vecchio e nuovo che è il frutto del rapporto macellaio-cliente, un rapporto che negli ultimi anni, con l’avvento dei social, si è molto trasformato: «Gli amanti della carne sono più informati grazie a FB e ai social in generale. Questo segna un’evoluzione nel rapporto macellaio-cliente attivando uno scambio per cui i clienti entrano in macelleria e chiedono sempre più spesso tagli particolari e carni da razze estere. Nel nostro caso, per esempio, Manzetta prussiana, Angus, Sashi finlandese e Chianina. Il lavoro del macellaio
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non è più “ti do un taglio di carne e punto”. Qui ti fanno domande, chiedono consigli, cos’è meglio utilizzare per lo spezzatino e tanto altro». Questo la dice lunga sull’impatto e l’importanza della comunicazione digitale sulle attività commerciali e sull’evoluzione della macelleria oggi, sempre più interattiva, sempre più in versione 2.0 come si suol dire. Forte impulso a guardare in questa direzione a Michele l’ha dato il lockdown 2020 quando, venute meno le richieste da parte del canale HO.RE. CA. e delle varie sagre, in macelleria si è avvertito un calo delle vendite e si è cominciato a guardare con interesse all’e-commerce. Il risultato è che oggi Centro Carni Boldrini partecipa ad un progetto di sviluppo di una app che raggruppa varie attività commerciali, non solo macellerie, da Rovigo a Verona città, in una unica vetrina virtuale. Quando si dice fare di necessità virtù. Numerose le sfide del mestiere
e i continui i cambiamenti. Stare al passo coi tempi richiede parecchio impegno in questa professione e Michele non si è mai tirato indietro, né quando 15 anni fa ha dato vita al laboratorio dei salumi, né quando ha deciso di acquistare i forni per la cucina a caldo per cuocere i polli allo spiedo, un’attività, ci dice «iniziata 35 anni fa, quando abbiamo cominciato a tenere aperto alla domenica mattina perché c’era il mercato in paese». Oggi invece la domenica è chiuso. «Diciamo che quello della riorganizzazione del tempo è stato un effetto inatteso della pandemia: rallentare i ritmi in tempo di lockdown ci ha portati a fare scelte diverse e oggi siamo aperti da martedì a sabato mattina, col lunedì giorno di macellazione. Inizialmente avevamo qualche timore a chiudere la domenica, ma la clientela si è adattata e ha risposto bene». Certo che questa è una storia incredibile se si pensa a quel ragazzo diplomato in ragioneria che non aveva nessuna idea di fare il macellaio perché quotidianamente aveva sotto gli occhi il sacrificio dei genitori; se si pensa a quel ragazzo che si ritrova per la prima volta in macelleria giusto per dare un aiuto durante il periodo del servizio militare. A tutto il resto ci ha pensato il destino, mettendo in fila una serie di eventi che hanno portato Michele ad essere sempre più presente in negozio. Decisivo in questo senso è stato il rinnovo del macello fondato dai nonni per ottenere il bollo CEE, proprio in un momento in cui il padre si era infortunato alla spalla. Così, con la pratica, la passione per questo mestiere ha preso il sopravvento. «È dura, ma al di là dell’aspetto economico, per me c’è sempre molta soddisfazione a lavorare direttamente col cliente». Federica Cornia Centro Carni Boldrini Via Roma 12 37046 Minerbe (VR) Telefono: 0442 640004 E-mail:info@centrocarniboldrini.com Web: www.facebook.com/boldrinimacelleria
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Anuga 2021, focus sulla trasformazione alimentare
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roseguono a pieno ritmo i preparativi per l’appuntamento espositivo internazionale di Anuga 2021 a Colonia, che si svolgerà in presenza dal 9 al 13 ottobre e, in parallelo, in digitale con Anuga @home dall’11 al 13 ottobre. Questa doppia modalità offrirà molteplici opportunità per connettersi con l’industria alimentare globale tra nuovi prodotti, tendenze e nuove opportunità commerciali. Una transizione alimentare sostenibile Il Covid-19 ha esercitato un forte impatto sulla vita di tutti noi e ha chiaramente dimostrato che i cambiamenti possono verificarsi in modo improvviso e inaspettato. La pandemia sta svelando i punti deboli delle politiche sanitarie, economiche e sociali a livello globale. Inoltre, non sta solo mettendo in evidenza la volatilità del modello dell’industria alimentare a livello internazionale, punto che era già ben visibile prima della crisi pandemica, ma sottolinea ancora una volta la necessità di un cambiamento globale. Lo conferma anche un sondaggio rappresentativo condotto tra gli espositori e visitatori di Anuga
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2019, in cui il 60% ha dichiarato che il settore sta affrontando un cambiamento significativo. Non si tratta più esclusivamente di come sfamare quei circa 10 miliardi di persone nel prossimo futuro, ma come realizzare una trasformazione alimentare sostenibile con l’aiuto della digitalizzazione e del progresso tecnologico, nel rispetto alle sfide legate al clima. Gli organizzatori di Anuga sono consapevoli di questa transizione e per l’edizione 2021 vogliono porre l’accento sulla trasformazione del cibo nell’ambito del loro tema chiave, che è appunto “Trasformare”. Perché? Il motivo è semplice: la più grande fiera mondiale per alimenti e bevande si considera una rete commerciale internazionale e una piattaforma di comunicazione centrale, che accompagna attivamente il processo di trasformazione e supporta l’industria nel garantire e mantenere il successo economico. Trend e temi al centro di Anuga 2021 Il processo di trasformazione del settore si riflette in particolare nelle tendenze alimentari e nei temi al centro di Anuga 2021. I cosiddetti
mega trend includono i temi legati a sostenibilità, salute e digitalizzazione. Ad essi si aggiungono le proteine alternative alla carne, la “clean label”, i prodotti convenience & snacking, gli alimenti “senza” e salutistici, le proteine e gli alimenti a base vegetale, i superfoods e i cereali antichi, i prodotti confezionati in modo sostenibile e i focus su halal, kosher, cibi gourmet e speciali e private label. Sostenibilità e salute Il nuovo format Anuga Clean Label si ricollega al mega trend della sostenibilità e alla crescente domanda di un’alimentazione clean, al desiderio dei consumatori di consumare cibi sani e preparati in modo naturale. La partecipazione al nuovo format Anuga Clean Label consentirà agli espositori di attirare l’attenzione dei buyer internazionali nella ricerca di prodotti non OGM e naturali. Un’altra forte tendenza che si prospetta nell’offerta espositiva di Anuga 2021 è quella legata ai temi della salute e degli alimenti funzionali, con un format Free From, Health & Functional. >> Link: www.anuga.com
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Fiere, strumenti innovativi per comunicare al meglio. Informare, intrattenere e attirare l’attenzione: ecco perché molti scelgono i ledwall Ritornano le fiere e le aziende riprendono a lavorare pensando a come allestire al meglio lo stand. Per molti è un’occasione per consolidare il proprio ruolo nel settore e diffondere i valori aziendali in maniera coinvolgente. E la tecnologia può rappresentare un utile alleato in questo senso. In diversi settori, ad esempio, i roll up — i tradizionali pubblicitari pannelli verticali in plastica tipici di molti stand — stanno lasciando sempre più spazio alla loro versione elettronica, decisamente molto più accattivante. Queste specie di roll up 2.0 si chiamano in diversi modi: display, ledwall, videowall. Sono sistemi composti da pannelli alti circa 2 metri che trasmettono immagini nitide in qualsiasi condizione di clima o luce. Trovano il loro maggiore impiego nelle vetrine dei negozi, nei convegni e nelle fiere. Pratici e facili da installare, i ledwall veicolano messaggi dinamici e proiettano immagini in movimento collegando semplicemente una chiavetta USB e si telecomandano dal nostro smartphone. Quindi possiamo scegliere noi quali contenuti mostrare e in quale momento. Si possono acquistare o noleggiare per le fiere o per un evento anche in maniera modulare, componibile, in modo da aumentare la superficie di proiezione, mettendoli uno di fianco all’altro. Questi roll up 2.0 sono una delle tante soluzioni messe a disposizione ad esempio da una società come Lorri Mediaservice a Modena, partner delle aziende di tutta Italia che individuano in queste tecnologie innovative la chiave per catturare l’attenzione e magari fare interagire le persone, proponendo formule di acquisto o noleggio e tutta l’assistenza del caso. Non solo con i ledwall, ma anche con regie video e installazioni speciali quando l’esigenza di un WOW è particolarmente richiesta. Il ritorno alle fiere in presenza è un banco di prova per presentarci nella nostra migliore versione. Chi è attento alle novità può dunque approfittarne per proporsi con una comunicazione rinnovata, unica ed emozionante.
Lorri Mediaservice Srl >> Link: lorri.it/news/ledwall-portatili-a-noleggio
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COMITATO TECNICO SCIENTIFICO MARCA
blickdesign.it
www.marca.bolognafiere.it
ASSEMBLEE
Un progetto per accrescere la conoscenza dei salumi italiani Alla recente assemblea di ASS.I.CA. è stato presentato un innovativo progetto triennale che vede coinvolti il nostro Paese e il Belgio. Nella stessa occasione è stato illustrato l’andamento del settore nell’anno della pandemia di Anna Mossini
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rust Your Taste, Choose European Quality. È questo il nome di un progetto triennale cofinanziato dall’Unione Europea che vede nel ruolo di protagonista ASS.I.CA., l’Associazione industriali delle carni e dei salumi aderente a CONFINDUSTRIA. L’iniziativa è stata presentata di recente durante l’annuale assemblea dell’associazione e ha come obiettivo la chiamata a raccolta della filiera suinicola per stabilire una rinnovata fiducia nel settore da parte dei consumatori di Italia e Belgio, che rappresentano i Paesi coinvolti dal progetto durante il quale, da qui al 2024, quando si concluderà, verranno messe in atto numerose iniziative. «Uno dei principali driver si concentrerà sulla corretta informazione circa i metodi di produzione dei salumi europei» spiega DAVIDE CALDERONE, direttore di ASS.I.CA. «Mi riferisco alla sicurezza alimentare, agli aspetti nutrizionali, al benessere animale e alla sostenibilità, che oggi rappresentano i temi più dibattuti e controversi da parte dei cittadini comunitari. I salumi italiani e la carne suina saranno i protagonisti della campagna, mentre il destinatario di tutte le iniziative previste sarà il consumatore finale che verrà raggiunto attraverso diversi canali — web, social, TV, media tradizionali, comunicazione diretta nei vari punti vendita — per favorire una maggiore conoscenza dei dati e
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dei risultati delle ricerche scientifiche in atto, oltre che dei progressi compiuti dall’intera filiera, che nel nostro Paese è stata coinvolta in maniera massiccia, per incentivare un consumo consapevole». Innovare nella tradizione «Gli operatori del settore potranno inoltre usufruire di una Digital Academy che prevede videolezioni, seminari formativi e workshop per favorire il miglioramento continuo del comparto e stimolare il dialogo e il confronto, fino ad arrivare a un nuovo modello di filiera, più innovativo e sostenibile» continua Calderone. Se l’Italia rappresenta per il settore suinicolo una delle eccellenze dell’agroalimentare, il Belgio ricopre un ruolo centrale a livello europeo grazie alla sede, nella sua capitale, delle istituzioni comunitarie ma anche alla dinamicità del suo mercato. Attualmente, infatti, rappresenta il terzo Paese di destinazione dei salumi italiani, con 7.489 tonnellate di prodotti esportati, per 96,2 milioni di euro in valore. Nei primi due mesi del 2021, i segnali arrivati per il nostro export sono stati particolarmente positivi, con una domanda di salumi a +12,1% in quantità e a +8,8% in valore rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Mortadella e würstel si sono confermati i prodotti preferiti, a cui si sono aggiunti i salami, i prosciutti
crudi stagionati, le pancette e le bresaole. «Riteniamo sia sempre necessario comunicare di più e meglio ciò che si fa ed essere sempre più aperti e trasparenti rispetto agli elevati standard di produzione europei» sottolinea ancora Davide Calderone. «Anche per questo è nato il Progetto Trust Your Taste. Nel consumatore, sia italiano che belga, la sensibilità verso le tematiche legate ai valori nutrizionali, alla sostenibilità alla sicurezza alimentare e al benessere animale è in crescita costante e dimostra che questi nuovi driver di acquisto sono sempre più importanti e rilevanti. Il consumatore moderno si interessa molto di più al contesto che lo circonda e all’origine di ciò che mangia rispetto al passato. Pertanto, questo progetto ci offre una straordinaria occasione per dimostrare di saper affrontare le criticità trasformandole in opportunità. Immaginiamo allora una filiera diversa, non più costituita da anelli concatenati dove ognuno di essi è responsabile solamente della propria parte, bensì formata da una rete di imprenditori e operatori interconnessi, che anche grazie all’innovazione tecnologica possono e devono saper guardare all’insieme, contribuendo tutti al successo del prodotto finito: un vero e proprio network inclusivo per costruire valore e redistribuirlo in forma equa, aumentando la competitività del settore».
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I numeri di un anno terribile Alla presentazione del Progetto Trust Your Taste, Choose European Quality è seguita l’esposizione dei numeri che hanno caratterizzato l’andamento economico del settore nel 2020, colpito inevitabilmente dalle drammatiche conseguenze della pandemia. Il fatturato ha infatti dovuto registrare un calo del 3,3% rispetto al 2019, per un totale di 8.237 milioni di euro rispetto a 8.522 milioni di euro dell’anno prima. Riguardo la produzione di salumi, la flessione è stata del 7,1%: 1,093 milioni di tonnellate (2020) contro 1,176 del 2019. In calo è risultato anche il valore alla produzione, che ha mostrato una flessione più contenuta, scendendo a 7.927 milioni di euro (–3,6%) da 8.225 milioni del 2019. Tutte le produzioni di salumi hanno comunque registrato valori negativi. Vediamoli nel dettaglio. La produzione di prosciutti crudi stagionati, dopo la contenuta flessione del 2019, ha evidenziato un calo del 7,3%, per 261.100 tonnellate, e un –4,9% in valore, per 2.115 milioni di euro. La chiusura del canale HO.RE.CA. e il blocco del turismo determinata dall’emergenza sanitaria Covid-19 ha particolarmente penalizzato la categoria, in special modo le produzioni tipiche, dinamica che non ha risparmiato i mercati esteri. In decisa flessione la produzione di prosciutto cotto, scesa a 271.100 tonnellate (–6,3%) per 1.934 milioni di euro (–2,7%). La quota di prosciutti crudi e cotti, prodotti leader del settore, si è mantenuta relativamente stabile rispetto al 2019: le quantità si sono attestate a 48,7% da 48,6% del 2019, mentre il valore si è fermato a quota 51,1% da 51,2%. Per quanto riguarda la mortadella il trend produttivo è stato negativo con un –4,3% (157.100 tonnellate), mentre il valore non ha subito variazioni di rilievo (+0,4% per 681,7 milioni di euro); rispetto alla produzione di würstel, la produzione è scesa a quota 58.900 tonnellate (–1,2%), mentre il valore ha raggiunto 187,4 milioni di euro
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Il visual di Trust Your Taste, Choose European Quality, il progetto triennale co-finanziato dall’Unione Europea che vede nel ruolo di protagonista ASS.I.CA. (photo © ASS.I.CA.). (+2,5%). Lo speck ha registrato una produzione di 32.700 tonnellate (–4,4%), per un valore di 346,4 milioni di euro (+1,2%). Flessione anche per la produzione di salame, che ha raggiunto un totale di 109.000 tonnellate (–3,5%) e un valore di 992 milioni di euro (+1,4%). Un contributo positivo a questa tipologia di prodotto è arrivato dalla domanda estera, cresciuta sia a volume sia a valore. Segno negativo per la pancetta, che sempre nel 2020 ha visto la produzione fermarsi a quota 47.700 tonnellate (–5,5%), per un valore di 243,3 milioni di euro (+4,1%). Analogamente al salame questo salume ha evidenziato un aumento delle esportazioni. La differenza registrata negli andamenti di quantità e prezzi ha risentito anche della
pressione esercitata dalla domanda estera sulla materia prima. Hanno chiuso in flessione, infine, le produzioni di coppa con 39.400 tonnellate (–7,1%), per 315,2 milioni di euro (–1,1%), e di bresaola, che ha chiuso l’anno con un –9,6% in quantità per 27.100 tonnellate e un –6,2% in valore per 442,5 milioni di euro. Consumi interni in sofferenza Nel 2020 la disponibilità totale per il consumo nazionale di salumi (compresa la bresaola) è stata di 962.700 tonnellate (–7,6%) contro 1,041 milioni dell’anno precedente. Il consumo pro capite, considerato l’andamento della popolazione e la drastica riduzione degli arrivi dei turisti, si è attestato intorno ai 16,2 kg contro i 17,3
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del 2019 (–6,6%). Considerando l’insieme dei salumi e delle carni suine fresche, il consumo pro capite è sceso a 27,2 kg da 28,9 kg dell’anno precedente (–6,1%). I consumi dei prosciutti crudi stagionati, molto penalizzati dalla chiusura del canale HO.RE.CA. e dalla crisi del banco taglio, sono scesi a 209.700 tonnellate (–7,1%), mentre quelli di prosciutto cotto si sono fermati a quota 262.200 tonnellate (–5,5%). In calo anche i consumi di mortadella e würstel (–5,6% per 183.100 tonnellate) e quelli di salame che non hanno superato le 78.000 tonnellate (–6,1%). Una profonda flessione si è registrata nei consumi di bresaola, scesi a 24.200 tonnellate dalle 26.400 del 2019 (–8,5%) e quelli degli “altri salumi”, che si sono fermati a 205.500 tonnellate (–12,5%). La struttura dei consumi interni di salumi ha così visto al primo posto sempre il prosciutto cotto, con una quota pari al 27,2% del totale, seguito dal prosciutto crudo (21,8%) da mortadella/würstel scesi al 19%, dal salame all’8,1% e dalla bresaola al 2,5%. Chiudono gli altri salumi al 21,3%. Il valore dell’export nella UE… Un anno, il 2020, dal doppio volto per le esportazioni di salumi. Secondo le elaborazioni di ASS.I.CA. sui dati ISTAT, nell’anno della pandemia le spedizioni dei salumi italiani hanno riguardato 170.137 tonnellate, per un fatturato di 1.626,7 milioni di euro, registrando una flessione a volume (–7,2%), ma una crescita a valore (+2,5%). Nel corso dell’anno le importazioni hanno mostrato una contrazione sia in quantità che in valore, fermandosi a quota 41.066 tonnellate (–18,8%) per un valore di 204,9 milioni di euro (–12,0%).
