HISTORICAL ATLAS OF CHARITY

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ATLANTE STORICO DELLA CARITÀ


JUAN MARÍA LABOA

ATLANTE STORICO DELLA CARITÀ

LIBRERIA EDITRICE VATICANA


INDICE

International Copyright © 2014 Editoriale Jaca Book SpA, Milano Libreria Editrice Vaticana tutti i diritti riservati Prima edizione italiana settembre 2014 Copertina e grafica Break Point/Jaca Book

INTRODUZIONE Capitolo 1

LA TENEREZZA DELLA PATERNITÀ

Capitolo 2

LE PARABOLE DI GESÙ

Capitolo 3

I MIRACOLI DI GESÙ

Capitolo 4

LA COMPASSIONE E LA MISERICORDIA DI GESÙ

Capitolo 5

IL DIACONATO

6 11 8 23 29 33

Capitolo 6

IL MARTIRIO, SEGNO D’AMORE PER DIO E PER GLI UOMINI 39

Capitolo 7

LA COMUNITÀ ROMANA NEL TRAMONTO DELL’IMPERO

Capitolo 9

I PADRI DELLA CHIESA E LA GIUSTIZIA SOCIALE

Capitolo 10

COLLABORAZIONE TRA LE CHIESE

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COMPAGNIE DEL DIVINO AMORE E SPAZI DI ACCOGLIENZA 61 MISSIONARI ITINERANTI

Capitolo 13

EVANGELIZZARE È AMARE

Capitolo 14

LE TENTAZIONI CONTRO LA CARITÀ

Composizione e selezione delle immagini Pixel Studio, Milano Stampa e confezione xxxxxxxxxxxxxxxxx ISBN 978-88-16-60492-6 Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si può rivolgere a: Editoriale Jaca Book SpA – Servizio Lettori Via Frua 11, 20146 Milano Tel. 02-48.56.15.20, fax 02-48.19.33.61 e-mail: libreria@jacabook.it; internet: www.jacabook.it

Capitolo 15

IL MONACHESIMO

Capitolo 17

SAN MARTINO DI TOURS E ALTRI SANTI

Capitolo 18

LE OPERE DI MISERICORDIA

Capitolo 19

FRANCESCO D’ASSISI

Capitolo 20

I MENDICANTI

Capitolo 21

PELLEGRINI E OSPEDALI

PERDERE LA LIBERTÀ AFFINCHÉ IL FRATELLO SIA LIBERO

Capitolo 24

AL SERVIZIO DEI MALATI

Capitolo 25

L’ISTRUZIONE DEI POVERI

Capitolo 26

INSEGNARE A CHI NON SA

Capitolo 27

LA PRESENZA DELL’AMORE CRISTIANO NELLE CARCERI

Capitolo 28

I SEGNI DEI TEMPI CONGREGAZIONI RELIGIOSE DEL XIX SECOLO: RISPOSTE ALLA POVERTÀ UMANA CATHOLIC WORKER

Capitolo 31

IL DIALOGO CON IL DIVERSO. I CRISTIANI SCOMODI

Capitolo 32

IL MISTERO DI CRISTO NEI POVERI

Capitolo 33

HÉLDER CÂMARA E ÓSCAR ARNULFO ROMERO

Capitolo 34

I PRETI OPERAI 69

Capitolo 35

RESTARE IN ASCOLTO 76

136 141 146 153 158 162 165 170 173 177 181 185 189 192

Capitolo 36

89

ACCOMPAGNARE IN SILENZIO: I PICCOLI FRATELLI E LE PICCOLE SORELLE DI FOUCAULD

93

MADRE TERESA E LE MISSIONARIE DELLA CARITÀ

Capitolo 16

LÀ DOVE SI CONCENTRA IL DOLORE, BRILLA LA VICINANZA DI MARIA

Capitolo 23

Capitolo 30

Capitolo 11 Capitolo 12

FRATERNITÀ E CONFRATERNITE OSPEDALIERE

Capitolo 29

Capitolo 8

LA CARITÀ ECCLESIALE NEI CONSIGLI DI GIULIANO L’APOSTATA

Capitolo 22

Capitolo 37 Capitolo 38

EMMAUS E ALTRE COMUNITÀ

198 203 209

106

Capitolo 39

113

Capitolo 40

117

Capitolo 41

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Appendice

LA GENEROSITÀ CONDIVISA

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NOTE INDICE DEI NOMI CREDITI FOTOGRAFICI

234 236 239

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LA CARITAS INTERNAZIONALE GESÙ E IL DOLORE NON COSÌ VOI. PAPA FRANCESCO

213 217 223


INTRODUZIONE

Gesù aveva annunciato ai suoi discepoli che sarebbero stati riconosciuti dai loro frutti, e poco alla volta indicò con precisione la natura di questi frutti: amatevi gli uni gli altri; fate agli altri ciò che vorreste fosse fatto a voi; che l’ultimo di voi sia il primo; perdonate settanta volte sette; amate i vostri nemici. Gesù ci ha amati a tal punto da identificarsi con noi, fino a dare la propria vita per noi, e ci ha esortati a seguire le sue orme. Nell’annunciare che Dio è nostro Padre ha fatto loro capire che siamo tutti fratelli e come tali dobbiamo agire e mostrarci. Una volta rinati e rigenerati, bisogna assumere un nuovo atteggiamento di fronte alla divinità, alla natura, alla società, agli esseri umani. La Chiesa che ci ha proposto non si riduce a un tempio, un sacrificio, un comandamento o un’organizzazione, che caratterizzano ogni religione, ma piuttosto consiste fondamentalmente di un popolo che si ama, di una comunità che si distingue per la sua fraternità e la sua solidarietà. Con le sue parole ci ha insegnato che Dio, nel suo amore, è Padre, Figlio e Spirito Santo, e manifesta la sua paternità attraverso la propria tenerezza per tutte le sue creature e ripartendo i suoi doni senza distinzioni. Nella vita e nella predicazione della nostra Chiesa, in accordo con i testi evangelici, si parla di amore ad ogni istante, nel momento opportuno e in quello non opportuno, per abitudine o per passione. Tutte le preghiere, le omelie, i documenti ufficiali parlano del tema e danno per acquisita la sua importanza nella vita della Chiesa. Resta il ragionevole dubbio, tuttavia, che la pratica non corrisponda sempre alla teoria. Di fatto, non ci sono mai stati tribunali dell’Inquisizione per condannare la mancanza di carità fra credenti, non si è mai affermato che il peccato contro la carità non abbia solo un rilievo veniale, né c’è stato un esame ecclesiale che abbia affrontato 6

1. La carità e i monaci. Miniatura dal salterio Chludov, prima metà del IX secolo, Mosca. La carità è raffigurata come un albero che dà frutti. 2. «Dio disse: ‘Sia la luce’, ‘ci siano luci nel firmamento del cielo’, ‘facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza’. Poi il Signore Iddio con la costola tolta all’uomo formò una donna». Miniature tratte dalla Genesi della Historia Scholastica di Pietro Comestore, inizi del XV secolo. Biblioteca Apostolica Vaticana. In queste e in tutte le altre immagini della creazione, il Padre abbraccia sempre le sue creature, le esorta, le spinge.

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INTRODUZIONE

complessivamente le occasioni in cui abbiamo agito come se il fine giustificasse i mezzi; si parla troppo poco di amore concreto nei libri di teologia e di storia della Chiesa e, pur non dimenticandone il ruolo assistenziale, non si dice molto sulla presenza della grazia e dell’amore reciproci nel cammino quotidiano del popolo di Dio. Si danno definizioni della grazia e dell’amore divini in senso metafisico ed etereo, ma è difficile trovare testi che li mettano in relazione con l’amore della partoriente per il proprio figlio, così come fa san Francesco quando descrive familiarmente quale disposizione debbano avere coloro che lo seguono: il loro amore fraterno deve essere di natura materna; al fratello Leone parla come una madre a un figlio, e nelle sue lettere invoca un ideale familiare in cui i fedeli si trasformano in sposi, fratelli e madri di Cristo, secondo una ascesi spirituale esposta con precisione1. Nella nostra vita incontriamo ogni genere di sofferenze, ma la più sconcertante è la sofferenza degli innocenti. «Di chi la colpa?», si chiesero i discepoli di Gesù quando incontrarono il cieco dalla nascita. Nella sua risposta, Gesù segue un’altra logica. Non guarda al passato ma al futuro. Ci invita a lottare contro la sofferenza di ogni genere, attenuando i suoi effetti, eliminandola se possibile, accompagnando e amando sempre coloro che soffrono, prendendo sulle nostre spalle le sue conseguenze, così come ha fatto lui. La croce è il luogo di incontro più adatto all’essere umano, sempre debole, con Cristo, innocente e giusto. È l’anticamera dell’incontro definitivo. Ho sempre pensato che una storia dei cristiani e della Chiesa che non si incentri sulla capacità di amarsi fra loro e di amare gli altri esseri umani eluda il nucleo essenziale della comunità credente e della istituzione ecclesiale. Questa storia tuttavia non è stata ancora intrapresa e realizzata. Ho voluto in queste pagine cambiare un poco l’ottica abituale degli studi di storia della Chiesa e porre l’accento con delicatezza sull’amore, la solidarietà, la preoccupazione affettuosa che i cristiani hanno l’uno per l’altro. «Guardate come si amano», dice8

IINTRODUZIONE

vano con ammirazione i pagani, riferendosi ai primi cristiani. Probabilmente l’unica identità cristiana è la carità. In che consiste questo amore, come viene manifestato, in che modo sono esistiti questo sentimento e questo comportamento nel corso della storia? Queste sono alcune delle grandi domande a cui intendo rispondere. In questo libro eseguo un certo numero di scandagli nella vita dei cristiani, li analizzo, li metto in rapporto con altri momenti e aspetti della nostra storia2. Il risultato vorrebbe essere un mosaico di quella vita che, in maniera semplice e spontanea, mostri come la tenerezza, l’amore e la compassione scorrono come un torrente nelle arterie del corpo cristiano. Sempre e da parte di tutti? Evidentemente no. Continuiamo a essere vasi di argilla che contengono peccato e grazia, egoismo e generosità, leggerezza e passione rigeneratrice. Abbiamo un’organizzazione eccessiva e ci preoccupiamo eccessivamente di essa e, a volte, come i sacerdoti del Tempio, preferiamo che vengano meno alcune persone purché non si intralci il cammino dell’organizzazione ecclesiastica. È a causa di questa tentazione che la Chiesa ha sempre la necessità di salvaguardare la sua somiglianza profonda con Gesù. Non si tratta di parole né di volontarismo, ma di generosità. Per la maggior parte, i cristiani non sono stati grandi santi, pontefici eminenti, teologi sapientissimi, ma cristiani comuni, con poca teologia per bagaglio, che tuttavia amarono e amano i loro figli, insegnano loro ciò che Cristo rappresenta nella propria vita e accompagnano il loro prossimo aiutandolo per quello che possono. Queste storie oscure, non appariscenti, costituiscono le pagine più belle del cristianesimo e sono questi i protagonisti autentici di questa storia d’amore, perché, sebbene noi ci fermiamo ai nomi dei fondatori di congregazioni e istituzioni ecclesiastiche e degli autori di grandi imprese, i veri eroi sono i loro continuatori anonimi, coloro che hanno spento tanti fuochi e consolato tanta incertezza, gli artefici autentici di una società più pietosa e più fraterna. I dieci giusti dell’Antico Testamento si sono trasfor-

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3. Pietro guarisce un paralitico a Lydda e resuscita una donna a Joppe; visione del centurione Cornelio e Cornelio che accoglie Pietro; estasi di Pietro e battesimo dei primi pagani. Miniatura della Bibbia di Baviera, ultimo quarto del XII secolo. Universitätsbibliothek, Erlangen.

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INTRODUZIONE

mati in masse anonime che forse non comprendono il significato della messa, ignorano il senso del mondo barocco di Roma, non leggono gli internauti più competenti, non hanno mai tenuto in mano una lettera pastorale, ma che all’imbrunire, prima di addormentarsi, nei loro letti, rendono grazie a Dio per i benefici ricevuti e parlano con Cristo dei propri dolori e delle proprie gioie. Sono essi che fanno la comunità, si salutano con affetto durante l’eucaristia e danno il poco che posseggono per le iniziative della Caritas: hanno imparato ad amare e a dare la vita a quelli che li circondano. Sono quelli che camminano verso il prossimo, che convivono e lavorano con i malati, con gli emarginati e con gli esclusi, con i malati di AIDS, i giovani difficili, con i poveri di ogni condizione, con coloro che sono stati rifiutati, con tutti gli intoccabili del mondo. Nel testo compaiono nomi di persone e di istituzioni e congregazioni religiose. In generale, rappresentano comportamenti e azioni eroiche, generose, creative, nuove idee. Per esempio: le Serve di San

Giuseppe hanno installato in un quartiere di Madrid una lavanderia-tintoria con la quale si ottiene l’inserimento nel mondo del lavoro di donne a rischio di esclusione sociale. La medesima comunità accoglie le persone bisognose segnalate dalla Caritas parrocchiale e dalla Casa delle Donne. Avrei potuto aggiungere innumerevoli altri nomi, ma li do per menzionati quando parlo in generale dei motivi e delle azioni grazie ai quali essi sono benvoluti, ammirati e rispettati. Il libro mantiene, in un certo senso, l’ordine cronologico, ma in modo flessibile e poco convenzionale, anche se, leggendo il risultato finale, credo che si evidenzi una continuità di fedeltà e generosità. Dei titoli dei libri che propongo non indico di frequente pagine in particolare, perché considero che sia importante il senso complessivo dell’opera. Continuiamo a pensare assieme al profeta che, per chi ama, il tempo gioioso e pieno di vita e di compiutezza è l’eternità, ma l’eternità che porta al regno dei cieli è già assieme a noi3.

Capitolo 1

LA TENEREZZA DELLA PATERNITÀ

L’amore costituisce il cuore del mistero trinitario e la Trinità si incontra all’origine dell’incarnazione di Cristo, della creazione della materia, dell’uomo, di tutta la vita, di tutto quanto esiste ed è. Il nuovo comandamento di Gesù non costituisce un’aggiunta alla sapienza, né alla dottrina rivelata, ma le comprende tutte e le spiega tutte. Possiamo iniziare queste pagine affermando con

convinzione che sia il Nuovo sia l’Antico Testamento sono i custodi della rivelazione dell’amore di Dio per gli esseri umani. Per i credenti Dio è l’autore della Bibbia e il suo vero protagonista. Chiamiamo questo genere letterario autobiografia. Nella Bibbia, cioè, Dio ci racconta in molti modi i suoi rapporti sempre sorprendenti con gli uomini. Per amore li ha creati a sua immagine e somiglianza; per amore li ha chia-

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4. Fedeli rappresentati in un Exultet del 1060-1070 proveniente da Montecassino. Biblioteca Apostolica Vaticana. 1. Giovanni riceve dalle mani dell’angelo, messo del Signore, il libro dell’Apocalisse. Particolare di una miniatura del Commentario dell’Apocalisse di Beato di Liébana, codice di Ferdinando I e doña Sancha, XI secolo. Biblioteca Nacional de España, Madrid. Doppia pagina seguente: 2. «... gli soffiò nelle narici un alito di vita e l’uomo divenne essere vivente». Miniatura tratta dalla Genesi della Historia Scholastica di Pietro Comestore, inizi del XV secolo. Biblioteca Apostolica Vaticana. 3. Creazione di Eva. Particolare del dittico di sinistra del portale della basilica di San Zeno, Verona.

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LA TENEREZZA DELLA PATERNITÀ

4. Creazione di Eva. Particolare della porta bronzea del duomo di Hildesheim, 1015. Doppia pagina seguente: 5. Creazione di Adamo, con la testa sulle ginocchia del Padre, e di Eva, quasi sorretta dal Padre. Archivolto della porta centrale del portale nord della cattedrale di Chartres.

mati a mantenere una ineffabile relazione personale con lui, e per amore si è fatto coinvolgere nella nostra storia, la storia umana che, in realtà, descrive con precisione, in mille modi, questo incontro continuo. Dio ha mantenuto sempre l’iniziativa e noi ci siamo trovati ineffabilmente avvolti dalla sua tenerezza. Questo amore è gratuito, non dipende dai nostri meriti, né dalla nostra insistenza, né dalle nostre preghiere. L’iniziativa è stata sempre completamente sua. Egli ci ha amato per primo, tanto che ci ha fatto a sua immagine e somiglianza. Gesù ci ha ricordato che Dio fa piovere sui buoni e sui cattivi, comprende le nostre debolezze e ci aiuta nei nostri bisogni, e il profeta Isaia ci dice che il Signore ha sempre riguardo per le nostre limitazioni: «Io farò scorrere acqua sul suolo assetato, torrenti sul terreno arido. Spanderò il mio spirito sulla tua discendenza, la mia benedizione sui tuoi posteri» (Isaia 44,3). Il popolo di Israele si è sentito amato, protetto e difeso dal suo Dio in ogni momento. Nella Scrittura, quando si descrive chi e che cosa è l’uomo, leggiamo che è qualcuno «di cui Dio si ricorda», «che Dio ama», è «l’uomo di Dio». Dio stesso lo dice: «Io sarò il vostro Dio». A questo Dio capace di amare e di darsi, la creatura deve corrispondere perché solo in questa corrispondenza incontrerà la propria pienezza, il proprio senso e la propria felicità. Per questo motivo il primo comandamento, come nostra risposta riconoscente, consiste nell’amare Dio sopra ogni cosa, «con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» (Matteo 22,37). Nel corso di questi duemila anni, i cristiani si sono sentiti amati da Dio nella semplicità delle loro vite, nella letizia familiare, nei villaggi sperduti, nella solitudine dei conventi, nella malattia, nella persecuzione, nell’allegria e nella serenità. «Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature» (Salmi 145,9). Non esiste Chiesa senza croce né senza commemorazione quotidiana del sacramento di Cristo. «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Giovanni 3,16). La consegna del Figlio 14

costituisce il nocciolo del cristianesimo, la sua dottrina più importante, il pegno dell’interesse e dell’amore di Dio per i suoi figli. Dottrina curiosa quella del cristianesimo, che incentra il suo messaggio sulla debolezza di Dio a causa del suo amore, sul sacrificio del Figlio sulla croce a causa di questo amore ineffabile e misterioso. Noi che viviamo nella debolezza, nell’incertezza, nell’insicurezza, siamo capaci di comprendere il potere purificatore e riconfortante dell’amore divino. Per chi ama, il tempo è l’eternità, per il bambino l’amore del padre è la sua bussola e la sua fortezza, e per l’adulto è il suo sostegno e il suo equilibrio. Per l’essere umano l’amore di Dio è il vero punto di riferimento, il senso profondo della vita, l’orizzonte vitale dell’esistenza. L’immagine che ci facciamo di Dio segna e determina lo stile, la dottrina e i riti delle religioni. Il cristianesimo, nell’identificare Dio con l’amore, si presenta come la religione della fraternità, dell’abbandono generoso, della speranza e dell’allegria condivise. «Dio della mia gioia» (Salmi 43,4), «Dio della mia vita» (42,9), «Dio della mia lode» (109,1), «Dio della mia speranza» (39,8), «Roccia del mio cuore» (73,26) sono alcune delle definizioni presenti nell’Antico Testamento, e nel Nuovo Cristo appare come l’amico, il pietoso, il prossimo, il misericordioso, il benigno. Il peccato consiste nel non conoscere l’amore e nel non essere capaci di amare. L’amore è la legge, e la giustizia è l’espressione dell’amore. Se amiamo siamo giusti come Cristo è stato giusto. L’adultera, condannata dalla Legge, fu salvata dall’amore. I farisei vollero applicare la Legge senza averla vissuta, cioè senza amare. Cristo risolve il caso perdonando, riconciliando. In realtà la solidarietà, come la carità, prima di essere un dovere è una constatazione. Significa sentirsi legati a qualcuno, condividere il suo destino, mettersi al suo posto. Nella sua bellissima lettera sull’amore, l’apostolo Giovanni scrive che chi non ama non ha conosciuto Dio, e che Dio è amore. Tutta la storia umana si riduce all’amore e alla mancanza di amore, alla

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grazia e al peccato, alla capacità di sentirsi figli del Padre e a chi non è stato capace di incontrare compagnia e va errante, vagando per il mondo come un nuovo Caino. «Tutte le possibilità dell’errore», ha scritto il poeta Paul Valéry, «stanno in colui che odia». Se nella Chiesa avessimo accolto seriamente l’affermazione dell’apostolo, la nostra storia sarebbe stata diversa, le nostre comunità sarebbero state diverse, i nostri rapporti avrebbero altre caratteristiche; nonostante ciò, allo stesso tempo, riconosciamo di buon grado che la storia della carità occupa un capitolo importante della nostra vita credente e fraterna. In effetti, risulta goiosamente rivelatore considerare quanti cristiani hanno pensato che non ci fosse modo migliore di trasmettere l’amore di Cristo che con cataplasmi e impiastri, linimenti e compresse, pulizia e tranquillità. Quale ministero è stato preferibile nel corso della storia a quello della guarigione? Misericordia e protezione è ciò che chiediamo a Dio. Misericordia, amore

e vicinanza è ciò che chiediamo ai nostri fratelli. «Ti benedico, o Padre […] perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Matteo 11,25), ha detto con riconoscenza Gesù, perché tutti possiamo comprendere e amare un Dio che ci parla di famiglia e fratellanza, di amore, generosità e servizio, un Dio che si fa uomo e soffre con noi; un Dio che ci si presenta nella nostra vita quotidiana, nella nostra esperienza umana e familiare. Enorme e gioiosa responsabilità è quella dei cristiani, di essere strumento e testimoni di questo amore creatore e salvatore; enorme fallimento quando, al contrario, si trasformano in ostacolo e causa di allontanamento. «Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità» (Matteo 7,22-23). 15



LE PARABOLE DI GESÙ

1. Cristo e Nicodemo. Particolare di una miniatura del Vangelo egiziano dell’Institut Catholique di Parigi, 1249 ca.

Capitolo 2

LE PARABOLE DI GESÙ

Nel suo colloquio con Nicodemo, questo ebreo inquieto capace di scoprire in Cristo il Maestro che darà risposta alle domande che lo turbano, Gesù gli chiede, con suo stupore, un cuore nuovo, di nascere di nuovo dallo Spirito (Giovanni 3,3). In realtà, ciò che gli sta domandando è di rimanere aperto al Signore e di non restare nell’atteggiamento chiuso e ostinato dei suoi antenati: «Non indurite il cuore, come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto» (Salmi 95,8). Con questo stesso atteggiamento, il profeta Samuele diceva al giovane Saul: «Lo spirito del Signore investirà anche te […] e sarai trasformato in un altro uomo» (1 Samuele 10,6) e il salmista aveva supplicato Dio: «Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo» (Salmi 51,12). I discepoli sapevano che, grazie allo Spirito, l’amore di Cristo che salva e rigenera trasforma le nostre esistenze, dominate dall’egoismo e dal peccato. Le parabole di Gesù, questi racconti agili e perturbanti, diretti al cuore di chi li ascolta, ci presentano personaggi mossi dalla generosità, dall’amore e dalla misericordia propri di un cuore purificato e generoso. In questo senso, la conversazione con Nicodemo costituisce una vera e propria parabola: non si possono comprendere le parole di Gesù né mettere in pratica i suoi insegnamenti, non si può accogliere Cristo né credere nel Padre, se non si trasformano i nostri cuori di pietra in cuori di carne, se non si cambiano le nostre intenzioni, se non si purificano i nostri desideri. In una parola, se non ci sforziamo di cambiare e di convertirci, per rinascere di nuovo con uno spirito generoso, accogliente e limpido, risulterà impossibile comprendere il vero senso del messaggio e delle richieste di Cristo. Forse, la parabola che ci illustra meglio ciò che Gesù ci propone, che ci avvicina di più alla sua intenzione, è quella che ci parla di un samaritano, membro di 18

2. Missione degli apostoli. Miniatura dell’evangeliario Sijsky, Mosca.

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un popolo considerato dagli ebrei come impuro e inferiore, il quale, mentre si trovava in cammino, si imbatté in uno sconosciuto assalito dai banditi, che lo avevano abbandonato ferito e malconcio sul ciglio della strada, dopo averlo derubato. In questo incontro con la sofferenza e l’abbandono, il samaritano si rivela come una persona che ama, una persona dal cuore aperto che si commuove davanti al bisogno dell’altro: «Gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicen-

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do: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più te lo rifonderò al mio ritorno» (Luca 10,34-35). In questa preziosa parabola, Gesù ci dice che il prossimo offre a ciascuno di noi la possibilità di comportarci come dobbiamo, incamminandoci in direzione di Dio. Il «buon samaritano» è rimasto nella storia del cristianesimo come un esempio da seguire, come espressione dell’amore cristiano per il prossimo, un prossimo sconosciuto e, tuttavia, fratello. Il primo buon samaritano fu in realtà Cristo, che «passò beneficando» (Atti degli Apostoli 10,38), insegnando la buona novella mentre curava i cuori e i corpi di

coloro che incontrava. I suoi discepoli, seguendo il suo esempio e le sue esortazioni, fin dalla prima volta in cui furono inviati a proclamare il regno di Dio, «annunziarono dovunque la buona novella e operarono guarigioni» (Luca 9,6). La parabola insegnò ai cristiani che per il Maestro tutti gli uomini erano fratelli e a tutti dovevano aiuto, affetto e protezione. La storia successiva è stata sempre una storia di generosità ed egoismo, di peccato e grazia, ma credo di non esagerare se dico che buona parte dei cristiani si è convertita nel corso dei secoli in samaritani preoccupati per i loro fratelli sofferenti e dolenti. Sono credenti che, seguendo l’esortazione divina, hanno identificato la pienezza della Legge nell’amore di Dio e del prossimo. Quanti nomi illustri hanno segnato le epoche con i loro atti di amore e di dedizione a favore dei fratelli derelitti! Quanta povertà e ingiustizia presenti sulla terra sono state estinte e umanizzate dalla creatività, dalla bontà e dal sacrificio di tante persone il cui nome è sconosciuto, la cui memoria perdura solamente nella bontà di Dio. La storia che leggiamo e conosciamo corrisponde, in generale, a quella dei personaggi famosi, politici, intellettuali, papi e santi. Ma il mondo è progredito, soprattutto, grazie agli innumerevoli sconosciuti, ai cittadini senza nome, che con il loro lavoro modesto e silenzioso hanno ottenuto che la vita spesso difficile e ingrata dei popoli migliorasse. È fra di loro che potremmo scoprire tanti samaritani che hanno reso più sopportabile l’esistenza difficile e miserabile dell’immensa umanità senza voce che ha abitato nei villaggi, nei paesi e nelle borgate della terra. Questa illimitata bontà nascosta che non può essere raccontata, ma che popola il cielo di santi, è la forza rigeneratrice e rinnovatrice del genere umano. Il popolo cristiano ha confidato con costanza e sicurezza nel Dio buono e vicino. Per mezzo della litur19


LE PARABOLE DI GESÙ

LE PARABOLE DI GESÙ

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3. Vetrata del Buon samaritano, navata sud della cattedrale di Chartres.

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4. Vetrata del Figliol prodigo, transetto nord della cattedrale di Chartres.

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LE PARABOLE DI GESÙ

5. Gesù e l’adultera. Particolare di una miniatura del Vangelo egiziano dell’Institut Catholique di Parigi, 1249 ca.

gia quotidiana, ha compreso la paternità divina, la sua presenza nei mutamenti climatici delle stagioni, il suo aiuto nelle calamità, la sua preoccupazione nelle infermità. Gli ha chiesto pioggia al tempo della siccità, protezione nelle epidemie, vicinanza nelle calamità. Al di là delle esperienze quotidiane, i credenti hanno confidato che un giorno Dio avrebbe concesso loro la fine del male, dell’ingiustizia e della morte. Nel frattempo, i fedeli cristiani erano consapevoli del fatto di vivere grazie al perdono e alla misericordia di Dio, e, mentre recitavano quotidianamente il Padre Nostro, si impegnavano a loro volta a perdonare e a essere misericordiosi con il loro prossimo, e a tener salda la loro volontà di aiutare ciascuno a costruire la propria dignità. Questo processo di avvicinamento di Dio ai suoi figli e dei figli fra di loro raggiunge un vertice nella parabola che presenta, più di ogni altra, i segni di identità del cristianesimo: la parabola del figliol prodigo o, meglio, del padre misericordioso. È chiaro che Gesù si riferisce a Dio quando ci presenta questo padre che spera sempre, che non smette di amare, che non condanna benché ne abbia tutti i motivi, che è felice quando il figlio ritorna pentito nel suo grembo. Il cristianesimo è la religione di una Trinità d’amore, che ama disinteressatamente i propri figli creati a sua immagine e somiglianza, che conosce i loro limiti e li ama per quello che sono ed esige che si amino come fratelli, come figli di un padre comune. «Guardate come si amano!», osservavano sorpresi i romani di fronte ai rapporti reciproci dei cristiani. Per questi ultimi non si trattava solo di un comandamento del Maestro, ma di un movimento spontaneo del cuore. L’annuncio della buona novella consisteva nel dire che Dio era il loro Padre comune, la loro roccia e la loro salvezza. In una lettera alla sorella Marcellina, commentando i pensieri del fariseo Simone riguardo alla peccatrice che aveva unto i piedi di Gesù e alle parole che Gesù aveva rivolto a Simone, sant’Ambrogio scrive: «I capelli sono considerati superflui per il corpo, ma se li si unge acquistano un buon odore; ornano il 22

1. Resurrezione di Lazzaro. Miniatura di un evangeliario siriano del VI secolo. Tesoro della Cattedrale, Rossano.

Capitolo 3

I MIRACOLI DI GESÙ

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capo, ma se non sono unti diventano un peso. Lo stesso accade con le ricchezze: diventano pesanti se non sappiamo usarle, se non acquistano il profumo di Cristo. Ma se sostentiamo i poveri, se laviamo le loro ferite e le purifichiamo della loro sporcizia, allora è come se asciugassimo i piedi di Cristo». In un’altra occasione, rimproverando l’imperatore Valentiniano II a proposito dei sacerdoti del culto pagano, Ambrogio afferma: «Il sostentamento dei poveri costituisce il patrimonio della Chiesa. Dicano i nostri avversari quanti prigionieri hanno riscattato con le rendite dei loro templi, quanti alimenti hanno distribuito agli affamati, quanti soccorsi hanno inviato agli esiliati». In questo testo troviamo elencate alcune delle opere di assistenza svolte dalla Chiesa, basate sempre sulle esortazioni del Maestro4.

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Gli abitanti della Galilea, agricoltori, piccoli commercianti, pastori, si incontrarono un tempo con Gesù che passava per i loro villaggi curando malati, cacciando demoni e liberando le persone dal male, dalla mancanza di dignità e dall’esclusione. Nel corso di tre anni camminò per paesi e villaggi e li convinse, con la sua passione, le sue parole e le sue azioni, che Dio li amava, rimaneva con loro, si preoccupava delle loro cose. I malati recuperavano la salute, i posseduti dal demonio venivano riscattati dal loro mondo di angustia e oscurità, e molti di essi trovarono il senso delle loro vite. «Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui», troviamo scritto negli Atti degli Apostoli 10,38.

I Vangeli ci dicono che il Maestro realizzava tante guarigioni perché aveva pietà di coloro che soffrivano per motivi fisici e spirituali, perché sentiva nel profondo la misericordia di Dio per l’essere umano. Scoprì che il popolo era come «pecore senza pastore», ebbe pietà di loro e parlò loro del Padre celeste, assicurandoli che il Dio di Israele era un Dio vicino e misericordioso. A chi lo ascoltava, risultava evidente non solo che egli non parlava per sentito dire né ripeteva stereotipi o formule vuote, ma anche, vedendone il modo di vivere e la tenerezza, che le sue parole manifestavano la sua gioiosa esperienza personale. Si sentivano curati, la loro sofferenza riceveva sollievo, il loro spirito rimaneva pacificato, la loro vita ristabilita, e si sentivano figli di Dio: erano questi i sentimenti che sperimentavano coloro che lo ascolta23


I MIRACOLI DI GESÙ

vano, provando che le parole con cui aveva risposto agli inviati del Battista erano veritiere: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti resuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella» (Luca 7,22). I primi cristiani erano coscienti che le azioni di Gesù erano centrate su due obiettivi complementari: annunciare la buona novella che il regno di Dio era vicino e, allo stesso tempo, essere sollecito e curare le infermità e i dolori del popolo (Matteo 4,23). In questo modo egli annunciava efficacemente, con parole e segni, che l’azione salvatrice di Dio era già presente nella sua persona. Dopo aver inviato per la prima volta i suoi discepoli ad annunciare la buona novella, «essi partirono e giravano di villaggio in villaggio, annunziando dovunque la buona novella e operando guarigioni» (Luca 9,6). Questo è stato anche il compito ricevuto dai cristiani nel corso dei secoli: proclamare la grandezza di Dio e, allo stesso tempo, stare vicini alle miserie e alle sofferenze degli uomini, cercando la loro felicità e la loro guarigione, e collaborando alla rigenerazione di una società spesso divisa e priva di speranza. La presenza e la vicinanza di Dio producono incessantemente ogni tipo di beni nella sua creazione: la bellezza, la bontà e la verità, sempre presenti, in qualche modo, nella natura e negli esseri umani. È bello provare come i miracoli di Dio siano presenti in abbondanza nella nostra vita. Discernerli e godere di essi costituisce una delle sensazioni più gioiose della nostra esistenza. Noi cristiani parliamo con gratitudine della Provvidenza, questa presenza diffusa, creativa e generosa del Creatore nella natura e nella vita degli esseri umani. Una presenza che viene percepita nella speranza e che, a sua volta, provoca speranza. Una speranza celebrata da Ezechiele quando espresse in un primo momento la propria esperienza personale di scoraggiamento: «Figlio dell’uomo, queste ossa sono tutta la gente di Israele. Ecco, essi vanno dicendo: Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti» 24

2. Guarigione del cieco. Pittura murale della chiesa di Ravanica in Moravia, 1387. 3. Guarigione dell’idropico. Affresco, 1316-1319. Chiesa di San Giorgio, Staro Nagoricino, Macedonia.

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(Ezechiele 37,11), che però in poco tempo si mutò in gratitudine e in progetto per il futuro nel constatare la decisione amorosa di Dio: «Dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nel paese di Israele» (37,12). Questa speranza è indirizzata solo verso Dio, ma Dio si serve sempre degli uomini per diffondere i suoi doni e manifestare la sua vicinanza. Essere coscienti di questa capacità personale di cooperazione con il progetto divino costituisce una delle esperienze più gratificanti dell’essere umano.


I MIRACOLI DI GESÙ

4. Nozze di Cana. Particolare di una miniatura del Vangelo egiziano dell’Institut Catholique di Parigi, 1249 ca. 5. Guarigione del posseduto di Gerasa. Miniatura dell’evangeliario della badessa Hitda, 1000-1020 ca., Colonia. Hessische Landes- und Hochschulbibliothek, Darmstadt.

Durante i secoli XIX e XX varie congregazioni religiose hanno inserito la parola «Provvidenza» nei propri nomi. Esse hanno dedicato la loro attenzione e la loro esistenza ai bambini abbandonati, agli anziani, ai poveri, ma – prima di tutto – hanno voluto indicare che era la Provvidenza divina, tramite le loro opere, a curarsi di proteggerli e assisterli. In un certo senso, i miracoli divini continuano a manifestarsi in tutti gli ambiti umani, di giorno in giorno, per mezzo dell’amore e della dedizione degli uomini. La vera avventura umana consiste nello scoprire il volto autentico dell’amore, e per ottenere ciò risulta imprescindibile scoprire e mettere in pratica la nostra capacità di amare. Troppo spesso limitiamo e impoveriamo noi stessi con amori gretti e dall’orizzonte limitato, senza percepire l’amore immenso che ci circonda e che, di fatto, muove, libera e arricchisce un mondo sempre contraddittorio e sconcertante. Il pensiero umano, l’arte in tutte le sue espressioni, le diverse religioni hanno concepito il mondo come la manifestazione splendida e l’espressione plastica dell’onnipotenza di Dio, ma non sempre della bontà e della tenerezza di Dio. Tuttavia, fin dall’alba dei tempi, Dio ci ha conosciuto, e tutta la creazione è sempre stata in rapporto con la nostra esistenza e condizionata da essa. Egli sapeva che alcuni si sarebbero ribellati al suo amore e alla sua misericordia, ma anche che altri lo avrebbero amato dal primo istante in cui fossero stati capaci di amare, e che non lo avrebbero mai più abbandonato. Ci sarà allegria fra le stelle a causa di alcune conversioni e, alla fine dei tempi, nella gloria finale della creazione, tutte le creature si riuniranno per celebrare il suo amore, in modo che, alla conclusione dei secoli, tutti gli ambiti della creazione si volgeranno di nuovo al loro Creatore. 26

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Nel frattempo, nel corso della storia, gli esseri umani incontrano e affrontano ogni volta i miracoli che Dio va disseminando per l’universo. Sono segni che devono essere investigati, decifrati e compresi. Alcune anime più umili o più ingenue o più pure hanno intrapreso e intraprendono la missione di comprenderli, tradurli e farli conoscere: «I cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento», riconosce il Salmo 19,2, e Tommaso da Celano, nella sua Vita di Francesco d’Assisi, commenta: «Che estasi gli procurava la bellezza dei fiori, quando ammirava le loro forme e aspirava la loro fragranza delicata! […] Si metteva a predicare loro, li invitava a lodare e ad amare Dio, come se fossero stati esseri dotati di ragione. Allo stesso modo, le messi e le vigne, le pietre e le selve, le belle campagne, le acque correnti, i giardini verdeggianti, la terra e il fuoco, l’aria e il vento, con

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6. Giotto, Miracolo della fonte. Scena dal ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco, 1295-1300. Facciata interna della basilica superiore di San Francesco, Assisi.

1. Guarigione dell’emorroissa. Particolare del lato anteriore della lipsanoteca. Civici Musei di Arte e Storia, Brescia.

7. Giotto, Predica agli uccelli. Scena dal ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco, 1295-1300. Facciata interna della basilica superiore di San Francesco, Assisi.

2. Guarigione della figlia di Giairo. Particolare del lato sinistro della lipsanoteca. Civici Musei di Arte e Storia, Brescia.

semplicità e purezza di cuore invitava ad amare e lodare il Signore»5. Il Cantico delle creature costituisce un’ulteriore espressione dell’ammirazione di Francesco: «Altissimu, onnipotente bon Signore, Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione. Ad Te solo, Altissimo, se konfano, et nullu homo ène dignu te mentovare». Ancora ai nostri giorni, all’inizio di ottobre si offrono nelle chiese i frutti dei campi come ringraziamento per il miracolo continuo delle stagioni e del cibo che la natura offre a nostro beneficio. L’eucaristia costituisce uno straordinario rendimento di grazie al Dio che ci salva, che il popolo cristiano offre ogni giorno in ricordo di Cristo. Quando noi cristiani ringraziamo Dio per essere il nostro Padre,

Capitolo 4

LA COMPASSIONE E LA MISERICORDIA DI GESÙ

allo stesso tempo lo stiamo ringraziando per tutti i nostri fratelli e, in quel momento, l’umanità diviene più compatta e solidale. I grandi santi hanno ripetuto i miracoli di Gesù, come leggiamo nelle loro Vite. La presenza viva e decisiva del Signore si incontra nella vita dei suoi santi, nel loro straripante amore per Dio e per gli uomini, nei miracoli che compiono, nella loro capacità di creare pace e solidarietà. Essi hanno considerato che esiste un solo universo, quello degli uomini, che nella sua evoluzione sfocia sempre in Dio, e hanno utilizzato nelle loro azioni il principio che si deve servire, prima di se stessi, coloro che sono meno felici. Servire in primo luogo coloro che soffrono di più, che hanno più bisogno e sono più soli di noi.

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Nel Vangelo di Marco incontriamo un miracolo particolarmente significativo, quello dell’emorroissa (Marco 5,24-34). Non conosciamo il suo nome; sembra essere sola, senza parenti né amici, e ci viene detto che i medici l’avevano rovinata. Dati i costumi dell’epoca, la sua malattia, oltre a renderla sterile, la poneva in un universo rituale di impurità, vergogna e disonore. Per questo non osa fare la sua richiesta apertamente, arrischiandosi solo a toccare il mantello di Gesù di nascosto. Secondo la religione ebraica, dopo averlo toccato, egli sarebbe rimasto impuro. Mossa da ciò che aveva udito di Gesù, osa accostarsi alla fonte di un dono che può essere ricevuto solo gratuitamente, in contrasto con la fortuna consumata inutilmente con i medici. Il suo timido e semplice

contatto rivelava il suo timore e tutta la sua speranza, nel tempo in cui si manifestava la tenerezza di Dio. In questo miracolo vediamo la grandezza di Dio e l’amore misericordioso del Signore. A Gesù non basta guarirla, vuole raggiungere il profondo della sua anima e non rimane soddisfatto prima di aver iniziato un dialogo che li avvicini e stabilisca una relazione. Gesù non è un funzionario, ma l’amico che si preoccupa e ci viene incontro. La donna non solo viene curata ma riceve una lode per la sua fede e viene chiamata figlia, un titolo raro nei Vangeli. Gesù ci invita a fare nostra l’esperienza della donna: prendere coscienza, in primo luogo, della nostra debolezza e della nostra piccolezza, consapevoli che la vita ci sta sfuggendo, a causa di tante perdite di valo29


LA COMPASSIONE E LA MISERICORDIA DI GESÙ

ri fondamentali e della presenza di aspetti conflittuali nella nostra esistenza che ci fanno sentire sterili, mentre tralasciamo ciò che è importante e trascuriamo il senso ultimo della nostra vita. L’immensa sensibilità di Gesù per il dolore degli esseri umani lo rendeva capace di mettersi in rapporto con essi con tutti i suoi sensi, con pietà e misericordia: guardava nei loro occhi, ascoltava le loro parole, facendo loro coraggio, toccando con le mani colui che alla fine guariva. Quando l’emorroissa gli si accostò da dietro in mezzo alla moltitudine e lo toccò, uscì da lui un potere curativo che sanò per sempre la malattia (Marco 5,25-34), e quando toccò il lebbroso con le sue mani conferì a quell’uomo, evitato da tutti, una dignità e una sicurezza in se stesso che credeva irrimediabilmente perdute (Marco 1,40-45). Il cieco dalla nascita fu abbagliato da una luce insperata, che inondò i suoi occhi quando le dita di quel galileo sconosciuto accarezzarono le sue palpebre e udì questo invito: «Va’ a lavarti nella piscina di Siloe» (Giovanni 9,7). Il sordomuto sentì che qualcuno lo prendeva per la mano e lo tirava fuori dalla folla; quando furono da soli, Gesù gli infilò le dita nelle orecchie, gli toccò la lingua con la saliva e pronunciò quindi un ordine imperioso alle sue orecchie chiuse: «Apriti!» (Marco 7,34). E la forza di quelle parole attraversò le barriere della sua sordità, slegando allo stesso tempo la sua lingua e la sua intera esistenza condannate al silenzio6. Ancora oggi Cristo si serve dell’acqua, del vino, del pane, della luce, dell’olio, dell’amicizia e dell’affetto per curare, rianimare, alimentare, fortificare e salvare quanti lo cercano. Egli ottiene per noi un cuore nuovo e ci infonde uno spirito nuovo, ci fa uscire dalla nostra routine e ci induce a rinnovarci. Forse è per questo che, malgrado la crisi delle Chiese e delle religioni, la figura generosa di Gesù continua a suscitare ammirazione e interesse, e gli esseri umani seguitano ad attribuirle autorità morale in un’epoca che difetta di riferimenti etici. Per noi, inoltre, egli è l’amico che offre la sua vita per noi, che concede il suo perdono con accoglienza amichevole, che ci chiede di essere pietosi come lo è il Padre celeste e di cambiare 30

LA COMPASSIONE E LA MISERICORDIA DI GESÙ

Pagina seguente: 5. Paolo chiede al sommo sacerdote le credenziali per la sinagoga di Damasco; conversione di Paolo; imposizione delle mani di Anania e battesimo di Paolo; Paolo predica a Damasco; Paolo guarisce un paralizzato a Listra. Miniatura della Bibbia di Baviera, ultimo quarto del XII secolo. Universitätsbibliothek, Erlangen.

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3. Gesù e la samaritana. Particolare di una miniatura del Vangelo egiziano dell’Institut Catholique di Parigi, 1249 ca. 4. Moltiplicazione dei pani. Miniatura dell’evangeliario di Reichenau, 990 ca. Biblioteca Apostolica Vaticana.

il nostro cuore. Siamo discepoli di un Maestro che era padrone dell’arte di accogliere, di proteggere e di offrire asilo fra le sue braccia alle vite ferite e ai corpi malconci di tanti uomini e donne. Siamo impegnati a far sì, con la nostra solidarietà, sollecitudine, sintonia e vicinanza, che la comunità credente, la Chiesa, si converta in uno spazio di comunione, di accoglienza, di misericordia e di fraternità condivise, capace di abbracciare coloro che nel nostro tempo continuano a soffrire nel corpo e nell’anima. È orribile recitare tutti assieme il Padre Nostro e condividere l’eucaristia se, allo stesso tempo, teniamo chiusi i nostri cuori e disprezziamo o ignoriamo quanti ci circondano. Agendo in questo modo, riusciamo solo ad annacquare l’appartenenza alla Chiesa e il senso autentico dell’identità cristiana. Al contrario, Gesù ci chiama a rimodellare il nostro modo di pensare, a ricostruire la nostra vita, le nostre ami-

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cizie, la nostra fede, a partire dal suo insegnamento sui poveri e sui piccoli. Secondo Gesù, il regno di Dio diviene presente là dove le persone agiscono con misericordia. Perché la sua presenza sia visibile bisogna introdurre nella vita la compassione, un sentimento sempre presente nelle manifestazioni divine. Bisogna guardare con occhi pietosi i figli perduti, gli esclusi dal lavoro e dal pane, i delinquenti incapaci di rifarsi una vita, le vittime cadute sul ciglio della strada. Bisogna radicare la misericordia nelle famiglie e nella vita dei paesi. Gesù arriva offrendo il perdono e la misericordia di Dio, inaugurando una dinamica di perdono e compassione reciproca e agendo sempre di conseguenza, così come aveva augurato Isaia: «Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova» (Isaia 1,16-17).

Il modo di operare di Gesù si svincola da tutti gli stereotipi e modelli mondani di autorità e prepotenza, e squalifica qualsiasi manifestazione di dominio di fratelli su altri fratelli: si inaugura uno stile nuovo in cui il forte non si impone sul debole, il ricco sul povero, chi possiede informazione sull’ignorante. Per Gesù, nel nuovo regno il vincolo fondamentale è la fraternità nel mutuo servizio, condividere la mensa con coloro che all’apparenza erano «meno» e stavano «in basso», invalidando qualsiasi pretesa di credersi «più» o di porsi «al di sopra» di altri. Gesù presenta altre priorità, ci indica in che cosa consiste la sostanza della sua proposta, in che modo potremo giungere ad essere davvero suoi discepoli. Ci ripete che per ottenere il necessario cambiamento di mentalità, di amore, di modo di agire e di reagire, risulta inevitabile nascere di nuovo, come aveva insegnato a Nicodemo. Ai nostri giorni, dovremmo essere capaci di incontrare altri modi di incarnare Cristo, ora che siamo coscienti dell’insufficienza di molte delle nostre istituzioni, simboli e atteggiamenti. Con troppa frequenza la Chiesa si è guardata negli specchi mondani e non abbastanza nello specchio del Vangelo. È con la sua vita, prima ancora che con la sua dottrina, che Cristo ci ha insegnato ciò che è Dio e ciò che desidera che siamo noi; questo è ciò che compresero i suoi discepoli sin dal primo momento7. Teresa d’Avila ha cominciato la sua autobiografia con il desiderio di «cantare gli atti di misericordia del Signore», e Teresa di Lisieux si è decisa a scrivere con la convinzione di «dover fare una cosa sola: cominciare a cantare ciò che più tardi ripeterò per tutta l’eternità: gli atti di misericordia del Signore». La storia del cristianesimo è in un certo senso la storia di questa misericordia e della gratitudine che proviamo per esserne i destinatari. 31


Capitolo 5

IL DIACONATO

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Nel greco classico diákonos significa «colui che sta al servizio di», ovvero «servitore». In questo senso Gesù afferma che non è venuto per essere servito ma per servire, conferendo così una nuova dimensione al significato della sua persona e del suo insegnamento. Questa idea di servizio ha pervaso nei suoi momenti migliori l’esercizio dei ministeri ecclesiastici, la vocazione cristiana e i rapporti tra i credenti. Al contrario, quando coloro che dirigono l’organizzazione e l’amministrazione della comunità agiscono a fini di potere o di dominio, finiscono per prostituire uno degli insegnamenti più importanti di Cristo. Di frequente, noi credenti ci vediamo pervasi da una schizofrenia attiva fra i concetti che utilizziamo e i metodi di governo con cui li attuiamo. San Gregorio Magno, per rimproverare la condotta del patriarca di Costantinopoli che aveva assunto il titolo di «ecumenico», adottò quello di «Servo dei Servi del Signore», ma la storia ci insegna che, a volte, all’ombra di questa definizione si è continuato a opprimere e maltrattare i servi e i figli del Signore, mutandosi così in lupi prevaricatori nel gregge di Cristo. Il Signore è stato molto chiaro quando ha istruito i suoi discepoli. Essi non dovevano comportarsi nello stesso modo di chi detiene il potere mondano: «Gli ultimi saranno i primi» è stato il suo monito. Bisogna essere disposti a condividere, a partecipare, a perdonare, ad aiutare in ogni momento, con l’edificazione attiva di quel regno dei cieli che già si trova, in qualche modo, nei nostri cuori: «I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi si farà vostro schiavo» (Matteo 20,25-27). Un tempo, quando i consoli venivano inviati al loro incarico, si dava loro questo consiglio: «Comportati non come

un giudice ma come un vescovo». Nel corso dei secoli, al contrario, siamo passati spesso dal servizio al dominio e alla tirannia. L’esperienza ci dice però che la diaconia è rimasta sempre viva nella memoria ecclesiale. Non c’è dubbio che una delle attività più importanti svolte dalla Chiesa di Gerusalemme nei suoi primi anni di vita fu, sul piano sociale, la diakonía kathemeriné, cioè l’aiuto alle vedove, agli orfani e ai poveri, agli infermi e ai prigionieri, a quelli che avevano fame e sete, a quelli che si ritrovavano nudi o abbandonati. La nuova dottrina si incentrava sugli atti di Gesù, l’autentica buona novella proclamata, ma Gesù si mostrava ai suoi discepoli come verità e vita, in modo che non era possibile separare la dottrina che insegnava dalla sua vicinanza e dal suo amore per i ciechi, gli zoppi, i poveri, e dalla sua continua preoccupazione per chi soffre ed è mansueto nello spirito di fronte alle calamità che lo colpiscono. Nel parlarci della vita dei primi cristiani, gli Atti degli Apostoli ci riferiscono che «tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (Atti 2,44-45). Questa divisione e distribuzione di beni provocò spesso conflitti e forse diseguaglianze. I discepoli di lingua greca iniziarono a mormorare contro quelli di lingua ebraica, perché pensavano che le loro vedove venissero trascurate nel servizio quotidiano. Gli apostoli, coscienti che il loro compito specifico era quello di predicare e insegnare, decisero di eleggere sette uomini che si dedicassero a servire nelle mense e ad amministrare le opere di carità. Di questi il più famoso fu san Lorenzo (Atti 6,1-6). Benché nel Nuovo Testamento non li si chiami da nessuna parte «diaconi», sant’Ireneo di Lione (13533


IL DIACONATO

1. Opere di misericordia. Particolare del Giudizio finale, 1061-1067, tempera su tavola dei pittori di scuola romana Nicolò e Giovanni proveniente dall’oratorio di San Gregorio Nazianzeno. Pinacoteca Vaticana.

3. Beato Angelico, San Lorenzo distribuisce i beni ai poveri, 1447-1448. Cappella Niccolina, Palazzo Apostolico Vaticano.

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2. Ripartizione in regioni civili ed ecclesiastiche della Roma del III secolo d.C.

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200) scrisse nel suo famoso libro Contro le eresie che «Stefano fu eletto dagli apostoli come primo diacono», istituendo così una tradizione che è giunta fino a noi, quella di mettere in rapporto la diaconia con l’esigenza e la prassi cristiana di amare e aiutare i fratelli meno fortunati. Intorno all’anno 57, per esempio, tanto a Roma quanto a Efeso e a Filippi, le funzioni ecclesiali venivano divise tra i vescovi, che presiedevano e insegnavano, e i diaconi che servivano e distribuivano i beni agli altri cristiani, tutti egualmente membri di un popolo sacerdotale e regale. Ad ogni modo, il contesto sacramentale dell’elezione di questi sette uomini (tramite l’imposizione delle mani) attribuisce loro, allo stesso tempo, una proiezione liturgica e una dedicazione al servizio dei fra-

telli (Atti 6,3), che sarà quella propria dei diaconi nel corso della storia. Secondo i testi di cui disponiamo, i diaconi amministravano tutti i beni materiali delle Chiese ed erano responsabili dell’organizzazione caritativa, specialmente per gli infermi. A metà del III secolo, papa Fabiano, in un’importante riorganizzazione amministrativa della diocesi di Roma, divise la città fra sette diaconi, i quali presidiavano nelle rispettive circoscrizioni i servizi caritatevoli; alcuni decenni più tardi, il concilio di Cesarea promulgò una norma che limitava a questo stesso numero la quantità di diaconi presenti in una città, indipendentemente dalla sua grandezza. Nei banchetti (agápe), organizzati con una certa frequenza dalle prime comunità per motivi di beneficenza, i diaconi erano incaricati di coordinare l’or35


IL DIACONATO

ganizzazione liturgica con il sentimento sociale, e di distribuire il denaro e i doni ricevuti fra i bisognosi. Non passò molto tempo prima che il diacono si trasformasse in un importante aiutante del vescovo, in modo che, benché il vescovo diocesano avesse assunto la responsabilità ultima delle opere di carità così come le altre funzioni direttive diocesane, i diaconi conservarono il loro rapporto diretto con i bisogni sociali delle comunità, trasformandosi negli occhi e nelle orecchie, nelle mani e nel cuore dei vescovi. Potremmo segnalare, inoltre, che i diaconi erano abitualmente gli intermediari fra i laici e i vescovi, funzione sempre più importante man mano che il numero dei cristiani aumentava e che i compiti extraecclesiali dei vescovi si infittivano, accentuandosi la loro importanza nella vita sociale. Dalla collaborazione concorde tra il vescovo e il diacono dipende, secondo la Didascalia apostolorum del III secolo, il bene della comunità. Ricordiamo che buona parte delle opere di carità erano stabilite e regolate minuziosamente, ed è in questa struttura organizzativa che i diaconi esercitavano compiti direttivi di primaria importanza. Essi ricevevano e distribuivano le donazioni dei fedeli, soprattutto quei legati ed eredità che la Chiesa riceveva ogni giorno più frequentemente. Con Costantino la Chiesa ricevette dallo Stato la supervisione delle condizioni delle carceri e l’assistenza alle vedove, agli orfani e ai bambini abbandonati, cioè buona parte dell’azione sociale pubblica. Il clero si trasformò in avvocato e intermediario tra il popolo e il governo, e pagava spesso i debiti del primo. Le diocesi giunsero a farsi carico di migliaia di bisognosi. Giovanni Crisostomo, descrivendo la propria diocesi, parla di 3.000 vedove e vergini, oltre a infermi, lebbrosi, stranieri, e senza contare quanti ricevevano abitualmente vitto e vestiario. Qualcosa di simile si può affermare per le città più popolose. Nel XVI secolo, tanto Lutero quanto Calvino vollero rompere con questo modo di intendere il diaconato, e cercarono di restaurare le funzioni che i diaconi esercitavano nella Chiesa primitiva, cioè il loro impegno per i poveri, con un ruolo significativo nella beneficenza sociale; queste aspettative si realizzarono però solo parzialmente e soltanto in alcune regioni, anche se non c’è dubbio che sia rimasta nelle diverse denominazioni cristiane una certa presenza 36

4. Martirio di santo Stefano. Affresco della cripta di Epifanio, 824-842, San Vincenzo al Volturno. Il diacono Stefano è il primo martire cristiano.

o, almeno, una certa nostalgia del diaconato con responsabilità caritative. D’altra parte, nei paesi a maggioranza protestante, le Chiese persero spesso il controllo delle loro proprietà, che passarono alle istituzioni statali, in modo che la beneficenza e l’istruzione iniziarono ad essere considerate una responsabilità dello Stato moderno. Nella Chiesa anglicana di Elisabetta I, benché l’assistenza ai poveri fosse affidata alle parrocchie, la regina non permise l’istituzionalizzazione dei diaconi. Durante il XX secolo, in Europa, alcune eminenti personalità cattoliche tentarono di rivitalizzare il diaconato come un ministero permanente. Pio XII progettò di instaurare il diaconato permanente, ma in Europa c’erano sacerdoti a sufficienza e la questione rimase in sospeso. Con maggiori argomenti e maggiore urgenza, in alcuni paesi americani e africani si tornò a discutere del tema, in modo che durante i lavori preparatori del concilio Vaticano II novanta vescovi chiesero al papa che si trattasse dell’argomento durante le deliberazioni conciliari. Nel corso della II sessione, i padri conciliari dibatterono l’argomento e una maggioranza di essi votò a favore della restaurazione. Il 21 novembre 1964 fu promulgata la restaurazione del diaconato permanente nella costituzione dogmatica sulla Chiesa. Le conferenze episcopali nazionali, con approvazione pontificia, potevano decidere la restaurazione del diaconato nelle rispettive regioni. Secondo le nuove disposizioni, uomini sposati di 35 anni o più e uomini celibi di almeno 25 anni potevano diventare diaconi permanenti. Nell’anno 2003 si contavano almeno 30.000 diaconi permanenti in 105 paesi, dei quali quasi la metà erano nordamericani. I diaconi, ordinati a una certa età, sposati e, normalmente, con una esperienza di lavoro, costituiscono una presenza accessibile e impegnata dell’organizzazione ecclesiale nella vita dei laici. Là dove esistono, sono giunti a trasformarsi in un ponte e in un vincolo spontaneo di unione fra due mondi non sempre molto vicini.

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Capitolo 6

IL MARTIRIO, SEGNO D’AMORE PER DIO E PER GLI UOMINI 1. Martirio di san Lorenzo. Affresco della cripta di Epifanio, 824-842. San Vincenzo al Volturno. 2. Martirio di Pietro e Paolo. Miniatura di un tropario proveniente dall’abbazia di Prüm, Renania-Palatinato, 995-1001 ca. Bibliothèque Nationale de France, Parigi.

