Rivista20 maggio-giugno 2023

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N°57 MAGGIO-GIUGNO 2023 - periodico bimestrale d’Arte e Cultura

ARTE E CULTURA NELLE 20 REGIONI ITALIANE

Edito dal Centro Culturale ARIELE www.facebook.com/Rivista20
ATTILIO LAURICELLA

ENZO BRISCESE

BIMESTRALE DI INFORMAZIONE CULTURALE del Centro Culturale Ariele

Hanno collaborato:

Giovanna Alberta Arancio

Monia Frulla

Rocco Zani Miele

Lodovico Gierut

Franco Margari

Irene Ramponi

Letizia Caiazzo

Graziella Valeria Rota

Alessandra Primicerio

Enzo Briscese

Giovanni Cardone

Susanna Susy Tartari

Cinzia Memola

Concetta Leto

Claudio Giulianelli

Rivista20 del Centro Culturale Ariele

Presidente: Enzo Briscese

Vicepresidente: Giovanna Alberta Arancio orario ufficio: dalle 10 alle 12 da lunedì al venerdì tel. 347.99 39 710 mail galleriariele@gmail.com

www.facebook.com/Rivista20 -----------------------------------------------------

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In copertina:Attilio Lauricella Ragazzi del 2000 - 2021 - t.mista olio su tela - cm70x80 Ragazzi del 2000 - 2021 - (l’assenza) -t.mista olio su tela - cm70x80

Arte Città Amica

Centro Artistico Culturale ________________________

Via Rubiana, 15 – 10139 - Torino

Tel. 011 7768845 – 338 7664025

Incontri d’Arte

Bipersonale con:

Enzo Briscese & Michele Roccotelli

Dal 16 al 28 giugno 2023

inaugurazione venerdì 16 giugno alle lore 18,00. La mostra è visitabile dal lunedì al sabato dalle 16 alle 19

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Enzo Briscese Ragazzi del 2000 - 2021 - t.mista olio su tela - cm70x80 Michele Roccotelli Ze 027 Nudo - 2021 - t.mista su tela - cm60x80

La suggestiva pittura dell’ultimo ciclo tematico di Enzo Briscese centra un nodo cruciale e lacerante della realtà odierna, ossia la “comunicazione”,peggiorata anche dall’inaspettato dramma della separatezza sanitaria di lungo periodo per la pandemia da covid, a cui abbiamo sopra accennato. Questo nodo centrale, toccato dall’arte di Briscese in uno dei suoi aspetti più conturbanti, contribuisce ad originare la scarsa qualità della vita dei giovani. L’artista si accosta con un’attenzione discreta, un interesse partecipato e preoccupato. Egli dipinge cioè con delicatezza la precarietà comunicativa vissuta dai ragazzi di adesso. Nei suoi quadri essi sfilano con i telefonini in mano. Tali opere sono la messa a fuoco di una realtà e una dinamica inquadratura che non diventa mai un banale sfogo per provocare una delle tante denunce lamentevoli.Enzo Briscese, pittore, vive nelsuo tempo e lavora con gli strumenti che gli competono: tele, colori, e infine quadri che parlano. La concezione di libertà è strettamente legata al rispetto: riteniamo pertanto che prima i giovani necessitino di amorevoli e competenti guide e in seguito abbiano bisogno di un inserimento critico nella collettività attiva in un clima che è sicuramente problematico ma dovrebbe essere anche di dialogo fattivo. Il ciclo pittorico “I ragazzi del duemila” introduce lo spettatore nella nuova fase artistica di Briscese, evidenziata da una felice presenza di un dinamico figurativo, valorizzata da una ricca tavolozza e da un’elaborata composizione. Il suo complesso linguaggio pittorico è più vitale che mai, “metabolizzato” all’interno del quadro. Le figure sono dapprima sommerse da un confusivo caos di immagini e informazioni mentre negli ultimi lavori si configura un particolare assestamento stilistico. La rappresentazione del giovane evidenzia la sua fuga dall’oppressione che lo attornia e le ultime tele mostrano uno spazio vuoto

intorno alla figura che rende visivamente il totale “nulla” in cui il ragazzo si rifugia,, ossia un radicale distacco dalla realtà . Si tratta di una fuga illusoria che sul dipinto si colora di tinte pallide e tenui. Questa serie pittorica, visionaria e realista nello stesso tempo, merita di essere messa inmostra e visitata con particolare cura.

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ENZO BRISCESE
Ragazzi del 2000 - 2021 - t.mista olio su tela - cm70x80 Ragazzi del 2000 - 2023- t.mista olio su tela - cm70x80 Ragazzi del 2000 - 2021 - t.mista olio su tela - cm70x80

Affiorano lacerti della memoria, nella pittura di Enzo Briscese. Affiorano, innanzitutto, la figura e la storia. E, di conseguenza, affiorano i miti e la filosofia, attraverso la rappresentazione figurativa della persona. E poi emergono, anche, codici numerici: assegnati a un immaginario fantastico (di forte potenza evocatrice in senso archetipale) e a progressioni algebriche che appaiono, in alcune circostanze, del tutto casuali - tuttavia, pur sempre, armoniche - e in altre situazioni rispondono, invece, a un calcolo preciso, sembra quasi desiderato, certamente ricercato, da parte dell’artista, il quale è come se avesse tutto prefissato dentro di se, nel suo immaginario e nel suo inconscio. Insomma, è come se le sequenze geometriche dei cerchi, dei triangoli e dei rettangoli- che l’artista crea sul piano prospettico dell’opera – rispondano a un preciso apparato geroglifico, tutto suo, che racconta: sia la complessità del pensiero razionale e sia l’insostenibile leggerezza dell’individuo, attento a voler manifestare la sua fantasia e la sua immaginazione. E poi compaiono, pure, nei dipinti di Enzo Briscese: segni e simboli che sono descrittivi, in qualche misura, dello spazio sociale e relazionale, abitato dall’individuo contemporaneo. Da altri dipinti emerge, per di più, un urlo. È l’urlo di un individuo che pone come epicentro, ideale, della sua condanna sociale, la ruvidezza del nostro tempo. Un tempo che conosce solo l’inquieta complessità del vivere quotidiano; dentro spazi architettonici che sono chiusi, a filo di refe, in una dimensione urbana che stringe, che soffoca e che opprime. Una realtà, insomma, che è comunque da condannare e da mettere da parte, ricorrendo al sistema dell’immaginario fantastico: a tratti, ludico, giocoso e disimpegnato e a tratti, invece, serio, greve, misurato e continente. La forza visionaria di Enzo Briscese sta in tutto questo. Sta nella sua capacità di mettere insieme la figura e l’espressione astratta di un’idea. E poi, anche,

nella sua abilità di far convergere la forma in un “tutto armonico” dove c’è spazio per il segno, per la linea e per il colore.

mail.: enzobriscese6@gmail.com

Sito: www.facebook.com/enzo.briscese.9 tel. 347.99 39 710

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Ragazzi del 2000 - 2021 - t.mista olio su tela - cm70x80 Ragazzi del 2000 - 2021 - t.mista olio su tela - cm70x80 Ragazzi del 2000 - 2021 - t.mista olio su tela - cm70x80

MICHELE ROCCOTELLI

Per tentare una nuova presentazione delle mie più recenti opere di pittura e collocazione soprattutto in situazioni private e pubbliche sono qui a proporle su queste due pagine di Rivista periodico bimestrale d’Arte e Cultura, dipinti BIG dal titolo “Sogni Appesi” realizzati per stimolare la curiosità e l’interesse, desiderio e anche possesso nella fruizione.

In particolare spaziano nella loro creatività, come filo conduttore di un discorso culturale, partito dagli albori: cicli di idee che portano serie di opere di pittura ad olio cromaticamente materica e non solo. Ora questi cicli di figure rincorrono

voli abbozzati. Voli che dialogano tra loro, lasciando spazio all’intuizione di una possibile morfogenesi. Forme evolute, incarnate su linee e spazi, che si frantumano, si compenetrano a volte in sintesi operative diventando vibranti. Gocciolature che richiamano l’action painting del lontano ricordo di Jackson Pollock. Scrive Toti Carpentieri “Ribadita, a ben guardare, nelle altre opere dislocate negli anni... si modificano secondo un’astrazione progressiva, assumendo nuove connotazione/sembianze più figurali. Puranco embrionali, ma assolutamente tali.”

Colore e materia si avvicendano nella costruzione di uno spazio astratto, dal quale le forme si moltiplicano e si sovrappongono giocando sull’allusione e sul ricordo. I ricordi si affastellano, si affagottano, si ammassano ma poi infine emergono: figure bellissime nude nel lucido corpo, volti sistemati di profilo in angoli perduti, amplessi al centro, corpi ravvicinati. In secondo piano, oscurati in vibrazioni emotive, accenni di situazioni contemporanee esistenti, tipo “Espatrio”, deflusso di gruppi provenienti da

terre lontane e disastrate per rispondere a esigenze di sopravvivenza. E’ motivo di contrasto nelle mie opere, ove la figura con un taglio decisamente equilibrato sviluppa il senso dell’armonia, proponendo una sorta di geografia del corpo naturale, informe, avvolgente, l’audace riscoperta del colore. Materia. Sono questi i miei recentissimi dipinti che crescendo di intensità emotiva e attualizzando la fisicità dei corpi e dei temi, approdo a “La petite seconde d’éternité/Où tu m’as embrassè/Ou je t’ai embrassée”, di cui scrive Jacques Prévert, ovvero alla sospensione del tempo”(Toti Carpentieri).Raggiungimento del soqquadro dell’armonia e della bellezza”.

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Zd100 - cm120x80 - Embrace Zc690 - cm150x100 - Embrace

Michele Roccotelli e la sua ricchissima tavolozza cromatica, il suo giovanile abbandono della pittura figurativa; tutta la vita a dimostrare a se stesso prima e poi agli altri, di essere un pittore di valore con il desiderio e la volontà costante di testimoniare quella tensione partecipativa che attraverso una disordinata scomposizione di momenti oggettivi, riesce a restituire opere dall’alto contenuto sociale. utta la vita impegnata nella conquista di una pittura astratta che con il tempo, si è caratterizzata per quella spiccatissima gestualità personale, che ha permesso e permette il riconoscimento immediato dell’autore, che in ogni suo dipinto ti cattura e ti fa entrare nell’opera come se tu fossi parte di essa. Conosciamo le sue opere che hanno analizzato, nel passare del tempo, la bellezza del mare pugliese, il Mediterraneo, la compagnia dell’assordante suono delle cicale delle Murge, nella seduzione degli abbracci, metafore di un paesaggio mentale. Opere che ci hanno reso abbagliante il suo cosmo ottico, grazie a quella particolare e personalissima peculiarità di porsi davanti alla tela bianca con il desiderio e l’ambizione di scrivere e dipingere una storia già detta o già vista, ma che deve essere raccontata e riaffermata nuovamente, e ancora e ancora, con quel suo astrattismo naturalistico con guizzi di colore nuovi, campiture diverse, nella volontà di approfondire, di analizzare il discorso cercato.

Oggi con “Sogni appesi”, una nuova tematica, una serie di grandi opere realizzate nel corso del 2022, l’artista ancora riesce a stimolare la curiosità e l’interesse del pubblico, il nuovo tema dell’emigrazione da affrontare con nuovi dubbi, nuovi obiettivi, nuove speranze, una nuova sfida, la vita…”.