La dinamica import-export ha determinato un aumento del saldo commerciale del settore: +5,0% rispetto al 2019 per un valore di 1.421,8 milioni di euro. Le esportazioni del comparto, in termini di fatturato, hanno mostrato un passo più veloce sia di quello dell’industria alimentare (+1,0%) che di quello registrato dalle esportazioni nazionali complessive (–9,8%). Per quanto riguarda le aree geografiche, con riferimento ai volumi esportati sono risultate in difficoltà sia le esportazioni verso la UE a 27, cioè l’Unione Europea senza la Gran Bretagna, sia quelle verso i Paesi Terzi, che però, nell’ultimo trimestre dell’anno, grazie alla ripresa della domanda statunitense hanno evidenziato una crescita sia a volume che a valore. L’analisi dei mercati geografici rivela che nel 2020 le spedizioni verso i partner comunitari hanno registrato un –7,7% in quantità per 118.293 tonnellate ma un +1,9% in valore per oltre 1.082 milioni di euro. Includendo il Regno Unito la UE avrebbe registrato un –7,6% a volume e un +2,5% a valore. All’interno dell’Unione tutti i nostri principali partner commerciali hanno mostrato una contrazione della domanda a volume a causa dei numerosi provvedimenti adottati per contenere il virus. Le spedizioni verso la Germania, principale mercato di riferimento, hanno registrato una contenuta contrazione a volume (–1,4% per 33.840 tonnellate) ma una crescita a valore (+6,0% per 349,6 milioni di euro). Sul mercato tedesco hanno mostrato un incremento la mortadella e i würstel, i salami e i prosciutti cotti, mentre la pancetta stagionato ha incassato una flessione in volume e una crescita in
valore. Prosciutti crudi stagionati e bresaola, infine, hanno registrato un segno negativo. L’export verso la Francia ha chiuso l’anno con un –14,9% per 29.157 tonnellate e un –1,8% per circa 285,1 milioni di euro. Oltralpe tutte le categorie di salumi hanno registrato una contrazione negli invii a volume a fronte di una crescita a valore, ad eccezione dei prosciutti cotti e della bresaola che hanno chiuso con una flessione sia a volume sia a valore. Segno meno in quantità anche per le esportazioni verso il Belgio (–7,8% per 7.489 tonnellate ma +9,8% per 96,2 milioni di euro). Su questa piazza hanno evidenziato una contrazione a volume ma una crescita a valore prosciutti crudi stagionati, pancetta stagionata, salami e prosciutti cotti: in crescita gli invii di mortadella e würstel ma in flessione quelli di bresaola. Contrazione a volume anche per le spedizioni verso l’Austria (–2,4% per 7.840 tonnellate e +5,8% per 70,4 milioni di euro). Su questo mercato l’andamento è stato positivo per prosciutti crudi stagionati, mortadella e bresaola; discreto il trend dei salami, che hanno registrato una contenuta flessione a volume ma una crescita a valore; in difficoltà, invece, pancetta stagionata e prosciutti cotti. Verso la Spagna gli invii hanno subito un rallentamento e sono scesi a quota 6.260 tonnellate (–8,1%) per un valore di 29,5 milioni di euro (–10,2%). Sul mercato spagnolo ha mostrato una decisa flessione l’export italiano di prosciutti crudi stagionati e soprattutto di salami; hanno chiuso con una flessione a volume ma una crescita a valore quelli di mortadella, mentre sono risultati in aumento i prosciutti cotti. Male, infine, anche la pancetta sta-
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gionata e la bresaola. Infine, hanno chiuso in terreno negativo il 2020 le esportazioni verso la Croazia (–14,2% in quantità e –22,8% in valore), mentre hanno registrato una contrazione in quantità ma un incremento a valore quelle verso la Polonia (rispettivamente –1,1% e +11,5%), quelle verso la Svezia (–8,6% e +8,6%) e quelle verso i Paesi Bassi (–4,9% e +2,4%). …e nei Paesi Terzi L’export verso i Paesi Extra UE, nel 2020, non ha riservato particolari soddisfazioni: i volumi totali inviati hanno raggiunto la quota di 51.843 tonnellate per 544,6 milioni di euro pari rispettivamente a –5,8% e a +3,7%. In calo le spedizioni in volume verso il Regno Unito (primo mercato di riferimento che, ricordiamo, dal punto di vista commerciale fino al 31 dicembre 2020 ha continuato a godere di tutti i vantaggi legati al mercato comune), che si sono fermate a 15.881 tonnellate per 179,3 milioni di euro (–6,1% in volume ma +6,3% in valore). Oltremanica buone notizie sono arrivate dalla pancetta stagionata e dai salami che hanno evidenziato aumenti sia in volume che in valore. In difficoltà sul fronte dei volumi sono apparsi i prosciutti crudi stagionati e quelli cotti, che hanno però registrato una crescita a valore, mentre sono risultate in affanno mortadella e bresaola. Un 2020 in flessione anche per le esportazioni verso gli Stati Uniti. Nonostante le importanti contrazioni registrate nel secondo e nel terzo trimestre dell’anno siano state in buona parte compensate dai risultati del primo e soprattutto quarto trimestre, le spedizioni hanno chiuso l’anno con un calo sia a volume sia a valore: –4,5% per 10.453 tonnellate e –2,0% per 123,2 milioni di euro. Oltreoceano hanno registrato un’importante crescita a due cifre mortadella e würstel, hanno chiuso positivamente pancetta stagionata e salami, mentre hanno evidenziato una flessione, più contenuta, i prosciutti crudi stagionati e, più profonda, i prosciutti cotti.
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Ruggero Lenti è il nuovo presidente di ASS.I.CA. Nel corso dell’assemblea annuale di ASS.I.CA. 2021, è stato eletto il nuovo presidente dell’associazione. Si tratta di Ruggero Lenti, Amministratore Delegato e direttore generale della Lenti – Rugger Spa, azienda di famiglia arrivata alla quarta generazione, che subentra a Nicola Levoni. L’elezione è avvenuta a scrutinio segreto e ha designato anche la squadra di presidenza che si avvarrà di Lorenzo Beretta (area Rapporti con la Distribuzione); Ivano Chezzi (area Economica); Pietro D’Angeli (area Rapporti di filiera); Donato Didonè (area Sostenibilità), Romeo Gualerzi (area Rapporti con i Consorzi); Claudio Palladi (area Export); Filippo Villani (area Sindacale); Giorgia Vitali (area Giuridico-Sanitaria). «Sono molto onorato della fiducia accordatami, ancor di più pensando ai presidenti che mi hanno preceduto e che hanno fatto la storia della salumeria italiana» ha affermato il neopresidente. «Tra i miei obiettivi c’è sicuramente la volontà di comunicare ai consumatori, in modo sempre più chiaro e scientifico, la qualità dei nostri prodotti, che grazie ai progressi tecnologici adottati da tutta la filiera, hanno migliorato notevolmente le proprietà nutrizionali e organolettiche, tanto da essere oggi alimenti adatti ad ogni dieta. È giunto anche il momento di migliorare in modo incisivo il dialogo con tutta la filiera, dall’allevamento fino alla grande distribuzione, impegnandosi a trovare dei punti di collaborazione che siano soddisfacenti per tutti. Sul fronte dell’export, intendo continuare l’incessante lavoro di apertura di nuovi mercati per i nostri prodotti, oltre a mantenere salde le posizioni già raggiunte. Nonostante le difficoltà causate dalla pandemia non possiamo sottovalutare che nel 2020 abbiamo comunque registrato nell’export una crescita a valore del 2,5%» (photo © ASS.I.CA.).
Buone notizie sono arrivate dall’export verso il Canada: +28,7% in quantità e +38,2% in valore, dove le ottime performance di pancetta stagionata e salami hanno ampiamente compensato i cali delle altre categorie. Ottimo risultato anche per le esportazioni verso la Svizzera, che hanno segnato un +6,4% con invii per 5.242 tonnellate e un +11,7% per 86 milioni di euro. Oltralpe, hanno mostrato un incremento tutte le principali categorie di salumi ad eccezione della bresaola, che ha incassato una lieve flessione a volume. Segno negativo per le spedizioni verso il Giappone, che hanno chiuso l’anno con un –26,9% in quantità per 2.752 tonnellate e un –17,9% in valore per 30,6 milioni di euro. Su questo mercato, eccetto
i salami che hanno evidenziato un lieve incremento a volume e una consistente crescita a valore, tutte le principali categorie di salumi hanno incassato una flessione sia in volume che in valore. Infine, l’andamento a volume e anche le spedizioni verso la Repubblica sudafricana sono state positive (rispettivamente +3,4% e –0,9%); hanno chiuso con una contrazione a volume, ma una crescita a valore le spedizioni verso la Norvegia (–6,0% e +19,7%) e verso il Brasile (–2,4% e +4,6%) mentre sono risultati in calo gli invii verso il Libano, la Bosnia Erzegovina, Hong Kong e la Federazione Russa (–54,9% in quantità per 119 tonnellate e –69,4% in valore per 950.000 euro). Le esportazioni verso la Federazione Russa sono ancora limitate a causa dell’embargo. Anna Mossini
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L’avicoltura italiana e le sfide della transizione ecologica Assemblea nazionale UNAItalia 2021: sostenibilità e innovazione digitale per la crescita della filiera
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ltre 50 milioni di euro di investimenti green negli ultimi 5 anni. È il bilancio dell’avicoltura italiana 2020 verso gli obiettivi della transizione ecologica reso noto da UNAItalia durante l’assemblea nazionale “L’avicoltura italiana e le sfide della transizione ecologica. Sostenibilità e innovazione digitale per la crescita della filiera”, svoltasi lo scorso 22 giugno a Roma, alla presenza del ministro delle Politiche
Agricole, STEFANO PATUANELLI e delle principali associazioni agricole e della cooperazione. Con un fatturato di 5,7 miliardi di euro nel 2020 (+3,8% sul 2019), 6.000 allevamenti professionali e 64.000 addetti (38.500 allevatori e 25.500 addetti alla trasformazione), l’avicoltura italiana ha già imboccato la strada verso la sostenibilità. Negli ultimi cinque anni sono stati prodotti 310 milioni di kw di energia
elettrica rinnovabile, recuperati 46 miliardi di litri di acque di processo, ed è quasi il 60% la percentuale di mezzi a ridotta emissione di CO2 utilizzati dalla filiera. Prosegue, inoltre, l’impegno verso pratiche di gestione dell’allevamento sempre più virtuose, testimoniato dal trend in continua riduzione degli antibiotici, con un ulteriore calo del 6% nel 2020, giungendo al –88% dal 2011 ad oggi.
Una filiera virtuosa, che ha effettuato negli ultimi 5 anni oltre 50 milioni di euro di investimenti green con capitali propri, con un fatturato di 5,7 miliardi di euro nel 2020, anno della pandemia, e un aumento del 3,8% sul 2019. È la filiera avicola italiana, fotografata nel corso dell’assemblea annuale di UNAItalia, l’associazione che rappresenta oltre il 90% della produzione avicola nazionale, svoltasi a Roma lo scorso 22 giugno.
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Il settore avicolo ha imboccato da tempo e con decisione la strada verso la sostenibilità, ha spiegato Lara Sanfrancesco, direttore generale di UNAItalia. «Negli ultimi 5 anni il settore ha investito oltre 50 milioni di euro in sostenibilità ambientale, in particolare nello sviluppo delle energie rinnovabili, del biogas e del metano perla valorizzazione degli scarti di lavorazione. La strada della transizione ecologica è stata intrapresa da tempo dal nostro settore: ora, per estendere questo impegno a tutta la filiera, serve un impegno del governo per una strategia complessiva in riferimento alle risorse del PNRR per poter proseguire su una strada green già intrapresa con capitali privati».
Investiti 50 milioni di euro in sostenibilità nell’avicolo. Forlini: entro 10 anni allevamenti hi-tech e ancora più green, PNRR occasione da non sprecare Secondo i dati illustrati in assemblea dal riconfermato presidente UNAItalia, ANTONIO FORLINI, gli oltre 50 milioni di euro investiti con fondi propri dalle aziende associate ad UNAItalia in materia di sostenibilità ambientale hanno permesso di produrre energia elettrica rinnovabile per 62 milioni di kw/anno e di avviare al recupero il 90% degli scarti di lavorazione. Gli investimenti hanno riguardato anche la produzione di biogas e biometano da fonte rinnovabile (17,3 mln di metri cubi all’anno) e la restituzione delle acque depurate all’ambiente (9,2 mln di metri cubi all’anno). «In uno scenario che vede la popolazione globale in continua e progressiva crescita, l’obiettivo che dobbiamo porci è produrre cibo sufficiente per tutti, utilizzando sempre meno risorse naturali e conciliando sostenibilità ambientale, sociale ed economica» ha affermato Forlini. «Il settore avicolo, che con la sua
Antonio Forlini confermato alla presidenza di UNAItalia. Nominati vicepresidenti Mario Crescenti, Giovanni Fileni e Mario Veronesi Antonio Forlini è stato confermato alla presidenza di UNAItalia per il triennio 2021-2024. Il rinnovo del mandato di presidenza è stato reso noto nel corso dell’assemblea 2021 dell’associazione alla Casa del Cinema a Roma. Teramano, di 60 anni, Forlini ha una laurea in Giurisprudenza e un master MBA alla Bocconi di Milano. Dal 1996 è dirigente del Gruppo Amadori, nel quale attualmente si occupa di Internal Auditing. Contestualmente sono state inoltre rinnovate le cariche di vicepresidenza per Mario Crescenti (socio e consigliere di amministrazione di Avicola Alimentare Monteverde), Giovanni Fileni (presidente Gruppo Fileni) e Mario Veronesi (presidente Veronesi Holding, la controllante di Aia).
>> Link: www.unaitalia.com
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pubblico-privati. Per l’avicoltura è un’occasione da non sprecare per rinnovare il parco agrisolare del 2530% degli allevamenti. Essenziale anche la diffusione della banda larga nelle aree rurali, indispensabile per lo sviluppo tecnologico, il sostegno ai contratti di filiera e la semplificazione normativa per rendere realizzabili gli investimenti fino all’ultimo step della fase attuativa».