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Chi non teme la morte è immortale. Credere nella resurrezione di Cristo significa credere nella vita eterna, significa essere convinti che Dio è il Dio dei viventi, che Dio è la via e la vita. L’esempio dei martiri divenne seme fecondo di cristiani per quanti credevano che Cristo era il Dio vicino e che avendo fede in lui avrebbero conquistato la vita eterna. Incontriamo qui il paradosso cristiano: chi perde la propria vita la salva per sempre. I martiri si trasformarono in punti fondamentali di riferimento delle nuove comunità: Pietro e Paolo a Roma, Ignazio ad Antiochia, Ireneo a Lione; Policarpo a Smirne; Perpetua e Felicita e, più tardi, Cipriano a Cartagine; Fruttuoso a Tarragona; Eulalia a Mérida, Dionigi ad Alessandria. Migliaia di cristiani vennero martirizzati per la loro fede nel corso dei primi tre secoli. Il martirio forgiava la vera unione con Cristo. Il sangue costituiva un vero battesimo che comportava il perdono dei peccati; nell’eucaristia era presente Cristo sofferente e perciò il martirio era eucaristia, nella quale si beve il calice delle sofferenze di Cristo. La presenza di Cristo nel martire ha costituito la presenza carismatica più importante della Chiesa dei primi secoli. A partire dalla Rivoluzione francese si sono ripetute le persecuzioni alla Chiesa e i casi di martirio. Incontriamo processi sanguinosi di decristianizzazione durante la Convenzione (1792-1795), la Comune di Parigi (1870), la Rivoluzione messicana (1926-1938), 39


IL MARTIRIO, SEGNO D’AMORE PER DIO E PER GLI UOMINI

i regimi comunisti nei paesi dell’Est europeo e in Cina, causa di durissima e sanguinosa persecuzione, nella guerra civile spagnola. In Russia, fra il 1917 e 1941, sono stati uccisi 600 vescovi, 40.000 sacerdoti, 120.000 monaci e monache. Almeno 75.000 luoghi di culto sono stati distrutti fino agli anni Sessanta, sotto Nikita Kruscev. Si è trattato della più grande persecuzione religiosa della storia. Amare fino a sacrificare la propria vita, essere coerenti e fedeli fino all’ultimo respiro, immolarsi e soffrire tutte le pene per amore di chi non ha né voce né diritti. Il martirio fu una realtà contemporanea per i cristiani dei primi secoli e lo è nel nostro tempo, l’epoca della difesa dei diritti umani e delle libertà. Abbiamo oggi un’idea più complessa e realistica delle cause del martirio, al di là di quella tradizionale della morte sofferta per fedeltà a una fede. «Martire è anche chi soccombe nella lotta con cui si affermano le esigenze delle sue convinzioni cristiane», ha scritto Karl Rahner. «Il destino della grandezza è la sofferenza», ha ricordato Pavel Florenskij, fucilato nel 1937 nel grande Lager sovietico delle isole Solovki, e noi potremmo aggiungere che l’esercizio della carità giunge in molti casi al punto di dare la vita per i propri fratelli: per il contagio di una malattia, per esaurimento delle forze o per la violenza sopportata nel mantenere il proprio impegno con i deboli, gli emarginati e gli oppressi. La causa di queste morti non è stata sempre la forza ostile alla fede cristiana, ma la propria dedizione personale e la coerenza con le esigenze di una dottrina e di una identità forgiate dalla generosità evangelica in situazioni di rischio e di ingiustizia sociale o economica. È stato questo il caso di due suore missionarie francescane, Guilhermine e Marie Xavier, che si offrirono volontarie per lavorare nell’ospedale di Totoras durante l’epidemia di peste bubbonica che si diffuse in Argentina nel 1919. Erano coscienti del rischio della loro scelta di accompagnare e assistere i malati, tuttavia non vacillarono nella loro dedizione. Tutto il XX secolo è costellato di storie come questa. Molti religiosi e religiose sono morti per amore dei malati, dimostrando che per loro la vita non costituiva un valore assoluto, se per proteggerla avessero dovuto abbandonare coloro che avevano bisogno del loro aiuto. Dimostrarono che stare vicino ai poveri era più importante che proteggere se stessi. In molti casi l’impegno con gli infermi implica un rischio incom40

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3. Particolare del cimitero del campo di lavori forzati di Potma, Russia. 4. Veduta delle baracche di legno del campo di Auschwitz, Polonia (foto Museo di Auschwitz). 5. Le baracche del settore quarantena del campo di Auschwitz (foto Comité International d’Auschwitz). 6. Padre Massimiliano Kolbe.

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bente di perdere la vita, e molti dei religiosi hanno intrapreso questo cammino per vocazione. Questa situazione si è verificata spesso durante i secoli passati, soprattutto a causa delle pestilenze e delle malattie contagiose. Ai nostri giorni, in molti paesi, per motivi politici e sociali, l’assistenza ai poveri porta a esporsi a conflitti molto duri in ambienti pericolosi. In alcune situazioni, i cristiani sono consapevoli che praticare la carità, difendere i deboli, significa esporre la propria vita. La storia del cristianesimo annovera migliaia di esempi di questo genere, ma probabilmente mai come nel XX secolo questa dedizione ai poveri è risultata intollerabile per alcuni poteri economici o politici. Una

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volta di più incontriamo il principio evangelico per cui non esiste vero riconoscimento né adorazione di Dio là dove la giustizia è calpestata e schernita. Massimiliano Kolbe è uno degli esempi più emozionanti di martirio della carità in un campo di sterminio nazista. Per Giovanni Paolo II, si tratta di un «martire dell’amore»: «Essendo prigioniero nel campo di concentramento, rivendicò, nel luogo della morte, il diritto alla vita di un uomo innocente, fra tanti milioni». Padre Kolbe dichiarò «la sua intenzione di andare a morte al suo posto, perché era un padre di famiglia e la sua vita era necessaria per i suoi cari». Arrestato e deportato ad Auschwitz nel 1941 in quanto superiore della comunità francescana di Niepokalanow,

salvò la vita di uno dei suoi compagni di prigionia morendo al suo posto in un «Bunker della fame» il 14 agosto 1941, dopo due settimane di sofferenze. Un’altra testimonianza di coerenza e di amore per la verità e per i propri fratelli fu data dal pastore protestante tedesco Dietrich Bonhoeffer, fondatore della Chiesa confessante («solo chi canta assieme agli ebrei può cantare gregoriano»), impiccato dai nazisti nel campo di concentramento di Flossenbürg nel 1945. La vita dell’amore, anche se nascosto, si mostra inarrestabilmente e permette, anche nelle situazioni più terribili, che brilli la fede non solo in Dio ma anche negli uomini, in quanto fede nella solidarietà e nella dignità della persona umana8. 41


7. Dietrich Bonhoeffer, esponente della Chiesa confessante luterana, per la quale dirigeva il seminario di Finkenwalde. 8. Fotogramma del film Des hommes et des dieux, diretto da Xavier Beauvois, che racconta la vicenda dei Trappisti di Nostra Signora dell’Atlante a Tibhirine, Algeria. La scena mostra monaci e rapitori che scompaiono nella nebbia.

Padre Valeriano Cobbe aveva spiegato in che modo la sua infaticabile attività sociale in Bangladesh era legata alla diffusione del Vangelo: «Alla base rimane sempre un unico fatto, che siamo qui a predicare il messaggio evangelico, per creare l’‘uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo’ [Efesini 4,13]. Il contributo che il missionario dà allo sviluppo dei popoli è un’esigenza che nasce dal Vangelo. Gesù parlava alla gente, ma quando questa aveva fame ne aveva compassione e le dava da mangiare. Bisogna tenere presente, inoltre, che in questa terra dominata dai musulmani l’unico messaggio cristiano che possiamo diffondere è quello del nostro esempio, della nostra attività sociale, della nostra carità umana e cristiana». Spinto da queste idee, organizzò cooperative agricole che ebbero grande successo e che davano lavoro a un numero importante di persone, ma provocò la malevolenza di coloro che tradizionalmente avevano approfittato di quella povera gente. Fu assassinato il 14 ottobre 1974. Uno dei suoi compagni scrisse che era stato assassinato perché la bandiera degli oppressi si era innalzata troppo in alto. Incontriamo altri missionari assassinati per motivi analoghi in Brasile, nelle Filippine, in Honduras e in Perù. Fra le molte vittime della dittatura militare nell’Argentina degli anni Settanta del secolo scorso si trovano i religiosi della parrocchia di San Patrizio a Buenos Aires, punto di riferimento e di accoglienza per quanti si opponevano al clima di illegalità e repressione che si era scatenato nel paese. Furono assassinati da un gruppo di uomini armati che scomparvero poi indisturbati. Nell’ottobre del 1976, nella diocesi di San Félix do Araguai, in Brasile, il gesuita João Bosco Penido e il vescovo Pedro Casaldáliga cercarono di liberare alcune donne torturate dai poliziotti del luogo. Uno di questi uccise il gesuita con due colpi alla testa. Molti altri sacerdoti, religiosi e laici morirono per ragioni analoghe. I Gesuiti dell’Università Centroamericana di El Salvador sono fra di loro. Uno dei casi più noti e toccanti della fine del XX secolo è quello dei Cisterciensi dell’abbazia di Nostra Signo42

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ra dell’Atlante, in Algeria, monaci fortemente impegnati nel dialogo e nella convivenza con il mondo islamico. I monaci erano amati dalla gente, adempivano una funzione sociale per mezzo di un dispensario di farmaci (uno dei confratelli era medico) e possedevano una grande sensibilità ecumenica. Un responsabile del GIA, l’organizzazione islamica più estremista, ordinò ai monaci di abbandonare il monastero, ma essi, dopo profonda riflessione, decisero di rimanere assieme ai contadini della zona, che assistevano il monastero in tutte le sue necessità. Non volevano morire, ma pensarono che abbandonare il monastero significasse abbandonare il popolo fra cui vivevano. L’amore per l’islam e per il popolo algerino fu una delle ragioni che li spinse a rimanere nel luogo. Fratel Michel Fleu-

ry scrisse: «‘Martire’ è un termine talmente ambiguo qui… Se ci accade qualcosa – non me lo auguro –, noi vogliamo viverlo qui in solidarietà con tutti questi algerini (e algerine) che hanno già pagato con la loro vita, soltanto solidali a tutti questi sconosciuti, innocenti. Mi sembra che chi ci aiuta oggi ad agire è Colui che ci ha chiamato. Sono pieno di meraviglia». I Trappisti di Nostra Signora dell’Atlante, monaci e martiri, mostrarono che si potevano coniugare allo stesso tempo la vita monastica, l’ospitalità e il dialogo con l’accettazione del martirio, che in realtà indica l’attuazione della generosità e della testimonianza senza limiti, anche a rischio della propria vita. «Non c’è amore più grande di dare la vita per i propri amici», disse Gesù ai suoi discepoli. Seguendo il suo esempio e nel suo nome, numerosi discepoli hanno offerto la vita per i loro fratelli; fra di loro Shahbaz Bhatti, unico ministro non musulmano del governo del Pakistan, assassinato il 2 marzo 2011. Era il responsabile delle minoranze religiose e si opponeva alla legge sulla blasfemia, un vero e proprio grimaldello utilizzato contro i non musulmani. Dotato di profonde convinzioni religiose, è morto per difendere i propri ideali e i diritti delle minoranze e delle donne, totalmente cosciente di rischiare la vita. Nel suo testamento spirituale incontriamo questa confessione: «Da piccolo ero solito andare in chiesa e trovavo una profonda ispirazione negli insegnamenti, nel sacrificio e nella crocifissione di Gesù. È stato l’amore di Gesù che mi ha portato a offrire i miei servigi alla Chiesa. Le condizioni spaventose in cui vivevano i cristiani del Pakistan mi commossero. Ricordo un venerdì di

Pasqua, quando avevo solo tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo, e pensai di corrispondere a quell’amore dando amore ai nostri fratelli e sorelle, mettendomi al servizio dei cristiani, specialmente di quelli poveri, bisognosi e perseguitati che vivono in questo paese islamico. Mi hanno chiesto di rinunciare al mio proposito, ma ho sempre rifiutato, anche a rischio della mia vita. Non cerco popolarità né posizioni di potere. Cerco solo un posto ai piedi di Gesù. Questo desiderio è tanto forte che mi riterrei privilegiato se, per lo sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri e i cristiani perseguitati del Pakistan, Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita». Mi piacerebbe segnalare altre forme di oblazione, di martirio silenzioso per così dire, da parte di tante persone che hanno portato nel tempo la loro carità per gli altri fino al punto di condizionare la loro stessa esistenza: giovani che non si sposano per poter assistere genitori invalidi o fratelli colpiti da gravi disabilità; persone che per aver difeso i compagni di lavoro ingiustamente puniti sono state licenziate; quelli che per onestà non si sono prestati a imbrogli finanziari, venendo per questo emarginati nell’impresa in cui lavoravano; madri che non interrompono la gravidanza pur sapendo che il figlio soffre di gravi malformazioni che ne limiteranno gravemente la vita; religiose trattate ingiustamente nella clausura, senza mai una rimostranza, senza mai ribellarsi. Una vita di coerenza morale o di compassione per gli altri produce di frequente conseguenze dolorose che segnano un’esistenza, un’esistenza donata per amore e fedeltà. 43


LA COMUNITÀ ROMANA NEL TRAMONTO DELL’IMPERO

Capitolo 7

LA COMUNITÀ ROMANA NEL TRAMONTO DELL’IMPERO I cristiani di Roma appartenevano a tutte le etnie del mondo conosciuto e i loro idiomi materni e le loro culture erano altrettanto diversi delle loro origini. Tutte le contraddizioni proprie di un impero globale erano presenti fra i loro membri, che del resto appartenevano a diversi strati sociali e godevano di posizioni economiche molto diverse. Fu il Vangelo, la buona novella annunciata da Cristo, ciò che andò forgiando la loro identità particolare e che riuscì a farli sentire membri di una stessa comunità, una comunità solidale con una fede e una speranza comuni. Nella Storia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea leggiamo che al tempo di papa Cornelio (251-253) la Chiesa di Roma assisteva 1.500 persone fra indigenti, vedove e malati. Dato l’aumento di conversioni dei due secoli successivi, possiamo calcolare che il numero degli assistiti crebbe in proporzione. Tutti i documenti cristiani dei primi secoli parlano con naturalezza della preoccupazione costante delle comunità di aiutare i più bisognosi e deboli fra loro. La Chiesa riscuoteva ciò di cui aveva bisogno per le sue opere caritative grazie fondamentalmente alle collette tra i fedeli. La più conosciuta era, senza dubbio, la «festa delle collette», una delle ricorrenze che si dedicavano annualmente a raccogliere appunto una somma considerevole, bastante a rispondere alle necessità dei poveri di ogni genere presenti nella diocesi. Questa festa di generosità dei fedeli romani si celebrava ogni anno dal 5 al 15 di luglio, negli stessi giorni in cui tradizionalmente i pagani celebravano, con la medesima finalità, i Ludi Apollinares. Secondo san Leone Magno la versione cristiana di questa festa era la più antica, ma probabilmente era stata copiata dalla festa pagana. Questo papa insistette sulla convenienza di aggiungere al digiuno e alla preghiera propri del tempo

1. Ultima Cena. Mosaico, 493-526 ca. Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna. Mancano raffigurazioni della comunità cristiana, l’iconografia riguarda anzitutto scene dell’Antico Testamento e dei Vangeli. Abbiamo però raffigurazioni di banchetti eucaristici nelle catacombe. L’immagine dell’Ultima Cena con gli apostoli resta l’esempio costitutivo della comunità cristiana. Il mosaico paleocristiano di Ravenna è particolarmente espressivo: i grandi pesci sulla mensa ricordano il miracolo della moltiplicazione per sovvenire ai bisogni di tutti.

della Quaresima l’elemosina e le opere di carità: «Impegnamoci a difendere le vedove, aiutiamo gli orfani, consoliamo quelli che piangono, riconciliamoci con i nostri nemici, forniamo alloggi ai pellegrini, soccorriamo gli oppressi, vestiamo gli ignudi, occupiamoci degli infermi». Si trattava di un’esortazione all’impegno personale e alla collaborazione alle opere diocesane. La Roma cristiana approvò e favorì l’istituzione di granai pubblici per il sostentamento delle classi inferiori. In questi granai non si vendeva frumento, ma lo si immagazzinava e lo si distribuiva ai bisognosi. Le proprietà agricole che la Chiesa romana possedeva in Africa e in Sicilia erano amministrate da rappresentanti del vescovo di Roma che avevano la missione di inviare a Roma i raccolti. In non poche occasioni i papi, anche quando non avevano autonomia né poteri di governo nella città, furono gli unici capaci di trovare soluzione ai problemi di scarsità o di carestia della popolazione, guadagnando un’autorità morale universalmente rispettata e la fiducia riconoscente dei romani. Due secoli più tardi, in una situazione di maggiore decadenza, Gregorio Magno (590-604) vigilò e organizzò l’approvvigionamento quotidiano della popolazione, soggetta alle calamità e alla disorganizzazione cronica dell’epoca, importando gli alimenti necessari, in particolare il grano dei territori siciliani proprietà della Chiesa romana. Restaurò inoltre gli edifici di una città in rovina e in palese decadenza. Roma e, in generale, le Chiese locali disponevano di un elenco pressoché completo dei bisognosi delle loro comunità, autentica radiografia della situazione dei fedeli, indice di un’organizzazione complessa e ramificata, grazie alla quale i vescovi e i diaconi conoscevano minuziosamente le necessità individuali e cercavano di rispondervi a seconda della situazio1

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LA COMUNITÀ ROMANA NEL TRAMONTO DELL’IMPERO

2. Papa Cornelio e san Cipriano. Affresco, VI secolo. Catacombe di San Callisto, Roma. San Cipriano, vescovo di Cartagine, sostenne l’atteggiamento misericordioso del papa nei confronti di chi avesse rinnegato la fede.

3. Santa Melania la Giovane. Icona moderna. 4. Raffaello (e bottega), San Leone Magno ferma Attila. Affresco, 1513-1514. Stanza di Eliodoro, Musei Vaticani. 4

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ne di ciascun indigente. Roma era una diocesi ricca, con una massa di beni ben amministrata, a cominciare dai patrimoni delle basiliche per finire con i legati delle grandi famiglie e le eredità di molti cristiani. Come esempio di questa dedizione generosa, prendiamo Cipriano, vescovo di Cartagine, il quale, dopo essersi convertito al cristianesimo a 45 anni, distribuì tra i poveri una parte importante della sua fortuna. Due secoli più tardi, verso il 409, la società romana rimase commossa quando Melania la Giovane, una delle ereditiere più ricche dell’Impero, felicemente sposata con Piniano, ugualmente ricco, decise di donare tutti i suoi beni ai poveri e di iniziare una vita di castità. Non furono gli unici, e ogni volta i poveri furono destinatari di una parte importante o addirittura della totalità delle ricchezze. Non si tratta solo di azioni a favore dei più sfortunati, motivate semplicemente dalla pietà o da un sentimento umanitario; nel cristianesimo si mostra un nuovo modello di rapporti umani e di società fraterna. Una comunità che ama i fratelli perché ritiene che, essendo Dio il Padre comune, si debba 46

dimostrarlo con parole e opere. Massimo il Confessore scrisse: «Facendo scomparire l’amore per se stesso mediante la carità, chi si mostra degno di Dio fa scomparire allo stesso tempo tutta la folla di vizi che ormai non hanno in lui più ragione di essere né fondamento. Quest’uomo non conosce più l’orgoglio, segno di arroganza verso Dio, male multiforme e innato; egli […] facendosi amico degli altri esseri umani con una benevolenza volontaria, consuma l’invidia, che a sua volta consumerebbe per primo chi la prova; elimina la collera, i desideri omicidi, l’ira, l’inganno, la menzogna, lo scherno, il rancore, l’avidità e tutto ciò che divide gli uomini»9. L’identità cristiana non si esaurisce nel Credo e nel canone delle Scritture, ma si manifesta anche e soprattutto nella carità reciproca e nel rapporto fraterno dei discepoli di Gesù: «Se […] possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla» (1 Corinzi 13,2). Nella nuova società i cristiani avranno come norma l’esortazione di Gesù: «Fate agli altri ciò che vorreste fosse fatto a voi». Non chiede che li trattia-

mo come essi ci trattano, che è la legge del taglione, ma come noi stessi, che ci amiamo molto, vogliamo essere trattati, e questa decisione di prendere noi stessi l’iniziativa si traduce nel Padre Nostro con il rischioso impegno di chiedere al Signore che rimetta a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Nella liturgia si mantiene il principio che per Cristo tutti gli uomini hanno la medesima dignità. Gli schiavi sono ammessi al battesimo e all’eucaristia alle medesime condizioni dei liberi. Si trattava di una decisione rivoluzionaria, giacché gli schiavi pagani non potevano partecipare ai culti ufficiali e dovevano organizzare fra di loro dei culti appropriati. Non incontriamo mai nelle catacombe la parola «servo», perché per quei cristiani tutti erano uguali, anche nella morte. Leone Magno, dunque, cercò di salvare i romani dalle grinfie dei barbari e di salvare i barbari da se stessi. Era il suo compito precipuo, salvare i figli di Dio da quanto minacciasse la loro vita e la loro libertà. Nel corso dei secoli incontriamo ripetutamente questa

attitudine. L’Europa nasce da quest’opera ecclesiale di integrazione. Da un amalgama di popoli, culture e tradizioni, il cristianesimo, annunciando la paternità universale di Dio e la presenza umanizzatrice e salvifica di Cristo, ottiene una cultura che lo integra con le tradizioni romane e le peculiarità di ciascun popolo. Per questo risultato è stato essenziale, senza dubbio, che il cristianesimo non fosse radicato in alcun contesto particolare razziale, geografico, sociale o politico. Esso era genuinamente universalista. Risulta importante, in tal senso, apprezzare tanto gli elementi di continuità quanto quelli di discontinuità fra il mondo romano di sant’Agostino e il mondo cristiano-barbarico che gli succedette. Fra gli elementi di continuità non si può non tener conto del ministero caritativo che i vescovi e le istituzioni ecclesiastiche mantennero invariabilmente nelle città a favore dei più deboli delle varie comunità. Come un’eco dell’avvertimento di Giuliano l’Apostata, si mantenne nei nuovi modelli sociali quell’impronta di carità e preoccupazione per le necessità dei cittadini che aveva distinto le prime comunità cristiane10. 47


LA CARITÀ ECCLESIALE NEI CONSIGLI DI GIULIANO L’APOSTATA

Capitolo 8

LA CARITÀ ECCLESIALE NEI CONSIGLI DI GIULIANO L’APOSTATA Giuliano (331-363) era figlio di Giulio Costanzo, fratello dell’imperatore Costantino. A sei anni subì lo sterminio della sua famiglia, in occasione dell’uccisione dei rivali potenziali che segnò l’accesso al potere dei figli di Costantino, e durante i ventiquattro anni seguenti visse nel timore di essere assassinato dal cugino Costanzo, che morì poi senza eredi. A trent’anni fu proclamato imperatore. Durante la sua gioventù studiò la filosofia, e si considerò predestinato a restaurare la Romanitas, degradata – secondo lui – dall’imposizione della religione cristiana operata dallo zio, e finì per odiare tanto i suoi parenti quanto il cristianesimo. Per lui, Gesù di Nazaret, lungi dall’incarnare l’espressione finale e piena del Verbo, non era altro che un contadino illetterato i cui insegnamenti, completamente privi di verità e di bellezza, erano allo stesso tempo illogici, estranei al senso comune e socialmente sovversivi. In realtà, si può pensare che, avendo sperimentato sulla sua pelle la crudeltà e la capacità di assassinare impunemente e senza rimorso dei cugini, cristiani confessi, doveva risultare difficile a Giuliano digerire la dottrina dell’amore proclamata da Gesù e praticata in apparenza dai suoi discepoli contemporanei, ma screditata crudelmente dai suoi regali parenti. Se riflettiamo su questa storia, ci rendiamo conto che la conversione del potere in tutte le sue dimensioni risultava molto difficile. Si accettava il cristianesimo come religione personale, ma il modo di governare continuava a essere egoista, violento, sconsiderato e aggressivo verso chiunque fosse considerato un avversario o un concorrente. Capetingi, Borboni, Asburgo o Braganza appoggiarono la Chiesa e furono persino dotati di pietà personale, ma quasi sempre ritenevano che il fine giustificasse i mezzi. Costanzo fu senza dubbio sinceramente cristiano, ma, in quanto imperatore, fu altrettanto violento 48

e immorale di qualsiasi imperatore pagano. «Non così voi», esortò Gesù i suoi discepoli, ma è risultato molto complicato conciliare il potere con l’amore e con l’attitudine al servizio. Una volta divenuto imperatore nel 361, dominato dal desiderio di ricreare la realtà classica e di adattare a questo piano gli dei del politeismo mediterraneo, Giuliano progettò di passare dalla rivelazione cristiana alla ragione greca. Volle cioè tornare allo spirito e al metodo della scienza classica, ma utilizzò, forse per l’improvvisazione e per il poco tempo di cui disponeva, una formulazione atipica, poco strutturata e sistematica. Lo storico di Roma Edward Gibbon osserva che «il genio e il potere dell’imperatore erano impari all’impresa di restaurare una religione priva di princìpi teologici, di precetti morali e di disciplina ecclesiastica», ma Giuliano tentò con audacia, mosso da rancore nei confronti di Costantino e del cristianesimo, identificando il secondo col primo. Nonostante questo rifiuto e l’avversione per il cristianesimo, Giuliano fu molto sensibile a quelle caratteristiche proprie della nuova religione che attraevano il popolo e rafforzavano la sua presenza e la sua espansione. «Sono consapevole», scrisse al pontefice pagano Teodoro, «che avendo i sacerdoti pagani abbandonato i poveri, gli empi galilei si sono dedicati con intelligenza a questo genere di filantropia, e hanno raccolto molti frutti con queste pratiche, che destano sempre impressione. In questo modo, i galilei hanno cominciato la loro opera politica a partire da ciò che chiamano agápe e dall’ospitalità e dal servizio delle mense, facendo sì che molti passassero all’ateismo». Man mano che andava avanti, concretizzando la sua decisione di rinnovare il paganesimo, Giuliano ritenne conveniente copiare ciò che aveva aiutato il trionfo del cristianesimo. Scrisse al sommo sacerdote Arsacio: «Non vediamo che soprattutto hanno ac-

1. Trionfo di Cibele e Attis. Patera argentea di Parabiago. Civiche Raccolte Archeologiche, Milano. Il culto di Cibele giunge a Roma dalla Grecia agli inizi del II secolo a.C. Chiamata spesso dai romani «la grande madre», magna mater, il suo culto è ripreso da Giuliano, poiché Cibele protegge la natura e perciò l’attività agricola che dà agli uomini risorse vitali.

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LA CARITÀ ECCLESIALE NEI CONSIGLI DI GIULIANO L’APOSTATA

cresciuto l’ateismo la filantropia verso gli stranieri, la cura nel seppellire i morti e la simulata austerità della vita? […] Istituisci in ciascuna città numerosi alloggi, affinché gli stranieri godano della nostra filantropia, e non solo i forestieri che sono dei nostri, ma chiunque altro abbia bisogno. Ho già pensato donde potrai procurarti i mezzi: ho ordinato, infatti, che siano assegnati ogni anno per l’intera Galazia trentamila moggi di grano e sessantamila sestieri di vino. Io dico che di questi bisogna distribuirne la quinta parte ai poveri che prestano la loro opera presso i sacerdoti, il resto lo dobbiamo assegnare agli stranieri e a coloro che vengono a mendicare da noi. Infatti, sarebbe vergognoso che mentre […] gli empi galilei nutrono oltre ai loro anche i nostri, risultasse che i nostri manchino di assistenza da parte nostra»11. Questi ospedali o ostelli, che tanto ammirava Giuliano, erano case destinate ai bisognosi che si trovavano senza un tetto, luogo di rifugio di poveri, pellegrini, infermi, gente senza alloggio, case in cui si esercitavano la carità e l’assistenza cristiane sotto la guida più o meno diretta del vescovo. Una volta conseguita la libertà e man mano che aumentava il numero dei cristiani, queste case si moltiplicarono. Non risulta quindi strano che i pagani identificassero il cristianesimo con l’organizzazione capillare che raggiungeva tanti ambiti diversi della società. L’intenzione di Giuliano di rinnovare il paganesimo risultò inattuabile. Benché la sua morte prematura ci impedisca di sapere ciò che sarebbe accaduto se il suo regno fosse stato più lungo, le pratiche cristiane e la loro organizzazione avevano ottenuto un successo tanto generalizzato che risulta difficile immaginare un’alternativa vittoriosa. Soprattutto, la presenza cristiana nelle necessità, penurie e aneliti del vasto mondo popolare aveva ottenuto un’adesione quasi impossibile da ottenere con la decrepita religione pagana, nonostante ogni sforzo prodigato per rivitalizzarla. Il cristianesimo offriva consolazione e generava entusiasmo, due stati d’animo necessari in quello e nel nostro tempo. Il suo Dio era vicino, pietoso e paterno, e non aveva nulla a che fare con la rielaborazione della divinità operata da Giuliano e da altri filosofi pagani. L’amore predicato e vissuto nelle comunità cristiane, nonostante il peccato e le debolezze fossero pur sempre presenti, continuava a essere la loro gloria e la loro forza. 50

Agli uomini del IV secolo, il cristianesimo non si presentava tanto come una dottrina o un dogma, o come un’associazione di mutua assistenza, né come una teologia o una istituzione, per quanto originali, ma, piuttosto, come uno stile radicale di vita, come l’ideale di un uomo e di una società rinnovati. Il culto, la liturgia, la devozione e, soprattutto, il suo modo di intendere gli altri e di mettersi in rapporto con loro, furono l’espressione di questa trasformazione della psicologia, della sensibilità e del comportamento dei cristiani. Le pratiche di penitenza, di mortificazione, di carità (dall’amore fraterno all’elemosina) e la percezione di far parte del Corpo mistico di Cristo determinarono nuove relazioni sociali e un sentimento di gruppo che trascendeva il tempo e lo spazio. Chiaramente, Giuliano non arrivò a comprendere l’importanza di questa trasformazione, se, avendo ridotto il suo rimodernamento del paganesimo a nuovi aspetti dottrinali e a una rinnovata organizzazione sociale, pensava con questa metamorfosi – in realtà solo cosmetica – del paganesimo di ferire a morte il cristianesimo. Nel suo progetto, Giuliano dimenticò che solo Cristo è l’amore generatore dell’amore e della generosità dei cristiani.

Capitolo 9

I PADRI DELLA CHIESA E LA GIUSTIZIA SOCIALE

2. Busto dell’imperatore Giuliano, particolare della statua a lui attribuita. Parigi, Louvre.

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I Padri della Chiesa provenivano, in genere, da famiglie agiate, con una buona formazione intellettuale e con un intenso spirito evangelico che aveva modellato la loro personalità e le loro attività. Erano tutti molto generosi, dividevano i propri beni fra i bisognosi e diventarono famosi per le loro opere di carità. Interpreti eccezionali della Sacra Scrittura che tengono costantemente in mano, accentuano e proclamano il loro profondo sentimento sociale, dimostrando che questo aspetto, nella sua radicalità, risulta inseparabile dal cristianesimo. Nei loro scritti vengono affrontati temi tanto fondamentali come l’uguaglianza essenziale degli esseri umani; la dignità e la primazia della persona umana, e il suo pluralismo cui si deve rispetto; la proprietà privata e la sua natura sociale; la ricchezza e lo scambio dei beni, il lavoro e la sua dignità; lo sviluppo economico e la sua sottomissione alla morale. Secondo i Padri, i doveri dei ricchi non consistono soltanto in un intimo distacco, ma, fondamentalmente, nella condivisione dei loro beni con quelli cui manca il necessario, non solo per farli sopravvivere ma anche per far sviluppare le loro capacità personali. Non si trattava appena di essere generosi ma anche giusti e, nei loro scritti, non esitarono a utilizzare un linguaggio audace ed esigente. Infatti, man mano che sviluppavano strutture di assistenza per i più poveri e che si trasformavano progressivamente in protettori e benefattori di individui e città, i vescovi esortavano i propri fedeli a mettere le ricchezze personali al servizio dei bisognosi e della Chiesa, ma le loro argomentazioni, partendo dal Vangelo, andavano al di là delle raccomandazioni alla beneficenza e all’assistenza, e si concludevano elaborando una dottrina dell’uguaglianza sostanziale del genere umano e dei suoi diritti, fondata sulla decisione del Creatore che tutti i beni della terra debbano essere comuni.

Propongo adesso alcuni testi significativi dei Padri più importanti. San Basilio (330-379), il più moderno dei Padri greci, pose in evidenza di frequente il carattere sociale e comunitario della dottrina evangelica sulla proprietà e le ricchezze. «La carità sottomette gli uomini liberi gli uni agli altri e accentua e mantiene, allo stesso tempo, la libertà della volontà». «Il decreto di Dio non ci insegna che dobbiamo respingere e fuggire i beni materiali come se fossero mali, ma ci spiega invece come amministrarli. Se si condanna qualcuno, non è in nessun caso perché possiede dei beni, ma perché li ha impiegati disonestamente o perché non è stato capace di farne un uso adeguato». «Che cosa risponderai al Giudice, tu che addobbi le pareti e lasci

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A pagina 51: 1. San Basilio il Grande officiante. Affresco, XI secolo. Cattedrale di Santa Sofia, Ohrid, Macedonia.

I PADRI DELLA CHIESA E LA GIUSTIZIA SOCIALE

2. San Giovanni Crisostomo e un vescovo nubiano. Pittura murale, X secolo. Museo di Arte Copta, Il Cairo Vecchio.

nudo l’uomo, tu che adorni i cavalli e non ti degni di guardare il tuo fratello coperto di cenci, tu che lasci che il grano marcisca e non nutri gli affamati, tu che sotterri l’oro e non sfami chi muore di ristrettezze?». «Mi sembra che l’infermità dell’anima di quest’uomo sia simile a quella dei golosi, che preferiscono scoppiare per il troppo cibo, piuttosto che dare gli avanzi ai bisognosi. Sii consapevole, uomo, di chi ti ha dato ciò che possiedi, ricorda a chi appartiene ciò che amministri, da chi lo hai ricevuto, per quale motivo sei stato preferito ad altri. Sei stato fatto servitore di Dio e amministratore di coloro che sono, come te, servi di Dio; non pensare che i tuoi beni siano stati destinati esclusivamente al tuo ventre. Ricordati che ciò che hai in mano è cosa d’altri. I beni possono rallegrarti per un certo tempo, ma in seguito fuggono e scompaiono, e alla fine ti sarà chiesto il conto esatto di ogni cosa». San Cirillo di Gerusalemme (313-386) è conosciuto e ammirato per la catechesi che predicò nel 358 ai catecumeni, nella quale spiegò metodicamente il credo della Chiesa di Gerusalemme, senza dimenticare nessuno degli articoli dedicati alla generosità nella distribuzione dei beni. «Ciò che ricevi da Dio per amministrarlo come un maggiordomo, amministralo utilmente. Ti è stato affidato del denaro? Amministralo bene. Hai talento per attrarre le anime di coloro che ti ascoltano? Fallo diligentemente. Puoi attirare grazie alla fede in Cristo le anime di chi ti sente parlare? Fallo diligentemente. Sono molte le porte di una buona amministrazione». San Gregorio Nazianzeno (330-390) sottolinea in tutte le sue opere l’aspetto sociale, in modo particolare nel suo discorso Sull’amore per i poveri, pronunciato probabilmente a Cesarea nell’anno 373. «Non c’è nulla nell’uomo di più divino che fare del bene»; e indica tra i motivi della compassione per i diseredati i seguenti: «Tu che sei robusto, aiuta l’infermo; tu, ricco, il bisognoso; tu, che non hai inciampato, chi è caduto e si trova nella tribolazione; tu che hai coraggio, chi si è scoraggiato; tu, che ti godi la prosperità, colui che soffre nell’avversità. Ringrazia Dio di essere fra quelli che possono fare un beneficio e non fra quelli che hanno bisogno di riceverlo; tra chi non deve guardare le mani degli altri, e sono gli altri che guardano le tue. Non essere ricco solo per il tuo benessere, ma anche per la tua pietà; non solo per 52

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il tuo oro, ma anche per la tua virtù o, per meglio dire, solo per questa. Fatti stimare più del tuo prossimo diventando migliore di lui; diventa un dio per lo sfortunato imitando la misericordia di Dio». San Giovanni Crisostomo (344/354-407) si distinse per la sua ardente carità. Essendo arcivescovo di Co-

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3. I santi vescovi Basilio il Grande, Atanasio di Alessandria e Giovanni Crisostomo. Affresco, fine del XII secolo. Monastero di San Mosè l’Etiope, Nabak, Siria (restauro Istituto Centrale del Restauro di Roma).


I PADRI DELLA CHIESA E LA GIUSTIZIA SOCIALE

4. Sul retro del famoso Altare d’oro di Sant’Ambrogio a Milano, opera di Vuolvinio, di epoca carolingia (824-859), sono illustrate scene della vita di Ambrogio, in cui si dipana anche il suo impegno politico e sociale.

5. Particolare della formella con il battesimo di Ambrogio.

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stantinopoli, dedicò le sue ingenti entrate a erigere ospedali e a soccorrere i poveri. La sua preoccupazione in favore dei bisognosi e degli oppressi e il suo interesse per una più equa e giusta partecipazione di tutti alle ricchezze era così intensa, che a ragione gli si può dare il titolo di avvocato dei poveri, dato che incontriamo in quasi tutte le sue omelie la difesa ardente del diritto dei bisognosi all’aiuto e al soccorso; egli ricorda ai ricchi il loro dovere di devolvere ciò che è stato loro concesso, e fustiga senza mezzi termini la loro mancanza di coscienza sociale, i loro lussi e sprechi e le loro ingiustizie sociali. «Facciamo così anche noi e adoperiamoci in questo modo per la salute dei nostri fratelli. È opera non inferiore al martirio non lesinare alcun sacrificio per la 54

salvezza di tutti. Non c’è cosa che rallegri di più Dio. Ancora una volta torno a dire ciò che ho detto molte volte. La stessa cosa fece Cristo esortandoci al perdono: ‘Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello’ (Matteo 5,23-24)». Sant’Ambrogio (339-397) afferma nei suoi scritti che il fondamento della società sono la giustizia e la beneficenza. Insiste sull’importanza del bene comune e sul carattere comunitario dei beni. In tutti i suoi testi ricorda il dominio universale sulla terra concesso da Dio a tutti gli uomini e il diritto di tutti a dividersi i suoi frutti. «È buona la misericordia che


I PADRI DELLA CHIESA E LA GIUSTIZIA SOCIALE

fa gli uomini perfetti, perché imita il Padre perfetto. Non c’è nulla che valga tanto per l’anima cristiana quanto la misericordia. Si esercita in primo luogo verso i poveri: considera che i frutti della terra sono comuni, che ciò che la natura produce è per l’uso di tutti, e che ciò che possiedi lo devi distribuire fra i poveri, aiutando sempre i tuoi compagni e simili». Questi autori relativizzano il diritto di proprietà, al fine di imporre un carattere sistematico alla pratica dell’elemosina e criteri esigenti alla misura di quanto si debba dare. Sant’Agostino obbligava a distinguere tra il superfluo e il necessario, e considerava il superfluo come il necessario dei poveri. Sant’Agostino (354-430), il grande scrittore africano, sottolinea il ruolo preminente che spetta alla giustizia e alla carità nell’ordine sociale e nella pace, che è l’ordine umano per eccellenza. «Fratelli, dove comincia la carità? Avete udito come la si porta a perfezione: ‘Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici’ (Giovanni 15,13). Il Signore ci mostra, dunque, nel Vangelo la perfezione della carità e in questa lettera ci raccomanda di raggiungerla. Ma voi chiedete: quando mai potremo praticare una carità come questa? Non disperare troppo presto delle tue capacità. Forse è già presente, ma non è ancora perfetta: abbine cura affinché non si spenga. Ma tu mi chiederai: come lo saprò? Abbiamo visto come si porta a perfezione, sentiamo adesso in che modo comincia. San Giovanni prosegue e dice: ‘Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio?’ È da qui che inizia la carità. Se ancora non sei capace di dare la vita per un fratello, sii almeno capace di dargli i tuoi beni. Lascia penetrare la carità nel tuo cuore, in modo che tu non faccia il bene per ostentazione, ma per il valore in sé della misericordia, divenendo capace di prenderti a cuore colui che si trova nel bisogno». «Non ha limiti il bene che fa la carità! Se hai dei beni materiali, da’ ciò che possiedi; in caso contrario, mostra la tua buona volontà e, se puoi, da’ consigli e aiuta; se, infine, non puoi né consigliare né aiutare, dai voce al tuo buon desiderio e prega per l’afflitto, e senza dubbio Dio ascolterà questa preghiera prima di quella di chi consacra il pane. Ha sempre qualcosa da dare colui il cui petto è pieno di carità». 56

Capitolo 10

COLLABORAZIONE TRA LE CHIESE

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6. Vittore Carpaccio, Sant’Agostino nello studio. Tempera su tavola, 1502. Scuola di San Giorgio degli Schiavoni, Venezia.

Abbiamo parlato in altri capitoli dell’importanza centrale dell’elemosina nella vita del cristianesimo primitivo, anzi in realtà in tutta la storia del cristianesimo. Negli scritti e nella pastorale di sant’Agostino vediamo come questi sottolineasse con frequenza la sua importanza: «Inoltre, esistono nella Parola ispirata molte altre testimonianze che dimostrano il grande potere dell’elemosina nell’estinguere e cancellare i peccati.

Era ben nota tra i primi cristiani la generosità della comunità romana verso le comunità meno fortunate. San Dionigi di Corinto scrisse a Sotero, vescovo di Roma: «Avete il costume e la tradizione ininterrotta dall’inizio stesso del cristianesimo di soccorrere con ogni genere di aiuto i fratelli e di offrire ogni genere di aiuto alle innumerevoli Chiese sparse in ogni città quando si trovano nel bisogno. In questo modo alleviate la povertà di moltissimi, e provvedete il necessario ai fratelli condannati al lavoro nelle miniere. Così, romani, fin dall’inizio custodite il costume e le istituzioni del vostri antenati romani, rappresentando la provvidenza di tutti i bisognosi. E questo costume, il vostro felice vescovo Sotero non solo lo custodisce, ma lo ha anche ampliato, offrendo con abbondanza risorse ai santi e soccorrendo inoltre quelli che giungono da lontano, senza cessare allo stesso tempo, come padre affettuoso, di consolarli con sante esortazioni»12. Cento anni più tardi, Dionigi di Alessandria racconta come Roma facesse giungere regolarmente aiuti alle Chiese di Arabia e di Siria, mentre in Cappadocia, al tempo di Basilio, non avevano dimenticato che sotto il vescovo Dionigi (259-269) la Chiesa di Roma aveva inviato loro del denaro per riscattare i prigionieri cristiani dai loro padroni gentili. A Roma si trovavano, naturalmente, molte famiglie ricche, ma ancora oggi emoziona lo spirito di corpo e di fraternità che dominava in quella comunità attenta ai bisogni delle altre. Nel corso dei secoli, la carità si è sviluppata e trasmessa nella Chiesa in un triplice modo: annunciando la Parola, che racconta l’amore di Dio per i suoi figli; nella celebrazione dei sacramenti, in occasione dei quali questo amore si diffonde nel cuore dei fedeli; nell’esercizio della carità, per mezzo del quale l’amore di Dio crea la comunione con il prossimo.

Questo prossimo appartiene alla propria comunità, la più vicina, o alle diverse comunità sparse per il mondo che costituiscono la famiglia del Padre. Tutti sono egualmente prossimi, fratelli, figli di Dio. È per questo che alcuni vescovi si preoccupavano per i problemi interni di altre comunità, le consigliavano e offrivano loro i mezzi per risolverli. Non per nulla durante le eucaristie di ciascuna diocesi si leggevano i nomi dei vescovi con cui si trovavano in comunione, manifestando i loro buoni rapporti e la disponibilità fraterna alla collaborazione. La grande Chiesa, la comunione delle diocesi che si riconoscevano reciprocamente, si manteneva grazie ai rapporti personali e alle occasioni di frequente collaborazione. Vale a dire che la Chiesa cristiana, il cristianesimo, ha permanentemente manifestato tre tratti che ne demarcano l’essenza costitutiva: il suo essere comunitaria, il suo essere samaritana e la sua universalità. Roma fu fin dal primo momento il centro di comunione delle Chiese, non solo perché Pietro era stato là e là si trovava la sua tomba, ma anche per gli aiuti generosi alle Chiese che si trovavano in difficoltà, guadagnandosi così la fama e la gratitudine delle Chiese più deboli e sfavorite. Non fu l’unica né la prima comunità a preoccuparsi per la situazione di quelli che considerava fratelli; troviamo molti esempi di aiuto e collaborazione tra Chiese benestanti e comunità in difficoltà. Queste comunità cristiane primitive appaiono come un’unione di lavoratori che mettono in comune il frutto delle loro fatiche per aiutare i fratelli più poveri. In effetti, Paolo organizzò collette che mettevano in evidenza la solidarietà fraterna dei cristiani delle varie Chiese. In questo senso, conosciamo la preoccupazione dell’apostolo di spingere i suoi discepoli delle diverse comunità a essere generosi con i cristiani di Gerusalemme, che si trovavano in una situazione dif57


1. Le prime comunità cristiane e i viaggi di San Paolo.

COLLABORAZIONE TRA LE CHIESE

COLLABORAZIONE TRA LE CHIESE

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Comunità o presenza cristiana nel I secolo

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ficile. Questa colletta e il viaggio da una Chiesa all’altra, che intraprese con sette accompagnatori che lo avevano aiutato nella sua richiesta, dimostrano il suo interesse a mantenere, anche in situazioni complesse, un rapporto continuo delle comunità della gentilità con la Chiesa Madre, ma soprattutto la sua solidarietà evangelica con quanti credevano in Cristo. Nei casi di catastrofe, di carestia, di pestilenza, tanto frequenti in quei tempi, l’altruismo dei cristiani non aveva limiti. Quando i barbari nomadi devastarono la Numidia e catturarono numerosi cristiani (253), Cipriano di Cartagine, la cui Chiesa non era molto numerosa, raccolse 100.000 sesterzi per le vittime (Epistola 62). Agì allo stesso modo in occasione delle epidemie di peste a Cartagine, Alessandria e ad altri luoghi. A causa della sconfitta di Adrianopoli (378) si moltiplicarono le rovine, le devastazioni e i lutti di ogni genere, ma, soprattutto, fu enorme il numero di prigionieri caduti in mano ai goti. Sant’Ambrogio, in seguito al rifiuto di alcuni dei suoi fedeli, decise di trasformare in lingotti d’oro gli strumenti liturgici di questo metallo che non erano ancora stati utilizzati nelle celebrazioni, e riscattò con essi numerosi prigionieri. Da parte sua, san Basilio costruì in Cesarea di Cappadocia tutto un complesso di ricoveri che formavano una sorta di città con il nome di Basiliade, con padiglioni per i malati, i forestieri, i poveri e gli orfani, con abitazioni per i medici e gli infermieri, alloggi per i visitatori, scuole e officine. Questa collaborazione fra le Chiese cristiane non si riduceva alla beneficenza, ma si esprimeva in modo eccezionale nell’unità dottrinale e istituzionale. La convinzione di formare un solo corpo accrebbe in ogni vescovo la coscienza dei suoi obblighi collegiali e fraterni, vale a dire della sua responsabilità nei confronti del bene di tutte le Chiese e non solo della propria. Si scambiavano i verbali delle riunioni regionali, dimostrando così l’interesse a conoscere e ad avvalersi dell’esperienza altrui e a mantenere una sostanziale unità di dottrina e azione. Si realizzò così nel cristianesimo l’esperienza del fatto che una società globalizzata – che incoraggia i suoi membri a scambiarsi confidenza, amore, impegno, progetti comuni e orizzonti di appartenenza – risulta più forte e più compatta. In questo senso, i concili regionali e generali costituirono splendide opportunità di conoscenza, di scambio e approfondimento delle idee,

Comunità o presenza cristiana nel II secolo Comunità o presenza cristiana nel I e nel II secolo

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Capitolo 11

COMPAGNIE DEL DIVINO AMORE E SPAZI DI ACCOGLIENZA

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di arricchimento reciproco nell’entrare in contatto con altre tradizioni, con sensibilità e metodi teologici differenti. Il mondo latino, il greco, l’armeno, il siro e l’africano si differenziavano per riti e scuole teologiche, ma erano più le cose che li univano che quelle che potevano separarli. Col tempo, furono più spesso i fattori psicologici e politici a determinare la separazione che le differenze teologiche. Ai nostri giorni, le Chiese dei paesi più ricchi mantengono organizzazioni di aiuto ai paesi del cosiddetto Terzo Mondo, come per esempio Manos Unidas (Mani Unite), Adveniat, Misereor, Catholic Relief Services e molte altre istituzioni nazionali che hanno realizzato una gigantesca operazione di generosità delle Chiese cattoliche nei confronti di quei paesi. Ad esse è diretta una parte cospicua delle offerte dei cristiani di ciascuna Chiesa. Parrocchie e diocesi prendono sotto il loro patrocinio diocesi e regioni di altri continenti, aiutandole nelle loro necessità più urgenti. Ciò non deve essere considerato come qualcosa di straordinario, ma come una conseguenza naturale della fraternità esistente. Probabilmente, l’organizzazione più completa e universale di carità esistente nella Chiesa cattolica è la Caritas, che si occupa direttamente dei bisogni delle diverse comunità nazionali e che allo stesso tempo dedica mezzi e 60

2. Nel sito web di Caritas Internationalis appare questa immagine simbolica (www.caritas.org./anaut/index.html).

personale alle difficoltà e alle necessità esistenti nel resto del mondo. La dottrina sociale della Chiesa contiene tra i suoi capitoli principali il «destino universale dei beni», principio che, naturalmente, non si oppone al diritto alla proprietà privata o al diritto delle nazioni, ma che neppure li riconosce come assoluti né intoccabili, anzi li considera come mezzi che devono sempre tener conto delle esigenze del bene comune. In questo senso, il cristianesimo ha l’obbligo di far maturare nella società e negli Stati la coscienza del dovere della solidarietà che, dato l’attuale livello di globalizzazione, deve estendersi al mondo intero con un chiaro intento di reale collaborazione tra i popoli. Questo offrire e offrirsi dei cristiani a quanti si trovano in grave bisogno deve essere immediato e gratuito, secondo l’obbligo evangelico e gli esempi dei santi che hanno operato nel mondo. La credibilità dell’amore di Dio per gli uomini dipende in gran parte da questo donarsi dei credenti in cambio di nulla. È stato così fin dal principio, in base alla massima «gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Matteo 10,8).

Lo Spirito, come aveva promesso Gesù, ha vivificato e diretto i cristiani in ogni epoca e in ogni stagione, anche nei tempi oscuri, anche quando essi davano un’impressione di grettezza di spirito, di assenza di inquietudini religiose. Nei secoli XIV e XV, quando il popolo e il clero cristiano sembravano abbandonarsi alla frivolezza e al disordine morale, per il desiderio di godere senza freni e di non essere intralciati da esigenze morali, non mancarono laici e chierici desiderosi di seguire con decisione i precetti evangelici, che si riunivano per studiare la dottrina di Gesù, pregare il Signore ed esercitare comunitariamente la carità. Promuovere la pietà, il culto e la carità diventavano obiettivi collegati e curati con la medesima attenzione. Lo stesso Lutero, nei suoi Discorsi a tavola, racconta di una sua esperienza a Firenze, dove poté osservare molte signore che lasciavano le proprie abitazioni per assistere gli infermi in ospedali puliti e ben provvisti. Nacquero così in diverse città italiane i cosiddetti Oratori del Divino Amore, associazioni di laici mossi da una profonda inquietudine religiosa. A Vicenza troviamo la Compagnia segreta di san Gerolamo, che risponde a un modello che si ripeterà in varie città italiane: «Una grande opera di pietà, insigne in tutta Italia, esiste in questa religiosissima città. Infatti, sotto la tutela di san Gerolamo, si trovano molti laici assidui nelle mortificazioni e in altri esercizi di pietà, che vivono liberamente nelle proprie case; dodici di essi visitano settimanalmente tutti gli infermi, i poveri e i bisognosi quartiere per quartiere, li consolano con parole e con vettovaglie e fanno sì che ricevano i sacramenti della Chiesa. Non c’è mercante né nobile al quale costoro non si appellino, né si apre porta sulla cui soglia non si fermino a chiedere elemosina. Di questa assidua opera si incaricano settanta persone in tutto»13. Costoro erano consapevoli che servi-

re Gesù Cristo nella persona dei poveri significava percorrere un cammino non facile, ma, superando dubbi e difficoltà, si dimostrarono disposti a farlo. Negli statuti della Compagnia di Genova (1497) troviamo descritta la sua finalità: «Fratelli, questa nostra Compagnia è stata istituita al solo scopo di radicare e piantare nei nostri cuori l’amore divino, cioè la carità […]. Chi voglia essere un buon confratello di questa Compagnia, sia umile di cuore […], diriga tutta la mente e ogni speranza verso Dio e riponga in lui tutto il suo affetto; in caso contrario, sarà un fratello falso e mentitore e non avrà frutto alcuno in questa fratellanza, dalla quale non si può trarre profitto alcuno che non riguardi la pietà nei confronti di Dio e del prossimo». Questi laici sperimentavano nella loro vita quotidiana l’infinito amore misericordioso del Padre e si sentivano spinti ad agire misericordiosamente con quanti ne avevano necessità, soprattutto dopo aver contemplato la passione e morte di Gesù Cristo. Al contrario di chi riduce la religione dell’Amore a una serie di pratiche formali e si sente buono per averle compiute, benché non abbia carità nel cuore, molti credenti sperimentano l’importanza e la necessità di amare i fratelli, e questo rafforza il loro amore per Dio. Frutto dell’impegno e della generosità di questa compagnia fu l’ospedale degli Incurabili di Genova (1499-1500), che accoglieva i malati di sifilide o «mal francese», diffusa dai soldati di Carlo VIII durante la sua invasione dell’Italia. A causa del fatto che erano considerati incurabili, del pericolo di contagio e della ripugnanza che ispiravano le loro piaghe, gli ospedali si rifiutavano di ricoverarli. Per questa ragione rimanevano abbandonati nella più grande miseria. La Compagnia del Divino Amore decise di costruire un ospedale dedicato ad essi, e per provvedere al suo mantenimento e all’amministrazione venne fon61


COMPAGNIE DEL DIVINO AMORE E SPAZI DI ACCOGLIENZA

1-4. A Siena, nell’ospedale di Santa Maria della Scala, nel XIV secolo si costruisce una grande corsia chiamata «pellegrinaio»; siamo infatti sulla via francigena e molti pellegrini passano da Siena. Il pellegrinaio è magistralmente affrescato da Domenico di Bartolo tra il 1441 e il 1444, e ci trasmette una straordinaria testimonianza di un ospedale e ospizio dell’epoca: (1) pasto dei poveri, (2) distribuzione delle elemosine, (3) accoglienza a madri con bambini e matrimonio di una figlia dell’ospedale, (4) cura dei malati.

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COMPAGNIE DEL DIVINO AMORE E SPAZI DI ACCOGLIENZA

5. Giovanni Cignaroli, La Vergine con il Bambino appare a Gaetano di Thiene (il fondatore, a Venezia, dell’Ospedale degli Incurabili), Chiesa di San Gaetano, Vicenza.

data una compagnia di soci protettori. L’istituzione fu molto ammirata e si eressero altri ospedali simili in altre città. A Venezia fu san Gaetano di Thiene che iniziò i lavori del nuovo ospedale degli Incurabili, nel quale si raccolsero i sifilitici e gli infetti da altri mali contagiosi, ospedale che contava anche una sede distaccata per bambini e bambine abbandonati e un’altra per le prostitute che avevano abbandonato il proprio mestiere. La ragione d’essere di queste istituzioni, che erano create da laici di buona formazione e, spesso, dotati di beni cospicui che mettevano a disposizione della confraternita, nonché da alcuni sacerdoti disposti a vivere in profondità le esigenze della propria vocazione, non era altro che quella di «seminare e piantare la carità nei nostri cuori». L’ospedale degli Incurabili di Roma ebbe un’origine analoga a quella degli altri italiani: «Per le vie e le piazze di Roma si vedeva tutti i giorni una grande moltitudine e numero di poveri piagati, posti alcuni in piccole carrozzelle, altri a terra, sgradevolissimi alla vista e all’olfatto di ciascuno, da cui si originava in Roma quasi continuamente la peste. Un membro della suddetta compagnia, alzando la voce, chiese in prestito cento ducati, con l’impegno di rendere il centuplo a chi glieli prestasse». Nacque così l’ospedale di San Giacomo degli Incurabili, autentica concentrazione del dolore umano e, allo stesso tempo, della buona volontà di tante persone che dedicavano tempo e fortune a rimediare alle dolorose conseguenze delle malattie più ripugnanti o difficili da curare, e a ricordare che il Creatore di tutte le creature ha dato loro uguali possibilità di felicità e di salvezza. Una storia dettagliata della Chiesa deve tenere conto della decadenza delle sue istituzioni, del progressivo deterioramento delle congregazioni religiose e dell’ignoranza di buona parte del popolo, ma anche della continua ricomparsa di persone spinte dall’amore cristiano le quali, preoccupate seriamente per lo stato delle proprie anime, non cessano di sforzarsi per migliorare la condizione dei corpi e degli spiriti dei loro fratelli. Anche nelle epoche più oscure della 66

6. Veduta di Venezia: in primo piano a sinistra l’antica struttura dell’ospedale degli Incurabili (oggi Accademia delle Belle Arti), prospiciente il canale della Giudecca. Opera importante, comparabile con la stessa piazza San Marco e con il palazzo Ducale.

