l’Unità Laburista - Europa o barbarie - Numero 36 del 9 gennaio 2021

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Numero 36 del 09 gennaio 2021

Europa o barbarie


Sommario  l’Editoriale del Direttore/La Democrazia e gli sciamani - pag. 3 di Aldo AVALLONE  Come si è giunti all’attuale stadio dell’integrazione europea - pag. 6 di Giovan Giuseppe MENNELLA  La UE soffre di lobbismo - pag. 16 di Giovanni AIELLO  Agitu - pag. 21 di Antonella BUCCINI  #NextGenerationNaples - pag. 23 di Antonio DINETTI  Sarò antipatica - pag. 28 di Antonella GOLINELLI  La vignetta - pag. 33 di FRAGO  Fantasmi d’Europa - pag. 34 di Raffaele FLAMINIO  La forma e la sostanza - pag. 39 di Rosanna Marina RUSSO  Su alcune pandemie degli ultimi cento anni (parte seconda) - pag. 43 di Giovan Giuseppe MENNELLA  Io sto con Francesco - pag. 53 di Antonella BUCCINI  Natale in giro per l’Europa - pag. 55 di Veronica D’ANGELO  Viva viva l’Inghilterra (parte seconda) - pag. 59 di Antonella GOLINELLI  A un passo da loro - pag. 64 di Lucia COLARIETI  Non ce lo possiamo permettere - pag. 69 di Aldo AVALLONE  Nazisti dell’Illinois e dove trovarli - pag. 73 di Umberto DE GIOVANNANGELI 2


l’Editoriale del Direttore

La Democrazia e gli sciamani Aldo AVALLONE

Il numero de l’Unità Laburista che state leggendo è stato chiuso mercoledì 6 gennaio scorso ed è dedicato in larga parte all’Europa. Avevamo deciso di approfondire alcuni temi che ritenevamo attuali relativi al nostro continente, in vista anche della discussione sul Recovery plan. In una redazione quello è sempre un momento di soddisfazione per il lavoro compiuto e di attesa per come potrà essere gradito o meno da parte dei lettori. Poi, nel giorno della Befana e del meritato relax, su tutte le televisioni sono apparse le immagini provenienti da Washington. Un gruppo di estremisti di destra, incitati su Twitter dal Presidente uscente, ha dato l’assalto al Campidoglio mentre si stava procedendo alla ratifica dell’elezione di 3


Joe Biden a nuovo Presidente degli Stati Uniti. Immagini che non avremmo voluto vedere mai: i rappresentanti del Congresso distesi sotto i banchi e uomini della sicurezza con le armi in pugno a difendere il luogo simbolo della democrazia americana da un vero e proprio attacco sovversivo. Sappiamo tutti come sia evoluta la situazione. Il Congresso si è riunito nuovamente in nottata e ha certificato la nomina di Biden. Ma non è la cronaca che qui ci interessa. È evidente che il tentativo di golpe mediatico ordito da Donald Trump non avrebbe mai potuto perseguire il suo fine. Un migliaio di esaltati, anche se armati, non avrebbero mai potuto sovvertire l’ordine democratico americano. Allora perché? Un ex consigliere di Obama ha dichiarato alla CNN: “L’importante è capire se questa giornata è la fine di qualcosa o l’inizio di qualcosa di peggio”. Il che vuol dire “cosa ci si può aspettare ancora da Trump?”. E se l’ormai ex Presidente dovesse proseguire nel suo tentativo di destabilizzazione chi lo seguirà veramente? Il partito Repubblicano ha largamente preso le distanze ma non è ai vertici di partito che Trump si rivolge. Certamente non tutti i settantacinque milioni di americani che lo hanno votato sono con lui in questa tragica fine di mandato ma occorre prendere atto che nei democratici Stati Uniti d’America esistono frange di estremisti di destra che non hanno alcuna intenzione di rispettare i meccanismi della democrazia. Negli USA esistono oltre mille e cento gruppi di “suprematisti bianchi” che rappresentano lo zoccolo duro dell’elettorato trumpista: razzisti, fascisti di varia specie, neonazisti. Probabilmente molti di loro erano tra gli assalitori del Congresso. Quasi profeticamente ne abbiamo parlato su l’Unità laburista nel luglio 2019 in un 4