La filiera avicola «ha bisogno di sostegno perché è un modello» ha affermato il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli, che ha voluto partecipare di persona alla assemblea all’assemblea di UNAItalia e ringraziare la filiera per quanto fatto. Il ministro ha poi spiegato come il PNRR potrà sostenere il settore nella fase agricola, di trasformazione e distributiva, attraverso le misure verticali già dotate, come per la logistica e la meccanizzazione, ma anche con le misure orizzontali che possono coinvolgere l’intera filiera. Inoltre, anche le aziende avicole potranno accedere ai pagamenti diretti con la nuova PAC, una buona notizia per il settore. filiera integrata e 100% italiana incarna perfettamente i principi del From farm to Fork, è pronto a cogliere le sfide della transizione ecologica e del Green Deal. Vogliamo essere parte della soluzione per raggiungere gli obiettivi UE, implementando l’uso di energie rinnovabili e nuove tecnologie per impattare sempre di meno sul clima e garantire un maggior benessere animale. La nostra ambizione è arrivare entro 10 anni ad avere l’intero parco avicolo italiano non solo ad alta tecnologia, ma anche autosufficiente dal punto di vista energetico ed a ridotto impatto ambientale: diffusione dei pannelli solari, produzione di biogas, sistemi innovativi di recupero delle acque, digitalizzazione e interventi di piantumazione per la compensazione delle CO2 negli allevamenti. Molti sono i passi avanti fatti finora dal settore ma, per continuare il percorso che la filiera ha già tracciato in questi 5
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anni attingendo a fondi propri, abbiamo bisogno di misure e risorse adeguate che sostengano la fase agricola, di trasformazione e distributiva senza lasciare nessuno indietro. Strategici risultano i fondi messi a disposizione dal PNNR, un’occasione unica per far ripartire il Paese con un mix di investimenti
Carni bianche, anche nel 2020 le più consumate dagli italiani Il Covid non ferma l’ascesa delle carni bianche. Con il 35% delle quote di mercato a volume, le carni avicole rimangono le più acquistate dagli Italiani, seguite dalle carni bovine (33%) e dalle suine (21%). Crescono anche gli acquisti domestici (+10% a valore e +7,7% a volume sul 2019) e i consumi pro capite arrivati a 21,5 kg (+1,93%). Il trend della spesa in aumento è confermato anche nel primo trimestre 2021: +1% sullo stesso periodo dell’anno precedente (dati ISMEA). Merito della parziale conversione dei consumi fuori casa in consumi domestici, combinata al valore aggiunto dei prodotti. L’avicolo è infatti il settore zootecnico che più di tutti ha sviluppato la linea degli elaborati e dei confezionati, riuscendo nel 2020 quanto nel 2021 a dar maggior durabilità e flessibilità a una buona parte della produzione. È anche exploit per le uova: dopo il boom del lockdown, si confermano il segmento più dinamico nella spesa degli Italiani con +14,5% (dati ISMEA-
Dai dati esposti dal presidente Forlini durante l’assemblea si evince che il Covid non ha fermato l’ascesa delle carni bianche. Col 35% delle quote di mercato a volume, infatti, le carni avicole rimangono le più acquistate dagli Italiani, seguite dalle carni bovine (33%) e dalle suine (21%). Crescono anche gli acquisti domestici (+10% a valore e +7,7% a volume sul 2019) e i consumi pro capite arrivati a 21,5 kg. L’avicolo inoltre è il settore zootecnico che più di tutti ha sviluppato la linea di elaborati e confezionati, riuscendo nel 2020 e 2021 a dare maggior durabilità e flessibilità a buona parte della produzione
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Italia dalle uova d’oro: dopo il boom del lockdown, si confermano il segmento più dinamico nella spesa degli Italiani con +14,5%. Oggi se ne consumano circa 12,9 miliardi, pari a 216 a testa (photo © Hannah Tasker x unsplash). NIELSEN). Oggi se ne consumano circa 12,9 miliardi, pari a 216 a testa (+3,23% sul 2019), e sempre più da galline allevate a terra (+21,1%), all’aperto (+13,4%) e da allevamenti bio (+4%) (elaborazioni dati ISMEANIELSEN MARKET TRACK). E le stime 2021 parlano di una produzione stabile, con una lieve crescita, nell’ordine del 0,3% a volume (fonte dati: European Commission EU production of eggs for consumption, expert forecast spring 2021). Secondo i dati diffusi dal presidente Forlini, nel 2020 crescono sia il fatturato (+3,82%), che si attesta a 5,7 miliardi di euro (4,56 mld per le carni e 1,15 miliardi per le uova per la sola parte agricola), che la produzione di carni bianche (pari a 1.389.900 t, +1,8 % sul 2019) e di uova (12,3 miliardi, +0,7%). A registrare il trend migliore sono soprattutto il tacchino (+4%, 313.000 tonnellate) e il pollo (+1,68%), che rappresentano il 74% della produzione di carni bianche. «Il settore delle carni avicole italiane
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nell’anno del Covid ha mostrato la sua forte resilienza confermandosi al quinto posto tra i produttori UE, con una produzione in crescita dell’1,8%, in controtendenza alla media europea (–0,1%). E secondo le stime della Commissione UE l’Italia nel 2021 sarà l’unico fra i primi cinque Paesi produttori UE a segno più (+0,1%) con una produzione sulle 1,39 mln di tonnellate, in linea con l’anno precedente. Il settore ha tenuto meglio degli altri grazie a una filiera nazionale caratterizzata da forte integrazione verticale e autosufficienza (107,5%), che ha permesso di adeguare in tempo reale la produzione alla domanda. Permane però una forte incertezza sul fronte della redditività, visto il rialzo vertiginoso dei prezzi delle materie prime, cresciute da gennaio a maggio del 42%, che deve essere riconosciuto dalla Grande Distribuzione per non indebolire la produzione italiana, al pari dei maggiori costi di produzione, inevitabili per conse-
guire gli obiettivi sulla sostenibilità richiesti dalla strategia From Farm to Fork. Se da una parte, questa strategia genererà prodotti UE più sostenibili e a maggior valore aggiunto, dall’altra aumenterà il gap in termini di costi di produzione e competitività dei prezzi tra le produzioni europee e quelle dei Paesi Terzi. E c’è un altissimo rischio di un aumento di importazioni extra UE nel nostro Paese, in favore di consumi più a buon mercato ma meno sostenibili. Fondamentale sarà tutelare le produzioni UE dall’importazione indiscriminata di materia prima estera, che metterebbe a rischio non solo l’autosufficienza dell’avicoltura italiana ma l’intera zootecnia italiana ed europea. In questo senso avvertiamo la ratifica dell’accordo UE-Mercosur, che aumenterà la quota di import di carni bianche dal Sudamerica, ancora come una forte minaccia». Fonte: UNAItalia www.unaitalia.it
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CONVEGNI
Suini, il consumo razionale del farmaco in porcilaia premia Lo ha dimostrato il progetto sulla riduzione degli antibiotici nel suino pesante i cui risultati sono stati illustrati durante un recente incontro on-line. Dieci gli allevamenti pilota coinvolti. Biosicurezza e benessere animale si sono dimostrati fedeli alleati di un processo virtuoso e vincente di Anna Mossini
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li allevamenti pilota coinvolti sono stati 10: 3 in riproduzione e 7 all’ingrasso. L’obiettivo del progetto, inserito nel Gruppo Operativo per l’Innovazione (GOI), era quello di dimostrare gli effetti produttivi e qualitativi derivanti dalla riduzione dell’utilizzo di antibiotici nell’allevamento del suino pesante.
Il progetto, che si è concluso di recente, ha coinvolto il Centro Ricerche Produzioni Animali (CRPA) di Reggio Emilia, è stato coordinato dalla società consortile AGRIFARM e ha potuto contare sulla partnership di alcune importanti società agricole. «Quello dell’utilizzo razionale del farmaco è un tema molto sentito — ha dichiarato il presidente di
Agrifarm GUIDO ZAMA, introducendo il convegno durante il quale sono stati illustrati i risultati ottenuti — che trova nella Commissione una particolare attenzione. Non posso nascondere che all’inizio abbiamo incontrato alcune resistenze da parte delle aziende preoccupate circa la reale fattibilità della riduzione del farmaco in
La GDO italiana riconosce mediamente un prezzo del 10-15% superiore rispetto agli standard di mercato per prodotti antibiotic free o non trattati negli ultimi 4 mesi ritenendo che il consumatore, anche come trend futuro, manifesterà sempre più interesse sull’impiego responsabile del farmaco e, più in generale, sui temi della sicurezza alimentare (photo © Africa Studio – stock.adobe.com).
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porcilaia, oltre che dell’impatto che ne sarebbe potuto derivare in termini di qualità produttiva. Uno scoglio che siamo riusciti a superare con la fondatezza delle motivazioni alla base del progetto e con il coinvolgimento di tutti i portatori di interesse, compresa la GDO». Più biosicurezza e benessere uguale meno farmaco Al convegno, svoltosi in modalità on-line, hanno partecipato PAOLO FERRARI e KEES DE ROEST, entrambi del CRPA, ANNALISA SCOLLO di Suivet Training e ANNA GARAVALDI e ANDREA BERTOLINI rispettivamente del CRPA e di FCSR (Fondazione CRPA Studi Ricerche). «I sistemi di analisi sul consumo degli antibiotici e le condizioni di biosicurezza e benessere animale a supporto delle scelte aziendali degli allevamenti pilota — ha sottolineato Paolo Ferrari — hanno portato ad una riduzione del 35% del farmaco negli allevamenti da riproduzione e dell’80% in quelli da ingrasso, perfettamente in linea con gli obiettivi del Piano nazionale di contrasto dell’antibioticoresistenza». Particolarmente interessanti i risultati illustrati da Kees De Roest relativi ad un’indagine che ha coinvolto un gruppo di allevatori, 5 macelli dell’Emilia-Romagna; 5 imprese di trasformazione e 7 buyer della GDO. «Nonostante la pressione mediatica sul fenomeno dell’antibioticoresistenza abbia favorito una certa consapevolezza sul tema — ha spiegato — esso non viene spesso percepito dagli allevatori come un’emergenza, anche se rispetto alle buone pratiche introdotte in allevamento, legate alle linee guida emanate dalla Regione Emilia-Romagna, in molti hanno dichiarato di avere avviato un processo di maggior utilizzo degli antinfiammatori, di aver migliorato la pratica del tuttopieno-tuttovuoto, di protrarre la fase di post-svezzamento di 15-20 giorni per ottenere suini più robusti e di sensibilizzare gli operai con corsi interni. I risultati scaturiti dall’indagine condotta nei macelli ha evidenziato
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che i premi di produzione pagati agli allevatori per suini antibiotic free possono variare da 10 a 20 cent./€/ kg, mentre dalle imprese di trasformazione è arrivata l’indicazione che i suini antibiotic free o non trattati dal 28o al 49o giorno di vita rappresenta solamente l’1,5% del totale presente sul mercato. Appare comunque evidente che la domanda di questo segmento produttivo sarà comunque destinata ad aumentare in futuro grazie alla crescente consapevolezza del consumatore. Manca però un quadro normativo e di comunicazione adeguato, perché un prodotto non potrebbe essere considerato antibiotic free se la sospensione del farmaco riguarda solamente gli ultimi quattro mesi di vita del suino. Esiste quindi una forte necessità di sensibilizzare, informare e formare gli allevatori per favorire l’adozione di nuovi sistemi produttivi che incentivando condizioni di maggior benessere animale possono contribuire a ridurre significativamente il consumo di antibiotici». Il ruolo della GDO «Riguardo la GDO – ha concluso il ricercatore del CRPA — va detto che i buyer intervistati vantano un fatturato complessivo di circa 43,2 miliardi di euro con un’incidenza sul totale della distribuzione alimentare del 32%: tutte le insegne intervistate sviluppano linee di prodotti private label. Due, e diversi, gli approcci al tema della riduzione del farmaco. Alcuni di questi marchi ritengono che la riduzione degli antibiotici permetta di ottenere un maggior benessere animale capace di portare a una totale eliminazione del farmaco. Un altro gruppo ritiene invece che l’antibiotic free non possa andare di pari passo con il benessere animale perché il suino, pur trattato con cura, si ammala e deve essere curato: ciò nondimeno, si ritiene che l’uso responsabile sia l’unica pratica possibile. Per prodotti antibiotic free o non trattati negli ultimi 4 mesi la GDO riconosce mediamente un prezzo
del 10-15% superiore rispetto agli standard di mercato. Alcuni marchi sostengono che il consumatore sia disposto a pagare il 5-10% in più per carne suina non trattata con antibiotici, anche se la disinformazione del consumatore rappresenta ancora un ostacolo al riconoscimento di un prezzo maggiore, a cui si unisce un’etichetta ritenuta poco efficace per spiegare un tema tanto complesso come la riduzione del farmaco durante le fasi produttive dei suini. La GDO ritiene comunque che in futuro il consumatore manifesterà un costante e maggiore interesse e un’accresciuta attenzione al tema dell’uso responsabile del farmaco perché sa che rappresenta un fattore strettamente legato alla sicurezza alimentare: una comunicazione adeguata ed efficace rappresenta quindi la condizione imprescindibile per promuovere un consumo consapevole di prodotti antibiotic free o derivanti da un utilizzo ridotto di antibiotici». Analisi dei dati Ad Annalisa Scollo è poi toccato il compito di illustrare l’attività che ha analizzato le lesioni al macello e i risultati di supporto alle scelte sanitarie dei veterinari aziendali degli allevamenti pilota, mentre Andrea Bertolini e Anna Garavaldi, rispettivamente di FCSR e del CRPA hanno commentato i risultati ottenuti dall’analisi della qualità della carcassa e delle caratteristiche sensoriali delle carni dei suini allevati nei 10 allevamenti pilota. I rilievi al macello hanno evidenziato come, per conservare l’omogeneità del peso e delle caratteristiche della carcassa, la diminuzione dell’uso di antibiotici debba andare di pari passo con una maggiore attenzione alle condizioni di benessere e salute degli animali. L’analisi sensoriale, infine, ha rilevato che un minor uso di antibiotici ha garantito un miglioramento delle peculiarità tattili della carne di lombo fresca. Anna Mossini
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Photo © www.italiadelight.it
RAZZE
Vacca Bianca modenese: che bella (ri)scoperta! di Chiara Papotti
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a carne occupa da sempre un posto importante nella nostra cultura alimentare ed è nel richiamo alla tradizione che questo alimento può recuperare la sua dimensione, tra nutrimento, sicurezza e piacere al palato. È nel sapore della carne, nella sua incredibile varietà e ricchezza di sfumature, che si riflettono atten-
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zioni al benessere animale, rispetto degli spazi e dei ritmi naturali, cura dell’alimentazione. Tutti elementi che giustificano la fatica e l’impegno di chi crede nell’allevamento di qualità e nella tutela delle razze bovine, soprattutto quelle minori. Nella provincia di Modena un gruppo di storici allevatori, sostenuti dall’associazione Slow Food e