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vita della Chiesa, quando la sua organizzazione si era contaminata con tutte le corruzioni e le violenze presenti negli altri strati della società, troviamo i frutti e le conseguenze del grano di senape evangelico, che fruttifica nei cuori delle persone più impensabili, a prima vista meno impegnate o meno preparate. La carità dei laici si è manifestata nel corso dei secoli con caratteristiche distinte e in diverse organizzazioni. Costituisce una costante la necessità di raggrupparsi per restare uniti ed essere più efficaci nella creazione di opere di assistenza in funzione dei bisogni. A volte, l’azione formatrice e caritatevole delle confraternite sostituiva l’inesistente azione pastorale del clero. In alcune parrocchie ridotte a circoscrizioni amministrative e con una gerarchia spesso lontana dalla vita del popolo, le confraternite si trasformava-

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no nell’unico luogo in cui i laici potevano vivere la dimensione ecclesiale del cristianesimo. Nell’epoca moderna, molte congregazioni religiose hanno occupato questi spazi, ma in nessun momento è mancata la preoccupazione di gruppi di laici di offrire una presenza personale là dove il dolore, la malattia e la fame sono presenti. È molto difficile per i più sventurati sentire Dio vicino, anche se ne hanno bisogno più di ogni cosa, ma i credenti possono e debbono dimostrare loro, con la vita e con le azioni, che Dio è loro Padre e li ama, paradossalmente, in maniera speciale. Il cristiano deve sforzarsi senza risparmio nel suo incontro con gli uomini, soprattutto con coloro che si sentono più discriminati, posti ai margini della società, umiliati per la loro incapacità e per il trattamento ricevuto. Qual-

siasi cosa faccia, il cristiano deve considerare quali conseguenze avranno le sue azioni per i più limitati, per i più poveri. Quando pretende maggiore giustizia, deve domandarsi: per chi? Non pochi gli chiederanno di dedicare i suoi sforzi a persone più efficienti e con un futuro più certo, ma Cristo si è dedicato a quelli apparentemente più inefficienti, a quelli che meno contribuivano alla società; in altre parole, agli incurabili. In alcuni ospedali medievali e del Rinascimento si pretendeva la confessione e la comunione prima che venissero prestate le cure. Tuttavia, Dio non chiede mai la carta di identità, né un attestato di aver adempiuto il precetto pasquale. La vita di Cristo è risultata in apparenza assolutamente inefficace, ma nel corso di duemila anni milioni di persone hanno trovato grazie a lui il senso delle proprie vite. 67


MISSIONARI ITINERANTI

Capitolo 12

MISSIONARI ITINERANTI

La Terza Lettera dell’apostolo Giovanni parla con ammirazione di quelli che si mettono in cammino in nome di Cristo (3 Giovanni 6-8), senza «bastone, né bisaccia, né pane, né denaro» (Luca 9,3), che dobbiamo accogliere, ospitare e aiutare, al fine di collaborare con la verità. Da allora, innumerevoli cristiani di ogni condizione hanno peregrinato di chiesa in chiesa, di comunità in comunità, di nazione in nazione, per annunciare il Vangelo e recare testimonianza di Cristo. Tutta la storia cristiana ci parla di loro. Gli ellenisti, dopo la morte di Lorenzo, percorsero la Giudea e la Samaria annunciando Gesù. Altri evangelizzarono Cipro, la Fenicia e Antiochia di Siria. Conosciamo il caso di laici che in Asia Minore predicarono il Vangelo e percorsero campagne e villaggi, accompagnando a volte i vescovi itineranti, che creavano nuove comunità in ambienti poco favorevoli. La storia della diffusione del cristianesimo ricorda inoltre tanti commercianti, soldati, avventurieri, vescovi e sacerdoti che percorsero le strade, visitarono le città e le campagne, annunciando la buona novella e fondando comunità che si sviluppavano fino a trasformarsi in diocesi. Sorprende l’intensa vita itinerante dei capi delle prime comunità, segno indubitabile che l’evangelizzazione permanente costituiva una delle loro preoccupazioni principali. I monaci sassoni medievali costituiscono un altro esempio noto e appassionante di itineranti per Cristo. Abbandonavano le loro case e la loro patria per annunciare, educare e civilizzare, creare comunità e stabilire la Chiesa. È uno degli esempi più belli e suggestivi della storia europea. Essi diedero ai nuovi cristiani l’impulso vitale, decisivo e fecondo, dal quale spuntò la personalità dei nuovi popoli centroeuropei e la cultura cristiana dell’Età Media14. 68

1. Basilica di San Francesco, Assisi. Con gli ordini religiosi francescano, domenicano e anche carmelitano le chiese, con i loro conventi, sono costruite nelle città, sia per accogliere i fedeli, sia affinché i frati possano uscire tra la gente di città e nel contado. Primo esempio maestoso di una chiesa francescana è la basilica di San Francesco ad Assisi, che sembra abbracciare l’intera città.

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Il Medioevo risultò un’epoca particolarmente attraente per gli itineranti, che proferivano suggestivi vaticini di calamità imminenti, critiche spietate e annunci pieni di speranza. Sia i catari sia i valdesi e altri gruppi eterodossi incontrarono orecchie attente a messaggi che sembravano risolvere molte delle loro perplessità, ma furono soprattutto Francesco d’Assi-

si, Domenico di Guzmán, Antonio da Padova e tanti altri Francescani, Domenicani, Carmelitani e membri di altre comunità del tempo che con semplicità e vicinanza diedero pace e allegria a gente che viveva nell’ignoranza e nella disperazione. San Vincenzo Ferreri (1350-1419) fu uno dei più grandi missionari itineranti dell’Europa occidentale, e fu ascoltato

con ammirazione da decine di migliaia di persone. Altro carattere, più combattivo e propositivo, ebbero i predicatori che percorsero l’Europa centrale contrapponendosi al protestantesimo e proponendo in maniera più chiara e pastorale la dottrina proclamata dal concilio di Trento. Per mezzo di sermoni, lezioni, conferenze, con la presenza nelle scuole e 69


MISSIONARI ITINERANTI

2. Rovine della missione gesuitica di Trinidad, Paraguay. Si vedono i resti delle case degli indios.

3. Mappa delle missioni gesuitiche nella provincia del Paraguay, 1726.

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nelle università, con lettere e conversazioni, nei confessionali e con la disputa di controversie, con scritti e consigli, questi itineranti compirono un lavoro di ricostruzione cristiana sorprendente, chiarendo concetti, prestando attenzione alle inquietudini e alle preoccupazioni dei cristiani contemporanei, risolvendo difficoltà e distinguendo il vero messaggio di Gesù da quella polvere e da quelle concrezioni inappropriate che lo sfiguravano. È in America che troviamo una proliferazione fantastica di esperienze itineranti nel corso di cinquecento anni di storia cristiana. Si trattava di territori immensi, con una organizzazione sorprendentemente equilibrata, ma che non sempre giungeva in misura con70

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veniente a una popolazione assai dispersa, di difficile accesso, con molti indigeni che non si trovavano alla distanza giusta per ricevere con regolarità un’attenzione religiosa sufficiente. Naturalmente, fu questa la causa delle cosiddette Reducciones dei Francescani e dei Gesuiti, che raggruppavano in villaggi questi abitanti così dispersi e difficili da raggiungere. Spesso, catechisti religiosi o laici si mettevano in cammino per visitare gli abitanti dispersi, che per lunghi tratti di tempo non avevano contatti religiosi. Nel XVI secolo troviamo molti missionari itineranti Gesuiti che percorrono sistematicamente diverse città americane, come Córdoba, Santiago del Estero e Santa Fe. Gesuiti, Francescani e membri di diverse 71


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congregazioni religiose visitano a volte popolazioni distanti, chiamati dai vescovi locali o seguendo programmi apostolici propri. La necessità di seguire gruppi umani trascurati dai poteri pubblici o in situazioni geografiche o sociali difficili, indusse alcune congregazioni a formare gruppi selezionati di predicatori ambulanti, che con capacità personali e programmazione istituzionale predicavano nelle feste o nelle occasioni più importanti, chiamati dalle popolazioni o spinti dalla propria inquietudine apostolica. I Francescani avevano

4. Chiesa dedicata ai santi Domenico e Francesco della missione francescana di Santa María de Agua, fondata sulla Sierra Gordo, Querétaro, Messico.

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5. Chiostro del monastero di Santa Clara, Cartagena de Indias, Colombia, luogo di partenza della missione di san Francisco Solano.

l’abitudine di percorrere periodicamente i villaggi degli indios, senza stabilirsi in essi, ma restando il tempo sufficiente a vedere in che condizione si trovassero i cristiani di quei luoghi e a impartire loro un ripasso intensivo. Conosciamo squadre di predicatori, con sede a Querétaro, che uscivano dalle loro case, si dirigevano verso la regione prescelta ed esercitavano l’azione missionaria sistematicamente, popolo per popolo, in America centrale e in Messico. I missionari recavano un bagaglio essenziale, qualche giaciglio, le grate per confessare, un crocifisso, qualche dipinto della Vergine Maria e i paramenti per celebrare. Tutto questo in groppa a un somarello o a un mulo. Il francescano san Francisco Solano fu l’esempio migliore di missionario itinerante. In quelle difficili condizioni, viaggiò da Cartagena de Indias fino a Tucumán mantenendo instancabilmente il proprio ritmo di predicazione e distribuzione di sacramenti. Un francescano di uno di questi gruppi, padre Hierro, scrive: «Camminando per poco più di due leghe, si recò a La Labor de los González, in casa di un povero, che con molta devozione e carità gli offrì da 73


MISSIONARI ITINERANTI

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9. Mappa dei viaggi di Daniele Comboni, fondatore della compagnia missionaria che da lui prende il nome, in preparazione del suo progetto di missione in Africa. Nel 1877 Comboni diventa vescovo di Khartoum, Sudan.

8. Visita medica cui erano soggetti gli emigranti dall’Europa per poter entrare in America. Long Island, 1905.

di missionari itineranti per ricostruire le comunità cristiane e le parrocchie distrutte durante la persecuzione. Nacquero così i Figli di Maria Immacolata. L’itineranza fu molto importante nel difficile XIX secolo per i cristiani brasiliani, che dopo la separazione dal Portogallo vissero per decenni senza la presenza di sacerdoti e religiosi, a causa della politica anticlericale che liquidò gli ordini religiosi e fece della Chiesa brasiliana, in gran parte, una Chiesa di laici. In innumerevoli comunità la vita religiosa continuò grazie ai catechisti e ai laici di fede profonda che, spostandosi di comunità in comunità, mantennero viva l’esperienza religiosa della popolazione e fecero sì che confraternite laiche divenissero centri importanti di culto. Ciò ebbe come conseguenza lo sviluppo di una religiosità popolare con ogni tipo di manifestazioni liturgiche e devozionali, a volte com-

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plicate e discutibili, con un pericolo reale di espressioni sincretistiche, ma non c’è dubbio che in vaste regioni, che durante un lungo periodo non poterono disporre di sacerdoti, il cristianesimo si mantenne grazie a questi laici. I missionari di padre Scalabrini, istituiti alla fine del XIX secolo per lavorare tra gli emigranti italiani in Argentina, Cile e Stati Uniti, furono presenti là dove i loro connazionali formavano comunità importanti, apportando dottrina, riti religiosi tradizionali dell’Italia, vicinanza psicologica e il mantenimento di legami e radici con le tradizioni familiari. Furono responsabili, inoltre, della pastorale di dieci dei porti maggiori del continente. Consideriamo che gli esseri umani si pongono continuamente domande sulle questioni della vita quotidiana o della sfera del trascendente. I missionari itineranti, le persone che hanno incontrato Dio o che lo cercano con costanza e decisione, offrono risposte anche se non vengono loro chieste e, ancora, fanno domande anche senza interrogare nessuno, perché riescono con la loro vita e con le loro parole a dare un senso alla vita di tutti. Ciò rappresenta il loro maggiore contributo: ci spiegano perché siamo venuti in questo mondo e qual è il fine del nostro cammino. Dare senso alla nostra esistenza è un dono e una luce per l’uomo, è un segno di amore vivo ed espansivo. Altro esempio ammirevole è quello dei catechisti africani, veri eredi degli itineranti dei primi secoli, che i religiosi Comboniani, della Consolata, Saveriani, di Mariannhill e tanti altri, hanno formato in maniera intensa e adeguata ad occupare posizioni di rilievo nelle Chiese africane. I catechisti sono i primi testimoni di Cristo e i primi agenti pastorali della Chiesa, preparano al battesimo, ai sacramenti, al matrimonio, dirigono la recitazione delle preghiere e del Padre Nostro senza il sacerdote, e rispondono basandosi sulla loro esperienza personale a tante domande dei loro compaesani meno istruiti. Visitano gli infermi e le persone in difficoltà, organizzano la carità per i più poveri. Fanno spesso da guide e da interpreti dei dialetti locali per i missionari. Grazie

San Pietroburgo Mosca

Londra

Berlino Colonia

lan tico

mangiare uova e latte e restò molto contento di aver ospitato Gesù Cristo nella persona dei suoi poverelli»15. Che splendida e sobria descrizione dell’amore cristiano nel suo senso più evangelico! Come ben sappiamo, alla fine del XVIII secolo la Rivoluzione francese ebbe conseguenze catastrofiche per alcune Chiese europee. Durante la persecuzione, molti laici nascosero i sacerdoti, fecero loro da emissari in diverse missioni religiose, predicarono e distribuirono l’eucaristia. Qualcosa di simile accadde durante la guerra civile spagnola, soprattutto a Madrid e Barcellona, con laici che effettuavano visite e missioni che ai sacerdoti era impossibile organizzare. Alla fine del periodo rivoluzionario sorsero con impeto nuove congregazioni, allo scopo di rinnovare il tessuto religioso così seriamente danneggiato. Baudouin, in Francia, stabilì e formò gruppi

7. Una famiglia di emigranti italiani arriva al porto di New York. Foto di I. Nole, 1905.

Ocean o At

6. Ritratto di Giovanni Battista Scalabrini. La sensibilità per chi emigrava si sviluppò in lui nel 1880 a partire dalla stazione di Milano e dalle condizioni deplorevoli in cui gli emigranti versavano nel porto di Genova.

Parigi Marsiglia

Vienna Verona Trieste Roma

Mar Nero

Madrid

Alessandria Il Cairo

Gerusalemme

SUDAN Khartum El-Obeid Dilling Aden Holy Cross Gondokoro

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ad essi, inoltre, la cristianità africana sta acquistando la maturità e la creatività che la caratterizzano. Per altro verso, in un mondo che si globalizza a un ritmo vertiginoso, in cui i paesi del Nord e quelli del Sud tendono a fronteggiarsi (Davos contro Bombay), sarebbe opportuno che i giovani dei paesi ricchi – soprattutto quelli che saranno chiamati ad assumere le responsabilità più importanti – avessero occasione di conoscere e comprendere le necessità dei paesi poveri, cioè dei tre quarti dell’umanità. 75


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1. Quando i visigoti giungono in Spagna, agli inizi del VI secolo, sono una minoranza rispetto agli ispano-romani, e conservano le loro tradizioni. La fibula custodita al Museo Arqueológico di Madrid, che mantiene le caratteristiche dell’oreficeria ostrogota, ne è un chiaro esempio.

Capitolo 13

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«Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni» (Matteo 28,19) furono le parole di Gesù nel momento del suo congedo definitivo, e a partire da quell’istante gli apostoli e i loro seguaci dedicarono i loro sforzi ad annunciare al mondo la buona novella di Cristo. In realtà, quest’annuncio costituì la conseguenza più impegnativa dell’amore dei discepoli per Cristo e per i loro fratelli. La loro fedeltà al Maestro e il loro impegno solidale con giudei, greci e romani li portò a spendere le proprie vite nell’annuncio del Vangelo, che era l’annuncio dell’amore di Dio per gli uomini. La storia del cristianesimo è la storia degli araldi della vita e della dottrina di Cristo. Gli apostoli furono i primi a raccontare il loro incontro e la loro esperienza personale con Cristo, incontro che aveva cambiato le loro vite e che dovevano comunicare agli altri: Giacomo a Gerusalemme; Giovanni a Patmos e a Efeso; Pietro ad Antiochia e a Roma; Paolo nel corso delle sue peregrinazioni mediterranee, che si conclusero definitivamente a Roma; Tommaso in India… In poco tempo, i discepoli si diffusero in Africa, Europa e parte dell’Asia, costituendo comunità nelle principali città del mondo conosciuto. Ogni atto di evangelizzazione ha la medesima causa e il medesimo metodo, l’urgenza di annunciare agli altri l’amore e la pace che si sentono nel proprio cuore; e ci si sente capaci di affrontare ogni genere di peripezia per riuscire a fare questo. I popoli barbari rappresentavano una grave minaccia per l’Impero; al contrario, per il cristianesimo costituirono una nuova occasione per estendere il regno di Cristo e per far sì che altri popoli conoscessero la chiamata e il progetto divini. Troviamo questa contraddizione nella Città di Dio di sant’Agostino. Agostino si sentiva orgogliosamente cittadino romano e diffidava probabilmente dei nuovi popoli 76

che irrompevano senza chiedere permessi nell’Impero, ma fu consapevole della sfida che la possibilità di estendere la conoscenza di Cristo comportava per i cristiani. È la storia di Clodoveo e dei Franchi, di Recaredo e dei Visigoti, di san Martino e dei Suebi, di Teodolinda e degli Ostrogoti. Gli inizi della civiltà occidentale devono essere ricercati nella comunità di popoli diversi uniti dal cristianesimo, che si era formata nel momento in cui era crollato l’Impero romano e in seguito alla conversione al cristianesimo dei vari popoli barbari. Per costoro, la Chiesa si presentava con il prestigio di una civiltà raffinata, rafforzata dalla legge e dalla cultura romane, e finì per trasformarsi nella loro educatrice e legislatrice. Nel profondo cambiamento religioso e culturale di questi secoli barbarici, i vescovi e le parrocchie svolgono un compito decisivo. Si trattava di edificare comunità cristiane capaci di trasformarsi in luoghi di incontro di cristiani vecchi e nuovi e in tessuti sociali che unissero le popolazioni nella loro vita religiosa e culturale. La cultura cristiana, che andò impregnando la vita di questi popoli, aveva come centro la liturgia, pervasa da una vasta tradizione di poesia, di musica e di simbolismo artistico-religioso. Di fatto, sia l’arte bizantina sia l’arte medievale, così come la cultura e il teatro popolari, non possono comprendersi senza una certa conoscenza dell’origine e dello sviluppo storico della liturgia. Le rappresentazioni della passione e della natività, così come le celebrazioni del culto cristiano e delle feste dei santi, stanno alla base della cultura rurale e fanno da ponte verso la cultura superiore ecclesiastica e letteraria del tempo. Le chiese costituivano per i popoli al medesimo tempo spazio di preghiera e di incontro personale con Dio ma anche scuola, teatro e galleria d’arte. L’uomo nuovo si caratterizzava per i princìpi dottrinali

2. Corone visigote, oggetti votivi offerti ai santi in cerimonie ufficiali. L’unificazione religiosa della Spagna si compie nel 576 con il re visigoto Leovigildo, poi ratificata dal III concilio di Toledo, nuova capitale nel 589. Per i visigoti, ariani convertiti al cattolicesimo, l’oreficeria preziosa aveva importanti funzioni pubbliche.

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3. Torre-lanterna quadrata al centro della chiesa di San Pedro de la Nave, VII secolo, Zamora, Spagna. Caratteristico esempio di architettura visigota.

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4. Dopo la conversione di re Clodoveo, i franchi si mantengono cristiani. Del tutto eccezionale è il sarcofago collegato al vescovo di Parigi Agilberto, fratello della badessa Teodechilde, uno degli uomini di Chiesa più importanti del VII secolo. Sulla testata il Cristo imberbe in trono, in posizione frontale e con il libro aperto, racchiuso nello spazio celeste secondo la visione di Ezechiele, è circondato dai simboli dei quattro evangelisti. La sacralità e la ieraticità dell’immagine evocano schemi iconografici orientali, trasmessi per via diretta o indiretta.

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5. Coperta dell’evangeliario della regina longobarda Teodolinda. Museo del Duomo, Milano.

6. Annunciazione e Visitazione. Scena, fortemente rovinata, di un importante ciclo di affreschi, di epoca longobarda o appena successiva, dedicato alla vita della Madonna. Chiesa di Santa Maria Foris Portas, Castelseprio, Lombardia.

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7. Il Vangelo di Lindisfarne, creazione del secondo decennio dell’VIII secolo dello scriba e miniatore Eadfrith, contiene anche raffigurazioni innovative, che recuperano in modo limitato e originale il naturalismo dei prototipi importati dal Mediterraneo. British Library, Londra (ms. Cotton Nero D. IV).

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e morali evangelici e per una cultura che si andava formando alla loro ombra. Incontriamo così le ricche e variegate liturgie della Spagna visigota, della Gallia merovingia, del rito ambrosiano dell’Italia del Nord e della solenne tradizione romana che, in diverse maniere, finirà per imporsi nell’Europa centrale e settentrionale. Naturalmente, bisogna ricordare una volta di più che la nostra vita consiste in una peregrinazione che tende alla perfezione, ma che rimane condizionata dall’argilla con cui siamo plasmati. «Già e non ancora» è il motto del nostro cammino terreno16. Gregorio Magno inviò il monaco benedettino Agostino e quaranta suoi compagni nelle isole britanniche, dopo aver incontrato a Roma un giovane di quelle terre che non sapeva neppure che Cristo fosse esistito. Non esitarono a sopportare difficoltà, pericoli e catastrofi, purché quei popoli si convertissero alla vera religione. Non si trattava certo di ottenere potere e prestigio, ma di far sì che Dio venisse conosciuto e che quelle genti vivessero nella verità. Nulla a che vedere, né in questo né in altri casi, con i processi di conquista e colonizzazione; l’impulso partiva dal desiderio di far conoscere e riconoscere la gloria di Dio a popoli che vivevano nell’errore e nell’ignoranza. La gioia di amare Cristo li spingeva a condividere la loro esperienza con quelli che ancora, per pura ignoranza, restavano ai margini. Non mancano nel Medioevo spedizioni audaci verso lontani paesi dell’Oriente, con Francescani, Domenicani o sacerdoti diocesani che pretendono di penetrare in società sconosciute e molto chiuse per predicarvi il Vangelo. Quasi sempre fallirono e, spesso, questi coraggiosi messaggeri persero la vita, ma furono cionondimeno apprezzati per le loro generose intenzioni. L’urgenza di questo annuncio indusse san Francesco a viaggiare in Egitto e, con audacia francescana, a parlare del Salvatore con il sultano Malik al-Ka-mil in persona, annunciandogli che era venuto a parlargli di Dio per salvare la sua anima; indusse il terziario francescano di Maiorca Raimondo Lullo a ideare argomenti e metodi di predicazione adatti alla mentalità dei musulmani, in modo da catturare la loro attenzione («Vidi che i cavalieri andavano oltremare e in Terra Santa, immaginandosi di recuperarla con la forza, finché alla fine si stancavano senza riuscire

a realizzare il loro proposito. Per questo pensai che questa conquista dovesse essere eseguita come l’avevi realizzata Tu, Signore, con i tuoi apostoli, cioè per mezzo dell’amore, delle preghiere e delle lacrime versate»); indusse Giovanni da Montecorvino a predicare a Pechino, capitale della dinastia mongola. L’America fu per la Chiesa della Controriforma l’occasione insperata di rinnovare l’avventura apostolica, portando il lieto annuncio e insegnando a moltitudini che non avevano mai sentito parlare di Cristo, e battezzandole. Tanto l’evangelizzazione americana del XVI secolo quanto quella africana dei secoli XIX e XX, date le condizioni politiche e sociali, furono accompagnate da elementi distorsivi che resero difficile la comprensione dell’azione delle Chiese e dei missionari. I diversi processi di colonizzazione dei vari imperi, con la loro onnipresenza militare e amministrativa, risultarono tanto globali, invasivi e totalizzanti, che non si riuscì a eludere il pericolo di confondere la presenza politica con la presenza religiosa, con conseguenze negative per l’apprezzamento dell’attività religiosa. Gli estremi che la cupidigia, l’avarizia, i pregiudizi e la violenza possono raggiungere, per quanto universali siano, risultano difficilmente compatibili con le esigenze evangeliche. Gli esempi dei primi anni della colonizzazione del Congo e dell’estrazione del caucciù nell’Amazzonia peruviana e brasiliana apparvero terribili già nel XX secolo. Quasi tutti i protagonisti erano cristiani e, benché la maggioranza degli storici salvi, in generale, l’azione dei missionari, non possiamo fare a meno di chiederci come poté sembrare compatibile la tragedia di tanti popoli con l’annuncio di un Dio misericordioso. Ancora una volta, convivono nella comunità cristiana il peccato con la grazia, la generosità e la preoccupazione per i diritti delle popolazioni autoctone con l’egoismo e la crudeltà più atroci. Ciononostante, al di là delle indubitabili debolezze e delle complicità con l’ingiustizia e l’oppressione, non è difficile riconoscere la genuina volontà evangelizzatrice, fatta di puro desiderio di aiutare, di guidare, di guarire e salvare popolazioni che si trovavano, prima e dopo la conquista, in situazioni di abbandono, miseria e angustia. Bartolomé de Las Casas, Turibio de Mogrovejo, Pietro Claver, José de Anchieta, Martino de Porres («fray Escoba»), 83


8. Bartolomé de Las Casas aveva una encomienda nella città di Sancti Spíritus, a Cuba. Resosi conto della brutalità del colonialismo, la abbandonò in favore della sua missione per gli indios. Nella foto si vedono la cattedrale e il ponte sul fiume Yayabo.

António Vieira, Giovanni de Brébeuf, Junípero Serra, Daniele Comboni, Albert Schweitzer sono solo alcuni dei nomi nelle generazioni di missionari che hanno guidato i diversi popoli – che si trovavano senza saperlo in un momento chiave della loro storia – creando scuole e ospedali, difendendone la cultura e i diritti per cinque secoli, con l’unica speranza di aiutare tanti bisognosi, e mossi solo dal desiderio di seguire il mandato del loro Maestro. Non tutti furono ugualmente generosi e liberi da pregiudizi o interessi; non tutti, certamente, furono capaci di scorgere in ciascun volto umano il riflesso della bellezza divina; ma non c’è dubbio che grazie a loro la storia di questi popoli, in più di un momento, risultò più umana e più libera. In effetti, i missionari difesero con valore l’uguaglianza degli esseri umani, la loro capacità di riconoscere il mistero di Dio e di Cristo, la loro compartecipazione al peccato originale e alla redenzione di Cristo, gli uguali diritti di tutti. Non credettero all’utopia illuministica del «buon selvaggio», ma nemmeno accettarono che gli indigeni fossero sudditi con meno mezzi e diritti degli altri. L’invasione e la colonizzazione di tanti popoli ad opera dei cristiani ha costituito, probabilmente, il motivo più doloroso di contraddizione ma anche più appassionante della storia cristiana. Questi cristiani hanno mostrato nelle loro azioni e nei loro rapporti con gli abitanti delle terre conquistate il legame esistente fra il peccato e la grazia, tra la fedeltà e l’incoerenza, tra la fraternità e l’egoismo. La presenza cristiana introdusse allo stesso tempo un maggiore rispetto per la persona umana, più alti livelli di educazione e di convivenza, una concezione della morale più pura, una nozione di religione più sublime e benefica e, insieme, un’oppressione, una manipolazione e un egoismo voraci, non più grandi di quelli che avevano sopportato in passato, ma più ingiusti e inaccettabili. Non dimentichiamo la protesta di Hélder Câmara: «Quanti erano quelli che non trattavano i neri come animali senz’anima, che si potevano ingannare, sfruttare, frustare, persino uccidere, senza il minimo rimorso?». 84

9. Particolare del frontespizio illustrato della Brevísima relación de la destrucción de las Indias, redatta da Bartolomé de Las Casas, Siviglia 1552. Questa requisitoria contro i massacri e le spoliazioni che ebbero luogo in occasione della colonizzazione spagnola in America Latina faceva parte, per il domenicano, del suo ruolo di «protettore degli indiani».

10. Missione di San Luis Rey, California, fondata nel 1798, dopo la morte di Junípero Serra. Il francescano Junípero Serra è stato il principale fondatore delle famose «missioni» in California, luoghi per accogliere i nativi. L’opera missionaria californiana iniziò nel 1774 con un gruppo di confratelli; i nomi delle città della California corrispondono ai nomi delle missioni.

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11. Modellino architettonico in terracotta dipinta della dinastia degli Han dell’Est, II secolo d.C. William Rockhill Nelson Gallery of Art, The Nelson-Atkins Museum of Art, Kansas City. Può essere considerato un modello di architettura tradizionale cinese. La Cina ripeterà per secoli i suoi stilemi.

12. La chiesa dell’Assunta (Namban Dera o Tempio straniero meridionale) a Kyoto raffigurata su un ventaglio. Museo Municipale d’Arte, Kobe. È qui possibile parlare di acculturazione architettonica, poiché questa chiesa si rifà agli altri edifici religiosi giapponesi. I personaggi nella corte sono Gesuiti. L’acculturazione dell’Oriente, iniziata da san Francesco Saverio e da Matteo Ricci, trova piena espressione anche nella modalità costruttiva di una chiesa in Cina da parte dei Gesuiti.

I vescovi ricevettero da Carlo V il titolo di «difensori degli indios» e lo furono, certamente, tante volte, come i religiosi e molti altri cristiani preoccupati per il benessere delle loro anime, anche se forse non altrettanto per il benessere dei loro corpi. La storia di queste evangelizzazioni offre numerose bellissime pagine di creatività generosa, di guida nella vita quotidiana, di istituzioni che a poco a poco resero più facile una vita sempre dura, educando e facendo progredire popoli che avevano vissuto durante tutta la loro esistenza storica in condizioni subumane. Non c’è dubbio, però, che tanti americani e africani non trovarono spesso nei loro oppressori l’amore che ci si aspetterebbe da chi sosteneva di credere e seguire la dottrina di Cristo. L’amore di Dio non brillò in molte occasioni, perché il peccato abbondava nella nuova

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cristianità tanto quanto nell’antica e l’ingiustizia, tante volte denunciata nei vecchi paesi europei, si ripeté con più durezza nei continenti scoperti di recente. Francesco Saverio si imbarcò per l’India su consiglio di Ignazio di Loyola, all’età di 35 anni. Memore delle testimonianze di Montesinos e di Las Casas, il giovane gesuita predicò il Vangelo e battezzò, ma si sforzò di rispettare le credenze e le strutture sociali del luogo. Manterrà lo stesso comportamento in Giappone, un paese di cultura raffinata. Non affrettò le tappe della conversione, si vestì alla maniera giapponese, chiese alle autorità il permesso di predicare la fede cristiana. Fu probabilmente il pioniere di una forma di predicazione più rispettosa degli uomini e delle culture, che due secoli più tardi sarà applicata da De Nobili in India e da Ricci in Cina.

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LE TENTAZIONI CONTRO LA CARITÀ

1. Pieter Paul Rubens (1577-1640), Trionfo della Chiesa. Museo Nacional del Prado, Madrid. Una donna, che regge in mano l’eucaristia e sotto la quale è presente la tiara, è condotta su di un carro i cui cavalli sono guidati dalle Virtù e il cui peso schiaccia l’Eresia. Un angelo a cavallo reca le chiavi di san Pietro sotto un parasole, conopeo nel vocabolario liturgico e insegna delle basiliche, ad indicare senza ambiguità che si tratta proprio dell’esaltazione della Chiesa romana.

Capitolo 14

LE TENTAZIONI CONTRO LA CARITÀ

Alla fine dei tempi, quando il Signore giudicherà il corso incerto della nostra vita, per che cosa saremo giudicati? A che cosa darà importanza Gesù? E a che cosa avremo dato importanza noi? Benché possa sembrare che mi stia allontanando dal campo ristretto della storia, mi mantengo in realtà nei limiti di una riflessione seria, basata sulla lunga vicenda delle comunità cristiane nel corso dei secoli, una moltitudine i cui appartenenti saranno esaminati e riconosciuti a seconda della loro capacità di amare. Si tratta di una riflessione che deve tener conto della situazione, della cultura e della sensibilità degli uomini in ciascun momento concreto, allo stesso modo in cui, nel considerare la storia di Israele, giudichiamo le sue azioni in accordo con la lenta evoluzione e purificazione dei suoi modi di vita e della sua sensibilità religiosa, sempre accompagnato e diretto dai profeti e dai decreti di Dio. Nel corso della storia si sono andate fissando alcune priorità, alcune opzioni, che hanno strutturato l’organizzazione ecclesiastica e la vita delle comunità, e non c’è dubbio che in questo processo laborioso e discontinuo l’ortodossia nella dottrina, le norme liturgiche e le leggi ecclesiastiche siano state assolutamente essenziali. Benché non ci sia dubbio che la carità, come formula e come pratica, sia stata costantemente proposta e difesa nella predicazione e nella dottrina come elemento costitutivo del cristianesimo, dobbiamo chiederci se nella realtà sia risultata tanto fondamentale e tanto praticata. Di fatto, le deviazioni nella dottrina e nella liturgia sono state represse severamente e tempestivamente, ma non risulta che nel campo della carità l’urgenza e la necessità siano state altrettanto forti; a mala pena ci sono stati richiami, castighi, scomuniche per azioni contro la carità. Si è predicato molto sulla carità, ma non pare che l’esigenza di metterla in pratica sia risultata 88

sempre altrettanto importante nella vita istituzionale. Ricordiamo alcuni aspetti e occasioni in cui la sostanza della carità appare essere stata maltrattata, emarginata o elusa, senza che l’autorità o la comunità credente abbiano reagito tempestivamente (sono consapevole che ognuno di noi potrebbe ricordare molti altri casi). Una religione come il cristianesimo, che sperimentò nelle sue viscere la crudeltà dell’intolleranza delle autorità dell’Impero romano, non sarebbe dovuta cadere nella medesima intolleranza, questa volta contro il paganesimo, dopo essersi trasformata in religione maggioritaria e protetta; ancor meno si sarebbe dovuta rivolgere con intolleranza e violenza contro sensibilità e interpretazioni diverse nate nel suo stesso seno. L’Inquisizione, pur concedendo tutte le spiegazioni che è possibile darne, risulta in contraddizione con una religione che difende la libertà della fede e i rapporti basati sulla fraternità e sull’amore reciproco dei suoi membri. Benché nella memoria storica sia rimasta soltanto l’Inquisizione spagnola, la verità è che l’atteggiamento e la macchina inquisitoriali si mantennero attivi in tutte le Chiese cristiane, mentre nella Chiesa cattolica la sua organizzazione rimase in funzione per quattro secoli. È vero che questa stessa intolleranza si ripeté in altre religioni e in altri ambiti della società civile e che, ancora oggi, è presente in molti luoghi, a cominciare dai partiti considerati democratici; ma noi cristiani dobbiamo domandarci se la nostra religione non ci obblighi a un altro atteggiamento. Non si tratta, ovviamente, di non possedere una identità definita, ma della comprensione e considerazione di altre storie e di altri equilibri, che furono riconosciuti da Dio stesso quando si incarnò in un popolo concreto senza che per questo il valore della salvezza cessasse di essere universale.

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LE TENTAZIONI CONTRO LA CARITÀ

2-3. Due immagini in forte contrasto. Nella prima (2) Vicente Carducho rappresenta l’espulsione dalla Spagna dei moriscos. Con il compimento della Reconquista, nel 1492, i musulmani del Sud della Spagna furono obbligati a conversioni forzate che provocarono continue forme di reazione. Infine un secolo dopo si decise la loro totale espulsione. Atteggiamento simile fu tenuto con gli ebrei. Si tratta della difficoltà di convivenza con altre culture e religioni. La seconda immagine (3) mostra la festa di Sant’Antonio a Guarayos, Bolivia. Tradizioni locali degli indios sono valorizzate dalla Chiesa cattolica, in piena linea con le indicazioni del concilio Vaticano II.

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Di fatto, questa intolleranza ha portato con frequenza al fondamentalismo e all’integralismo, alla divisione interna in sette e a un settarismo che impoverisce. Una religione fondamentalmente universale si è vista spesso ridotta a visioni soggettive e a condanne inappellabili di altre sensibilità, di altre interpretazioni e di altre esperienze religiose. Troppo spesso, cristiani di diversa condizione hanno identificato la propria psicologia e il proprio giudizio con la verità assoluta, disprezzando e perseguitando quelli che non vedevano o non sentivano come loro. La lotta fratricida tra cristiani è risultata manifestamente antievangelica. Per secoli si è data maggiore importanza al modello culturale o al modello di Chiesa che a Cristo, autentica origine e fondamento 90

della nostra fede. D’altra parte, non si è tenuto conto dell’avvertimento di Cristo che chi non è contro di noi è con noi. Per troppo tempo gli ortodossi preferirono rimanere sotto il giogo turco piuttosto che sopportare i cattolici; i protestanti ritennero i cattolici peggiori degli atei e i cattolici ritennero che le Chiese protestanti si riducessero a pura malvagità e falsità, pensando che avessero snaturato e corrotto la dottrina cristiana. Non c’è dubbio che questo spirito tribale e localistico fosse presente anche fra le nazioni, i clan, i popoli differenti per lingua o costumi, ma siamo convinti che il Vangelo chiami all’unità e alla comunità al di là di queste differenze. Ancora una volta, il comando di Gesù: «Non così voi» ci obbliga a un’altra maniera di giudicare e di agire. Cionono-

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stante, è chiaro che, in molte occasioni, i modi spontanei di azione del genere umano sono risultati più determinanti dei consigli evangelici. I tesori della Chiesa, l’oro e le pietre preziose, i paramenti liturgici sontuosi di chiese e cattedrali pongono un grave interrogativo sulla loro necessità e sullo sperpero che implicano in situazioni in cui troppa gente possiede appena i mezzi sufficienti a sopravvivere. L’argomento che per Dio nulla è eccessivo risulta fallace. Cristo scelse di non avere dove posare il capo ed è inaccettabile che i suoi fedeli rimangano inerti di fronte alla miseria dei propri fratelli mentre i vasi del tempio sono d’oro e di pietre preziose Il clericalismo, per come si è imposto ben presto nella Chiesa ed è rimasto fino ai nostri giorni, dif-

ficilmente si concilia con una società di eguali, figli tutti del medesimo Dio, con gli stessi diritti, in cui si afferma che chi dirige deve essere al servizio della collettività. Il clero si trasformò troppo presto in soggetto di privilegi e la comunità si divise, come il resto del mondo, in diverse classi e categorie. Il Vaticano II, nel documento Lumen Gentium, parve cambiare questo orientamento, sottolineando l’importanza fondamentale del popolo di Dio nella concezione e nella descrizione di ciò che è la Chiesa, in contrasto con una tradizione che partiva dalla gerarchia come elemento fondativo della comunità dei credenti. Andando in questa direzione la Chiesa si incentra sul cristiano in quanto battezzato e, di conseguenza, sull’elemento sostanziale comune a 91


LE TENTAZIONI CONTRO LA CARITÀ

tutti i fedeli, anteriore a ogni diversità di funzione e vocazione. In questo modo risulta più facile affermare che il potere si identifica nella Chiesa con il servizio, con il rimanere a disposizione di tutti. Tuttavia, benché la dottrina sia diventata più chiara, la pratica mantiene ancora modi di governo e di leadership difficilmente compatibili con gli insegnamenti di Gesù. Non c’è dubbio, vale a dire, che continuiamo a trovare, all’interno della comunità dei credenti, nella sua organizzazione e nel modo di agire, troppe forme, usi e costumi di potere che risultano affatto mondani e molto poco evangelici. Già l’apostolo Giacomo richiamava l’attenzione nella sua lettera sulla tendenza esistente in quei primi anni di cedere i posti migliori nell’assemblea liturgica a quelli che possedevano mezzi e prestigio maggiori, trascurando così i fratelli più umili. La riscoperta dell’importanza della diakonía nelle discussioni e nei documenti conciliari, non solo per la vita personale dei cristiani, ma anche per l’atteggiamento e l’organizzazione della comunità, comporta molte conseguenze. In ciò che si riferisce alla struttura interna della Chiesa e ai suoi rapporti con le società umane l’idea di diaconia esige una riconsiderazione degli atteggiamenti e del significato delle istituzioni ecclesiastiche, esaminando criticamente, in primo luogo, i modelli mondani a cui tali istituzioni si sono adeguate. Molti secoli di assimilazione delle realtà terrene portarono Bellarmino a equiparare la Chiesa al regno di Francia, con le deprecabili conseguenze che conosciamo, mentre l’introduzione nei documenti del Vaticano II del concetto di comunione nella concezione di ciò che è la Chiesa, assieme al concetto di servizio e di diaconia, dovrebbe portare a cambiare il modo di concepire le strutture, la connotazione eccessivamente giuridica dei rapporti, la concezione della morale. «Potere e amore» era il titolo di un documento che Maritain inviò a Paolo VI su richiesta del papa. Tutto cambierebbe a questo mondo se il potere fosse concepito come amore e servizio, così come consigliava Gesù. Voglio segnalare, inoltre, come una delle tentazioni contro la carità sia la forza dell’inerzia esistente all’interno della Chiesa. Siamo tutti coscienti della difficoltà di rompere con costumi centenari che formano uno stile di vita che consideriamo poco in accordo con il Vangelo, ma come si può conservare la 92

libertà interiore, una povertà spirituale e materiale, nella direzione di una organizzazione che conta più di mille milioni di membri? Risulta del resto difficile accettare che si possa vivere coerentemente il mistero della povertà sotto le apparenze del prestigio e del lusso. In realtà, la tentazione più grave contro la carità è la mediocrità. Per tiepidezza, per non essere né freddi né caldi, per timore di perdere ciò che sembra dare sicurezza e fiducia, si sente la necessità di non esporsi, di non cadere nel ridicolo, di non farsi conoscere per come si è realmente. È la tentazione di nascondersi dietro il diritto, dietro le norme, dietro la tradizione, per liberarci dalla necessità di essere generosi, creativi e radicali nell’espressione della fede. Con questo atteggiamento, siamo incapaci di affrontare radicalmente gravi problemi che ci assillano: il crollo delle vocazioni, la funzione della donna, l’incapacità di attirare i giovani, il particolarismo delle comunità, la gerontocrazia delle autorità. Di fatto, il mediocre, poco umile, si ritrova incapace di ascoltare. Si nasconde dietro alcune tradizioni del passato perché non si sente in grado di rispondere con grandezza ai segni dei tempi di oggi. Per contemplare la storia con serenità, bisogna saper apprezzare i casi innumerevoli in cui i cristiani hanno dimostrato di essere seguaci fedeli del Maestro, hanno superato la tentazione del potere e dell’egoismo e hanno agito come buoni samaritani, buoni cittadini, fratelli affettuosi dei loro fratelli umani, come figli del Padre che distribuisce i suoi doni senza favoritismi. Per la stessa ragione, dobbiamo riconoscere le pagine oscure della nostra storia. Noi crediamo che Gesù si trovi nell’eucaristia perché ce lo ha detto, ma non sempre accettiamo nella pratica che Gesù si trovi anche in ogni povero, benché ce lo abbia detto con molta chiarezza. Inconsapevolmente, accettiamo delle parole di Gesù quelle che ci costano meno, anche se avrebbe più senso chiedergli: «Signore, che cosa vuoi che faccia?». Renzo, il protagonista dei Promessi sposi, mentre fugge dai suoi persecutori, incontra due donne, un uomo e un bambino, «tutti del colore della morte», che tendono la mano in silenzio. Renzo dona loro quel poco che gli resta. Dice Manzoni che in quel momento sentì una grande confidenza nell’avvenire (cap. XVII). La generosità è sempre progetto di futuro.

Capitolo 15

IL MONACHESIMO

Essere nel mondo senza essere del mondo. Paradosso inaudito del monachesimo, di quei cristiani che abbandonano ciò che è del mondo per meglio seguire Gesù, per mettere in pratica gli insegnamenti di Cristo, per applicare nelle loro vite la raccomandazione del Signore a Nicodemo: «Se uno non nasce di nuovo, non può vedere il regno di Dio». Nascere di nuovo, cambiare i criteri e i valori che ci risultano più naturali, che proteggono il nostro egoismo e, spesso, le nostre ingiustizie, e rivestirci dell’uomo

nuovo, cioè del progetto che Dio ha per noi. Non si tratta, certo, di disprezzare il mondo creato da Dio, ma di dimostrargli l’amore che Dio ha per noi. Si ritirarono nel deserto, in solitudine e nel digiuno. Ruppero con il sistema di mercato, non utilizzavano né li interessava il denaro, non avevano alcunché di proprio, vivevano in assoluta austerità. Non tutti possiamo vivere in questa maniera, ma questi monaci del deserto ci hanno domostrato che è possibile un altro modo di vivere, senza considerare le cose

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1-3. Veduta aerea dei resti di una parte del deserto delle Celle, a sud di Alessandria d’Egitto (1). Dalle rovine si calcolano 1.600 eremi, ognuno con più celle. Gli anacoreti iniziarono ad arrivare intorno alla metà del IV secolo e vivevano in celle molto disadorne, che successivamente vennero meglio disegnate (2-3). I monaci potevano ospitare discepoli in celle prossime. Siamo a cavallo tra la vita eremetica e quella comunitaria: si partecipava infatti a comuni riti eucaristici.

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4-5. Nel V secolo troviamo un’architettura meno povera e più evoluta. Gli eremi divengono complessi sempre difesi da un alto muro contro il vento del deserto. 6. Pianta dell’eremo di Qusur al Izayla 48. In nero: prima fase (VI secolo). In grigio: seconda fase (VII secolo). 1-2. Ingresso e vestibolo 3-4. Locali di ricevimento 5. Locale di servizio 6. Cucina 7. Sala di preghiera per l’anziano 8. Stanza da letto dell’anziano 9. Ripostiglio 10. Locale di lavoro per l’anziano 11. Locale per il discepolo 12. Ripostiglio 13. Magazzino 14. Latrine 15. Pozzo 16-18. Appartamenti per gli anacoreti 19. Cucina

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come tue o mie, senza bisogno di accumulare oggetti o beni per timore del futuro o per ambizione, maggiormente consapevoli del fatto che Dio Padre stesse con loro, anche perché gli dedicavano più tempo o forse perché lo ascoltavano senza i rumori falsanti di questo mondo. Coloro che condividevano quella vita pregavano assieme e accoglievano i visitatori con l’intenzione di mostrar loro il sentiero che portava a Cristo. Erano consapevoli del fatto che chi si presentava attratto dalla loro fama bramava di trovare un modo per purificarsi e rinnovarsi, cioè la tranquillità, il digiuno, il silenzio e la solitudine; per questo, benché i visitatori ne turbassero la concentrazione, dedicavano parte del proprio tempo prezioso a insegnar loro il cammino della salvezza. «Non così voi», indicava Gesù ai suoi discepoli come criterio di condotta tanto individuale quanto comunitaria. Per seguire il Maestro bisogna nascere di nuovo, in modo che, mentre si vive nel mondo, lo possiamo dominare senza essere influenzati da esso. È questo l’enorme paradosso cristiano, l’insidia o il compito sempre presenti nella vita della Chiesa: rimanere immersi nel mondo senza essere mondani, senza che la mondanità ci domini. Contro questa tentazione hanno combattuto i Padri del deserto e contro di essa continuano a lottare i monaci della storia, mostrandoci la possibilità e la grandezza di essere evangelizzatori senza cadere nella mediocrità dei valori dominanti del mondo. Quando i monaci pregano che si faccia la volontà del Padre nel mondo, come in cielo e in Cristo, in quel momento il più piccolo e ordinario degli esseri umani si trasforma in qualcosa di ineffabile e grandioso. In quel momento le nostre vite si trasformano e l’amore di Dio risplende in esse. E questa trasformazione rivela l’epifania e la presenza di Dio nel mondo. Queste affermazioni non sono teorie, bensì storia dei cristiani. In una serie di brevi regole, san Basilio (329-379) indicò le disposizioni cui i monaci dovevano attenersi per mettere in pratica l’amore per 96

7. San Benedetto assistito dall’angelo, con il libro della Regola trasmesso all’abate Giovanni I. Miniatura del manoscritto vergato a Capua negli anni dell’abate Giovanni (914-934) con la Regola di san Benedetto e altri testi. Montecassino, Archivio dell’Abbazia, cod. Casin. 175, p. 2.

Dio e per il prossimo. Dovevano manifestare questo amore per mezzo del buon esempio e della preghiera da un lato, e per mezzo del lavoro manuale, dell’attività pedagogica e ospedaliera dall’altro. San Basilio voleva che i suoi monaci esercitassero una carità attiva nell’assistenza agli infermi e ai viaggiatori negli alloggi loro destinati, nella cura degli orfani e nell’educazione dei bambini. Ora et labora è il motto e il programma che san Benedetto, da parte sua, offre ai suoi monaci, un binomio imprescindibile per tutti i monaci della storia. Questo lavoro abbraccia molti campi e si esprime in diversi modi, ma in tutti è presente il bene dei fratelli bisognosi. Sant’Agostino conclude la propria Regola pregando il Signore perché i confratelli la osservino con amore, «non come servi sotto la Legge, ma come uomini liberi sotto la Grazia». «Con amore», cum dilectione, è la caratteristica di una vita monastica vissuta cristianamente. San Benedetto (480-547) dedica all’accoglienza degli ospiti un capitolo della sua Regola, che tanta influenza ha avuto sulla storia del cristianesimo: «Tutti gli ospiti che giungono saranno accolti come Cristo, perché Egli ci dirà: ‘Ero straniero e mi avete ospitato’, e a tutti riserverà un onore adeguato». L’accoglienza degli ospiti, e specialmente dei poveri, acquistò un’importanza notevole nella vita dei monasteri. Nella carta di fondazìone dell’abbazia di Cluny (909), Guglielmo di Aquitania stabilisce: «Vogliamo che, con la migliore intenzione, siano qui praticate ogni giorno le opere di misericordia verso i poveri, gli indigenti, gli stranieri e i pellegrini». Possiamo affermare che l’ospitalità ha caratterizzato la vita benedettina fin dal VI secolo. Gli ospiti non solo ricevono, ma anche danno. Essi infondono vita al monastero, preservandolo dal pericolo di rimanere sterilmente concentrato su se stesso. I monasteri si trasformarono in luoghi di accoglienza per i poveri, soprattutto in tempi di calamità, per esempio in occasione delle frequenti e terribili carestie che riducevano nella miseria assoluta un gran numero di abitanti, la cui unica speranza era costituita dall’aiuto dei monaci. Il rapporto del monaco

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8-9. Nel monastero di San Gallo, in Svizzera, è conservata una pianta disegnata su cinque fogli di pergamena cuciti (8), databile all’820-830 (cod. 1092). Si suole considerarla la pianta del monastero. Si sono identificate le funzioni dei vari edifici (9). Il monastero è un vero centro di vita sociale, che sovviene ai bisogni spirituali e materiali della gente. 1. Chiesa; 2. Scrittorio, sopra: biblioteca; 3. Sacrestia a due piani; 4. Locale per la preparazione delle ostie e dell’olio; 5. Chiostro; 6. Spazio per l’assemblea del capitolo; 7. Locale riscaldato e dormitorio; 8. Sala termale e servizi igienici; 9. Refettorio, sopra: vestibolo; 10. Cucina; 11. Cantina, sopra: dispensa; 12. Parlatorio; 13. Stanza del responsabile per i poveri; 14. Ostello per i pellegrini; 15. Locale per la preparazione della birra e forno dell’ostello; 16. Stanza del portinaio; 17. Abitazione del direttore della scuola; 18. Alloggi per i confratelli in viaggio; 19. Locale per la preparazione della birra e forno per gli ospiti; 20. Alloggio degli ospiti; 21. Scuola esterna; 22. Abbazia; 23. Edificio per i salassi; 24. Edificio del medico; 25. Orticello delle spezie; 26. Ospedale; 27. Cucina e sala termale per l’ospedale e l’edificio dei salassi; 28. Doppia cappella per l’ospedale e il noviziato; 29. Noviziato; 30. Cucina e sala termale del noviziato; 31. Cimitero e frutteto; 32. Orto; 33. Abitazione del giardiniere; 34. Cortile per le oche; 35. Abitazione del guardiano; 36. Cortile per le galline; 37. Granaio; 38. Officine; 39. Cucina e locale per la preparazione della birra dei monaci; 40. Mulino; 41. Mortaio; 42. Essiccatoio; 43. Granaio e officina del bottaio; 44. Stalle dei tori e dei cavalli; 45. Stalla delle pecore; 46. Torri; 47. Stalla delle capre; 48. Stalla delle mucche; 49. Scuderia; 50. Stalla dei maiali; 51. Alloggi della servitù.

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10. Ricostruzione secondo K.J. Conant dell’abbazia di Cluny nel 1043.

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11. Ricostruzione a volo d’uccello con la chiesa consacrata nel 1130 (fase di Cluny III).

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12. Benedetto guarisce un appestato. Affresco, inizi del X secolo. Basilica di San Crisogono, Roma, navata laterale destra della chiesa inferiore. L’affresco mette in luce le opere di misericordia, parte integrante del dovere del monaco.

13. Sacra di San Michele, Val di Susa, Piemonte. Siamo sulla via del pellegrinaggio che dall’Italia conduce a Santiago de Compostela, e che viceversa dalla Francia porta a Roma. Il monachesimo ha sempre promosso e aiutato i pellegrini, sino alla nascita di appositi ordini. Nel Medioevo, quando andare in Terra Santa era divenuto proibitivo, Cluny è stata il principale promotore del pellegrinaggio a Santiago.

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14. La certosa di Pavia è oggi retta dai monaci cisterciensi. L’alternanza degli ordini religiosi ha mantenuto vivo questo straordinario luogo del monachesimo occidentale. Si vedono con chiarezza le casette (celle a due piani) dove i Certosini avevano l’alloggio e il laboratorio, vera espressione di una «città monastica». 14

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15. La tenda di Abiodh-sidi-Cheikh, in Algeria, usata da Magdeleine di Gesù, fondatrice delle Piccole Sorelle. Attratta dall’esempio e dalla spiritualità di Charles de Foucauld, nel 1936 Magdeleine Hutin partì per l’Africa, dove sperimentò l’amore per il piccolo Gesù e il desiderio di amicizia tra persone di diversa religione. Tornò in Europa, dove la sua congregazione fu approvata nel 1964, e costituì il suo centro presso la Fraternità delle Tre Fontane a Roma.

16. L’ultima parte della vita di Magdeleine di Gesù fu dedicata alla Russia e al dialogo con le Chiese ortodosse. La vediamo qui in una foto del 1972, sulla porta della camionetta chiamata «Stella filante», vera fraternità su ruote, nella quale viaggiava nei paesi dell’Est europeo, ancora sotto i regimi di stampo sovietico-stalinista.

con il povero consisteva fondamentalmente in un impulso caritatevole del povero volontario verso il povero involontario. Ovviamente, non tutti i monasteri potevano contare sulle stesse risorse, ma in generale si ingegnavano per raccogliere elemosina, ridurre i propri consumi e trovare aiuti, con i quali mantenere la casa di accoglienza e distribuire gli alimenti per quanto era possibile. La Regola di san Fruttuoso stabiliva che, quando venivano consegnate ai monaci nuove vesti, calzature o lenzuola, l’abate dovesse distribuire i vecchi capi tra gli indigenti. La Regola Comune, da parte sua, obbligava i candidati alla vita monastica a spogliarsi dei beni e a donarli interamente ai poveri. In situazioni estreme, alcuni monasteri vendettero i propri «tesori», allo scopo di sostentare quanti vivevano condizioni drammatiche. Il biografo dell’abate Odilone lo definisce «bastone dei ciechi, dispensa degli affamati, speranza dei disperati, consolazione degli afflitti». L’Italia costituisce un esempio speciale dell’interazione esistente fra i monasteri, la vita ecclesiastica e sociale, e lo sviluppo culturale di un paese. Incontriamo il loro influsso religioso, sociale e civile in tutte le regioni e in tutte le epoche, in modo speciale durante il Medioevo. Nacquero in quest’epoca alcune delle riforme più interessanti; alcuni papi provenienti da questi cenobi intervennero nel grande movimento di trasformazione istituzionale della Chiesa e influirono sull’allargamento della partecipazione dei cristiani alla vita religiosa. Inoltre, fu in Italia che il monachesimo costituì il punto di riferimento privilegiato per quei laici che desideravano vivere in modo più diretto il loro rapporto con Dio, farsi poveri per Cristo e partecipare alla vita apostolica. Lungo gli itinerari che conducevano a Roma o a Santiago, i monasteri preparavano gli alloggi, gli ospedali o i rifugi che venivano utilizzati da chi camminava spesso in condizioni difficili, tanto fisiche quanto spirituali. L’opera dei monaci anglosassoni nei paesi dell’Euro-

pa settentrionale e centrale e in Italia (san Colombano a Bobbio) risultò straordinaria. Gli attuali Paesi Bassi, la Germania, parte della Polonia, la Boemia, la Danimarca e la Svezia furono evangelizzati in gran parte da questi monaci. Si trattò di un’opera di evangelizzazione e, allo stesso tempo, di civilizzazione. I monasteri si trasformarono in centri di vita religioso-ecclesiastica e in focolai di irradiazione culturale. Le biblioteche, lo sforzo immane di copia dei manoscritti, che riuscì a salvare e a conservare buona parte della cultura greco-romana, gli scritti dei monaci, le cronache dell’epoca sono il frutto di un travolgente fervore culturale. Non si trattò, senza dubbio, di un mero interesse per la cultura, ma di amore umano per la presenza di Dio nelle creature e per l’instaurazione del suo regno nel cuore dei popoli. Era un amore che umanizzava, che introduceva leggi, norme e costumi che addolcivano e rendevano più benigni, compassionevoli e benefici gli usi e i modi di vita di popoli che, in questa maniera, vennero incorporati nella storia europea. Ancora oggi, in un mondo e in una Chiesa molto diversi, i monasteri attirano credenti che desiderano ritirarsi in luoghi adatti alla preghiera e all’incontro con se stessi e partecipare a liturgie ben curate; attirano inoltre tutte le persone che cercano il silenzio e la possibilità di un incontro con Dio. In un mondo tanto rumoroso e con molte più domande che risposte, molte persone desiderano confrontarsi con le grandi questioni della vita e della morte, e si recano nei «deserti» monastici per vedere se riescono a incontrare in quei luoghi le risposte ai loro interrogativi. I monasteri contano meno monaci di prima, ma più visitatori che mai. In genere non si tratta di semplici turisti o curiosi. Benché molti non saprebbero dire perché vi vengano a passare qualche giorno, non si andrà lontani dal vero nel pensare che tanti sperano di trovare qualche risposta alle proprie inquietudini, confermando il motto che troviamo scritto in alcuni monasteri: «Dio è qui»17.

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17. Frère Roger Schutz parla a una larga assemblea di convenuti a Taizé. Nel secondo dopoguerra del XX secolo la comunità monastica di Taizé, in Francia, è stata un richiamo per molti giovani a percepire la dimensione comunitaria del cristianesimo. L’esistenza di una, se pur piccola, comunità monastica vissuta diveniva così un invito a tutti per riscoprire una dimensione fondamentale del cristianesimo.