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mail.: micheleroccotelli@libero.it Sito: www.roccotelli.it tel. 347.582 3812
E249 - cm115x115 - Abstrsction (Vampa di luce) A297 - cm100x100 - Urbanismo luminoso segnico Ze016 - cm100x80 - Urbe Zd288 - cm50x70 - Nudo

LA MOSTRA “PURO VISIBILE”

AL MACS DI SANTA MARIA CAPUAVETERE

La mostra PURO VISIBILE presentata al MACS di Santa Maria Capua Vetere il 31 marzo scorso presso il Liceo Artistico Solimena ha visto la partecipazione di ben diciannove artisti.Antonio Grazianocon le sue fotografie ha testimoniato il profondo legame con il territorio documentando Napoli e il suo tessuto urbano che interagisce costantemente con la provvisorietà delle impalcature che per decenni caratterizzano l’aspetto dei monumenti più rappresentativi della città. In questo caso si tratta della guglia della chiesa di Santa Maria di Portosalvo, un luogo liberato dai ponteggi solo di recente. Un report “strutturale” che nell’altra fotografia rappresenta l’aspetto più tipico della Città, da sempre, e simbolicamente, ricondotta alla dimensione universale del luogo elettivo dei sentimenti e dell’amore. Paola Adamoè presentecon le sue scene dal gusto “hopperiano” ispirate ad una quotidianità intensamente vissuta fatta di attese in stazione, treni in partenza e corridoi che di fatto diventano percorsi obbligati della realtà e della mente e chesimbolicamente presentano“una via d’uscita” in relazione ad ogni possibile tensione psicologica. Alberto Balaguer con le sue scene trasognate e giocate sul momento mori offre il suo repertorio più tipico che s’ispira alle miserevoli condizioniesistenziali dell’uomo dinanzi al trascorrere del tempo e alla vanitas della vita. Un senso dell’antico che pervade le ambientazioni e che diventa una lezione sul passato ancora più intensamente figurativa e universale. Si fa interprete di una cultura artisticadi spessore mettendo in mostra le sue notevoli capacità pittoriche e disegnative.Enzo Briscese sottolinea la preoccupante

condizione dei giovani rispetto all’uso dei dispositivi tecnologici e incentra la sua tematica intorno all’imbarbarimento del linguaggio basato su di una comunicazione che è provocatoriamente ridotta al sistema binario, 0101…, che paradossalmente non produce semplificazioni ma, al contrario, genera confusione e isolamento con riferimento esplicito alla sindrome di hikikomori. Alfonso Caccavale affronta il tema dell’antico attraverso il linguaggio della rielaborazione digitale. Presenta due opere dedicate alla digital art che esprimono una modalità figurativa che lascia intravedere l’oggetto originario nel fondo della raffigurazione quale il tempio di Poseidone a Paestum e la testa di Apollo cosiddetta di Kassel.

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Biagio Cerbone

Il cromatismo psichedelico adoperato riproduce una scomposizione d’insieme che smaterializza l’idea delle cose e rielabora i concetti in chiave figurativa completamente destrutturata. Sono composizioni che finiscono per essere esempi emblematici dell’arteconcettuale. Umberto Carotenutoriproduce con gusto manualistico il Golfo di Napoli, il Vesuvio, la lava e i fenomeni eruttivi del territorio in un contesto narrativo che s’ispira a conoscenze di carattere archeologico ricostruendo le origini delle prime fasi abitative delle coste campane ad opera dei coloni greci risalenti alla cosiddettafase euboica. È rappresentata l’origine dell’antropizzazione dei nostri territori spesso celata nel mistero delle sepolture “ad anfora” rinvenute nelle aree archeologiche di Cuma e oggi esposte al museo archeologico di Baia. Rossella Cavagnuolo nel contesto della mostra propone le sue rappresentazioni con un linguaggio polimaterico d’ispirazione concettuale e presenta due opere di cultura geometrica con inserti figurativi dal profondo significato simbolico. Il nudo femminile viene trattato con un fare intenso affidando alla corposità del colore l’intera resa anatomica. Rosaria Cecere adopera un linguaggio ispirato ad un genere burlesque con scene e personaggi appartenenti al registro espressivo “del favoloso” con riferimenti significativi di chiara estrazione simbolica. Una lunga tradizione sottende a questo tipo di raffigurazione caratterizzata, come proprio in questo caso,

da una ricchezza cromatica notevole e da un’articolata capacità compositiva. Biagio Cerbone esprime un linguaggio figurativo vettoriale incentrato sulle sinestesie e le associazioni sensoriali. Una sorta di adesione visiva ai movimenti artistici del Fluxusdominati però da una versione specificamente figurativa che perviene ad intense e variegate elaborazioni di carattere cromatico. Antonio Ciraci, maestro del figurativo e della visibilità colta e carismatica, propone le sue figure mitologizzate all’insegna di un profondo intreccio culturaled’identità antropologica.

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Enzo Briscese Aurora Cubicciotti Jesus Susilla Roberto Russo Rossella Cavagnolo Rosaria Cecere Alfonso Caccavale

Le sue opere acquistano un valore simbolico per il territorio da cui proviene divenendo “le sue ultime ancelle” dell’immaginario ispirate ad uno stile inconfondibile legato alla tradizione partenopea che domina al centro di un linguaggio più ampio, d’impronta specificamente meridionale. Aurora Cubicciotti declina la figura umana in tantissime versioni passando dal ritratto alla posa anatomica di antichissima reminiscenza classicistica legata alla tradizione del “nudo” accademico. La sua è un’approfondita competenza nel campo del disegno e della raffigurazione che nell’uso del colore diventa a tratti anche di tipo materico. Un ambito culturale in cui si attiva una sapiente capacità a idealizzare il repertorio umano e figurativo con profonda attinenza alla cultura trasognata del poema naturalistico che genera immagini pronte ad evocare ogni repertorio prettamente emotivo.

Giuseppina Cusano sembra irrompere nel panorama dell’intera mostra con le sue raffigurazioni paesaggistiche generando uno strano contraddittorio culturale in fieri. In realtà lei non intende generare nessuna “polemica” di natura stilistica ma soltanto mettere in pratica una serena e descrittiva pittura d’immagine dotata di una vena fotografica che alimenta la curiosità dell’osservatore che si lancia istintivamente “all’inseguimento” dei mille particolari appartenenti aquelle abitudini popolari tipiche di un’intera epoca. Enzo Faraldo si spinge nei meandri della metafisica elaborando immagini incentrate sulla cultura fantastica e simbolica. Il legame con la tradizione assume una dimensione evocativa d’impianto che richiama le grandi pale d’altare del Rinascimen-

to. Una sorta di attualizzazione della figura e del paesaggio di estrazione veneta nel solco della tradizione della pittura ferrarese e veneziana della fine del Quattrocento con un chiaro riferimento alla musica che è un altro degli aspetti fondamentali della personalità artistica dell’autore.

Francesco Matrone elabora nell’intera mostra una dimensione ai limiti del figurativo proponendo un repertorio d’immagini sviluppato all’interno del processo ideologizzante del concetto e affidando così uno dei temiqui proposti alla “claustrofobia” di una scarabattola. Si tratta della figura di Giordano Bruno che assume dimensioni diversificate e tanti significati legati alla ben nota sfera ermeneutica e socialedegli studi bruniani. Nell’altra opera sembrerebbe addirittura raggiungereun linguaggio astrattista-geometrico che non è propriamente tale perché, rimanendo fedele alla matrice figurativa di partenza,essa si posiziona - legandosi concettualmente - a latere dell’opera accanto proposta. José Manuel Mendez si rifà ad una cultura neoimpressionistica d’avanguardia affidando a poche pennellate l’immagine di una marina industriale dei nostri giorni.

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Antonio Graziano José Manuel Mendez Ramò Pérez Ricco Gennaro Ramò Pérez Alberto Belaguer Paola Adamo

Una pittura dotata di una sapienza cromatica molto importante dove la gamma delle tonalità fredde - dal nero, al grigio, al celeste - si distribuisce con intensità sfruttando l’immenso fondo bianco di chiara ascendenza “luministica”. RamónPeréz arricchisce l’intero panorama della mostra con due calotte di pallone “giocate” attraverso un “dualismo” cromatico che lascia intravedere una reiterata osservazione dello stesso soggetto in ore diverse del giorno. Una sapienza nella resa della superficie materica che mostra le condizioni attuali di un qualcosa che ha perso definitivamente la sua funzionalità e che potrebbe rappresentare da subito “altro” come la cupola di un tempio o la volta di un planetario. Gennaro Ricco propone nudi femminili basati sulla resa dei contorni in chiave espressiva. Un riferimento esplicito alla figura trattata secondo quei canoni dell’espressionismo nordico con rievocazioni della cultura cromatica come sistema di forze fisiche in campo. Un omaggio di tipo evocativo rivolto soprattutto all’evoluzione della figura novecentesca secondo quegli sviluppi maturati in molti ambienti artistici della seconda metà del secolo scorso senza mai lasciarsi attrarre da suggestioni di tipo aniconico. Roberto Russointegra il gesto pittorico con il recupero dei temi appartenenti alla“pagina stampata”. La sua è la raffigurazione del ritratto femminile accostata ai grandi titoli dei giornali e delle riviste. Un tema di natura psicologica molto forte per i tempi in cuiviviamo che dichiara tutta la sua intensità nell’attualizzazione della figura umana –in questo caso della donna – e nel contesto culturale contemporaneo condizionato dalle mode e dalle notizie giornalistiche in molti casi conformistichee pregiudizievoli. JesusSusilla completa il panorama generale del percorso espositivo con queste “due versioni” dedicate alla nascita e al “destino dell’uomo” strettamente condizionate dal mistero della vita. Nel fondo un susseguirsi di formule matematiche indicano simbolicamente una corrispondenza tra cultura scientifica e imprevedibile fatalità del cosmo. Si tratta di una visione molto intellettualizzata della figura umana che ritrova nella “purovisibilità” la maggiore fonte d’ispirazione artistica.

(Mino Iorio, Critico e Storico dell’Arte)

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Vincenzo Faraldo Umberto Carotenuto Antonio Ciraci

AURORA CUBICCIOTTI

È una ricerca continua, forse affannata, forse anche dolorosa, ma estremamente affascinante, quella che ci propone l’artista Aurora Cubicciotti: una donna che sa leggere l’alito della vita, che sa guardare dentro le cose, nelle recondite profondità degli occhi dei personaggi che lei ritrae in maniera mirabile, nelle profondità delle pieghe dei meandri dell’inconscio, nelle profondità dei sentimenti, nel “simbolismo” dei suoi personaggi che diventano paradigmi delle condizioni stesse della vita quotidiana. È una poetica che si carica e ricarica di infiniti ruoli e di infiniti significati. L’artista padroneggia la parola poetica e le immagini pittoriche, sa parlare con semplicità e icastica evidenza alle nostre menti: le sue opere pittoriche sono pura poesia per immagini che solo in apparenza sono mute, a volte mirabilmente accompagnate anche da suoi testi poetici che mettono a nudo tutto il grande universo emozionale che le distingue. L’intimità di dialoghi perduti in un “tempo contemporaneo” che inizia a scorrere forse troppo velocemente. Una spiritualità interiore, viene rappresentata attraverso dipinti ad olio e carta che ci parlano di uomini e donne, che vivono nel nostro tempo. Lacerazioni dell’anima. Speranze ricercate, per poi essere ritrovate. La pittura di Aurora Cubicciotti si muove in un contesto sociale, poco esplorato dagli altri Artisti. L’idea di pittura classica tradizionale, viene abbandonata, per dare

maggiore spazio a quel processo di significazione, alla base di ogni lavoro di Cubicciotti.

Come ci ricorda Aurora, la tecnica pittorica deve essere alla base di ogni buona realizzazione; ma questa da sola non basta.

Un’opera ha bisogno di sentimento. Un’opera deve saper raccontare. Deve saper “parlare” allo spettatore. Deve instaurare con esso un dialogo intimo, spirituale, tra sogno e realtà (Pecci/Russo)

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mail.: cubyaurora@gmail.com Sito: www.facebook.com/ aurora.cubicciotti tel. 339.18 38 913

Quando l’arte incontra la vita noi riscopriamo la vera essenza dell’essere persone inserite nel flusso dello spazio e del tempo. La magia dell’arte è nella possibilità della scoperta di qualcosa che ci appartiene, il disvelamento di ciò che è parte di noi stessi, del nostro essere sulle strade tortuose, e a volte confuse, della storia, della nostra contemporaneità. Arte significa sacrificio, rigore, ricerca di noi stessi, capacità di vedere il mondo con occhi nuovi e disincantati, usando l’antico e rigoroso linguaggio del disegno e del colore, come idea originaria delle forme e della sostanza delle cose, in un rapporto empatico che ci mette in contatto con l’Universo.