dell’Associazione Provinciale Allevatori, ha avviato un progetto per la tutela della biodiversità animale attraverso il recupero di una razza autoctona in via di estinzione: la vacca Bianca modenese. Animale dalla duplice attitudine, da latte e da carne, in passato rappresentava anche un valido aiuto nel lavoro nei campi. Anche
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conosciuta come Val Padana, per il legame ristretto alla pianura, oggi conta poche centinaia di esemplari. Alcuni documenti storici testimoniano una consistente presenza della Bianca nella zona di Carpi (MO) alla fine del ‘800. In poco tempo si è diffusa nelle province di Modena, Reggio Emilia, Ferrara e Mantova raggiungendo la quota di oltre 140.000 capi negli anni ‘50. Solo dieci anni dopo, però, la riproduzione dei capi ebbe un vero tracollo: gli allevatori, vedendo la possibilità di fare grandi margini di profitto nella produzione del Parmigiano Reggiano, la sostituirono con altre razze provenienti dall’Olanda, note per avere mammelle adatte alla mungitura meccanica e capaci di ottenere migliori rese produttive. Per questa ragione la Bianca modenese ha rischiato di scomparire definitivamente dal panorama delle razze di pregio, fino a quando, nel 2006, alcuni allevatori si sono riuniti e hanno costituito il Consorzio Valorizzazione Prodotti Razza Bianca Modenese-Valpadana Modena. Il gruppo si è posto duplici fini: la salvaguardia e l’aumento numerico della razza, l’imposizione di tecniche di allevamento sane, naturali e sicure per il benessere dell’animale, la trasformazione accurata dei prodotti e la commercializzazione gestita dai soci stessi. Per valorizzare e sostenere gli impegni presi dagli allevatori, Slow Food ha concesso alla Bianca modenese il riconoscimento di presidio (www.consorziobiancamodenese.it). Oggi le aziende coinvolte nel progetto sono una ventina, tutte di piccole dimensioni e allevano poche decine di capi. Sposare l’idea della qualità ai massimi livelli, seguendo e curando il bestiame dalla nascita fino alla macellazione, alimentandolo esclusivamente con prodotti naturali, ha portato in poco tempo grandi risultati. Nel Caseificio Rosola di Verucchia di Zocca, sull’Appennino modenese (caseificiorosola.it), si producono forme di Parmigiano Reggiano ottenute esclusivamente da latte di Bianca Modenese; lo
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Parmigiano Reggiano di Bianca Modenese del Caseificio Rosola, disponibile nelle stagionature di 24, 36 e 60 mesi. Il latte di Bianca modenese, presidio Slow Food, è una materia prima di eccezionale qualità: l’ottimo rapporto fra tenore di grasso e indice proteico e l’alta frequenza del gene B delle Kcaseine lo rendono più facile da lavorare durante il complesso procedimento che porta alla creazione del Parmigiano Reggiano. stesso avviene nel Caseificio Santa Rita (www.santaritabio.com) di Serramazzoni che produce poche forme di formaggio di pura razza Bianca, stagionate almeno 24 mesi, come da disciplinare di produzione. Il latte prodotto dalla vacca Bianca è particolarmente adatto alla trasformazione: ha un ottimo rapporto tra grasso e proteine, e una elevata quantità di frazione k delle caseine, responsabile di una coagulazione rapida e più resistente del latte. Oltre ai caseifici che producono formaggi dal gusto unico e intenso, sono diverse le aziende agricole che allevano esemplari destinati alla produzione delle carni di Bianca modenese. Il sapore al palato, complice anche l’alimentazione con foraggi biologici di montagna, è una bella scoperta. La carne in commercio deriva da due capi differenti: il maschio giovane e la femmina anziana, non più idonea alla riproduzione e alla mungitura. Il primo ha una carne tenera e ben marezzata di grasso,
particolarmente adatta alle cotture veloci che caratterizzano la cucina contemporanea. La carne della vacca anziana, invece, si esalta nell’utilizzo della cucina tradizionale fatta di lente e pazienti cotture, come bolliti, stracotti, ossibuchi, ragù e, ovviamente, il brodo. La commercializzazione delle carni viene oggi effettuata in piccole quantità e solo su prenotazione da parte di abili macellai capaci di valorizzare i tagli anatomici a regola d’arte. Il lavoro di squadra che sta dietro alla filiera della Modenese è ricchezza: l’estinzione di questa razza rappresenterebbe un impoverimento e una perdita irreparabile della nostra cultura e della nostra storia, e significherebbe sciupare una risorsa per il futuro. La Bianca è un animale che conserva grandi potenzialità, capace di fornire produzioni di qualità superiore e sostenibili, proprio quelle su cui dovremmo basare l’alimentazione di domani. Chiara Papotti
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SHEEP AL.L. CHAIN di Riccardo Lagorio
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l progetto SHEEP AL.L. CHAIN (Sheep Alpagota Lamon Chain, Filiera per le pecore Alpagota e di Lamon, sheepallchain.it) si prefigge di migliorare la presenza sul mercato degli allevamenti delle razze ovine autoctone del Veneto a limitata diffusione come la pecora di razza Alpagota e quella di razza Lamon. Un programma meritevole di attenzione in quanto tende a preservare e tutelare la biodiversità valorizzando gli allevamenti ovini che si situano quasi esclusivamente in aree marginali (la montagna e la pedemontana bellunese) e migliorare il rapporto dei prodotti col territorio. In quanto si tratta di razze in via di estinzione, il programma di recupero genetico e di conservazione si basa su un percorso intrapreso 15 anni fa dalla Regione Veneto
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nella rotazione programmata degli arieti all’interno di una rete di aziende agricole coinvolte. «La pecora dell’Alpago è una razza che per la sua frugalità risulta di poca spesa poiché riesce ad alimentarsi in terreni marginali e a produrre agnelli la cui carne è ambitissima per il gusto che la caratterizza» spiega ANTONELLA TORMEN, la capoprogetto. La consistenza della razza
si è drasticamente ridotta passando dai 10.000 capi degli inizi del ‘900 al migliaio di capi degli anni Ottanta, per registrare 2.400 capi all’inizio del secondo decennio del XXI secolo. La storia della pecora Alpagota è intimamente legata al passato del Bellunese, come spiegava a fine Ottocento ANTONIO MARESIO BAZOLLE, politico e letterato: “L’allevamento
La sopravvivenza delle due razze ovine autoctone della Provincia di Belluno, le pecore Alpagota e Lamon, dipende dalla sostenibilità economica della loro filiera. Iniziato nel 2018, il progetto SHEEP AL.L. CHAIN si pone l’obiettivo di valorizzare le produzioni derivanti dalle due razze: carne, prodotti a base di carne e lana
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In alto: monti dell’Alpago (photo © Roberto Gobbo). A destra: Ferruccio Brandalise mostra lo speck nella sua macelleria a Spert d’Alpago. In basso, le pendole di pecora. delle pecore fu sempre generale e nazionale in questi paesi, ed anzi nei tempi passati lo era molto più che attualmente… Nella mancanza di commercio, e nella ristrettezza dei mezzi economici, le pecore (e con esse le capre) fornivano prima del secolo presente la massima quantità della carne di cui si cibavano gli abitanti del Bellunese… La tenuta delle pecore reca pochissimo lavoro o fastidio ai contadini, e questo è appunto uno dei meriti che i contadini attribuiscono ad esse…”. Non essendo contraddistinta da nessuna specializzazione produttiva la pecora Alpagota si ascrive tra le razze a triplice attitudine, anche se attualmente viene sfruttata soprattutto per la produzione della carne di agnello. Gli agnelli migliori vengono macellati a 60 giorni, quando hanno raggiunto, a peso vivo, 20 kg con una resa del 55%.
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Illari Fullin e il pecorino di Malga Illari, sul tagliere col salame che ottiene anch’esso dalla razza Alpagota, con le carni di animali a fine carriera e carne suina, sale, pepe e grappa.
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La tradizione ci ha consegnato diverse specialità locali che nei secoli hanno avuto lo scopo di utilizzare ogni parte dell’animale. Molto spesso le pecore a fine carriera erano destinate alla preparazione delle pendole. Si tratta di strisce di carne prima conciate con sale e pepe, poi messe a macerare nel vino ed infine appese alla cappa del camino, per essere affumicate, utilizzando fronde di ginepro per aromatizzarle. Si consumano prevalentemente tal quale e per assaggiarle il luogo ideale è la Macelleria Brandalise di Spert d’Alpago, dove si producono, in quantità invero limitate, i salami di pecora. Per evidenti ragioni di vicinanza geografica con la vicina Val Tramontina, nella macelleria si trova anche la pitina, l’impasto di carne di pecora infarinato con granella di mais e affumicato. FERRUCCIO BRANDALISE, il proprietario, spiega che «la pecora dell’Alpago è allevata al pascolo o con foraggi secchi di prati stabili di montagna. La tipicità della razza e l’alimentazione influiscono positivamente sulle caratteristiche della carne, saporita ma non invasiva». Malga Illari, dove FRANCO PIANON e ILLARI FULLIN ospitano 500 fattrici, è un po’ il cardine del recupero della razza d’Alpago e punto di riferimento della Cooperativa Fardjma, che ne commercializza la carne e la lana. «Fardjma corrisponde al periodo d’inizio settembre, quando i montoni si ricomponevano al gregge programmando così le nascite degli agnelli per gennaio e febbraio, utili per le festività pasquali» spiega Franco. Illari svolgeva l’attività di parrucchiera, ma è stata conquistata dal lavoro in malga. Alla sua passione si deve la preparazione di uno squisito pecorino, intenso in giusta misura, da media stagionatura, con il latte dell’Alpagota. Ma anche di salame. «Quello che prepariamo qui proviene dalle carni di animali a fine carriera. Utilizziamo carne di coscia, spalla e carré macinata con piastre dal diametro da 7 mm e con l’aggiunta di carne suina».
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Le caratteristiche della pecora di razza Lamon La pecora di razza Lamon, autoctona dell’omonima area nella provincia di Belluno e diffusa in diverse province del Veneto, Trentino e Friuli, attualmente è presente soprattutto nel comune di Lamon e in alcuni limitrofi della Valbelluna. Le pecore di razza Lamon erano spesso utilizzate in passato nella pastorizia transumante che si spostava dagli alpeggi estivi ai pascoli in pianura, seguendo come punto di riferimento il percorso dei fiumi che attraversano la pianura veneta. Questa razza ovina autoctona, infatti, è molto resistente e ben si presta a lunghi spostamenti, ed era quindi adatta alla pratica della transumanza e non richiedeva particolari ricoveri. Con il venir meno dell’attività transumante come forma di allevamento, in particolare per i connessi motivi socio-economici, la razza ha visto una rapida riduzione della sua popolazione; dai circa 10.000 capi del 1960, nel 1990 ne rimanevano circa 600, e all’inizio degli anni 2000 meno di 300 capi. Considerata una razza a triplice attitudine, attualmente viene allevata solo per la produzione della carne.
Le caratteristiche della pecora Alpagota Classificata tra le pecore Alpine, si distingue dalle altre razze per le sue caratteristiche di rusticità e frugalità coniugate con la sua mole ridotta. Piccola, con un mantello bianco folto, fine e ondulato, che la ricopre totalmente dal ginocchio e dal garretto fino all’osso frontale, e una singolare maculatura scura, la pecora Alpagota, o “Pagota”, dalle orecchie minute, a volte quasi inesistenti, e dal curioso profilo montonino, è una razza tipica dell’altipiano dell’Alpago/Cansiglio, nel Bellunese. Testa corta e leggera, con il profilo leggermente montonino, presenta una fitta maculatura di colore marrone, nero e raramente rossiccio; le orecchie sono generalmente di media lunghezza e mediamente pendenti, frequentemente si trovano anche pecore con orecchie di dimensioni ridotte o ridottissime che prendono l’appellativo rispettivamente di “monche” e “muche o oche” con corna assenti in maschi e femmine. Collo di media lunghezza ben attaccato al tronco che risulta compatto e non molto lungo con arti proporzionati e robusti; maculatura scura nell’inferiore del garretto e del ginocchio. Fonte: sheepallchain.it
All’impasto si aggiungono sale, pepe e 1 litro di grappa per quintale di carne. All’asciugatura di una dozzina di giorni segue una leggera affumicatura con bacche mature di ginepro e, trascorsi 45 giorni, il salame è pronto per il consumo. «La carne di questa razza — chiarisce — ha anche un grasso digeribile e gradevole. Viene utilizzata in diverse preparazioni. Quella più classica è l’agnello al forno o il cosciotto al forno con cottura rosa, che esalta la sapidità e la delicatezza delle carni».
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In zona sono numerosi i ristoranti e le trattorie che si affidano alla carne di razza d’Alpago per allietare i propri clienti. Alla rinomata Locanda San Lorenzo (locandasanlorenzo. it), PAOLO SPERANZON è ad esempio convinto che l’agnello d’Alpago sia «un tassello fondamentale della cucina, fatta di materia e memoria». Da provare i Paccheri con ragù d’agnello d’Alpago, salsa al peperone e crumble al curry. Più incentrata sulla tradizione la proposta della Locanda al Capriolo (locandaalcapriolo.it), a due passi
dalla foresta del Cansiglio, dove l’agnello d’Alpago è servito con patate al forno. Riccardo Lagorio Macelleria Brandalise dal 1950 32016 Località Spert di Farra d’Alpago (BL) Telefono: 0437 472151 E-mail: info.brandalise@gmail.com Malga Illari Località Cate 32010 Chies d’Alpago (BL) Telefono: 340 6179251
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LA CARNE IN TAVOLA
Il metodo di cottura tipico dei gauchos della pampa
Asado, passione argentina Grandi tagli di manzo, salsa chimichurri, legno di quercia… Non c’è festa senza il fuoco e il calore di questa preparazione che ogni strato della popolazione ama incondizionatamente di Nunzia Manicardi
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uando si pensa all’Argentina solitamente si pensa al tango. Ma, oltre che dai tangueros, chi non è mai rimasto affascinato dalla figura dal gaucho, il leggendario mandriano che, avvolto
in un variopinto poncho e protetto da larghi gambali di cuoio, si sposta sul suo cavallo creolo attraverso le sterminate pampas argentine roteando con mira pressoché infallibile boleadores e lazo con cui,
pure a lunghissima distanza, riesce a catturare i bovini allevati allo stato brado facendoli inciampare dopo aver attorcigliato intorno alle loro zampe questi fenomenali attrezzi di caccia?
L’asador può scegliere di cuocere alla fiamma o alla brace. La cottura molto lenta fa sì che la pelle, dalla parte opposta rispetto alla fiamma, non bruci e non faccia la crosta, conferendo alla carne morbidezza a sapore (photo © Kuma Media – stock.adobe.com).