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Capitolo 16

LÀ DOVE SI CONCENTRA IL DOLORE, BRILLA LA VICINANZA DI MARIA La processione dei malati sull’immensa spianata davanti alla grande basilica segna la differenza tra la fede e l’incredulità. Ciò che per alcuni risulta essere un assembramento patetico e paranoico per altri è la scoperta dell’incontro ineffabile tra l’amore e la misericordia, tra il mistero del dolore e l’angoscia e la capacità di vicinanza e di compassione degli esseri umani. Lourdes è un luogo sconcertante. Sotto un involucro di botteghe e oggetti esteticamente orridi, di ristoranti e alberghi, attraversato dal fiume e dagli alberi che lo affiancano, troviamo uno spazio sorprendente di silenzio e di preghiera. Le persone che si affollano davanti alla grotta pregano, aprono i loro cuori al Signore, effondono le loro angosce e le loro pene, supplicano e rendono grazie. Sono per la maggior parte cariche di infermità proprie o altrui, fanno il conto delle disgrazie che le affliggono, dei familiari o degli amici che soffrono, del male che le circonda. È sorprendente pensare all’immenso dolore umano che si concentra in uno spazio così piccolo, dolore dell’anima e del corpo, dolore proprio e degli esseri più cari, dolore del mondo che non pochi assumono su di sé per vocazione e generosità. Tutti sono coscienti di essere accolti per quello che sono e tutti scoprono la tenerezza di un Dio che li libera della loro miseria personale e del loro senso di colpa. Quando la teca col Santissimo percorre i corridoi in cui si allineano malati di ogni genere, i loro accompagnatori e quelli che, pur sani, sono carichi dei propri dolorosi limiti, si riproduce con altri parametri l’incontro di Cristo con l’emorroissa, con gli indemoniati, con gli invalidi della piscina Probatica, con i pubblicani, con i morti come Lazzaro. Si tratta di un momento affascinante, atemporale, che suscita sentimenti difficili da definire: è l’amore di Dio che si spande e dà per frutto una tale concentrazione di 106

amori umani. Così tanti piccoli che diventano grandi, così tanti sconsolati che trovano incoraggiamento, così tanti orfani abbracciati, così tanti malati consolati. L’amore limitato si arricchisce dell’immensità dell’amore vero. È l’incontro di Dio con la creatura che, finalmente, trova il suo posto. In questo incrocio di sguardi fra l’Eterno e i suoi figli, in questo ritrovarsi di chi genera ed è generato, Maria è una creatura che attira tutti gli sguardi e tutti i sospiri di quanti la percepiscono fatta della loro stessa creta, ma già nelle mani del comune Vasaio18. Altrettanto accade a Fatima, a Guadalupe in Messico, a Częstochowa, a Luján e in mille altri luoghi in cui da secoli e secoli gli esseri umani piangono le proprie miserie e sorridono con fiducia. In queste cappelle, santuari e basiliche si concentra la miseria umana, i poveri e gli abbandonati, chi ha partorito tanti figli senza vederne nessuno vivo, chi ha vissuto con lo stomaco sempre vuoto, chi conosce l’ingiustizia senza sapere che cosa sia la giustizia. Ma, nonostante questo, quanta speranza nei loro cuori, quanta riserva di amore in vite maltrattate, con che tenerezza si avvicinano alla Vergine, l’unica sicurezza in vite esposte alle intemperie! In queste diverse case della Vergine, questa valle di lacrime sembra trasformarsi in uno spazio di pace. Là tutto è possibile, la salute, la felicità, l’incontro e, soprattutto, l’amore. Non sanno leggere, ma conoscono la storia delle sacre rappresentazioni in cui ci vengono raccontati l’amore di Dio per i suoi figli e la preoccupazione della Vergine Maria per i suoi devoti. Sanno bene a chi è apparsa Maria, gente come loro, pastorelli ignoranti, la giovinetta Bernadette, Juan Diego, l’indio invalido che trovò l’immagine della Vergine sul suo mantello. Non sono importanti, né letterati, né teologi, ma persone per cui Dio è importante ed è accolto nelle loro vite. Sanno solo amare,

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1. Nostra Signora di Fatima. Immagine in ceramica azzurra posta sul fianco della capelinha (cappellina), cuore dell’omonimo santuario. Si trova all’interno della chiesa, nel luogo dove avvenivano le apparizioni. 2. Madonna di Czestochowa. I colpi inferti al dipinto sono considerati il simbolo delle sofferenze della Polonia. 3. Juan Diego con la Vergine. Immagine in ceramica, Puebla, Messico. La Madonna imprimerà la sua immagine con i raggi sulla tunica dell’indio. La scritta «non fecit» significa che l’immagine di Nostra Signora di Guadalupe non fu dipinta da mano d’uomo, ma impressa miracolosamente.

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4. Processione eucaristica a Lourdes.

7. Pellegrinaggio di un’associazione sportiva messicana con stendardi della Vergine di Guadalupe.

5. Pellegrini davanti alla grotta delle apparizioni, Lourdes. Davanti ad essa scorre il fiume Gave. 6. Un pellegrino raccoglie l’acqua di Lourdes in una bottiglietta che riproduce la statua della Madonna.

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8. Danzatori con costumi indios sul sagrato della basilica di Nostra Signora di Guadalupe, Messico. Sullo sfondo la grande cella campanaria davanti ai due santuari della Vergine di Guadalupe, quello vecchio e quello nuovo.

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9. Immagini di musicisti, dalle illustrazioni delle Cantigas de Santa María di Alfonso X, re di Castiglia, presenti nel manoscritto b.I.2, conservato in Spagna alla Real Biblioteca del Monasterio de El Escorial; il manoscritto fu eseguito a Siviglia durante il regno di Alfonso, fra il 1280 e il 1283. I numerosi strumenti raffigurati non si intendono via via utilizzati per accompagnare questa o quella cantiga, ma servono solo per evocare l’idea della musica. Tuttavia può darsi che tutti o molti dei suonatori fossero menestrelli al servizio del sovrano.

LÀ DOVE SI CONCENTRA IL DOLORE, BRILLA LA VICINANZA DI MARIA

con semplicità, con spontaneità, con generosità. Per questo confidano pienamente nella madre di Gesù. Si scoprono anche tanti fratelli che si danno da fare per accompagnare i malati, incapaci di giungere a Lourdes da soli. Medici e infermiere, migliaia di volontari che li accudiscono nel viaggio, nella città e nel santuario, barellieri nella grotta, sulla spianata e nelle vasche dove si dirigono i malati pieni di speranza. Tutti mobilitati per facilitare il desiderio degli infermi di giungere all’incontro con la Vergine. Il bagno rituale è uno degli obblighi normalmente prescritti ai pellegrini che arrivano alla fine del loro cammino. La simbologia dell’acqua e dell’immersione è presente da tempo immemorabile nella storia dell’umanità. I testi sacri ci parlano dell’acqua che simbolizza la sostanza primordiale dalla quale nascono tutte le creature. L’acqua costituisce la fonte e l’origine, la matrice del cosmo e il sostegno della creazione. L’acqua cura, ringiovanisce e assicura la vita. Purifica e rigenera perché annulla, dissolve e cancella. Per mezzo dell’immersione, l’uomo muore simbolicamente e rinasce purificato e rinnovato. Questa simbologia immemorabile fu scelta e arricchita da Cristo: è il battesimo del cristiano. A Lourdes il bagno costituisce un elemento simbolico importante19. In effetti, fin da subito, il popolo cristiano comprese che l’amore umano intrecciato con quello divino fluiva spontaneamente dall’umile e giovane Maria, che si era trovata un Bambino in seno benché nella sua breve vita avesse amato solo Dio. Per questo nelle cappelle e nelle chiesette si trovava sempre una statua o un dipinto o un mosaico che rappresentava la Vergine con il Figlio sulle ginocchia. Ella accoglieva chi si avvicinava, mentre il Bambino sorrideva. I cristiani, quasi sempre poveri e sottomessi a forze ogni volta più grandi di quanto potessero sopportare, chiedevano aiuto a Maria, e Dio era con loro. La letteratura medievale dei paesi cristiani annovera storie bellissime sull’affetto materno di Maria per i suoi figli. Nei miracoli di santa Maria ricorrono scene di malati, di storpi o ciechi, di incidenti cruenti o di violenze subìte ad opera di personaggi malvagi; 110

i prigionieri sono riscattati o si ottiene il pentimento dei peccatori. Quasi sempre si tratta di persone del popolo, umili, invalidi, orfani, incapaci di reagire o di difendersi. Si trovano abbandonati e cercano protezione. È la Vergine che intercede, aiuta, salva, cura. La Vergine che pronunciò davanti a sua cugina Elisabetta l’inno dei poveri e che apparteneva ai poveri per nascita e per vocazione. Los milagros de Nuestra Señora di Gonzalo de Berceo o le Cantigas de Santa María, raccolte da Alfonso X, costituiscono esempi che si ripetono in tutte le letterature medievali europee. Si spiega così l’immenso fervore mariano presente in tutti gli ambiti cristiani. Tutte le abbazie cisterciensi sono consacrate al dolce nome di Nostra Signora, e già nell’XI secolo le cattedrali gotiche furono consacrate al Fiore di Jesse, manifestando un culto di intercessione senza eguali. La ricostruzione della cattedrale di Le Puy attesta l’importanza del grande pellegrinaggio mariano, che la Guida del Pellegrino di Santiago accoglie, assegnandole un’importanza fondamentale nell’ambito di uno dei cammini compostellani. In effetti, i pellegrinaggi ai santuari mariani costituiscono una fitta matassa di amore e di speranza che copre tutta la mappa della cristianità medievale. Maria rappresenta la presenza e la vicinanza della madre in un mondo che continua a essere un mistero per noi. «Ecco tua madre» ne è la promessa e il complemento. L’esperienza del sacro dei cristiani comuni ha avuto nella storia cristiana due punti di riferimento, relativi alla loro ansia di essere amati e di essere salvati: Cristo e Maria. Essi sono consapevoli che Cristo è Dio, l’Alfa e l’Omega della vita del mondo e della vita umana; il loro salvatore è punto di riferimento assoluto, mentre Maria è loro madre, madre di Cristo e madre nostra, le braccia tra cui ci ripariamo, ci rannicchiamo, gemiamo, piangiamo e speriamo. Per questi motivi, nella messa votiva della Vergine Maria, preghiamo in questo modo: «O Signore Dio concedi a noi tuoi servi una continua sanità di anima e di corpo e per la gloriosa intercessione della Beata sempre Vergine Maria, liberaci dalle trístezze della vita presente, e facci conseguire la gioia eterna».

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10. Elemosina di san Martino. Facciata del duomo di San Martino, Lucca; copia dell’originale degli inizi del XIII secolo, ora in controfacciata.

1. Particolare del mosaico con veduta della città all’epoca di Teodorico con palazzi di imponente bellezza. Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna, V-VI secolo. Alle ricchezze offertegli da Teodorico, Cesario porse un diniego e si dedicò agli indigenti.

Capitolo 17

SAN MARTINO DI TOURS E ALTRI SANTI

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Il cristianesimo nasce nell’Impero romano e si espande entro i suoi confini. Numerosi popoli che i romani consideravano barbari ne violarono le frontiere e si insediarono, pacificamente o in modo violento, in molte delle sue regioni, fino a distruggere l’unità e l’organizzazione della sua parte europea. Si aprì così una delle pagine più appassionanti della storia umana, la nascita dell’Europa, cioè di nuove nazioni con personalità, lingue e culture proprie, frutto dell’aggregazione e integrazione del popolo romano e dei popoli invasori. Il cristianesimo e la cultura romana assimilata dai cristiani costituirono un elemento decisivo. È suggestivo affrontare questo tema alla luce della concezione della carità cristiana. La Vita di san Martino, scritta nel 397 da Sulpicio Severo prima ancora che il santo vescovo (335-400) morisse, illustra la personalità di un soldato che abbandona la carriera militare dopo venticinque anni di servizio per trasformarsi in soldato di Cristo, ritirandosi a vivere la propria religiosità in solitudine. Eletto vescovo di Tours, concilierà l’incarico con le sue esigenze spirituali. «Martino, povero e modesto, sale arricchito al cielo», scrive il suo primo biografo alla fine dell’opera. Nella Vita che gli dedica, Sulpicio esalta Martino come eguale ai martiri per la sua rinuncia al mondo, l’umiltà, la pazienza e la carità. Martino ottiene un martyrium sine cruore (senza effusione di sangue), essendo dotato da Dio di una virtù miracolosa. Di lui conosciamo un episodio che si è trasformato in testimonianza nella storia del cristianesimo. Divise il suo mantello militare con un mendicante che aveva incontrato ad Amiens intirizzito dal freddo. Poco dopo ebbe una visione di Cristo coperto con quella parte che aveva donato. Questo sorprendente miracolo è stato rappresentato nel corso dei secoli in chiese, cattedrali e cappelle del mondo cristiano,

per ricordare ai fedeli un miracolo portentoso, frutto di un’azione generosa, e una dottrina non sempre compresa, ma consustanziale al Vangelo: l’identificazione di Cristo con l’essere umano, soprattutto con quello pieno di limiti, precario, che mai giungerà a essere autosufficiente.

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2. Gregorio Magno, assistito da un angelo e dialogante con il diacono Pietro. Miniatura da un manoscritto dei Moralia in Iob di Gregorio Magno (1022-1030 ca.). Montecassino, Archivio dell’Abbazia, cod. Casin. 73, pp. IV-V.

Alla metà del VI secolo, Cesario di Arles (470-543), che aveva costruito accanto alla sua casa un grande edificio per accogliere gli infermi, incontrò a Ravenna, capitale del regno di Teodorico, migliaia di prigionieri originari della sua terra. Li riscattò dopo aver venduto quanto possedeva, compresi i doni che lo stesso Teodorico gli aveva offerto. Un contemporaneo dice di lui: «Uomo tra i barbari, uomo di pace in mezzo alle guerre, padre degli orfani, padre degli indigenti». Sia Martino sia Cesario sono romani, ma hanno rapporti con i barbari e si sforzano di conseguire un modus vivendi, una collaborazione e una convivenza pacifica fra i diversi popoli, che trasformerà il loro antagonismo in integrazione, dando origine alla nuova Europa. A poco a poco, questi uomini straordinari, asceti, monaci e vescovi, cominciano a essere considerati santi anche se non hanno subìto il martirio, perché li si considera devoti imitatori di Cristo nella loro fedeltà fino alla morte. Se ne ricorda soprattutto l’ascetismo, la vita appartata, le preghiere, ma in molti casi si dà risalto alla loro carità, alla capacità di comprensione e di integrazione. La devozione per questi santi si estese in Europa ed essi furono ammirati e imitati dalle diverse popolazioni, dando luogo a nuove usanze e tradizioni che informeranno la vita dei nuovi popoli. Per san Gregorio Magno (590-604), uno dei grandi papi della storia, è naturale che la carità costituisca la fonte di una migliore comprensione delle Scritture, perché essa insegna prima di tutto l’amore verso Dio e verso il prossimo. Significa andare contro la vera natura delle Scritture pretendere di comprenderle e di esporle solo per soddisfare il nostro desiderio di conoscenza: è il rimprovero principale che Gregorio muove agli eretici. Egli ritiene che, sebbene i discorsi degli eretici si riferiscano alla Bibbia, essi siano estranei alla sua finalità più profonda. La Parola di Dio ci invita all’amore reciproco e non all’orgoglio dell’intelligenza e alla divisione fra credenti. Leggere le Scritture costituisce la porta d’accesso al progresso spirituale. Quando si tratta della Parola di Dio, la 114

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3. Il libro dei Dialoghi, attribuito a Gregorio Magno, ci restituisce la vita di san Benedetto. Il Codex Benedictus (Vat. lat. 1202) ne è una famosa versione illustrata. In questo foglio vediamo sei scene, da sinistra a destra e dall’alto in basso: 1. Papa Gregorio narra la storia di Benedetto a Pietro; 2. Il giovane Benedetto a scuola a Roma; 3. La nutrice di Benedetto piange sul vaglio spezzato; 4. Benedetto prega affinché il vaglio rotto sia riparato; 5. Benedetto, fuggendo dalla fama che il suo miracolo gli aveva procurato, incontra il monaco Romano; 6. Romano fornisce a Benedetto del pane calandolo nella grotta e suonando la campana-segnale, ma il diavolo rompe la campana.

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comprensione è nulla, se l’intelligenza non conduce all’azione. Questo bipolarismo si traduce in innumerevoli antitesi che manifestano la coerenza armoniosa tra parola e azione, pensiero e azione, fede e azione, preghiera e azione. «Si vede bene solo con il cuore», afferma Saint-Exupéry nel nostro tempo, e san Tommaso, secoli prima, ha spiegato che per conoscere pienamente si deve amare. Spesso la nostra teologia e la nostra predicazione si sono concentrate sulla fede e sull’ortodossia, senza richiamarsi costantemente all’amore su cui si incentra e con cui si spiega ogni rapporto tra Dio e gli uomini. Nonostante questo, il popolo cristiano ha intuito, come san Paolo, che la cosa più importante è l’amore. In Italia, fra i tanti personaggi che ne hanno arricchito la storia, ricordiamo la figura di san Colombano (543-615), fondatore e ispiratore del monastero di Bobbio, centro di immenso valore culturale, ma anche di grande incidenza sociale, grazie agli stretti rapporti con i contadini, cui i monaci offrivano aiuto materiale e occasioni e riti per vivere e morire da uomini e da cristiani, mentre davano forma alla loro coscienza morale e sociale. Una potente rete di monasteri e di chiese diocesane va occupando la penisola, insegnando al popolo a vivere con dignità, a pregare e a lavorare, mentre nei sinodi i vescovi danno regole alla vita della gente, stabiliscono le norme sociali, riconoscono le autorità politiche e rafforzano l’influsso del Papato nelle diverse regioni. Questi monasteri coltivavano la trasmissione del sapere antico e dello stile di vita romano, ma allo stesso tempo crearono, protessero e insegnarono al popolo un modo di vita, frutto di tempi duri e calamitosi, dando luogo a quello che diverrà più tardi il popolo europeo, a cui insegneranno con i riti e il catechismo la dottrina e la morale cristiane. I santi si presentano nella storia europea come gli esponenti più importanti di questa sintesi: amano, si preoccupano per gli altri, creano istituzioni che si dedicano a favorire il progresso materiale e spirituale degli esseri umani, vivono per la fede e l’amore per Cristo. Dopo la loro morte, nei santuari loro dedicati, si moltiplicano le guarigioni e i prodigi di ogni genere. Si recava lì ogni tipo di malati e anche gli oppres-

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si e i perseguitati vi trovavano protezione e rifugio. L’importanza del culto dei santi è stata straordinaria, tanto per i più colti quanto per i contadini. Di fatto, si sa che alcuni culti pagani tradizionali, molto radicati fra la popolazione, scomparvero quando furono deliberatamente sostituiti con il culto di santi locali. Si impose il mondo della potenza divina e del mistero, capace di dominare i mali e le angosce che opprimevano la popolazione. L’Inquisizione, al contrario, ossessionata dall’ortodossia, dimenticò frequentemente le condizioni di coloro che giudicava, le loro debolezze, il loro bisogno di sperare e di aggrapparsi a ciò che poteva aiutarli nella lotta impari contro le potenze del male e dell’egoismo umano. Per l’uomo moderno, risulta talvolta difficile comprendere questo mondo di immaginazione popolare, ma non c’è dubbio che si tratti di un’espressione dello spirito genuinamente umana e cristiana, generata da quelle paure e angosce sempre presenti nel corso della storia. La Chiesa ha riconosciuto sempre il valore della pietà popolare. C’è nel popolo un senso quasi innato del sacro e della trascendenza. Esso manifesta una sete autentica di Dio e un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante, la misericordia20. Tutta la storia della salvezza costituisce il grande movimento delle vite delle migliaia di persone di cui si parla nell’Apocalisse; la storia della Chiesa è il corso vitale di tanti protagonisti conosciuti o sconosciuti a noi ma non a Dio, un movimento di persone che sono state capaci di integrare il finito con l’infinito, il divino con l’umano, l’eterno e la storia, la morte e la resurrezione. Se Dio ha scelto la dimensione personale, se ha privilegiato le biografie, cioè le esperienze umane, per la sua rivelazione, risulta evidente l’importanza decisiva di queste testimonianze nell’esperienza cristiana. La Bibbia non è un libro di teorie, di filosofia o di teologia, ma è invece il libro di uomini e donne, di profeti, peccatori, discepoli e testimoni, che vivono e parlano di Cristo. Soltanto Dio conosce la maggior parte di questi testimoni, ma è anche – anzi soprattutto – grazie a loro che è giunta a noi la Parola di Dio e che noi siamo cristiani21.

Capitolo 18

LE OPERE DI MISERICORDIA

Assieme ai comandamenti solenni e universali, sia dell’Antico sia del Nuovo Testamento, troviamo nella tradizione cristiana un insieme di raccomandazioni, metodi e modi pratici di comportamento, che la pastorale quotidiana è andata insegnando ai credenti allo scopo di facilitarne o indirizzarne i costumi abituali nei rapporti con gli altri esseri umani, in accordo con la vita e gli insegnamenti di Gesù. A partire dal XIII secolo, quasi tutti gli statuti sinodali obbligano a insegnare ai fedeli le sette opere di misericordia assieme ai sette sacramenti e al mistero della Trinità e dell’Incarnazione. Queste opere avrebbero potuto esprimersi in un numero indeterminato di comportamenti, ma la tradizione le ha ridotte, ancora una volta, al numero di sette: sette opere di misericordia spirituali e sette corporali. Non si tratta affatto di un accostamento sentimentale ai bisogni dell’essere umano bensì, nell’insieme, di un modo di comprendere la natura umana, le sue necessità e i suoi limiti; soprattutto, esse promuovono l’impegno personale a conseguire una società più umana, giusta, felice e solidale. Fra queste opere di misericordia, occupano il primo posto quelle di ordine spirituale, con le quali si offre un bene spirituale e si soccorre l’anima del prossimo con un atto spirituale. Sono superiori a quelle corporali, così come lo spirito è superiore alla materia. Ciononostante, a volte, risulta più urgente o preferibile l’opera di misericordia corporale: per esempio, prima di dare dei buoni consigli all’affamato, dagli da mangiare. Consigliare i dubbiosi. Gesù raccomanda di insegnare a coloro che aspirano alla perfezione. Il cristiano, con pazienza e tenerezza, deve consigliare sulla via da seguire chi agisce contro i fratelli e la comunità, e anche chi cerca di seguire più da vicino Gesù. La vita di Cristo, in effetti, fu una costante correzione

del cammino sviato di chi lo ascoltava o gli chiedeva un parere. Ricordiamo la figura del giovane che chiede a Gesù che cosa debba fare per essere perfetto. Il Signore gli dà un consiglio che diventerà uno dei fondamenti classici della spiritualità cristiana. La direzione spirituale ha costituito un metodo molto antico e molto seguito nel cammino di perfezione delle comunità cristiane. Ignazio di Loyola, Teresa di Lisieux e Hans Urs von Balthasar sono esempi di maestri dello spirito che continuano a indicare il cammino per giungere a Dio. Insegnare agli ignoranti. Il cristianesimo è una religione che si ascolta e si apprende, si insegna e si assimila, in modo regolato, interiorizzandola in maniera tale che si trasforma in un modo di vita e di azione. Fin dalle origini, Ireneo, Origene e altri nomi famosi del cristianesimo primitivo hanno fondato scuole di dottrina o teologia cristiana, che non erano soltanto fonti di conoscenza ma anche di azione e di comportamento. La loro finalità consisteva nell’insegnare quella verità che è Cristo e nel mostrare la buona via del Vangelo. Secoli più tardi, le scuole delle cattedrali o dei monasteri estesero le materie e i saperi che insegnavano. Alcuino, Bruno, Tommaso d’Aquino, Bonaventura e tanti altri sono nomi conosciuti di maestri del sapere e dell’insegnamento. L’istruzione per i poveri come mezzo di promozione sociale nasce con l’Umanesimo e, soprattutto, con la spiritualità barocca, segnata da una sensibilità generalizzata per i diseredati. Sono numerose le congregazioni religiose che nascono con la preoccupazione di impartire questi insegnamenti ai più poveri, a cominciare da quella fondata da san Giuseppe Calasanzio. Dopo la Rivoluzione francese e, soprattutto, in piena rivoluzione industriale, uomini e donne sentono l’angustia della condizione dei bambini cresciuti in situazioni inumane, ai quali desiderano offrire un’educazione e 117


LE OPERE DI MISERICORDIA

LE OPERE DI MISERICORDIA

1. Lezione di dottrina in un villaggio andino in Perù. L’insegnamento cristiano deve valorizzare le tradizioni culturali locali e coglierle come ricchezza e non come ostacolo all’annuncio del Vangelo.

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modi di comportamento che li aiutino a uscire presto da quegli ambienti chiusi e rigidamente stratificati in cui vivono, e dei quali solo il denaro o l’educazione possono aiutare a infrangere le barriere. Ammonire i peccatori. Gesù offre una serie di richiami e di correzioni che devono essere impartiti a chi sbaglia o pecca o infrange le leggi. Ogni credente deve aiutare l’errante o chi agisce illecitamente, perché, in un certo senso, tutti siamo responsabili di tutti. Nei casi estremi, tutta la comunità agisce come un corpo solo, prima con la parola, il consi118

glio e il convincimento, e da ultimo, se il peccatore non dà segni di pentimento, con il castigo definitivo, la scomunica. Alfonso de’ Liguori (1696-1787), Giovanni Maria Vianney (1786-1859), Pier Giorgio Frassati (1901-1925) e tanti sacerdoti e laici dotati di prestigio spirituale, sia nel confessionale sia nella direzione spirituale e nelle conversazioni su problemi presonali, diressero e purificarono le coscienze di tanti credenti che si rivolgevano e si rivolgono a loro. Consolare gli afflitti. Non possiamo dimenticare la delusione e la tristezza che opprimono tante persone

che ci stanno attorno, a volte per mancanza di senso del trascendente. La rivelazione della buona novella evangelica è essenzialmente gioiosa, allegra, piena di speranza. Ci viene annunciato Cristo, che è il principio e la fine di ogni attività umana. Cristo spiega la nostra origine e la nostra meta. È l’Alfa e l’Omega dell’umanità. In realtà, un cristiano non dovrebbe essere triste, perché è dominato da una felicità profonda. Scrive Pascal: «Solo la religione cristiana rende l’uomo amabile e felice allo stesso tempo». È per questo che ogni tristezza risulta inspiegabile nel cristiano e deve essere sanata, capovolta. «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!» (Filippesi 4,4-5). Ogni credente deve dar ragione della sua allegria e trasmetterla al fratello. Perdonare le offese. L’occhio per occhio connota una delle reazioni umane più saldamente radicate nel nostro essere. Di fronte alla reazione spontanea di rispondere colpo su colpo a ogni violenza, a ogni insulto, a ogni assalto, Gesù espone uno dei princìpi più ardui dell’antropologia umana, perdonare settanta volte sette, offrire l’altra guancia, rispondere al male col bene. Il perdono è un attributo di Dio e un modo di giudicare in accordo con il Padre Nostro. Sopportare pazientemente le persone moleste. Il Corpo mistico implica un flusso e riflusso costante fra i suoi membri. Ognuno di noi possiede le sue peculiarità e ha ricevuto talenti diversi. In nessun momento dobbiamo inorgoglirci delle nostre qualità, perché ci sono state date, e non per nostro merito. Conviene, dunque, che accettiamo con pazienza e amore fraterno le piccolezze e i limiti degli altri. In realtà, nessuno è tanto perfetto da non averne di suoi. Pregare Dio per i vivi e per i morti. Il Padre Nostro è una preghiera corale, comunitaria. Chiediamo qualcosa per noi e rendiamo grazie per i doni ricevuti. Il culto dei defunti è indirizzato a Dio e riguarda i nostri morti concreti, con nome e cognome, che sono anche morti della comunità orante. L’eucaristia è sempre una preghiera del popolo cristiano, a favore

del popolo stesso, una preghiera al Padre attraverso l’intercessione del Figlio. La preghiera per i morti è uno dei riti più antichi dell’umanità, ma nel cristianesimo ha come punto di riferimento la morte e la resurrezione di Cristo, immagine e preannuncio della nostra. In ogni eucaristia chiediamo in nome dei vivi e dei morti e rendiamo grazie a Dio per essere il Vivente, il Dio dei vivi, nel cui seno ci riuniremo tutti. Le opere di misericordia corporali ripetono, in pratica, le esortazioni di Gesù nella straordinaria pagina del capitolo 25 del Vangelo di Matteo relativa al Giudizio finale, nella quale Gesù si identifica con il malato, l’affamato, l’ignudo e lo straniero. Le opere corporali riflettono la convinzione che un cristiano non possa vivere mantenendo il proprio spirito e le proprie preoccupazioni lontani dalle pene e dalle difficoltà degli altri uomini (Salmi 72 [73]), perché chi abbandona gli uomini abbandona Dio. La diffusione iconografica di questo tema si limita ad alcuni cicli dovuti alle scuole del Nord, generalmente destinati agli ospedali o alle sedi delle confraternite caritative. La tela dipinta da Caravaggio per il Pio Monte della Misericordia, a Napoli, è unico nella sua concezione e nella sua realizzazione, giacché illustra in una sola immagine le sette opere di misericordia con l’aiuto di esempi presi dalla vita quotidiana, dalla Bibbia e dalle agiografie. Dar da mangiare agli affamati. «Le folle interrogavano Giovanni Battista: ‘Che cosa dobbiamo fare?’. Rispondeva: ‘Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto’» (Luca 3,10-11). Nel corso della storia del cristianesimo, le parrocchie, i monasteri e le case di religiosi hanno offerto cibo a quanti ne avevano bisogno. In molte chiese si distribuiva pane agli affamati che avevano frequentato la lezione di catechismo e avevano dato prova di buona condotta. Dar da bere agli assetati. Il deserto costituisce un luogo biblico esemplare della condizione umana. Quando si ritrova senza acqua, il popolo di Israele si lamenta con Mosè perché sta per morire di sete e di 119


2. «Maestro dell’Osservanza» (attr.), Elemosina di sant’Antonio. Particolare della Pala di sant’Antonio abate, 1440 ca., proveniente dalla chiesa di Sant’Agostino (?), Siena. National Gallery of Art, Washington.

fame. Dio procura acqua e manna, salvandolo dalla sua angosciosa situazione. La comunità cristiana imita l’azione di Dio, non permettendo che alcuno soffra o perisca di fame e di sete, principali impedimenti allo sviluppo umano. Vestire gli ignudi. In molte città, in tutte le parrocchie e grazie all’associazione Caritas, si raccolgono vestiti usati o nuovi per dotare di un cappotto o di biancheria quanti si trovano in difficoltà. San Martino divise il mantello con un povero, e altrettanto fece san Giovanni di Dio. La dignità umana richie-

3. Colantonio, particolare di una delle tavolette della predella del Polittico di san Vincenzo Ferrer, XV secolo. Proveniente dalla chiesa di San Pietro Martire a Napoli, l’opera è conservata nella Galleria Nazionale di Capodimonte. Ferrer (o Ferreri), domenicano, è noto per le sue opere di misericordia taumaturgiche. Lo si riconosce dalla mano destra alzata, gesto del predicatore.

LE OPERE DI MISERICORDIA

de di essere vestiti dignitosamente e il sentimento di fratellanza ci fa prestare attenzione a che il prossimo non soffra le inclemenze del tempo. Alloggiare i pellegrini. A Gerusalemme e a Roma in principio, e poi in tutte le comunità successive, si stabilirono spazi per ospitare i pellegrini e le persone di passaggio. Ogni cristiano aveva il diritto di essere accolto dalle comunità per le quali passava. Nel nostro mondo in maggioranza cristiano, questa urgenza sembra essere scomparsa, benché rimanga nell’inconscio dei credenti l’obbligo di non consen-

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tire che nessuna persona dorma per la strada per mancanza di accoglienza. Molte città hanno case di accoglienza che spesso sono dirette da religiosi o da laici dell’Azione Cattolica. Visitare gli infermi. Gesù visitava e curava assiduamente i malati, i più deboli in un’epoca in cui i medici scarseggiavano, mentre le cure si praticavano a casa ed erano spesso inefficaci. Nelle nostre attuali parrocchie, ci si preoccupa perché gli infermi siano visitati, curati, protetti, convinti come siamo che l’abbandono e la solitudine costituiscano uno dei mali più dolorosi della nostra società. Santa Angela della Croce (1846-1932) fondò a Siviglia una congregazione con lo scopo di esercitare questo ministero con letizia, pietà e semplicità; molte altre religiose in altri luoghi si dedicano a questo stesso compito. Riscattare i prigionieri. Spesso si riscattavano schiavi o persone rapite per denaro. Durante le invasioni dei popoli barbari, molti vescovi, a partire da sant’Ambrogio, offrivano il denaro di cui disponevano per liberarli. Al tempo delle scorrerie dei saraceni si fa-

ceva lo stesso e alcuni cristiani si offrivano addirittura in cambio di chi era stato catturato. Nel 1944 fu il francescano Massimiliano Kolbe a scambiare la sua vita con quella di un padre di famiglia internato in un campo di concentramento. Seppellire i morti. Nel corso della storia troppi morti sono rimasti esposti alle intemperie, senza che nessuno si curasse di loro. I cristiani credono nella resurrezione dei morti e hanno venerazione per le loro spoglie mortali, apprestandone la sepoltura nella speranza del Giudizio finale. Le comunità cristiane non permettevano che alcun morto rimanesse senza cristiana sepoltura, né che la sua memoria andasse perduta. Il culto dei defunti è parte importante della liturgia cristiana. Non c’è popolo in Europa che non abbia un cimitero accanto alla parrocchia. Nel 1975, Isidoro Lezcano fondò a Tangeri i Fratelli della Resurrezione, con la missione di seppellire i morti. Con la stessa finalità, l’accompagnamento nei cimiteri, José María de Jesús Crucificado fondò nel 1953 a Guadix (Granada) i Fratelli Fossori della Misericordia. 121


FRANCESCO D’ASSISI

1. San Francesco e il povero. Miniatura da un manoscritto della Legenda Maior di san Bonaventura. Istituto Storico dei Cappuccini, Roma, XIV secolo. La riforma della Chiesa avviene storicamente per un ritorno deliberato alla povertà evangelica, che include anche l’assistenza agli emarginati. La figura di san Francesco, la cui grandezza nell’umiltà sarà riconosciuta dalla tradizione protestante, ne è un esempio che attraversa i secoli.

Capitolo 19

FRANCESCO D’ASSISI

Il poverello d’Assisi, il povero e il fratello universale, che sperimentò il senso più vivo del rapporto filiale con il Padre, «l’immagine più fedele che si sia mai avuta di Nostro signore» (Benedetto XV), ha lasciato nella memoria del cristianesimo il riflesso umano più compiuto di quell’amore di Dio che illumina l’esistenza degli uomini. Arricchì la spiritualità cristiana con una dinamica dimensione ecologica, manifestata nella religione, nella letteratura e nell’arte, fino al punto di esprimere con un linguaggio ridente e gioioso il suo acuto e brillante senso della natura e della creazione. La mattina del 17 settembre 1224, sullo splendido monte Alverno, Francesco si sentì trafitto da un dolore molteplice, straziante e soave: sulle sue mani, sui piedi e sul costato erano visibili e sanguinanti le piaghe della passione. L’appassionato testimone di Cristo portava nella carne le stimmate del suo Dio, si trovava unito in maniera misteriosa, ma reale e percepibile, nel dolore e nello strazio, al Salvatore crocifisso. Francesco, che si era identificato con Cristo povero, con Cristo vicino a tutti, con Cristo ammiratore dei gigli del campo e degli uccelli, in quel giorno ottenne nel suo corpo i segni della morte in croce del suo Maestro. Era senza dubbio un segno sconcertante e portentoso della sua identificazione con Cristo. La vicenda era cominciata anni prima in una piazza di Assisi, quando il giovane Francesco rispose alle pretese e alle minacce del padre spogliandosi di tutti i vestiti e annunciando a coloro che assistevano stupefatti all’avvenimento che era Dio il suo vero padre. Non rinnegava quelli che aveva amato, ma annunciava le sue priorità assolute: Dio e la povertà, cioè il rifiuto totale di possedere anche il più piccolo dei beni di questo mondo, che finiscono sempre per possederci e condizionarci; povertà che era il 122

mezzo e il fine della santità che richiedeva, povertà che consisteva nella fame del regno di Dio e della sua giustizia. «Andrò nudo incontro al Signore». Da questo momento si nascose nella luce di Cristo povero e stette a completa disposizione dei suoi fratelli. Si dedicò ai più poveri, in particolare ai lebbrosi. La sua reazione istintiva era stata fino a quel momento il rifiuto disgustato di quella malattia maledetta. Un giorno incontrò sulla sua strada un lebbroso che scuoteva le sue nacchere per annunciarsi. Francesco saltò giù da cavallo, si avvicinò al lebbroso, afferrò la sua mano e ne baciò la carne putrefatta. Vincendo se stesso cominciò la sua grande avventura. Da quel momento, Francesco si aprì in pieno a Cristo. Continuò a essere un uomo, ma in lui dimorava Cristo. Con semplicità evangelica si prodigò a riparare le chiese e la Chiesa in rovina, in un grande rinnovamento d’amore, l’amore che predicava Gesù. Comprendeva e interpretava le Scritture con esigente spontaneità, con allegria, sine glossa. Il Gesù che lo interpellava era immediato, vicino. La carità per il prossimo non era un’astrazione ma un moto irrefrenabile dell’anima, con cui offriva agli altri cristiani la sua totale disponibilità e l’ideale che Dio aveva proposto nelle Scritture. La storia della prima fraternità francescana è la storia di un amore per Dio traboccante e di un amore per gli uomini di pari intensità. Questi religiosi non sono rimasti nella storia per le loro attività a favore dei poveri, ma per la loro identificazione e il loro amore nei confronti di chi, nella scala della società umana, si trovava agli ultimi gradini. Non avevano nulla, non potevano nulla, praticavano l’umiltà, la povertà e la castità, per identificarsi con gli ultimi di questo mondo. Per questo chierici e laici avevano la stessa importanza nella fraternità, non studiavano, non possedevano nulla né personalmente né comu-

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FRANCESCO D’ASSISI

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2. Giotto, Sogno di Innocenzo III. Scena dal ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco, 1295-1300. Basilica superiore di San Francesco, Assisi. Si tratta del sogno in cui il papa vede Francesco sostenere la Chiesa. È forse una delle immagini più significative della «rivoluzione francescana». Il santo, e pertanto la sua opera e il suo ordine, nella loro assoluta povertà di partenza, sono il sostegno, cioè i riformatori, della Chiesa.

nitariamente. Nella nuova fraternità di san Francesco la differenza di condizione e di origine non svolgeva alcun ruolo, fatto che annullava l’idea medievale secondo cui le classi sociali che costituivano la città terrena si dovessero in definitiva alla volontà ordinatrice di Dio. Fu una vita in cui, dopo aver lasciato tutto ai poveri, si trasformarono in fratelli in perfetta uguaglianza, facendosi e presentandosi come «ignoranti e sottomessi a tutti». Era una vita condotta nella precarietà dell’alloggio e dei pasti, con l’impegno del lavoro manuale, rifiutando privilegi, chiese e dimore che non fossero conformi alla «santa povertà». Questo spogliarsi dell’individuo rappresentava un gesto di amicizia e fraternità verso i poveri, i più piccoli, un rifiuto di qualsiasi barriera che separasse dai diseredati e dagli infermi. Questo atteggiamento, portato da Francesco e dai suo primi compagni alle estreme conseguenze, si trasformava in testimonianza reale del Cristo che non ha dove posare il capo, compagno di viaggio di tutti i diseredati che sono stati nel mondo. San Francesco esortava i suoi discepoli a «rallegrarsi quando si sarebbero trovati tra persone disprezzate e rifiutate, tra i poveri e i deboli, i malati e i lebbrosi e quanti chiedono l’elemosina per la strada». Lo scopo di Francesco fu di istruire gli uomini con l’esempio più che con le parole: «Tutti i fratelli predichino con le opere!», aveva scritto nella Regola dell’ordine, e osservò sempre questo precetto. Tommaso da Celano, che lo conobbe così bene, scrisse che Francesco rimase sempre identico «nella vita e nelle parole»22. Ma per Francesco non era la povertà la meta, né un fine in sé, ma il cammino verso Cristo, verso la partecipazione al suo regno. La più rigorosa povertà non è l’ideale dell’ordine, ma una concretizzazione, benché molto importante, della vita secondo il Vangelo di Gesù Cristo. Questa povertà radicale dà impulso a un amore tale che fa sì che 124

l’uno serva l’altro, si preoccupi per lui e gli procuri il necessario per vivere. Questo amore fraterno, concreto e spontaneo, è precisamente uno dei tratti decisivi del modello cristiano che san Francesco indicò ai suoi seguaci. Disprezzando tutto ciò che è terreno e non amando più se stessi di un amore egoista, trasformavano gli altri in oggetto del loro amore; cercavano di dedicare completamente se stessi, quale cosa più preziosa, per soddisfare così i bisogni dei fratelli e delle sorelle. La sua proposta e la sua vita («il modello dei Minori») sono rimaste nella mente e negli ideali dei cristiani e di molti altri che cristiani non sono, come l’approssimazione migliore all’amore fraterno, gioioso e generoso di Cristo e come la possibilità reale di mettere in pratica la radicalità delle proposte di Gesù. La vita secondo il Vangelo significò per Francesco ripercorrere il cammino di Cristo, seguire le sue orme, senza lasciarsi distrarre da niente e nessuno. La nota che segue costituisce, probabilmente, le sue ultime volontà, trasmesse alle «povere signore», le sorelle che vivevano a San Damiano: «Io, frate Francesco, piccolino, voglio seguire la vita e la povertà dell’altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della santissima madre sua e perseverare in essa fino alla fine; e vi prego, signore mie, e vi consiglio, perché viviate sempre in questa santissima vita e povertà. E abbiate molto a cuore di non recedere in alcun modo in perpetuo da essa, per la dottrina o per il consiglio di chicchessia». Santa Chiara, tanto vicina al modo di pensare e di vivere di Francesco, scrisse: «Il Figlio di Dio si è fatto per noi via, che con la parola e l’esempio ci ha mostrato e insegnato il nostro beatissimo Padre Francesco, vero suo amatore e imitatore». Noi possiamo aggiungere che la carità è una forza che non diventa mai spettacolo. Se lo fa, è un dono per tutti, come fu Francesco23.


I MENDICANTI

1. Anonimo, San Giovanni da Capestrano predica sulla piazza del duomo di Bamberga. Olio su tavola, 1470-1475. Historisches Museum, Bamberga.

Capitolo 20

I MENDICANTI

Nel corso del XII secolo numerosi laici cristiani manifestarono in diverse forme la propria interpretazione della povertà come una caratteristica fondamentale del cristianesimo e la convinzione di essere chiamati a partecipare all’annuncio del Vangelo e alla predicazione della Parola di Gesù. In questi stessi anni, i terzi ordini e le confraternite di penitenza manifestarono queste stesse ansie di formazione spirituale e di più profonda vita religiosa espresse dai laici; tali ansie e ricerche, se non risultavano originali nelle chiese o nei monasteri, lo erano però nell’anima credente di un popolo che, benché spesso non possedesse una formazione dottrinale adeguata, sperimentava però il bisogno genuino di seguire Cristo e di partecipare attivamente alla vita della Chiesa. Valdo, ricco mercante di Lione, fu una delle più significative tra queste figure. Vendette tutti i suoi beni e si mise a seguire il Signore annunciando ovunque ciò che il Vangelo chiedeva. Povertà e predicazione divennero due bisogni genuini e imprescindibili per molti laici, che decidevano di osservare come precetti le esortazioni evangeliche. Desideravano seguire nudi il Dio nudo incarnato in Gesù. L’espressione di questo sentimento conobbe ogni genere di sviluppo; era una questione che appassionava e in cui mantenere l’equilibrio risultava sempre complicato. La scelta della povertà radicale poteva sfociare in movimenti anti-istituzionali o rivoluzionari e la predicazione effettuata da persone spesso carenti di qualsiasi formazione si traduceva in pittoresche eresie o in dottrine prive di equilibrio, che finivano per essere accettabili e seguite da chi era scontento dell’immagine che offrivano tanto il clero quanto i religiosi e l’episcopato. Innocenzo III decise di incanalare queste ansie e queste aspirazioni, presenti soprattutto in Francia e in Italia, favorendo e adattando le proposte di alcuni personaggi che si 126

trasformeranno in punti di riferimento della storia ecclesiastica. I catari, i «fratelli» e le «sorelle» valdesi, gli umiliati di Lombardia, gli speronisti e altri gruppi simili nacquero spesso da questa stessa ansia di uno spiritualismo esigente, forse esageratamente riformista, ma molto presente nel popolo cristiano, che fu in parte assorbito o modificato in senso ecclesiale dai nascenti ordini mendicanti, i più significativi dei quali furono Francescani e Domenicani. Dante scrive nella Divina Commedia a proposito dei loro fondatori: «L’un fu tutto serafico in ardore; l’altro per sapïenza in terra fue di cherubica luce uno splendore» (Paradiso XI,37-39). Nel XII secolo, nelle città che vanno sorgendo grazie ai commercianti, che si dedicano a mille nuove attività, liberi dal potere dei signori feudali, ai margini dell’influsso diretto delle abbazie – che per secoli avevano segnato la vita cristiana del popolo credente –, ma aperti alla nuova predicazione di valdesi, patarini e catari, tutti ribelli contro la Chiesa, si impose la necessità di trovare una risposta adeguata a quelle nuove esigenze, tanto spirituali quanto sociali, che si erano impossessate della gente. Queste dottrine e le oscure profezie di Gioacchino da Fiore turbavano l’animo dei popoli europei, molto propensi all’azione e alle novità. In questa situazione, che cosa offriva la Chiesa ai nuovi borghesi che detestavano il latino, che si annoiavano per i lunghi canti liturgici, che non avevano tempo per andare nei monasteri, che cominciavano a leggere e a scrivere per proprio conto, che suscitavano inquietudini morali e religiose per il loro modo di vivere e per il carattere delle loro attività economiche? Domenico di Guzmán (1170-1221), sacerdote originario di Caleruega, sull’aspro altopiano di Castiglia, fu colpito dalla vita povera e austera dei catari e dalla

loro predicazione evangelica, in contrasto con la vita opulenta dei monasteri e la predicazione astratta del clero. A suo giudizio, la predicazione doveva basarsi su Cristo e sulla povertà: «Abbiamo rinunciato al secolo e abbiamo dato ai poveri ciò che possedevamo, seguendo il consiglio del Signore. Abbiamo deciso di essere poveri, per non preoccuparci del domani, e non riceviamo da nessuno oro, argento o nulla di simile, salvo i vestiti che indossiamo e il pane quotidiano»24. Conoscitore del movimento di riforma canonica che si era diffuso in Europa nei decenni precedenti, Domenico fondò assieme ai suoi primi compagni l’ordine dei Frati Predicatori, decidendo di vivere poveri, senza possedere nulla, ricorrendo in caso di necessità all’elemosina. Rifiutavano le rendite fisse e i beni immobili. Non volevano finire per essere poveri individualmente ma ricchi istituzionalmente, come era la norma degli ordini monastici, né volevano isolarsi nei loro conventi; decisero invece di dedicarsi a tutti, specialmente agli abbandonati e agli indigenti. Le loro chiese dovevano essere tanto semplici quanto quelle dei primi tempi dei Cisterciensi. Francescani e Domenicani crearono i terzi ordini, una delle istituzioni che ebbero maggior successo durante questi secoli, attirando efficacemente i laici preoccupati della vita spirituale, che in questa maniera si sentivano associati alla spiritualità dei Mendicanti. San Francesco aveva creato il Terzo Ordine francescano, i «terziari», i «fratelli e sorelle della penitenza», che, rimanendo nel mondo, assumevano l’obbligo di mortificarsi, recitare certe preghiere e compiere opere di misericordia, servendo i poveri e gli infermi. Comparve anche un Terzo Ordine di san Domenico. Fu un modo di entrare nelle città, infiltrandosi profondamente nelle società urbane. Grazie ai terzi ordini la predicazione evangelica divenne uno strumento capace di creare fermenti e dare forma cristiana alla società urbana nascente, e grazie ad essi ci si dedicò nei conventi alla cura delle anime, con la predicazione, l’amministrazione dei sacramenti, le confraternite e le devozioni, specialmente quella del rosario.

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2. Francesco Rosselli (attr.), Tavola Strozzi. Particolare con al centro la chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli. Olio su tavola, 1472. Museo Nazionale San Martino, Napoli. È a Napoli che Tommaso d’Aquino entra nell’ordine domenicano.

Si diede senza dubbio valore alla povertà, ma con la coscienza che si dovesse concedere uno statuto spirituale valido alla nuove attività intellettuali, giuridiche, economiche e artigianali della borghesia. Si legittimarono i guadagni dei commercianti e, di conseguenza, alcune forme di usura, dando avvio a una società nella quale il lavoro non era ormai più una penitenza ma un’attività positiva, in cui lavoratori e produttori intellettuali ed economici trovavano giustificazione morale e riconoscimento sociale. La loro sensibilità nei confronti della povertà e il loro rapporto con parte della borghesia nascente, che li aveva accolti, fecero sì che il loro apostolato si dedicasse tanto ai gruppi emergenti quanto alla moltitudine di emarginati, vittime dello sfruttamento e della nuova economia monetaria, nobili decaduti, prostitute e poveri che la città ospitava e produceva allo stesso tempo. Al potere e alla prepotenza feudali, i Frati Minori opposero l’umiltà; all’avidità della ricca borghesia, la povertà; agli egoismi, agli odi e alle differenze di classe, la carità, la fraternità degli uomini in Cristo, l’amore per Dio e per le creature. Non c’è dubbio, nonostante questo, che i Mendicanti si posero in una posizione apparentemente ambigua, giacché, costituendo una risposta al nuovo tipo di ricchezza urbana, avevano dedicato il loro apostolato agli abitanti delle città; ma non c’è neppure dubbio che essi riuscirono a ottenere frutti straordinari nella dinamica della vita religiosa e umana del Medioevo. Da una parte, il programma religioso di Francesco d’Assisi, programma vissuto con intensità dal santo e dai suoi compagni più fedeli, era lo stesso che aveva proclamato Gesù sul monte delle beatitudini e implicava una scala di valori radicalmente opposta a quella del mondo, in duro contrasto con la società dell’epoca, quando le prospere città italiane mettevano in primo piano gli interessi economici e i poteri politici ed ecclesiastici riducevano il proprio orizzonte all’ambizione e alla sete di grandezza terrena. D’altro canto, i Francescani, timidi ma veri discepoli di Francesco, costituirono la coscienza critica di una società che spesso vide in loro uno sprone alla vita religiosa, un’occasione di pentimento, un programma di riforma e di impegno per una società più giusta. In realtà, nella storia dei Mendicanti troviamo rappresentato l’atteggiamento tradizionale della Chiesa di fronte alle novità, alle nuove situazioni sociali e cul128

3. Facciata della chiesa di Santo Domingo di Oaxaca, Messico, concepita come un grande retablo: sopra il portale, le statue di san Domenico di Guzmán, fondatore dell’ordine dei Predicatori, e di sant’Ippolito, che regge in mano una chiesa. I Domenicani, come i Francescani, fonderanno conventi in tutto il mondo.

turali: in un primo tempo le rifiuta per i loro pericoli e aspetti negativi, ma a poco a poco si va adattando alle nuove aspirazioni, mentre le modula e le rende più conformi allo spirito evangelico. In questo modo si legittima l’uso del denaro, la remunerazione del lavoro, i salari dei maestri e il profitto dei mercanti. Nel XII secolo apparvero anche altri due ordini mendicanti: quello dei Carmelitani e quello degli Eremiti di sant’Agostino. Tra questi religiosi e le città si stabilì un rapporto speciale e, in un certo senso, complementare: mentre essi furono capaci di comprendere e rispondere al bisogno di rinnovamento religioso e all’inquietudine morale di molti cittadini, la città offriva l’ambito, il sostegno economico e la problematica propria della nuova situazione economica e sociale. È così che la città fornì i bisogni e le domande, mentre i religiosi seppero rispondere con le idee e il linguaggio appropriati. Troviamo rappresentata questa complementarità nel famoso progetto della città ideale eseguito da Francesc Eiximenis: al centro è posta la cattedrale e in ciascuno dei quattro quartieri in cui è divisa la città troviamo la chiesa e il convento di uno dei quattro ordini medievali25.

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Capitolo 21

PELLEGRINI E OSPEDALI

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4. Copia del IX secolo del cosiddetto Itinerarium Aetheriae, racconto da parte di Eteria, o Egeria, del proprio pellegrinaggio in Terra Santa. Questo diario redatto nel IV secolo è importantissimo per le informazioni sul viaggio, gli ambienti e la liturgia in Terra Santa. 5. Disegno di ampolla (con recto e verso) che i pellegrini riportarono come «memoria» da Gerusalemme. Museo e Tesoro del Duomo, Monza. Sul recto vi si raffigurano la croce e la resurrezione, sul verso gli apostoli.

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«Voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa» (1 Pietro 1,8), scrive l’autore della Prima Lettera dell’apostolo Pietro. Ci sono state molte persone, nel corso dei secoli, che hanno ignorato la lettera dei Vangeli, ma che tuttavia hanno avuto un’idea elevata e amorevole di Cristo. Non credo che sia inverosimile pensare che molti lo abbiano scoperto nelle buone azioni dei propri fratelli, che confermavano la buona novella udita nelle chiese, nelle vite dei santi e nelle tradizioni familiari. Le notizie della nuova religione volarono da un luogo all’altro del mondo conosciuto per mezzo di messaggeri itineranti, di soldati che percorrevano l’Impero senza nascondere la propria fede, di commercianti e pellegrini che si recavano in luoghi santificati dalla vita o dal martirio di cristiani famosi. Si moltiplicarono le diocesi, ci furono vescovi «girovaghi», che cioè portavano il messaggio in luoghi inospitali, lontani dai cammini conosciuti, dopo aver adottato il modo di vita dei nomadi; persone dalla fede ardente che dedicavano la propria vita a predicare là dove non esistevano comunità cristiane. Siria, Mesopotamia, Arabia furono evangelizzate grazie al nomadismo delle tribù già cristianizzate. La presenza nei deserti di monaci e asceti, che impressionavano con l’austerità delle loro vite, con la predicazione spontanea e con l’accoglienza di quanti oltrepassavano la soglia dei loro monasteri, ebbe come frutto la conversione di molti membri delle tribù beduine che percorrevano i sentieri siro-orientali. Allo stesso modo, le strade romane si trasformarono, in mille maniere diverse, in canali di evangelizzazione. In realtà, per il cristianesimo, ogni fedele è un esiliato, un pellegrino, che sta provvisoriamente sulla terra con la speranza di raggiungere la sua vera patria in cielo. Abitano la terra, ma sono cittadini del cielo.

Il tempo intermedio costituisce una peregrinazione per le vie del mondo, un’occasione ascetica per essere perdonati e acquistare meriti. Questa costante mobilità, questa tradizione di viaggi, rimarrà per sempre connessa al cristianesimo grazie ai pellegrinaggi in luoghi considerati santi, nei quali la presenza della divinità risulta più vicina e accessibile. Elena, la madre dell’imperatore Costantino, si recò a Gerusalemme con l’intenzione di percorrere devotamente i luoghi nei quali era vissuto il Salvatore, dando inizio così a una pratica pietosa che giunge ai nostri giorni. Egeria, una matrona della Galizia, viaggiò con i suoi compagni per l’Oriente, informandoci tramite i suoi scritti sui costumi cristiani e sulle liturgie celebrate a Gerusalemme, Betlemme e altri luoghi santi. Più tardi, nel corso dei secoli, milioni di persone hanno percorso strade più o meno lunghe per visitare santuari, eremi, cappelle, in cui hanno venerato sepolcri, reliquie e immagini di personaggi centrali nella vita religiosa di quelle regioni. Nel Medioevo, poveri e ricchi, sani e malati, giovani e anziani si ponevano in cammino verso i santuari per implorare aiuto, espiare i propri peccati e rendere grazie per il soccorso ricevuto. Tutto l’Occidente era attraversato da vie sulle quali innumerevoli pellegrini si dirigevano a Gerusalemme, Roma o Santiago, Aquisgrana, Canterbury o Einsiedeln. Portavano con sé le loro pene e i loro dolori, ma anche la loro cultura e i loro modelli di vita e di comprensione della realtà. Per questi pellegrini, tutti gli esseri e tutte le cose incontrati sul cammino potevano acquistare valore di segno provvidenziale. In quello stesso tempo, i monaci irlandesi lasciavano per amore di Dio la sicurezza dei loro monasteri, allo scopo di vivere nel poco ospitale continente l’ideale ascetico dell’abbandono della propria terra e della diffusione della fede. Colombano, Bonifacio, Willi131


PELLEGRINI E OSPEDALI

1. Il ponte sul fiume Arga a Puente la Reina, punto di convergenza dei cammini per Santiago de Compostela attraverso i Pirenei provenendo dalla Francia. I ponti nel Medioevo erano essenziali per agevolare i pellegrini.

2. Hospital de San Nicolás de Puente Fitero, Itero del Castillo, Spagna. Questo antico ospizio per pellegrini sul cammino di Santiago è stato ora restaurato e nuovamente reso agibile per i pellegrini dalla confraternita di San Jacopo di Perugia.

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brordo, Chiliano, Anscario e molti altri furono grandi missionari nell’Europa centrale e settentrionale. Luxeuil (590), Fulda (744), Corbie (657), Echternach (708), San Gallo (750), Corvey (822) furono importanti abbazie fondate da costoro, veri focolai di evangelizzazione dei popoli, che esercitarono un impressionante influsso di cristianizzazione e di irradiazione culturale. Le loro biblioteche, il loro sforzo laborioso di copia dei manoscritti, che ci ha conservato buona parte della cultura greco-romana, gli scritti dei monaci, le cronache dell’epoca furono il frutto del loro fervore religioso e culturale. Questa cultura e questa spiritualità erano inoltre segnate dai santi delle località attraverso cui passavano i quattro grandi cammini francesi che confluiscono a Puente la Reina, in territorio spagnolo, da cui conti132

nua un cammino unico che conduce fino alla soglia del portico della Gloria a Compostela. Questi santi, le loro vite e i loro miracoli, catturarono l’immaginazione delle popolazioni, presentando loro con creatività e forza il messaggio tremendo del giudizio divino e della salvezza eterna. Per la gente, santi e asceti erano testimoni viventi e visibili del mondo futuro e della maniera esemplare di vivere nel presente. I pellegrini giravano per i vari santuari, in cui si trovavano le reliquie di tanti famosi santi del passato, cercando in essi speranza e perdono. Là i ciechi recuperavano la vista; i sordi l’udito; i muti la parola; gli zoppi le proprie gambe; i posseduti dal demonio venivano purificati e ogni tipo di infermità era curata o alleviata. Queste guarigioni incrementavano la fede e la speranza della moltitudine dei pellegrini,

convinti che quei santi avessero la missione concreta di aiutarli nelle difficoltà e nelle speranze, grazie ai loro meriti e alle preghiere che potevano rivolgere da vicino al nostro Signore Gesù Cristo. Lungo questo itinerario, accanto ai santuari del cammino sorgevano alberghi e ospedali, nei quali venivano accolti, rifocillati e curati quanti soffrivano per l’inclemenza del tempo o per l’infermità dei corpi. San Domenico della Calzada e sant’Adelelmo di Burgos sono due esempi insigni di questa dedizione generosa ai bisogni dei camminanti, cui si facilitava il percorso gettando ponti, progettando nuove strade e migliorando l’ospitalità e l’accoglienza. La Guida del pellegrino di Santiago descrive questi ospedali come «case di Dio», in cui si verificano «il recupero delle forze dei santi pellegrini, il riposo di chi è

stanco, la consolazione degli infermi, la salvezza dei morti e la protezione dei vivi». Bonifacio VIII istituzionalizzò e regolò quest’ansia di purificazione e perdono, insita nell’essere umano ed esaltata fino al parossismo durante gli anni centenari, convocando il primo giubileo o anno santo nel 1300, quando decine di migliaia di pellegrini giunsero a Roma alla ricerca di qualcosa che quietasse l’angoscia del loro spirito. Il papa non prese questa decisione di sua propria iniziativa, ma a causa invece della richiesta insistente dei pellegrini giunti in città, che seguivano gli antichi nell’affermare che «ogni cristiano che visiterà i sepolcri degli apostoli durante quest’anno centenario riceverà il perdono dei suoi peccati». La richiesta si estese per tutta la cristianità, avida di una soluzione alle sue inquietudini in un momento 133


PELLEGRINI E OSPEDALI

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3. Un pellegrino viene curato per le ferite ai piedi. Rilievo del Portale del Giudizio del battistero di Parma. Parma era situata sulla via francigena, che portava dall’Europa a Roma; era perciò un luogo di sosta per i pellegrini.