È una ricerca continua, forse affannata, forse anche dolorosa, ma estremamente affascinante, quella che ci propone l’artista Aurora Cubicciotti: una donna che sa leggere l’alito della vita, che sa guardare dentro le cose, nelle recondite profondità degli occhi dei personaggi che lei ritrae in maniera mirabile, nelle profondità delle pieghe dei meandri dell’inconscio, nelle profondità dei sentimenti, nel “simbolismo” dei suoi personaggi che diventano paradigmi delle condizioni stesse della vita quotidiana. È una poetica che si carica e ricarica di infiniti ruoli e di infiniti significati. L’artista padroneggia la parola poetica e le immagini pittoriche, sa parlare con semplicità e icastica evidenza alle nostre menti: le sue opere pittoriche sono pura poesia per immagini che solo in apparenza sono mute, a volte mirabilmente accompagnate anche da suoi testi poetici che mettono a nudo tutto il grande universo emozionale che le distingue.

Parole e immagini dunque: locuzioni icastiche indissolubilmente coniugate, capaci di suscitare sensazioni, emozioni che appartengono alla nostra esistenza, che ci mo-

strano un universo segnico in cui ogni immagine, ogni disegno, ogni segno e ogni parola poetica sono l’epifania della vera essenza dell’arte che, ancora una volta, diventa vita, diventa realtà vissuta, diventa spazio emozionale puro. È in questo spazio dell’emozione che l’arte trova la sua stessa ragion d’essere. L’artista non è mai appagata dal proprio lavoro. Aurora sa che la ricerca è impegno quotidiano, sa che nulla può essere concesso se non l’emozionalità di un lavorio continuo che affini giorno per giorno la propria sensibilità di fronte agli eventi della vita, di fronte alla storia, di fronte alle responsabilità dell’arte. Aurora Cubicciotti non può esimersi dal partecipare concretamente al cammino della storia. L’arte è fatto storico, è nella storia, ha una sua storia. I suoi dipinti vanno nella direzione di un quotidiano impegno nella società e verso la società, verso un’arte che sappia intensamente veicolare profondi momenti di riflessione sui molteplici volti del vissuto quotidiano di ognuno di noi, quindi nel flusso concreto del tempo storico, del divenire storico. L’arte non può restare a guardare lo scorrere degli avvenimenti che passano davanti ai nostri occhi e farci rimanere inerti, immersi nella più pura e vergognosa ignavia. Arte e vita. Arte per la vita. Arte nella vita: sono binomi inscindibili per mostrare il volto del mondo, per costringerci a riflettere sulle realtà e sui mali del mondo, attraverso immagini pittoriche anche dure, dolorose, penetranti come la lama affilata di un pugnale che lacera e squarcia le nostre indolenti coscienze che non hanno mai saputo, o voluto, guardare oltre il proprio sterile egoismo. In Aurora Cubicciotti l’arte diventa epifania della vita.

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ATTILIO LAURICELLA

Attilio Lauricella è nato a Radusa (CT) nel 1953 e risiede a Torino dal 1959.

Si è formato attraverso lo studio classico della figurazione frequentando il Liceo Artistico dell’Accademia Albertina di Torino e gli atelier di vari artisti. Lavora a tempo pieno come pittore

Sono numerose le esposizioni personali a carattere anche didattico, per conto degli Assessorati alla cultura di vari Comuni dell’interland torinese.

Ha presentato le sue opere in prestigiosi studi d’architettura in varie città italiane. Dal 1972 prende parte a varie rassegne della Promotrice delle Belle Arti e del Piemonte Artistico e Culturale di Torino di cui si può ricordare la mostra “Giovani Artisti in Piemonte” del 1983.

Ha esposto al Fiat France di Parigi (1980) nonché nei

Foyer di alcuni teatri torinesi, quali il “Teatro Nuovo” e il Teatro “Erba” nel 1978 con mostre personali e lo Stabile “Gobetti” per la collettiva “Storie di quadri” con un progetto di cm 150x500 nel 1982. Nel 1990, ‘91 e ‘98 ha presentato i suoi lavori al Salone del Libro di Torino Esposizioni e al Lingotto.

Partecipa ed è promotore di varie iniziative collettive e conferenze con il gruppo “Oltre” e “Nuova sintesi”. Sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private.

E’ presente attualmente (2009) nel Direttivo del Piemonte Artistico Culturale di Torino e collabora con varie Associazioni, fra cui Arte Città Amica e partecipa alla promozione di un gruppo di Artisti Astratti attraverso l’Associazione It.ART di cui è Fondatore con i quali sono stati realizzati vari cicli espositivi.

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Tuffarsi nel vortice energetico e vitale del mondo è l’urlo di passione per il colore di Attilio Lauricella. Una ricerca profonda del reale che muta nella sua pura essenza attraverso la trasformazione e la trasfigurazione dell’oggetto in istanti geometrici che coprono tutta la superficie del supporto in un movimento continuo,dinamico,inalterato,dove tratti e linee più sinuose o curve tendono a colmare il senso e l’andamento dell’intera composizione.

Figure geometriche pure, che vengono ripetute all’infinito, come triangoli, sottendono un cosmo in evoluzione. Il colore genera strutturalmente il significato della vita rappresentata:il rosso, il verde ed il giallo sono catturati dal segno e dal gesto dell’artista, che scompone che scompone i suoi universi all’insegna dell’unità dell’opera.

L’equilibrio geometrico per il regolare viene rivissuto e respirato nel ciclo rappresentativo senza incertezze, la ripetizione incessante ed assidua trova il suo rapporto dimensionale in un flusso che corre parallelamente al dato emozionale. Il fruitore è avvolto dall’anima vitalizzante e totalizzante della complessità artistica.

L’informale di Lauricella è come uno spazio sgranato all’infrarosso,o quando si osserva un cristallo visto controsole, si scopre la materia nella sua essenza: dalla trasparenza all’arcobaleno, e più si penetra il particolare, più si avvicina a tutte quelle particelle e molecole che compongono l’universo nei propri cicli vitali, anzi energetici,quelli che appartengono al divenire artistico di Attilio.

Emozione, sorpresa e stupore implicano una doppia so-

spensione momentanea: da una parte quella del firmamento lauricelliano, che ruba attimi al reale, poi filtrato dalla propria vena artistica,e dall’altra dell’osservatore, che si trova attonito in campi di colore e geometria fugacemente orchestrati. Anche la ricerca dei materiali per le installazioni non tradisce il senso e il carattere creativo dell’artista,che approda sulle rive della luce, rendendo ancora più vitali le proprie composizioni. Geometria, colore e luce vivono in una costante simbiosi di movimento,che non avrà mai una fine, segnando così il passaggio da un’opera all’altra nel racconto infinito e di non morte dell’arte di Attilio.

Solcare l’uscio dello studio di un pittore è come gettarsi in un mondo magico, fatto di sensazioni tattili, visive, olfattive e soprattutto di emozioni psichiche. Come nella fucina di un grande mago, l’artista crea, forgia nel fuoco sempre vivo della sua immaginazione, compone e disgrega, cuce e taglia, moltitudine d’idee, di concetti, di studi, che sul suo tavolo di lavoro divengono realii miracoli.

L’odore acre delle trieline, quello un po’ nauseante dei colori ad olio, i caleidoscopici lavori multiformi e coloratissimi appesi alle pareti del piccolo studiolo, stordiscono, annebbiano la mente, creano un senso di disagio misto al gran piacere dell’osservazione. Quasi come sotto l’effetto allucinogeno, il cuore si riempie di felicità, dandoci però una vertigine incontrollabile. . . . . . (Franco Campora)

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ANGELO BUONO

“Per Angelo Buono la pittura è come la musica che nessuno osa spiegare, deve semplicemente piacere o eccitarci “ Il lavoro di Buono si è evoluto verso il fauves, uno stile che gli si adatta nella sua ricerca di esprimere l’essenza degli oggetti nella sua arte. Nella nostra quotidianità, non consideriamo come il colore influenzi la nostra vita quotidiana, ma quando vediamo gli elaborati di Buono questi stimolano l’appetito visivo attra -

verso i suoi colori forti, influenzando così l’emozione della nostra mente ed evocando ogni tipo di emozione in modo diverso. La sua figurazione è rimodellata dal punto di vista dei sentimenti piuttosto che dalla realtà che trasporta lo spettatore a partecipare all’universo creato dall’autentica personalità di Buono Angelo e al suo lavoro.

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Davanti alle opere di Angelo Buono, c’è da chiedersi dà cosa nasca la sua volontà pittorica, s’è non dal fascino dei colori e della luce. C’è quindi alla radice del suo far pittura un input,una sorta di sollecitazione intrinseca che lo porta ad esplicitare nella sua varietà del segno e nella molteplicità delle assonanze cromatiche,tutto un mondo interiore.

Affiorano così allo sguardo tutta una serie di esplicitazioni spesso decisamente informali perché interviene direttamente nella materia con un segno espressivo e un gesto spontanee, in cui le modulazioni cromatiche stesse sembrano essere ricondotte al servizio di un serrato impianto costruttivo organizzato talvolta su una griglia spaziale,e la fantasia a fare da supporto ideale x questa trascrizione di segni e di impulsi che si rifanno alla sfera tipicamente sensoriale. Sappiamo che segno,e gesto e materia sono alla radice della poetica “informale”, perché un linguaggio del genere nasce e si origina dal dominio della pulsione.

Ebbene in Buono si avverte, sia pure in una alternanza semantica significativa questa condizione particolare, questo muoversi e voler scoprire un “reale fantastico” ,una trasfigurazione immaginifica, in tal modo l’opera vive allora come in una doppia tensione,tra flusso espressivo e suo annientamento, sulla scia di una intuibile ricerca di dimensioni e di spazi evocativi destinati a respiri più ampi e come se dai gorghi della memoria dovessero emergere i termini di una poetica continuamente oscillante tra visibile e invisibile,tra superficie e profondità.

Alla radice c’è senza dubbio una irrequietezza come supporto ideativo, per cui il rapporto che viene a stabilirsi è attivato al rimando tra fattori di contrazione e di espansione,di parcellizzazione e di ricomposizione globale.

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mail.: angelo.buono49@gmail.com www.facebook.com/profile.php?id=100009137654439 tel. 346.72 40 502

RENOIR. L’ALBA DI UN NUOVO CLASSICISMO

Pierre Auguste Renoir (Limoges 1841 – Cagnes sur mèr 1919) è uno dei pittori più amati della seconda metà dell’Ottocento. L’artista ha incontrato il favore del pubblico per il suo manifesto e contagioso amore per la vita, per quella sua particolare energia positiva, spesa fino alla fine con tenacia per l’arte. Ha un temperamento aperto alla ricerca, esuberante e dotato di straordinario talento, rigoroso e ricercatore di nuove forme e orizzonti, impegnato a “forgiare” una mentalità nuova che sarà efficacemente apprezzata dalla generazione successiva alla sua. Renoir è perlopiù conosciuto come uno dei principali esponenti dell’Impressionismo eppure la sua permanenza all’interno del gruppo è breve e nel 1886 scioglierà definitivamente il sodalizio con i vecchi amici impressionisti.