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Il chimichurri è una salsa tradizionale argentina a base di prezzemolo, origano, aglio e peperoncino simile alla nostra salsa verde (photo © Ildi – stock.adobe.com). Vive in una tenda (a volte accompagnato da una donna, la china, che in lingua quechua significa appunto “ragazza”), beve yerba mate, fuma tabacco e… cucina l’asado. Ma forse sarebbe meglio dire che cucina “all’asado”, dato che questo termine non indica tanto un arrosto in sé e per sé o un taglio di carne particolare ma un metodo di cottura e di preparazione che ormai da tempo è sinonimo di Argentina data sia la sua generalizzata diffusione che l’entusiastico favore che gli riserva ogni strato della popolazione. “Asado” significa “cotto alla brace” e infatti corrisponde a una grigliata, però — come vedremo — dai sapori, odori e tempi di cottura differenti rispetto a quella in uso presso di noi. Richiede inoltre una notevole abilità da parte dell’asador. E richiede, soprattutto, carne di primissima qualità come era, e ancora in gran parte è, quella di bovini abituati a nutrirsi in modo assolutamente naturale, con
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pascolo libero e sconfinati spazi a disposizione. L’asado era sostanzialmente, a parte alcune verdure, l’unico cibo di cui si cibava il gaucho, non avendone altro a disposizione a causa della vita che conduceva. Data la tanta materia prima a disposizione utilizzava tagli di carne molto grandi. Quando ad incontrarsi erano parecchi gauchos, di solito la sera dopo aver trascorso tutta la giornata a galoppare per la pampa, succedeva che cucinassero manzi interi, dai 200 ai 400 kg, preparati lasciando le carni a cottura indiretta per molte ore. Il manzo continua tuttora ad essere la carne prediletta per l’asado. Accompagnano abitualmente la cottura le interiora (entrañas o achuras), le salsicce (chorizos) e i sanguinacci (morcillas). Con questo metodo si possono cucinare anche l’agnello, il cavallo selvatico, la capra e il maiale, di solito preparato utilizzando il metodo di cottura “al palo” oppure un lungo spiedo. La cottura un tempo avveniva a la cruz, “alla croce”, perché la carne veniva infilzata in una croce di metallo piantata per terra intorno alla quale si faceva il fuoco. Altro antico sistema di cottura, pressoché del tutto abbandonato, consisteva nel cuocere la carne alla brace dentro un pozzo scavato nella terra o in un forno di mattoni crudi. Difficile oggi trovare ancora il modo di preparazione “alla croce”, se non presso i cultori della tradizione più pura. Di solito, specialmente nei ristoranti, l’asado viene invece preparato sulla parrilla, la meno caratteristica griglia. In ogni caso l’animale abitualmente non viene scuoiato e la cottura — ed è questa una delle sue tipicità — dura molto a lungo. L’asador può scegliere di cuocere alla fiamma o alla brace. La cottura molto lenta fa sì che la pelle, dalla parte opposta rispetto alla fiamma, non bruci e non faccia nemmeno la crosta, conferendo alla carne morbidezza a sapore. Se la si toglie, il tempo di cottura naturalmente si velocizza. Nella cottura al palo
L’origine dell’asado risale ai gauchos che si occupavano delle mandrie nell’infinita pampa argentina. La loro giornata terminava riunendosi intorno ad un fuoco con una cena a base di carne, alimento praticamente obbligato non essendoci molto altro nei dintorni (photo © hydebrink – stock.adobe.com). l’animale viene infilzato ad un palo e fatto ruotare sulle braci in posizione orizzontale oppure obliqua rispetto ad esse. È una preparazione particolarmente adatta all’agnello (cordero al palo) e al maiale. Meno frequente, ma molto apprezzato, è l’asado a la espada (arrosto alla spada), che assomiglia a un grosso spiedino. Tipico è anche il pollo al espiedo (pollo allo spiedo). Qualunque sia il supporto impiegato la carne non viene pressoché mai lasciata al sangue perché i Sudamericani in genere la preferiscono ben cotta. Per averla al sangue bisogna chiederla vuelta vuelta, cioè scottata da entrambi i lati, o addirittura crura (cruda). Tagli grandi e cottura prolungata, dunque, ma per l’asado è indispensabile anche un massaggio delle carni con abbondante sale grosso prima che esse vengano messe sul fuoco. Esattamente il contrario di quello che
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facciamo noi, che saliamo dopo la cottura per non indurire la carne. Gli Argentini ritengono invece che in questo modo il sale si fonda durante la cottura con i succhi della carne migliorandone il sapore e non disidratandole. Il tipico condimento dell’asado è il chimichurri, una profumatissima salsa ottenuta unendo ad olio e aceto una mescolanza di prezzemolo (perejil), origano (orégano), aglio (ajo), alloro (laurel) e pepe (pimienta) e, a piacere, peperoncino, altre spezie e rami di rosmarino che, imbevuti di questo aromatico composto, vengono usati per spennellare la carne durante la cottura. Altro profumo arriva dal legno utilizzato. Il più adatto è, ovviamente, quello duro (l’ideale è quello di quercia) perché brucia più lentamente fornendo il calore necessario con la giusta moderazio-
ne. Attenzione a non usare legna troppo aromatica che può dare troppo odore alla carne. Inevitabilmente oggi, per motivi di praticità, si ricorre spesso al carbone. Deve essere allora di buona qualità e garantire una bruciatura regolare, di lunga durata, senza fiamme né scintille,e, anche in questo caso, senza aggiungere odori. In tutta l’Argentina la tradizione dell’asado continua imperterrita a segnare ogni momento di festa e convivialità. Le famiglie preparano el asado de los domingos (arrosto delle domeniche), specialmente nella stagione calda in cui si sta all’aperto, alternandoli alla raviolada e alla tallarinada de los domingos (raviolata e tagliatellata delle domeniche), più adatte alla stagione fredda. Musica, ballo e vino accompagnano immancabilmente queste allegre riunioni tanto amate dagli Argentini. Nunzia Manicardi
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PACKAGING
Un polo produttivo e commerciale a livello europeo nella produzione e commercializzazione dei contenitori per alimenti
Gruppo Happy, imballaggi sostenibili e circolari
I
l Gruppo Happy si occupa della progettazione e realizzazione di imballaggi in plastica e cellulosa per alimenti freschi e conservati, destinati alla GDO e all’industria alimentare, come ortaggi, frutta, pasta fresca, carne, pesce, salumi e prodotti della gastronomia calda e fredda. Progettare e realizzare un buon packaging per questa tipologia di alimenti… “è cosa dura”, in quanto ha una grande responsabilità, quella di preservare il suo contenuto nel tempo e nello spazio, durante quel lungo percorso che va dal confezionamento all’interno dell’azienda alimentare, lo stoccaggio ed il trasporto (a volte per molti chilometri) per arrivare sui banchi della GDO, fino al tragitto verso le nostre case, in particolare dentro i nostri frigoriferi. Tutto questo non è badare “solo alla funzionalità” ma è garantire lo scopo principale per cui l’imballaggio esiste da millenni, da quando esiste l’uomo, quello di preservare il prezioso cibo, garantendo al meglio la sua edibilità nel tempo ed evitando che si sprechi. Sostenibilità ed economia circolare Quando parliamo di questi temi, in particolare dell’imballaggio in plastica e l’impatto sull’ambiente, utilizziamo concetti come sostenibilità, riciclo, circolarità in maniera molto disinvolta, a volte quasi fossero dei sinonimi. Un imballaggio per alimenti è di per sé già sostenibile ambientalmente, indipendentemente dal materiale con cui è realizzato, semplicemente perché preserva l’alimento che contiene, assicurandone la sua edibilità nel
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LA SCELTA CONSAPEVOLE PER UNA SOSTENIBILITÀ CONSAPEVOLE tempo, offrendo, di conseguenza, a noi consumatori, più occasioni per poterlo consumare, riducendo così la possibilità che vada sprecato. In questo caso sì, produrremmo un maggior impatto ambientale, che è proprio quello del cibo nei confronti dell’imballaggio. Non lo affermiamo solo noi del Gruppo Happy, ovviamente, lo sostiene la FAO, lo dichiara l’Europa, lo sottoscrive l’Istituto Italiano Imballaggio, lo sottolinea anche un importantissimo gruppo alimentare italiano di dimensioni mondiali, che ha realizzato già da tempo una serie di studi LCA certificati per ogni singolo prodotto alimentare (pasta, biscotti, sughi, ecc…). Si vede così che per ogni prodotto rappresentato il costo ambientale dell’imballaggio è di gran lunga più basso della materia prima utilizzata
e di tutti i processi necessari per produrlo e trasportarlo. L’imballaggio, tuttavia, non solo è sostenibile ambientalmente, ma lo è anche economicamente e socialmente, perché garantisce un prodotto alimentare sicuro, ad un costo accessibile a tutti, ad una grandissima fascia di popolazione nel mondo. Non possiamo parlare quindi solo di sostenibilità in generale, ma di sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Non esisterebbe l’una senza l’altra. Riciclabilità, facciamo chiarezza Quando si parla di riciclabilità, la confusione è totale, frutto, a volte, di una informazione parziale, ma molto spesso pilotata. Partiamo dall’affermazione oggi più comune; la plastica è insostenibile perché inquinante e quindi va eliminata. Perché è inquinante? — Perché si trova dappertutto, nei fiumi nei mari, nelle spiagge, nelle strade, nelle città… Perché si trova dappertutto? — E qui casca l’asino… Il livello di comunicazione da parte dei media, soprattutto televisioni e radio, (ma non solo) quasi sempre è un capolavoro di capziosità. Qual è il messaggio che si vuol far passare? — L’oggetto si getta perché non è riciclabile? — Ma se fosse riciclabile non verrebbe più gettato? Ma è surreale! Un imballaggio che ha finito il suo ciclo funzionale, che sia riciclabile o non riciclabile, che sia di plastica o di carta, di vetro o di alluminio, compostabile o non, non deve mai finire nell’ambiente. Un rifiuto di imballaggio deve essere conferito nell’apposito contenitore di riferimento. Sarà il consorzio di
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competenza, che in funzione delle filiere esistenti e delle tecnologie disponibili, lo riciclerà e ne farà materia prima seconda per nuovi impieghi, oppure sarà termovalorizzato o conferito in discarica. L’obiettivo di tutti i soggetti coinvolti (industria del packaging, aziende alimentari e GDO, consorzi di filiera, consumatori, istituzioni, consumatori, media) deve essere quello di migliorare continuamente il profilo ambientale dell’imballaggio e questo è compito dell’industria del packaging, applicando i fondamentali dell’ecodesign, riducendo la quantità di materia prima utilizzata e semplificando la struttura stessa dell’imballaggio. Ma non è sufficiente, occorre investire nel fine vita, migliorare la raccolta differenziata, aumentare la quantità e la tipologia di frazioni da avviare alla selezione ed al riciclo e riutilizzare la materia prima seconda ottenuta all’interno dei vari prodotti, riducendo sempre di più il conferimento in discarica e la termovalorizzazione degli imballaggi. Inoltre, occorre informare ed educare i consumatori per conferire correttamente i rifiuti nei rispettivi contenitori per la raccolta differenziata. Non basta mettere la plastica nella plastica, la carta nella carta, ecc… Occorre conferire il rifiuto correttamente, ripulendolo da eventuali residui eccessivi di cibo e separandolo, quando è possibile, da componenti o elementi che potrebbero compromettere la fase di selezione e riciclo. Un rifiuto giustamente conferito è la premessa necessaria per un riciclo efficace.
L’obiettivo di tutti i soggetti coinvolti (industria del packaging, aziende alimentari e GDO, consorzi di filiera, consumatori, istituzioni, consumatori, media) deve essere quello di migliorare continuamente il profilo ambientale dell’imballaggio e questo è compito dell’industria del packaging, applicando i fondamentali dell’ecodesign, riducendo la quantità di materia prima utilizzata e semplificando la struttura stessa dell’imballaggio
La riciclabilità e circolarità di un imballaggio consentono di tenere in circolo, più a lungo possibile, i polimeri utilizzati, riducendo progressivamente la produzione di materie prime vergini che hanno un costo ambientale molto più elevato, soprattutto in termini di GWP (Global Warming Potential). r-XPS Un esempio significativo oggi è quello delle vaschette XPS (polistirolo espanso estruso) per alimenti che chiarisce, in maniera esemplare, quando detto fino ad ora. Le vaschette in XPS sono una soluzione d’imballo per alimenti che ha accompagnato lo sviluppo dell’industria alimentare e della GDO italiana ed europea da almeno 50 anni fino ad oggi. Un prodotto estremamente noto ai consumatori, al punto che è l’unico imballaggio che viene chiamato per nome, vassoio in polistirolo espanso, tipico del prodotto fresco, tutti gli altri sono chiamati semplicemente contenitori di “plastica”. Tra tutti gli imballaggi per alimenti è quello che ha il profilo ambientale migliore, semplicemente perché utilizza al-
Oggi il vassoio r-XPS è ancora più sostenibile ed è anche riciclabile e circolare. Un risultato tutto italiano che ha dimostrato ancora una volta di cosa l’industria (aziende del settore, aziende alimentari, produttori di polimeri, consorzi di filiera, riciclatori) sa fare quando riesce a fare squadra unendo gli sforzi per il raggiungimento di un risultato che fino ad un anno e mezzo fa era solo un’ipotesi
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meno il 50% di materia prima (plastica) in meno. Ha caratteristiche funzionali eccellenti, leggerezza, rigidità, macchinabilità, ecc…, nonché caratteristiche di riciclabilità del polimero tra le migliori in assoluto. L’imballaggio in XPS nasce come alternativa più sostenibile rispetto agli altri imballaggi, proprio, come detto prima, per il ridotto utilizzo di materia prima e le eccellenti caratteristiche di funzionalità, conservazione e sicurezza alimentare. La realizzazione oggi di un vassoio XPS contenente riciclato post consumo (r-XPS) è la dimostrazione che quando le aziende del settore (PRO FOOD), le aziende alimentari (UNAITALIA), i produttori di polimeri (ENI-VERSALIS), i consorzi di filiera (COREPLA), i riciclatori (FOREVERPLAST) si uniscono su un progetto comune il risultato è assicurato. Oggi il vassoio r-XPS è ancora più sostenibile ma è anche riciclabile e circolare. Un risultato tutto italiano che ha dimostrato ancora una volta di cosa l’industria sa fare quando riesce a fare squadra unendo gli sforzi per il raggiungimento di un risultato che fino ad un anno e mezzo fa era solo un’ipotesi. Standard (LCA) e tecnologie L’analisi LCA, come già accennato, è lo strumento principe per la misura degli impatti ambientali, solo quando un fenomeno lo puoi misurare, come sosteneva il barone KELVIN, puoi affermare di saperne qualcosa. L’analisi LCA, pertanto, per il Gruppo Happy, è un aspetto fondamentale dell’ecodesign, attraverso il quale, qualsiasi scelta
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Le vaschette XPS (polistirolo espanso estruso) del Gruppo Happy sono l’alternativa più sostenibile rispetto agli altri imballaggi grazie al ridotto utilizzo di materia prima e alle eccellenti caratteristiche di funzionalità, conservazione e sicurezza alimentare. Tra tutti gli imballaggi per alimenti disponibili sul mercato le vaschette XPS hanno il profilo ambientale migliore, semplicemente perché utilizzano almeno il 50% di materia prima (plastica) in meno. Hanno inoltre caratteristiche funzionali eccellenti, leggerezza, rigidità, macchinabilità, ecc…, nonché caratteristiche di riciclabilità del polimero tra le migliori in assoluto (photo © Happy Srl). progettuale, a cominciare dal materiale, è verificata in termini di impatto ambientale durante tutto il ciclo di vita del prodotto, attraverso l’analisi delle tre macrofasi: 1. Upstream; 2. Corestream; 3. Downstream. Quello che dobbiamo fare ogni giorno, come individui e come imprese, è di impattare il meno possibile, operando le migliori scelte possibili per salvaguardare l’ambiente, ma assicurare anche, nel nostro caso, quello di cui il mercato ha bisogno: un imballaggio sicuro e funzionale per i nostri clienti che lo confezionano e per i consumatori che lo utilizzano, e che assicuri nel contempo la massima sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Fa parte della missione del Grup-
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po Happy trovare nuove soluzioni d’imballo più funzionali a minor impatto ambientale, considerando sempre il fine vita dell’imballaggio come elemento fondamentale della progettazione. La strada per il miglioramento continuo della sostenibilità del packaging per alimenti non è fatta di affermazioni apodittiche, ma di dati scientifici, e di un lavoro continuo di ricerca e sperimentazione di materiali e processi, unitamente a supporti tecnici e contributi a livello di informazioni che coinvolgano il maggior numero possibile di attori: aziende, istituzioni, associazioni ambientaliste, università, riciclatori, consumatori, media, che avranno sempre di più un ruolo determinante in questo lungo percorso e dai quali dipende la diffusione e
la correttezza delle informazioni contro ogni altro tentativo di greenwashing. Diversamente, ed è quello che sta avvenendo, rischiamo di “gettar via il bambino con l’acqua sporca”, con soluzioni, cosiddette “sostenibili”, ma che di fatto non lo sono e creano problemi giganteschi all’industria alimentare, mettendo a rischio la sicurezza stessa del contenuto, aumentando gli scarti e lo spreco, senza risolvere il problema dei rifiuti nell’ambiente, ma addirittura peggiorandolo e con un costo economico e ambientale nettamente superiore. HAPPY Srl Telefono: +39 0372 837086 E-mail: info@gruppo-happy Web: gruppo-happy.it
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TECNOLOGIE
Il CSB-System è il gestionale giusto
Ottimizzazione della filiera grazie alla completa integrazione dei processi
O
ggi il settore alimentare della lavorazione carne è più competitivo che mai: la tendenza del mercato ad esigere prodotti sezionati, porzionati e confezionati, costringe ad una più attenta analisi di marginalità, e la distribuzione organizzata spesso si impone con pressanti richieste su prezzi di vendita, offerte, promozioni, sconti e premi. Quando la complessità cresce, un software gestionale può essere di grande aiuto, perché aiuta ad individuare e sfruttare le potenzialità di razionaliz-
zazione presenti lungo la catena di creazione di valore aggiunto. Prima di procedere ad una razionalizzazione è necessario conoscere i dati relativi ai flussi produttivi ed ai costi operativi. Ma essere in possesso di dati e numeri non significa avere a disposizione delle informazioni utili: solo l’integrazione attiva e l’analisi di insieme dei diversi processi, dagli allevamenti fino alle vendite, consente di scegliere la giusta strategia. E anche in questo caso è fondamentale utilizzare l’ERP giusto.
CSB-System software integrato: i dati diventano informazioni Con il software CSB-System ottenere tutto questo è possibile. Basti pensare al valore aggiunto di poter incrociare i costi di acquisto (costi di allevamento e ingrasso,oppure prezzo del vivo, provvigioni intermediari, trasporto vivo, e così via), i dati di macellazione (cali peso, rese di macellazione, classificazione, costi dei macchinari, costi di smaltimento, capacità della catena di macellazione), e i dati di produzione (valorizzazione delle distinte
Preparazione dell’ordine al CSB-Rack.
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Controllo qualità da terminale mobile gestito dal CSB-System. di taglio, rese di lavorazione, costi dei macchinari, personale, tempi e tipi di lavorazione) con i dati derivanti dalla contabilità industriale (ammortamenti macchinari, costi reparto acquisti, costi reparto commerciale, costi di magazzino, logistica e amministrazione), tenendo sempre conto anche di tutte le condizioni dirette applicate (ad esempio, sconti e abbuoni) nella vendita a terzi o nella fatturazione del servizio di macellazione conto terzi. Gestione allevamenti I dati da gestire sono parecchi e il CSB-System fornisce una soluzione specifica, integrata nel gestionale ERP e che copre efficientemente i processi di allevamento e ingrasso degli animali. Con il modulo per la Gestione allevamenti del CSB-System l’utente può documentare, visualizzare ed analizzare tutti i processi e i costi di allevamento e ingrasso dei propri animali, ottenendo in questo modo sicurezza, standardizzazione e qualità desiderata.