4. San Giacomo e Cristo giudice in maestà. Particolare del Pórtico de la Gloria, cattedrale di San Giacomo, Santiago de Compostela. Cristo mostra le piaghe gloriose, circondato dai simboli degli evangelisti e dagli angeli con gli strumenti della passione.

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di tensione escatologica, sotto l’influsso delle idee del cisterciense Gioacchino da Fiore (ca. 1135-1202). La promessa di «un perdono completo e generoso» a tutti quelli che avessero visitato la tomba di san Pietro e la basilica del Laterano durante un periodo di quindici giorni, dopo aver confessato i propri peccati, colpì e affascinò l’immaginazione e la speranza dei cristiani, aumentando la centralità spirituale di Roma. Si trattò dell’esercizio più spettacolare del potere pontificio da quando Urbano II aveva concesso la prima indulgenza in occasione della crociata. Nel corso di un anno intero, da un Natale all’altro, tutti coloro che avevano adempiuto le condizioni imposte dal papa poterono beneficiare di questa indulgenza straordinaria, per la quale la Chiesa osava disporre dell’inesauribile tesoro dei meriti accumulati da Cristo e da tutti i santi, per distribuirlo tra i fedeli. 134

Si trattava di un’estensione sorprendente, ma gioiosa e foriera di speranza, della salvezza di Cristo a tutti i membri del suo Corpo mistico. Né le pestilenze, né le guerre, né le enormi difficoltà che non pochi di loro avevano sofferto poterono impedire ai pellegrini, prima ogni cinquant’anni e in seguito ogni venticinque, di lanciarsi per i loro cammini e visitare i sepolcri degli apostoli. Giungendo a Santiago de Compostela e attraversando il meraviglioso portico della Gloria, la gloria celeste ci si fa incontro, con Cristo, il suo apostolo, i profeti, gli altri apostoli e i santi. Quattro straordinari angeli trombettieri, posti ai quattro angoli, che si riferiscono chiaramente ai quattro punti cardinali, hanno il compito di radunare gli eletti affinché intonino un cantico nuovo. Fra di questi stiamo noi, i pellegrini della terra. 135


FRATERNITÀ E CONFRATERNITE OSPEDALIERE

Capitolo 22

FRATERNITÀ E CONFRATERNITE OSPEDALIERE Già nell’852 Incmaro di Reims, parlando delle confraternite, che avevano in genere natura corporativa, elencava le attività di cui si occupavano: raccoglievano offerte per la manutenzione e l’illuminazione delle chiese, favorivano forme di intenso aiuto reciproco fra i propri membri, provvedevano ai funerali dei confratelli defunti, offrivano e raccoglievano elemosine per i poveri e realizzavano «molte altre opere di pietà». Già allora queste istituzioni erano dotate di organi di governo e di una struttura piuttosto articolata. Nel X secolo sono frequenti le notizie riguardo ad associazioni di questo genere e i loro obiettivi. Erano tempi duri, tanto nell’ambito religioso che in quello civile, e i laici percepivano con dolore i limiti della loro formazione religiosa e la miseria economica, la povertà di una società ingiusta in cui molti vivevano in condizioni drammatiche. Le confraternite corporative costituivano in realtà associazioni di mutuo soccorso, di aiuto solidale fra i membri di una medesima corporazione, per rafforzarne i diritti e la capacità di risposta a difficoltà e limitazioni di vario genere. Allo stesso tempo, esse si occupavano di organizzare e finanziare atti di culto, di conseguire una migliore formazione dottrinale, e si sforzavano coraggiosamente di aiutare chi tra le loro fila si trovava nelle situazioni più drammatiche, e di alleviare la povertà di tutti gli altri, cioè della maggioranza della popolazione. Fu nel XIII secolo che il processo di maturazione e di assunzione di una identità propria da parte del laicato si fece significativo, sull’onda di una progressiva articolazione del tessuto sociale secondo il modello dei comuni, delle associazioni di arti e mestieri e delle confraternite universitarie, e grazie anche al fatto che la Chiesa si era maggiormente appoggiata ai fedeli laici durante i duri scontri fra Papato e Impero. L’importanza dei movimenti spirituali di laici 136

1. Interno della basilica tardomedievale di Santa María del Mar, Barcellona. Questo edificio monumentale, che gareggia con la cattedrale della città, è opera votiva, ma ad un tempo ecclesiale e sociale, della grande confraternita dei pescatori. 1

nel secondo Medioevo, la loro varietà e molteplicità manifestano il malessere di ceti più maturi, più coscienti dei propri valori e della propria autonomia, del proprio influsso sul cammino di una società che intendeva sottrarsi allo stesso tempo alla tutela della Chiesa istituzionale e a quella dell’Impero; ma mostrano anche la coerenza di quei fedeli cui era stata insegnata l’esigenza di riprodurre la comunità primitiva e che, oltre a predicare con l’esempio, vollero insegnare la dottrina con la parola, spesso ardente, e far rivivere la vita stessa di Cristo, anche con atti e istituzioni che si prodigavano ad addolcire le conseguenze della miseria di tanti cristiani. Era un popolo angosciato dalla malattia e dalla morte precoce, dalla nuda economia di sussistenza, dalla disperazione di poter ottenere il perdono dei peccati, dalla miseria dei corpi, dalla fame e dal dolore. Nella Chiesa trovava la speranza della salvezza e nelle confraternite, cioè nella solidarietà dei cristiani, scopriva un certo sollievo ai suoi bisogni. Non esisteva medicina organizzata, né Stato sociale. Era l’amore cristiano che si offriva a modo di tenue sicurezza sociale e di vicinanza fraterna. Queste confraternite permettevano di sperimentare il sentimento di solidarietà e di comunità, dando al popolo cristiano la capacità di far corpo, di esercitare l’amore reciproco e la responsabilità di gruppo. In una Chiesa ogni giorno più clericale, le confraternite costituivano vie di fuga per l’autostima, espressioni di generosità e di solidarietà, istituzioni che giunsero a essere agenti efficaci di risposta al fenomeno imponente della povertà26. In tutte le confraternite, specialmente a partire dal XIV secolo, era presente la preoccupazione per la morte, la salvezza personale e i suffragi per i defunti. Per questo, molti si facevano confratelli nella speranza che i loro suffragi non venissero trascurati, 137


FRATERNITÀ E CONFRATERNITE OSPEDALIERE

FRATERNITÀ E CONFRATERNITE OSPEDALIERE

2. «Maestro dell’Osservanza» (attr.), Funerale di sant’Antonio. Particolare della Pala di sant’Antonio abate, 1440 ca., proveniente dalla chiesa di Sant’Agostino (?), Siena. National Gallery of Art, Washington. L’opera fa parte di una serie di otto tavole sulla vita di sant’Antonio abate; alla sua morte chiese ai suoi discepoli di seppellirlo subito e in luogo segreto. L’opera, di scuola senese, rappresenta la particolare attenzione alla morte e all’accompagnamento dei defunti, tipica della fine del Medioevo.

3. Domenico di Bartolo, affresco del «pellegrinaio» dell’ospedale di Santa Maria della Scala, Siena, 1444. Particolare con la costruzione dell’ospedale, evento fondamentale che coinvolse tutta la vita cittadina.

Pagina seguente: 4. Gustave Courbet, Funerale a Ornans. Olio su tela, 1849-1850. Musée d’Orsay, Parigi. Pittore socialista dotato di un forte realismo, Courbet riesce a trasmettere il senso di comunità riunita nel rito religioso.

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Capitolo 23

PERDERE LA LIBERTÀ AFFINCHÉ IL FRATELLO SIA LIBERO

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evitando il rischio di dipendere interamente dalla buona volontà dei propri eredi. Queste associazioni davano spesso maggiori assicurazioni di eseguire i desideri postumi di quante ne dessero figli o familiari in generale. In effetti, il culto dei morti è tanto antico quanto Homo sapiens. I riti funebri sono perpetuati in tombe e sepolture. Esse testimoniano la fede in una vita ultraterrena, che induce i vivi a preoccuparsi del corpo del defunto e a esprimere un simbolismo religioso sempre più ricco. Il cristianesimo aggiunse a tutto ciò la fede in Cristo, Alfa e Omega dell’intero creato, e la carità cristiana si preoccupò fin dall’inizio affinché nessun corpo rimanesse insepolto e privo di suffragi. Per la prima volta nella storia, ai giorni nostri, la cremazione e la dispersione delle ceneri sfociano invece nella scomparsa totale di ogni riferimento immediato ai defunti. Tuttavia, benché la società contemporanea desideri eliminare la morte e comportarsi come se non esistesse, questa continua a essere un punto di riferimento che ci accompagna sempre e che ci rende tutti fratelli. Per questa ragione Lamennais, portando la propria sensibilità religiosa e solidale alle estreme conseguenze, chiese di essere inumato in una fossa comune (1854), con lo scopo di «riposare tra i poveri», cioè di attendere il Giudizio finale circondato da coloro che avevano meritato la benevolenza di Dio. L’importanza del lavoro assistenziale dipendeva dalla disponibilità di mezzi e dalla capacità di raccogliere elemosina con continuità. Fino a quando le loro rendite non furono confiscate dai vari Stati nel XIX secolo, tutte le confraternite disponevano di vari beni, che possiamo riassumere in proprietà rustiche 140

o urbane e le relative rendite, entrate in contanti derivanti da quote annuali, multe, elemosine, e alcuni beni particolari dipendenti dalla storia o dalle circostanze. I bisogni esistenti obbligarono con il passare del tempo ad adottare forme più strutturate e tecnicamente complesse, allo scopo di amministrare ingenti patrimoni immobiliari e agricoli, costituiti nel corso del tempo grazie a donazioni e a lasciti testamentari. Nel XX secolo erano state fondate congregazioni, come quella delle Religiose degli anziani abbandonati, che raccoglievano e curavano coloro che non potevano contare su familiari che si preoccupassero di loro. Oggi, ormai ridottesi le vocazioni per queste congregazioni religiose, sono i laici a esercitare questa missione di amore e compassione. Osservando i tanti atti di amore generoso che si prodigano nel nostro mondo, possiamo rispondere a Jacques Monod27 che, benché il microscopio non riesca a vedere l’Eterno, benché nessuno ci riesca, chiunque dica no all’ingiustizia, chiunque per amore rinunci ai suoi guadagni e si dedichi a migliorare la vita del suo prossimo sa che Dio lo ama e, a sua volta, ama i propri fratelli. Le attuali congregazioni della Settimana Santa sono interclassiste, estendono i propri rami a tutti gli ambiti sociali e, se lo fanno in modo efficace, possono essere capaci di intrecciare la liturgia ufficiale con la pietà popolare, mentre contemporaneamente le loro casse caritative si riempiono considerevolmente per la redistribuzione ai più bisognosi. I santuari più visitati ottengono lo stesso risultato in maniera ugualmente efficace28.

A partire dalle invasioni degli arabi nelle terre cristiane, cominciò ad accadere di frequente che i cristiani finissero sotto il dominio di costoro, come prigionieri di guerra, esiliati o oppressi per diritto di conquista. Si trovavano sottomessi in tal grado, che risultava loro difficile o impossibile coltivare la propria fede, esprimerla per mezzo dei sacramenti o delle devozioni. Per questo la Chiesa li ricordava con afflizione, si preoccupava di loro e cercava di liberarli: «la prigionia è la miseria più profonda per gli uomini, perché Dio li ha creati nella totale libertà, e mentre si trovano detenuti sotto il potere dei saraceni vivono in maniera assolutamente miserabile: non sono padroni di se stessi, si consumano nella povertà più profonda» (Costituzione dell’ordine di Santa Maria della Mercede). Il fervore e la passione esistenti nel mondo cristiano durante le crociate stimolarono sempre di più la preoccupazione per i territori perduti e per i cristiani in mano ai maomettani. I «nemici della fede» combattevano con le armi della guerra; con quelle stesse armi i cristiani dovevano difendere i propri interessi. Si pose così in tutta la sua crudezza la questione della guerra santa: santa per i musulmani, che diffondevano e proteggevano la propria fede per mezzo della spada; santa per i cristiani, che, levando lo stendardo della croce fornito dal papa, difendevano nel mondo la presenza e la libertà di Gesù. La sensibilità dei cristiani per le terre occupate e per i credenti in Cristo incarcerati si fece impetuosamente acuta. Dobbiamo tenere conto del fatto che il pericolo per la loro fede non proveniva solo dalle costrizioni e dagli abusi patiti, ma, soprattutto, dall’attrazione che potevano esercitare su alcuni cristiani le condizioni di vita del mondo islamico, geloso della propria fede e socialmente compatto, e dalla tentazione di acquistare libertà e favori e agi accettando la religione dei

propri custodi, capi o compagni. Le più indifese erano le donne, che entrando in un harem perdevano ogni speranza di praticare la propria fede, e i bambini, che se venivano adottati dimenticavano rapidamente la propria storia precedente. Nei porti del Mediterraneo correvano in continuazione voci sulla dura sorte e sui pericoli dell’anima che correvano i prigionieri in Africa. Giovanni de Matha (1160-1213) e Felice di Valois (?1212) decisero di testimoniare la misericordia divina consacrandosi alla liberazione e al riscatto di questi prigionieri, e fondarono l’ordine della Santissima Trinità per la redenzione dei prigionieri. La loro prima spedizione nell’Africa del Nord ebbe luogo nel 1199. Tornarono da essa con 186 cristiani liberati dalle segrete barbaresche. Per ottenere risultati come questo, i Trinitari mettevano a disposizione i beni di cui disponevano, chiedevano elemosina per mezzo di organizzazioni di volontari che percorrevano il regno, e si impegnavano a offrire se fosse stato necessario la propria libertà, rimanendo in cattività al posto di quelli che non potevano riscattare in altro modo. Fondarono inoltre «case di misericordia» per ospitare coloro che, dopo aver riottenuto la libertà, si trovavano in grave condizione di abbandono. Curavano gli infermi negli ospedali, senza trascurare la cura delle anime né le missioni presso gli infedeli. Dedicavano la vita, fondamentalmente, al riscatto dei cristiani ad Algeri e Tunisi, a Costantinopoli e in Egitto. Confortavano quelli che erano costretti a rimanere, convertirono molti rinnegati e apostati, si offrirono come ostaggi per liberare altri e, in molti casi, sacrificarono la propria vita. Il 19 settembre 1580 riscattarono ad Algeri Miguel de Cervantes, l’autore del Don Chisciotte, per 500 scudi. Alcuni anni più tardi, Pietro Nolasco (1180-1249) fondò un ordine militare, nato a Barcellona da 141


PERDERE LA LIBERTÀ AFFINCHÉ IL FRATELLO SIA LIBERO

PERDERE LA LIBERTÀ AFFINCHÉ IL FRATELLO SIA LIBERO

2. Mons Gaudi, dal quale i pellegrini in arrivo vedevano le mura di Gerusalemme. Spesso i pellegrini arrivavano dall’Africa del Nord e potevano essere fatti prigionieri dagli eserciti arabi.

1. Imbarcazioni militari medievali arabe con le quali il Mediterraneo veniva conteso, con grande efficienza, alle flotte crociate ed europee. Cantigas de Santa María, n. 95, F139D (XIII secolo). Real Biblioteca del Monasterio de El Escorial.

3. Simbolo dell’ordine dei Mercedari. 4. Simbolo dell’ordine dei Trinitari.

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5. Chiostro della Mercede a Città del Messico, ricostruito nel 1634. I Mercedari, con la scoperta del Nuovo Mondo, andarono in America centrale e meridionale per sostenere le situazioni di maggior disagio delle popolazioni e dedicarsi all’educazione e all’insegnamento. 6. Chiostro della Mercede a Quito, Ecuador.

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un’associazione di laici devoti, allo scopo di salvare e riscattare i cristiani prigionieri, che si trovavano esposti al pericolo di abbandonare le pratiche della vita cristiana e di perdere la fede. Le sue costituzioni riassumono in poche righe la ragion d’essere della vocazione e dell’impegno dei membri, affermando che «l’opera di redenzione dei prigionieri è per l’edificazione del regno di Dio; è un autentico servizio al popolo di Dio mediante la difesa della fede tra gli oppressi, compiuta con spirito di perfetta carità a imitazione di Cristo Redentore». Nel 1318 si trasformò in ordine mendicante. Seguendo i consigli della Vergine della Mercede, i Mercedari hanno professato nel corso dei secoli un quarto voto, con il quale si impegnano, qualora la situazione lo richieda, a esporsi ai pericoli del mare, alle frecce dei nemici e ad accettare prigionia, tormenti e persino la morte. Già nel 1291 indicavano, come fondamento della loro decisione, di essere disposti a mettere in pratica ciò che afferma san Giovanni nel Vangelo: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici». «Si fa quarto voto di rimanere in ostaggio nella terra dei mori, se fosse necessario per liberare qualche cristiano prigioniero; quando si abbia timore che [questo cristiano] possa rinnegare la fede, siamo obbligati sotto la pena di peccato mortale a liberarlo e a rimanere al suo posto, finché l’ordine non ci riscatti, ché è segno di grande perfezione dare la vita per quella del prossimo. Molti sono così rimasti […]»29. Dalla fine del XVIII secolo, salvo che negli anni della esclaustrazione, rispondendo alle nuove circostanze politiche e sociali, i Mercedari hanno dedicato la loro attenzione all’apostolato penitenziario, lavorando nelle carceri con i condannati a pene imposte dal-

le autorità; attività che, al fondo, corrisponde bene a quanto si impegnano con il quarto voto. Le carceri raccolgono ai nostri giorni tutta la gamma possibile dei delitti, con gradi differenti di responsabilità e di capacità di redenzione. In esse si esercita l’apostolato fra i carcerati, l’aiuto ai familiari dei reclusi e il sostegno a chi viene rimesso in libertà, allo scopo di ottenere il suo reinserimento nella società mediante la creazione di case, scuole e posti di lavoro appropriati. Questi religiosi e laici, che cooperano con la loro specifica preparazione e con la loro dedizione, sono capaci di risvegliare la speranza e il senso della propria dignità personale in questo sottobosco umano. La sensibilità per il problema carcerario aumenta nelle diocesi e si moltiplica il volontariato inserito nelle parrocchie e nelle istituzioni religiose, che dedica il suo tempo e la sua capacità di dialogo al lavoro nelle prigioni, e che con gesti e segni di giustizia, verità e amore rende testimonianza al Vangelo che annuncia. Le comunità cristiane diocesane iniziano ad avere una coscienza viva del problema penitenziario, sono consapevoli che una società così satura di materialismo genera emarginazione, e fanno sì che il carcere non rimanga al margine delle comunità credenti. Questi volontari sono coscienti della necessità di offrire occasioni di reinserimento a quanti per motivi personali o sociali hanno infranto le norme di convivenza e fraternità. Fra di essi ricordiamo i gruppi di avvocati cristiani che collaborano efficacemente a questo scopo, e le tante persone che prendono in carico le case in cui vengono accolti i giovani che escono dal carcere dopo aver espiato la pena, per far loro trovare uno spazio adatto di vita e rapporti sociali in un momento delicato delle loro esistenze. 145


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1. Progetto di Filarete per l’ospedale della città ideale. Di fatto su suo progetto si costruì a Milano l’ospedale Maggiore nel 1456. All’epoca, gli ospedali divengono il grande problema delle città, ma nulla si potrebbe fare senza le congregazioni e gli ordini che se ne fanno carico.

Capitolo 24

AL SERVIZIO DEI MALATI

Ci è stato detto che dobbiamo amare il prossimo come noi stessi, ma bisognerebbe aggiungere che per comprendere veramente il nostro prossimo dovremmo poter provare nella nostra carne la sua condizione. Il malato, sapendosi invalido, è più facilmente cosciente dell’angoscia sperimentata da quanti soffrono nella sua stessa situazione. I malati, per la loro stessa infermità, appartengono al mondo dei poveri e di quanti patiscono l’angoscia dell’incertezza, il dolore e la mancanza di protezione. Fra il culmine del Rinascimento e l’inizio della Riforma, il portoghese Giovanni di Dio, al secolo Juan Ciudad (1495-1550), vive lucidamente, come un folle, la testimonianza della solidarietà e della libertà cristiane, in un’epoca segnata dalle divisioni in Occidente e dalle guerre di religione. Nato a Évora, soldato nell’assedio dei francesi a Fuenterrabía, arruolato nell’esercito di Carlo V contro i turchi, si dedicò all’allevamento a Siviglia e lavorò a Ceuta. Finalmente, nel 1539, a Granada, ascoltò predicare san Giovanni d’Avila e si sentì completamente trasformato nel momento in cui udì il suo commento a Luca 6,17-32 sulle beatitudini, soprattutto sulla beatitudine dei poveri. Trasformato intimamente, sentendosi un abominevole peccatore, cominciò a percorrere le strade lamentandosi amaramente dei propri peccati; a causa di ciò fu preso per pazzo e, dopo essere stato condotto in un ospedale di folli, subì diversi maltrattamenti. Giovanni di Dio decise di dedicare la sua vita integralmente, «seguendo ignudo l’ignudo Gesù Cristo e facendosi del tutto povero per colui che, essendo la ricchezza di tutte quante le sue creature, si è fatto povero per mostrare loro la via dell’umiltà»30. Giovanni di Dio fu creduto pazzo nel momento in cui comprese la vera natura dell’amore di Dio, riconobbe i propri peccati e chiese perdono con forza, 146

allo stesso modo in cui Gesù era stato scambiato per un folle e i suoi familiari lo avevano preso e ricondotto a casa (Marco 3,20-21). Si rese simile a Cristo, seguì le sue orme, esercitò con semplicità la carità, dando a quanti ne avevano bisogno consolazione ed elemosina, ponendo tutto al di sopra di se stesso. Consapevole di come venissero trattati i malati, in particolare quelli mentali o incurabili, Giovanni di Dio, «vedendo punire i pazzi che erano lì con lui, disse: ‘Gesù Cristo mi lasci uscire per tempo e mi conceda la grazia di avere un ospedale, in cui possa raccogliere i poveri abbandonati e privi dell’intelletto e servirli come desidero’». Con l’aiuto di alcune persone affittò una casa, la dotò dell’indispensabile e, vedendo tanti poveri sdraiati sotto i portici, nudi, piagati e malati, «iniziò a dare un letto ai poveri che trovava per tutta la città». Per lui l’ospedale era un luogo santo, casa di Dio, aperto a tutti i poveri senza distinzione: «Essendo la città grande e gelida, soprattutto d’inverno, sono molti i poveri che conducono a questa casa di Dio […] accolgono dunque in essa ogni tipo di malati e ogni sorta di gente, di modo che vi si trovano invalidi, monchi, lebbrosi, muti, pazzi, paralitici, tignosi e anche molti anziani e molti bambini e, oltre a questi, molti pellegrini e viandanti che là si raccolgono» (Seconda lettera di Giovanni di Dio a Gutierre Lasso, 5). Dava loro sollievo, li curava, li dotava di abiti, mantelli, tuniche, camicie, scarpe e calze. L’identificazione con il dolore umano segna tutta la sua vita, le sue azioni e la sua opera. È per questa ragione che l’accoglienza praticata dalla Casa di Dio di Giovanni era universale e non veniva limitata da alcun tipo di considerazione sociale, culturale o religiosa. Qualsiasi bisognoso o abbandonato aveva diritto a esservi accolto31.

2. L’isola Tiberina e l’ospedale Fatebenefratelli a Roma, particolare della pianta prospettica di Roma di Antonio Tempesta, del 1593, la cui copia del 1606 è conservata presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. Si tratta di una delle grandi iniziative dell’ordine degli Ospedalieri.

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3. Veduta aerea dell’isola Tiberina.

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Nel XXI secolo gli Ospedalieri mantengono il carisma del loro fondatore negli ospedali e nelle cliniche in cui si occupano principalmente delle persone senza tetto, come espressione della dimensione della gratuità; dei malati in fase terminale, accolti e assistiti nei centri di cure palliative; dei malati di AIDS; dei tossicodipendenti; degli immigrati, degli anziani e delle persone in condizioni di infermità e di disabilità croniche. Continuano dunque a vivere il Vangelo della misericordia là dove esiste povertà, malattia e sofferenza32. Alcuni anni più tardi troviamo Camillo de Lellis, che patì per buona parte della vita il dolore e la preoccupazione causati da una piaga maligna e incurabile a un piede, e fu testimone della disastrosa situazione della maggioranza degli ospedali romani, che si trovavano con pochi mezzi e in mano a persone senza la vocazione o la voglia di sopportare le miserie dei malati che avevano in cura. Tentò di convincere i responsabili che «a chi soffre e prova dolore non si può chiedere pazienza, bensì offrirgliela», ma non ebbe molto successo. Risultava molto difficile chiedere professionalità a chi non era preparato, mentre pretendere la carità è impossibile se essa non proviene dall’amore per Dio, se non è ispirata dal Signore. A un certo punto della sua vita, il 2 febbraio 1575, pentito delle malefatte giovanili, convertitosi a Dio, Padre di tutte le creature, scopre nel profondo del proprio animo l’identificazione di Cristo con i malati. «I poveri malati sono la pupilla e il cuore di Dio, e ciò che facciamo a questi miseri lo facciamo a Dio stesso», scrisse ai suoi religiosi; agì di conseguenza per tutta la vita. Resosi conto che spesso i comportamenti degli addetti, non derivando da vero amore ma solo dalla paga e dalla noia, non corrispondevano agli obblighi più elementari, ritenne indispensabile riunire uomini pietosi, capaci di commuoversi alla vista di un fratello ferito, ben decisi a dedicarsi ai più poveri dei poveri, quelli che non potevano contare nemmeno sul proprio corpo. Troviamo di nuovo in san Camillo la manifestazione tangibile del fatto che la carità non consiste di parole e teorie ma di fatti, di azioni, di dedizione personale – la formula «carità come azione» compare decine di volte nelle prime Regole – in modo che la vita si riduce alla carità, costantemente in cammino, dedizione generosa a quanti piangono per la loro miseria, che non conserva nulla per sé. Questa consegna e il 150

servizio ai malati devono compiersi «con l’affetto che prova una madre amorosa quando il suo unico figlio è malato». Bella espressione, usata per la prima volta dagli Ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme, che mette in relazione l’amore generoso, privo di contropartite e costante di una madre con l’amore di Dio. Viene usata anche da san Vincenzo de’ Paoli quando si rivolge alle Figlie della Carità: «La vostra premura principale deve essere quella di servire i poveri malati con molta dolcezza e cordialità, compatendo i loro mali, ascoltando i loro lamenti come fa una buona madre; perché essi vi considerano come nutrici e come persone inviate da Dio per assisterli». Il protagonista unico è il malato, la priorità assoluta spetta a lui: «Ciò che più deve interessare ai religiosi sono i problemi dei malati, recarsi là dove si trova il dolore, la peste, la miseria». A Napoli cinque religiosi, chiamati dalle autorità militari, furono inviati su alcune navi spagnole in cui si trovavano soldati in quarantena, malati di tifo petecchiale o «castrense». I religiosi ubbidirono «sapendo con certezza di andare incontro a morte sicura per amore di Dio, e rendendo grazie alla santa obbedienza per averli giudicati degni di ciò». Nel 1590 la peste devastò la città di Roma e troncò la vita di 30.000 esseri umani. Coloro che assistevano gli infermi si moltiplicarono e stettero presenti negli ospedali, nelle case private e nelle strade, con carità, umiltà, mansuetudine e compassione. Venticinque giovani religiosi diedero la vita in questa occasione. Leggendo le cronache di questo e di altri trionfi, ricordiamo le parole di Gesù: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Giovanni 15,13). Per trent’anni san Camillo passò buona parte del suo tempo all’ospedale di Santo Spirito in Sassia, un complesso medievale ricostruito da Sisto IV in splendido stile rinascimentale. Ancora oggi vi si può ammirare l’immensa galleria di 120 metri di lunghezza per 20 di larghezza e 30 d’altezza, lungo la quale si allineavano i letti dei malati, talvolta dotati di baldacchino. Al centro, sotto una cupola ottagonale, un altare e un bellissimo tabernacolo del Palladio. In un linguaggio estetico straordinario si traduceva la pagina evangelica, con Cristo circondato da trecento infermi, Cristo al centro della sofferenza umana. Probabilmente il luogo non era il più adatto in cui collocare l’altare e distribuire i sacramenti, ma non c’è dubbio che

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4. Pierre Subleyras, Camillo de Lellis salva dallo straripamento del Tevere gli ammalati dell’ospedale di Santo Spirito. Olio su tela, XVIII secolo. Museo di Roma. 5-6. La torre centrale ottagonale e l’imponente corsia Sistina del braccio sud dell’ospedale di Santo Spirito in Saxia, Roma.

Pagina seguente: 7. Chiostro interno dell’ospedale della «Ca’ Granda», Milano, progettato da Filarete, dove i Camilliani fondarono una casa dopo quelle di Roma e Napoli.

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questa disposizione costituisse un simbolo splendido della pratica della carità: da Cristo presente nell’eucaristia a Cristo presente nei malati, malati che Camillo, come più tardi Vincenzo de’ Paoli con i poveri, trattò sempre come se fossero i suoi signori e padroni. Troviamo questi religiosi anche nelle infermerie delle carceri, in cui aiutavano i prigionieri nei loro bisogni e li consolavano. In realtà, i cristiani hanno prestato servizio nelle prigioni fin dai primi tempi, soprattutto perché vi si trovavano fratelli accusati di appartenere a una setta eversiva dell’ordine sociale, ma anche, più tardi, per la consapevolezza che la vicinanza ai delinquenti di ogni genere costituiva un’opera gradita al Padre celeste. Non li visitavano e aiutavano perché ne ignorassero la malizia e i peccati commessi, ma al contrario proprio perché li conoscevano, perché Cristo era venuto a giustificare i peccatori, e i suoi discepoli quindi potevano ben tentare di convertire cuori che molto spesso si erano sviati non del tutto per colpa propria. Il motto di san Camillo era «Più carità in mano», e il suo primo biografo scriveva che, come Dio veniva lodato dai monaci con il canto e con la voce, così era lodato con le mani da chi assisteva gli infermi, realizzando opere vive di pietà per il prossimo. Per i religiosi Camilliani, cioè, i mattutini e le ore canoniche erano rappresentati dall’assistenza e dalla vigilanza prestate negli ospedali e presso gli agonizzanti. Erano senza dubbio dei contemplativi, perché ve-

devano e amavano Cristo costantemente nei malati, e a questi dedicavano tutte le loro cure, tutto il loro tempo. Dio veniva inoltre lodato allo stesso modo dai molti volontari laici che aiutavano questi religiosi e le religiose Ospedaliere, fondate da san Benedetto Menni, tanto nel lavoro pastorale quanto nel servizio agli infermi nei molti ospedali che gestivano. Negli ultimi anni del suo generalato si verificò una controversia profonda tra il fondatore e buona parte dei suoi confratelli, riguardo al problema se fosse o meno conveniente che i religiosi assumessero in prima persona l’incarico e la conduzione degli ospedali. Ma, al di là delle ragioni delle due posizioni, appare in questa discussione una realtà continuamente presente nella storia della Chiesa e che abbiamo già incontrato nella vita di san Francesco. Incentrare tutto sui malati non danneggia, complica e limita la vita dell’ordine? Non risulterebbe più ragionevole dare la priorità alla vita dei religiosi piuttosto che alle esigenze degli infermi? Non si dovrebbe subordinare l’opera in favore dei malati poveri all’organizzazione, alla preghiera, alla formazione dei religiosi? San Bonaventura lo vide chiaramente con i Francescani, e i padri generalizi che succedettero al fondatore lo videro con i Camilliani; ma certamente né Francesco, né Giovanni di Dio, né Camillo avevano guidato le proprie vite secondo le regole del buon senso. esistente nella vita spirituale dei credenti fra la devozione eucaristica e la carità attiva33.

Capitolo 25

L’ISTRUZIONE DEI POVERI

Chi devono istruire coloro che hanno offerto la propria vita a Dio? Immersi nelle preoccupazioni sollevate dalle grandi miserie umane che si trovano in ogni società, gli spiriti generosi hanno creato ospedali, asili, economati, case di accoglienza, riformatori e altre opere di carità allo scopo di alleviarle, ma le istituzioni dedicate all’insegnamento hanno scarseggiato fino al XIX secolo, probabilmente perché le si riteneva meno urgenti in una situazione in cui era necessario provvedere prima ai bisogni principali. Nel XVI secolo, un terzo dei bambini si sottraeva a qualsiasi istruzione religiosa e il resto riceveva un’educazione estremamente rudimentale. Persino il catechismo veniva appreso molto irregolarmente, nonostante le prescrizioni ecclesiastiche. In effetti, l’atto di fede spesso non era accompagnato dall’inquietudine religiosa personale o dal desiderio di una formazione migliore. Nonostante questo, in tutte le epoche e in tutte le diocesi troviamo persone che

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sentivano la preoccupazione di ottenere o impartire una formazione dottrinale più solida. Esistevano scuole di catechismo molto frequentate nelle parrocchie, nonché alcune scuole pubbliche municipali, in cui si insegnava a leggere e a scrivere, la grammatica e il catechismo, ma in cui erano gli studenti a dover pagare il maestro, col risultato che i più poveri, non potendo soddisfare questo requisito, restavano condannati all’ozio e all’ignoranza. San Giuseppe Calasanzio (1557?-1648), sacerdote aragonese dal carattere forte e dalla spiritualità profonda, acutamente consapevole dell’analfabetismo e dei vizi propri di coloro che crescevano per la strada, decise di dedicarsi a questi ultimi: «Dopo aver visitato i malati e i poveri di Roma comprese con molta tristezza che la maggioranza dei bambini poveri cadeva in preda ai vizi, essendo impossibile ai loro padri di mantenerli a scuola»34. Calasanzio decise di istituire una scuola in cui sa-

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Pagina precedente: 1. Chiesa e istituto San Giuseppe Calasanzio a Peralta de la Sal, Spagna, luogo di nascita del santo. 2. Collegio Calasanzio, Bogotà, Colombia.

rebbero stati accolti tutti i bambini poveri che lo avessero chiesto; una scuola totalmente gratuita e riservata ai poveri. Nacque così la scuola primaria e media popolare e gratuita (1597). Per rispondere alla vocazione di insegnare ai bambini poveri, e mossi dalla carità e dall’amore di Dio, sorse la congregazione delle Scuole Pie. «Il Prefetto deve ricevere con grande carità i poveri, anche se andassero scalzi o cenciosi o senza mantello, dato che è per loro che in primo luogo è stato fondato il nostro istituto»35. Nel memoriale che nel 1626 Calasanzio indirizza ai cardinali del Santo Uffizio, spiega il carattere della sua opera: «Lo scopo dell’Istituto delle Scuole Pie è di insegnare ai bambini e in particolare a quelli poveri, molti dei quali per l’indigenza o la negligenza dei padri non vanno a scuola né apprendono mestiere o arte alcuna, ma divengono dissoluti e oziosi e per questo così facilmente si danno al gioco […].

Per tagliare alla radice un male tanto pernicioso per la società, i Padri delle Scuole Pie si offrono al compito faticoso di insegnare loro per carità». L’essere gratuita e riservata ai poveri costituisce la sua gloria, riconosciuta dalle autorità delle diverse città in cui i Padri vanno fondando scuole sempre gratuite, bene organizzate nelle loro classi, nei programmi, negli orari e nell’educazione morale, religiosa e sociale che impartiscono. Questa educazione offerta specialmente ai più poveri costituiva un mezzo efficace di elaborare e applicare soluzioni a non pochi dei problemi sociali esistenti agli inizi dell’epoca moderna. La preoccupazione di educare i bambini si estende nel corso del XVII secolo e va aumentando a misura che passa il tempo. Da ogni parte, parroci e chierici esigevano l’opportunità di un’educazione umana e cristiana per i loro parrocchiani più poveri, ma nella

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3-4. Due immagini in contrasto. Da un lato lo spazio urbano (4) trasformato in «scena teatrale», la scena barocca, dall’altro la condivisione di estrema povertà di chi vive fuori dalle città (3), ma anche di chi vive nei quartieri poveri o nei sobborghi delle città stesse. 3. Contadini francesi nel Seicento (disegno di A. Baldanzi). 4. Andrea Pozzo, Perspectiva Pictorum et Architectorum, vol. I, Roma 1693, fig. 71.

L’ISTRUZIONE DEI POVERI

realtà mancavano maestri sufficientemente preparati per adempiere questo compito. Gesuiti, Barnabiti, Oratoriani, Orsoline e tante altre congregazioni andavano organizzando corsi e fondando scuole. A Lione si apre la prima delle Piccole Scuole, per i bambini poveri, un’organizzazione rigorosa di insegnamento primario. Nicolas Barré (1621-1686) fonda a Rouen le Sorelle del Bambino Gesù, per l’insegnamento gratuito ai bambini poveri. Molti altri avviano esperienze analoghe in diverse città. Nel 1651 nasce Jean-Baptiste de La Salle e nel 1684, assieme a una dozzina di maestri, si impegna con giuramento a consacrarsi all’insegnamento dei bambini del popolo e a vivere come religioso laico nella povertà e nella devozione. Prima di lui, un maestro doveva occuparsi di ciascun allievo, uno alla volta; da allora in poi, l’insegnamento verrà impartito all’insieme degli alunni della clas-

se: ogni discepolo segue la lezione sul libro e viene interrogato quando giunge il suo turno. È l’essenza dell’insegnamento primario moderno. I Fratelli delle Scuole Cristiane non assumeranno altro ministero, saranno unicamente maestri cristiani, dediti alla formazione dei bambini. Naturalmente, questo insegnamento si indirizza ai figli di persone di origini umili e prive di pretese, che però grazie all’educazione ricevuta finiranno per far parte della classe dirigente. È senza dubbio una rivoluzione importante, nel senso che intende rompere il monopolio dell’insegnamento detenuto dall’aristocrazia e dalle grandi famiglie borghesi. Si tratta anche di consolidare il futuro della Chiesa, ottenendo generazioni di laici ben formati religiosamente e allo stesso tempo istruiti e al corrente della cultura moderna. Laici che poco a poco iniziano a collaborare attivamente in associazioni e attività ecclesiastiche.

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5. Il santuario della Consolata a Torino è sempre stato un luogo di riferimento per la città. Era caro alla confraternita di San Vincenzo e prossimo alla Casa della Divina Provvidenza del Cottolengo. I ragazzi di don Bosco erano particolarmente legati al santuario; in esso avevano pregato assiduamente durante una grave malattia dello stesso don Bosco.

6. Progetto di ristrutturazione del quartiere operaio di Mulhouse, Francia, 1852. Con la rivoluzione industriale le preoccupazioni delle amministrazioni e degli imprenditori riguardano le fabbriche e l’organizzazione del lavoro operaio; l’educazione delle classi povere rischierebbe di essere dimenticata, se non fosse per l’intervento di tante confraternite religiose e di laici ad esse collegati.

Per loro, come per gli Scolopi di san Giuseppe Calasanzio o i Maristi (1863), per Rosa Venerini (16561728) o Lucia Filippini (1672-1732), l’insegnamento costituisce un vero ministero che consacra il confratello o la suora al servizio della Chiesa e dei giovani e possiede una sua propria ascesi. Nel corso dei secoli XIX e XX innumerevoli congregazioni femminili e maschili creeranno scuole e collegi in cui si insegneranno forme di vita cristiana assieme alle scienze e alle lettere dell’epoca. Probabilmente, il fondatore e pedagogo più famoso di questo periodo è stato don Bosco. La sua opera era diretta al recupero dei bambini poveri e abbandonati della città, o che giungevano a Torino dai paesi vicini, giovani abituati a vivere precariamente ed esposti a tutti i rischi della strada; don Bosco assicurava la loro crescita personale grazie a un’educazione migliore, anche dal punto di vista civico. Occorre ricordare come egli temesse che,

con l’emarginazione dei valori religiosi da parte dei governi liberali, il tessuto sociale esistente iniziasse a sfilacciarsi, in gran parte per l’azione disgregatrice della scuola pubblica. Da quel momento, per il sacerdote piemontese, il problema educativo cominciò a unirsi sempre di più a quello della rigenerazione della società e della civilizzazione dei popoli. La Chiesa ha mantenuto degnamente la propria presenza nella società contemporanea grazie anche alla formazione di generazioni di giovani privi di mezzi che più tardi hanno collaborato al cammino della società. Scriveva don Bosco ai suoi discepoli: «Volete che vi suggerisca un lavoro relativamente facile, molto vantaggioso e prodigo dei più grandi risultati? Bene dunque, lavorate alla buona educazione della gioventù, specialmente della più povera e negletta, che è la più numerosa, e otterrete ragionevolmente di dar gloria a Dio, procurare il bene della religio-

ne, salvare molte anime e cooperare efficacemente alla riforma e al benessere della società civile; perché la ragione, la storia e l’esperienza dimostrano che la società religiosa e civile sarà buona o cattiva a seconda che sia buona o cattiva la gioventù che adesso ci circonda»36. In realtà, tutti i giovani hanno bisogno di questa formazione integrale. Gli Stati intendono spesso monopolizzare l’educazione, ma i credenti hanno chiaro che la presenza dei valori religiosi e del messaggio evangelico risulta imprescindibile, al di là del catechismo, per conseguire una formazione integrale dei loro figli. L’anticristianesimo degli autori illuministi e l’anticlericalismo praticato dai regimi politici liberali diede la conferma ai cittadini cristiani dell’urgenza di contare su centri propri di istruzione. A partire dai Marianisti (P. Chaminade), le Religiose del Sacro Cuore (Maddalena Sofia Barat), i Padri Maristi (Jean-

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L’ISTRUZIONE DEI POVERI

Claude Colin), i Chierici di San Viatore (Louis-Marie Querbes), le Suore di Sant’Anna (María Rafols), la Compagnia di Santa Teresa di Gesù (sant’Enrique de Ossó), l’Istituzione Teresiana (Pedro Poveda) e altre innumerevoli congregazioni, gruppi e istituti laici hanno avuto come ragion d’essere quella di educare i giovani, con qualità scientifica e spirito religioso. Sono state fondate inoltre importanti università, che hanno sofferto le difficoltà interposte dalla politica laicista dei governi, ma che si sono mantenute grazie al prestigio acquistato per la qualità del loro insegnamento. Ricordiamo l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, gli Istituti Cattolici di Lione, Lille e Parigi, le Università di Comillas (Madrid) e Deusto (Bilbao). Negli Stati Uniti la Chiesa cattolica ha mantenuto una presenza significativa, grazie soprattutto ai suoi collegi parrocchiali e alle sue numerose università37.

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INSEGNARE A CHI NON SA

caristia e parlare familiarmente al popolo, secondo la sua capacità. Questi missionari dovevano agire come se quelli che li ascoltavano fossero pagani con un ardente desiderio di conoscere il Signore, spinti dal comando di Cristo: «andate ed evangelizzate». I sermoni che più impressionavano la gente riguardavano la gravità del peccato, l’esistenza dell’inferno e le conseguenze nefaste della mancanza di pentimento, nonché la necessità di convertirsi, di trasformare la propria vita e di ottenere la speranza e la pace grazie alla purificazione dello spirito generata dalla devozione alla Vergine, dall’eucaristia e dalla prospettiva di raggiungere il paradiso. Al fondo di questa predicazione troviamo i temi fondamentali delle missioni: la misericordia di Dio e la salvezza, la confessione e la riconciliazione, la gravità dell’incredulità, il Giudizio finale, la necessità di restituire ciò che abbiamo sottratto e il rifiuto dello spirito di vendetta. Un altro aspetto fondamentale delle missioni era l’insegnamento del catechismo: i missionari erano convinti che un’anima che non conosce Cristo né la sua dottrina non potesse sapere quanto Dio è stato generoso con essa, né potesse credere, sperare o amare come ci chiede il Vangelo. Questo metodo di predicare in maniera diretta, semplice, familiare, lontana dalle complicazioni teologiche o dal linguaggio letterario più complesso, è stata praticata di frequente nella storia del cristianesimo. Grignion de Montfort in alcune province francesi,

Capitolo 26

INSEGNARE A CHI NON SA

Povero è chi non conosce Dio o lo conosce male, chi non vive secondo l’insegnamento di Gesù, chi non è nato di nuovo e rimane aggrappato ai modi dell’uomo vecchio. Povero è chi continua a essere sottomesso a un mondo di violenza, di odio, di egoismo, di ingiustizia, senza conoscere la buona novella della paternità divina e della fraternità umana. Durante i secoli, i cristiani delle città hanno goduto di maggiori possibilità di ottenere una formazione religiosa rigorosa, buoni sacerdoti e religiosi preparati, mentre nella società rurale la miseria e l’ignoranza erano immense. Tutti erano consapevoli di questa situazione, benché non tutti avessero la medesima sensibilità e la medesima convinzione che risultasse urgente predicare in questo mondo marginale, istruire spiritualmente il popolo, appoggiare attivamente le parrocchie rurali, rispondendo alla fame nascosta della Parola di Dio di gran parte dei cristiani, che credevano «senza indagare», istintivamente, ma sen-

za poter essere capaci di «dare ragione della propria fede», per usare un’espressione paolina. San Vincenzo de’ Paoli organizzò un gruppo di religiosi («i sacerdoti della Missione») con l’obiettivo di percorrere i villaggi, generalmente privi di assistenza religiosa, in cui dovevano fermarsi almeno per quindici giorni, predicando, insegnando e confessando, sempre in modo gratuito. Il popolo cristiano conobbe così una novità che lo impressionò: sacerdoti che vivevano poveramente, ma che predicavano con passione la Parola evangelica a persone ignoranti, però capaci di ascoltare con interesse e disposte a cambiare. Secondo la bolla di approvazione del nuovo istituto, firmata da Urbano VIII (1633), i missionari avevano come ragion d’essere quella di dedicarsi alla salvezza dei poveri contadini che abitavano nei villaggi, nelle case e nei quartieri più umili. Dovevano insegnare i comandamenti di Dio agli ignoranti, istruirli nei rudimenti della fede, somministrare l’eu-

Cappuccini e Gesuiti in regioni con presenza protestante e, in generale, le diverse congregazioni missionarie, furono coscienti dell’urgenza di predicare in maniera semplice e accessibile a persone illetterate, per mezzo del catechismo spiegato in riunioni familiari, in maniera dialogata e personale. I Francescani utilizzavano catechismi dipinti per insegnare agli indigeni analfabeti, e i predicatori popolari europei tennero da conto le pale d’altare e le vetrate, la musica e il teatro, l’immaginazione e la passione creativa allo scopo di impressionare e di mostrare l’amore e la giustizia del Dio uno e trino. I missionari si preoccupavano ugualmente della mancanza di pane, sempre scarso in ampie zone dei paesi, della fame di persone prigioniere della miseria e prive di speranza. Per questo motivo, Vincenzo de’ Paoli fece in modo che ogni missione terminasse con la creazione di una confraternita di carità, che completasse e confermasse i frutti spirituali delle missioni. Nel XIX secolo, Frédéric Ozanam creò le «Conferenze di san Vincenzo de’ Paoli», presenti in molti paesi, composte da laici che visitavano i poveri, restavano loro vicini, insegnavano loro i rudimenti della religione, provvedevano ai loro bisogni e parlavano loro dell’amore di Dio. Qualche anno più tardi, Alfonso de’ Liguori fonderà un’altra congregazione di religiosi, i Redentoristi, con la stessa finalità: evangelizzare le popolazioni abbandonate della campagna napoletana, che ignoravano

1. San Vincenzo prende un pasto con i poveri, occasione di sostegno e insegnamento. Immagine popolare. 2. San Vincenzo porta in salvo un orfanello. Mosaico moderno. Casa provinciale delle Figlie della Carità, Cagliari. 3. Frédéric Ozanam partecipa attivamente al giornale «L’Ère nouvelle», di ispirazione sociale e cristiana. Il giornale ad un tempo trasmetteva insegnamenti cristiani e lottava per la difesa della giustizia sociale e dei diritti umani. 1

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4. Edgar Degas, Mercato del cotone a New Orleans. Olio su tela, 1873. Musée des Beaux-Arts, Pau, Francia. Sono ormai i grandi commerci coloniali o schiavistici a regolare il mondo, determinando un cambio culturale che devia l’attenzione rispetto alle istanze religiose.

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la dottrina evangelica e spesso anche le regole morali più elementari. Le missioni popolari si trasformarono in uno dei metodi pastorali di maggior successo degli ultimi secoli, benché non si possa ignorare che, concentrando in pochi giorni un esame appassionato dei peccati e delle debolezze umane, della presenza di Cristo e della sua azione salvifica, gli effetti potevano ridursi a fiammate emotive presto dissipate; è comunque sempre vero che, per chi si è sentito toccare il cuore dalla Parola e dalla vita di Gesù, questo incontro si è trasformato con frequenza in un’occasione decisiva di riforma e rinnovamento personali. Alla fine del XIX secolo, i Figli del Cuore di Maria (Clarettiani) manterranno questa stessa preoccupazione e dedicheranno buona parte della loro attività alle missioni popolari. Le missioni, che duravano tre o quattro settimane, erano dirette alla conversione dei peccatori e si concludevano con una comunione generale. Nel loro programma si univa la predicazione delle verità eterne nei sermoni alla spiegazione dei comandamenti nelle prediche morali, in cui si fustigavano i cattivi costumi, i balli, le commedie, le mode, il gioco, le cattive letture e le taverne. Si oc160

cupavano anche di tracciare un programma di perfezione, in cui proponevano regole per vivere bene e per salvarsi, che il buon cristiano avrebbe dovuto osservare ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, ogni anno, per tutto il tempo. Lo stile dei missionari ottocenteschi era certamente teatrale. Si volevano scuotere le coscienze con un’ondata di affetti e sentimenti, evocati con la descrizione di calamità recenti e la minaccia di sventure future. I frutti potevano essere ammirevoli, ma spesso risultavano di corta durata. Nonostante questo, in non poche occasioni i credenti si resero conto che essere cattolici consisteva nel prendere coscienza e nell’assumersi il rischio di obblighi e comportamenti che spesso portavano ad andare controcorrente, ad abbandonare la routine del passato e ad agire responsabilmente, in accordo con quanto credevano. Era la via per ottenere un laicato più preparato e responsabile. In ogni secolo, «la fede del carbonaio», cioè del cristiano che crede con semplicità in Gesù Cristo e accetta quello che gli insegna la Chiesa, ma è completamente incapace di spiegare le ragioni per cui crede, né spesso che cosa sia esattamente ciò in cui crede,

è stata maggioritaria. Questa situazione non è certamente ideale e costituisce un pericolo nei momenti in cui gli attacchi al cristianesimo si infittiscono e si estendono grazie a mezzi di comunicazione sociale che giungono ovunque, sconcertando e confondendo tanti credenti che non avevano mai sentito la necessità di farsi domande sulle ragioni della propria fede. In questi casi, le missioni popolari si trasformavano in un sussidio importante, esponendo con chiarezza le esigenze della religione in cui si credeva. La situazione di progressiva emarginazione dei credenti negli Stati più secolarizzati favorì un’adesione più meditata e consapevole da parte dei cristiani, una religione più interiorizzata, meno abitudinaria, più purificata da interessi estranei. Le manifestazioni di religiosità andarono diventando più personali e calorose, più incentrate sulla figura di Cristo, grazie anche alla devozione al Sacro Cuore, con una liturgia dedicata maggiormente ai misteri fondamentali e con una partecipazione all’eucaristia molto più consapevole. La comunione frequente ed estesa ai

5. Acquasantiera con il Sacro Cuore. Chiesa dell’Egiziaca, Pizzofalcone, Napoli.

bambini fece aumentare di pari passo l’assiduità nella confessione e una coscienza più chiara della necessità di manifestare con decisione e convinzione le esigenze del Vangelo nella vita quotidiana. Allo stesso tempo, si moltiplicarono le catechesi nelle parrocchie e nei quartieri suburbani; giovani universitari organizzavano scuole domenicali nei quartieri marginali e le Conferenze di Vincenzo de’ Paoli e altre associazioni inducevano i cristiani più solidali a visitare e aiutare le famiglie e le persone più bisognose38. In questi anni di grandi migrazioni verso i paesi europei, nelle parrocchie e nelle organizzazioni apostoliche moltitudini di cristiani insegnano agli immigrati la lingua del paese e altre materie che potranno essere loro d’aiuto per trovare un lavoro o per far carriera in quello che già hanno. Non è soltanto un’opera di carità, ma anche un modo di creare legami tra persone appartenenti a mondi diversi, di integrare nella comunità quanti si sentono sradicati, e di ottenere la stima e la conoscenza reciproche, un modo cioè di creare e fortificare la comunità dei credenti.

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LA PRESENZA DELL’AMORE CRISTIANO NELLE CARCERI

1. Simon Vouet (1590-1649) o sua cerchia, San Vincenzo de’ Paoli (15811660). Maison des Lazaristes, Parigi. Consigliere della regina Anna d’Austria, cui apparteneva questo ritratto, il santo, fondatore nel 1625 dei Preti della Missione, chiamati Lazzaristi, e nel 1633, con Luisa di Marillac, delle Figlie della Carità, è rappresentato qui al termine della sua esistenza. L’atteggiamento semplice, gli occhi vivi e benevolenti e il naso prominente gli conferiscono un’aria simpatica.

Capitolo 27

LA PRESENZA DELL’AMORE CRISTIANO NELLE CARCERI I cristiani conobbero molto presto le prigioni dello Stato e i lavori forzati nelle miniere, vittime di accuse di ateismo o di nutrire sentimenti anti-imperiali, e organizzarono fin dai primi tempi visite e aiuti per quelli che espiavano questi castighi. Durante il Medioevo e l’epoca moderna non tutti avevano gli stessi diritti e doveri, e le pene irrogate risultavano diseguali, non tanto in funzione dei crimini commessi, bensì del rango dei criminali. Per contro, il diritto romano considerava le carceri non come luoghi di pena permanente ma di detenzione temporanea in attesa di giudizio, benché, dato lo svolgimento di alcuni iter giudiziari, questa detenzione potesse talvolta prolungarsi indefinitamente. I tribunali, da parte loro, non condannavano al carcere ma alla pena di morte, al servizio sulle galere, a pene corporali o all’esilio. La presunzione di innocenza non esisteva e il segreto processuale accentuava l’insicurezza degli accusati. Troviamo con frequenza casi di abuso dei supplizi da parte dei tribunali allo scopo di estorcere confessioni, non sempre veritiere, e maltrattamenti da parte dei carcerieri, sempre pronti a esigere mazzette per rimpinguare i propri guadagni. Raimondo Lullo (1232-1316) riuscì a far istituire in molte città la figura dell’avvocato difensore dei poveri, condotti spesso ingiustamente nei tribunali: è il segno di un mutamento di mentalità nel trattamento dei più sfortunati. Data questa situazione tragica, fin dai primi secoli della storia ecclesiastica troviamo diversi tentativi di organizzazioni cristiane dirette ad alleviare la situazione dei carcerati – diversa a seconda dei luoghi e delle circostanze – con l’obiettivo costante di trattarli come figli amati del Padre e membri della comunità dei credenti. Nel XVII secolo, in Francia, la Compagnia del Santo Sacramento lottava attivamente con162

tro gli abusi nelle prigioni; Vincenzo de’ Paoli, consapevole di quanto accadeva in esse, spronò le Figlie della Carità e i suoi missionari a essere presenti sia nelle carceri sia fra i rematori delle galere, affinché chiunque si convincesse che non si esprimevano solo con le parole e con la lingua, ma anche con le opere e con la verità (1 Giovanni 3,18). Possiamo affermare con Bernanos che la sventura maggiore è quella di accettare l’ingiustizia, non di subirla. Accettare l’ingiustizia degrada l’anima, distrugge la morale personale, ci rende insensibili al male, perverte i rapporti. La sensibilità religiosa e la conoscenza delle esigenze evangeliche ci dispongono a un riconoscimento più esplicito della dignità e dei diritti umani. Questa è stata la via verso una maggiore considerazione della pastorale dei carcerati. In realtà, la questione della pena, della giustizia e dei detenuti (che spesso vegetavano in condizioni disumane) e il desiderio di trasformare i carcerati da oggetti in soggetti, cercando di far sì che le prigioni fossero un luogo in cui vivere umanamente, andavano al di là della speranza di ricomporre la situazione disordinata causata dal crimine. Chi si è dedicato a questa peculiare missione evangelizzatrice si è preoccupato non solo di ristabilire la giustizia, ma anche di recuperare il soggetto umano che aveva agito male. Solo la Chiesa può dar luogo a un ripensamento fondamentale, globale e definitivo, tornando al punto di partenza originale, ricordando la paternità universale, reale, efficace di Dio e la fratellanza universale dei suoi figli, essendo cosciente del peccato originale presente in tutti gli uomini, ma anche del fatto che siamo stati salvati in Cristo. Ciò presuppone che si compia nella stessa Chiesa una conversione essenziale, abbandonando non le parole ma le pratiche di insegnamento, di organizzazione e di governo che

2. Disposizione degli schiavi in una nave negriera. Disegno da un’incisione del XVIII secolo. Musée des Arts Africains et d’Océanie, Parigi. La nave era attrezzata per ricevere il maggior carico possibile. Stipare in questo modo serviva a impedire fisicamente la possibilità di rivolte.

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3. Carcere di Torino, “Le Nuove”: due Figlie della Carità con alcuni bambini del Nido, figli di detenute.