Fino a giugno inoltrato si possono ammirare i dipinti meno noti al grande pubblico, cioè le opere appartenenti al Renoir più “maturo”, eseguite a partire dal 1882 sino alla

vecchiaia. Già alla fine degli anni settanta lo assale una sorta di inquietudine creativa che va via via acutizzrandosi: avverte l’esigenza di un personale riaccostamento al disegno e la necessità di una volumetria della composizione, elementi della pratica e dello studio pittorici abbandonati dal gruppo impressionista a favore di un fugace schizzo coloristico che cattura “l’attimo”. Renoir si riavvicina alla pittura di Ingres e riflette ricercando la sua “strada” che intravvede nello studio e nella rielaborazione dei classici. Riconsidera la lezione dei grandi maestri ammirati al Louvre e decide di intraprendere un viaggio necessario rivolgendosi alla grande arte italiana. Nel 1882 inizia il suo importante viaggio in Italia che rappresenta il suo personale “Tour , come si usava all’epoca, benchè avesse già raggiunto la soglia dei quarant’anni. Questo percorso lungo la penisola è una svolta significativa, un profondo rinnovamento dell’arte di Renoir.

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La mostra di Rovigo ha come fulcro tematico la ricerca delle conseguenze dell’impatto della pittura dell’artista francese con l’arte dei nostri grandi maestri rinascimentali e con l’arte antica. Il figlio del pittore, Jean Renoir, celebre regista della Nouvelle Vague, ha seguito i passaggi relativi al Tour del padre collaborando così alla ricostruzione della seconda fase artistica di Pierre Auguste Renoir, curata nell’attuale esposizione che consta di 47 opere.

Le tappe del Tour riguardano Venezia, Padova, Firenze, Roma, Pompei, Napoli, Palermo. A Roma è affascinato dalle opere di Raffaello, lo incanta la bellezza di Capri, e a Palermo va a visitare il Museo Archeologico di arte antica, si sofferma anche davanti alla pittura pompeiana. Renoir rimane incantato dal fascino del Rinascimento italiano, dalla luminosità intensa a cui non è abituato. La sua tavolozza si carica di toni scintillanti e caldi “alla Tiziano”, torna da protagonista il disegno, le forme riprendono volume, la composizione acquista una nitidezza che appaga l’artista e le figure acquistano una monumentalità dovuta all’influenza michelangiolesca. Non è casuale che mentre Renoir dedica maggior tempo alla figurazione gli impressionisti lavorino prevalentemente sul paesaggio. Tra i maestri francesi che sono punti di riferimento per il rinnovamento artistico dell’artista si possono annoverare anche i settecenteschi Fragonard e Watteau. Circa questa fase pittorica il curatore della mostra afferma che si tratta di “un aspetto della sua produzione non abbastanza focalizzato e quella che superficialmente è apparsa a molti un’involuzione era una premonizione di molta pittura che si sarebbe sviluppata tra le due guerre”.

Renoir realizza, già a partire dalla sua giovinezza, molti disegni e studi e ha alla base della sua formazione una solida preparazione classica che agevola il raggiungimento del suo possente stile neorinascimentale.

L’esposizione a Palazzo Roverella mette a confronto le opere della sua ultima stagione pittorica con quelle di artisti italiani come Marino Marini, Giorgio De Chirico, Filippo De Pisis, Federico Zandomeneghi, etc…

Sulla sua arte Renoir stesso risponde a chi lo interroga: “Vuole che le dica quali sono per me le due qualità dell’arte? Dev’essere indescrivibile ed inimitabile .. L’opera d’arte deve afferrarti, avvolgerti, trasportarti”.

25 febbraio – 25 giugno 2023

Promozione: Fondazione Cassa di Risparmio di Rovigo

-Rovigo

Accademia dei Concordi

Curatela: Paolo Bolpagni

Orario: lun./ven. ore 9-19; sab. e festivi ore 9-20

info@palazzoroverellla.com

tel. 0425.4693

Il Surrealismo in mostra a Milano con i capolavori di Magritte, Dalì e Man Ray

Molto più che un semplice movimento artistico, il Surrealismo è un atteggiamento, un modo alternativo di essere, di pensare e di concepire il mondo.

E’ su questo concetto fondamentale si sviluppa la mostra inaugurata dal Mudec di Milano il 22 marzo e che resterà aperta fino al 30 luglio. “Dalí, Magritte, Man Ray e il Surrealismo.

Capolavori dal Museo Boijmans Van Beuningen” ospita 180 opere, tra dipinti, sculture, disegni, documenti e manufatti provenienti da uno dei più celebri centri espositivo dei Paesi Bassi, in dialogo con alcune opere della collezione permanente del Museo delle Culture.

Il Surrealismo

Il primo dicembre 1924, con la pubblicazione della raccolta “Poisson Soluble”, André Breton diede via ufficialmente a una delle avanguardie che più di tutte hanno segnato il XX: il Surrealismo. Il movimento, che raccoglierà sotto il suo ampio cappello artisti come René Magritte, Man Ray, Marcel Duchamp, Salvador Dalì, Max Ernst e molti altri, si poneva come obiettivo quello di indagare la psiche umana al di là dei limiti della logica e della ragione, di esplorare la realtà oltre i suoi confini fisici per attingere alla sua vera essenza: la surrealtà, appunto. La critica alla razionalità cosciente, l’esplorazione delle potenzialità dell’inconscio, il dialogo tra sonno e veglia e quello tra realtà esperienziale e onirica, la messa in relazione di

immagini collegate più dall’intuizione che dalla logica, la liberazione dell’individuo tanto dalle costrizioni della ragione quanto da quelle politiche sono le grandi tematiche affrontate dal movimento.

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PER SEQUENZE DI LUCI E DI INCANTI di Rocco Zani

Negli spazi espositivi della Villa Comunale di Frosinone, la mostra di Enzo Sabatini “Composizioni Astratte 2.0” Quello con Enzo Sabatini è un appuntamento conciliante che si consuma con generosa puntualità. E’ l’incontro primaverile che preannuncia, quasi paradossalmente, ciò che è accaduto. Come ad “apparecchiare”, con salutare lentezza, il racconto – o i racconti – della precedente estate. Quella che da decenni vede Enzo Sabatini porre lo sguardo tra le cromie e i segni del “suo” mare. Fino a farne un paesaggio intimo, esclusivo, rimodulato per sequenze di luci o di incanti. Un paesaggio dell’anima diremmo noi, rifiutando per un istante l’uso smodato di questa accezione. Perché Enzo Sabatini si fa “dialogo” tra la sostanza dell’immagine e di questa il senso, la percezione, il battito. Una sorta di cortile affettivo dal quale è impossibile – fortunatamente – migrare o distrarsi. Un luogo capace di riservare ricorrenti sorprese e lasciare che queste dettino i capitoli del divenire. In un certo senso mi ricorda Roman Opalka che dipinse l’infinito affidando alla sequenza numerica il rintocco del tempo. Ogni ora del giorno, ogni giorno della sua vita. Le geometrie cromatiche di Enzo Sabatini indagano il luogo e lo preservano. Ne colgono ogni minuscola movenza, ogni probabile alterazione. Talvolta, in questa successione di segni e orizzonti più o meno celati, si avverte il rifiato del vermiglio o dell’oro. Un ruolo testimoniale quello dell’artista, poeticamente arroccato ai margini dell’apparenza, per far si che questa diventi - o restituisca – ai nostri occhi un’immagine di memoria, di

affezione, di naturale bellezza. Nella sua piena maturità nulla si è incrinato nel cammino prescelto, quasi a rimarcare, invero, un più intenso rigore concettuale che - per stramberie del tempo - si è arricchito di inusitati bagliori, di prospettive inedite e di colori che sono, oggi, consonanti e vocali del dire.

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INTERVALLI DI CONFINE

MACS del Liceo Artistico “Solimena” a cura di

inaugurazione 12 maggio ore 11.00

Espongono:

Lucio AFELTRA - Renzo BELLANCA

Mariangela CALABRESE

Giampaolo CATAUDELLA

Mario CIARAMELLA - Cosimo COLELLA

CUFRINI - Alberto D’ALESSANDRO

Viviana FAIOLA - Anna Maria FARDELLI

Peppe FERRARO - Rosanna IOSSA

Maria LA MURA - Giovanni ODIERNA

Deborah NAPOLITANO - Mario PALMA

Gianfranco RACIOPPOLI - Rosella RESTANTE

Franco TIRELLI - Enzo TREPICCIONE

“Intervalli di confine” è un luogo di intenti anziché un approdo perentorio o quanto meno una destinazione certa. E’ un territorio di congetture, fragile, sagomato su voci e sguardi talvolta senza riparo che si accavallano per incroci inediti o si rigettano per moventi altrettanto inusuali.

L’idea – di Vittorio Vanacore – di accogliere all’interno del MACS le opere di venti autori provenienti da regioni diverse ma confinanti, sembrerebbe il ragionevole tentativo di stendere un resoconto - temporale, linguistico, finanche ideologico – sulla “volontà del dire” di un numero autorevole di artisti.

In effetti la mostra si apre come scatola aperta, contenitore illimite di suggestioni, aspettative, attitudini, ipotesi e rumori. Anche di “regionalità”, naturalmente. Perché ognuno porta con sé – più o meno consapevolmente – il proprio genius loci, quel vincolo di memoria che è, al contempo, motore e pausa, divenire e approdo. E allora il titolo - In-

tervalli di confine – mostra paradossalmente, e volutamente, tutta la sua incombente fragilità perché gli artisti (e le loro opere) sono gli unici che attraversano i confini, sopravvivono.

In questo disseminato incedere di materiali, di segni, di sfide e contese, la mostra è soprattutto un “intervallo” di accenti posto ai margini di quel tempo sospeso e spaesante che ha attraversato – di recente – le nostre volontà.

Invero traspare la coscienza – in queste inedite narrazioni – di dover fare i conti non più con una precarietà latente, piuttosto con una dimensione “appiattita” sulle dinamiche imposte dal dolore, dall’intolleranza, dal sopruso. Come se queste fossero le architravi del nuovo tempo.

E per queste immaginare nuovi responsi, nuove e necessarie traiettorie: poetiche e ideologiche.

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SGUARDI DI CONFINE AL MAV DI ERCOLANO NOVE OPERE, TUTTE AL FEMMINILE di Rocco Zani

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Non credo che esista un’arte dichiaratamente e condizionatamente al femminile. Come non credo che esista un’arte di genere capace di accogliere e raccogliere in un’unica agora il senso intimo della ricerca, della travalicazione, del dubbio, dell’ascolto.

Eppure accade – e siamo qui per sostenerlo e ribadirlo –che sopravvive, alimentandosi, quella che la mia amica Loredana Rea (a lungo direttrice della Fondazione Umberto Mastroianni) ha definito su una tematica analoga, “una identità culturale della donna” che la pone, al contempo, quale soggetto e oggetto del dire.

Ed è questa identità che poniamo in campo oggi : una straordinaria raccolta di opere, di aliti, di rifiati. Una identità culturale e artistica che è privilegio e penna di ognuna, esercizio e indagine, sintesi e percorrenza.

Non c’è la necessità di sottolineare (anche in questo ambito) la presenza delle cosiddette “quote rosa” per scardinare un sistema (anche in questo ambito) a trazione maschile. No. Non c’è questa necessità. C’è piuttosto il fermo intendimento di ribadirne la presenza come anime testimoniali, come sguardi visionari, quasi custodi di segreti poetici. E poi c’è, mi pare, la cognizione di essere artiste a tutto tondo. Ovvero detentrici di una coscienza che fa di voi scrigni preziosi e affollati di tacce, di indizi, di rotte, di significati più o meno dolenti. Ma a questa condizione de-

sidero attribuire un ulteriore ruolo e peso. Quello di essere – proprio per identità culturale – un vero e proprio presidio di ascolto e di pronuncia. E assai spesso, fortunatamente, di denuncia.