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Che si tratti di messa in stalla, gestione dati RIN (nascita, ingrasso, macellazione), coordinamento di proprietà e attributi, spostamento, esami veterinari, alimentazione, controlli del peso, imputazione dei costi, calcolo delle vendite e degli utili, l’azienda interessata potrà approfittare di un’unica soluzione completamente integrata nel gestionale. L’elevato grado di specializzazione del CSB-System si nota soprattutto nella trasparenza delle informazioni e nell’efficienza della gestione anche di processi parziali. A seconda del tipo di animale (pollame, suino, bovino, ovino, caprino, equino), tutti i costi risultanti e gli esami veterinari effettuati sono orientati alla partita o associati al singolo animale, in modo tale che questi possano essere contabilizzati, visualizzati ed analizzati. Inoltre, la gestione allevamenti fornisce automaticamente la documentazione di prova per il Controllo Qualità. La completa integrazione dei processi fornisce una base dati
coerente senza interfacce ed un elevato grado di automazione. Tutti i dati rilevanti per la rintracciabilità sono sempre a disposizione dell’azienda, in ottemperanza delle norme nazionali ed internazionali. Macellazione integrata Per le aziende che oltre ad allevare, si occupano anche di macellazione e sezionamento, l’utilizzo del CSB-System può fornire notevoli vantaggi, perché i processi non sono più isolati ma integrati. L’apposito modulo Macellazione copre dagli acquisti fino alla fatturazione. La pianificazione degli acquisti tiene conto delle capacità della linea di macellazione: in relazione ai dati di vendita e produzione, l’azienda effettua un acquisto mirato dei capi vivi. Anche l’impiego di personale viene così pianificato sulla base delle rispettive qualifiche. Con i tagli predefiniti, a seconda delle esigenze del reparto vendite, è possibile ottenere sempre la quantità ottimale come resa per ogni singolo acquisto e per ogni singolo
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Il CSB-Rack è un PC industriale per la rilevazione, visualizzazione e gestione dei dati. dipendente. Contemporaneamente, tutte le informazioni inserite a partire dall’arrivo dei capi vivi e proseguendo con abbattimento, esame veterinario, classificazione fino al carico a magazzino, sono completamente integrate nel sistema, riducendo così al minimo la documentazione cartacea. Quale strumento per la rilevazione dei dati in tempo reale, la visualizzazione e gestione dei processi, risulta molto utile il CSBRack, PC industriale di ultimissima generazione particolarmente indicato per il settore alimentare. Il risultato ottenuto sarà che in qualsiasi momento si sarà in grado di stabilire rapidamente e con assoluta precisione il prezzo reale delle materie prime, il prezzo industriale, il punto di pareggio e il prezzo di vendita consigliato. Si possono, inoltre, inserire ulteriori dati per statistiche personalizzate, che costituiranno la base per la valutazione dei fornitori, degli animali da macello e della produttività dell’azienda.
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Sezionamento integrato Anche il processo di sezionamento e la sua pianificazione sono supportati in maniera completa dal CSB-System che, con l’obiettivo di una maggiore trasparenza nel confronto tra preventivo e consuntivo della resa di materiali e processi, prende in considerazione tutte le scomposizioni in maniera integrata. Grazie alla gestione in fase di programmazione dei dati relativi alle disponibilità, l’utente ottiene automaticamente in tempo reale un dettagliato piano di sezionamento, che tiene conto del fabbisogno e che determina i valori teorici per gli ordini di sezionamento ottimizzati sulla base delle giacenze di magazzino. I dati reali di sezionamento sono poi registrati nel CSB-Rack a fine linea di sezionamento. Nell’analisi dello scostamento rese per partita avviene il calcolo per la valorizzazione degli articoli risultanti dal sezionamento sulla base di un confronto preventivo/ consuntivo. Tale continuo confronto ha come obiettivo una costante
ottimizzazione, volta ad una pianificazione migliore e maggiormente orientata al fabbisogno dell’uscita del processo di sezionamento. Per concludere, vale la pena ricordare che l’ERP CSB-System, con la sua costruzione modulare, è estremamente flessibile e cresce insieme all’azienda ponendo le basi verso la trasformazione digitale.
Referente: • Dott. A. MUEHLBERGER CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com
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Schur Flexibles acquisisce Termoplast Srl e incrementa la sua capacità di innovazione nel packaging riciclabile
S
pecializzata in film riciclabili, Termoplast Srl è uno dei pionieri della produzione di film sostenibili in Europa. I film MDO-PE, interamente riciclabili, si prestano ad una lavorazione duttile in tutti i processi di stampa e anche ad impieghi speciali nei settori industriali e nei comparti alimentare, industriale, medicale e farmaceutico. Grazie all’acquisizione di Termoplast, Schur Flexibles accelera la propria espansione in Italia. «Termoplast è il complemento ideale per il Gruppo Schur Flexibles. L’intero processo produttivo viene oggi orientato verso la sostenibilità, rappresentando in toto una best practice per innovazione, gamma di prodotti e riciclo degli scarti
di produzione» spiega MICHAEL SCHERNTHANER, CEO del Gruppo. «Siamo entusiasti di crescere insieme nel mercato italiano, così come nei mercati già serviti. Il nostro portafoglio congiunto di soluzioni di imballaggi riciclabili, che possono essere rilavorati con efficacia, quali i film MDO-PE, apre la strada alle innovazioni di imballaggio sostenibili che caratterizzano una vera e propria economia circolare». «Siamo molto lieti di poter accompagnare i nostri attuali clienti nel loro cammino in Europa grazie a questa fusione col Gruppo Schur Flexibles, ma anche di poter portare avanti il nostro chiaro orientamento alla sostenibilità» hanno dichiarato SALVINO e SANDRO BARNINI, precedenti
proprietari e oggi AD, al fine di garantire la continuità. «Grazie alla stretta collaborazione con i team di ricerca e sviluppo, la nostra capacità innovativa ci permetterà di accedere a nuovi mercati, e assicurare anche nel lungo termine posti di lavoro altamente qualificati per i nostri dipendenti come parte di un forte gruppo europeo». Spessore del materiale ridotto al minimo, capacità massima di barriera e trattamento successivo ideale anche con film interamente riciclati Termoplast, azienda familiare, giunta alla terza generazione, opera su 26.500 m2 di spazio produttivo nella sua sede di Gambassi Terme, nei
Lo stabilimento Termoplast Srl (photo © Termoplast).
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Michael Schernthaner, CEO di Schur Flexibles (photo © Christina Häusler). pressi di Firenze, dove dispone di un parco macchine equipaggiato con le attrezzature più moderne ed efficienti dal punto di vista energetico per la produzione di film. L’ampio portafoglio di prodotti include, per esempio, film saldabili sostenibili, film barriera e ad alta barriera, e film pelabili e richiudibili. L’azienda punta tutto sull’efficienza delle risorse: i film MDO-PE riciclabili assicurano eccellenti funzioni di barriera e ulteriori possibilità di lavorazione anche con uno spessore del materiale estremamente contenuto. L’azienda si rivolge a clienti industriali e agli operatori dei comparti alimentare, industriale, medicale e farmaceutico. Impiega
circa 100 dipendenti e ha realizzato un fatturato di circa 50 milioni di euro nel 2020, con un volume di produzione medio annuo di circa 28.000 tonnellate di film. In linea con la strategia “zero rifiuti”, tutti i rifiuti prodotti dall’azienda vengono riciclati. Inoltre, la società di riciclo di Termoplast si occupa anche di trattare i rifiuti plastici provenienti dalla regione che vengono poi ulteriormente lavorati. Schur Flexibles acquisisce il 100% delle quote societarie di Termoplast Srl. Le parti hanno concordato di mantenere la riservatezza in merito al prezzo d’acquisto. La transazione è stata conclusa a fine giugno.
Con sede a Wiener Neudorf, Austria, il Schur Flexibles Group è specializzato in soluzioni di imballaggio ad alta barriera innovative, di alta qualità e su misura per l’industria alimentare, degli aromi, medicale e igienico-sanitaria. Con la sua catena integrata di valore aggiunto, dall’estrusione, la stampa e la laminazione fino all’ampia gamma di sacchetti e buste, il Gruppo, fondato nel 2012, comprendendo Termoplast, genera un fatturato di circa 590 milioni di euro, diventando così una delle principali aziende europee del settore. Schur Flexibles impiega circa 2.200 dipendenti e conta 23 stabilimenti di produzione in Europa occidentale e orientale, tutti altamente specializzati e leader a livello tecnologico nel proprio settore. La sostenibilità è al centro delle attività dell’azienda: Schur Flexibles fa parte dei “50 Climate & Sustainability Leaders” e del CEO Action Group per il Green Deal europeo istituito dal World Economic Forum. >> Link: www.schurflexibles.com
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Un Bestiario moderno, evocativo e surreale di Giovanni Papalato
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ercorrere le strade dell’entroterra maremmano di notte, comporta un’attenzione supplementare rispetto a quella che si deve utilizzare per guidare: bisogna stare attenti agli animali che sbucano sulla carreggiata. Istrici, volpi, lepri, cinghiali, che nell’ultimo caso compromettono spesso e volentieri anche l’integrità del mezzo di trasporto. La Maremma è una terra in cui la componente selvatica è forte e diffusa. Sì, l’omonima razza bovina, certo, ma parlando di stato brado ecco il cinghiale, bestia tenace, di indole pacifica, diventa pericoloso se attaccato o si sente minacciato. A discapito di un aspetto poco armonico è rapidissimo ed è dotato di udito e olfatto eccezionali. Forte e compatto, resistente e massiccio, ha spesso avuto la meglio su radiatori che percorrevano le campagne grossetane. È dotato di dentatura conformata per un’alimentazione onnivora che gli permette di triturare alimenti vegetali come erba, radici, tuberi, frutti, granaglie, ghiande, ma al contempo anche lo sfibramento delle carni di invertebrati e piccoli mammiferi. In passato è stata operata una massiccia introduzione di razze estere, soprattutto quella ungherese, ancora più robusta e prolifica. Questo, associato al successivo incrocio ed alla scarsa pressione predatoria presente sul territorio, ha portato ad una crescita eccezionale, stravolgendo l’equilibrio che prima regolava l’ambiente. La carne di cinghiale rimane una delle più gradite e apprez-
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Cinghiale nel Parco regionale della Maremma. Nell’area del parco sono presenti tre specie di ungulati selvatici: il cinghiale, il capriolo e il daino. Segnalata anche la presenza di carnivori di notevole valore conservazionistico quali il lupo, il gatto selvatico e la martora. Tra i mammiferi comuni si trovano poi la volpe, il tasso, la faina, l’istrice e la lepre europea, oltre a diverse specie di micro mammiferi. Molto ricca l’avifauna: il parco ospita infatti oltre 270 specie di uccelli (photo © www.parco-maremma.it). zate, unendo caratteristiche di quella suina, combinata a quella, appunto, selvatica. Fibrosa e più magra rispetto a quella di maiale, ricca da un’alimentazione, come dicevamo, eterogenea, è adatta alle cotture prolungate, e quindi a piatti come stufati, umidi e sughi, ma non dimentichiamoci insaccati e salumi. “Ti porti sulla schiena il buio della notte E spingi con il muso Il sole la mattina Appari sulla strada colore dell’asfalto Illuminano i fari Il momento in cui scompari” canta LUCIO CORSI, cantautore maremmano, nella sua Il cinghiale all’interno del suo esordio. La copertina, un pianoforte e una chitarra in mezzo alla selva, di notte, illuminati dalla luna, intorno ai quali gli animali si raccolgono, è un’immagine potente nella sua apparente delicatezza. Il quadro
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è opera della madre, che ha un ristorante a Macchiascandona, poco fuori da Grosseto andando verso Castiglione della Pescaia, pieno delle sue opere tra ritratti e paesaggi. “Bestiario Musicale”, uscito ad inizio del 2017, è un canzoniere dedicato agli animali che popolano si le campagne ma anche favole, superstizioni, miti e leggende tramandate nella tradizione orale di racconti trans generazionali. Cresciuto a Vetulonia, una frazione di origine etrusca con meno di 300 abitanti, Corsi arriva a questo esordio dopo due EP nel giro di pochi mesi. Che rischio fare un disco così! Dove metti insieme immaginario e mutevolezza nel racconto, usandoli per raccontare il tuo vissuto, sempre in bilico tra l’età adulta a cui ti sei affacciato e l’infanzia che stai ancora custodendo, senza svilirla. “Toglimi gli occhi di dosso Porta sfortune Diavolo salito in terra ricoperto
di piume Ma siccome al posto degli occhi C’hai due stelle arancioni Sarebbe più nera la notte senza lampioni”. La Civetta antropomorfa, ancestrale e affascinata ritrosia, apre il disco su un arrangiamento prezioso di suoni ambientali, acustici, echi e sintetici che risulta perfettamente organico. Quando è già partito l’accordo di pianoforte, la dichiarazione quasi sussurrata “sono la volpe” apre il calembour di astuzia e trasformismo, di sembianze trasfigurate e gioco che rendono il secondo brano una pagina del Bestiario tra le più luminose: “Guarda che ho fatto di me Ho regalato la stella brillante Troppo scomoda da trasportare Troppo pesante Comunque ogni mattina caccio i topi Dai campi vicini Mi chiamano per nome Mi vogliono bene tutti i contadini”.
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Lucio Corsi. Poi entra il pop perfetto in abiti acustici de La Lepre che vira surreale più dell’autosuggestione precedente, anticipando l’Apollo 11 e l’umanità tutta: “Houston, che sfortuna Siamo arrivati secondi, c’è una lepre sulla luna Houston, che sfortuna Siamo arrivati secondi, c’è una lepre sulla luna E c’è arrivata prima di noi, prima dei Russi Senza tutti questi calcoli, senza discorsi Gli è bastato un salto Da mezzanotte in su”. Un arpeggio che sa di lontano nel tempo, di compiaciuta rassegnazione di fronte alla meraviglia del fantastico. Poi eccolo, ancora più potente, lo sguardo bambino, poetico attraverso la canzone, sorretto da una chitarra acustica e dai grilli e campanelli, cantato di voce senza filtro, un disegno corale di immagini che sono storie e storie che sono suoni. Ecco “L’Upupa”: “C’è un movimento punk nella foresta Gli alberi con i capelli verdi sulla testa E le galline con le creste vengono mal viste dalla guardia di finanza Che non si accorge della gazza ladra e del crimine che avanza E cantano in mutande i cori di cicale Che lasciano i vestiti sulle reti del mare Le grandi distorsioni, le sperimen-
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tazioni, i grilli sintetizzatori La musica elettronica nasce dai calabroni”. E cambi lato e si rinnova la meraviglia di una scelta stilistica comune ma con variazioni dedicate, perché Il lupo è una favola glam di proverbi e augurio, di morte e protezione, su note vive a celebrare: “Il lupo con la bocca Ci salva tutti quanti Spero che viva altri centoventi Spero che viva per mille anni Il lupo con la bocca Ci salva tutti quanti Spero che viva altri centoventi Spero che viva per mille anni”. È difficile sottolineare brani piuttosto di altri in questo breve ma ricco Bestiario, ma non posso non evidenziare la bellezza de L’istrice, che riesce a giocare col contrasto tra ciò che vediamo e ciò che potrebbe essere, senza scadere in uno scadente gioco di parole e allegorie come capita sempre più spesso nella canzone leggera italiana, anche con esiti radiofonico televisivo su grande scala: “Se la bellezza dei fiori non fosse nei petali ma nelle spine Vi darebbero la caccia i bracconieri Se la bellezza dei fiori non fosse nei petali ma nelle spine Vi venderebbero davanti ai cimiteri Pensa che noia Tutte le notti
In giro con gli innamorati o a far compagnia ai morti Pensa che noia Che malinconia Fortuna che non è la realtà, fortuna che è fantasia”. Ed ecco Il Cinghiale che abbiamo raccontato all’inizio e che qui è stupita sorpresa, un insieme di visioni intime e fantastiche. E viene cantato in una grandeur da camera, tra marimba e piatti. Il disco si chiude così con l’ottavo brano, uno spoken word spogliato di ogni melodia, se non una quasi impercettibile “o sole mio” strumentale in sottofondo tra il vociare confuso di persone. È un brano in cui c’è ancora di più una connotazione geografica, venendo citato il lago dell’Accesa, anche questo ricco di leggende e racconti. Un lago profondo e quieta, antico insediamento etrusco, satellite di Vetulonia. Lucertole che firmano contratti coi muri delle case assolate, spiagge solide su cui stare, che da antichi serpenti si trasformano in draghi e arrivano fino ai giorni nostri: “E poi voi mi direte: ‘Ma che delusione! I draghi noi li volevamo più grandi Più cattivi, più brutti, volanti’ Ma vedrai che si sono dovuti adeguare Prima c’era più spazio, sia in cielo sia in terra Ma via, ora è tutto un negozio, tutto una pizzeria” Ed è così che si chiude il “Bestiario Musicale” scritto e narrato da Lucio Corsi, non più la raccolta medioevale di meraviglie e mostruosità che diventavano soprannaturale, ma una visione fanciullesca e al contempo di giovane adulto che parte dalla realtà e attraverso la propria sensibilità la trasfigura senza perdervi contatto. È nella parola che accade tutto ciò ed è per questo che rispetto ad altri articoli ho riportato in maggiore misura parti dei testi a firma Lucio Corsi. Fatevi raccontare delle storie da lui, è un viaggio fantastico e delicato. Giovanni Papalato Nota A pag. 126, photo © Lucio Pellacani.