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role ma le pratiche di insegnamento, di organizzazione e di governo che per troppo tempo ne hanno segnato la storia. Inquisizioni, scomuniche e altre condanne canoniche o morali, caste e classi presenti nelle comunità, cristiani di primo e terzo livello costituiscono distinzioni antievangeliche. La nostra Chiesa, se si riconverte al suo interno, ha la forza che le viene dallo Spirito e la dottrina adeguata per condannare con autorità l’ingiustizia presente in tanti ambiti della società. Ciò che afferma la preghiera sulle offerte della messa a proposito di Vincenzo de’ Paoli, «O Dio, che hai dato al tuo sacerdote san Vincenzo de’ Paoli la grazia di conformare la sua vita al mistero che celebrava», può ripetersi per quanti riescono a essere nella loro vita coerenti con quel che celebrano. Ma guardiamo ai tanti cristiani che nel corso dei secoli sono stati coscienti dell’ingiustizia che affliggeva quelli che, pur essendo innocenti, si trovavano in carcere; quelli, impreparati e senza protezione, da cui si pretendeva ciò che non erano preparati a dare né capaci di dare; quelli che, pur colpevoli, erano stati sobillati o manipolati da chi deteneva il potere politico o economico. Questi cristiani hanno dedicato parte delle proprie vite a umanizzare le carceri, aiutando i detenuti nelle condizioni in cui si trovavano, insegnando di che di164

ritti godessero, mentre allo stesso tempo spiegavano loro la gravità delle violenze commesse. Tutti i cristiani sono consapevoli di essere peccatori davanti a Dio, e iniziano la celebrazione dell’eucaristia con un atto di confessione delle proprie colpe. Il comportamento di questi cristiani non è stato insomma né ingenuo né antisistema per partito preso, né ha partecipato dell’ottimismo ideologico illuministico, ma è rimasto consapevole del fatto che l’organizzazione sociale esistente non fosse la migliore possibile e che la giustizia risultasse certamente migliorabile. Da qui la loro speranza in un mondo migliore, più giusto e solidale. Per la Chiesa si tratta di uno degli sforzi più difficili e disinteressati, ma i cristiani devono essere coscienti che le sofferenze dei detenuti, la difesa della dignità della persona umana e la salvaguardia dei diritti che la tutelano non possono essere estranee a chi si impegna a seguire Gesù Cristo. L’offerta religiosa nelle carceri è delicata ma insostituibile. Deve essere accompagnata dalla testimonianza personale e dall’impegno a favore dei detenuti e delle loro famiglie. L’interesse primario è per la persona e soltanto dopo per la sua fede. Solo chi accoglie, ascolta e si identifica con la situazione dei carcerati ha la credibilità per invitarli a trascendere la loro situazione e a viverla secondo la fede.

La comunità dei cristiani partecipa delle debolezze e della grandezza proprie di tutti gli esseri creati. Non conta al suo interno molti geni, né molti santi, né molti leader; abbondano mediocrità e incostanza, egoismo e violenza. I personaggi dell’Antico Testamento e della storia cristiana mostrano con frequenza le debolezze umane e una gran disinvoltura nell’abbandonare Dio malgrado i benefici ricevuti. Questo comportamento, apparentemente, risulta più frequente di quello del compagno ubbidiente e fedele. Guerre, oppressioni, ricchezze mal guadagnate, sfruttamento dei più deboli, l’arroganza del potere fuori e dentro la Chiesa… ma queste cose sono solo ombre, freni… niente di tutto ciò è riuscito a distruggere la carità sopra la terra. In effetti, nei cuori umani, in questi vasi di creta, non cessa di crescere e portare frutto il rispetto e l’amore per Dio e per i fratelli. Non credo di sbagliarmi se dico che nella nostra storia mutevole l’amore predomina sull’infedeltà e sull’egoismo. In ogni tempo, là dove abbonda il peccato sovrabbondano grazia, generosità e solidarietà. Il requisito per conoscere il significato dei «segni dei tempi» è la convinzione che la storia della salvezza e la storia del mondo siano intrecciate. Ha scritto Yves Congar: «Una delle carenze più gravi della formazione del clero durante il XIX secolo e ancora all’inizio del XX è l’ignoranza della storia, la mancanza di senso storico. A questa carenza si aggiunge la scarsa cultura biblica e una presentazione concettuale-giuridica della Chiesa. Per lo stesso motivo, manca il senso dell’escatologia. La sensibilità storica specificamente cristiana attribuisce un significato e uno scopo non soltanto all’esistenza individuale, ma anche all’unione di umanità e mondo». La Parola di Dio non è una parola astratta ma incarnata, il dialogo di Dio non è un soliloquio ma una conversazione con gli uomini concreti.

Restare attenti ai segni dei tempi significa seguire le orme della viva presenza di Dio nella storia umana ed essere capaci di distinguerle in mezzo alla routine predominante. Significa individuare i dieci giusti in mezzo alla massa inerte, perché sono questi ad attrarre le benedizioni e la benevolenza di Dio. Apparentemente, la storia della Chiesa, così come la storia umana, non entusiasma né risulta ammirevole o promettente, e tuttavia, appena ci immedesimiamo nell’amore e nella bontà presenti in tanti luoghi e in tante persone umili e semplici, che restano inosservate, ci risulta spontaneo proclamare il Cantico delle creature di Francesco ed entusiasmarci per i tanti segni che ci indicano che l’amore di Dio è stato versato nei nostri cuori. La Rivoluzione francese sembrò, con il suo odio e la persecuzione sfrenata, aver posto fine al cattolicesimo in Francia. Dopo più di mille anni di vita religiosa ricca e creativa, parve che i demoni meridiani si fossero impadroniti della cultura e della società francesi, distruggendo la sua tradizionale organizzazione sociale e accanendosi su una religione che si identificava con la storia e la cultura del paese. Ma non tutto fu confusione e distruzione. Furono molti i cristiani che mantennero la fedeltà nelle catacombe, nascosti e silenziosi, ma anche fedeli e attivi; alcuni dettero la vita in pace e armonia; altri si opposero con coraggio, sia nella regione della Vandea che in molte altre. Fra di loro ricordiamo le Carmelitane che furono ghigliottinate a Parigi. In momenti di sbandamento e di abbandono, la Chiesa mostrò il meglio di sé, l’incrollabile fedeltà al proprio Signore di buona parte dei suoi figli. I decenni seguenti furono confusi, dolorosi e pieni di contraddizioni. La persecuzione sconsiderata dei governi liberali portò i cattolici a non apprezzare i valori nuovi della libertà e della democrazia, e a non 165


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1. Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789). Olio su tela, fine del XVIII secolo. Musée Carnavalet, Parigi. Sebbene l’immagine con l’occhio divino in alto si ponga fuori dalla tradizione cristiana, è difficile non ravvisare proprio in tale tradizione le istanze che vi sono espresse. Ne consegue notare la difficoltà da parte delle istituzioni ecclesiali nel loro così lento riconoscimento.

2. Massachusetts State House, opera di Charles Bulfinch, Boston, 1795-1798. Simbolo della democrazia, per lungo tempo fu la più grande costruzione pubblica americana. La cupola fu dorata nel 1874. Dovremo attendere molto tempo perché un papa (il cardinale Bergoglio) dichiari che non c’è democrazia senza giustizia.

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3. Eugène Delacroix, La Libertà che guida il popolo. Olio su tela, 1830. Musée du Louvre, Parigi. È considerato il primo quadro politico della storia moderna: la Libertà conduce il popolo nella rivolta contro l’oppressore e l’ingiustizia. Di fatto sarà la borghesia ricca a instaurare, con Luigi Filippo d’Orléans, il suo potere in Francia dopo l’insurrezione parigina del 1830.

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rendersi conto delle conseguenze sociali del nuovo sistema democratico; a non rendersi conto che nulla e nessuno avrebbe potuto far sì che la situazione di un tempo tornasse a imporsi, mentre il disprezzo anticlericale della borghesia illuministica favoriva l’alleanza con un’aristocrazia che era rimasta scollegata dalla nuova cultura. La maggior parte delle autorità ecclesiastiche, intrappolata nel desiderio di non perdere potere e influenza, e fuorviata dalla convinzione che i cambiamenti che si trovava davanti fossero frutto del peccato e della malvagità, non comprese l’inevitabilità del cambiamento sociale e culturale, né i suoi molti aspetti positivi. Il cardinale Consalvi, Rosmini, Lamennais, Ozanam e Balmes furono sì coscienti della necessità di accettare il lato positivo e le radici cristiane dei mutamenti, ma non furono ascoltati. Sarà poi il Vaticano II che si mostrerà capace di delineare in modo creativo alcune linee guida di integrazione dei valori cristiani con la cultura moderna. Per altro verso la Chiesa, disprezzata dalla borghesia industriale, fu abbandonata anche dagli operai, segregati nei sobborghi e nelle zone più degradate delle città. Il dramma della Chiesa nel XIX secolo è stato nel contrasto fra la religione e le classi medie e operaie. Esistono diverse cause e fattori che ci sfuggono, ma non possiamo dimenticare la difficoltà della gerarchia e di buona parte del clero a comprendere la natura di una società avida di democrazia e libertà, difficoltà che, in qualche modo, dura ancora ai nostri giorni, soprattutto nei paesi latini, che, ricordiamo, forniscono gran parte della classe dirigente ecclesiastica39. La sensibilità cattolica e la generosità delle nuove congregazioni religiose diedero impulso alla preoccupazione per i nuovi poveri e per le piaghe dolorose prodotte dall’economia industriale: anziani abbandonati, malati privi di sicurezza e di cure, bambini analfabeti che lavoravano fin dalle prime ore del mattino, prostituzione. Non vennero meno, certo, né la generosità personale né la carità organizzata, ma mancò probabilmente la chiaroveggenza necessaria per opporsi all’ingiustizia istituzionalizzata e per difendere condizioni di lavoro e di vita più consone alla dignità degli esseri umani. La politica coloniale di alcuni paesi europei, pianificata nella Conferenza di Berlino (1885), rispondeva 168

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alle necessità di crescita economica di questi paesi e al ritardo di alcuni popoli, che difficilmente potevano tener testa ai paesi più avanzati. I cristiani trovarono un’occasione per evangelizzare nazioni molto chiuse e furono capaci di organizzare una presenza pluridisciplinare sorprendente: catechismo, ospedali, scuole e università. Oggi capiamo che la storia, i legami del passato e il sentimento patriottico impedirono spesso loro di rendersi conto che i tempi erano cambiati e che non era giusto impadronirsi di quelle terre senza tener conto dei diritti degli abitanti a mantenere la propria personalità e i propri valori. La presenza delle istituzioni cristiane fu molto positiva in diversi sensi, non solo per aver fatto conoscere Cristo, ma anche per aver educato e fatto maturare popoli con condizioni di vita endemicamente ingiuste e senza capacità di sviluppo. Malgrado ciò, il peccato originale del colonialismo consistette nella prepotenza europea e nella rapina praticata da alcuni governanti che non rispettavano i diritti dei nativi, anche se non mancarono certamente voci che molto tempestivamente avevano chiesto un altro tipo di condotta. Nel corso del XX secolo si è verificato uno sviluppo spettacolare nella presenza dei laici nella vita della Chiesa e nella promozione della donna all’interno della società. Tuttavia, una Chiesa eccessivamente clericale e spesso incapace di comprendere in profondità i segni dei tempi ha posto ostacoli a entrambi questi sviluppi, provocando scontento e irritazione fra i membri laici della Chiesa, che ovviamente ne costituiscono la stragrande maggioranza. Una società fraterna come quella ecclesiale può difficilmente ammettere in pieno XXI secolo differenze tanto profonde. In effetti, l’incapacità di comprendere che cosa sia giusto e l’urgenza dei segni che ci si presentano ci impedisce spesso di rispondere adeguatamente alle tante sfide che dobbiamo affrontare quotidianamente. Pensiamo a che cosa significò nel XVI secolo l’iniziativa di Vincenzo de’ Paoli, che chiamò le donne a formare una comunità religiosa che non fosse di clausura né si limitasse a un’opera di pietà o di educazione dei giovani. Il santo stesso era cosciente della sua audacia: «Sono ottocento anni che le donne non ricoprono cariche pubbliche nella Chiesa; per secoli erano esistite le cosiddette diaconesse, ma al tempo di Carlo Magno il sesso

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4. Caricatura di Bismarck nell’atto di mettere in pratica il Kulturkampf. Staatsbibliothek, Berlino. Il cancelliere, calpestando la libertà di opinione, tira la corda per abbattere la Chiesa romana. Satana lo osserva, dubbioso, e gli domanda quanto tempo occorrerà per demolirla. «Tre o quattro anni», risponde Bismarck. «Beh», replica il diavolo, «io ci provo da diciotto secoli e ancora non ci sono riuscito!». 5. Winslow Homer, Bell Time. Incisione, 1868. L’opera rappresenta l’uscita dei lavoratori da una fabbrica del Massachusetts. La condizione operaia ha cambiato i modi e i tempi del vivere. Il movimento operaio organizza la difesa dei lavoratori; le congregazioni cristiane sovvengono al disagio sociale, alla povertà, alla mancanza di istruzione e alle necessità dei più bisognosi.

femminile fu privato degli incarichi, e non ne ha mai più ricevuti. Ma adesso la Provvidenza si volge verso di loro. Non vi sembra una cosa singolare?». In realtà, malgrado il suo prestigio il santo non riuscì nel suo intento, e ancora oggi continuiamo a discutere su una soluzione che finirà per imporsi nostro malgrado. In realtà, si può rispondere in molti modi ai segni dei tempi e non sempre le risposte corrispondono adeguatamente alle reali necessità. I cristiani credono che il Vangelo offra le regole fondamentali per scegliere bene e, benché a molti possa sembrare un giudizio semplicistico, non c’è dubbio che l’amore fraterno continui a essere un punto di partenza decisivo. Risulta sempre inaccettabile tentare di risolvere i problemi a spese del dolore, della dignità, della libertà e dei diritti degli altri, e in ogni caso i più piccoli e indifesi devono essere i primi a venire presi in conto, in ogni occasione e in ogni momento. In una parola, la storia dei due ultimi secoli ci insegna che risulta inconcepibile conoscere e comprendere i segni dei tempi senza tenere conto della giustizia, della solidarietà e dell’amore di Dio. 169


CONGREGAZIONI RELIGIOSE DEL XIX SECOLO: RISPOSTE ALLA POVERTÀ UMANA

Capitolo 29

CONGREGAZIONI RELIGIOSE DEL XIX SECOLO: RISPOSTE ALLA POVERTÀ UMANA Nei secoli XIX e XX, dopo lo sconvolgimento sociale e politico creato dalla Rivoluzione francese e dalla progressiva affermazione dei sistemi politici liberali nei diversi paesi occidentali, dopo un cambiamento sociale spettacolare a causa dell’industrializzazione e dei mutamenti mentali e sociali che andavano imponendosi in Europa e in America, vediamo il fenomeno della moltiplicazione di nuove congregazioni religiose, pronte a rispondere alle nuove sfide poste dalla rivoluzione industriale, dalla rivoluzione sociale e dalla rivoluzione tecnico-scientifica. La sorprendente espansione industriale arricchì molti, ma creò anche innumerevoli forme di povertà e di emarginazione, come la mortalità infantile, l’organizzazione igienica insufficiente dei nuovi quartieri periferici, lo sfruttamento di donne e bambini costretti a lunghissime giornate di lavoro scarsamente retribuito, la prostituzione delle giovani prive di mezzi. Due ondate di epidemie di colera (1836 e 1854) e alcuni focolai persistenti di vaiolo colsero impreparate le autorità politiche, provocarono un enorme numero di morti e costituirono autentiche sfide per i religiosi ospedalieri che troviamo frequentemente in prima fila. Queste nuove istituzioni religiose, che si moltiplicano in paesi e città, concepiscono la vita religiosa come un servizio diretto ai bisogni degli esseri umani, per mezzo della loro presenza e azione caritativa nella società. Vogliono stare non solo al servizio degli altri ma anche in comunione con essi. Si dedicano specialmente ai bambini e agli anziani, i due gruppi sociali tradizionalmente più esposti e deboli, ai malati, in modo particolare ai malati di mente, e a coloro che sono abbandonati al loro destino, in un ambiente poco propizio alla solidarietà. Molte di queste congregazioni erano nate per praticare l’insegnamento, mentre altre ebbero come scopo di stabilirsi nelle missioni africane. 170

È degna di nota la prevalenza delle istituzioni femminili, espressione di una diligente presenza della donna nella società40. Non c’è campo che rimanga chiuso all’attiva presenza caritativa della donna: scuole in cui si offre a bambine e giovani l’educazione ai rudimenti dell’alfabeto e ai lavori domestici, casescuola artigianali che rendono capaci le donne di svolgere un mestiere, giardini di infanzia, dispensari, rifugi, asili e nidi per i figli degli operai, assistenza domiciliare ai malati più trascurati e ospedali creati nei comuni, nelle province e negli Stati. Le religiose esprimono la propria vocazione in mezzo al tessuto più intimo e sensibile della società. Tanto in Francia come in Italia si fondano più di 400 congregazioni religiose, 150 in Spagna. È impressionante constatare l’esistenza di più di mille nuove congregazioni femminili sorte in Europa, che occupano spazi di assistenza nella maggior parte dei paesi e delle città dell’Europa occidentale. Man mano che il XIX secolo passava, aumentarono le congregazioni religiose dedicate all’insegnamento, e rimasero stabili o diminuirono quelle relative alla sanità, di modo che in Francia, nel 1861, gli ospedali, i rifugi e altre opere di carattere sanitario o sociale occupavano soltanto il 15% delle religiose attive, mentre l’insegnamento primario o professionale ne teneva impegnate il 67% (con l’eccezione della Spagna, dove il servizio negli ospedali rimase abbastanza più elevato). Questa ripartizione diseguale si doveva, fondamentalmente, all’interesse della Chiesa a contrastare gli influssi illuministici e anticlericali del pensiero dominante nella cultura dell’epoca, che imbevevano e condizionavano la mente di chi avrebbe governato la società nei decenni successivi. Questo interesse portò in alcuni casi a privilegiare il servizio a favore delle classi dominanti. Da un punto di vista strategico sembrano ragionevoli i motivi di questa

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1. Con la rivoluzione industriale cambia il paesaggio urbano; gli stabilimenti dominano parti delle città. Qui è rappresentata una fabbrica tedesca di carbon coke alla metà del XIX secolo (tempera di G. Bacchin). 2. Jeff Katz, Carestia delle patate. Incisione, 1846 ca. Nelle campagne, oltre che a causa delle epidemie, la povertà radicale si sviluppa per altri fattori. In meno di dieci anni, la carestia che si abbatté tra il 1845 e il 1849 in Irlanda determinò un milione e mezzo di morti e altrettanti furono gli irlandesi costretti ad abbandonare il loro paese.

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3. Don Orione saluta durante un momento di festa. Luigi Orione nasce nel 1872 ad Alessandria, in Piemonte. Fonda varie congregazioni, oggi sparse nel mondo, dedicate ai più piccoli, agli orfani, ai diversamente abili. La famiglia orionina è riunita nella Piccola Opera della Divina Provvidenza, il nome che don Orione diede alla sua congregazione. Luigi Orione è stato canonizzato nel 2004.

scelta, anche se non pare che lo spirito evangelico andasse sempre in questa stessa direzione. Questa azione creativa e generosa costituì una risposta alle situazioni e alle strutture ingiuste? Fu in effetti una risposta efficace ai mali causati per la mancanza di leggi sociali da un capitalismo avido di benefici, ma non cercò di cambiare le strutture. Non credo che si potesse pretendere dal clero e dalle religiose di quei tempi un contributo al cambiamento dell’organizzazione politica e sociale, anche se risulta sconcertante la passività di tanti laici sinceramente cristiani e dotati di responsabilità importanti nella politica e nell’organizzazione sociale. Alcuni decenni più tardi, tanto nei seminari quanto nel clero diocesano, seminaristi e sacerdoti cominciarono a parlare della necessità urgente di immergersi nelle masse. L’ideale a cui si aspirava era quello di integrarsi nell’umanità sofferente, con il rischio di perdersi in un mondo per il quale non sempre erano preparati. Vivevano con la speranza di incarnarsi in loro, di essere come loro. Molti sacerdoti abbandonavano la casa parrocchiale per vivere nei quartieri più sfavoriti, per condividere la vita dei loro fratelli. Volevano vivere il sacerdozio nel cuore stesso della Chiesa dei poveri. Ma tra le due situazioni erano passate le guerre mondiali e l’ideologia marxista. Di frequente, molti di questi operai mandavano i figli alle scuole religiose, ma non mettevano piede nelle chiese, perché pensavano che i cristiani che le frequentavano fossero troppo lontani dalla loro condizione e dai loro bisogni. Ammiravano i cristiani che li aiutavano, ma rifiutavano l’istituzione, che consideravano troppo identificata con quanto e quanti aborrivano. La carità è stata spesso considerata come la semplice necessità di fare elemosine, ma non dobbiamo dimenticare che a partire dal XIX secolo essa doveva essere accompagnata dall’esigenza di dare a ciascuno il suo, e lo spirito evangelico ricorda che «il suo» è in funzione delle necessità e dei bisogni degli individui. Ad ogni modo, dobbiamo ricordare i molti laici che con i propri studi, le proprie proposte di legge, l’esperienza nelle proprie fabbriche, proposero leggi più giuste sul lavoro e sulla sicurezza sociale41. C’è voluto il concilio Vaticano II per un’autentica conversione dei cuori, non nel senso di una maggiore 172

generosità, ma in quello di una maggiore comprensione della necessità di convivere con i più poveri e di porsi fra loro, e di intendere il voto di povertà come la capacità di condividere la loro vita e quella dei bisognosi. Hélder Câmara e Pedro Casaldáliga, vescovi in Brasile, così come molti altri sacerdoti, religiosi, vescovi e laici, si sono trasformati in portavoce dei diritti dei meno abbienti nei diversi paesi42. In ogni caso, là dove la Chiesa crolla, la condizione dei poveri, degli anziani e dei malati migliora o crolla anch’essa? Se la Chiesa non tramanda l’amore di Dio, chi lo farà? Chi trasmetterà l’amore del Figlio di Dio incarnato? Ci saranno e ci sono molti cristiani infedeli al mandato divino, ma sempre è rimasta operante in molti altri l’urgenza di Cristo di andare a battezzare coloro che sembravano non essere stati invitati a mensa a causa della loro vita miserabile, di visitare i bambini analfabeti, le famiglie che vivono miseramente nelle baracche, le madri che non possono allattare i figli; di fare compagnia agli anziani emarginati e alle tante persone sole di tutte le età che trovano nella comunità cristiana consolazione e speranza.

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Il movimento del Catholic Worker venne fondato nel 1933 dall’agricoltore e intellettuale cattolico Peter Maurin e da Dorothy Day, una giornalista e scrittice di sinistra convertita al cattolicesimo. Il primo maggio di quell’anno, Dorothy e alcuni giovani che la sostenevano si recarono a Union Square, a New York, e si misero a vendere al prezzo di un centesimo il primo numero del settimanale «The Catholic Worker», esposizione fedele dell’ideologia del movimento, che giunse a essere venduto in tutto il paese e che ancora oggi si vende allo stesso prezzo. Annunciava una rivoluzione umana e sociale che nasceva

dalla qualità intemporale dello spirito umano e non dai conflitti di un mondo in evoluzione. Dorothy Day, radicale americana, con la sua conversione al cattolicesimo trasformò il proprio rifiuto dell’ingiustizia in una missione costante di aiuto ai diseredati. Assieme a Peter Maurin fondò una serie impressionante di case di accoglienza in numerose città del Canada e degli Stati Uniti, un’accoglienza che si incentrava sull’aiutare e sull’indirizzare a un ritorno a una vita più umana chi si trovava ai margini della vita civile. Queste case erano situate in quartieri poveri e accoglievano neri e bianchi, pescatori,

1. Testata del settimanale «The Catholic Worker», disegnata da Ade Bethune. 2. L’artista Ade Bethune, Dorothy Day, Dorothy Weston, il filosofo francese Jacques Maritain e Peter Maurin, 1934 (Archivi della Marquette University, Milwaukee, Wisconsin).

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3. Peter Maurin di fronte al quartier generale del Catholic Worker in Mott Street a New York (Archivi della Marquette University).

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4. Dorothy Day (Archivi della Marquette University). 5. Dorothy Day e lo staff iniziale del «Catholic Worker», William Callahan e Margaret Polk, 1936 ca. (Archivi della Marquette University).

scaricatori di porto e marinai, famiglie con bambini, disoccupati, malati e inabili al lavoro. Non si trattava solo di dar da mangiare e da vestire, ma anche di offrire un tetto, un ambiente caldo e familiare e una gioiosa testimonianza di vita cristiana. «Nel momento in cui uno ama si produce una correlazione fra lo spirito e la materia. Qualsiasi sacrificio, qualsiasi sofferenza risulta facile grazie all’amore». Questa era la pietra angolare del movimento Catholic Worker, che aiutava a liberarsi dalla tirannia dei sensi per avviarsi a vivere sotto lo spirito e con lo spirito. Avevano scelto la via nonviolenta, mostrando in ogni occasione la loro concezione personalistica della vita, denunciando gli aspetti disumanizzanti dei due fenomeni propri dell’era borghese: il nazionalismo e il capitalismo, rifiutando il dilagare delle caratteristiche disumanizzanti dello Stato secondo il modello descritto in 1984 da Orwell. In una occasione, commentò così parlando ad alcuni studenti universitari: «Quando avevo la vostra età e frequentavo l’Università dell’Illinois, le donne non avevano il diritto di voto e i poveri potevano contare soltanto sulla carità dei ricchi. Mi ricordo che una volta chiesi a mia madre il perché di questa situazione; perché per alcune persone le cose non potevano andare meglio, perché alcuni possedevano tanto e altri tanto poco o nulla. Mi rispondeva sempre che non esiste spiegazione per le ingiustizie: le cose stanno così, semplicemente. Credo di aver speso la mia vita tentando di far funzionare meglio le cose, di cambiarle almeno un poco, e questo è ciò che le persone come me dovrebbero provare a fare: siamo stati fortunati nella vita, perché non aiutare gli altri affinché vivano un poco meglio?». I membri del movimento sognavano essenzialmente una Chiesa che non fosse un rifugio dalla malvagità degli uomini, né una istituzione di potere che cercasse di mantenere i propri privilegi, ma invece un luogo di incontro vivo fra Dio e gli uomini, di immersione nel mondo, simile a quello realizzato da Gesù venti secoli fa. Scriveva Dorothy in un articolo pubblicato nel 1936: «Siamo sinceri, la posizione che sosteniamo non ha a 174

che fare con il tema dei salari, delle ore e delle condizioni di lavoro, ma con la verità fondamentale che gli uomini non dovrebbero essere trattati come una proprietà, ma come esseri umani, come ‘templi dello Spirito Santo’». «Ogni strada che porta al Paradiso è il Paradiso», aveva scritto santa Caterina da Siena, e Dorothy Day citava con frequenza questa frase, cercando di ispirarsi al suo senso profondo. Vivendo per la carità, separandoci dalla violenza, cerchiamo di imporre una finalità al mondo. I membri del movimento mantennero contro il vento e contro la marea montante un atteggiamento pacifista che fece loro perdere molti lettori: «Continuiamo a essere pacifisti: il nostro manifesto è il Sermone della Montagna, il che significa che cercheremo di essere seminatori di pace. Parlando a nome di molti dei nostri obiettori di coscienza, non parteciperemo allo scontro armato né alla fabbricazione di munizioni, né all’acquisto di buoni di Stato per portare a termine la guerra, né solleciteremo nessun altro a fare nessuna di queste cose» (gennaio 1942). Dorothy Day fu arrestata molte volte per le manifestazioni di piazza, cui partecipava ogni volta che le riteneva giuste; mantenne un’intensa vita intellettuale e spirituale, scrisse libri e articoli difendendo e diffondendo le proprie idee, fu coerente con ciò in cui credeva. Trovò la risposta alle sue grandi domande nella vita di un predicatore errante che era morto in croce, assieme a due ladroni, duemila anni prima. Trovò ispirazione nei poveri del XX secolo, simili a quelli che Gesù aveva amato. Scelse di passare la vita con loro, aiutandoli e apprendendo da essi. In alcune occasioni parlò dei suoi grandi amori: l’amore per la letteratura e la scrittura, l’amore per Gesù e la sua Chiesa, l’amore per i profeti che leggeva di continuo nella sua Bibbia sbrindellata, l’amore per la gente comune, con lo stomaco vuoto e la vita disorientata che lei cercava di riempire e di indirizzare. Non sarebbe possibile comprendere questo movimento, creativo, generoso, immensamente accogliente verso chiunque cercasse aiuto, calore umano

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6. Lo staff del «Catholic Worker» sui gradini della casa di Charles Street a New York (Archivi della Marquette University). 7. Dorothy Day e lo staff iniziale del «Catholic Worker» (cortesia Henry Beck).

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8-9. In Mott Street a New York, oltre alla sede centrale del giornale, c’era la casa di ospitalità per i diseredati e i lavoratori stagionali. I poveri facevano la fila per usufruire di una mensa gratuita (Archivi della Marquette University).

e indirizzo, senza tenere conto del suo spirito comunitario e delle sue caratteristiche di movimento sociale, religioso, culturale e politico, movimento che per decenni attrasse tante persone inquiete e generose, e aiutò in mille modi generazioni di bisognosi43. Gesù è il fondatore di un movimento comunitario e questa caratteristica costituisce la pietra angolare della sua storia. Nel corso di duemila anni, gruppi di cristiani si sono uniti per essere presenti nel mondo, per camminare insieme, per sviluppare progetti che migliorassero la vita umana, per fare compagnia ai più deboli, per affrontare il male in tutte le sue sfaccettature. È emozionante verificare come in ogni momento, in ogni luogo, si siano radunati uomini e donne, con una disponibilità e immaginazione sorprendenti, allo scopo di far sorgere un’umanità più felice, più solidale, più vicina a Dio e alle sue creature, in progetti che abbracciavano tutte le manifestazioni della vita umana, dalla più tenera infanzia alla cura dei defunti, in una disponibilità che riguardava

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A fronte: 1. Fotogramma dal film Il diario di un curato di campagna di Robert Bresson, tratto dall’omonimo romanzo di Georges Bernanos. La scena rappresenta il dialogo tra il curato e il diacono.

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tutti gli emisferi, tutti i continenti. Dorothy Day si rivela una figura affascinante di donna, ma ciascuno di noi potrebbe mostrare esempi analoghi nei nostri rispettivi paesi o città. L’amore per Dio e per i fratelli costituisce uno stimolante costante nella società, sprona, suggerisce, anima. A volte, sconvolti dalla violenza e dall’egoismo presenti nel nostro mondo, dimentichiamo le grandi utopie che mobilitano di continuo gli esseri umani: l’utopia di essere figli di Dio, di essere tutti fratelli, di realizzare un mondo in comunione, di superare le calamità, l’odio, la miseria, gli ostacoli, le paure e i sospetti. Sono questi esseri fuori dal comune, illuminati da un’idea o da un amore, capaci di dare la propria vita per seguire una chiamata, generosi all’estremo, che illuminano, animano, entusiasmano noi che camminiamo spesso senza progetti, senza speranze, senza aiuti, senza consolazione. Non è facile immaginare la vita senza santi, persone innamorate di Dio e che si preoccupano per gli esseri umani.

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La storia della Chiesa è una storia di progresso, di cambiamenti, di adattamenti continui alle diverse mentalità e culture, di creatività, ma anche di conflitti personali e istituzionali. Nello svolgimento, nelle motivazioni e nelle peculiarità di questi conflitti scopriamo il modo di concepire l’unità ecclesiale e di praticare l’amore fra i suoi membri, ma anche i fermenti dominanti di intolleranza e le paure esistenti là dove dovrebbe dominare la libertà di spirito e la fraternità. In questo contesto, vogliamo riflettere sui cattolici scomodi, cioè i non conformisti, i riformatori, quelli in anticipo sui tempi, ma anche i santi, che agirono all’interno dell’ortodossia e della comunità ecclesiale. Il decano di Blangermont dice al curato di campagna del romanzo di Bernanos44: «Dio ci liberi dai riformatori!». Il dialogo continua: «Signor decano, molti santi sono stati riformatori». «Dio ci liberi anche dai santi!». In effetti, non pochi santi furono scomodi per i loro superiori, per la gerarchia e persino per gli ordini religiosi che essi stessi avevano fondato. Sono impressionanti le storie di chi ha sofferto o è stato emarginato per difendere idee che più tardi sarebbero state accettate e avrebbero influito positivamente sulla vita della Chiesa. Pensiamo ai problemi di coscienza che poté avere un Savonarola nel denunciare Alessandro VI, papa spesso indegno. Poteva tacere nella sua intransigente ricerca di una Chiesa più pura ed evangelica sull’esempio offerto da Alessandro, dalla sua famiglia e dalla curia? La lotta di questo domenicano costituisce un esempio incisivo di un problema centrale del cattolicesimo moderno, la definizione del giusto rapporto fra ufficio, gerarchia e individuo, fra Chiesa e coscienza individuale. Gregorio VII, che nessuno potrebbe sospettare di

aver coltivato novità temerarie, affermava: «Cristo non disse: Io sono la tradizione, ma: Io sono la verità. Una tradizione, per quanto antica e diffusa che sia, deve sempre ritrarsi di fronte alla verità». In una Chiesa continuamente incarnata nella storia, risulta urgente purificare e distinguere ciò che è concrezione e aggiunta posteriore al nucleo essenziale della fede. Nel corso dei secoli, la maggioranza dei conflitti e delle scomuniche ecclesiali è stata originata da aspetti marginali, di routine, formalistici e tradizionalistici, cioè dalla parte radicalmente umana della Chiesa, che spesso è stata messa in questione per amore, per compassione di chi soffriva immeritatamente o si era allontanato dalla comunità ecclesiale per essere stato trattato ingiustamente. La storia della Chiesa ci presenta una galleria di personaggi per mille motivi notevoli. Alcuni furono in anticipo sui tempi, propugnando princìpi o teorie che più tardi divennero dominanti, ma che all’inizio

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si scontravano con l’incomprensione e il rifiuto dei più; altri concordavano ed erano in sintonia con i movimenti più attivi e creativi, mentre l’apparato ecclesiale rimaneva ancorato al passato e all’abitudine. Altri attaccavano privilegi che consideravano ingiusti o semplicemente anacronistici, sollevando le ire di chi li voleva conservare, come notava il cardinale Consalvi due secoli fa: «Nessuno è più contrario ai cambiamenti di chi ha qualcosa da perdere a causa di essi». Non è facile che una società con tanti componenti si trovi in perfetto accordo, ma per quanto è possibile occorre convivere nella carità, nella comprensione e nel rispetto reciproci. Spesso la difesa aspra della verità – o di ciò che si considera la verità – senza tener conto della possibile verità dell’altro, o il carattere autoritario e intollerante di chi si ritiene dotato di maggior sapienza e autorità del resto della comunità, o la superbia del potere hanno impedito una convivenza fraterna tra i credenti, provocando inutile dolore alle persone o alle istituzioni. Credo che sia stato Bernanos a scrivere che la cosa più difficile non sia soffrire per la Chiesa ma soffrire a causa della Chiesa, a causa di persone prive di prospettiva, intolleranti, con un’opinione eccessiva delle proprie mansioni e capacità, e soprattutto prive di carità. È gente che non è cosciente del fatto che bisogna cercare l’amore prima della morale e delle regole. Ricordiamo alcuni nomi che hanno vissuto tali situazioni. Tommaso d’Aquino dovette lottare su diversi fronti a causa della novità delle sue opinioni teologiche. Nel 1270, l’arcivescovo di Parigi e i dottori di teologia cercarono di causarne la rovina nella sua disputa con John Peckham, mossi dall’invidia e confusi dalla semplicità con cui distruggeva le abitudini imposte e difese per comodità. Il neoconvertito Newman, che sperimentò il rifiuto dei più conservatori per la sua difesa dell’autonomia della coscienza personale, o Las Casas, figura controversa tanto ieri quanto ancora oggi, che attaccò l’egoismo e la cupidigia dei colonizzatori a danno degli indigeni. Non venne assassinato come Montesinos, ma dovette abbandonare la sua diocesi e sperimentare il rifiuto. Ricordiamo anche come furono trattati Lamennais, Rosmini, Congar, de Lubac, padre Pedro Arrupe o Hélder Câmara45. Quasi sempre si trattava di dispute fra scuole diverse, di persone che identificavano le proprie opinioni con la rivelazione o con la verità, 178

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dimostrando la scarsa considerazione che nutrivano per quest’ultima. Male frequente e ricorrente in alcuni ambienti ecclesiastici. Molti credenti che avevano apportato qualcosa di nuovo incontrarono l’opposizione di chi voleva ascoltare solo quello che egli stesso ripeteva di continuo. Congar e altri innovatori come lui erano consapevoli del fatto che nel riformismo degli anni 1940-1950 non si discutesse in alcun modo l’autorità ecclesiastica, ma che si potevano cercare forme di evangelizzazione che rispondessero meglio a uno stato di cose che ormai non corrispondeva più a quello della cristianità e nemmeno a quello di un mondo abituato al rispetto della religione, bensì a un mondo pagano, egoista, laico a oltranza. Gli «scomodi» cercavano forme di Chiesa più comunitarie e missionarie, un adeguamen-

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2. Benozzo Gozzoli, Trionfo di san Tommaso d’Aquino. Affresco, 1470-1475. Musée du Louvre, Parigi. Il santo è raffigurato tra Platone e Aristotele ed è benedetto da Cristo. Alla scena assistono un papa, vescovi e religiosi. Ai piedi del santo è raffigurato Averroè.

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3. A differenza di Tommaso, che dopo le accuse venne riconosciuto sino ad essere santificato, all’abate Hugues-Félicité Robert de Lamennais, qui ritratto in un’opera di Paulin Guérin del 1831, oggi a Versailles, resta sulle spalle la condanna del 1834. Con la sua visione apologetica egli voleva ricostruire un’indipendenza della sfera politica da quella religiosa, per non assoggettare i cristiani al potere delle classi dirigenti.

to più stretto delle nostre parrocchie, scuole e opere alla situazione esistente, eventualmente un’organizzazione rinnovata del ministero e rapporti più fluidi fra la base e la gerarchia, con una miglior comprensione della funzione dei laici nell’organizzazione ecclesiale. Quanti sospetti e rifiuti provocarono allora questi pionieri, quanti esili interiori in persone di grande zelo religioso e capacità intellettuale! Più di un santo è stato imprigionato, anche nelle segrete del Sant’Uffizio: san Giovanni d’Avila, il cardinale Morone, san Giovanni della Croce, sant’Ignazio di Loyola, san Giuseppe Calasanzio, san Luigi Maria Grignion de Montfort e tanti altri, certamente non per motivi oggettivi ma per l’orgoglio, l’intransigenza e l’ignoranza dei loro persecutori. San Basilio fu accusato di eresia davanti a papa Damaso; san Cirillo di Gerusalemme fu condannato come eretico e deposto da un concilio di quaranta vescovi; sant’Atanasio fu accusato di stregoneria e san Giovanni Crisostomo di cattivi costumi. Non sempre si riesce a far sì, evidentemente, che le comunità dei credenti siano spazi di comunione e riconciliazione. Bisognerebbe ricordare anche il caso non infrequente di fondatori di ordini religiosi che vennero emarginati dai loro stessi discepoli. Sono i grandi cristiani scomodi: per la loro coerenza e radicalità evangelica, come san Francesco, o per la loro semplice onestà, come Guillaume-Joseph Chaminade, o perché si scontrarono con gli interessi e gli egoismi dei loro successori, come santa Raffaella del Sacro Cuore. A volte, questi fondatori dovettero lottare anche contro le autorità ecclesiastiche, perché le loro intuizioni risultavano poco compatibili con la legislazione vigente o con le norme e le abitudini consolidate. La loro costanza e la loro fiducia in Dio fecero sì che con il tempo venissero riconosciuti e approvati. Molte volte, fu la gente semplice a rendersi conto del valore religioso e umano delle nuove fondazioni e ad appoggiarle con entusiasmo. Non so perché dèstino tante paure e angosce le minoranze e i miseri, fragili e apparentemente insignificanti, che spesso seminano incertezza e timore nelle maggioranze o in chi governa ed esercita il potere. La storia ci offre esempi di personaggi piccoli e insignificanti che fanno esitare o riescono persino a sconfiggere i più potenti, come Davide di fronte a Golia. Ma anche Giovanni XXIII, Martin Luther King, Hélder Câmara, Teresa di Calcutta, frère Ro179


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ger di Taizé o Nelson Mandela, «Davidi» del passato e ispiratori di molti, che hanno mostrato come l’apparente fragilità di alcuni sia fonte di vita, di futuro e di utopia per l’umanità. Il Dio che scese a piantare la sua tenda fra i più piccoli continua a incarnarsi una volta ancora nella fragilità umana di persone concrete. È morto in croce, mentre costoro hanno spesso sofferto persecuzioni e abbandono, ma seguitano a essere fonte di ispirazione per tanti esseri umani. Ovviamente, ci sono state anche epoche di armonia, di conciliazione e dialogo, e la Chiesa è stata per i suoi fedeli la sposa bella con cui hanno convissuto in gioia e consolazione spirituale. Altri sono stati capaci di ideare esperienze arricchenti, come quella di Chiara Lubich (1920-2008), che ha fondato il Movimento dei Focolari, composto da uomini e donne, laici, nubili e celibi, consacrati, sposati, cristiani e credenti di altre religioni ma anche non credenti, attratti dall’ideale di un mondo unito e solidale. La sua spiritualità è incentrata sul comandamento nuovo di Gesù: «amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati»; «che tutti siano una cosa sola» (Giovanni 15,12 e 17,21). Da qui sono sbocciati l’ascolto, la fratellanza, la benevolenza, la comprensione affettuosa delle ragioni degli altri, il dialogo come testimonianza dell’atteggiamento cristiano. Chiara Lubich ha profuso un impegno costante per la comunione nella Chiesa, per il dialogo ecumenico e per la fratellanza

fra i popoli, tre frutti trascendentali dell’amore per Dio e per i fratelli, risultati che rendono manifesta la sincerità o la falsità di tanti cristiani che usano fino alla sazietà le parole «amore» e «carità». La Chiesa dovrebbe in ogni momento manifestare nella propria vita la comunione delle persone divine. Che tutti siano una cosa sola costituisce o deve costituire l’anelito ecclesiale. La missione del papa, dei vescovi e dei cristiani deve essere centro di comunione nei rispettivi ambiti. Solo così può realizzarsi ciò che afferma il Vaticano II: «il popolo messianico, pur non comprendendo effettivamente l’universalità degli uomini e apparendo talora come un piccolo gregge, costituisce tuttavia per tutta l’umanità il germe più forte di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (cfr. Matteo 5,13-16), è inviato a tutto il mondo» (Lumen Gentium 9). Essere incapaci di creare comunione nelle diocesi e nella Chiesa costituisce uno dei peccati più nefasti di un vescovo, perché questa è la sua missione principale. E la comunione non consiste nell’uniformità, né nell’obbedienza cieca, né tanto meno in quello che uno solo in ciascuna Chiesa pensa e decide, ma nella fraternità, nella comprensione e nella misericordia, nell’amore e nel perdono reciproci.

4. Chiara Lubich.

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A fronte: 1. Il cardinale Giacomo Lercaro in conversazione all’epoca del concilio Vaticano II.

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Capitolo 32

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L’elaborazione degli schemi preparatori che dovevano essere discussi nel Vaticano II si svolgeva secondo la procedura abituale degli ultimi concili. Teologi e vescovi si riunivano seguendo il calendario prestabilito e redigevano gli schemi delle questioni considerate importanti sia dalla riflessione teologica sia da quella pastorale. In essi la parola «povero» non ricorreva molte volte. Sappiamo che il clima conciliare si andò sviluppando nei primi mesi con un atteggiamento sinceramente pastorale e rinnovatore, tendendo a esporre le diverse questioni in accordo alle speranze e ai problemi del momento che si stava vivendo. Un gruppo di una cinquantina di vescovi, di origine latinoamericana e asiatica, era intenzionato a far sì che il concilio si occupasse delle difficoltà e delle angosce umane più pressanti, in particolare di quelle dei poveri e di quanti soffrivano il dramma della fame e della miseria, consapevoli di come il problema della povertà implicasse aspetti teologici rilevanti. Prima che le sessioni iniziassero, questi vescovi ricevettero un documento da un gruppo di operai, che li sollecitavano a far presenti al concilio le speranze del mondo operaio, del mondo dei piccoli, del mondo dei poveri, a considerare cioè il rapporto d’amore che unisce la Chiesa ai poveri, identificati con Gesù, affinché chiunque si volgesse alla Chiesa di quel tempo riconoscesse in essa Gesù di Nazaret, il falegname. I vescovi erano coscienti del fatto che, se non fossero stati capaci di affrontare il tema con coraggio, avrebbero trascurato uno degli aspetti più importanti della realtà umana ed evangelica. In riunioni parallele a quelle conciliari, questi vescovi di diversi paesi insistettero sulla necessità che la Chiesa intraprendesse un cammino di riforma e di autocomprensione evangelica, incentrato sulla povertà, cominciando dalla rinuncia spontanea alle proprie

ricchezze, alle automobili di lusso e alle residenze prestigiose, sostituendo le insegne episcopali troppo preziose con altre più semplici e meno costose; ma la cosa non era facile. Pensavano che i vescovi non potessero parlare di Cristo povero se essi stessi non vivevano in povertà. Cristo aveva detto che il suo regno non era di questo mondo, ma la nostra debolezza ha trasformato la sua Chiesa in un impero, e non è facile sbarazzarsi di tanto sovrappiù antievangelico. Probabilmente, il risultato più rilevante ottenuto dal gruppo fu il discorso tenuto il successivo 7 dicembre dal cardinale Lercaro, arcivescovo di Bologna, nell’aula conciliare. Lercaro propose davanti ai vescovi, come idea dominante dell’ecclesiologia conciliare, quella della «Chiesa dei poveri», un termine tratto dal magistero di Giovanni XXIII: «Questa è l’ora dei poveri, dei milioni di poveri che sono su tutta la terra, questa è l’ora del mistero della Chiesa

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madre dei poveri, questa è l’ora del mistero di Cristo soprattutto nel povero». Per Lercaro non si trattava di svolgere questo tema in un ennesimo documento, come una delle tante questioni da esaminare, ma di considerarlo come l’unico «tema di tutto il Vaticano II», «l’elemento di sintesi, il punto di chiarificazione e di coerenza di tutti gli argomenti sinora trattati e di tutto il lavoro che dovremo svolgere». Per il cardinale, il più ampio e decisivo orizzonte della Chiesa doveva essere quello dei poveri e dell’attenzione pastorale alle loro necessità e ai loro desideri. Insistette che si trattava di una prospettiva urgente, perché il problema della povertà risultava angoscioso e ineludibile, a tal punto che per lui il concilio si stava svolgendo nell’«ora dei poveri»46. Questa situazione richiedeva che vescovi e teologi approfondissero la dottrina evangelica sulla povertà, in quanto «aspetto essenziale del mistero di Cristo». Lercaro chiese che venisse chiarita la connessione profondissima, «ontologica», esistente tra la presenza di Cristo nei poveri e la sua presenza nelle altre due realtà profonde del mistero di Cristo nella Chiesa: l’eucaristia e la gerarchia.

2. Papa Giovanni XXIII annuncia il concilio Vaticano II. La «Chiesa dei poveri» è già presente nella sua allocuzione preparatoria al concilio.

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gli esseri umani più sfortunati. Si tratta di superare qualsiasi barriera esistente, allo scopo di dimostrare amicizia e vicinanza al proprio fratello, ed è la miseria a costituire il più alto muro di separazione. In ogni caso, non possiamo ignorare la considerazione della povertà che il pensiero teologico dimostra, prima e dopo il Vaticano II. Troveremo sicuramente presenze e sfumature prima impensabili. Per esempio, Giovanni Paolo II, nella sua prima enciclica, ha invitato l’episcopato ad aiutarlo a scoprire la via verso la povertà perduta. Sarebbe anche molto utile e illuminante dar conto delle progressive reazioni di vescovi e religiosi nel periodo postconciliare. Lo Spirito del Signore è certo stato presente anche qui, nella lenta e complessa evoluzione seguita al concilio. Bisogna riconoscere che molte cose sono cambiate da allora sotto la corazza ecclesiastica: Paolo VI vendette la tiara ricevuta in regalo dai suoi fedeli milanesi e destinò il ricavato ai più poveri. Poco prima della fine del concilio, lo stesso papa donò a ciascuno dei vescovi una medaglia commemorativa. Su una delle facce, si vedeva un crocifisso di fronte al quale il papa deponeva la tiara, mentre dal cielo un angelo

Infine, segnalò ed esaminò alcune necessarie conseguenze di questa nuova considerazione della povertà nella vita della Chiesa: la limitazione dell’uso dei mezzi materiali nell’organizzazione ecclesiastica; l’adozione di un nuovo stile di vita e di azione da parte delle autorità ecclesiastiche, meno pomposo e più austero; la fedeltà degli ordini religiosi alla povertà, non solo nell’ambito individuale ma anche in quello comunitario; l’abbandono di mode e tradizioni, riti e simboli, strutture patrimoniali, reliquie del passato che non solo non costruivano nulla ma erano occasione di scandalo; lo sforzo di darsi a tutti, ma – sull’esempio di Cristo – preferibilmente ai poveri47. Il tema della «Chiesa dei poveri» era stato già proposto da Giovanni XXIII nella sua allocuzione dell’11 settembre 1962, un mese prima dell’apertura del concilio: «Altro punto luminoso. In faccia ai paesi sottosviluppati la Chiesa si presenta quale è, e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri». Non dimentichiamo che la spiritualità cristiana ha considerato la povertà non solo come un abbandono dei beni e dei criteri mondani, ma anche come un gesto di amicizia e fraternità per

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gli porgeva la mitra e un Vangelo. È il messaggio di una Chiesa povera, che non si vuole più sovrana alla maniera del mondo, ma evangelica e missionaria. Da allora nessun pontefice si è più posto sul capo la tiara, che in realtà manifesta soltanto la sovranità politica e il potere terreno. Sono anche cadute in disuso le sedie gestatorie, il patriziato romano, la corte pontificia, i corpi militari vaticani. I cardinali ormai non sono più considerati come principi, né portano più cappe di ermellino con i relativi strascichi, e non pochi vescovi hanno abbandonato i propri palazzi e gli anelli con pietre preziose, benché in alcuni di loro si intuiscano certe nostalgie e alcune velleità di ritorno al passato. In modo particolare, si ha l’impressione che questi religiosi abbiano compreso meglio la necessità di vivere una povertà istituzionale; in effetti, insieme a molti sacerdoti alcuni di essi hanno deciso di vivere e lavorare nei quartieri più poveri, a fianco delle persone più bisognose. La comunità cristiana deve mantenersi vigilante su questo atteggiamento, ed esigere dalle nuove generazioni che perseverino nel cammino intrapreso.

3. Un’immagine della prima sessione del concilio Vaticano II, che sarà il concilio in cui verrà messa a tema la «Chiesa dei poveri».

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In ogni caso, l’ecclesiologia si è arricchita con il concetto di popolo di Dio. Questo popolo è formato da poveri che vedono realizzate nella loro vita le promesse che Dio ha fatto agli esseri umani nel corso della storia. Questo popolo è composto da uomini che hanno bisogno di essere salvati. La Chiesa ha ripreso questo concetto per mostrare che fa parte integrante della storia umana, tende al regno che sta per venire e realizza la profezia di Isaia: «I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella» (Matteo 11,5). Questo concetto di popolo permette di affermare l’eguale dignità dei figli di Dio. Le persone colpite dalla povertà hanno questa stessa intuizione quando dicono: «Almeno quando preghiamo in Chiesa vediamo che c’è uguaglianza. Dio

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4-5. Paolo VI in Bolivia nel 1968 per la conferenza dell’episcopato latinoamericano di Medellín.

ama allo stesso modo i ricchi e i poveri». Alcuni anni più tardi, nella conferenza di Medellín (1968), viene detto che «l’episcopato latinoamericano non poteva rimanere indifferente di fronte alle terribili ingiustizie sociali che esistevano ed esistono in America Latina, che costringono la maggioranza del nostro popolo in una dolorosa povertà, e in molti casi in una miseria disumana. Un clamore sordo si leva da milioni di persone, che chiedono ai loro pastori una liberazione che non giunge loro da nessun altra parte» (Medellín 14,1-2). Le successive conferenze dell’episcopato latinoamericano a Puebla (1979), Santo Domingo (1992) e Aparecida (2007) hanno mantenuto questo livello di analisi della realtà e di esigenza comunitaria e personale. Disgraziatamente, si tratta di realtà e documenti poco conosciuti dai cristiani in generale.

Capitolo 33

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Uno storico del concilio Vaticano II ha definito l’arcivescovo Hélder Câmara come «uno che cerca l’impossibile». La sua fu una voce libera da vincoli, convinta dell’impossibilità di annunciare ed essere testimoni del Vangelo in mezzo a dorature barocche, candelabri e arazzi; attenta solo a ciò che chiede Gesù e non alla polvere dei secoli che ricopre tante chiese e istituzioni ecclesiastiche. Quando gli inviarono da Roma un questionario composto da cinquanta domande, rispose che esse non tenevano conto delle questioni più gravi e fondamentali del momento, problemi come l’eccessiva crescita demografica dell’America Latina o il sottosviluppo di due terzi dell’umanità. C’è una domanda che la Chiesa dovrebbe porsi con frequenza: stiamo dando importanza alle stesse cose cui dava importanza Gesù? Il Signore aveva criticato con severità quanti, dimenticando l’amore – cioè il modo stesso di agire di Dio – si concentravano su minuzie, riti inutili, tradizioni non fondamentali, condannando senza pietà i «trasgressori». «Verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò perché non hanno conosciuto né il Padre né me» (Giovanni 16,2-3). Nelle comunità cristiane si è impugnata talvolta la frusta dell’intolleranza, usurpando il potere e manifestando un atteggiamento che certamente non troviamo nel Vangelo e che ha poco a che vedere con il modo di fare di Gesù. Nonostante questo, non sono mai mancati quelli che si sono seduti agli ultimi posti, hanno perdonato settanta volte sette, hanno porto l’altra guancia e hanno costruito il regno di Dio con l’umiltà, la forza tranquilla e la convinzione che è Dio che semina e raccoglie. Hélder Câmara era convinto che solo se accettiamo le conseguenze dell’identificazione di Cristo con il povero saremo capaci di agire nel modo che ci richiede Gesù nella sua descrizione del Giudizio uni-

versale: lottando con coraggio a favore della pace, dell’amore e della giustizia, senza prestare attenzione alle preoccupazioni di questo mondo, sempre legate all’egoismo degli interessi personali; concependo l’esercizio del potere solo come servizio e la Chiesa come antitesi dell’imperio, della manipolazione e dell’imposizione. «Non è possibile essere cristiani e non stare dalla parte dei poveri», insisteva con chi lo accostava. «Non è possibile ottenere la pace senza praticare la giustizia, e la giustizia presuppone ai nostri giorni lo sviluppo economico e culturale. L’indipendenza politica deve essere accompagnata dall’indipendenza economica, senza la quale i Grandi sottomettono le nazioni. Non è onesto parlare di libertà a due terzi dell’umanità che non possono comprendere il significato della parola ‘libertà’». Non è onesto né coerente, potremmo aggiungere, pretendere certe libertà da popoli cui non procuriamo condizioni economiche che rendano possibili quelle libertà. Sognava una Chiesa che si facesse povera e serva, in quanto istituzione, in quanto esempio comunitario della fedeltà a Gesù: «i vescovi dell’America Latina si liberino delle terre della Chiesa donandole con intelligenza ai poveri; si pongano apertamente, decisamente e senza eccezioni dalla parte delle riforme strutturali; stimolino i movimenti per la nonviolenza affinché esercitino una pressione democratica che aiuti a vincere l’inerzia e l’egoismo dei poteri economici; stimolino lo sviluppo cercando di assicurargli un senso umano e cristiano, al fine di salvaguardare la dimensione umana nei piani d’investimento e di preparare l’uomo allo sviluppo attraverso programmi educativi che portino le masse subumane a trasformarsi in popoli»48. In un’occasione, libero da vincoli, abitante di un continente di miseria e di ignoranza, volendo mani185


1-4. Hélder Câmara e Óscar Romero ai lati di una foto aerea di Città del Messico (foto A. Stabin) e di una di un quartiere semidistrutto di Cochabamba, nella Bolivia degli anni Ottanta (foto C. Lavayén). L’America Latina esplode in sviluppo e distruzione. Lo sviluppo comporta l’abbandono di interi quartieri e la creazione delle favelas.

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festare il suo giudizio sul complesso intreccio che, con il passare del tempo, aveva intorpidito e sfigurato la Chiesa, affermò: «Ieri mi hanno chiesto quale sarebbe la prima cosa che farei se fossi Papa. Ho iniziato ricordando loro che non è per niente facile essere Papa. È difficilissimo. È difficile persino essere arcivescovo. Non so che cosa riuscirei a fare. Ma so che cosa avrei voglia di realizzare. Mi insedierei in piena Piazza San Pietro. Direi al popolo e al mondo che, in linea con Paolo VI che ha donato la sua tiara per non essere e non voler essere mai più un Re di questo mondo, in quell’istante, per una questione di coscienza, vorrei dire ai Paesi che hanno accreditato ambasciatori presso la Santa Sede che, malgrado il Papa ci tenga a mantenere sempre ottime relazioni personali con tutti i popoli, ormai non hanno ragion d’essere né gli ambasciatori in Vaticano, né i nunzi presso i governi… Direi la stessa cosa, con estrema delicatezza e misurando le parole per non ferire nessuno, al patriziato romano. E ancora, comunicherei la decisione di trasformare il Vaticano in semplici Museo e Biblioteca, affidati a un’istituzione internazionale che si impegnasse a mantenere questi organi 186

al servizio della cultura (il prezzo dell’affitto sarebbe impiegato per i poveri). Manie di Povertà!… Affinché la Chiesa sia serva come Cristo, affinché non offra al mondo lo scandalo di una Chiesa forte e potente che si fa servire, mi sembra fondamentale questo inizio da fare subito, il primo giorno. Vi rendete conto di che rivoluzione sarebbe?… Da lì alla riforma della Curia romana sarebbe un passo. Nella misura in cui sarà vissuta la collegialità e l’atteggiamento verso i vescovi smetterà di essere di sfiducia e di sorveglianza, la Curia potrà essere molto semplificata… Le spese scenderebbero moltissimo: senza nunziature né nunzi; senza il Vaticano da mantenere (le piccole Guardie resterebbero a vigilare il Museo, la Biblioteca, la Basilica, mantenute dall’istituzione affittuaria); con il decentramento effettivo del governo della Chiesa, il Papa potrebbe togliersi dall’imbarazzo dei beni che scandalizzano tanto. Forse il prestigio del Papa crollerebbe. Ma è essenziale che abbia prestigio? Essenziale è che faciliti alla gente l’identificazione fra Cristo e il suo rappresentante diretto e immediato sulla terra. Essenziale è che l’umanità non veda nella Chiesa un regno in più, un impero in più…»49.