Un ruolo e un peso che si fa politico, relazionale, ideologico, direi perfino taumaturgico. Perché siete più di altri – e lo dico senza retorica alcuna – sentinelle oltre la collina. Pronte a cogliere e a ricevere – assai spesso in anticipo –il senso, ovvero la sostanza, del divenire. Lo dimostrano le vostre opere, i vostri sguardi, le vostre parole dimesse, quasi sottovento. Ecco, questo ciclo di opere pare farsi luogo di questi intendimenti, di queste aspirazioni. E pertanto luogo magico di suggestioni, di confronto, di accoglienza, di uso collettivo.

L’8 marzo – che noi viviamo idealmente oggi – non è soltanto una data iconica, rievocativa o addirittura riabilitativa. E’, grazie a voi il nostro quotidiano. Quello fatto di ascolto, di tolleranza di libertà, di partecipazione. Per ogni ora del giorno, per ogni giorno dell’anno.

E allora, a conclusione di questo mio breve intervento, non posso non ringraziarvi. Ho avuto il privilegio di conoscervi, di incrociare le vostre parole, di riflettere sulle vostre opere. Qui all’ombra del vulcano, ho avuto in dono la vostra arte, fatta di approdi, di ripensamenti, di storie fragili, di percorsi inconsueti, di generosità.

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Le artiste al MAV

Oggi Virginia Carbonelli, Mariangela Calabrese, Anna Di Fusco, Susanna Doccioli, Bahar Hampezour, Diana D’Ambrosio, Barbara Martini, Isabella Nurigiani, Rossella Restante, Raha Tavallali si fanno testimonianza incalzante di un mondo – quello femminile – che non ha avuto sconti o privilegi, o immunità di sorta. Sono loro, le artiste, l’esito temporale, e quindi transitorio, di una memoria comunque stipata.

Narrano la Storia: quella individuale e comunitaria, una Storia di debolezze e di dispute, di silenzi, di distacco, di faticosa presenza. Per segnali di fuoco e di sangue, per dorature pallide, per morsure e lesioni, per corpi dissennati e voci di dentro.

Tutto ciò accade in un “paesaggio” che è spazio del cielo e dell’anima, del bronzo e delle nuvole, pancia dei mille racconti e dei mille rifiati. Un pezzo di mondo unico ma collettivo dove ogni occhio è stato – ed è – guardiano, alito, sortilegio.

Per questo, e per molto altro, le ringrazio.

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opera di Rosella Restante (part.) opera di Mariangela Calabrese (part.)

FAUSTO BERETTI

Nasce a Reggio Emilia nel 1962. Nel 1980 consegue il diploma di Maturità Artistica al Liceo Artistico di Bologna e frequenta il Corso di Scultura diplomandosi nel 1984 come Maestro Scultore all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Negli anni della sua formazione è stato allievo di Ugo Guidi, Enzo Pasqualini e Quinto Ghermandi. Dal 1984 al 1988 lavora per la curia di Reggio Emilia eseguendo copie di quadri antichi per numerose chiese della diocesi, appassionandosi alle tecniche antiche. Dal 1987 al ’90 insegna Discipline Plastiche all’Istituto d’Arte “G.Chierici” di Reggio Emilia. Dal 1990 al 1992 ha vissuto e lavorato a Parigi eseguendo una serie di quattro grandi tele dedicate al ballerino russo Nijinsky, per il collezionista R. Bocobza. Nel 1991 incontra a Parigi lo scultore Jacques Canonici con il quale condividerà una solida amicizia e un intenso periodo di creazione artistica. Dal 1992 al ’94 collabora con la ditta “Archè Restauri” di Parma, lavorando in Italia e all’estero. Nel 1995 ottiene la cattedra di discipline plastiche all’Istituto d’Arte “P.Toschi” di Parma dove tuttora insegna. Nel 2019 entra a far parte della prestigiosa associazione di artisti bolognesi “Francesco Francia”.

Disegnatore, pittore ma soprattutto scultore, si rifà alla tradizione rinascimentale e manierista italiana, Michelangelo, Giambologna, Pontormo, e ai grandi scultori francesi

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dell’ottocento Dalau, Carpeaux e Rodin, studiando la figura in movimento e rievocando temi classici e mitologici. IL SONNO DELLA BELLEZZA lato del Centauro semigres nero h.73x69x33 cm anno 2018-19 IL SONNO DELLA BELLEZZA lato della Dea semigres nero anno 2018-19

Visitare di persona un laboratorio – quello di un pittore e ancor più quello di uno scultore – è un’esperienza assolutamente incontournable per chi volesse entrare in contatto con l’arte dal punto di vista degli artisti. Mi sento di suggerirlo caldamente a chi studia l’arte e la sua storia e anche a chi semplicemente è in cerca di emozioni estetiche. Quando l’artista bolognese Fausto Beretti mi invitò nel suo atelier parmigiano, fui lieto di accedere al suo antro personale, di respirare gli odori forti dei materiali, d’immergermi nella miriade di immagini anatomiche di cui era disseminato, di aggirarmi nei vari ambienti come nelle anse affollate del suo immaginario. Sapevo già che presto o tardi avrei scritto di lui e delle sue opere. In questi anni ne ho scritto in diverse occasioni, ma non ancora in maniera organica come in questa. La sua ricerca visiva, sia nella pittura sia nella scultura, è chiaramente ispirata alla grande tradizione del Rinascimento e del Manierismo italiani, di cui è un appassionato ammiratore, di più, un fedele seguace. In accordo con questi principi, che Beretti non nasconde ma rivendica orgogliosamente, modelli dichiarati sono, su tutti, Michelangelo Buonarroti, Jacopo Carucci da Pontormo e Jean de Boulogne o Giambologna. E come dargli torto: i vertici raggiunti dai grandi maestri del Cinquecento italiano sono inarrivabili, come testimoniano le “gallerie italiane” dei più importanti musei di tutto il mondo.

A partire dai primi anni Novanta, la rilettura di quella meravigliosa e irripetibile stagione dell’arte italiana è andata temperandosi – o acuendosi, secondo il punto di vista – attraverso la straordinaria lezione della scultura e della pittura francese del XIX secolo. Maestri diacronici di questo curioso apprendistato furono soprattutto gli scultori JeanBaptiste Carpeaux, Jules Dalou e Auguste Rodin, e i pittori Théodore Géricault ed Eugène Delacroix. La loro frequentazione nelle solenni sale dei musei parigini ha condotto la creatività di Beretti ad esiti in qualche modo originali e orgogliosamente anacronistici.

La pittura di Beretti fa sue le conquiste del tardo romanticismo d’oltralpe, ma rifiuta le sperimentazioni degli “ismi” che nei decenni successivi avrebbero fatto della Francia il crogiuolo delle avanguardie. In un’epoca di frenetico inseguimento del nuovo, l’artista bolognese opera una scelta controcorrente, ostinatamente à rebours. La sua produzione scultorea non si allontana da questo centro gravitazionale; essa è ispirata alla buona tradizione del modellato di figura, nel quale è andato specializzandosi in lunghi e proficui decenni d’intensa attività, con particolare attenzione alla figura in movimento declinata nell’iconografia classica, religiosa e mitologica.

Evidentemente a questa elezione estrema non è estranea quella straordinaria e sognante fiaba fin de siècle che è il suo soggiorno parigino dei primi anni Novanta, in cui vive sulla sua pelle il mito degli umidi ateliers e delle mansardes, di una bohème tardiva eppure assolutamente sincera ed autentica, di quelle che ogni studente di belle arti ha sognato almeno una notte nella sua vita. La sua jeunesse artistique sembrava a un passo dalla sua miracolosa soluzione attraverso le favolose commesse di un facoltoso collezionista dal nome e dal destino decadente; ma “la vita non è sogno” come scriveva Salvatore Quasimodo e Beretti ce ne ha lasciato mémoires in un suo nostalgico ricordo. L’arte tuttavia, ormai lo sappiamo, non è solo ricerca formale. L’opera è un sinolo straordinario di forma e materia, di tecnica e idee. Nel creare Beretti ricerca una profondità di senso e la rintraccia nell’iconografia sacra, nel mito classico, nella tradizione letteraria, nell’alchimia. Questo straordinario patrimonio d’immagini fornisce ispirazione e significati allegorici alla sua arte, che pesca a piene mani nei più esaltanti repertori figurativi.

L’arte è per Beretti figurativa, o non è. Egli non cede mai alla tentazione di violare il suo monolitico iconismo con espressioni informali o astratte, non ha mai la tentazione di abbandonare la figura, per lui del tutto irrinunciabile. Pare quasi affiliato a un conciliabolo antico e rigorosissimo; d’una fedeltà assoluta e a tutta prova.

Di più: la figura nelle sue opere, pur declinandosi in un’ampia gamma di temi, è sempre antropomorfa. L’uomo è sempre al centro delle sue speculazioni e delle sue sperimentazioni. La rivoluzione antropocentrica, umanistica e rinascimentale, ha lasciato una traccia indelebile nella storia e nel suo immaginario. L’uomo è la misura assoluta del suo essere e del suo operare.

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LA BARCA DI CARONTE terracotta 32x65x30 cm anno 2008 DANNATO-terracotta-cm-37x15x20-anno-2002

DOMENICO COPPOLA (GIGLI)

Ho avuto la fortuna di conoscere, in anni giovanili, importanti artisti torinesi dei quali già si parla sui libri di Storia dell’arte. Alcuni sono stati miei insegnanti mentre di altri ho visitato gli studi. Devo dire però che la “ Bellezza della Pittura “ l’ ho incontrata sopratutto quando da ragazzo visitai la Galleria d’Arte Moderna di Torino: che piacere osservare dal vivo le opere dei grandi maestri dell’ Ottocento! Non furono tanto i soggetti che mi colpirono quanto il modo in cui erano stati eseguiti: che impasti cromatici , che abilità esecutive, che maestria del disegno! Pur rimanendone ammirato, allora intrapresi altre strade artistiche discostandomi dalla tradizione. Attualmente sono convinto che prima o poi si ritornerà a quel tipo di stagione artisti-

Gigli ( nome d’arte di Domenico Coppola ) dopo aver compiuto gli studi al Liceo Artistico di Torino, ha frequentato l’accademia di Belle Arti e scuole di grafica e fotografia. Abilitato all’insegnamento di Arte e Immagine nelle scuole pubbliche, ha iniziato la carriera artistica nell’ ambito della ricerca astratto-spaziale ed in seguito si è interessato ad espressioni pittoriche d’avanguardia, aventi come soggetto la figura umana. Dopo un periodo di riflessione e di sperimentazione, è approdato in anni recenti ad una produzione artistica che si caratterizza per l’eclettismo pittorico e che ha come soggetto principale il paesaggio, rappresentato utilizzando diversi mezzi espressivi e stili pittorici.

ca e che la natura diventerà di nuovo la vera protagonista a cui si ispireranno i veri grandi pittori dell’ Arte del futuro (Domenico Coppola)

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L’ albero, i riflessi, le nuvole Tramonto sui campi bruciati L’alba sui campi bruciati
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Formazione artistica Sin da ragazzo frequenta le più prestigiose botteghe d’arte della ceramica in Grottaglie. Contemporaneamente frequenta e acquisisce il titolo di maestro d’arte presso l’Istituto d’Arte grottagliese. Prosegue gli studi e frequenta i corsi internazionali di incisione a Urbino e successivamente quelli di pittura a Salisburgo. Tematiche L’esperienza pittorica è altamente articolata, sperimenta l’arte concettuale sotto la guida di Opalca a Salisburgo. Conosce e sperimenta la Pop Art con Joe Tilson ad Anacapri. Tecniche Utilizza tutti i materiali possibili. Negli anni a seguire attraversa un percorso di ricerca e rinnovamento figurale. Bibliografia Numerose sono state le mostre di successo che lo hanno visto protagonista in varie parti del mondo rendendolo uno degli artisti più apprezzati nel panorama contemporaneo.