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(*) Media ponderata dei pesi medi settimanali. I dati sono suscettibili di aggiornamenti. Elaborazione su dati del MIPAAF.
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STORIA E CULTURA
Buffalo Bill in Italia Buffalo Bill, una delle leggende del West, nel 1890 e nel 1906 venne in Italia col suo spettacolo “Buffalo Bill Wild West Show” ed ebbe un gran successo, creando nelle città italiane, come in molti altri luoghi del mondo, una sorta di “febbre del West” di Andrea Gaddini
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Chi era Buffalo Bill ILLIAM FREDERICK CODY era nato LE CLAIRE, nello stato americano dell’Iowa il 26 febbraio 1846. Secondo la leggenda avrebbe ucciso il suo primo indiano nel maggio 1857 all’età di undici anni, quando lavorava come staffetta portaordini in una carovana diretta a Salt Lake City che scortava 320 capi bovini da macello, assalita dagli Indiani. Nel 1866 iniziò a fare il venditore ambulante ma il suo carro e i commestibili che portava furono subito rapinati e Cody dovette fuggire. Divenne allora famoso come cacciatore di bisonti: in una sfida in otto ore uccise 163 bisonti, contro i 106 del rivale. Nel 1867 fu assunto per fornire carne agli operai che costruivano la nuova ferrovia Kansas Pacific Railroad al servizio dell’espansione statunitense verso ovest. Firmò un contratto di 500 dollari per uccidere almeno 12 bisonti al giorno, e sembra che ne abbia abbattuti 4.286 in diciassette mesi. Per quest’ultima attività Cody venne soprannominato Buffalo Bill, con un equivoco tra la parola buffalo, che designa le varie specie di bufalo, non presenti nel continente americano allo stato selvatico, e il bisonte, che più correttamente in inglese si definisce bison. Proprio la fama di Buffalo Bill ha però portato ad estendere il nome buffalo anche al bisonte. Nel 1868 la costruzione della ferrovia ebbe termine, Buffalo Bill perse il lavoro e cominciò a lavorare come esploratore (scout), guida e
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organizzatore nelle campagne contro i nativi americani, a difesa degli insediamenti dei bianchi nei territori Indiani. Il generale SHERIDAN lo nominò capo degli esploratori del 5o reggimento cavalleggeri, ma Cody spesso dimenticava di menzionare l’ultima parte del titolo e si presentava come capo degli esploratori dell’intero esercito. Durante le campagne di conquista del West, Cody combatté a più riprese i nativi americani, ma ebbe sempre un grande rispetto per loro, di cui conosceva in modo approfondito le usanze e le lingue, in particolare dei Sioux, che lo chiamavano Pa-Has-Ka, ossia capo dai capelli lunghi. Molti facoltosi europei, tra i quali il granduca Alessio, terzogenito dello zar di Russia, si fecero accompagnare da Cody in grandi partite di caccia nel West. Tuttavia, dopo l’attività giovanile di cacciatore, egli lottò per creare riserve naturali e si oppose al massacro inutile dei bisonti, che da specie diffusa in almeno dodici milioni di esemplari erano diventati nel frattempo rari. Iniziò nel 1877 a raccontare le proprie avventure, pubblicate in centinaia di racconti e in varie versioni della propria autobiografia, per saziare l’enorme sete di notizie dei suoi biografi e del pubblico, omettendo però l’uso di maiuscole e la punteggiatura, perché riteneva che la vita fosse troppo breve per perdere tempo con questi dettagli. Le sue avventure sono spesso oggetto di scetticismo e lui stesso scrisse ad uno dei suoi editori: “Mi dispiace di dover mentire così spudoratamente in questo racconto. Il mio eroe ha ucciso più Indiani in una sola campagna di guerra di quanti ne abbia uccisi io in tutta la mia vita, ma capisco che è ciò che ci si aspetta in un racconto” (BLACKMAN SELL e WEYBRIGHT). D’altra parte chiamava il suo fucile Lucrezia Borgia, per il gran numero di persone che aveva ucciso (CROFT-COOKE e MEADMORE). Anche il grado di colonnello, di cui si fregiava, fu discusso, ma nel marzo 1887 il governatore del Nebraska JOHN M. THAYER lo aveva
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Il Wild West Show di Buffalo Bill all’Arena di Verona, 1890 (photo © Buffalo Bill Museum & Grave). nominato colonnello della Guardia nazionale. Cody svolse anche i ruoli di corriere (pony express), cercatore d’oro, cacciatore di pellicce, capo carovana, postiglione, militare, giudice di pace, direttore d’albergo, autore di rilevamenti geologici e cowboy in senso stretto, ossia mandriano o conduttore di mandrie. Fu anche allevatore di bovini nel suo Scout’s Rest Ranch (“Il riposo dell’esploratore”), comprato nel 1885 a 5 km da North Platte dove aveva 3.000 capi di bestiame di razza Hereford, Shorthorn e Polled Angus, col toro Hereford Earl Horace, oltre a 1.500 cavalli. Allevava anche una mandria di Longhorn, usate anche nel suo show per le grandi corna, particolarmente scenografiche. Cody sposò il 6 marzo 1866 LOUISA MAUD FREDERICI, di origini italiane, anche se secondo alcuni era di origini alsaziane (BISCÀRO), da cui ebbe quattro figli. Svolse un’intensa attività anti-schiavista, rischiando più volte di essere ucciso per questo, tra l’altro dai familiari della moglie. Il saloon di suo padre era uno snodo molto attivo del percorso che gli
schiavi fuggiaschi compivano per raggiungere il Canada, dove non potevano più essere ripresi dai loro “padroni”. Secondo alcuni fu anche spia dell’Unione in territorio confederale (sudista) (BLACKMAN SELL e WEYBRIGHT). Fu eletto nel 1872 alla Camera dei Rappresentanti per il 26o distretto del Nebraska, ma la sua elezione venne impugnata e si dimise senza neanche aver prestato giuramento, continuando comunque a farsi chiamare onorevole. Chiunque poteva ottenere da Buffalo Bill un prestito o un regalo se solo glielo si chiedeva; inoltre, investì i suoi notevoli proventi in avventure commerciali e immobiliari fallimentari. Un esempio: nel 1866 fondò nel Kansas una città chiamata Rome, investendo tutti i suoi risparmi. Quando la compagnia che costruiva la ferrovia gli propose di venderla, Cody rifiutò, e la compagnia costruì ex novo a 2 km la cittadina di Hays City, dove fece passare la ferrovia, convincendo a trasferirsi gli abitanti di Rome, che così fu abbandonata e Cody perse tutto il suo investimento.
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Manifesto pubblicitario del Buffalo Bill Wild West Show (photo © inchiostro.unipv.it). Nel 1897 fondò una città chiamata Cody, nel Wyoming, dove oggi si trova il The Buffalo Bill Center of the West, che ospita cinque musei dedicati all’epopea del West. Nel 1908 nei pressi di Cody fu costruita la diga Buffalo Bill Dam. L’incondizionata generosità e lo scarso acume negli investimenti lo portarono a dilapidare le enormi somme che guadagnava, finché nel 1912, un creditore, fece pignorare tutte le attrezzature dello show, che furono messe all’asta. Buffalo Bill prese comunque parte ad altri spettacoli fino all’ultima esibizione dell’11 novembre 1916, due mesi prima di morire. William Cody morì a Denver, Colorado, il 10 gennaio 1917, all’età di 71 anni, sostanzialmente in povertà. Al suo funerale parteciparono 25.000 persone. Il Buffalo Bill Wild West Show La grande popolarità di Buffalo Bill fece nascere numerosissimi imitatori, che scrivevano libri a lui ispirati o mettevano in scena spet-
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tacoli scimmiottando il suo modo di vestire e il suo nome, con nomi come Buffalo Chips, Nebraska Ned, Harry Hawkeye. Cody inizialmente lasciò fare, considerandola pubblicità gratuita, poi però pensò che se altri erano in grado di arricchirsi fingendo di essere lui davanti a una platea di spettatori paganti, poteva guadagnare interpretando sé stesso. Già nel 1873 prese parte a Chicago allo spettacolo “Gli esploratori della pianura” (Scouts of the Prairie) con la ballerina e attrice milanese GIUSEPPINA MORLACCHI nel ruolo di protagonista femminile, l’indiana Colomba Pallida. Dal 17 maggio 1883 si mise in proprio con uno spettacolo denominato “Buffalo Bill Wild West Show”, che esordì a Omaha, in Nebraska e che portò in tournée fino al 1912 negli USA e in molte altre parti del mondo, in cui si rievocavano eventi dell’epopea del West e si mostravano numeri di cavallerizzi di diversi paesi esotici. Nel 1885 negli USA si contavano quattro Wild West Show e Cody fu costretto a
proteggere il suo spettacolo con il copyright. L’ideologia che traspariva dallo spettacolo era l’esaltazione della civiltà bianca anglosassone, che aveva avuto la meglio sui popoli “primitivi”, i quali, una volta sconfitti, potevano costituire solo oggetto di divertimento. Lo spettacolo fu apprezzato da grandi scrittori come MARK TWAIN e OSCAR WILDE. Il 31 marzo 1887 la compagnia salì a bordo della S.S. Nebraska per andare in Europa, sfidando i timori dei nativi americani che temevano che traversare l’oceano (“la grande acqua”) portasse disgrazia. A Londra prese parte alle celebrazioni per i cinquant’anni di regno della regina Vittoria del Regno Unito, per la quale diede uno spettacolo in esclusiva. Nell’occasione la regina assistette ad una rappresentazione pubblica per la prima volta dopo la morte del marito, il principe Alberto, avvenuta ventisei anni prima, e per la prima volta dai tempi dell’indipendenza del 1776 rese omaggio all’inno statunitense, avviando un disgelo
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nei rapporti tra Regno Unito e Stati Uniti, che erano stati fino ad allora molto tesi. Vittoria chiese di assistere a un’altra rappresentazione speciale alla quale furono presenti, oltre alla famiglia reale, i re di Belgio, Grecia, Sassonia e Danimarca, il futuro kaiser Guglielmo II con la consorte, i principi ereditari d’Austria, Svezia e Norvegia, il granduca di Sparta, il granduca Michele, i principi Giorgio di Grecia e Luigi di Baviera. Uno dei numeri prevedeva la rievocazione dell’assalto all’autentica diligenza di Deadwood, recuperata e restaurata dopo che era stata assaltata e gettata in un burrone dagli Indiani. Nello spettacolo dato per la regina su di essa presero posto i re di Danimarca, Sassonia e Grecia, l’imperatore di Austria-Ungheria e il principe di Galles, seduto a cassetta accanto al conducente. Cody, che aveva capito il grande valore pubblicitario di una corsa sulla diligenza, stabilì così un nuovo punto di riferimento per l’aristocrazia europea: se non viaggiavano sulla diligenza durante l’assalto degli Indiani, i nobili del continente non erano all’altezza dei britannici. Infatti, in un successivo spettacolo a Parigi, salirono a bordo lo Scià di Persia e l’ex regina di
Spagna Isabella (BLACKMAN SELL e WEYBRIGHT). Nel 1889 il Wild West Show fu a Parigi in Campo di Marte per l’Esposizione universale che celebrava il centenario della Rivoluzione e poi in tournée in Francia e Italia, nel 1890. A Parigi nacque la moda di toccare i nativi americani, ritenendo che favorissero la fertilità (RYDELL). Nei manifesti pubblicitari dello spettacolo Buffalo Bill a cavallo era affiancato a Napoleone, anche lui a cavallo. Tornato in patria, partecipò alle operazioni militari contro i Sioux, per tornare in scena nel 1893, in occasione dell’Esposizione mondiale colombiana di Chicago, che celebrava i 400 anni dalla scoperta dell’America. A Chicago, però, gli fu rifiutato l’accesso all’Esposizione e Cody montò i suoi tendoni di fronte all’ingresso, incassando un milione di dollari con 6 milioni di spettatori, grazie anche all’apertura domenicale, quando l’Esposizione era chiusa. A Chicago non poter vedere lo spettacolo di Buffalo Bill fu da tutti considerata una tremenda sventura sociale (BLACKMAN SELL e WEYBRIGHT). Il sindaco di Chicago aveva chiesto all’Esposizione di dedicare una giornata ai bambini
Manifesto pubblicitario del Wild West Show con Napoleone e Buffalo Bill a cavallo (photo © codystudies.org).
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poveri, con ingresso gratuito, ottenendo un rifiuto. Buffalo Bill invece garantì non solo l’ingresso gratuito, ma offrì anche il trasporto gratis e dolci e gelati per tutti. Nel 1900 il Wild West tornò in Europa e nel 1902 fu a Londra e nel resto della Gran Bretagna. Nella primavera del 1905 lo spettacolo iniziò un lungo giro per la Francia, con 200 tappe, per poi iniziare nel 1906 la tournée italiana. Il programma era rigorosamente lo stesso in tutte le tappe e prevedeva sempre la presenza di Buffalo Bill in persona, perché, come egli stesso spiegava, per lui il denaro degli uni valeva come il denaro degli altri e pertanto tutti dovevano rimanere egualmente soddisfatti (STERN). A New Orleans, in un periodo di piogge continue, fece ugualmente lo spettacolo in un’arena aperta per solo 9 spettatori (3 uomini e 6 ragazzi) per rispetto al biglietto pagato. Lo spettacolo contava su 1.000 persone e 600 cavalli, normalmente con due spettacoli al giorno, alle 14:30 e alle 20:30, ciascuno della durata di 1 ora e 45 minuti. Erano proposte rievocazioni storiche, come quella della sanguinosa battaglia di Little Big Horn, nella quale il 25 giugno 1876 i nativi Lakota e Cheyenne avevano annientato il 7o Cavalleggeri americano del tenente colonnello GEORGE ARMSTRONG CUSTER. Tra i cento nativi americani della troupe, compresi donne e ragazzi, c’erano alcuni dei guerrieri che avevano combattuto a Little Big Horn, tra i quali TORO SEDUTO e ALCE NERO, oltre a personaggi famosi dell’epopea del West come CALAMITY JANE. Il 17 luglio 1876 Buffalo Bill per vendicare Custer uccise il capo Cheyenne Mano Gialla, che forse in realtà si chiamava Chioma gialla per uno scalpo biondo di donna che portava alla cintura. La frase che avrebbe detto dopo averlo scotennato, “Questo è il primo scalpo per Custer”, diventò una frase celebre, usata anche dai bambini quando giocavano agli Indiani e ai cowboy. Nel Wild West Show erano presentati molti numeri di destrezza a cavallo da parte di vaqueros mes-
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specializzata in esibizioni equestri, tra cui il lancio del lazo e la doma di cavalli selvaggi. Del Wild West facevano parte squadroni del 6o cavalleria USA, della prima guardia del reggimento degli Ulani di Guglielmo II imperatore di Germania (detti i Rossi di Potsdam), degli Chasseurs à cheval de la grande République Française, del 12o lanceri (reggimento del Principe di Galles) dell’esercito britannico, gli zuavi Devlin, abilissimi nelle manovre militari, e i Rough Riders americani della Milizia Civile degli Stati Uniti, che pochi anni dopo diedero il nome ai soldati di Teddy Roosevelt, che combattevano nella guerra ispano-americana del 1898. Lo stesso Buffalo Bill si esibiva sparando dal cavallo in corsa a delle palle di vetro che gli venivano lanciate da un nativo americano che gli cavalcava davanti. Negli ultimi anni dello spettacolo furono introdotti numeri discutibili come magie giapponesi, incantatrici di serpenti, mangiatori di spade, prestigiatori, lettori del pensiero e perfino soffiatori di vetro veneziani.