pezzo di Umberto De Giovannangeli dal titolo “Nazisti dell’Illinois e dove trovarli” che riteniamo utile riproporre in questo numero. È lecito chiedersi dove andrà l’America nei prossimi giorni e nei prossimi anni. L’urgenza è far lasciare la Casa Bianca a Trump attraverso un passaggio di poteri che auspichiamo pacifico ma di cui non si può essere certi. In uno sguardo maggiormente prospettico, in un momento di gravissima crisi sanitaria ed economica, bisognerà comprendere dove davvero voglia andare l’America, l’America delle grandi città e quella dei territori rurali, l’America del successo ad ogni costo e dei barboni che muoiono per strada, l’America che si ferma per protestare contro il razzismo e quella che il razzismo lo esalta e lo pratica, le tante Americhe diversissime tra loro con le differenze ideologiche e valoriali che non fanno paura alla democrazia se sono espresse nei modi e nelle forme previste dalla normale dialettica democratica. I fatti del 6 gennaio, al di là della loro reale portata, rappresentano un atto simbolico fortissimo in cui il mondo intero ha percepito in poche ore la fragilità di quella storica democrazia che è apparsa in un attimo estremamente vulnerabile. E questa consapevolezza lascia sgomenti, perché questo fascismo populista del XXI secolo vive e prospera non solo negli Stati Uniti ma rappresenta un virus, altrettanto pericoloso del Covid -19, che può propagarsi in poco tempo in larga parte del democratico occidente. Cosa sta avvenendo in Polonia e Ungheria? E le marce dei negazionisti a Berlino e nelle altre capitali europee? Quanti elogi ha avuto Trump da Salvini e dalla Meloni? I fatti del 6 gennaio insegnano che la democrazia non deve essere considerata una conquista assodata ma va difesa giorno per giorno in ogni parte del mondo. Ricordiamolo sempre. Tutti, principalmente noi di sinistra.

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Europa

Come si è giunti all’attuale stadio dell’integrazione europea Giovan Giuseppe MENNELLA

Alcuni dei primi passi per un’idea di unione politica dell’Europa furono compiuti nella piccola isola di Ventotene. E che passi. Erano lì riuniti alcuni dei migliori in6


telletti italiani. E pour cause, perché la macchina repressiva fascista, incarnata dal pur capace dirigente poliziesco Arturo Bocchini, aveva commesso l’errore di radunarvi troppe intelligenze, che ebbero così modo di confrontare le loro varie opinioni e progredire nell’amalgamarle e perfezionarle, tenendosi pronti all’azione politica da intraprendere dopo la caduta della dittatura. L’isola doveva passare alla storia in particolare come il luogo dove fu pensato il Manifesto federalista europeo, scritto da alcuni di quegli intellettuali, cioè Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Erano comunisti, ma Spinelli già non lo era più, socialisti, liberali di varie tendenze, anarchici. La varietà di opinioni aveva stimolato più feconde riflessioni. Non solo i personaggi citati, ma anche altri parteciparono alle discussioni e alle elaborazioni del progetto, in un clima intellettuale fervido e stimolato dalla varietà delle loro opinioni e tendenze. Nell’isola fu scritto da Spinelli, Rossi e Colorni il Manifesto federalista europeo, che fu poi stampato a Roma nell’Agosto 1943. Il famoso documento prevedeva che alla caduta dei fascismi si sarebbero restaurate le democrazie, superati gli Stati nazionali e istituita una federazione europea. L’obiettivo di fondo doveva essere quello di prevenire nuove sanguinose e catastrofiche guerre tra gli Stati, dopo le esperienze delle due guerre mondiali che avevano devastato e dissanguato il continente europeo. L’idea federalista in funzione della pace trovava un illustre precedente nelle ultime, profetiche, pagine de “La storia d’Europa nel secolo XIX” di Benedetto Croce, scritta nel 1932. Il filosofo aveva previsto, sulla base del solo ragionamento razionale, l’ineluttabilità dell’istituzione, in un futuro non lontano, degli Stati Uniti d’Europa, organismo in cui gli Stati nazionali si sarebbero dovuti fondere senza però perdere le peculiarità culturali e civili di ognuno, come gli Antichi Stati italiani 7


si erano fusi nello Stato unitario nazionale italiano sorto nel 1861. Nel Manifesto gli estensori si augurarono anche la sopravvivenza nel dopoguerra dello spirito rivoluzionario, se non di un vero e proprio partito, che si era sviluppato nella lotta al nazifascismo. La necessità di una Federazione unitaria europea era dettata anche dalla lucida consapevolezza che, dopo la perdita di centralità causata dalla guerra civile tra gli Stati europei durata dal 1914 al 1945, l’Europa sarebbe stata condizionata pesantemente dall’azione di potentati extraeuropei e, quindi, si doveva unire se voleva continuare ad influire nelle decisioni mondiali. Dopo la guerra Spinelli si trasferì per qualche tempo in Svizzera, dove si lega di amicizia con Ignazio Silone, un altro fuoruscito dal Partito comunista, e aderì al Partito d’Azione, erede politico del Movimento Giustizia e Libertà. Proprio Spinelli, rientrato in Italia nel maggio del 1945 e iscrittosi al Partito d’Azione, erede di Giustizia e Libertà, cominciò insieme agli altri suoi compagni, l’incessante opera di organizzazione e sensibilizzazione per realizzare le idee federaliste del Manifesto. Insieme ad Andrè Malraux fu organizzata una conferenza federalista europea, nel corso della quale fu dichiarata la ferma opposizione a limitate e parziali unioni solo economiche e normative tra gli Stati europei, a favore di una vera e propria federazione europea che travalicasse i poteri degli Stati nazionali. La mera cooperazione tra Governi in possesso della piena sovranità nazionale in semplici organismi burocratici, quali poi furono l’OCSE e il Consiglio d’Europa, non sarebbe stata sufficiente per una piena integrazione politica del continente Sarà sempre questo il discrimine e il punto determinante di frizione tra le due vi8