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Questa visione rappresenta forse un’utopia, impossibile da realizzare? In ogni caso, mette in rilievo l’importanza delle parole di Gesù: «Non così voi», non agite come il mondo, non vi identificate con il mondo. Anche come istituzione, come comunità di fede, avete l’obbligo di fronte a voi stessi di agire come i singoli cristiani che seguono Gesù. Anche le istituzioni devono dare testimonianza, essere strumenti dell’amore di Dio, delle beatitudini pronunciate dal Signore. Il 24 marzo del 1980, Óscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, fu assassinato davanti all’altare maggiore della cattedrale per la sua difesa risoluta dei contadini e dei più poveri del Salvador, dove l’ingiustizia e la prepotenza di alcuni mettevano in pericolo imminente tutti quelli che si opponevano ai loro progetti. Non fu l’unico né il primo. Prima di lui avevano torturato e assassinato il gesuita Rutilio Grande (1977), fondatore di decine di comunità ecclesiali di base nelle quali contadini e operai credenti delle Americhe mettevano a confronto la loro vita quotidiana con la loro fede, e altri sacerdoti, catechisti e fedeli. Romero non difese

mai la violenza, ma fu consapevole dell’importanza sociale e, in un certo senso, rivoluzionaria dell’amore cristiano: «La Chiesa ha condannato sempre la violenza fine a se stessa o esercitata abusivamente contro i diritti umani, o usata come unico mezzo per difendere e affermare un diritto umano. Non possiamo fare il male per raggiungere il bene. Un soldato non è obbligato a obbedire a un ordine che va contro la legge di Dio. Una legge immorale non deve essere rispettata. La Chiesa non deve tacere di fronte a tanto abominio. Le riforme non servono a nulla se sono macchiate di tanto sangue. Nel nome di Dio e del popolo rassegnato, io vi supplico, io vi ordino: fermate la repressione!». In ogni momento, parlò con totale libertà delle conseguenze della Parola di Dio sulle azioni umane e del suo peso nella situazione salvadoregna. In un’omelia pronunciata il 3 dicembre 1978 affermò: «La Chiesa è vicina a ogni uomo che avanza rivendicazioni giuste in un contesto ingiusto, e che lavora per il regno di Dio. Il regno di Dio è più vicino alle zone di frontiera della Chiesa e pertanto la Chiesa apprezza tutto ciò che è in accordo con la sua 187


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A fronte: 1. Jacques Loew, domenicano, fece lo scaricatore al porto di Marsiglia e fondò la Mission Ouvrière Saints-Pierre-etPaul, piccola comunità di sacerdoti che condividevano la condizione operaia.

lotta per instaurare il regno di Dio. Una Chiesa che cerchi solamente di conservarsi pura e incontaminata non sarebbe una Chiesa al servizio di Dio e degli uomini». Sia Câmara sia Romero avvisarono e parlarono della responsabilità della Chiesa nello sviluppo dei popoli. Gli interventi pronunciati dall’arcivescovo brasiliano in alcune città europee segnalarono spesso con coraggio la responsabilità morale degli europei in tante situazioni ingiuste del Terzo Mondo. Hélder Câmara e Óscar Arnulfo Romero collaborarono alla redazione del documento finale di Puebla, specialmente nel paragrafo 4 del capitolo 2, intitolato Evangelizzazione, liberazione e promozione umana, in cui leggiamo: «Esistono due elementi complementari e inseparabili: la liberazione da tutte le forme del peccato, dal peccato personale e sociale, da tutto ciò che lacera l’uomo e la società e che ha la sua fonte nell’egoismo, nel mistero di iniquità; e la liberazione per la crescita progressiva nell’essere, grazie alla comunione con Dio e con gli uomini, che culmina nella perfetta comunione celeste, quando Dio sarà tutto in tutti e non ci saranno più lacrime. È una liberazione che si va realizzando nella storia, quella dei nostri popoli e quella personale, e che abbraccia le diverse dimensioni dell’esistenza: sociale, politica, economica, culturale, e l’insieme delle loro relazioni. In tutto questo deve diffondersi la ricchezza trasformatrice

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del Vangelo, col suo apporto proprio e specifico, che va salvaguardato». Pochi anni dopo la morte di monsignor Romero, nell’Italia del Sud vengono assassinati don Pino Puglisi e don Giuseppe Diana, uno sotto casa e l’altro in sagrestia, con un avvertimento chiarissimo: «Tu, uomo di Dio, celebra la tua messa, ma non ti immischiare con i poveri e con la politica». Vecchia accusa: l’avevano già usata con Cristo. Cinque secoli prima, il domenicano António de Montesinos predicò ai coloni di Santo Domingo un sermone di Natale (1511) che esprimeva il pensiero di alcuni Domenicani presenti in quelle terre: «Voi tutti vi trovate in peccato mortale, vivete e morirete in questa condizione a causa della crudeltà e della tirannia con cui trattate questi popoli innocenti. Dite con quale diritto e in virtù di quale giustizia tenete gli indios in questa crudele e orribile schiavitù. Chi vi ha autorizzato a queste guerre detestabili contro gente che viveva tranquilla e pacifica nei suoi propri paesi, e a sterminarla in numero infinito con omicidi inauditi? […] Forse non sono uomini, non hanno anima o ragione? Forse non siete tenuti ad amarli come voi stessi?». Assieme a Montesinos, Las Casas e Francisco de Vitoria, molti altri difesero i diritti umani di tutti gli abitanti delle colonie americane, ma spesso l’egoismo e l’ambizione pesarono più dei comandamenti evangelici50.

Capitolo 34

I PRETI OPERAI

Nel 1943 Henri Godin e Yvan Daniel scrissero il libro La France, pays de mission?51, una cruda descrizione della decristianizzazione della Francia e un appello appassionato alla sua rievangelizzazione. Come si era giunti a questa situazione, che negli anni successivi si è riprodotta in altri paesi tradizionalmente cristiani? Con l’Illuminismo erano diventati di moda la critica religiosa, gli attacchi alla Chiesa, il deismo e un razionalismo radicale che rifiutava la trascendenza. Gran parte degli intellettuali e dell’incipiente mondo borghese abbandonò la pratica religiosa, e la cultura dei Lumi si caratterizzò per un atteggiamento indifferente nei confronti del fatto religioso e per un’antropologia che non teneva conto della trascendenza. Le teorie di Darwin e la cosiddetta teologia liberale sembrarono aver volto le spalle alla tradizione cristiana. Ancora più doloroso risultò però l’abbandono delle Chiese da parte della classe operaia, dei nuovi poveri e poverissimi, ammassati in sobborghi senz’anima e senza qualità di vita, prodotto di una nuova mentalità egoistica che sfruttava i lavoratori senza che lo Stato ne proteggesse con leggi giuste i diritti e i diritti delle loro famiglie. In Francia, come in Gran Bretagna e in Germania, i paesi più industrializzati, questa nuova classe sociale aveva sostituito la fede tradizionale e la frequenza delle chiese con le nuove teorie socialiste e le Case del Popolo, con la conseguenza sconcertante che la Chiesa perdette contemporaneamente la borghesia liberale e gli operai socialisti. Dopo numerosi tentativi falliti di avvicinarsi e di aiutare questo popolo privato dei suoi diritti e delle sue credenze, nel 1943 il cardinale Suhard, arcivescovo di Parigi, creò la Missione di Francia, un tentativo generoso di interpretare la nuova situazione e di annunciare Cristo con voce rinnovata e rinnovate energie. Nacque così l’idea che i sacerdoti vivesse-

ro direttamente la condizione del mondo operaio. Furono anni in cui non pochi sacerdoti abbandonavano le proprie parrocchie per vivere nei quartieri più sfortunati e farsi così più vicini ai loro fratelli. Volevano essere presenti fra coloro che soffrivano, in comunione con i poveri, mettendo in pratica le parole di Gesù: «ai poveri è annunziata la buona novella» (Luca 7,22); volevano vivere il sacerdozio nel cuore stesso della Chiesa dei poveri52. Si moltiplicarono in modo sorprendente le iniziative, non sempre felici, di questi sacerdoti, accusati di essere più militanti che preoccupati dell’evangelizzazione, e più operai che preti, benché non se ne mettesse mai in dubbio la generosità e la buona volontà. A Tolosa, padre Jacques Loew e altri Domenicani lavoravano sulle banchine del porto come scaricatori; Loew, comunque, impressionato dalle circostanze del processo al cardinale Mindszenty, rifiutò di firmare le petizioni presentate dai comunisti sulla

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2. Quello che padre Joseph Wresinski ha fatto nel dopoguerra per i senza tetto in Francia è un’opera straordinaria. Qui lo vediamo in un momento difficile nel 1968, mentre la bidonville di La Campa, vicino a Parigi, veniva distrutta dai bulldozer (foto L. Prat).

pace e contro la bomba atomica. Proprio lì, i Piccoli Fratelli di Gesù dimostrarono che si poteva essere contemplativi mentre allo stesso tempo si lavorava nei luoghi più duri e difficili e si viveva nelle zone più miserabili. Le fraternità operaie sorsero in diversi luoghi, con tre caratteristiche che le definivano: ripetere la vita segreta di Gesù a Nazaret, praticare una sentita e profonda vita eucaristica, testimoniare con la propria vita personale l’amore evangelico. I sacerdoti del Prado, il Volontariato per i Diritti dell’Uomo più povero, il Movimento ATD Quarto Mondo e numerose altre iniziative analoghe raccolsero in tutti i paesi molti giovani tormentati dalla situazione di allontanamento e abbandono ecclesiale di tanti che in passato erano stati cristiani. Gilbert Cesbron descrisse suggestivamente alcuni di questi ambienti nel suo romanzo I santi vanno all’inferno53.

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3. Una famosa conferenza di padre Joseph Wresinski alla Sorbona nel 1983 (foto L. Prisset). Il titolo dell’intervento era «Scacco alla miseria». Oggi il Movimento ATD Quarto Mondo prosegue l’opera di Wresinski in molti paesi.

I PRETI OPERAI

A fronte: 4. Catena di montaggio in una fabbrica di automobili negli anni Sessanta (illustrazione di G. Bacchin).

Essa ha costituito una pagina meravigliosa della vita della Chiesa contemporanea, una Chiesa che, con perplessità e oscillazioni, angosciata per il massiccio abbandono degli operai e di quanti avevano aderito a movimenti sociali che riunivano i più miseri e i più deboli della società, ha tentato di incarnarsi fra i poveri e fra chi si era allontanato da essa, mossa dal desiderio di condividere la vita di tanti fratelli, occupandosi dei loro problemi e difficoltà, seguendo in tutto Gesù. Benché l’esperienza si sia svolta in Francia, seguendo un programma ben meditato, anni prima erano state avviate altrove iniziative analoghe, sia pure più localizzate e ridotte. In qualche modo, si trattava di «passare ai barbari», un’azione che richiedeva di abbattere le barriere ecclesiastiche e culturali che separavano la Chiesa dal mondo non cristiano, in particolare dal mondo operaio. Questa scelta risultava talmente piena di novità e rivoluzionaria rispetto alla prassi tradizionale che, fin dal primo momento, si ebbero perplessità e atteggiamenti prevenuti, soprattutto per il tentativo di conciliare la vita sacerdotale con il lavoro nelle fabbriche e in altri centri analoghi. L’ambiente di questi luoghi, lo stile di vita degli operai e lo sforzo del lavoro manuale non contaminavano gli obblighi e lo spirito sacerdotali? Non la pensava in questo modo Giovanni Battista Montini, quando nel 1948, al Congresso dei Laureati Cattolici, così si esprimeva durante la celebrazione della messa: «Mentre invece occorre simpatizzare con gli altri con totale amicizia per costruire il bene comune, non estraniarsi dalle forme di vita consuete, andare a tutti come hanno fatto in Francia alcuni sacerdoti che hanno vestito la tuta per lavorare nel porto con gli operai e meglio avvicinarli»; anche se, probabilmente, il suo giudizio sarebbe stato alquanto più sfumato cinque anni dopo. Nel 1953-1954 Roma proibì l’esperienza senza cercare né offrire alternative, in un clima di polemiche che coinvolse tutta la società francese. François Mauriac, su «Le Figaro», auspicò il ritorno a un regime concordatario che permettesse allo Stato di

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proteggere la libertà del clero francese dal predominio di Roma. Il cardinale Liénart, vescovo di Lille, ottenne che la Missione di Francia si conservasse sotto la forma di una prelatura nullius, con un’organizzazione più centralizzata. Le ragioni della crisi furono diverse, ma una sola si rivelò decisiva: la definizione tradizionale del sacerdozio e le modalità del suo esercizio. I responsabili della Santa Sede non furono capaci di superare una mentalità che molti consideravano anchilosata e parziale, che aveva deciso che il sacerdozio definito nel concilio di Trento non fosse solo uno dei possibili modelli sacerdotali, ma piuttosto l’unico. Non erano in grado di accettare la necessità di porre i problemi nel loro contesto storico, di ragionare non solo in chiave dogmatica ma anche in chiave storica. In realtà, si trattò dello

scontro tra due visioni del mondo, due modi diversi di concepire la società e la comunità cristiana, di definire la decristianizzazione. Nella terza sessione del concilio Vaticano II, un gruppo di vescovi chiese a Paolo VI l’autorizzazione perché ciascun vescovo potesse permettere ai suoi sacerdoti di intraprendere un lavoro professionale oltre a quello pastorale, con lo scopo di rendere più facile ai fedeli e alle persone che si erano allontanate la scoperta del volto di una Chiesa povera e serva. Non mancarono dopo il concilio preti operai in alcune diocesi, ma l’evoluzione ecclesiale posteriore sembra aver fatto svanire questo interesse nei seminari e nel clero. È una situazione che si potrebbe descrivere con le parole del poeta Péguy: «hanno le mani pulite, perché ormai non hanno più mani». 191


RESTARE IN ASCOLTO

Capitolo 35

RESTARE IN ASCOLTO

«Signore, ascolta la nostra preghiera» è una supplica che ripetiamo nella liturgia e nelle nostre preghiere personali, convinti che Dio, nostro Padre, rimanga in ascolto delle nostre richieste e delle nostre necessità. «Ascolta il grido del tuo popolo», gemevano i profeti nei momenti di angoscia. «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto», aveva rivelato Gesù ai suoi discepoli (Matteo 7,7). Nel corso della storia cristiana, i sacerdoti hanno ascoltato i fedeli nel sacramento della penitenza, facendo da orecchio di Dio a tante angosce e confidenze umane. In un momento di raccoglimento e di intimità, i cristiani si aprono a un ascolto mediatore, misericordioso, risanatore. Nella Caritas, molti volontari si recano nelle case degli anziani e dei malati per far loro compagnia e per ascoltarli, dimostrando loro che non sono soli, in un mondo apparentemente tanto interconnesso ma spesso anche talmente inospitale che i cittadini si isolano nelle proprie case, diffidando persino dei vicini della porta accanto. La più grande sventura di molte persone consiste nell’essere coscienti di venire considerate delle nullità, che le proprie sofferenze sono ignorate o sottovalutate. «La cosa peggiore è il disprezzo o l’indifferenza dei concittadini»54. L’organizzazione dei cristiani in parrocchie, in comunità di fede e vita, tende a favorire una reciproca maggiore conoscenza e confidenza, benché l’attuale decadenza del sentimento parrocchiale e l’individualismo religioso di molti credenti stia facendo sfumare questo spirito comunitario sino a farlo scomparire. Negli ultimi anni abbiamo dato nuovo senso e valore alla guerra, ai conflitti identitari, alle differenze religiose, alle disuguaglianze economiche e sociali, di modo che ci troviamo a far parte di un mondo più 192

1. Otto Dix, trittico La Guerra. Tempera su tela, 1929-1932. Gemäldegalerie Neue Meister, Dresda. Imitando i famosi trittici rinascimentali in cui venivano dipinti i grandi temi della fede (croce, resurrezione, agnello mistico…), Dix compie un’opera paradossale. La fede delle nazioni e delle potenze nella guerra ha portato a venerare una tremenda opera di distruzione.

pericoloso, molto più conflittuale, tanto nell’ambito cittadino e nazionale quanto in quello continentale e mondiale. Dobbiamo apprendere a vivere uniti. Il modo di riuscirci sta nel favorire il dialogo tra la gente per strada, il dialogo delle religioni, il dialogo fra culture. Dobbiamo conoscerci di più ed essere più ricettivi, perché ci troviamo pieni di riserve, diffidenze e pregiudizi reciproci. C’è, per altro verso, una forte secolarizzazione dei valori e delle relazioni, un nuovo materialismo che emargina i princìpi religiosi, di trascendenza, di fraternità. Salta all’attenzione nella nostra società occidentale l’ignoranza dei giovani delle sue radici culturali e religiose, del significato dell’arte che vedono nei musei, dell’origine delle festività e delle tradizioni. È più necessario che mai rianimare l’identità cristiana perché sia possibile fra gli stessi cristiani un dialogo che li arricchisca. L’interesse per l’unità dei cristiani non significa irenismo o indifferenza, ma presa di coscienza dell’assurdità rappresentata da tanti cristiani che hanno più a cuore qualche tradizione ecclesiale senza importanza che il comandamento di Gesù di restare uniti. Le parole di Cristo sulla necessità di essere una cosa sola nel Vangelo di Giovanni costituiscono un comandamento ineludibile per i suoi discepoli. In questo senso l’odio fra cristiani ha costituito uno dei peccati più gravi contro lo Spirito, mentre uno spirito sincero di ecumenismo è un segno di obbedienza al comandamento del Signore. Di fatto, il dialogo con Dio e con i fratelli ha costituito il cuore delle comunità cristiane. La liturgia della messa comprende un dialogo tra il sacerdote e Dio, tra il sacerdote e i cristiani dell’assemblea, tra l’assemblea e Dio, tra i fedeli tra loro per mezzo del segno della pace. Il saluto reciproco tra chi assiste alla messa in uno dei suoi riti finali, prima della comunione, costituisce uno scambio di fede e speranza, di

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2. Sano di Pietro, San Bernardino predica nel Campo. Tempera su tavola, 1440-1450. Museo dell’Opera del Duomo, Siena. San Bernardino predicò contro l’usura e in favore della solidarietà nei confronti dei più poveri e istituì i Monti di Pietà.

3. Noël Hallé (1711-1781), San Francesco di Sales consegna a santa Giovanna di Chantal la Regola dell’ordine della Visitazione. Olio su tela, XVIII secolo. Chiesa di Saint-Louis-en-l’Île, Parigi. La Regola che Francesco di Sales (1567-1622), vescovo di Ginevra residente ad Annecy, consegnò il 6 giugno 1610 a Giovanna di Chantal (1572-1641) permetteva alle religiose di portare assistenza ai poveri all’esterno; dovette in seguito essere modificata per obbedire alle prescrizioni del concilio di Trento sul rafforzamento della clausura delle monache.

affetto e complicità tra i partecipanti al rito fondamentale della religione cristiana, e la manifestazione del fatto che si sentono membri fraterni e spiritualmente collegati di una stessa comunità umana. Le campane delle parrocchie chiamavano e informavano e i fedeli ascoltavano, traevano le loro conclusioni e andavano. Le campane costituivano l’orologio della comunità, l’annuncio che Dio era con loro e l’invito a ricordarlo nella vita quotidiana. La parrocchia è stata per secoli il luogo di incontro, di

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4. Alcuni volontari della Comunità di Sant’Egidio: la loro caritativa non è solo un aiuto materiale, ma anche l’offerta di un rapporto di dialogo e compagnia.

conoscenza, di dialogo e di festa di tutto il vicinato. Ogni amore è un ascolto reciproco, un preoccuparsi per l’altro, un considerarsi dotati della stessa dignità e degli stessi diritti. Il cristianesimo primitivo non aveva abolito la schiavitù, ma i fratelli si ascoltavano l’un l’altro e si sedevano alla stessa mensa, pregavano assieme e mangiavano lo stesso pane. Le parrocchie si trasformarono nel centro sociale dei villaggi. La Chiesa si è chiesta molte volte in che modo debba continuare a essere la Chiesa dei poveri, in che modo

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debba ascoltarli, come aprirsi a loro, come comprendere il loro linguaggio, come amarli e confidare nella loro capacità evangelica in quanto poveri, per essere capace in qualsiasi momento di scoprire la gioiosa libertà della povertà che si adotta per scelta. Al giorno d’oggi siamo capaci di entrare nell’ascensore del nostro palazzo e di non salutarci, percorriamo cento chilometri in treno o in aereo senza salutare il vicino di posto, partecipiamo a raduni o veglie religiose, preghiamo con devozione, ma non ci consideriamo vicini a nessuno di quelli che ci circondano. Ancora oggi, molti che assistono all’eucaristia non si sentono disposti a scambiare il segno di pace con i propri fratelli. Si sentono membri di una Chiesa eterea, ma non fratelli del prossimo a loro vicino, soprattutto se non indossa l’uniforme che considerano adeguata. È una contraddizione, in un’assemblea di persone che chiamano «Padre» lo stesso Dio. Se ascoltiamo quelli che ci circondano finiremo per creare una comunità di fratelli, come hanno fatto i Piccoli Fratelli e Sorelle di Gesù di padre Foucauld; ascoltare la natura e quelli che incontrava nel suo cammino costituì il segreto di Francesco d’Assisi; Bernardino da Siena ascoltò la disperazione di quelli che erano caduti nella trappola dell’usura e istituì i Monti di Pietà; ascoltare, difendere gli indigeni di ogni tipo e star loro vicini costituì la gloria e il carisma dei vescovi durante i vari colonialismi; ascoltare le angosce e i bisogni di quanti li circondano è il compito dell’Azione Cattolica e di tante altre organizzazioni di apostolato; Bartolomé de Las Casas ascoltò il grido delle ingiustizie che schiacciavano gli indigeni e si impegnò a lottare in loro favore; il curato d’Ars ascoltò giorno e notte l’angoscia di quanti si confessavano con lui e fu capace di tranquillizzarli grazie al perdono di Cristo; Hélder Câmara ascoltò le sue comunità diocesane e chiese al concilio un’autentica conversione della Chiesa e una maggiore vicinanza ai bisognosi; ascoltare per tendere ponti agli altri e scoprire nuovi modi per servire meglio, come Giovanni di Dio e Camillo de Lellis; ascoltare per favorire la conoscenza e la confidenza, di fronte ai

RESTARE IN ASCOLTO

rischi di distruzione e di inimicizia, come fa la Comunità di Sant’Egidio nel suo dialogo con le altre religioni; ascoltare perché l’angoscia sia sostituita dalla confidenza e dalla possibilità di salvezza, allo stesso modo in cui Trinitari e Mercedari fecero nella loro opera per i porti del Mediterraneo; il concilio Vaticano II ascoltò e interpretò i segni dei nuovi tempi, suggerendo risposte per i cristiani. Tutte queste persone hanno tentato di curare, liberare, difendere, accompagnare, salvare i loro fratelli, ma prima di tutto

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RESTARE IN ASCOLTO

RESTARE IN ASCOLTO

5. Visitazione. Particolare del ciclo di affreschi dell’abside della chiesa di Saint-Martin a NohantVicq, Indre, Francia, inizi del XII secolo. Il volto di Maria si incontra con il volto di Elisabetta. L’intensità e la gioia delle due maternità sono espresse con forza. L’incarnazione di Dio entra nella storia attraverso una famiglia.

6. Il bacio di Gioacchino e Anna. Particolare del ciclo di affreschi della chiesa di Notre-Dame a Pouzauges-le-Vieux, Vandea, Francia, inizi del XII secolo. La Sacra Famiglia è storicamente preceduta dalla famiglia di Maria. Anna e Gioacchino attesero vent’anni prima che Maria fosse concepita. La loro fede creò l’ambito in cui Maria crebbe preparandosi al mistero che doveva incontrare: essere la madre di Gesù.

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si sono sforzate di mantenere le relazioni umane, di ascoltare invocazioni e proposte, di tenere compagnia nella solitudine. C’è bisogno di amici prima che di medici e sacerdoti. L’ascolto reclama e manifesta la necessità del pentimento e del perdono. Una Chiesa o un sacerdozio che perdonano nel sacramento ma non nella vita, che si riconciliano nel sacramento ma non sono capaci di riconciliarsi con il mondo, con gli uomini, con l’angoscia e lo sconcerto degli esseri umani, sono prigionieri della loro debolezza. Un vero perdono presuppone la libertà di amare, e questo risulta molto difficile. Per amare bisogna dare se stessi, mentre per perdonare basta solo un po’ di generosità. L’Inquisizione, le scomuniche, il continuo ricordare l’inferno e i demoni indicano una sconcertante incomprensione del fatto che il Signore è venuto a salvare e non a condannare. L’intransigenza e l’intolleranza così presenti nella vita del cristianesimo e l’insicurezza di tanti teorici della carità ci inducono a sospettare che spesso si sia ascoltato meno di quanto si dovesse. La disposizione all’ascolto presuppone dosi purificatrici di umiltà, comprensione e capacità di penetrare nelle situazioni personali di chi si apre, di chi mette a nudo la propria intimità con la speranza di essere compreso e rigenerato. Le missioni presso i conta196

dini presupponevano nelle intenzioni di Alfonso de’ Liguori e di Vincenzo de’ Paoli questa capacità di solidarietà e vicinanza; nel XIX secolo i fondatori e le fondatrici di congregazioni dedicate agli anziani, agli abbandonati, ai malati e ai bambini senza casa avevano questa finalità di rigenerazione del tessuto debole e derelitto della società, di recupero di una giustizia maltrattata in popolazioni organizzate ingiustamente, secondo parametri egoisti e disumanizzanti. È a casa, nella famiglia, che si deve ascoltare con la massima attenzione e gioia Dio nostro Padre, e ascoltarci fra di noi con rispetto e affetto. La famiglia è il luogo ideale in cui si può intuire l’importanza dell’amore condiviso, non solo con chi ci è più vicino ma anche con quanti ci circondano. È in questo ambito, durante lo sviluppo della propria personalità, che ci viene spiegato come l’amore del Dio che ci ha creato ci deve spingere a rispettare le sue creature. Questa piccola chiesa domestica deve essere lo spazio di comprensione della famiglia umana, dei legami che ci uniscono, delle nostre responsabilità reciproche. Anni fa, la storia sacra insegnata in questi primi anni di vita era intimamente collegata alla vita di Cristo. La mente ci si apriva alle nostre radici cristiane e alla comprensione del nostro posto nel mondo, un mondo che ci era stato affidato per migliorarlo e umanizzarlo.

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ACCOMPAGNARE IN SILENZIO: I PICCOLI FRATELLI E LE PICCOLE SORELLE DI FOUCAULD

Capitolo 36

ACCOMPAGNARE IN SILENZIO: I PICCOLI FRATELLI E LE PICCOLE SORELLE DI FOUCAULD Il Vangelo presentato ai poveri del Sahara è uno degli scritti di Charles de Foucauld, uno dei personaggi più affascinanti dell’epoca contemporanea, pieno di progetti, ansie e sentimenti, ma morto senza un solo discepolo55. Il 1º dicembre 1916 fu assassinato con le mani legate dietro le spalle, in ginocchio davanti alla porta di casa, con un colpo alla testa, nel deserto di Tamanrasset. Il suo corpo venne rinvenuto in un fosso, raggomitolato; stringeva un piccolo ostensorio che portava con sé. Una morte che aveva descritto tempo prima in una pagina: «Pensa che devi morire martire, spogliato di tutto, gettato a terra, nudo, sfigurato, coperto di sangue e di ferite, assassinato con violenza e con dolore». I suoi figli spirituali hanno

avviato forme di vita religiosa che aprono nuove vie alla presentazione della fede cristiana in un mondo pluralistico e secolarizzato. Il tramite tra Foucauld e la discendenza spirituale è stato René Voillaume, un personaggio affascinante, imbevuto degli scritti e dello spirito di quel solitario assassinato nel deserto algerino, capace di tradurre in gruppi di spiritualità e azione le intuizioni di padre Charles56. Non si tratta di un ordine monastico (non si ritirano dal mondo), né di un ordine mendicante o di chierici regolari (vogliono vivere del loro lavoro, come i poveri), né di una congregazione moderna (non perseguono una vita «attiva» nel senso di un’opera di misericordia o di apostolato), né di un istituto secolare,

1. Eremitaggio di Charles de Foucauld sull’altopiano dell’Assekrem, a 80 chilometri da Tamanrasset, nel Sud dell’Algeria. 2. Monti Tassili-Hoggar, Algeria. A causa dell’erosione presentano molti ripari sotto roccia, ricchi di arte rupestre.

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3. Charles de Foucauld nel 1912 in Algeria.

ma di una fraternità di fratelli e sacerdoti in uguaglianza di condizioni che lavorano come operai e vivono una vita contemplativa in comunità. Cercano di proporre una vita cristiana agli uomini loro fratelli non tramite il pulpito, la catechesi o l’insegnamento, ma con la vicinanza, la convivenza, l’amicizia e l’amore condiviso. Sono convinti, seguendo l’esempio del fondatore, che, se si desidera seguire Gesù e ricercare il volto di Dio, non ci si può mettere al di fuori del mondo, ma si deve «andare a Nazaret», dove sta la gente. Non bisogna cioè allontanarsi dal popolo, ma avvicinarsi e mescolarsi ad esso. Charles de Foucauld, nel prendere gli ordini, era cosciente

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4. Questa immagine del 1902 mostra Charles de Foucauld con schiavi che ha appena riscattato perché siano rimessi in libertà.

5. L’interno dell’eremitaggio di Charles de Foucauld sull’altopiano dell’Assekrem in Algeria.

di dover dedicare la sua vita e il suo sacerdozio ai più trascurati, e così hanno fatto i suoi seguaci. La loro spiritualità consiste nel lasciarsi amare da Dio e nel cercare il suo volto nella preghiera, nella vita di ogni giorno e nel volto di quelli con cui si vive, seguendo il fratello Charles, che diceva che si doveva «vedere in ogni essere umano un fratello», e vivere in mezzo ai poveri e agli emarginati, vivere come loro, senza predicare né evangelizzarli, ma amandoli. Fin dal principio è rimasta chiaramente stabilita la perfetta uguaglianza tra fratelli e sacerdoti, uguaglianza che presuppone un’unica formazione religiosa e dottrinale per tutti e la rottura del rapporto esclusivo tra sacerdozio e responsabilità.

In poco tempo, con la lenta e continua evoluzione del loro desiderio di rispondere ai bisogni degli uomini, sono giunti alla convinzione che le lunghe ore dedicate al lavoro impongono un altro ritmo di preghiera, diverso da quello che si praticava nella fraternità monastica del deserto. Tutto l’insieme della loro vita e della loro spiritualità eucaristica ha acquistato una nuova e intensa dimensione samaritana, nella condivisione quotidiana delle angosce e delle pene imposte alla vita dei poveri. Si tratta di una celebrazione eucaristica intensamente personale, legata alla vita, alla fatica e alla speranza. Non nascondono quello che sono, ma condividono

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6. René Voillaume (1905-2003), fondatore dei Piccoli Fratelli di Gesù, fotografato nel 1999 seduto sul pozzo del cortile della casa di Nazaret, con altri membri della fraternità.

con semplicità e normalità la vita e i problemi dei loro vicini di quartiere. A tutti loro, le confidenze dei compagni di lavoro o di quartiere, le ingiustizie che patiscono, le loro debolezze e i loro grandissimi bisogni stimolano il cuore, la mente e le energie e li avvicinano ancora di più a Dio; ma nella loro esperienza accade anche che i compagni cerchino di ascoltare le ragioni della loro fede, della loro speranza e del loro modo di vivere, in una reciproca condivisione. «Parlo molto di Dio», mi scrive uno di loro; «senza di Lui non saprei esprimermi, non saprei essere un confidente, non saprei essere amico». Si tratta di un altro modo di evangelizzare.

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Fin dal primo momento hanno avuto chiaro il carattere contemplativo della loro vita religiosa, di cui l’eucaristia è cuore e anima; ed è nell’eucaristia che i confratelli trovano la fonte del loro amore per gli altri, che li porta a vivere completamente e allegramente al servizio dei propri fratelli e a condividerne le croci e le preoccupazioni quotidiane, come faceva padre Foucauld. Questi contatti costanti devono aiutare i confratelli a conservare nella propria vita contemplativa il senso della sofferenza degli uomini, delle loro difficoltà quotidiane, delle loro preoccupazioni. Per mezzo di una vita vissuta in povertà e del lavoro quotidiano, condividono la sorte degli operai e trovano in questa esperienza personale il segreto della loro dedizione e uno stimolo per la loro preghiera. Il lavoro è considerato nelle fraternità come un modo di condividere la vita della gente, di rendere concreto il voto di povertà. Scriveva Voillaume in Come loro. Nel cuore delle masse: «Non si tratta soltanto di uno spirito di povertà, che è compatibile con qualsiasi attività o qualsiasi opera; si tratta di essere povero tra i poveri, operaio tra gli operai, piccolo tra i piccoli di questo mondo, ed è una scelta che comporta esigenze terribili. È per padre de Foucauld e per noi stessi una chiamata da parte di Gesù. Tutto ci spinge ad essa». Il lavoro è un luogo di incontro che li aiuta a trovare una collocazione e ad essere riconosciuti come alcuni dei tanti. Li colloca in un quartiere, nel sindacato. Sono lavoratori che quando tornano a casa tentano di essere presenti nella realtà dei loro quartieri, aiutando, assistendo, facendo compagnia. Magdeleine

di Gesù, fondatrice delle Piccole Sorelle di Gesù, esortava le discepole a diventare appartenenti «alla stessa famiglia, allo stesso ambiente, alla stessa patria di coloro che vuoi salvare; di questi assumerai la lingua, le usanze e persino la mentalità, per quanto diversa possa essere dalla tua. Dovrai farti una di loro […]. Come Gesù durante la sua vita umana, fatti tutto per tutti: araba in mezzo agli arabi, nomade fra i nomadi, operaia fra le operaie… ma, soprattutto, umana tra gli esseri umani. Non crederti obbligata, allo scopo di salvaguardare la dignità religiosa e la vita di intimità con Dio dai pericoli esterni, a erigere una barriera tra te e il mondo laico. Non ti porre al margine della massa umana»57. Troviamo le case delle Piccole Sorelle nei quartieri più malfamati, più abbandonati, più periferici, mentre lavorano alla vendemmia o nei campi dell’Estremadura, o puliscono pavimenti nelle officine o nella metropolitana della città. È una nuova concezione della vita religiosa, non necessariamente più generosa, ma certo più integrata nella vita quotidiana della società, più vicina alle gioie e alle pene dell’uomo della strada e dei lavoratori: «non ti si chiede, in nome della modestia religiosa, di vivere con gli occhi bassi, ma di aprirli per vedere vicino a te le miserie e la bellezza della vita umana e dell’universo intero». L’ideale è quello di padre Foucauld: «il Vangelo vivo, la povertà totale, il confondersi tra la gente abbandonata… e, soprattutto, l’amore nella sua pienezza». Non vogliono praticare la povertà convenzionale, ma la povertà dei poveri.

Capitolo 37

MADRE TERESA E LE MISSIONARIE DELLA CARITÀ

7. Un pozzo nel deserto. Disegno dal taccuino di Charles de Foucauld, eseguito nel 1885. Due simboli della dimensione monastica: il deserto in cui ritirarsi e l’acqua (il pozzo) che dà la vita.

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Madre Teresa si è trasformata nella seconda parte del XX secolo in una personalità piena di fascino, ammirata, seguita, presso la quale si recavano ministri, cardinali e vescovi, non grazie alla sua sapienza o al suo potere ma perché era considerata una delle grandi fonti di energia spirituale in un mondo angosciosamente arido di valori e di trascendenza. Ancora molto giovane sentì la vocazione religiosa e la sua congregazione la inviò in India, dove, dopo il noviziato e i voti, iniziò a insegnare alle giovani della borghesia. In poco tempo, si accorse della spaventosa miseria in cui versava buona parte della popolazione di Calcutta e sperimentò nel proprio intimo una folgorante ispirazione che la indusse a dedicarsi con tutta se stessa e con tutta la sua vita ad alleviare la condizione dei poveri, «dei più poveri tra i poveri», e a condurli a Dio. Si rese conto della necessità di abbandonare il convento in cui viveva, per abbracciare uno stile di vita che la rendesse identica ai più poveri, fra i quali cominciò a vivere, soffrendo e amando con loro e come loro. Cercava di infondere in quelle persone un senso di rispetto per se stesse, insegnando loro che Dio le amava. Poco dopo cominciarono a unirsi alla sua iniziativa giovani disposte a vivere con lei alla maniera dei poveri dell’India, mangiando solo riso e sale, finché qualcuno spiegò loro che se continuavano ad alimentarsi così frugalmente avrebbero finito per contrarre la tubercolosi, che affliggeva la miserabile popolazione che aspiravano ad aiutare. Come avrebbero potuto lavorare per gli altri alimentandosi in modo inadeguato? Madre Teresa accettò il consiglio e decise che l’alimentazione delle monache fosse semplice, senza prelibatezze, ma sufficiente per chi lavorava duramente tutto il giorno. Ogni mattina, mentre prestavano la loro opera negli slum, nei dispensari, negli alloggi dei moribondi e

dei bambini, le suore – la cui missione si incentrava nel curare con amore i propri fratelli – erano consapevoli che ciò che le sosteneva interiormente era la forza di Cristo, che avevano ricevuto con l’eucaristia. Essa le spingeva a svolgere i loro compiti con l’allegria che lo Spirito Santo diffonde nel cuore di chi gli appartiene e lo serve con totale dedizione. Erano compiti piacevoli? Non sempre, ma li adempivano con fede, mosse dalle parole del Signore, che dopo aver lavato i piedi dei discepoli aveva promesso loro che sarebbero stati felici se avessero compiuto anch’essi ciò che aveva appena fatto. Dovunque arrivano aprono scuole per i bambini più poveri degli slum: scuole domenicali per insegnare ai piccoli a pregare, scuole professionali per insegnare a cucire e a svolgere varie professioni per potersi guadagnare da vivere; moltiplicano i dispensari, preparano i giovani al matrimonio e alla vita di famiglia. Vestono gli ignudi, distribuiscono medicine ai malati, costruiscono case di accoglienza per i bambini abbandonati, per i vecchi, per i ritardati mentali; curano la pulizia, dando così l’esempio ai poveri, invogliandoli a lavorare e a non rimanere oziosi. In alcuni luoghi hanno fondato ospedali capaci di accogliere centinaia di persone e ostelli per donne abbandonate. Ogni volta, i poveri di ogni tipo le sentono vicine, instaurano con loro relazioni personali, le percepiscono come se fossero dei loro. La prima opera importante delle missionarie è stata la Casa dei Moribondi di Kaligat, in cui alloggiano i numerosi moribondi abbandonati sui marciapiedi. Uno di costoro confessò a madre Teresa, che lo assisteva mentre stava morendo: «Grazie, madre! Ho vissuto per la strada come una bestia; grazie alle vostre cure amorose, sto per morire come un angelo». Teresa li trattava come persone e insegnava loro a essere tali, anche nella morte, sottraendoli allo spet203


MADRE TERESA E LE MISSIONARIE DELLA CARITÀ

tacolo delle strade. Verso la fine della propria vita, rivelò che sotto quel tetto erano morte circa 45.000 persone. Più tardi fondò la Città della Pace, una colonia e centro di riabilitazione per i lebbrosi. Non vi si offrono solo cure, tranquillità e medicinali, ma anche speranza; speranza e fede nella bontà eterna di Dio. Le religiose, giovani e istruite, si chinano sui malati, lavano le loro piaghe, sorridono e fanno forza, senza mai perdere la pazienza e l’allegria. Benché siano degli sconosciuti, li curano come autentiche sorelle, rispecchiando sempre e con semplicità l’amore di Dio. Grande ammiratrice di san Francesco d’Assisi, ricordava alle sue religiose che il santo non si era vergognato di chiedere per i poveri e di ricevere gli avanzi, che divideva con loro. Allo stesso modo, le religiose non dovevano vergognarsi di chiedere per i poveri, benché la questua rappresenti una forma di povertà disprezzata nel mondo moderno.

2. William Congdon, Bombay, 20. Olio su pannello, 1973, particolare. Sul marciapiede della metropoli indiana stanno gruppi di «uomini larva». Per il pittore americano Congdon le strade dell’India sono il luogo della condizione umana radicalmente immiserita.

Spronava le religiose sempre con dolcezza: «Siate allegre, Dio vi ama, soprattutto quando il lavoro che realizzate in suo nome è duro». Le incitava a imitare la perfetta allegria di san Francesco, il suo totale abbandono in Dio, la sua fiducia filiale nel Padre che per amarci ci ha creati. Di fatto, le suore recitano tutti i giorni la preghiera di san Francesco per ottenere da Dio la grazia di essere amabili, tramite devoto di amore e allegria: «Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace». Questa preghiera riassume lo spirito di suor Teresa e della sua opera: la mia felicità dipende dalla felicità degli altri e dall’amore di Dio. Siamo suoi strumenti, «una matita in mano a Dio» per scrivere sul cuore degli esseri umani ciò che lui desidera e determina. Un giorno, nella Casa dei Moribondi di Kaligat, un visitatore restò ammirato dalla pace che vi regnava. Madre Teresa gli rispose che era dovuta alla presenza di Dio. Dio era sempre presente e attivo con il suo amore.

1. Madre Teresa nella Casa dei Moribondi a Kaligat.

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3. William Congdon, Crocefisso, 64. Olio e cenere su pannello, 1973.

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4. William Congdon, India, 4 – stazione Calcutta, 1. Olio su faesite, 1975. Congdon, proveniente da una facoltosa famiglia di Providence, negli Stati Uniti, aveva partecipato alla guerra guidando disarmato un’ambulanza sul fronte italiano. Nel dopoguerra decide di fare il pittore a New York, dove frequenta la Bowery, quartiere allora pieno di senza tetto. Incontra poi Dorothy Day e il movimento Catholic Worker e dipinge i luoghi più oppressi di New York, una specie di preparazione all’India, che visita già negli anni Cinquanta, ma con cui negli anni Settanta ha un nuovo incontro. Madre Teresa gli ricorda Dorothy Day, ma ciò che più conta è quanto espresso dalla sua pittura. Il Crocefisso, 64 è un «uomo larva»: nella figura degli ultimi e dei più miserevoli Congdon vede Cristo. La stazione di Calcutta, con i corpi stesi per terra, è una specie di apocalittica costruzione del disagio umano.

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MADRE TERESA E LE MISSIONARIE DELLA CARITÀ

5. Il sorriso di madre Teresa di Calcutta nell’abito della congregazione delle Missionarie della Carità, da lei fondata.

6. Un gruppo di Missionarie della Carità durante il Congresso Eucaristico del Sud-Est degli USA a Charlotte, Carolina del Nord, nel 2005.

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Capitolo 38

EMMAUS E ALTRE COMUNITÀ

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Molti cristiani nella storia sono stati capaci di porre strettamente in rapporto nelle loro vite la preoccupazione per un’umanità più giusta e solidale, più fraterna e aperta, con l’intenso sentimento di filiazione da un Dio sempre presente. Ricordiamo i nomi di Catherine Labouré, Elizabeth Ann Seton, Frédéric Ozanam, Giuseppe Benedetto Cottolengo, Luigi Orione e tanti altri grandi santi, fondatori, protettori generosi della società, che affollano la nostra storia credente di cristiani. Come spesso succede, non si tratta tanto di parole, 208

formule e concetti, quanto di sentimenti e coerenza, di dedizione e accettazione del grande comandamento dell’amore. Si tratta sempre di scoprire la presenza di Dio, che ispira e attrae verso il suo modo d’essere e di agire. I suoi figli allora lo servono spontaneamente nel prossimo, quando se ne occupano aiutandolo, difendendolo e proteggendolo, curando le piaghe e le sofferenze dei fratelli e delle sorelle dolenti di Cristo. In loro, la constatazione del fatto che il sacro è presente nella vita rafforza il rispetto e l’amore per Dio.

La preoccupazione per i fratelli malati, abbandonati, senza tetto e senza futuro, la sofferenza di chi vive con noi e i bisogni di quelli che non conosciamo personalmente ma sappiamo che esistono continuano a costituire nel nostro secolo una sfida alla nostra bontà e alla nostra sincerità. Si moltiplicano nelle nostre comunità credenti gli esempi di persone, iniziative e istituzioni sorte con l’intenzione di migliorare il destino di tante popolazioni sottomesse nei cinque continenti a una miseria che non cessa di aumentare. Ci sono molte persone nel nostro mondo che rifiutano l’inaccettabile, cioè la miseria e l’ingiustizia, che si sentono fratelli dei poveri, che combattono l’esclusione e dedicano la propria esistenza a difendere i diritti dell’uomo, anche mettendo in grave pericolo la propria vita. L’abbé Pierre (1912-2007) aveva conosciuto fin da piccolo le sofferenze del prossimo, perché suo padre l’aveva posto ben presto in contatto con i più diseredati: un incontro che avrebbe segnato la sua vita. Dopo aver scoperto la figura di san Francesco d’Assisi e deciso di farsi cappuccino, rinunciò all’eredità che gli spettava e la distribuì a diverse opere di carità. Ben presto cominciò a ospitare in casa sua gente che viveva all’aperto, nella miseria più assoluta, e la ricerca di un modo per sostentarsi li indusse a trasformarsi in rigattieri, che raccoglievano nella spazzatura quanto poteva essere ancora utilizzabile. Lavoro, vita comunitaria, aiuto ai più bisognosi…, aspetti che costituiranno l’essenza stessa del movimento di Emmaus, erano già presenti in questo piccolo gruppo di pionieri. Nel 1952 rese cosciente l’opinione pubblica del dramma della mancanza di alloggi in Francia, e si spinse a costruire con i propri collaboratori i primi blocchi di case, costringendo così il governo a rico-

noscere il grave problema. Il gruppo dell’abbé Pierre si tenne costantemente in azione affinché nessuno dovesse continuare a vivere sui marciapiedi. Dopo il suo appello alla radio si produsse un incomparabile moto di solidarietà, «l’insurrezione della bontà», che forzò il parlamento francese ad approvare una legge per la costruzione di case popolari. Grazie all’abbé Pierre nessuno può più sostenere che procurare l’alloggio non sia un dovere dello Stato. Le sue capacità e il suo carisma «di servire in primo luogo quelli che soffrono di più» lo condussero a intraprendere una battaglia universale della quale furono testimoni e beneficiari moltitudini di uomini isolati e di vagabondi. Il suo movimento si estese ai cinque continenti, trasformandosi in una crociata mondiale contro la miseria e a favore della pace. Visitò numerose nazioni difendendo con le parole e le opere quelli che non avevano voce. Fondò innumerevoli comunità, ispirandosi per tutte allo stesso principio: «la povertà giudica il mondo», accusando quanti ipocritamente non solo non si mobilitavano, ma guardavano anche dall’altra parte e dimenticavano la realtà. Fu il motore del movimento, ma poté contare su migliaia di volontari che si dedicavano anima e corpo a ottenere condizioni di vita più umane e giuste per gli abbandonati di questo mondo. Nel corso della sua vita denunciò tutte le forme di ingiustizia, lottò contro la fame nel mondo, animò infaticabilmente le imprese delle comunità di Emmaus. Si trasformò in uno sprone contro l’indifferenza di quanti avevano la capacità e i mezzi per risolvere molti dei problemi esistenti fra i più deboli e gli emarginati della società. Nel 1974, dopo la crisi petrolifera, protestò contro le nuove povertà, in favore dei nuovi poveri: «Ricchi sciagurati, che accumulano oro e gioielli nei forzieri delle banche! Sono 209


EMMAUS E ALTRE COMUNITÀ

ladri. Perché i beni e le fortune, nei momenti di crisi, devono essere condivisi. Si devono soccorrere quelli che sono sul punto di morire; si devono soccorrere creando imprese vitali in cui possano trovare impiego e salario. È necessario che la voce degli uomini senza voce impedisca ai potenti di dormire». Non poteva accettare che nel XXI secolo, in un paese ricco come la Francia, milioni di persone vivessero sotto la soglia della povertà, in una nazione con tre milioni di residenze secondarie e altrettante persone prive di un’abitazione decente; spronò i giovani a non sentirsi impotenti di fronte a tanta sofferenza, e ad agire con coraggio perché l’inazione venisse finalmente considerata un crimine contro la nostra umanità58. Il domenicano Henri Burin des Roziers è da trent’anni l’avvocato dei senza-terra del Brasile, il primo avvocato ad aver portato in tribunale un importante la-

1. L’abbé Pierre a Neuilly-Plaisance (1954-1956) davanti a un furgone: «Emmaus, straccivendoli, costruttori».

tifondista per aver fatto assassinare un contadino che aveva difficoltà ad adempiere le sue richieste. Aggregato alla Commissione Pastorale per la Terra, al servizio della causa dei contadini e dei lavoratori rurali del Brasile, fianco a fianco con altri missionari e alcuni laici, aveva deciso, consapevole che questa fosse la via per uscire da una situazione sociale disperata e manifestamente ingiusta, di difendere nei tribunali i contadini, sottomessi e schiavizzati dai grandi proprietari terrieri e da buona parte della classe politica e poliziesca. Sentiva la necessità di cercare una via legale per risolvere il problema agrario e di mettere in evidenza le contraddizioni esistenti tra la legge e la realtà. Questo impegno di buona parte della Chiesa brasiliana ha attaccato alle fondamenta e destabilizzato il clima di terrore e di silenzio imposto con la forza. Fin dal suo inizio, questo sforzo generoso e coraggioso ha fa-

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2. Foto da un reportage di Koldo Chamorro in una comunità fondata nel Mato Grosso brasiliano dal clarettiano Pedro Casaldáliga, oggi vescovo emerito di São Félix do Araguaia. Contestatore dei mali del liberismo economico, Casaldáliga ha promosso questa comunità che accoglie bambini tra i più poveri del pianeta.

3. Il gesuita Pierre Ceyrac (1914-2012), figura straordinaria prossima a Jules Monchanin e tutto dedito alla carità. Nel 1936 è partito missionario in India, a Madras (Chennai). Diverrà responsabile di un grande movimento studentesco, aprirà a Manamadurai forme di fattorie autogestite per i più poveri e tra il 1980 e il 1993 opererà nei campi profughi cambogiani in Thailandia. La foto qui pubblicata riguarda uno di questi campi.

vorito la nascita di nuovi movimenti sociali, ha dato impulso al raggruppamento sindacale dei lavoratori, affermando che non c’è vera vita senza dignità. Ha difeso il pluralismo delle idee e il carattere ecumenico del movimento che ha sostenuto dall’inizio la lotta dei diseredati della terra. Ha celebrato la fede e annunciato la speranza, con molto dolore e angoscia, con molto entusiasmo e solidarietà. Nel 1992, quando padre des Roziers fu inserito nella lista segreta di chi doveva essere assassinato, il maestro generale dei Domenicani, Timothy Radcliffe, gli indirizzò una lettera aperta in cui diceva: «Abbi fiducia, i tuoi fratelli di tutto il mondo sono con te. Ci sentiamo molto orgogliosi di ciò che fai a favore dei diritti dei contadini; si tratta di una grande opera di giustizia e di una vera predicazione domenicana del Vangelo»59.

Dopo il 1968, nei paesi europei più industrializzati si è posto l’arduo problema del Terzo Mondo in casa propria, cioè il problema degli immigrati e dell’assenza di diritti per chi giungeva da una terra straniera. Molti sacerdoti e laici hanno difeso i diritti degli immigrati, opponendosi agli ostacoli interposti dalle imprese e anche dalle amministrazioni pubbliche. Le Caritas di ciascun paese, con strumenti giuridici ed economici e con migliaia di collaboratori, hanno dedicato grandi sforzi al compito di accogliere gli immigrati e di facilitarne la vita. Hanno segnalato il pericolo che ogni nazione si trasformi in un bunker di paura e diffidenza, e hanno favorito atteggiamenti di accoglienza, che rifiutino il timore istintivo dei nuovi «barbari», che facciano il possibile per accoglierli e integrarli, malgrado le innegabili difficoltà presenti in società tanto complesse e pluralistiche,

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4. Sœur Emmanuelle (1908-2008), da poco scomparsa, nel 2008 è stata eletta «Donna di Francia» dal settimanale «Elle». Voleva dedicarsi ai più poveri: vi riuscirà a 54 anni, inviata in Egitto, dove vivrà con gli straccivendoli delle bidonville del Cairo. Lì comprende che la povertà, non ancora miseria, è una ricchezza. Da lì è nato un movimento internazionale.

in cui non mancano gli antisistema e i violenti. Non è facile, ma tutte le parrocchie sono impegnate nel problema, e la Caritas affronta con coraggio e creatività una delle sfide più complesse e foriere di speranza degli ultimi decenni. Questa accoglienza si presenta in molte varianti, in funzione delle diverse situazioni esistenti oggi nella nostra società. Uno dei problemi più angoscianti e preoccupanti è quello della prostituzione di massa delle donne e dei bambini africani. Siamo di fronte, in un certo senso, alla riedizione della tratta degli schiavi dell’inizio dell’epoca moderna, un traffico mondiale che si svolge sotto gli occhi di tutte le nazioni e che si è trasformato in un mercato che arricchisce individui e organizzazioni a spese dei più deboli. Si tratta in realtà dell’industrializzazione del commercio sessuale. L’aumento delle disuguaglian-

ze sociali e l’impoverimento di numerosi popoli, che ricade soprattutto sulle donne e sui bambini, causandone l’emigrazione, favoriscono il commercio di persone, favoriscono la prostituzione. Le mafie che gestiscono il mercato della prostituzione sono violente, e non è possibile affrontare il problema nella sua globalità da parte delle organizzazioni caritative parrocchiali o diocesane, benché non possiamo dimenticare le congregazioni religiose fondate per affrontare questo tema, né le molte organizzazioni specificamente dedicate ad aiutare chi soffre nel corpo e nell’anima questa schiavitù, né i programmi della Caritas. In ogni caso, si impone un’azione generalizzata di pressione dei cristiani sui governi e sulle istituzioni internazionali, che sono gli unici capaci di far fronte con successo a questo tipo di criminalità organizzata60.

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Capitolo 39

LA CARITAS INTERNAZIONALE

Nel 2011, la Caritas Internationalis, organizzazione ecclesiale composta da 165 Caritas nazionali, dipendente dalle diverse conferenze episcopali e in stretta connessione con la Sede Apostolica, è senza dubbio una delle istituzioni che godono di maggior prestigio nella società, grazie alla sua attività umanitaria e caritativa, nonché per l’affidabilità dei suoi documenti. Nella Caritas troviamo, oltre al rispetto della dignità umana, il progetto di annullare o mitigare gli effetti che la sofferenza genera tra i più derelitti; la ricerca impaziente di rimedi a tutti i mali; la lotta convinta e generosa a favore della giustizia. Nelle parole di Giovanni XXIII: «Organizzando la carità dei cattolici con mezzi tecnici appropriati e a partire dalle necessità del mondo intero, voi recate la presenza immediata della Chiesa là dove il mondo soffre. In questo modo adattate efficacemente la carità ai bisogni dei veri poveri di oggi, e per alleviarne i dolori sapete utilizzare con maggior efficacia gli aiuti che i cattolici offrono a favore delle miserie umane» (Quinta Assemblea generale della Caritas Internazionale, 1960). I membri della Caritas sono coscienti della necessità di collegare la crescita e lo sviluppo economico a politiche sociali di distribuzione di beni e servizi che rendano fattibile l’accesso di tutti a livelli minimi di benessere, capaci di garantire una vita degna agli esseri umani. Si sforzano di mantenere la loro presenza nelle realtà sociali meno fortunate tramite interventi assistenziali, di promozione e animazione comunitaria, di formazione permanente, di educazione e di pratica della solidarietà universale, a partire dalla connessione e interazione delle Caritas delle Chiese più potenti e generose con quelle del Terzo Mondo. L’azione caritativa ha come destinatari le persone vulnerabili, cioè le famiglie povere e con problemi di integrazione sociale; i bambini appartenenti a gruppi di immigrati e a minoranze etniche, i bam-

bini disabili, quelli che vivono in famiglie monoparentali o in quartieri depressi; per i giovani si prevede lo sviluppo di percorsi formativi ed educativi, la promozione del volontariato giovanile, il sostegno a quelli di loro che si trovano in situazioni di particolare conflittualità, l’animazione comunitaria. Lavorano con donne con carichi familiari non condivisi, con mezzi economici insufficienti o nulli, con scarso sostegno da parte delle reti familiari e sociali, con indici di salute deficitari; che subiscono violenza o la tratta o la prostituzione. Fanno compagnia ad anziani che vivono soli, li mantengono in condizioni adeguate di igiene, salute e abitative, favoriscono lo sviluppo dell’autostima personale, mantengono una collaborazione e un coordinamento stretti con i servizi sociali e sanitari, creano centri di accoglienza diurna. In questo periodo una delle loro attività più importanti riguarda gli immigrati, e comprende l’accoglienza, l’ospitalità temporanea, la consulenza giuridica, la formazione, il co-sviluppo61. Il lavoro con persone disabili presuppone un’attenzione integrale alla persona e al suo ambiente, con una cura speciale per l’ambiente familiare. Queste sono solo alcune delle attività della Caritas, che naturalmente si moltiplicano nei paesi più bisognosi, in modo speciale in occasione di crisi economiche gravi. Per compiere la loro missione e la loro vocazione samaritana, le Caritas parrocchiali sono impegnate in un continuo processo di avvicinamento ai poveri e agli esclusi, con lo scopo di riuscire a scorgere i bisogni reali dei più poveri e di scoprire la maniera più adeguata di rispondere a essi. I mezzi su cui può contare la Caritas provengono fondamentalmente da campagne specifiche, organismi diocesani e donazioni individuali, benché risultino importanti, a seconda dei paesi, anche altri finanziamenti privati e talvolta pubblici. 213


1. Estate 2012. Profughi siriani fuggono dalla guerra civile e passano in Giordania. La Caritas giordana procura loro qualsiasi mezzo di sussistenza, compresi indumenti e coperte preparati dal Comitato Centrale Mennonita per i rifugiati siriani a Zarqa, in Giordania.

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Desta emozione la presenza e la collaborazione intensa delle varie Caritas nazionali con i paesi più sfortunati di Asia, Africa e Americhe sulle questioni della salute e dell’educazione, promozione della donna, costruzione di infrastrutture, prevenzione di emergenze e ricostruzione, attività ambientalistiche in Amazzonia, Bolivia e nei Caraibi, partecipazione comunitaria, soddisfacimento di bisogni sociali di base, lavoro in zone rurali per promuoverne lo sviluppo; e inoltre opera di pacificazione e sensibilizazione nei Balcani, programmi di sviluppo in Cecenia, piani di sostegno pluriennali in Albania e a favore degli anziani in Armenia, formazione di lavoratori e di specialisti in Serbia, Ucraina e Mauritania, programmi per la lotta al traffico di persone in Ucraina. Sono solo alcuni esempi delle innumerevoli presenze e collaborazioni in praticamente tutti i paesi del Terzo Mondo. Indico qui quattro iniziative dei primi mesi del 2011. A Haiti, che soffre acutamente per le conseguenze del terremoto del 2009, la Caritas nordamericana

sta portando a termine, tra i molti progetti eseguiti nell’isola, la costruzione del ponte che unirà l’isola di Saint-Jean-du-Sud a diversi villaggi. Si tratta dell’unica via di comunicazione esistente fra gli abitanti dell’isola e la terraferma, l’unica possibilità che 35.000 persone possano condurre una vita normale. Alla costruzione hanno lavorato gli stessi abitanti che beneficeranno dell’opera, che con questo salario hanno potuto mantenere le proprie famiglie. A Samoa e a Tonga, nel Pacifico, la Caritas dell’Australia e della Nuova Zelanda rappresenta il principale collaboratore nella laboriosa ricostruzione dopo lo tsunami del 2009: cibo, vestiario, ripresa delle lezioni scolastiche e messa a punto delle abitazioni danneggiate. Durante le prime settimane è stato offerto un servizio di aiuto psicologico per affrontare le conseguenze del fortissimo stress subìto dalle persone colpite. In Perù la Caritas locale, con l’attiva collaborazione della Caritas spagnola, si occupa di salute, alimentazione infantile, potabiltà dell’acqua, servizi sanitari,

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2. Giugno 2012, Sud Sudan. Ad Agok la Caritas ha organizzato scuole per migliaia di studenti fuggiti dalle violenze al confine tra Sudan e Sud Sudan; per queste scuole sono stati reclutati, in numero considerevole, insegnanti qualificati.

