Il disaccordo del secolo
-------------------------------------------------------------------Come il piano per la risoluzione del conflitto israelo -palestinese di Trump si riflette nelle risposte del mondo arabo
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Per Marco Carnelos, ex ambasciatore in Iraq ed ex inviato speciale per la Siria e il processo di pace israelo-palestinese, la domanda che guida e struttura la narrazione dell’area in cui secondo l’Arab Human Development Report del 2016 si sono verificati il 17% dei conflitti mondiali dal 1948 al 2014 è: gli USA stanno dimostrando di perdere in Medio Oriente la propria egemonia? L’ultimo successo diplomatico effettivo degli Stati Uniti, prima dell’accordo sul nucleare del 2015 faticosamente strappato da Obama all’Iran, risale al 1978 con la pace di Camp David. Il cosiddetto “asse della restaurazione” – composto da Egitto, Arabia Saudita e Israele – fedele agli USA non presenta spesso una guida chiara: dunque, il giornalista Alan Friedman durante la conferenza Perché le guerre in Medio Oriente non finiscono mai si domanda come si debba decifrare la linea politica americana nella regione. Che, a dispetto della retorica trumpiana della smobilitazione militare e del “disimpegno”, ha visto in Medio Oriente negli ultimi 3 anni un aumento tra le 16 e le 18 mila unità. Carnelos osserva come il fulcro della questione riguardi un asset culturale connaturato al DNA occidentale: il bisogno patologico dell’Occidente di un nemico che consenta l’innesto di un rafforzativo identitario. È così che anche il progetto di pace israelo-palestinese rischia di configurarsi nient’altro che come l’ennesimo diktat di un giovane impero incapace di imporre un controllo capillare sul Mediterraneo orientale. L’“accordo del secolo”, come ama definirlo Trump, viene presentato il 28 gennaio scorso alla Casa Bianca in presenza del premier israeliano Benjamin Netanyahu e degli ambasciatori di Oman, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti. Scomodo
Febbraio 2020