Cartolina commemorativa dello spettacolo di Buffalo Bill a Bologna, aprile 1906 (da Rydell, pag. 2). sicani, gauchos argentini, beduini del Sahara, cavalieri giapponesi, filippini, turchi, hawaiani, siriani, arabi, francesi, mongoli, cosacchi, russi, italiani e inglesi. Fu perfino organizzata una sei giorni, con la competizione tra ciclisti e cowboy a cavallo, vinta da questi ultimi. William Cody aveva idee molto avanzate per la sua epoca e riteneva che “quando una donna può fare lo stesso lavoro di un uomo dovrebbe avere la sua stessa paga” (principio ancora oggi non affermato). Nel suo show tra i personaggi di punta
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diverse donne, come ANNIE OAKLEY, pistolera dalla mira infallibile, il cui numero consisteva nel colpire una sigaretta tra le labbra del marito e una monetina che lo stesso teneva tra le dita. Nel 1905 a Berlino Annie esaudì la richiesta del principe ereditario di Prussia, futuro kaiser Guglielmo II, e troncò con una pallottola la sigaretta che teneva tra le labbra. Annie ispirò il musical e il film Annie Get Your Gun (Anna prendi il fucile). Anche LILLIAN SMITH e MAY LILLIE erano abilissime pistolere, mentre ANNE SCHAFER era
L’organizzazione dello spettacolo A meno che le rappresentazioni non avessero luogo in arene già esistenti, come il Madison Square Garden di New York o l’Arena di Verona, i tecnici dovevano montare enormi tendoni, per una superficie totale di 20.000 m2, caricare e scaricare materiale scenico di ogni tipo, dalle pistole Gatling alle diligenze, ai fondali mobili dipinti che riproducevano i tipici paesaggi del West (RYDELL). Come riferisce SARAH J. BLACKSTONE, lo spettacolo “trasportava il più grande impianto elettrico privato del tempo” (RYDELL) e richiedeva un’enorme fornitura di viveri per dare da mangiare a mille persone, tre volte al giorno. Lo show si spostava con quattro treni speciali, con in tutto 49 carri di 25 metri ciascuno. Le tribune coprivano tre lati della superficie destinata allo spettacolo e potevano ospitare 12.000 spettatori; inoltre, c’erano tende per l’esibizione di “fenomeni viventi”, una tenda-mensa
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da 300 posti, tende-dormitorio, una tenda-cucina da 6 metri con 8 cuochi, 3 macellai, 40 camerieri, 8 tagliatori, con un consumo giornaliero di 5 tonnellate di carne (argentina), 1 tonnellata di pane e 400 kg di patate. Anche le scuderie per i 600 cavalli erano costituite da tendoni. I nativi americani e lo stesso Buffalo Bill dormivano invece in sette piccole tende “indiane” separate da quelle per il personale. Per la maggior parte degli spettatori europei era la prima occasione di vedere dei pellerossa, che apparivano strani per l’abbigliamento e le pitture facciali, ma anche perché fumavano sigarette, anziché i sigari o la pipa usuali in Europa. Il Wild West Show veniva annunciato nelle città con molto anticipo, con affissioni a tappeto che coprivano gli spazi delle città sede dello spettacolo e inserzioni sui giornali e l’acquisto dei biglietti era ovunque oggetto di una corsa spasmodica. Erano in vendita vari souvenir dello spettacolo e molte foto rappresentanti le principali scene e personaggi del Wild West Show e per questo motivo agli spettatori era vietato scattare foto. L’incredibile efficienza del personale permetteva al Wild West di cambiare piazza anche ogni giorno. Appena scesi dal treno, i cavalli si allineavano da soli, per farsi apparigliare ai carri, che partivano subito per la destinazione. In quattro ore si montavano le tribune e gli scenari in tempo per l’inizio del primo spettacolo, alle 14:30, quando fino alle 22:15 del giorno precedente era ancora in corso lo spettacolo nella città della tappa precedente. Alle 20:00 erano già smontati i tendoni non indispensabili allo spettacolo, alle 21:00 erano caricati sui carri alla stazione ferroviaria, e tra mezzanotte e le 2:15 partivano. Nel 1890 l’imperatore GUGLIELMO DI PRUSSIA inviò agenti speciali per carpire i segreti di tanta efficienza, e a Roma e Torino furono presenti alti ufficiali dello Stato maggiore, responsabili dell’ufficio dei trasporti e delle ferrovie, per apprendere le tecniche di trasporto rapido su rotaia. L’organizzazione prevedeva
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Buffalo Bill e parte della troupe dello show in gondola a Venezia. inoltre la risoluzione di complessi problemi burocratici con i vari uffici doganali, visite mediche al personale e veterinarie agli animali per evitare la trasmissione di malattie. Nel 1905 in Francia i cavalli del Wild West Show contrassero la morva e ne furono abbattuti 200, di cui 42 dei migliori in un solo giorno. Notevoli erano anche i problemi linguistici: per uno spettacolo fu necessario comporre gli annunci in sette lingue e un’altra volta nel giro di una settimana si entrò in contatto con genti di ventidue lingue diverse (FEES). Buffalo Bill in Italia Nel primo viaggio italiano del 1890 lo spettacolo fu in sei città, per ottanta giorni, dal 26 gennaio al 16 aprile. La tournée iniziò dal 26 gennaio al 17 febbraio a Napoli, dove ci furono problemi agli ingressi per la messa in vendita di 2000 biglietti contraffatti. Dal 20 febbraio al 9 marzo fu a Roma, con la troupe ricevuta da PAPA LEONE XIII e dove ebbe luogo la gara con i butteri delle Tenute Caetani di Cisterna di Latina, che sarà oggetto di un prossimo articolo.
Dal 12 al 20 marzo lo spettacolo fece tappa a Firenze, dal 23 al 30 marzo a Bologna con ottimi incassi, dal 2 al 13 aprile a Milano e, infine, dal 14 al 16 aprile a Venezia, dove Buffalo Bill e gli Indiani fecero un giro in gondola. Nel 1906 la tournée italiana iniziò il 14 marzo a Genova e coprì ben 35 città diverse, terminando il 15 giugno a Trieste, che all’epoca faceva parte dell’Impero austroungarico, fermandosi quasi ovunque un solo giorno. Ma lo spettacolo non era solo quello a pagamento: la popolazione locale presidiava le stazioni in cui la mattina arrivava il treno del Wild West fin da notte fonda, per godere lo spettacolo dello scarico di persone, animali e attrezzature. La calca era l’ambiente ideale per i “prestigiatori da tasca”, ossia i borseggiatori, le cui imprese erano riportate dai giornali locali (ANDREUSSI et al.). Buffalo Bill dal 22 al 28 marzo fu a Roma, tappa più meridionale del tour; lo spettacolo tornò a Bologna, ma per un solo giorno, l’8 aprile, poi il 14 aprile fu a Padova in piazza d’Armi, il 15 e il 16 aprile fu a Verona,
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11 aprile 1906, Buffalo Bill a Rimini (photo © www.chiamamicitta.it). in Arena, e il 17 aprile a Mantova, nell’ippodromo Te, adiacente al palazzo omonimo, e furono organizzati treni speciali per Asola e Viadana (ANDREUSSI et al.). Il 22 aprile 1906 il Wild West Show sbarcò a Torino, dove lo spettacolo si tenne su un lato della piazza d’Armi, tra gli odierni corso Galileo Ferraris e corso Einaudi. Alcuni anni prima al Velodromo di Torino si era esibito un falso Buffalo Bill, in seguito arrestato in Inghilterra. EUGENIO PIOSSASCO DI BEINASCO in arte Eugenio Veritas (1847-1910), cantastorie torinese cieco, scrisse una ballata in dialetto su una sposina che abbandonava il marito per fuggire con Buffalo Bill (BISCÀRO). Il 9 maggio 1906 Buffalo Bill fu per un giorno a Vicenza, in Campo Marzo; moltissimi stabilimenti e parecchi negozi chiusero. Si calcolò che almeno metà della classe operaia facesse mezza festa. A mezzogiorno chiusero gli uffici municipali e le scuole, oltre a numerosi altri uffici pubblici e privati. Furono organizzati treni speciali da Valdagno e da Chiampo (STEFANI). Dal 13 al 15 maggio 1906 il Wild West lasciò l’Italia e fu a Trieste, proveniente da Udine, dove agli studenti delle scuole era stata concesso un giorno di vacanza per assistere allo spettacolo. L’accampamento fu
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posto sui terreni dei Fondi Wildi, dove oggi si trovano le caserme di via Domenico Rossetti, nella zona delimitata anche da via Pasquale Revoltella e via dell’Eremo (STERN). Nella stessa zona, prossima all’ippodromo di Montebello, nel 1923 fu allestita la corrida spagnola trattata in un precedente articolo (GADDINI A., Le corride in Italia nel ‘900, in EUROCARNI n. 1/2021, pag. 130). Trieste, allora nell’Impero austro-ungarico, aveva un forte carattere cosmopolita: vi si stampavano quotidiani in italiano, tedesco e sloveno, e l’organizzazione dello spettacolo fece affiggere manifesti nelle tre lingue, scatenando il furore nazionalista del quotidiano “L’INDIPENDENTE” che pretendeva fossero strappati i manifesti non in italiano. Al rifiuto degli organizzatori, il giornale per ritorsione ridusse lo spazio dedicato alle cronache dello show (STERN). Per consentire agli istriani di vedere lo spettacolo senza pernottare a Trieste fu organizzata una linea celere con un battello che partiva da Pola alle 6.30 e ripartiva da Trieste alle 17:30, toccando tutti i porti intermedi (STERN). A causa dell’arrivo del Wild West fu rimandato un torneo internazionale di lotta, disciplina che all’epoca era molto popolare e riempiva i teatri di appassionati per seguire le gesta delle stelle dell’epoca. La folla, secondo i giornali dell’epoca, si “assardellava” per entrare a vedere lo spettacolo, o almeno per vedere l’accampamento da fuori (STERN). Dopo la tappa di Trieste lo spettacolo si spostò a Lubiana e poi a Zagabria, sempre nell’Impero austroungarico. L’influenza di Buffalo Bill La grandissima popolarità di Buffalo Bill e del suo spettacolo influenzò molto la cultura degli Stati Uniti e quella internazionale. Lo storico del cinema francese GEORGES SADOUL (1904-1967), nel primo volume della sua Storia del cinema mondiale, considerò il genere western del cinema come derivato dal Wild West Show (STERN): il breve film muto inglese del 1903 Robbery of the mail coach (Rapina alla diligenza postale)
di F RANK M OTTERSHAW e quello americano dello stesso anno, The Great Train Robbery (La grande rapina al treno) di EDWIN S. PORTER, sono considerati i capostipite dei film western, seguendo le tradizioni del circo di Buffalo Bill. Lo stesso Cody fondò una casa di produzione cinematografica, la William Frederick Cody Pictures Company. Molti film furono dedicati al personaggio, ricordiamo quello del 1976 di ROBERT ALTMAN, “Buffalo Bill e gli Indiani” (Buffalo Bill and the Indians) con PAUL NEWMAN nei panni di Buffalo Bill, che vinse l’Orso d’argento al festival di Berlino dello stesso anno. Il film era centrato anche sulla figura di Toro seduto, rifiutando lo stereotipo del pellerossa come selvaggio sanguinario e ricordando invece le stragi indiscriminate dei bianchi contro i nativi. Lo spettacolo rese popolare un inno, suonato in apertura, The Star Spangled Banner, scritto nel 1814 dall’inglese FRANCIS SCOTT KEY durante la guerra anglo-americana, che fu poi adottato come inno nazionale degli Stati Uniti, prima in modo informale, e dal 1931 come inno ufficiale. L’epopea di Buffalo Bill influenzò fortemente anche il movimento scout, tanto che negli USA si decise di adottare nella divisa il cappello a tesa larga e il fazzoletto “Cody” al collo, scelta in seguito condivisa anche da ROBERT BADEN-POWELL per gli scout britannici (BLACKMAN SELL e WEYBRIGHT). Buffalo Bill ebbe una forte influenza anche sull’Italia: fu uno dei personaggi principali di un romanzo di EMILIO SALGARI “La Sovrana del Campo d’Oro” apparso a puntate nel 1904 e poi in volume nel 1905, mentre secondo RYDELL lo spettacolo di Buffalo Bill ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione di pop corn in Italia e IL MESSAGGERO di Roma raccontava con sorpresa la prima esperienza con le arachidi, definite nocchie americane vendute dall’organizzazione dello show. Buffalo Bill era italiano? Il 14 febbraio 1937 il quotidiano ferrarese CORRIERE PADANO pubblicò una notizia-bomba: il famoso
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Buffalo Bill in etichetta: tante proteine e pochi grassi nello snack della “vera” America “Il West non è soltanto un preciso periodo storico attraversato dagli Stati Uniti d’America nella seconda metà dell’Ottocento, è anche uno di quei luoghi a parte della fantasia nel quale milioni di appassionati si sono immersi per generazioni. Una sorta di Isola che non c’è, di Paese delle Meraviglie nel quale agiscono figure diventate un classico dell’immaginario collettivo: il cowboy, l’indiano, il pistolero, lo sceriffo, la cavalleria… Tanti i personaggi che dalla storia sono passati direttamente alla leggenda, come Davy Crockett, Wyatt Earp, Jesse James, Billy the Kid, Calamity Jane, Toro Seduto, Geronimo o George Armstrong Custer, protagonisti di innumerevoli rivisitazioni filmiche o letterarie, spesso tutt’altro che fedeli alla realtà storica, che rimangono ancora oggi impressi indelebilmente nella memoria. Ma nessuno di loro può eguagliare il simbolo stesso del Far West: William Frederick Cody, Buffalo Bill”. Così presenta questo straordinario personaggio PIER LUIGI GASPA, autore del saggio “Buffalo Bill. L’uomo, la leggenda, il West” (Editore Imprimatur). Una leggenda, appunto, che in qualche modo sopravvive anche oggi, tanto che Buffalo Bill, e tutto ciò che rappresenta la sua figura, divenuta sinonimo appunto di Stati Uniti d’America nella loro essenza “selvaggia” fatta di conquista, frontiera, praterie sconfinate, mandrie, bisonti e cavalli veloci al galoppo, si ritrova sulle etichette di diversi prodotti americani ed in particolare sulla “carne secca”. Il jerky è uno snack molto diffuso negli Stati Uniti: la parola deriva dal termine “Charcui”, che nella lingua Quechua dei nativi significa esattamente “carne essiccata”. Il prodotto è ritornato particolarmente in auge negli ultimi tempi sulla scia della moda delle diete chetogeniche (Keto Diet), iperproteiche e low carb. Si tratta di carne secca che tradizionalmente è manzo (beef jerky) ma può essere anche di altri animali, come tacchino, cervo o altra selvaggina e naturalmente l’immancabile maiale, affumicato e più o meno piccante (in foto, Wild Bill’s Beef Jerky, www.wildbillsfoods.com).
Buffalo Bill non si chiamava in realtà William Cody, ma DOMENICO TAMBINI (o, secondo altre fonti, Tombini), era originario di Santa Lucia delle Spianate, frazione di Faenza, in provincia di Ravenna, dove sarebbero vissuti dei parenti che ne reclamavano l’eredità di 40 milioni di lire. La voce della presunta italianità di Buffalo Bill fu incoraggiata dal regime fascista a scopo di esaltazione nazionalistica, verso un personaggio molto popolare in Italia, grazie anche a oltre un migliaio di romanzi popolari stampati dall’editore fiorentino Nerbini. Tambini sarebbe emigrato in America per sfuggire alle persecuzioni pontificie, per aver partecipato, in quanto liberale, ai moti di Venezia del 1849, ed avrebbe scelto il suo pseudonimo ispirandosi alla città di Buffalo, nello stato di New York, mentre una sua nipote avrebbe ricevuto nel 1911
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attraverso il Ministero degli Esteri un’eredità di 45 milioni di lire. Visto che Buffalo Bill morì nel 1917, non si vede come la nipote, vera o presunta, abbia potuto ereditare la somma da lui. Andrea Gaddini Bibliografia ANDREUSSI A. et al. (a cura di) 2012, Signori e signore, arriva il circo! Spettacolo unico e senza rivale: Buffalo Bill a Mantova, aprile 1906, s.n., Mantova. BISCÀRO A. (2010), Buffalo Bill è arrivato a Torino: storie di piole, amore e selvaggio west, Neos, Rivoli. BLACKMAN SELL H., Weybright V. (1976), Buffalo Bill e il selvaggio West, Longanesi, Milano. COLLIER E. (1969), Buffalo Bill, A. Mondadori, Milano. CROFT-COOKE R., MEADMORE W.S. (1976), Buffalo Bill, Longanesi, Milano.
FEES P. (1994), Un mito non solo americano, in STERN, pagg. 7-11. RYDELL R.W., KROES R. (2006), Buffalo Bill show: il west selvaggio, l’Europa e l’americanizzazione del mondo, Donzelli, Roma. Salgari E. (1947), La Sovrana del Campo d’Oro, Andrea Viglongo & C. Editori Soc.r.l, Torino. STEFANI A. (1990), Arrivano i nostri! Buffalo Bill e La fanciulla del West, in Campo Marzo: diari vicentini 1906 e 1912, Nuovo progetto, Vicenza STERN G. (1994), Buffalo Bill a Trieste, La mongolfiera, Trieste. Sitografia • it.wikipedia.org/wiki/Buffalo_Bill. • Raccolta digitale di periodici della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (Il Messaggero). • Emeroteca Attilio Hortis, Trieste, Raccolta digitale Il Piccolo.
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