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MEO
ENRICO
Angelo 3 - 2014 acrilico su tela - cm50x50 Angeli - 2013 - acrilico su tela - cm60x80 Angelo - 2015 - acrilico su tela - cm120x80

Nato a Grottaglie TA nel 1943. Sin da ragazzo manifesta particolare sensibilità verso i problemi umani e artistici. Parallelamente agli studi scolastici, compiuti presso l’Istituto d’Arte del suo paese, frequenta le botteghe d’arte per sperimentare, tecniche e procedimenti artistici che arricchiranno considerevolmente la sua formazione giovanile. Frequenta in seguito i corsi di incisione a Urbino, il corso d’arte contemporanea ad Anacapri sotto la guida di Joe Tilson e il corso d’arte concettuale a Salisburgo tenuto da Roman Opalka. Nel corso della sua esperienza artistica at-

traversa un primo periodo in cui l’interesse è rivolto esclusivamente a problemi socio-politici e poi in un secondo tempo dopo una breve pausa di riflessione, sposta la sua attenzione verso la religiosità delle forme e dei principi che la regolano. Si è imposto fin dagli anni Settanta per il suo deciso carattere riscuotendo successi in campo nazionale e internazionale. Ha esposto a Milano, Cosenza, Torino, Parma, Firenze, Bologna, Parma, Palermo etc. e all’estero a Salisburgo, Los Angeles e La Plata.

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Angelo - 2016 - acrilico su tela - cm30x40 Angelo - 2000- acrilico su tela - cm50x50 Angeli - 2011 - acrilico su tela - cm30x40 Angelo - 2014 - acrilico su tela -cm50x50

ALESSIA ZOLFO

I soggetti ritratti da Alessia Zolfo hanno una carica empatica impressionante e riescono a mettersi naturalmente in diretto dialogo con chi osserva; l’artista mette in atto una pittura di ricerca e sperimentazione, con l’utilizzo di collages in cui si intravedono grafie e con un’importante componente segnica. Volti dai lineamenti marcati ma dolcissimi e dagli sguardi cristallini raccontano la loro personale storia di amicizia, nostalgia, fratellanza, tristezza e lo fanno grazie al talento espressivo di un’artista dallo stile

originale e inconfondibile.

Franzil critico e gallerista di ArtTime Udine

mail: zol317@gmail.com

tel. 349.444 4774

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Alessia Zolfo e’ nata a Napoli nel 1984. Ha frequentato dapprima la facoltà di filosofia alla Sapienza di Roma e successivamente si è diplomata in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Frosinone. Dal 2009 è docente di Arte nella scuola secondaria. Sperimenta con molteplici tecniche

espressive che spaziano tra pittura, scultura e grafica e da quasi vent’anni opera nel campo delle arti, ottenendo premi e riconoscimenti tra cui il Premio Pandosia 2006, il Premio Morgese 2009, il Premio Il Segno 2011 e il Premio Biennale d’Arte Imprimatur del 2012. La sua ricerca artistica, sempre in continua evoluzione, si pone come obiettivo quello d’indagare le possibilità d’espressione della figura pur contaminata dai linguaggi dell’informale e del concettuale ma senza essere inscrivibile precisamente in nessuna di queste. I soggetti raccontano, tra storie, mitologie, e identità indefinite, quelle tematiche filosofiche dell’esistenza, della vita e della morte, che la appassionano dagli studi liceali.

Alessia Zolfo ha esposto le sue opere in eventi internazionali di rilievo, tra cui l’Esposizione Triennale di Roma del 2014 e la 54esima Biennale di Venezia del 2011. È tra i finalisti del Premio Mestre 2022. È finalista al Premio della Fondazione Amedeo Modigliani 2022 nella sezione pittura. Vive ad Alatri (FR).

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FRANCO TARANTINO

Il pittore Pugliese(nato a Monopoli) Franco Tarantino, dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte di Bari si diploma al liceo artistico di Lecce, poi trasferitosi a Milano (dove si è diplomato a Brera e all’Istituto superiore di Scultura del Castello Sforzesco), da anni rappresenta l’esempio magistrale di un percorso e una maturazione artistica che lo ha portato da un’ importante esperienza figurativa, all’attuale esperienza di astrazione cosmica e contaminazione di generi. Notato subito dalla critica per le sue doti di disegnatore e incisore figurativo- surreale di stampo Picassiano e Chagalliano, è sempre stato attratto dal colore e dalla forma realizzando negli anni oltre a bellissime incisioni di grande formato, quadri polimaterici coloratissimi, sculture e piatti in ceramica di grande suggestione. Prima ancora di essere pittore, Franco Tarantino è un grande sognatore Felliniano, (vedi opere come Annunciazione,1995, “I trapezisti”, 1996; “L’albero bifronte”,1999) che crede nella libertà creati-

ve dell’uomo, ma anche uno strenuo difensore di libertà e istanze civiche, e sociali (vedi opere come “No terrorismo”, 2006 e “USA 11settembre”, 2006; “Giustizia e Libertà, 2006 una grande tela di metri 5×2). Una delle sue doti infatti è di sapersi esprimere sia nel piccolo che nel grande formato. Forse vale la pena di approfondire alcuni suoi temi e simboli ricorrenti prima che approdasse all’attuale periodo “informale” ricco di fluorescenze coloristiche-emozionali inconsce e giardini segnici. Sono essenzialmente l’Albero, la Donna, Il Cavallo e Don Chisciotte. L’Albero, ha una potente risonanza simbolica: attraverso l’immagine dell’albero che continuamente si rinnova e rinasce, Tarantino ci parla dell’Artista e della sua Arte portatrice di valori, rinascita e memorie e nido di sogni. Dall’immagine biblica dell’albero della vita alle parole di Alce Nero, il mistico Sioux che lo rappresenta al centro del cerchio del mondo, l’albero costituisce un’immagine universale e

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atleti - 2022 . bronzo 30x35x10cm ok

archetipica, un simbolo potente che vive e si moltiplica, nello spazio e nel tempo, in un’infinita varietà di forme.

Tarantino raffigura gli alberi negli anni sia nell’incisione (di cui è uno dei maestri Italiani contemporanei) che nelle tele, con angeli dormienti, Amazzoni sognanti, pulsioni afrodisiache, un naturale habitat di poeti e sognatori, luogo d’incontri ecologici, iconologici, simulacro di visioni e di evasione, tramite tra due mondi, quello terreno e quello spirituale.

La Donna: Tarantino ha raffigurato Donne bellissime e sensuali, amazzoni, cavallerizze, modelle, illusioniste, equilibriste etc…ma sempre con un’idea di bello e di armonia, di forme modellate sulla bellezza, linee che accarezzano l’idea di un amore infinito e assoluto. Per Arturo Schwarz, in “La donna e l’amore al tempo dei miti” – Ed. Garzanti – tutte queste dee rappresentano l’Eterno Femminino, con le sue caratteristiche fisiche, bellezza e luminosità, e le sue virtù iniziatiche e salvifiche. La donna, quindi, depositaria dei misteri (le donne, incomprensibili e astute, per gli uomini –come Athena) e soprattutto dei misteri della sessualità e dell’amore. Sempre a proposito della Donna, Jung scriveva: “Quale immagine primordiale sta dietro le rappresentazioni dell’arte?” E poi afferma: “Ogni uomo porta in sé l’immagine eterna della donna, non di una determinata donna, ma l’immagine del femminile” (C.G. Jung:”Seelenprobleme der Gegenwart”, Rascher).

mail.: 1francotarantino@gmail.com

Sito: https://it-it.facebook.com › franco.tarantino2

tel. 328.878 6353

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Fino al 30 Aprile 2023 si potrà ammirare presso Spazio Vitale Galleria Arte Contemporanea Aversa – Napoli la mostra Traversata di Antonio Vidal Máiquez a cura di Giovanni Cardone e Salvador Torres Testi di Giovanni Cardone, Salvador Torres e Javier Vidal . Come afferma Giovanni Cardone nel suo saggio storico- critico dicendo : La pratica dell’arte ha oggi una particolare necessità nella società contemporanea poiché è proprio l’arte che riesce a rendere

l’esistenza più ampia di quanto non appaia comunemente, rendendo percepibili occulte visioni. Analizzando le opere di Antonio Vidal Máiquez mi sono sempre posto una domanda se l’artista dava continuità o apertura indefinita, sequenzialità o diramazioni incontrollate, quale era la via da intraprendere? Antonio Vidal Máiquez attraverso le sue opere cerca la verità, l’ideale prospettiva geometrica, la forma indispensabile dalla doppia valenza terrena e astrale.

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In Mostra a Spazio Vitale : Antonio Vidal Máiquez in Traversata

Oppure è alla ricerca di un modulo innovativo di sperimentazione e sintesi che fa parte di una sua identità interiore. Tracce di luce guidano la creatività, che lo conducono verso la narrazione della realtà che lo circonda che egli descrive con mirabile maestria. Le suggestioni delle sue opere si dilatano in ricercate atmosfere, divenendo flebili respiri, tensioni verso l’immanenza, nella scintillante immediatezza della pura sperimentazione. Il colore si libera dalla forma, sublima verso realtà concrete donando allo spazio nuove e articolate visioni. Uno spazio di luce si dirama oltre i limiti conosciuti della forma trasformando ogni esperienza onirico geometrica in una catalogazione cosmica dell’animo. Strutturazioni coeve e sequenziali assemblano razionalmente inediti linguaggi, intercalando piani e frammenti tonali. Dalle sue opere di Antonio Vidal Máiquez affiorano innumerevoli realtà parallele oltre le convenzioni del visibile e dell’agire, generando corrispondenze e analogie tra creazione e genesi. Sentimenti dell’animo si fanno luce e approdano verso arcani arcipelaghi prospettici attraverso flebili e illusorie sinuosità narrative. Si assiste, ad uno scontro epocale tra linearità del tratto e dinamicità fluttuante della composizione, ora rotante, ora integrata tra dogmatiche sovrapposizioni orizzontali e verticali. Il purismo geometrico che si sovrappone ed è sostituito da spezzati ingranaggi di macchine sensoriali di una realtà sintetica, fluiscono nell’aria creando vortici dinamici di entità oniriche e vertigini ideali. La dimensione plastica della materia si dirama nello spazio alternando realtà trascendenti a lampi di luce abbagliante e infinita. L’essenziale incontra l’effimero, eros e thanatos dell’immaginario, alla ricerca dell’inedita forma, esiziale paradigma di un’ancestrale solitudine, muta testimone di

continue sperimentazioni, sinuosità tattili, simmetrie sussultorie. Perfezione ed essenzialità, germinali sequenze, sottesi intrecci, fluttuano liberi nelle lontane rimembranze segniche per divenire essenze di transiti e rivelazioni di idee organico primigenie. Segmenti iridescenti si sovrappongono, ordinati nello spazio, rimodellando atmosfere, entità fenomeniche di sapienti sussurri, variabili astrali di cristalline scansioni luminose, meditate modulazioni. Colore e Luce vibrano sensibilissimi sul substrato generando un armonico e affascinante equilibrio, quieto limite di arcane aspirazioni sensoriali, mitici destini, tensioni sacrali. Dopo l’approdo, ecco l’abbandono, ovvero il desiderio di nuovi orizzonti articolati da linee spezzate e filiformi che si incuneano in mirabili frammentazioni ideative, sintomo di smarrimento esistenziale e deciso allontanamento da una realtà ormai aliena. Come lame percettive, simboliche linearità complesse s’insinuano sul substrato trasfigurando le essenziali casualità tonali delle composizioni in analitiche volontà rappresentative. Vibratili strutture appaiono come affascinanti tensioni di cristallina innocenza espressiva sospese tra una fenomenologia evocativa e una sintetica esperienza visiva. Oltre il rapporto spazio- tempo Antonio Vidal Máiquez medita sull’irrevocabilità del frammento, sulle tracce armoniche delle forme geometriche che reggono l’universo alla ricerca delle primordiali temporalità oggettive.

