inevitabili citazioni greche, ridotte a pochi elementi rigidi e schematici – il chitone a fitte pieghe verticali, la testa dipendente da moduli «severi» – mediati comunque dalla statuaria etrusca, si risolvono in una forma complessiva di rozza e quasi barbarica efficacia: gli occhi, grandissimi e sbarrati e le grosse labbra piegate in basso mirano ad esprimere violenza e terrore, caratteristiche certamente accentuate dall’originaria policromia. L’insieme risulta del tutto divergente dai prodotti contemporanei della plastica greca. Si tratta certamente di una riproduzione della statua di culto che, se dobbiamo credere a Strabone, poteva essere uno xoanon ligneo, analogo a quelli di Athena Iliàs da lui menzionati. In un’altra delle statue, di cui si conserva solo la parte inferiore, il tritone è sostituito da un’oca: attributo comune per divinità come Giunone o Venere, ma del tutto inedito per Minerva. Emerge da dettagli come questo la connotazione del tutto eterodossa di questa particolare divinità. Una terza statua, di dimensioni ridotte, è ancora più originale (fig. 126): la dea vi appare totalmente chiusa in una sorta di lungo camicione, aperto davanti, che la ricopre fino ai piedi, percorso da cordoni, che potrebbero essere la riproduzione schematica di serpenti. Solo l’elmo e la testa di Medusa sul petto ci riportano all’immagine tradizionale di Minerva. La tipologia degli altri ex voto permette di arricchire e precisare le caratteristiche del culto: la presenza di madri che allattano, di bambini in fasce, di gruppi familiari rinviano a funzioni legate alla riproduzione, mentre l’assenza di votivi anatomici e di animali, eccezionale nel panorama complessivo dei depositi votivi laziali, esclude le funzioni «guaritrici» (di sanatio). Tali connotazioni sono precisate dalla frequenza di immagini di giovani dei due sessi, rappresentati con abbigliamenti particolari (toga e bulla per i maschi, tunica recta e acconciature particolari per le femmine) (fig. 130) che rimandano ai riti di passaggio dall’infanzia alla maturità: ciò spiega l’insistenza sul matrimonio e sulla riproduzione, che costituisce il motivo dominante nel complesso degli ex voto. Un altro aspetto, che si riscontra soprattutto nelle immagini di IV-III secolo, è costituito dalla particola-
131. Lavinio, Santuario di Minerva: statua di offerente in terracotta.
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re ricchezza dei gioielli (fig. 131): diademi, orecchini e soprattutto serie di collane con pendenti, spesso decorati con scene mitiche e divinità, certamente tratte da calchi di oggetti in metalli preziosi: è stato osservato che tale caratteristica va collegata al senatoconsulto che, nel 396 a.C., permise alle donne di esibire gioielli d’oro: annullando così le severe disposizioni contro il lusso, introdotte alla metà del secolo precedente dalla Legge delle XII tavole. I due complessi di Ardea e di Lavinio costituiscono un’eccezione nel panorama dei depositi votivi, diffusi in tutta l’Italia centrale tra il IV e il III secolo a.C. Questi comprendono in genere, moltiplicati in migliaia di esemplari, modesti oggetti di terracotta – realizzati meccanicamente e in serie, con uso di matrici – destinati a ringraziare la divinità della «grazia» ottenuta (guarigione da una malattia, nascita di un figlio, buon risultato del raccolto ecc.) e presentano in genere un aspetto connesso (magicamente o simbolicamente) con l’occasione particolare: si trat-
133. Matrice di arula in terracotta con combattimento tra un grifone e un Arimaspo (Roma, Antiquarium Comunale).
132. Arula di terracotta con nereide su delfino, dall’Esquilino (Roma, Antiquarium Comunale).
134. Doppia arula in terracotta con due teste di Gorgone (Roma, Antiquarium del Museo delle Terme).
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