sioni della Unione dell’Europa, il superamento o meno degli Stati nazionali. Il dissidio, o meglio la diversità di vedute, dura ancora ai nostri giorni. Ancora oggi sembra davvero improbabile che Capi di Stato, Primi Ministri e occupatori di posti di potere degli Stati nazionali decretino da se stessi la loro estinzione. Anzi, in alcuni casi, si sta tentando assai di recente di far nascere nuovi Stati nazionali dalla partizione di Stati già esistenti, come la Catalogna rispetto alla Spagna e la Scozia rispetto alla Gran Bretagna, anche se, nel caso della Scozia, l’indipendenza di quest’ultima potrebbe rivelarsi positiva per l’Europa, alla luce delle ultime dichiarazioni della Premier scozzese che ha previsto, dopo l’indipendenza, la cancellazione della Brexit e il rientro nell’Europa unita. Assistiamo così, ancora ai nostri giorni, ad una situazione istituzionale in cui l’odierna Unione europea, così come è stata realizzata, somiglia pericolosamente a quelli che erano gli Stati Uniti d’America prima della Guerra Civile, cioè una “casa divisa”, come la definì Lincoln in un famoso discorso. Una Confederazione in cui ogni Stato fa parte per se stesso e può bloccare qualunque decisione. Così si crea l’impossibilità di prendere decisioni comuni se non all’unanimità, con la conseguente paralisi operativa sulle sfide importanti di un mondo che cambiava ai tempi di Lincoln, e che oggi cambia ancora più velocemente. Le sfide importanti erano per gli Stati Uniti del XIX Secolo la schiavitù, la tariffa doganale, i lavori pubblici, le ferrovie da costruire verso l’Ovest, la Banca centrale, i suoli liberi da assegnare ai pionieri. Per l’Europa di oggi sono la politica fiscale comune, gli investimenti produttivi con particolare riguardo alla green economy, la politica di regolazione dei flussi migratori etc. Nel settembre del 1945 Spinelli e Rossi si trovano in minoranza nel Movimento federalista europeo che abbandonano nel 1946 per aderire al Movimento per la Re9


pubblica, insieme a un altro personaggio importante come Ugo La Malfa. Nel 1948, al congresso del Movimento federalista europeo, lanciano a tutti i partiti politici italiani, coinvolti nelle elezioni del 18 aprile, un messaggio perché esprimano tutti insieme l’adesione al Movimento federalista europeo. Comunque, da allora in poi nel dopoguerra, il percorso dell’integrazione europea va avanti, non certo secondo gli auspici e le proposte di Spinelli e Rossi, ma con provvedimenti burocratici che non intaccano la sovranità degli Stati nazionali. Nel 1949 è istituito a Londra il Consiglio d’Europa, nel 1951 è istituita la CECA, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, con la partecipazione di Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo. La CECA può essere considerata il vero inizio della Comunità europea come poi si è andata sviluppando fino ad oggi. Fu istituita con il Trattato di Parigi del 18 aprile 1948 ed entrò in vigore il 23 luglio 1952, voluta dai francesi Schumann e Monnet, dal tedesco Adenauer e dall’italiano De Gasperi. Il Trattato aveva recepito il cosiddetto “Piano Schumann”, dal ministro francese Robert Schumann, ispirato a sua volta dalle riflessioni e proposte del ministro Jean Monnet. Consisteva nel mettere in comune le risorse produttive di due materiali strategici come il carbone e l’acciaio, presenti in grande quantità proprio ai confini di tanti Stati europei come Francia, Germania e Benelux e per il possesso dei quali proprio quegli Stati, a cominciare da Francia e Germania, si erano combattuti, sanguinosamente e inutilmente, per secoli. Anzi, per un millennio intero, dai figli di Carlo Magno alle due guerre mondiali del ‘900 che non pochi storici considerano una vera e propria Guerra Civile europea o una seconda Guerra dei trent’anni, durata dal 1914 al 1945. Non a caso, due dei politici fautori del Trattato, De Gasperi e Schumann, erano ori10