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LA CARITAS INTERNAZIONALE

3. Immagine di propaganda della Caritas indiana, nel dicembre 2013. Si tratta della campagna «Food for All», cibo per tutti.

Capitolo 40

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igiene di base e progetti per far sì che le popolazioni locali si possano sostenere col proprio lavoro. Tutto ciò si svolge tra i popoli andini, in condizioni particolarmente precarie, accentuate dai terremoti e dai cambiamenti climatici. La Caritas ha in Egitto come obiettivi fondamentali l’alimentazione e la cultura, nelle aree desertiche che circondano Il Cairo, Alessandria e la zona di Giza. Il complesso intervento prevede la collaborazione di 45 organizzazioni non governative e agenzie internazionali come l’UNESCO, coordinate dalla Caritas. Si aiutano ogni anno 20.000 studenti fra i 18 e i 45 anni. 216

Ultimamente si è aggiunto un programma specifico allo scopo di dotare le comunità rurali di biblioteche e di migliori strutture didattiche. Il gesuita Gabriel Nabil spiega come insegnare a leggere, scrivere e far di conto risulti fondamentale in queste zone. La Caritas internazionale costituisce una dimostrazione tangibile della solidarietà e della preoccupazione dei credenti di fronte alle situazioni di conflitto e di emergenza nel mondo, una manifestazione in più dell’interesse della Chiesa nella promozione del bene comune, un segno dell’amore dei cristiani per i loro fratelli di ogni razza e condizione.

Il mistero di Gesù inizia con la constatazione che egli stesso è stato un escluso, ha condotto una vita priva di stabilità ed è morto discreditato, disprezzato, umiliato, giustiziato fra due ladroni. Pascal lo descrive con la sua totale radicalità: «Vive trent’anni senza mostrarsi, per tre anni viene considerato un impostore, i sacerdoti e le autorità lo rifiutano; alla fine muore, tradito da uno dei suoi, rinnegato da altri, abbandonato da tutti» (Pensieri 636 B 792). È stato ed è la pietra d’angolo del mondo e della Chiesa, ma ha fatto dei più poveri i protagonisti e la linfa delle sue affermazioni più importanti e della vita della sua Chiesa. «Sono come pecore senza pastore»: così descriveva Gesù quelli che lo seguivano, un’espressione che indica preoccupazione, compassione e desiderio di alleviare la loro condizione. Nel corso della sua attività Gesù si mostra vicino alla gente, interessato ai suoi casi, impegnato a trovare soluzione ai suoi problemi, ad aprire i suoi orizzonti, disposto a offrirle risposte concrete alle sue angosce. Tutte le pagine dei Vangeli trasmettono questa determinazione del Signore a mitigare o sopprimere il dolore: la sua simpatia per una madre che aveva perduto la figlia, l’empatia nei confronti del centurione romano che intercede per il suo servo, la guarigione dell’emorroissa, la preoccupazione per la moltitudine affamata che lo segue, la sua immediata risposta alla supplica di quello che conosciamo come buon ladrone: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso» (Luca 23,43). Nella vita dei cristiani troviamo tutte le manifestazioni del carattere, della generosità e dell’egoismo dello spirito umano, ma è difficile trovare nella storia dell’umanità tante espressioni di amore e dedizione agli altri quante ce ne sono state nelle comunità cristiane. Innumerevoli spazi di comunione sorti

al riparo della fede in Gesù, esempi di generosità semplice o sublime da parte di persone sconosciute o di gruppi di volontariato che offrono quanto posseggono: il loro tempo, la loro buona volontà, allo scopo di ottenere l’eliminazione della povertà62. Il dolore umano ha mille cause e suppura in tante maniere, da abbracciare qualsiasi aspetto della vita: i malati, gli abbandonati di ogni tipo, gli orfani, i separati, quelli che abortiscono, quelli senza decoro, quelli che dubitano di Dio, i ciechi, chi soffre per l’ingiustizia o patisce per i pregiudizi. Le camere a gas della Germania nazista, il genocidio della Cambogia e del Ruanda, l’uccisione dei Gesuiti e del vescovo Romero nel Salvador, i gulag comunisti, la miseria provocata da certo capitalismo, e tanti altri crimini e ingiustizie che vengono perpetrati costantemente nel mondo, rappresentano il dolore permanente di Cristo, l’angoscia di Dio provocata dalla storia umana. In effetti a volte la grazia, la bontà, il potere di Dio si trovano a tal punto sommersi nell’oceano del male e del dolore che Dio sembra crocifisso una volta ancora in un mondo cieco e perverso; ma non c’è dubbio che questa situazione dolorosa sia stata nonostante tutto affrontata con coraggio e rifiutata dai testimoni cristiani nel corso dei secoli. Cristo è l’Alfa e l’Omega dell’universo, il creatore e la meta finale degli esseri umani. Ogni dolore risuona in lui come se fosse suo, ogni amore presente nel mondo sgorga in ultima analisi da lui, che alla fine della storia si presenterà come il Messia vincitore. Sempre si sono trovati nella Chiesa i dieci giusti che hanno mantenuto attiva la presenza di Cristo tra le fila dei martiri e di chi lo ha seguito. Non sono mai mancati quelli che si sono trasformati in combattenti a favore degli esclusi di questo mondo, persone che si sono armate d’amore, speranza e sapienza per 217


1. Guarigione dell’emorroissa. Pittura murale, catacomba dei Santi Pietro e Marcellino, Roma. «Gesù andava attorno per tutta la Galilea […], curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo» (Mt 4,23). Si tratta di una scena di grande forza simbolica ed espressiva. Il dipinto è al centro della grande lunetta di un arcosolio tombale. Gesù vi appare come «guaritore», l’unica cosa richiesta è affidarsi a lui.

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combattere l’ignoranza, la fame e l’esclusione. Certamente è rimasto presente il peccato d’egoismo e di sfruttamento, ma la grazia non è mai morta del tutto. La misericordia, che consiste nell’esigenza di condividere con l’altro, di identificarsi con l’altro, lasciando entrare in se stessi colui che soffre, trasformando questa sofferenza in speranza, è sempre frutto di una conversione, e i misericordiosi continuano a essere beati già in questo mondo, e seme di ogni nuova creazione. 218

Il credente non deve pensare che la sua generosità rappresenti una virtù personale straordinaria, ma al contrario deve rimanere convinto che le sue idee, i suoi pensieri e le sue azioni non gli appartengono, ma fanno parte della sua fede in Cristo. Benché buona parte dei cristiani riesca a praticare un cristianesimo esigente nell’ambito personale senza preoccuparsi di identificarsi con coloro che sono miseri e disprezzati, risulta imprescindibile annunciare e riconoscere che questo individualismo senza solida-

2. Resurrezione della figlia di Giairo. Sarcofago, marmo (particolare), inizi del V secolo. Musée départemental Arles antique, Arles. La guarigione estrema è la resurrezione, cui ogni uomo è chiamato attraverso Gesù. Nei Vangeli, a simbolo di questa vocazione, Gesù opera resurrezioni sotto lo sguardo di tutti.

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rietà non tiene conto di un elemento essenziale della predicazione di Gesù: il suo carattere comunitario. Gesù non ci ha ricordato soltanto i diritti di tutti gli uomini per il fatto di essere figli di Dio, ma ha posto alla base della sua predicazione l’amore e il riconoscimento della fraternità universale. Ha voluto creare il contagio dell’amore, perché l’amore si oppone a quanto impedisce, ostacola e intralcia l’essenza del suo messaggio. Per lui i diritti dell’uomo si fondano sull’amore e, facendo un ulteriore passo

avanti, afferma che i poveri possono comprendere meglio di tutti il suo significato: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Matteo 11,25). Questo pensiero trasformò il patrizio Girolamo Emiliani (1485-1537), di bella presenza, colto, prodigo, amante valente e soldato coraggioso, che dopo aver difeso con ogni sua forza la libertà di Venezia dedicò la sua vita e la sua fortuna a curare e proteg219


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gere gli orfani, uno dei gruppi umani più vulnerabili ed esposto a tutti i pericoli, convinto che il modo migliore di trovare Dio fosse di cercarlo tra i diseredati. Per merito suo nacque la congregazione dei Somaschi, che ne continuò l’apostolato con numerosi centri di beneficenza63. Oggi possiamo dire che le case del Cottolengo o di don Orione e di tante altre congregazioni religiose o di altri gruppi di persone buone costituiscono la dimostrazione luminosa del fatto che sono esistite ed esistono molte persone che offrono tutta la loro vita per difendere le vite dei più deboli, perché sono coscienti che, quanto più amano, tanto più vivono. Nel difendere quelle vite sono vicini a Gesù. Blaise Pascal scriveva che «Gesù rimane in agonia fino alla fine del mondo», e molti scrittori successivi, come Bernanos o Julien Green, hanno espresso nelle loro opere la convinzione che la sofferenza umana sia sempre in rapporto con la sofferenza di Gesù Cristo64. Quando la Chiesa è povera e accoglie chi manca di tutto; quando serve amorosamente tutti gli esseri umani, in particolare quelli che più ne hanno bisogno; quando accoglie coloro che sono stati abbandonati da tutti, allora nella sua vulnerabilità risiede la sua forza. Quando sarà capace di amare e di agire soltanto a favore degli uomini, di tutti gli uomini ugualmente, gli uomini si riconosceranno in essa, allo stesso modo in cui gli storpi, gli invalidi e i ciechi si sono riconosciuti in Gesù perché rispondeva alle loro speranze. Solo in questo modo la Chiesa si può trasformare in una comunità di credenti in Cristo che lo sentano e lo considerino come il loro Signore. Solo così ciò che le loro labbra ripetono coinciderà con ciò che pensano e li spingerà ad agire. Gli angeli della misericordia sono sempre presenti nella storia umana, in persone semplici e ignoranti, in santi e peccatori, in coloro che sperano in Dio malgrado l’apparente assurdità della loro esistenza. Tutti lasciano trasparire in qualche modo l’amore di Dio per il mondo. Credere, sperare, amare, nonostante il dolore e la morte, è la vittoria cui danno testimonianza tutti i santi che ci sono stati nel mondo, vale a dire tutti quelli che, malgrado la loro solitudine, la loro confusione, le loro piccolezze e contraddizioni, malgrado i loro dubbi e i loro peccati, hanno confidato nel Signore. 220

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3. Herri met de Bles (1500 ca.-1560), Salita al Calvario, particolare con Cristo caduto e i contadini diretti al mercato. Olio su tavola, anni Trenta del XVI secolo. Gemäldegalerie der Akademie der Bildenden Künste, Vienna. In questo autore fiammingo del Cinquecento, prossimo al pensiero di Erasmo da Rotterdam, colpisce il Calvario di Gesù dipinto come «episodio» in mezzo alla normalità della vita degli uomini. Forse un vertice del dolore di chi ha dato la vita per l’umanità.

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1. San Pietro e i Palazzi Vaticani, visti dal centro della piazza.

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2. Sala Ducale degli appartamenti pontifici, Città del Vaticano. Lo stucco con putti che sostengono una cortina è stato realizzato su progetto del Bernini per il restauro barocco dei locali.

Questa ampia storia della carità presenta la permanente aspirazione di tanti cristiani ad essere fedeli al mandato di Gesù di considerarci tutti fratelli, di amarci gli uni gli altri, di non permettere che alcun figlio di Dio nostro Padre sia emarginato, maltrattato, dimenticato. Siamo tuttavia coscienti della nostra debolezza e della nostra connaturata inconsistenza. In realtà, la nostra storia risulta talvolta una limpida dimostrazione di incoerenza collettiva. Parliamo in una maniera, nei documenti solenni e dal pulpito quotidiano, ma nella vita frequentemente agiamo in modo contraddittorio. Insieme a tanti esempi di amore, impegno e generosità, di attuazioni sublimi e di vite di silenzioso impegno per gli altri, scopriamo una routine di egoismo, di oppressione e di mancanza di considerazione. Una volta di più, siamo vasi d’argilla che contengono lo Spirito. I Salmi riconoscono questa situazione quando affermano che «il Signore [ha pietà] di quanti lo temono. Perché egli sa di che siamo plasmati; ricorda che noi siamo polvere» (Salmi 103 [102],13-14). Colpisce, soprattutto, il fatto che le nostre organizzazioni e forme di autorità e di governo mantengano certe modalità proprie dei poteri sociali e politici tradizionali, suntuose e distanti dal popolo. Il fatto stesso che il papa sia un capo di Stato con tutti i suoi parafernali risulta oggi, per la nostra sensibilità, distorsivo e poco esemplare. I cardinali sono considerati come i principi della Chiesa e vescovi e parroci hanno talvolta assunto forme mondane di vita e di comando. La consuetudine per secoli reiterata ci conduce a convivere con un papa e con vescovi che dimorano in palazzi impressionanti, portati da automobili spettacolari, in sedie gestatorie, accompagnati da un seguito di moltitudini di monsignori, camerieri e guardie. La loro vita personale può essere semplice e austera, ma l’immagine che trasmettono è quella di vivere e disimpegnarsi in un ambiente difficilmente compatibile con lo spirito evangelico. Altrettanto accade con le congregazioni religiose. I loro membri hanno spesso vissuto secondo austerità e rigore, ma l’immagine che spesso hanno offerto abbazie e conventi è quella di grandiosità e potenza. Ciò spiega il fatto che nei rivolgimenti popolari, a partire dalla Rivoluzione francese, i religiosi siano stati maltrattati in quanto appartenenti ai ceti ricchi e di potere.

Per altro verso, ci imbattiamo nelle ingenti ricchezze culturali e artistiche in possesso della Chiesa. È vero che lo sviluppo lungo i secoli, nell’esercizio della sua opera pastorale, è andato accumulando e trasmettendo una cultura importante, opere d’arte straordinarie, concezioni e manifestazioni del potere proprie di altre epoche, create e fedelmente preservate in ambiti ecclesiastici. In ciascuna di esse possiamo rinvenire l’influsso che lo spirito religioso ha esercitato in tutti gli aspetti della vita, ma allo stesso tempo risulta facile verificare l’effetto contaminante della superbia umana e della brama di potere in ambiti e spazi religiosi dai quali dovremmo aspettarci che siano capaci di superare la tentazione del potere per seguire il Maestro, in sua compagnia, in semplicità e povertà. In un momento di sconcerto e di generalizzata mancanza di speranza in molti ambienti cristiani, appare con sorpresa Francesco, il papa venuto da terre lontane, esotico per un cristianesimo che permane assai europeo e occidentale. Il nuovo papa ha assunto il nome di Francesco, incompatibile con il fasto, la superbia degli occhi, la distanza dai fratelli, il potere e la gloria umani. Nessun papa aveva avuto l’audacia di adottare questo nome, coscienti dell’impegno che ciò avrebbe significato. Non potevano chiamarsi come il «poverello» di Assisi dimorando in un palazzo, muovendosi in splendide automobili, con una corte di funzionari, camerlenghi, gentiluomini in smoking e vescovi sottomessi. In realtà è molto difficile accettare che qualcuno si chiami vicario di Cristo, il quale morì in croce a compimento di una vita di puro abbandono e di speranza nel Padre, e allo stesso tempo viva contornato da tanta teatralità. Di fatto, questa contraddizione si manifesta non soltanto nel papa, bensì nella vita della maggioranza dei cristiani, capaci di definirsi discepoli di Cristo mentre vivono impunemente a fianco di fratelli nudi, affamati e miseramente esclusi. Ad ogni modo, non v’è dubbio che a Roma si dispiega con maggiore spettacolarità il grave iato tra le formulazioni teoriche e l’ostinata realtà. Poco dopo la sua elezione, il nuovo papa, ricevendo i giornalisti che erano accorsi da tutto il mondo per assistere al conclave, disse loro: «Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!». Sicuramente molti papi hanno parlato della povertà in diversi sensi, ma sono convinto che nessuno ha lanciato con tanta de-

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terminazione e tanto apertamente questo desiderio e questo convincimento, in realtà così condizionante per il tradizionale modello di Chiesa. La predicazione deve raggiungere la «‘periferia esistenziale’ [ ]; siate pastori con ‘l’odore delle pecore’», vale a dire: occorre vivere e stare con i poveri prima che teorizzare su di essi, occorre sentirsi e operare come pastori prima di volgersi a loro. In questo stesso senso, pochi giorni dopo, affermava: «La Chiesa deve fuggire dal ‘narcisismo ideologico’». Di fatto, questa semplicità, umiltà e accessibilità rispondono alla sua convinzione che ogni potere è servizio e che i poveri costituiscono il nucleo della sua ragion d’essere, nonché della vita cristiana. Egli si rivolge tutti i giorni all’umanità spronandola a tenere in conto la dignità e le necessità dei più indigenti, i deboli, i meno importanti. Ai credenti ricorda che la priorità nel messaggio di Gesù sono i poveri. In ogni omelia le sue parole semplici esprimono un messaggio poderoso: non si può parlare di povertà in astratto, senza avere esperienza personale della povertà. Ai diplomatici accreditati presso il Vaticano ha chiesto che i loro governi controllino l’economia e proteggano i deboli da uno sfruttamento che non considera le persone. «Il denaro deve servire, non governare». Ciò che colpisce delle sue parole sui poveri è il fatto che egli non parla a memoria, che lo sentiamo compromesso personalmente con il tema. Ha avuto e ha la libertà necessaria a porre in questione categorie convenzionali presenti nella politica e nella Chiesa. Ha sfidato tentazioni marxiste di alcuni elementi della teologia della liberazione e non cessa di sfidare il capitalismo selvaggio. Deplora un relativismo che svuota la fede di significato e rifiuta il fondamentalismo di quanti non vogliono cambiamenti e si ostinano su un orologio del passato. La sua vicinanza agli esseri umani non diluisce la serietà delle loro esigenze. In Argentina attaccò la corruzione dilagante con determinazione e senza riguardi. La corruzione, affermava, distrugge e rende schiavo l’essere umano, fa perdere il pudore che custodisce la verità, distrugge la speranza e l’amicizia e conosce soltanto la complicità. «Anche nelle comunità cristiane ci sono gli arrampicatori», ha detto il papa, «che coscientemente o incoscientemente fanno finta di entrare dalla porta, ma sono ladri e briganti. Perché? Perché rubano la gloria a Gesù, 226

3. Papa Francesco saluta la folla in Piazza San Pietro. 4. San Francesco nell’affresco della Maestà di Cimabue. Assisi, Chiesa Inferiore.

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vogliono la propria gloria […]. Una religione un po’ da negozio, no? Io dò la gloria a te e tu la dai a me. Ma questi non sono entrati dalla porta vera. La porta è Gesù e chi non entra da questa porta si sbaglia». Nel suo discorso ai giovani diplomatici pontifici, ha esigito che vigilino per essere «liberi da ambizioni o mire personali, che tanto male possono procurare alla Chiesa. [ ] Per favore: niente carrierismo». Sarà irriducibile verso la pederastia, non permetterà una banca vaticana che non sia trasparente, né un clero anestetizzato dai suoi merletti o dai suoi giochi di mano. Una delle ragioni proposte per la nomina di papa Francesco a personaggio dell’anno sta nel fatto che con lui è cambiata la percezione che buona parte del mondo aveva della Chiesa e del papato, e senza dubbio, dopo la sua elezione, questa nuova percezione che il mondo comincia ad avere della Chiesa costituisce un tema suggestivo e importante sia sotto il profilo religioso-pastorale sia sotto quello culturale. 227


5. Copertina del “Time” del 1962, in cui Papa Giovanni XXIII era stato raffigurato come “uomo dell’anno”.

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6. Copertina del “Time” del 2013. È Papa Francesco ad avere il titolo di “uomo dell’anno”.

Alcuni anni fa la rivista «Time» definì la Chiesa cattolica come la più grande impresa multinazionale esistente, per la sua organizzazione, struttura e ramificazione. Non si trattava di una descrizione balzana, ma non teneva conto della ragion d’essere e della specificità propria della Chiesa. Di fatto, anche Scientology o i mormoni contano su una solida organizzazione. Al contrario, negli ultimi anni, il moltiplicarsi di notizie negative propagate dai mezzi di comunicazione ha messo in evidenza alcuni dei gravi problemi insorti nelle Chiese di alcuni paesi: omosessualità, Marcial Maciel e i suoi Legionari, quella che viene chiamata la banca vaticana, il furto di documenti nell’appartamento del papa, messaggi spesso di sapore restrittivo e distanti dalla realtà esistenziale di tanti cittadini che soffrono l’angustia quotidiana. Tutto ciò ha costituito un grave colpo alla credibilità di una istituzione la cui qualità principale è, appunto, la credibilità. Per parte nostra, dobbiamo tenere in conto il disagio patito da molti cattolici di fronte all’atteggiamento sconsiderato, alla chiusura dottrinale e alla immotivata superbia intellettuale di alcuni tra i membri più rappresentativi del clero, disagio crescente negli ultimi anni, quando il pluralismo di idee e la secolarizzazione della società avrebbero esigito ben altro atteggiamento, più umile, più recettivo, di maggiore dialogo. Molti cattolici si sono di fatto posti ai margini della Chiesa, scegliendo un comodo e contraddittorio cristianesimo à la carte. L’arrivo di papa Francesco pare aver rotto il sortilegio nefasto, provocando sconcerto e malessere in non pochi e una simpatia e diffusa speranza in innumerevoli persone di ogni tipo e condizione. La rivista «Time», nel mettere quest’anno in copertina la fotografia del papa, si riferisce a ciò quando parla di una nuova percezione della Chiesa e sono sicuro che questo sia il motivo della scelta di papa Francesco come uomo dell’anno da parte di tanti periodici. Cercando di spiegarmi in che cosa consista questa nuova percezione, vorrei mettere a confronto l’esperienza di due papi che hanno cercato negli ultimi tempi di rompere inerzie, comodità ed egoismi e di dare maggiore importanza al Vangelo che a tradizioni storiche troppo umane che sono prevalse nella nostra storia. Mi riferisco a Giovanni XXIII e a Francesco. Appena Giovanni XXIII (1958-1963) ebbe iniziato il suo pontificato, il popolo cristiano rimase affascinato 228

dall’atteggiamento del nuovo papa e si produsse una decompressione ecclesiale di tale portata che sembrò che tutto il passato, a cominciare dal pontificato dello ieratico e tagliente Pio XII, in apparenza così mirabile, risultasse anacronistico e decadente. Parlò della necessità di superare costumi e tradizioni antiquati e si sforzò di ripulire la polvere depositata dai secoli nella Chiesa; sminuì la propria importanza, si fece vicino a tutti gli esseri umani, abbandonando la maschera altezzosa che molti mortali hanno indossato quando hanno voluto diventare idoli umani. È sorprendente verificare come, solo con la naturalezza e l’umanità del suo comportamento, questo papa ruppe la situazione esistente e divenne il papa amato e vicino per cattolici e fedeli di diverse credenze, proponendo un modo di agire, di creare una comunità fraterna e di sentirsene membri. Talvolta ho pensato che la chiave di questo cambiamento fu il convincimento di papa Giovanni che ogni uomo e tutto l’uomo è degno di rispetto e di amore, anche se permane nell’errore, anche se appartiene ad altri gruppi religiosi o a nessuno. Cosicché, senza tante storie o elucubrazioni, fu spezzato l’inganno ottocentesco che impediva di accettare la libertà di coscienza sulla base del principio che solo la verità ha diritti e non l’errore, definendo errore ciò che non era insegnato dalla Chiesa. La figura, i modi e la ritualità del nuovo papa Francesco ci hanno colto di sorpresa; offrono un’altra idea della Chiesa non tanto per i princìpi che affermano, ma per le priorità e il modo di stare nel mondo e di tradurre il Vangelo. Per comprendere questa sorpresa riflettiamo sulla contraddizione vivente che accompagna la nostra vita. Da una parte siamo coscienti che il mondo cristiano vive in una schizofrenia, che non appare mortale poiché conviviamo con essa da molti secoli. Il suo Dio fatto uomo muore sulla croce e non ha dove posare il capo; pone il samaritano e il padre del figliol prodigo quali modelli di condotta; avvisa che risulta praticamente impossibile che il ricco entri nel suo regno; ci dice che siederanno alla sua destra coloro che emarginiamo, escludiamo e immiseriamo senza scrupolo con il nostro agire; ci impegna a perdonare settanta volte sette; a tenere come regola di vita le beatitudini; ci chiede di chiamare Padre soltanto Dio e che ci consideriamo tutti fratelli; ci consiglia di non cercare i primi posti, perché solo gli ultimi saranno i primi.

Noi predichiamo con decisione e autorità questi mandati e molti altri ugualmente importanti, ma la nostra organizzazione e il nostro modo di relazionarci, nella Chiesa come nella società, vanno per proprio conto in parallelo. Il Vaticano in quanto complesso artistico può considerarsi opera gloriosa della cultura umana, ma come punto di riferimento del Cristo che non aveva dove posare il capo è un insopportabile imbarazzo; la curia romana e la forma di governo della Chiesa possono essere presentati come un esempio nella storia del potere e del diritto dell’Occidente, ma dubito fortemente che si attengano al mandato di Cristo «Non così voi» (cfr. Lc 22,26): non agite come agisce il mondo. Il modo di governo dei vescovi, con le loro mitre egizie in testa, dipende dallo spessore di ogni testa e, soprattutto, dal loro spirito, ma è fuor di dubbio che la storia dimostra che fin troppo spesso la mitra coronava un satrapo, più che un rappresentante di colui che venne non per essere servito ma per servire. So che questa schizofrenia è parte di ogni storia umana, basta guardare il mondo della politica, tuttavia da noi credenti si può esigere maggiore coerenza. In realtà, sorprende e incoraggia il fatto che papa Francesco, audace e coraggioso tanto nelle sue esigenze quanto nel suo modo di vita, ci invita a ricorrere alle fonti della identità e della essenzialità dell’essere umano. Egli indica che la Chiesa deve uscire da se stessa e andare alle periferie, fuggendo il pericolo di un narcisismo teologico che la allontana dal mondo rinserrando Gesù Cristo dentro le sue mura. Al contrario, i cambiamenti e le riforme devono fondarsi su una Chiesa evangelizzatrice che esca all’esterno e non su una Chiesa mondana che vive in sé e per sé. Ha detto che si tratta di liberarsi di tanti carichi e privilegi materiali e politici per arrivare a una forma di vita apostolica basata sul Vangelo, una forma di vita che, spesso, si compie nel martirio, incentrando la propria esistenza e la propria parola nell’amore e nella misericordia di Dio. In questo profilo di Chiesa che pare piacere dentro e fuori di essa, papa Francesco incoraggia ad amare la povertà e i poveri e gli esclusi del mondo, a rifiutare la psicologia di principi o di patroni, a non essere ambiziosi o cercare posti in graduatoria, a vegliare su tanti fratelli che non conoscono un volto amico, a prendersi cura della speranza come bene prezioso. Ci domanda soprattutto – e lo fa a tutti – di esercitare un tipo di autorità che affonda le radici

nella capacità di servire. Il bello è che non ci chiede alcunché di nuovo. Tutto questo è presente certamente nel Vangelo, e inoltre in tanti interventi pieni di coraggio e di gioia dei padri conciliari al Vaticano II. Vi è l’impressione che papa Francesco, come già il concilio Vaticano II, intenda invertire le priorità spesso dominanti nella Chiesa, abbandonando il riferimento incessante alle istituzioni ecclesiastiche, alla loro autorità ed efficienza, quale centro e misura della fede e della Chiesa e convertendo la comunità cristiana in uno spazio di comunione e accoglienza. Ripensare e cambiare le priorità implica inoltre riconoscere il valore della coscienza, della fede e dei segni dei tempi come supremi criteri ecclesiali. Questo piace alla gente comune del mondo e spiega perché Francesco sia considerato uno di noi, come si espresse un tassista romano pochi giorni dopo la sua elezione. Perché Gesù scandalizzava i suoi contemporanei? Mangiava con i peccatori, compiva miracoli in giorno di sabato, parlava con enorme confidenza di Dio, non mescolava sacro e profano. Nell’abbandonare il trono, nel ridurre le distanze, nel sedersi allo stesso banco dei fedeli, nel continuare ad abitare nella foresteria, nel rifiutare automobili lussuose, nel mescolarsi con i suoi fratelli, Francesco non solo non sminuisce il suo prestigio o la sua autorità, ma pone le cose al loro posto e ci ricorda con semplicità il modo di agire di Gesù. Cristo era lo stesso nella creazione

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NON COSÌ VOI. PAPA FRANCESCO

dell’universo come nella incarnazione o coronato di spine, e tuttavia spesso noi tratteniamo solo quel che meglio si confà ai nostri gusti. Non si tratta, evidentemente, di cambiare Dio o le dottrine che la tradizione ci ha consegnato, ma di purificare i modi di comprendere, concepire e sperimentare la trascendenza e la presenza di Dio nelle nostre anime. Forse è in questo che si trova la difficoltà maggiore: nascere di nuovo, vale a dire la conversione. Diamo spesso maggiore importanza al come che al che cosa, al rubinetto che all’acqua, alla routine che alla vita. Papa Francesco ha indicato che

NON COSÌ VOI. PAPA FRANCESCO

occorre confidare solo in Gesù e non in superstizioni, né nel proprio io, nella nostra autosufficienza. Egli si è riferito a questo Gesù quando ha indicato la necessità di nascere di nuovo interiormente, di discernere i segni dei tempi e di valorizzare le persone e le circostanze in modo diverso da come fa il mondo. «Non così voi» costituisce il principio cristiano per antonomasia. Per i giudei la croce era follia, ma per i cristiani è divenuta il simbolo della salvezza. Il mondo ha tradizionalmente adorato l’oro e il denaro, la Mammona iniquitatis, ma per Cristo il ricco rischia di non passare per la cruna dell’ago. Siamo

sicuramente brave persone, ma spesso il Signore ci chiede di camminare e agire in altra maniera. Anche il nostro modo di stare al mondo e di maneggiare il potere esige un rinnovamento radicale. Soltanto il servizio giustifica il potere, solo servendo gli altri, in primis i bisognosi, saremo capaci di seguire il Maestro. Talora i credenti hanno intuito che Francesco, semplificando il suo modo di vivere, di agire e di parlare in quanto pontefice, ha optato per la radicalità evangelica che tanto ci inquieta, e che poco ha a che vedere con la teatralità, l’onore e la gloria cui siamo avvezzi.

7. Un gigante oleodotto attraversa una baraccopoli alla periferia di una città del Terzo Mondo. La crescente disuguaglianza nella disponibilità delle risorse tra ricchi e poveri è il dato più impressionante della storia recente.

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LA GENEROSITÀ CONDIVISA

Appendice

LA GENEROSITÀ CONDIVISA

Se Dio è amore, allora ogni essere umano reca nel proprio DNA l’impronta dell’amore del suo creatore; ma è Cristo che ci rivela l’amore incommensurabile di Dio Padre, ed è Cristo che ci ricorda che i suoi discepoli devono rimanere segnati da questo immenso amore, culminato nell’Incarnazione. Sappiamo dunque che tutti i cristiani, per il solo fatto di essere tali, sono chiamati a mostrare il loro affetto e la loro generosità a tutti gli uomini, cioè a tutti i loro fratelli. Ciascuno di essi individualmente, ma anche le comunità locali, le parrocchie, le diocesi, la Chiesa universale. Questo impegno alla generosità richiede un’organizzazione laboriosa capace di mettere in moto i vari servizi comunitari e l’insieme delle organizzazioni, tutti diretti a questo stesso e unico scopo. Come abbiamo visto nel corso delle pagine precedenti, le innumerevoli realizzazioni concrete dei cristiani risultano insufficienti se in esse non si percepisce l’amore per l’uomo, un amore e una generosità nutriti dall’incontro con Cristo. Per questo motivo, in ciascuna delle attività caritative che abbiamo presentato in questa storia si trovano un’attenzione e una preoccupazione speciali per la persona umana, per i suoi bisogni spirituali, per le sue inquietudini più profonde. Allo stesso modo troviamo in tutti i grandi episodi della storia della carità, assieme alla competenza professionale, anche esempi sorprendenti di vita cristiana e testimonianze splendide di generosità, sempre orientate dalla persona di Cristo. Dall’altro lato, nel nostro mondo complesso e contraddittorio si sono verificati nel corso dell’ultimo secolo grandi cambiamenti nella concezione della responsabilità sociale dello Stato, in modo particolare a causa dello sviluppo straordinario delle politiche sanitarie, a tal punto che molte manifestazioni della carità tradizionale hanno finito per secolarizzarsi drasticamente sotto vari aspetti. Sono sorte in 232

tutti gli Stati numerose associazioni e organizzazioni con scopi benefici, sia nazionali sia internazionali, che spesso si contrappongono e sembrano entrare in competizione l’una con l’altra, e soprattutto con le organizzazioni più tradizionali, generalmente di origine confessionale. Ai nostri giorni, chi desidera fare un’offerta per aiutare i bambini del Terzo Mondo non deve rivolgersi necessariamente a un missionario o a un’organizzazione della Chiesa. Le organizzazioni cattoliche sono state affiancate da molte altre organizzazioni che offrono servizi assistenziali all’interno e all’esterno della nazione cui appartengono. La carità è divenuta, in un certo senso, un’istituzione e un progetto fra i tanti. Inoltre, i vari governi partecipano a un’importante cooperazione internazionale per l’aiuto ai popoli più poveri, collaborando, nei suoi diversi aspetti, con organismi sia cattolici sia di altra origine per raggiungere i propri obiettivi. Di fatto, molte delle attività delle organizzazioni cattoliche, sia nei paesi di origine sia altrove, possono raggiungere i propri obiettivi solo grazie a questi ingenti finanziamenti pubblici. Questa situazione è la causa di tre fenomeni che conviene considerare nella nostra riflessione: la professionalizzazione, la burocratizzazione e l’identificazione a volte più forte con lo Stato, fonte dei finanziamenti, che con l’ispirazione e il fondamento, tanto che la carità corre talvolta il pericolo di smarrire parte della sua ispirazione cattolica originaria. Si tratta di una realtà che bisogna avere ben presente e che i credenti devono affrontare in modo razionale e coerente, per riuscire ad aiutare il maggior numero possibile di bisognosi, senza però perdere allo stesso tempo la propria originaria ragion d’essere. La carità cristiana conserva una sua profonda specificità, come appare nelle pagine precedenti. Essa non si ri-

1. Educare per un mondo possibile foto di Paolo Cardone (Shoot4Change) per VIS

duce mai a un interesse sociale, ma nasce dalla figura di Gesù e dalla sua rivelazione della paternità divina. Benedetto XVI ha enunciato nell’enciclica Deus caritas est alcuni principi che caratterizzano il nucleo fondamentale del problema che abbiamo indicato: 1) la carità è un’esperienza cristiana originale, nel senso che le sue origini derivano direttamente dalla rivelazione cristiana; 2) per la Chiesa l’esercizio della carità costituisce una dimensione essenziale e irrinunciabile della sua identità; 3) la Chiesa è il soggetto della carità e le organizzazioni caritative costituiscono l’opera che le è propria; 4) l’attività caritativa, in quanto propria della Chiesa, è costituzionalmente legata alla liturgia e all’evangelizzazione e dipende in ciascuna diocesi dal vescovo; 5) nell’attività caritativa della Chiesa si manifesta la sua capacità di testimoniare fedeltà a Cristo, per mezzo del quale Dio si manifesta al mondo. Non ci è possibile menzionare tutte le organizzazioni cattoliche create dalla Santa Sede, dalle diocesi, dalle congregazioni religiose e da gruppi di cattolici di tutto il mondo per favorire la generosità, l’amore e la carità, ma non c’è dubbio che siamo di fronte a un’esplosione straordinaria della carità, dell’ingegno e della creatività cristiani. Ne menziono solo alcuni esempi: Caritas Internationalis, federazione delle Ca-

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ritas diocesane; gli innumerevoli organismi nati dagli istituti religiosi, come VIS dei Salesiani, VIDES delle Figlie di Maria Ausiliatrice o Entreculturas dei Gesuiti; istituzioni create dagli episcopati nazionali, come Misereor e Adveniat in Germania, Migrantes in Italia o Manos Unidas in Spagna; i tanti organismi nati per volontà dei fedeli, come le Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli, le Confraternite di Misericordia, l’AVSI di Comunione e Liberazione, Fidesco di Emmanuel o Giovani per un Mondo Unito dei Focolarini. L’amore e la carità fraterna costituiscono l’aurora boreale di tanto amore e unione che esistono nella creazione, nella quale Dio abbraccia gli uomini nel suo amore per Cristo, per ricevere a sua volta il loro abbraccio colmo di tenerezza.

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Epistula ad fideles 9. Troviamo la cornice e i punti di riferimento adeguati alla storia e alle riflessioni che svolgiamo nel presente studio nelle grandi opere manualistiche classiche. In spagnolo: Bernardino Llorca, Ricardo García Villoslada, Juan María Laboa, Historia de la Iglesia Católica, 5 voll., BAC, Madrid 2005; in italiano: Hubert Jedin (a cura di), Storia della Chiesa, 10 voll., Jaca Book, Milano 1976-1980, più volte ristampata e aggiornata; in francese: Louis-Jacques Rogier, Roger Aubert, M. David Knowles (a cura di), Nouvelle histoire de l’Église, 5 voll., Seuil, París 1963-1975. Pierre Ceyrac, Pellegrino delle frontiere, Jaca Book, Milano 2005; Dominique Paturle, Questi poveri che interrogano la Chiesa, Jaca Book, Milano 2008. Dolores Aleixandre, Un tesoro escondido. Las parábolas de Jesús, CCS, Madrid 2011; José Antonio Pagola, Gesù. Un approccio storico, Borla, Roma 2009; Joseph Ratzinger (Benedetto XVI), Il messaggio delle parabole, in Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, cap. 7. Tommaso da Celano, Vita prima di san Francesco 80 F. 460. Dolores Aleixandre, Contar a Jesús, CCS, Madrid 2008. Davide Caldirola, La compassione di Gesù, Ancora, Roma 2007. K. Dunin-Wasowic, La Vie religieuse dans les camps de concentration allemands, 1939-1945, en tant que forme de la résistance, «Miscellanea Historiae Pontificiae», 9 (1984), pp. 547-570. Massimo il Confessore, Sulla carità, II centuria. Vincenzo Monachino, La cura pastorale a Milano, Cartagine e Roma, Analecta Gregoriana, Roma 1947; Id., S. Ambrogio e la cura pastorale a Milano nel secolo IV, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1973. Matilde Caltabiano, L’Epistolario di Giuliano Imperatore, D’Auria, Napoli 1991, n. 84, pp. 180-181. Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica 4,23,10. Ferdinando Ughelli, Italia sacra, Venezia 1720. San Colombano, Le Opere, Jaca Book, Milano 2001, pp. XV-XLI. «Cuadernos franciscanos», Cile, 25 (1991). Christopher Dawson, Religione e cristianesimo nella storia della civiltà, Edizioni Paoline, Roma 1984.

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Jan Grootaers, I protagonisti del Vaticano II, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994, pp. 158-170; Giacomo Lercaro, Per la forza dello Spirito. Discorsi conciliari, EDB, Bologna 1984. Giuseppe Alberigo (a cura di), Storia del Concilio Vaticano II, Il Mulino, Bologna 1996, vol. II, pp. 226-230, 370-372. Hélder Câmara, Roma, due del mattino. Lettere dal Concilio Vaticano II, San Paolo, Cinisello Balsamo 2008, p. 336. Ibid., pp. 381-382. Ramón Hernández Martín (a cura di), La Lezione sugli indios di Francisco de Vitoria, Jaca Book, Milano 1999. Les Éditions de l’Abeille, Lyon 1943. Joseph Wresinski, I poveri sono la Chiesa, Jaca Book, Milano 2009. Ed. italiana: Milano, Longanesi 1952; più di recente Massimo, Milano 1982. (ndt) Joseph Wresinski, in Jean-François Six, Les Droits de l’homme en question, La Documentation française, Paris 1989, p. 225. Antoine Chatelard, Charles de Foucauld. Verso Tamanrasset, Qiqajon, Magnano 2002. René Voillaume, Come loro. Nel cuore delle masse, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo

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1993. È un libro su cui migliaia di giovani hanno formato la propria spiritualità, e grazie al quale hanno cominciato a stimare il fondatore dei Piccoli Fratelli di Gesù. Fraternità delle Piccole Sorelle di Gesù (a cura di), Magdeleine di Gesù. Fondatrice delle Piccole Sorelle, Jaca Book, Milano 1999. Abbé Pierre, Padre Pedro, Per un mondo di giustizia e di pace, Jaca Book, Milano 2005. Bernadette Toneto, L’avvocato dei senza-terra. Henri Burin des Roziers, Jaca Book, Milano 2003. Richard Poulin, Prostituzione: globalizzazione incarnata, Jaca Book, Milano 2006. Per co-sviluppo si intende la forma di cooperazione in cui gli immigrati si trasformano in fattori di sviluppo dei paesi di provenienza. (ndt) Joseph Wresinski, I poveri sono la Chiesa, Jaca Book, Milano 2009. Suzanne Chantal, Jérôme Manni le Vénitien: saint, guerrier et protecteur des orphelins, Sand, Paris 1989. Ferdinando Castelli, Volti di Gesù nella letteratura moderna, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1987; G. Cinà (a cura di), Dio è amore. Ma può soffrire?, Edizioni Camilliane, Torino 2008.

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INDICE DEI NOMI

INDICE DEI NOMI

I numeri di pagina relativi ai nomi che compaiono nelle didascalie sono segnalati in corsivo

Adamo 14 Adelelmo di Burgos, santo 133 Agilberto di Parigi 79 Agostino di Canterbury, santo 83 Agostino di Ippona, santo 47, 56, 76, 96, 128 Alcuino di York, beato 117 Alessandro VI, PAPA 177 Alfonso de’ Liguori, santo 118, 159, 196 Alfonso X il Saggio, re di Castiglia e di León 110, 111 Ambrogio di Milano, santo 22, 54, 58, 121 Angela della Croce, santa 121 Anna, madre di Maria, santa 197 Anna d’Austria, regina di Francia 163 Anscario, santo 132 Antonio abate, santo 138 Antonio da Padova, santo 69 Aristotele 178 Arrupe, Pedro 178 Arsacio 48 Atanasio di Alessandria, santo 53, 179 Bacchin, Giorgio 171, 190 Baldanzi, Alessandro 155 Balmes, Jaime Luciano 168 Balthasar, Hans Urs von 117 Basilio di Cesarea, santo 51, 53, 58, 96, 179 Baudouin, Louis-Marie 74 Beato Angelico 34 Beato di Liébana 10 Beauvois, Xavier 42 Benedetto xv, papa 122 Benedetto XVI, papa 233 Benedetto da Norcia, santo 96, 114 Benozzo di Lese (Benozzo Gozzoli) 178 Berceo, Gonzalo de 110 Bergoglio, Jorge Mario 167; v. Francesco, papa Bernadette Soubirous, santa 106 Bernanos, Georges 162, 176, 177-178, 220 Bernardino da Siena, santo 194, 195 Bernini, Gian Lorenzo 224 Bethune, Ade 173 Bhatti, Shahbaz 43 Bismarck, Otto von 169 Bles, Herri met de 221 Bonaventura da Bagnoregio, santo 117 Bonhoeffer, Dietrich 41, 42 Bonifacio, santo 131 Bonifacio VIII, papa 133 Bosco, Giovanni, santo 156 Bosco Penido, João 42 Bresson, Robert 176

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Bruno, santo 117 Bulfinch, Charles 167 Burin des Roziers, Henri 210-211 Caino 15 Callahan, William 175 Calvino, Giovanni 36 Câmara, Hélder Pessoa 84, 172, 178-179, 185-186, 188, 195 Camillo de Lellis, santo 150, 152, 195 Caravaggio, Michelangelo Merisi detto il 119 Carducci, Vincenzo (Vicente Carducho) 90 Carlo V, imperatore 87, 146 Carlo VIII, re di Francia 61 Carlo Magno, imperatore 168 Carpaccio, Vittore 56 Casaldáliga, Pedro 42, 172, 211 Caterina da Siena, santa 174 Cervantes, Miguel de 141 Cesario di Arles, santo 112, 114 Cesbron, Gilbert 190 Ceyrac, Pierre 211 Chaminade, Guillaume-Joseph, beato 157, 179 Chiara d’Assisi, santa 124 Chiliano di Würzburg 132 Cignaroli, Giovanni 66 Cinquin, Madeleine (soeur Emmanuelle) 212 Cipriano di Cartagine, santo 39, 46, 58 Cirillo di Gerusalemme, santo 52, 179 Clodoveo I, re dei Franchi 76, 79 Cobbe, Valeriano 42 Colantonio 120 Colin, Jean-Claude 157 Colombano, santo 104, 116, 131 Comboni, Daniele, santo 75, 84 Conant, Kenneth John 99 Congar, Yves 165, 178-179 Congdon, William 204, 206-207 Consalvi, Ercole 168, 178 Cornelio, centurione 9 Cornelio, papa, santo 44, 46 Costantino il Grande, imperatore 36, 48 Costanzo II, imperatore 48 Cottolengo, Giuseppe Benedetto, santo 208, 220 Courbet, Gustave 139 Damaso I, papa, santo 179 Daniel, Yvan 189 Dante Alighieri 126 Davide, re d’Israele 179 Day, Dorothy 173-176, 207 De Nobili, Roberto 87

Degas, Edgar 161 Delacroix, Eugène 167 Diana, Giuseppe 188 Dionigi, papa, santo 57 Dionigi di Alessandria, santo 39, 57 Dionigi di Corinto, santo 57 Dix, Otto 193 Domenico di Bartolo 62, 139 Domenico della Calzada, santo 133 Domenico di Guzmán, santo 69, 126-127, 128

Grande García, Rutilio 187 Green, Julien 220 Gregorio I Magno, papa, santo 33, 44, 83, 114 Gregorio VII, papa, santo 177 Gregorio Nazianzeno, santo 52 Grignion de Montfort, Louis-Marie, santo 159, 179 Grouès, Henri (abbé Pierre) 209, 210 Guérin, Paulin 179 Guglielmo I di Aquitania 96 Guilhermine, francescana 40

Eadfrith di Lindisfarne 82 Egeria (Eteria) 130, 131 Eiximenis, Francesc 128 Elena, santa 131 Elisabetta, madre del Battista, santa 197 Elisabetta I, regina d’Inghilterra 36 Erasmo da Rotterdam 221 Eulalia di Mérida, santa 39 Eusebio di Cesarea 44 Eva 10, 14 Ezechiele, profeta 79

Hallé, Noël 194 Hierro, francescano 73 Homer, Winslow 169

Felice di Valois, santo 141 Felicita, santa 39 Filarete, Antonio Averlino detto il 147, 151 Filippini, Lucia, santa 156 Fleury, Michel 42 Florenskij, Pavel 40 Foucauld, Charles de 104, 195, 198-202 Francesco, papa 223-231 Francesco d’Assisi, santo 8, 26, 28, 68, 83, 122-124, 127-128, 152, 165, 179, 195, 204, 209, 224, 226 Francesco di Sales, santo 194 Francesco Saverio, santo 87 Francisco Solano, santo 73 Frassati, Pier Giorgio, beato 118 Fruttuoso di Tarragona, santo 39, 104 Gaetano di Thiene, santo 66 Gerolamo, santo 61 Giacomo, apostolo, santo 76, 92 Gibbon, Edward 48 Gioacchino, santo 197 Gioacchino da Fiore 126, 135 Giotto di Bondone 28, 124 Giovanna di Chantal, santa 194 Giovanni, apostolo ed evangelista, santo 10, 14, 56, 68, 76, 192 Giovanni XXIII, papa, santo 179, 181-182, 213, 228, 229 Giovanni d’Avila, santo 146, 179 Giovanni Battista, santo 24, 119 Giovanni de Brébeuf, santo 84 Giovanni Crisostomo, santo 36, 52, 53, 179 Giovanni della Croce, santo 179 Giovanni di Dio, santo 120, 146, 152, 195 Giovanni di Gerusalemme, santo 150 Giovanni de Matha, santo 141 Giovanni da Montecorvino, beato 83 Giovanni Paolo II, papa, santo 41, 183 Girolamo Emiliani, santo 219 Giuliano l’Apostata, imperatore 47-50 Giulio Costanzo 48 Giuseppe Calasanzio, santo 117, 153-154, 156, 179 Godin, Henri 189

Ignazio di Antiochia, santo 39 Ignazio di Loyola, santo 87, 117, 179 Incmaro di Reims 136 Innocenzo III, papa 126 Ireneo di Lione, santo 33, 39, 117 Isaia, profeta 31 José de Anchieta, beato 83 José María de Jesús Crucificado 121 Juan Diego Cuauhtlatoatzin, santo 106, 107 Katz, Jeff 171 King, Martin Luther 179 Kolbe, Massimiliano, santo 41, 121 Kruscev, Nikita 40 La Salle, Jean-Baptiste de, santo 155 Las Casas, Bartolomé de 83, 84, 87, 178, 188, 195 Labouré, Catherine, santa 208 Lamennais, Hugues-Félicité Robert de 140, 168, 178, 179 Lazzaro di Betania, santo 22, 106 Leone I Magno, papa, santo 44, 47 Leone d’Assisi, beato 8 Leovigildo, re dei Visigoti 77 Lercaro, Giacomo 180, 181-182 Lezcano Guerra, Isidoro 121 Liénart, Achille 191 Loew, Jacques 188, 189 Lorenzo, santo 33, 39, 68 Lubac, Henri de 178 Lubich, Chiara 180 Luigi Filippo d’Orléans 167 Luisa di Marillac, santa 163 Lullo, Raimondo 83, 162 Lutero, Martino 36, 61 Maciel, Marcial 228 Maddalena Sofia Barat, santa 157 Magdeleine di Gesù 104, 202 Malik al-Ke–mil 83 Mandela, Nelson 180 Manzoni, Alessandro 92 Marcellina, santa 22 Marie Xavier, francescana 40 Maritain, Jacques 92, 173 Martino di Braga, santo 76 Martino de Porres, santo 83 Martino di Tours, santo 113-114, 120 Massimo il Confessore, santo 46

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INDICE DEI NOMI

Mauriac, François 190 Maurin, Peter 173 Melania la Giovane, santa 46 Menni, Benedetto, santo 151 Mindszenty, József 189 Monchanin, Jules 211 Monod, Jacques 140 Montesinos, António de 87, 178, 188 Montini, Giovanni Battista 190; v. Paolo vi, papa Morone, Giovanni 179 Nabil, Gabriel 216 Newman, John Henry, beato 178 Nicodemo 18, 19, 31, 93 Nicolas Barré, beato 155 Odilone di Cluny, santo 104 Origene 117 Orione, Luigi, santo 172, 208, 220 Orwell, George 174 Ossó y Cervelló, Enrique de, santo 157 Ozanam, Frédéric Antoine, beato 159, 168, 208 Palladio, Andrea di Pietro della Gondola detto 150 Paolo di Tarso, santo 31, 39, 57, 76 Paolo VI, papa 92, 183, 184, 186, 191 Pascal, Blaise 119, 217, 220 Peckham, John 178 Péguy, Charles 191 Perpetua, santa 39 Pietro, apostolo, santo 9, 39, 76, 89, 131, 135 Pietro Claver, santo 83 Pietro Comestore 6 Pietro Levita, santo 114 Pietro Nolasco, santo 141 Piniano, Valerio Severo 46 Pio XII, papa 228 Platone 178 Policarpo di Smirne, santo 39 Polk, Margaret 175 Poveda Castroverde, Pedro, santo 157 Pozzo, Andrea 155 Prat, Loïc 190 Prisset, Luc 190 Puglisi, Giuseppe 188 Querbes, Louis-Marie 157 Radcliffe, Timothy 211 Raffaella del Sacro Cuore, santa 179 Raffaello Sanzio 46 Rafols, María, beata 157 Rahner, Karl 40 Recaredo, re dei Visigoti 76 Ricci, Matteo 87

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Roberto Bellarmino, santo 92 Romano, santo 114 Romero, Óscar Arnulfo 187-188, 217 Rosmini, Antonio, beato 168, 178 Rosselli, Francesco 128 Rubens, Pieter Paul 89 Saint-Exupéry, Antoine de 116 Samuele, profeta 18 Sano di Pietro 194 Saul, re d’Israele 18 Savonarola, Girolamo 177 Scalabrini, Giovanni Battista 74, 75 Schutz, Roger 105, 179 Schweitzer, Albert 84 Serra, Junípero, beato 84, 85 Seton, Elizabeth Ann, santa 208 Simone, fariseo 22 Sotero, papa, santo 57 Stefano protomartire, santo 35, 36 Subleyras, Pierre 151 Suhard, Emmanuel 189 Sulpicio Severo 113 Tempesta, Antonio 147 Teodechilde di Jouarre, santa 79 Teodolinda, regina dei Longobardi 76, 80 Teodorico, re degli Ostrogoti 112, 114 Teodoro, pontifex 48 Teresa d’Avila, santa 31 Teresa di Calcutta, beata 179, 203-208 Teresa di Lisieux, santa 31, 117 Tommaso, apostolo, santo 76 Tommaso d’Aquino, santo 117, 178, 179 Tommaso da Celano 26, 124 Turibio de Mogrovejo, santo 83 Urbano II, papa 135 Urbano VIII, papa 158 Valdo 126 Valéry, Paul 15 Venerini, Rosa, santa 156 Vianney, Giovanni Battista Maria (curato d’Ars), santo 118, 195 Vieira, António 84 Vincenzo Ferreri, santo 69, 120 Vincenzo de’ Paoli 150, 152, 158-159, 162, 163, 164, 196 Vitoria, Francisco de 188 Voillaume, René 198, 201, 202 Vouet, Simon 163 Vuolvinio 54

CREDITI FOTOGRAFICI I numeri indicano la pagina, quelli tra parentesi l’illustrazione

© Alice Cambournac, Marie-Julie Maille, 43; © Archivio Fratelli Alinari, 62-63, 193; © Arch. Jaca Book/Lunwerg, 77 (2); © Arch. Lunwerg, 78; © Arch. Lunwerg/Museo Archeologico, Madrid, 77 (1); © Archives nationales du monde du travail – Emmaüs International, 210; © 2014 Biblioteca Apostolica Vaticana – per concessione della Biblioteca Apostolica Vaticana, ogni diritto riservato, 7, 10, 12, 31, 115, 147 (2); © Bibliothèque nationale de France, Parigi, 39; © Jaca Book/BAMSphoto – Rodella, 16-17, 29, 37, 38, 45, 67, 101-103, 112, 113, 143, 148, 152, 156, 222-223; © Foto Emmanuel Anati, 199; © Giorgio Bacchin, 191; © Caritas International, 214-216; © Alberto Cerrodine, 91; © Koldo Chamurro, 211 (2); © Foto Elio Ciol, 68-69; © Foto Patrick Gurham, 198; © C. Lavayén, 187 (3); © Marc Llimargas Pons, 137; Foto © Musei Vaticani, 34 (1), 35, 47, 224, 225; © Oronoz Fotografos, 90, 111, 142; © Photothèque Zodiac, 196-197; © Photothèque Zodiac. Abbaye de la Pierre-qui-Vire, 123; © Pedro Querejazu, 144 (6); © Marco Ravenna, Correggio, 81; © Roma Capitale, Museo di Roma, 151 (4); © A. Stabin, 186 (2); © The Nelson-Atkins Museum of Art, Purchase Nelson Trust, Kansas City, Missouri, 86; © Foto Han Walker, 182; © Servizio Fotografico de «L’Osservatore Romano», 226; Courtesy Henry Beck, 175 (7); AA. VV., Europa, Mercator Fonds, Bruxelles 2002, 166; Archivi Marquette University, 173, 175 (4-6), 176; Archivio Centro Studi per la Cultura Popolare, Bologna, 107 (1, 2), 108109, 112; Archivio Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, Torino, 164; Archivio Jaca Book, 6, 13, 15-17, 19, 20, 21, 24, 25, 28, 46, 50-53, 56, 66, 70-75, 79, 80, 82-85, 87, 89, 99-100, 107 (3), 114, 120-121, 127-130, 134, 138, 140, 144 (5), 147 (1), 153, 155, 157, 160, 161, 163, 167 (3), 169, 171-172, 178, 179, 189, 194, 200, 204, 205-207, 212, 218-219, 227, 230-231; Archivio Jaca Book/foto Massimo Capuani, 95; Archivio Jaca Book/foto Elio Ciol, 125; Foto Archivio fotografico – Comunità di Sant’Egidio/ Lucia Gardin, 195; Foto di Paolo Cardone (Shoot4 Change) per VIS, 233; Archivio Martin Noël, 118; Disegno di A. Baldanzi, 154; Biblioteca Nacional de España, Madrid, 11; Daniela Blandino, 34 (2), 58-59, 75; Casa Provinciale delle Figlie della Carità, Cagliari, 158 (2); Centro S. Chiara Audiovisivi, Rocca di Papa, Roma, 180; Le Comité International d’Auschwitz, 41 (2); Azienda U.S.L. ROMA-E – Complesso Monumentale dell’Ospedale di Santo Spirito in Saxia e Biblioteca Lancisiana, Roma, 151 (5, 6); Hessische Landes- und Hochschulbibliothek, Darmstadt, 27; Hirmer Verlag, 64-65, 138-139; W. Horn, E. Born, The plan of St. Gall, Berkley, 1979, 98; Illustrazione di Carlo Jacono, 159; Institut Catholique de Paris, Parigi, 18, 22, 26; Nando Lanzi, Archivio Centro Studi per la Cultura Popolare, Bologna, 132-133, 135; Montecassino, Archivio dell’Abbazia, 98; Musée du Louvre, Parigi, 49; Fot. Pais/archivio Rodrigo Pais - CEUB Università di Bologna, 183; Panstwowe Muzeum Auschwitz-Birkenau, 41 (1); Piccole sorelle di Gesù di Charles de Foucauld, Fraternità generale, Tre Fontane, Roma, 105 (15, 16); Foto L. Prat, 190 (2); Foto L. Prisset, 190 (3); Rivista viscontiana, Roma, 158 (1); Foto Sandro Scarioni. Dal volume Altare d’oro di Sant’Ambrogio, a cura di Carlo Capponi, Silvana Editoriale, 1996, 54-55; Union Suisse d’Archéologie Copte, Genève, 93; Universitätsbibliothek, Erlangen, 9, 32; www.caritas.org, 60; www.jesuscaritas.it, 201 (6); www.logifranchi.it, 204.

Weston, Dorothy 173 Willibrordo, santo 131 Wresinski, Joseph 190

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