Il frammento, lontano dal suo contesto naturalistico, estende la sua presenza tra sovrapposizioni e integrazioni di materia pittorica generando un affascinante intreccio ritmico. Per il “rivoluzionario” Antonio Vidal Máiquez il tempo è come ibernato, purificato, trasfigurato da un’inedita linfa vitale.

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Giorgio Billia nasce a Roccaverano (AT) il 21 Marzo 1956. Frequenta il Liceo Artistico “Cottini” e l’Accademia di Belle Arti di Torino, corso di Scultura del prof. Alessandro Cherchi e Raffaele Mondazzi.

Esordisce con le prime mostre personali negli anni 1987 e 1988 presso la Galleria d’arte G.Fasolino (To), con presentazione critica a cura di Francesco Lodola ed Elena Pontiggia.

Partecipa in seguito a mostre personali e collettive, tra cui: 1990 – Biennale di Arte moderna e contemporanea di Torino a palazzo Nervi;

1992 – Fiera di Bologna a cura di Elena Pontiggia ; 2012 – “Lo stato dell’Arte” – Padiglione Italia- Biennale di Venezia a cura di Vittorio Sgarbi.

Le prime opere sono grandi frammenti di rapaci realizzati con materiali poveri che rimandano efficacemente ad un concetto di naturalismo: le immagini, strappate al loro contesto, diventano elementi concettuali.

Le opere successive sono caratterizzate da una ricerca figurativa, dove emerge un uso prevalente del colore per evidenziare le caratteristiche espressive dei personaggi ritratti.

Le ultime opere, infine, abbandonano l’uso del colore, mantenendo uno stretto legame con la figuralità e ispirandosi a canoni classici. Fondamentale è il significato concettuale dei lavori, accomunati da un unico titolo che ne rappresenta la vera essenza.

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GIORGIO BILLIA
“RAPACE” - anno 1999 - dimensioni 170 cm. x 60 cm. materiali gesso duro e legno verniciato- “CECITÀ”. - anno 2020 - 60 . x 38 cm

ARIPA DI MARIANA PAPARA’

Volendo ammirato, scrivere oggi sull’arte di Mariana, sottolineo subtio quello coerenza profesionale che - in pratica - la caratterizza da sempre, giustficata dall’equilibrata linearita insita in ogni lavoro espresso a tecnica mista e ad acrilico che se svela l’autonomo volto espressivo. Il suo e un impegno di ricerca che tuttavia non va da un luogo all’altro: mai dettato dalla casualita, rifugge l’odierna altrui superficiale e invadente consuetudine cucita alla casualita e all’ apparenza. Il percorso d’ogni dipinto include, înfatti, la stessa ‘ memoria’ per cui Marta Geirut, poetessa e artista scomparsa nel 2005, se l’avesse conosciuta, avrebbe senza dubbio detto essere ‘carta viva’.

Tracce e tracciati, simboli.

In Mariana Papara vivono indiscutibilmente i segni della constante riflessione dove gli attimi vitali, composti anche

da lamine dorate e argentee, da ferite rosso/ sacrificio e da vibrazioni astratte, conducono îl pensiero verso una pulsante tensione non priva di intimi accenti e ormai lontani echi figurali, si da evocare îl ‘mistero’.

L’artista proseque un interessante viaggio interpretando il proprii tempo, ecco che sulle tavole e sulle tele e sulle carte vive un pensiero lirico concretizzato da uno spazio/ colore funzionale ai propri valori morali indiscutibilmente significativi. In lei non c’e l’imitazione dell’oggetto o della materia, bensi una fantasia fata imagine in cui confluiscono, s’addensano e s’agrumano immagini di un ‘Io’ che dice e che fa, in un dare forme assestate e spiritualizzate, quasi come un voler consegnare continuativamente agli anni la generosita creativa di cui e dotata.

(Lodivico

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Nata a Braila, in Romania nel 1955, Mariana Papară si è laureata in pittura presso la prestigiosa Accademia d’Arte “Ion Andreescu” di Cluj Napoca, conseguendo successivamente il riconoscimento di artista professionista attraverso un ulteriore e severo percorso formativo triennale, richiesto nel suo Paese per l’accesso all’Albo dell’Unione Artisti Professionisti della Romania. In parallelo, si è dedicata allo studio di numerose tecniche specialistiche antiche e contemporanee come l’iconografia bizantina, la tempera all’uovo, il vetro cattedrale e la pittura su vetro, che ha sperimentato con personali esiti di “grafismo al rovescio”.

Per oltre vent’anni è stata docente di discipline pittoriche e disegno al Liceo artistico di Piatra Neamt, avviando al contempo, a partire dal 1978, una vasta attività espositiva che l’ha vista partecipare in veste di artista ospite in simposi internazionali, ed esporre presso gallerie e musei in Olanda, Belgio, Canada, Francia, Spagna, Svizzera e Italia.

(…) Il suo linguaggio fortemente comunicativo è frutto di lunghi anni di studi ed esperienze artistiche interdisciplinari, e si esprime su tavole lignee e installazioni, realizzate con materiali non solo utilizzati al servizio della forma ma concettualmente impiegati come trasmettitori di memorie e simbologie. Legni antichi, garze, pergamena, papiro, chiodi, carte da imballaggio, colle, tempere, acrilici e olii, si addensano e si raggrumano in impasti materici, amalgamati all’interno di una scrittura segnica e gestuale che per antitesi ne smaterializza il peso, allevia la gravità, suscita il levitare dell’anima. Raffinato e colto, il vocabolario di Mariana Papară sgorga da una consapevole capacità espressiva, dove ogni segno, ogni traccia, prende corpo e si traduce in immagine visiva, seguendo con esattezza il processo di pensiero che intende estrinsecare. I suoi lunghi e rigorosi studi accademici, e le profonde conoscenze di tecniche antiche e contemporanee sperimentali (spazianti dall’iconografia bizantina al vetro cattedrale, dalla tempera all’uovo alla pittura su vetro graffito con soluzioni personali per arrivare alla scultura mi-

niaturizzata del gioiello d’artista e all’utilizzo del medium tessile) le permettono di approdare all’improvvisazione creativa, che, come succede per altre discipline quali la musica e il teatro, è territorio di chi ha percorso con umiltà molti cammini di apprendimento e confronto.

Con una scrittura di radice neo-espressionista e informale, dalla quale tuttavia si discosta con stile ed esiti del tutto personali, Mariana Paparà intesse un efficace e coinvolgente dialogo tra finito e infinito, da cui sgorgano parole silenti e tratti che esplorano il sudario per trovare la via verso la purezza della gioia.

. ( Silvana Notta- critico d’arte)

mail.: marianaaripa@gmail.com www.facebook.com/ aripa.dimarianapapara tel. +40 0736 785 363

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Dal 5 aprile al 27 agosto 2023, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli ospita la mostra Picasso e l’antico che intende illustrare la profonda influenza di uno dei più grandi musei di arte classica sull’opera di uno dei più importanti artisti moderni, Pablo Picasso. La rassegna, curata da Clemente Marconi e allestita nelle sale della collezione Farnese, si divide in due parti: la prima relativa ai soggiorni a Napoli di Picasso, delineando come si presentava il museo al tempo della visita dell’artista (allora non ancora specificatamente “archeologico”, ma Museo Nazionale di Napoli dalla disposizione assai moderna nel superamento dei canoni espositivi ottocenteschi), e la seconda relativa al confronto tra le opere del museo e i lavori di Pablo Picasso.

In mostra l’eccezionale prestito del BritishMuseum di Londra di 37 delle 100 tavole che compongono la Suite Vollard.

A queste si aggiungono i rilevanti prestiti del Museo Picasso di Parigi e di Gagosian New York per un insieme di 43 opere messe a confronto principalmente con le sculture Farnese e i dipinti da Pompei, entrambi importanti chiavi di lettura del percorso artistico picassiano. La mostra è stata promossa dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli con il sostegno della Regione Campania, e con l’organizzazione della casa editrice Electa, la mostra Picasso e l’antico si inserisce nel progetto internazionale “Picasso Celebration 1973 – 2023: 50 mostre ed eventi per celebrare Picasso” nel cinquantenario della morte.

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LETIZIA CAIAZZO OMAGGIA PICASSO

L’artista Letizia Caiazzo,con due sue opere, celebra il genio di Pablo Picasso, opere che faranno parte del progetto di mail art ‘’ Omaggio a Picasso ‘’ di Generoso Vella. Queste le sue parole:Avellino si appresta a raccogliere opere da tutto il mondo e creare un ponte con tantissime nazioni.

Un onere e un onore ospitare le opere di artisti italiani e stranieri che mi danno fiducia e che intendono insieme dimostrare che l’arte supera ogni confine per arrivare ad affermare la libertà dell’essere umano e scoprire la bellezza della vita.

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MADRE - Museo d’arte contemporanea Donnaregina

Nel cuore storico di Napoli, i tre piani dell’ottocentesco Palazzo Donnaregina ospitano il MADRE - Museo d’arte contemporanea Donnaregina, fondato e interamente partecipato dalla Regione Campania: 7.200 mq di spazi espositivi, coninstallazioni sitespecific permanenti di artisti italiani e internazionali,opere del progetto per formare una collezione (2013-in progress) e mostre temporanee.

Il palazzo, che prende il nome dal monastero svevo di Santa Maria Donnaregina (XIII sec.), è uno splendido esempio di stratificazione storica, tipica di tutto il centro antico di Napoli. Acquistato nel 2005 dalla Regione Campania, è stato restaurato e adibito a museo su disegno dell’architetto portoghese ÀlvaroSiza Vieira, Leone d’oro alla carriera 2012, e ne è stata concessa la disponibilità alla Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee. Il 10 giugno 2005 il MADRE ha inaugurato i suoi spazi con l’apertura degli allestimenti site-

Ugo Marano al Madre fino al 31 Maggio 2023

Museo Madre Via Settembrini 79, Napoli

Il Madre presenta la mostra Ugo Marano”Le stanze dell’utopia”.

La mostra propone oltre quaranta opere, tra cui sculture, installazioni, disegni, dipinti e libri d’artista che, dalla fine degli anni Sessanta al 2010, danno vita ad un vero e proprio racconto del lavoro di Marano, declinato attraverso le linee guida che hanno orientato la sua attività. Un percorso di arte e di pensiero che ha riconosciuto nell’utopia la sua forza e il suo movente, non strutturato secondo ordine cronologico né in base ad una selezione per tecniche e materie, ma scandito in sette sezioni, in sette idee di Casa, Corpo, Tempo, Arte, Scrittura, Natura, Legame.

Il lavoro di Ugo Marano testimonia uno stretto legame con la natura, matrice stessa del suo agire artistico, la cui energia metamorfica non viene rappresentata tal quale, ma tradotta e restituita nella sua vitalità.

specific nelle sale del primo piano; tra il 2005 ed il 2006 l’intero edificio è stato completato, con l’apertura al pubblico delle sale del secondo piano e del terzo piano. Oggi il MADRE offre al suo pubblico, insieme ai percorsi espositivi temporanei e permanenti, una biblioteca, una mediateca, un bookshop/caffetteria, e organizza un articolato e molteplice programma di eventi e servizi didattici che prevedono l’accesso gratuito tutti i lunedì di ogni mese. Il MADRE - che si è progressivamente reso in questi anni il responsabile testimone di una storia che ha reso la Campania un crocevia di tutte le arti contemporanee - è un’istituzione rivolta a studiare e documentare il passato attraverso la sensibilità e i linguaggi contemporanei, sostenendo al contempo le pratiche emergenti e mettendo in relazione dimensione locale, nazionale e internazionale. Le parole chiave a cui si impronta la sua azione sono: pubblico, collezioni, ricerca.

Orari di apertura

Lunedì, Mercoledì, Giovedì, Venerdì e Sabato

dalle ore 10.00 alle ore 19.30

Domenica

dalle ore 10.00 alle ore 20.00

La biglietteria chiude un’ora prima della chiusura.