ginari proprio di quelle Regioni di confine, il Trentino e l’Alsazia, per cui gli europei si erano combattuti inutilmente ed un terzo, Jean Monne, era stato uno dei delegati alla Conferenza di pace di Parigi del 1919 ed uno dei pochissimi ad avere capito l’errore di umiliare ed emarginare dal contesto europeo la Germania. Posizione condivisa con un altro importante intellettuale, presente a sua volta nella delegazione inglese, John Maynard Keynes, che l’espresse nel suo scritto “Le conseguenze economiche della pace” dopo essersi dimesso polemicamente dalla delegazione. Per l’impegno di Spinelli, come consigliere politico del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, è proposta da quest’ultimo, insieme ad altri politici europei, l’istituzione della CED, l’esercito comune europeo. Con grandissima delusione di Spinelli la CED però venne bocciata nel 1954 dall’Assemblea Nazionale francese, in un accesso di nazionalismo fuori tempo massimo, al canto della marsigliese. Più che altro per ragioni e umori di politica interna, visto che era il periodo in cui la IV Repubblica e l’opinione pubblica erano lacerati fortemente sull’atteggiamento da tenere rispetto a quello che restava della politica coloniale e di potenza nazionalista, messe alla prova dai drammatici sviluppi bellici in Indocina ed in Algeria. Intanto, in quegli anni, i federalisti continuarono a battersi per un federalismo europeo che annullasse la sovranità degli Stati nazionali, appoggiando il governo italiano nell’adesione all’idea di Europa unita, contro i socialisti e i comunisti. Anche se la posizione dei federalisti non fu mai pregiudizialmente anticomunista; secondo loro anche le democrazie occidentali potevano essere criticate, nel caso adottassero politiche sbagliate. Nel 1957, il 25 marzo, furono firmati i Trattati di Roma, istitutivi rispettivamente della Comunità Economica Europea CEE e della Comunità europea dell’Energia Atomica TCEEA, entrambe in aggiunta alla preesistente Comunità del Carbone e 11


dell’Acciaio CECA. Furono i primi organismi federalisti ufficiali, di carattere sostanzialmente ancora solo economico. Il dissidio tra federalisti politici per una vera Federazione politica e federalisti auspicanti un gradualismo di azione che dovesse partire esclusivamente dall’economia, sembrò risolto provvisoriamente a favore dei secondi. I federalisti fautori di una vera integrazione politica non lesinarono la loro delusione, indirizzando aspre critiche a quella che considerarono una beffa dei mercati e dei burocrati. Nel 1979, alle prime elezioni europee, fu eletto deputato europeo il più accanito tra i fautori del federalismo politico di piena integrazione europea, vale a dire Altiero Spinelli. Fu creato da loro il Club del Coccodrillo, di ispirazione federalista spinta, che auspicò un nuovo Trattato europeo e i suoi membri proposero una mozione parlamentare finalizzata alla costituzione di un Comitato speciale per la preparazione di un nuovo Trattato, destinato ad essere in tutto, salvo che nel nome, una Costituzione europea. L’intendimento fondamentale era quello di riformare da cima a fondo le istituzioni dando molto più potere al Parlamento, prevedendo un vero potere legislativo europeo, in capo al Parlamento, e un vero potere esecutivo, in capo a un governo europeo che decidesse per tutti senza attendere l’unanimità di tutti gli Stati. Nel nuovo Parlamento europeo eletto nel 1984 i federalisti elaborarono il cosiddetto “Piano Spinelli” che fu approvato a grande maggioranza il 14 febbraio 1984 come Progetto di Trattato istitutivo dell’Unione europea. Previde esclusivamente la creazione di una Conferenza intergovernativa. I Parlamenti nazionali non ratificarono il Trattato. Comunque, negli anni ’80 l’entusiasmo dei federalisti politici convinse il Presidente francese Mitterrand a rinunciare all’atteggiamento di ostilità nei confronti di una Europa che non fosse solo quella strutturata nell’ambito intergo12


vernativo delle cancellerie degli Stati nazionali. In molti governi europei il mutato atteggiamento francese fornì la spinta per far progredire ulteriormente il processo di integrazione I federalisti criticarono fortemente la situazione di stallo. Altiero Spinelli prese a prestito un episodio da “Il vecchio e il mare” di Hemingway paragonando l’Europa al vecchio pescatore e gli inconcludenti progetti di integrazione federale al grande pesce tenuto in mare per troppi giorni e ridotto, per i morsi dei pescecani, ad una nuda lisca all’arrivo della barca in porto. I politici responsabili sarebbero dovuti uscire in mare aperto con tutti i mezzi a disposizione per pescare il pesce dell’integrazione politica e portarlo rapidamente in porto evitando gli assalti dei pescecani. Il suo ricordo è stato rimosso dai Partiti politici ma è tuttora presente nella cultura e nelle speranze dei giovani che sempre più numerosi si spostano in Europa e si sentono sempre più cittadini europei. Comunque, il “Piano Spinelli” e il conseguente “Progetto di Trattato istitutivo dell’Unione europea” costituirono una base per l’Atto unico europeo del 1986, che aprì i confini nazionali al mercato comune, nonché per il Trattato di Maastricht del 1992 con cui nacque l’Unione europea come la conosciamo oggi. Il Trattato di Maastricht previde i tre pilastri delle Comunità europee (CE), cioè il mercato comune europeo, l’unione economica e monetaria e altre competenze aggiunte in seguito, oltre alle già esistenti politiche comuni del carbone e dell’acciaio e a quella atomica, della politica estera e di sicurezza Comune (PESC) e della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (GAI). Nella PESC e nella GAI i poteri del Parlamento europeo, della Commissione Europea e della Corte di Giu13


stizia erano limitati rispetto a quelli del Consiglio dell’Unione europea che comprendeva i ministri degli Stati nazionali, cioè uno di quegli organismi burocratici intergovernativi tanto osteggiati da Spinelli. Poi ci furono il Trattato di Nizza sui diritti dei cittadini europei, il Trattato di Amsterdam che irroga sanzioni per gli Stati che non rispettino le regole, il Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, entrato in vigore il primo dicembre 2009 sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Nonostante non tutte le idee ambiziose dei federalisti siano divenute realtà, hanno perseguito accanitamente l’obiettivo di un governo europeo sovranazionale con il fine di evitare altre guerre e di unire i paesi del continente in un’Europa federale. I suoi pensieri hanno ispirato molti cambiamenti nell’Unione, in particolare l’aumento significativo dei poteri del Parlamento europeo. All’epoca della crisi del debito sovrano della Grecia, le istituzioni europee, ma soprattutto le volontà politiche dei più importanti Stati componenti, hanno dimostrato di non aver compreso appieno l’indispensabilità di un’azione comune a favore degli Stati in difficoltà economica. Il risultato fu che, intorno al 2010, non fu travolto solo il bilancio della Grecia, ma furono esposti alla speculazione finanziaria, in un perverso gioco del domino, i debiti sovrani anche di Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda, con perdite economiche notevoli che si sarebbero potute evitare in caso di una comune ed efficace azione di sostegno delle istituzioni europee congiunte. Solo le dichiarazioni rassicuranti e responsabili del Governatore della BCE Mario Draghi, valsero a scongiurare un crollo ancora più pericoloso. Non c’è chi non ricordi il famoso bazooka che Draghi assicurò di voler usare, affermando che avrebbe fattoi “wathever it takes” per salvare l’economia europea. 14


Nell’ultimo periodo, infine, all’indomani delle ultime elezioni europee del 2019, un’eco delle lotte e degli auspici dei federalisti politici si è potuto cogliere nelle proposte di un “Green New Deal” per l’Europa. Questo progetto rinforza ulteriormente gli auspici della neoeletta Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per un nuovo patto per un’Europa più sostenibile che intrecci lo sviluppo con la salvaguardia ambientale. Ci si propongono tre obiettivi: 1) decarbonizzare l’economia europea, 2) fermare il degrado della biodiversità, 3) garantire un’occupazione lavorativa decente a quanti più cittadini possibile ma fermando il degrado climatico. Tutto ciò anche con il sostegno di green bonds da parte della Banca Centrale. Il clima sembra ulteriormente migliorato in concomitanza con la pandemia di Sars Cov 2 del 2019-2020. Infatti sono state stanziate abbastanza in fretta, pur dopo oscillazioni ed esitazioni iniziali, enormi somme per il Recovery Plan e per il Piano di ammodernamento delle Sanità pubbliche. Tuttavia, queste utili e indispensabili decisioni rapide e unitarie dell’Europa sembrano essere state determinate non tanto da un cambiamento delle leggi fondamentali e delle istituzioni in senso maggiormente federalista, quanto piuttosto da una volontà politica mutata rispetto agli egoismi e alle esitazioni che avevano portato alla grave crisi finanziaria degli anni intorno al 2010. Tanto vero che gli iniziali dinieghi di Polonia e Ungheria sono stati travolti da evidenti pressioni politiche, più che da un ormai istituzionale superamento dell’unanimismo degli Stati membri. Oggi, quindi, il processo di integrazione europea vive una fase decisiva. Si può ben dire che se non va avanti fino alla creazione di una organizzazione che travalichi i poteri principali degli Stati nazionali, è destinato fatalmente a tornare indietro e a subire uno scacco forse definitivo. 15


Europa

La UE soffre di lobbismo. Il lobbying nell’Unione europea, fra bisogno di trasparenza e opacità del sistema Giovanni AIELLO