081.19528498

info@madrenapoli.it

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Ugo Marano

uomo estroso e dalla grande capacità creativa

Ugo Marano nasce nel 1943 a Capriglia, frazione di Pellezzano, in provincia di Salerno, è stato un artista, ceramista, studente dell’Accademia del Disegno presso la Reverenda Fabbrica di San Pietro nella Città del Vaticano e l’Accademia del Mosaico di Ravenna. Un talento visionario. Negli anni Settanta fu invitato a esporre alla Quadriennale di Roma, alla Biennale di Venezia e alla Triennale di Milano, nel 1982 al Centre Pompidou di Parigi. Nel 1991 creò il gruppo dei “Vasai di Cetara” nel borgo di pescatori in cui ha vissuto, a pochi chilometri da una città, Salerno, in cui nel 1996 progettò e realizzò la Fontana Felice. Figura eclettica, artista a tutto tondo, Ugo Marano muore nel 2011, a 68 anni, lasciando alla famiglia un importante patrimonio di opere d’arte, oggi conservato in “Casa Marano” a Capriglia. Artista poliedrico che ha spaziato in tutte le forme espressive con una vasta produzione concettuale e materica: dagli scritti alla pittura, dal mosaico alla ceramica, dalla scultura al design alla performance. Tutte le sue opere sono pervase da un percorso filosofico incentrato sull’uomo e la sua stretta relazione con la natura. In questo spazio immateriale e liquido, fluiscono immagini e pensieri in libera armonia non richiusi in compartimenti stagna ma liberi come l’aria. Ego sum liber.

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Édouard Manet:

30 capolavori alla Galleria Nazionale di Cosenza

Palazzo Arnone ospita per un mese un’esposizione dedicata al pittore francese padre dell’impressionismo.

Sono trascorsi Centoquaranta dalla sua morte e adesso possiamo ammirare nella nostra città, Cosenza, dal 24 marzo fino al 25 aprile, tra i corridoi di Palazzo Arnone, le creazioni del genio francese. Trenta capolavori incisi, della prestigiosa edizione Strölin, per scoprire come la Parigi di metà ‘800 entrò nella modernità. La mostra di Cosenza si chiama Manet. Noir et Blanc. A idearla e produrla è l’Associazione N. 9, mentre la curatela è affidata ai fratelli Mario e Marco Toscano.

Senza recarci al MetropolitanMuseum di New York potremo goderci Il chitarrista spagnolo (1860) per quell’Olympia di Parigi (1863) che tanto scandalizzo ‘alla sua prima apparizione pubblica. Manet era amato da Baudelaire e Zola perché voleva «essere del proprio tempo e dipingere ciò che si vede, senza lasciarsi turbare dalla moda».

Édouard Manet era Rivoluzionario suo malgrado, controcorrente per indole e ha rappresentato con la sua opera un punto di svolta per l’arte.

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L’Accademia però, salvo rari casi, non gli riconobbe a lungo la grandezza che avrebbe meritato (e desiderato). Manet cercava di portare sulla tela la realtà, amava dipingere all’aria aperta, venerava artisti del passato come Velasquez. Ma, al contempo, stravolgeva le aspettative di quanti si erano nutriti fino a quel momento con l’arte classica. Un amore per la vita reale, il suo, che fece innamorare del suo pennello scrittori come Baudelaire e Zola, ma faticò a incontrare i favori del grande pubblico e della critica. E così, a lungo, nei grandi Saloni e musei per i suoi quadri non si trovò posto per colui che molti oggi considerano il padre dell’impressionismo. In realtà Manet impressionista non fu mai o, almeno, non fino in fondo. Già il fatto che usasse il nero nei suoi dipinti – colore non utilizzato

dai suoi colleghi Renoir, Monet, Degas – rende complesso considerarlo tale.

L’unico quadro del PITTORE francese in ITALIA è il Ritratto del Signor Arnaud a cavallo, conservato alla GAM di MILANO. Le incisioni ESPOSTE A palazzo arnone edite nel 1905, furono stampate postume dalle tavole originali di Manet, da Alfred Strölin, importante collezionista e commerciante tedesco. Le 30 lastre pubblicate nel 1894 da Dumont (che comprendevano le 23 del portfolio curato da Suzanne Manet per Gennevilliers nel 1890) rappresentano una raccolta esaustiva della produzione dell’artista. Vennero infine biffate dallo stesso Strölin per evitare ulteriori impressioni».

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La Torre di Crawford

Scenografico bastione saraceno, a pianta quadrangolare è collocata in un contesto naturalistico mozzafiato. Situata sopra un contrafforte a protezione della baia, non molto distante dalla baia azzurra.

La struttura muraria di dimensioni quasi uniformi, abbraccia il Golfo di Policastro e le ripide montagne del Pollino fanno da controcanto all’incantevole Arcomagno di San Nicola Arcella. Costruita durante il viceregno spagnolo, a difesa dalle frequenti incursioni delle orde dei pirati, fa parte di una rete di torri d’avvistamento per la messa in sicurezza del territorio calabrese. Tra le tante costruzioni simili anche la Torre di Castrocucco a Maratea e la Torre di Fiuzzi a Praia a mare.

I pirati Saraceni, durante le loro incursioni non rapivano solo donne uomini e bambini per farne schiavi o merce da riscatto. Ma sceglievano le loro basi disposte nelle città costiere, saccheggiando edifici per poi fuggire via mare. Altre volte invece occupavano la città, imponendovi pesanti tasse, a chi non si sottometteva convertendosi all’Islam. La Torre di Crawford si presenta come una imponente struttura muraria di dimensioni quasi uniformi. Ha base quadrangolare con corpo troncopiramidale, dotata di due speroni di rafforzamento verso il mare, incastrati nel basamento. È provvista di cinque caditoie di controscarpa, poste lungo ogni fronte, insieme alle varie aperture da fuoco. Mentre dal lato monte è possibile ammirare il ponte levatoio. Una scala esterna a due rampe, invece conduce all’ultimo livello agibile della torre. Essa rappresenta infatti, uno degli elementi più importanti di tutta la costruzione. Mediante la quale è possibile accedere al primo e secondo piano del bastione che termina con un ampio terrazzo. Quest’ultimo, serviva per comunicare e avvertire le altre torri di vedetta su eventuali incursioni, ciò avveniva tramite grandi falò.

Posizionata davanti all’isola di Dino, ogni sera al calar del sole, investita dai raggi del tramonto, regala uno spettacolo davvero unico nel suo genere. Il bastione autentico patrimonio architettonico, racchiude al suo interno, non solo piacevoli memorie d’ordine storico, ma anche letterario. Il suo nome, probabilmente deriva dallo scrittore americano Francis Marion Crawford, il quale nei primi del Novecento vi soggiornò.

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Vi dimorò dal 1887 ai primi del ‘900. La struttura fu per ben venticinque anni il luogo preferito dallo scrittore, figlio dello scultore americano Thomas Crawford e di LouisaCutlerWard. In questi anni scrisse 45 romanzi e molti saggi storici. I suoi maggiori successi furono quelli del mistero e del terrore, da cui in seguito trassero pellicole cinematografiche. Appassionato anche di vela, mentre compiva viaggi nel Tirreno Meridionale, arrivò a sbarcare nelle acque della baia di San Nicola Arcella, innamorandosi del posto. Egli che già conosceva ben 17 lingue, per amore della nostra terra, imparò anche a parlare il nostro dialetto calabrese in un modo perfetto, tanto da ingannare persino la gente del posto. Oggi sono oggetto di studio, i periodi trascorsi da Crawford a San Nicola Arcella, per una fedele ricostruzione della sua vita e delle opere. La Torre e le meraviglie calabresi ispirarono così tanto

lo scrittore, che ne beneficiò, soprattutto nella stesura del racconto ‘For the Blood is the life’, in cui la protagonista, Cristina, è una donna sensuale e selvaggia che si trasforma in vampiro. Il racconto fu pubblicato per la prima volta nel dicembre del 1905 in un periodico americano, celebre per aver ospitato anche i racconti di Arthur Conan Doyle. L’attrazione è l’amore per la nostra terra, portò spesso il romanziere a San Nicola, ambiente ideale per i suoi racconti intrisi di mistero e dove completò anche uno dei suoi ultimi racconti, The diva’sruby del 1907. Nel centro storico del paese all’epoca denominato Casaletto, fino a qualche decennio fa esisteva qualcuno che ricordava lo scrittore anglosassone, il “Lord Inglese” così denominato. Oggi la torre dopo aver avuto nel corso degli anni molti destinatari, è di proprietà dei signori Calia di Napoli, i quali hanno pensato di trasformarla in un museo.

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Arte Città Amica Centro Artistico Culturale ________________________ Via Rubiana, 15 – 10139 - Torino Tel. 011 7768845 – 338 7664025 Incontri d’Arte inaugurazione venerdì 16 giugno alle lore 18,00. La mostra è visitabile dal lunedì al sabato dalle 16 alle 19 Bipersonale con: Enzo Briscese & Michele Roccotelli Dal 16 al 28 giugno 2023

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La Torre di Crawford

2min
pages 48-49

Édouard Manet:

1min
pages 46-47

MADRE - Museo d’arte contemporanea Donnaregina

2min
pages 44-45

ARIPA DI MARIANA PAPARA’

3min
pages 40-42

In Mostra a Spazio Vitale : Antonio Vidal Máiquez in Traversata

2min
pages 37-39

FRANCO TARANTINO

2min
pages 34-36

ALESSIA ZOLFO

1min
pages 32-33

DOMENICO COPPOLA (GIGLI)

2min
pages 28-31

FAUSTO BERETTI

3min
pages 26-27

SGUARDI DI CONFINE AL MAV DI ERCOLANO NOVE OPERE, TUTTE AL FEMMINILE di Rocco Zani

2min
pages 23-25

INTERVALLI DI CONFINE

1min
page 22

PER SEQUENZE DI LUCI E DI INCANTI di Rocco Zani

1min
page 21

Il Surrealismo in mostra a Milano con i capolavori di Magritte, Dalì e Man Ray

1min
page 20

RENOIR. L’ALBA DI UN NUOVO CLASSICISMO

2min
pages 18-19

ANGELO BUONO

1min
pages 16-17

ATTILIO LAURICELLA

2min
pages 14-15

AURORA CUBICCIOTTI

3min
pages 12-13

LA MOSTRA “PURO VISIBILE”

5min
pages 8-11

MICHELE ROCCOTELLI

2min
pages 6-7

ENZO BRISCESE

3min
pages 2-5

La Torre di Crawford

2min
pages 48-49

Édouard Manet:

1min
pages 46-47

MADRE - Museo d’arte contemporanea Donnaregina

2min
pages 44-45

ARIPA DI MARIANA PAPARA’

3min
pages 40-42

In Mostra a Spazio Vitale : Antonio Vidal Máiquez in Traversata

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pages 37-39

FRANCO TARANTINO

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ALESSIA ZOLFO

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pages 32-33

DOMENICO COPPOLA (GIGLI)

2min
pages 28-31

FAUSTO BERETTI

3min
pages 26-27

SGUARDI DI CONFINE AL MAV DI ERCOLANO NOVE OPERE, TUTTE AL FEMMINILE di Rocco Zani

2min
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INTERVALLI DI CONFINE

1min
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PER SEQUENZE DI LUCI E DI INCANTI di Rocco Zani

1min
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Il Surrealismo in mostra a Milano con i capolavori di Magritte, Dalì e Man Ray

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RENOIR. L’ALBA DI UN NUOVO CLASSICISMO

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ANGELO BUONO

1min
pages 16-17

ATTILIO LAURICELLA

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pages 14-15

AURORA CUBICCIOTTI

3min
pages 12-13

LA MOSTRA “PURO VISIBILE”

5min
pages 8-11

MICHELE ROCCOTELLI

2min
pages 6-7

ENZO BRISCESE

3min
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