La pagina garzantilinguistica.it definisce piuttosto duramente una lobby come un “gruppo di interesse che, esercitando pressioni anche illecite su uomini politici, ottiene provvedimenti a proprio favore”. Il significato attuale della parola ha però una origine incerta. Senza dubbio il termine “lobby“deriva dal latino laubia, ovvero loggia, con riferimento alla tribuna aperta al pubblico dalla quale i cittadini ascoltavano direttamente le discussioni politiche. Ma un’altra accezione, affermatasi originariamente nel mondo anglosassone, rimanda invece ai corridoi e alle anticamere delle sale assembleari, proprio 16


quelle nelle quali era allora (ed è tutt’oggi) possibile incontrare i governanti per sottoporre loro questioni e richieste specifiche. Nomen omen, quindi, come si usa dire, visto che il termine contiene già in sé la profonda contraddizione che ritroviamo ancora, per niente intaccata, nell’odierna attività di lobbying, la quale si pone infatti esattamente a metà strada fra un’idea di partecipazione dei comparti economici al dibattito decisionale (attualmente nell’Unione agiscono oltre 10mila organizzazioni lobbiste) e la possibilità di forzare invece i processi istituzionali attraverso interventi più o meno espliciti per garantire interessi che un tempo avremmo definito corporativi. La situazione attuale nella UE Come accennato, il lobbismo è tradizionalmente associato alla Gran Bretagna e, in particolar modo, agli Stati Uniti, paese nel quale questa realtà è da tempo consolidata e in un certo senso regolamentata attraverso appositi albi professionali. Ma anche l’Unione europea è tutt’altro che estranea al fenomeno, tanto che Bruxelles pare sia diventata in questi ultimi tempi la capitale mondiale del lobbying, ancora più di Washington. Ma ciò non toglie che già nei primi anni novanta, in tempi non sospetti, si fosse sentita l’esigenza di regolamentare le diverse attività dei gruppi di pressione all’interno della UE. Il primo risultato importante in tale direzione si è fatto attendere però fino al 2011, con l’istituzione del Registro per la trasparenza (che riguarda Commissione e Parlamento), cui si iscrivono, ma solo su base volontaria, le organizzazioni che fanno lobbying nell’Unione. Inoltre, dal 2014, durante la presidenza di Jean-Claude Juncker, è stato stabilito che i membri della Commissione debbano pubblicare la lista dei loro incontri con i rappresentanti delle organizzazioni presenti nell’elenco. E nel 2019, in concomitanza con l’approvazione del bilancio, l’Unione ha approvato anche vari emendamenti che estendono al Parlamento europeo le stesse disposizioni previste per i commissari, perfezionando ulteriormente il meccanismo in termini sia di legalità che di accessibilità ai documenti da parte di operatori e cittadini. Questo obiettivo viene raggiunto incrociando i dati presenti nel registro per la trasparenza (contenente informazioni anche sugli obiettivi e sulla forza finanziaria delle organizzazioni di lobbying) con l’agenda degli incontri, ma anche con l’osservatorio legislativo, che raccoglie tutta la produzione normativa in via di de17


finizione. Ciò consente oggi di comprendere molto meglio lo sviluppo del processo decisionale, mettendo in fila i protagonisti presenti ai meeting, il periodo di riferimento e le proposte analizzate, per effettuare così una comparazione con il testo finale dei provvedimenti e valutare quanto e come l’incontro degli esponenti istituzionali con i lobbisti abbia di volta in volta influito nel merito. Rimane invece escluso da questo meccanismo di verifica incrociata, almeno fino ad oggi, il Consiglio dell’Unione Europea. Anche se proprio in queste settimane si è giunti ad un compromesso che pare preluda alla prossima creazione di un registro unico che riguarderà tutti e tre gli organi e al quale questa volta sarà obbligatorio iscriversi per i lobbisti che vogliano accreditarsi. Lobbisti: chi sono e cosa fanno Tra le migliaia di organizzazioni coinvolte in questo articolato processo (dal 2014 il loro numero è aumentato del 50%) ci sono realtà tra loro molto diversificate. In prevalenza si tratta di associazioni commerciali e professionali. In seconda battuta sono numerosissime le ONG, e poi seguono gli studi specializzati nella consulenza e le associazioni che raggruppano enti locali e sindacati. Ma a fare la differenza sono soprattutto le finalità, e ancora di più le modalità di intervento di questi interlocutori (che il Consiglio stesso definisce in una sua nota “IG”, ovvero interest groups) nei lavori dell’Unione. In queste attività di pressione sono infatti coinvolte complessivamente quasi 100mila persone (delle quali circa il 10% ha accesso diretto alle assemblee) che agiscono ad ogni livello, ricalcando a specchio la complessa governance della UE. Partendo dagli stati membri, fino ad arrivare a Bruxelles, e presenziando dalla fase di iniziativa fino alle votazioni in aula (secondo il principio del cosiddetto venue shopping, da tradurre come ‘canale più appropriato’), i lobbisti operano infatti sia proattivamente che con campagne ostruzionistiche, attraverso strategie dirette o indirette, a seconda che esse siano mirate a condizionare in modo specifico i rappresentanti delle istituzioni (commissari, eurodeputati, funzionari permanenti) o invece l’opinione pubblica. Il tutto sempre con l’intento di alimentare un clima favorevole in rapporto a certi risultati da raggiungere e mettendo in campo una forza finanziaria spesso gigantesca, che nel complesso si conta in decine di miliardi di euro all’anno (con riferimento solo a quelli censiti), sotto forma di investimenti im18


mediati, ma anche di finanziamenti ricevuti dall’Unione, progetti e potenziali vantaggi fiscali. Senza dimenticare infine che ogni provvedimento europeo diventa molto spesso anche nazionale (in materia ambientale ed energetica, ad esempio, la percentuale dei recepimenti è vicina all’80%), con ricadute che si amplificano ulteriormente.

Le opacità (forse insuperabili) del sistema Eppure, malgrado le recenti misure di trasparenza, rimangono forti le perplessità sul genere di influenza che il lobbismo è in grado di esercitare sulle scelte della UE. E i motivi sembrano essere principalmente tre. In primo luogo, non tutti i soggetti attivi nel lobbying sono iscritti nel registro. Tra gli assenti troviamo ad esempio i consulenti indipendenti, gli studi legali e i cosiddetti think-tank (letteralmente ‘serbatoi di pensiero’, composti da esperti impegnati su temi di interesse strategico), che svolgono spesso un lavoro di supporto molto importante ma non facile da monitorare con gli strumenti attuali. In secondo luogo, va sottolineato quanto siano ritenute preziose per l’apparato dell’Unione tutte le “notizie” confidenziali e le expertise che si ricavano dai rapporti con associazioni di categoria e gruppi di interesse. Non a caso in una nota ufficiale del Consiglio queste informazioni vengono definite come “beni di accesso” che favoriscono i lavori delle istituzioni, l’accesso al consenso e l’integrazione europea. E ciò sembra legittimare una logica di scambio e di interdipendenza fra lobbismo e UE, che complica non poco qualsiasi valutazione. Infine, non convincono le transizioni di molti esponenti istituzionali dall’una all’altra realtà, e viceversa. Un principio dei vasi comunicanti questo, che ha riguardato, fra gli altri, il celebre caso di José Manuel Barroso, ex presidente della Commissione, che al termine del suo mandato, nel 2014, è entrato nella grande banca d’affari Goldman Sachs. Ma anche il nostro Mario Monti, Commissario europeo per dieci anni consecutivi (dal 1995 al 2004), con responsabilità in tema di finanza e di concorrenza, ha poi rivestito com’è noto incarichi per la stessa Goldman Sachs e per Moody’s, oltre ad avere partecipato come componente di spicco alle riunioni di importanti gruppi di interesse internazionali, prima di diventare ca19


po del governo in Italia. E a riprova ulteriore di questa fungibilità dei ruoli, lo stesso presidente Monti, proprio in questi mesi, è tornato a capo di una commissione europea voluta dall’OMS, per la ‘Salute e lo Sviluppo sostenibile’ alla luce della pandemia. E coerentemente con quanto appena detto in tema di opacità, e come puntualmente riportato da Nicoletta Dentico su Altreconomia.it, “la locuzione ‘salute pubblica’ non compare mai. Né nel comunicato stampa di annuncio della commissione né nell’intervento inaugurale del presidente Monti che introduce il terreno di lavoro dei commissari”. Con buona pace dell’emergenza pandemica e della sostenibilità. Gli obiettivi principali dell’Unione Eppure, se consultiamo la pagina ufficiale dell’Unione europea e leggiamo quali sono i suoi obiettivi principali, al primo punto troviamo “promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi cittadini”. E appena poche righe più in basso quegli stessi valori sono descritti come “condivisi dagli Stati membri in una società in cui prevalgono l’inclusione, la tolleranza, la giustizia, la solidarietà e la non discriminazione.”. Ora, senza indugiare troppo sui pur gravi casi di corruzione verificatisi negli anni (nel 2011 tre eurodeputati furono smascherati da inviati del “Sunday Times” che si erano finti lobbisti e avevano promesso soldi in cambio di sostegno ad un provvedimento), e ricordando come il lobbying non solo sia una pratica legale, ma anzi possa essere finanche virtuoso (si parla a tal proposito di lobbismo soft, fatto da associazioni dei consumatori, ambientaliste o impegnate sui temi legati ai diritti civili), viene comunque da chiedersi quante energie, professionali ed economiche, siano sottratte al perseguimento di quegli obiettivi fondanti dell’Unione proprio a causa delle estenuanti negoziazioni con potenti lobbies, come ad esempio il Cefic (Consiglio Europeo delle Indusrie Chimiche), o con i grandi nomi del settore tecnologico come Google e Microsoft, senza ovviamente dimenticare quelli delle pubbliche relazioni e della finanza, come Fleishman-Hillard e Fti. E appare dunque legittimo domandarsi, in conclusione, se la vocazione al lobbismo contenga almeno qualcosa di “comunitario”, o se sia, invece, del tutto incompatibile con i valori di cui si parla nel sito della UE. 20


Femminicidio

Agitu Antonella BUCCINI

Inutile girarci intorno. Nascere femmina è un affare complicato. Lo è in questa parte del mondo più “fortunato” lo è ancora di più altrove. Se sei nera inquieti il doppio e devi difenderti anche dai razzisti, quelli concentrati in primo luogo sul colore ma anche da quelli che non sono razzisti... però... Se poi oltre a essere nera hai una voce potente per affermare quello che pensi, provare a raddrizzare le cose storte, realizzare il tuo sogno di pace e armonia, allora tutto diventa maledettamente difficile. E pericoloso. Agitu Ideo Gudeta è etiope e nel suo paese lotta contro le multinazionali che si impadroniscono delle terre dei contadini, complici le autorità, per sfruttarle con mo21


noculture. Nel 2010, per sfuggire all'arresto, torna in Italia, dove si era laureata in sociologia e dove crede di essere al sicuro. È in Trentino che dà vita al suo progetto: salvare una razza di capre autoctona a rischio estinzione. E ci riesce. Recupera ettari di terre abbandonate per allevare in modo tradizionale i suoi animali. Mette in piedi un'azienda agricola, la Capra Felice, produce formaggi e insegna quest'arte antica ai giovani del luogo. Accoglie e dà lavoro ad immigrati. Nel 2015 la sua Azienda rappresenta il Trentino all'Expo di Milano. Troppo per una donna, una donna nera, una donna esule. Ancora una volta, da ultimo due anni fa, i suoi animali sono aggrediti, lei insultata e minacciata di morte. Il processo mitiga le responsabilità dell'imputato negando l'aggravante razzista. Agitu è stata uccisa. Il responsabile è un uomo a cui aveva dato lavoro e dal quale probabilmente non si sentiva minacciata. L'ha violentata agonizzante. Sostiene il delitto d'impeto per uno stipendio non pagato. Ancora un femminicidio anche se non perpetrato da un compagno, un marito, un fratello. Da un uomo di colore, pane per i razzisti nostrani. Ed è riduttivo e fuorviante raccontare di Agitu come un esempio di integrazione che questo paese “concede” agli immigrati meritevoli. I buoni e i cattivi, dunque, come usiamo, “democraticamente”, classificare “gli invasori”. Come se Agitu fosse, e debba rimanere, per sempre e innanzitutto una rifugiata. Proviamo a cambiare prospettiva. Agitu Ideo Gudeta era una donna che aveva realizzato il suo sogno, era diventata un'imprenditrice di successo nell'assoluto rispetto dell'ambiente e non aveva mai smesso di lottare per i diritti umani. Non sfuggiamo neppure alla complessità e non affidiamoci ai consueti stereotipi, giudicando surrettiziamente la violenza di quel paese, il razzismo subito, infine l'assassinio, una sorte compatibile con un destino tutto sommato ineluttabile. In una recente intervista le fu chiesto se fosse felice e Agitu rispose “Io sono felice, si”. 22


Europa

#NextGenerationNaples Antonio DINETTI

La sfida mondiale contro la pandemia è stata lanciata sui fronti della salute e dell’economia, in particolare sulle laceranti disuguaglianze sociali che si sono create o approfondite e sulla stessa capacità di resilienza delle comunità e dei singoli. L’Unione Europea ha avviato azioni solo qualche mese fa impensabili, radicali. Il nostro Governo, con risultati alterni, cerca di ammortizzare le ondate di contagio, di preservare l’efficace funzionamento della struttura sanitaria e ospedaliera, di alleviare i repentini e brutali impatti sul tessuto produttivo e sul lavoro in generale; 23


sperimentando un’inedita e spesso controproducente conflittualità con i governi regionali, figlia delle modifiche costituzionali, non sempre lucide, degli ultimi anni. La distanza sociale, figlia illegittima della obbligatoria distanza fisica, è ora il paradigma da sfatare modificando, verrebbe da dire tramite un upgrade, la natura delle relazioni vitali del nostro quotidiano; le asimmetrie socioeconomiche e informative generatesi in quasi un anno di emergenza pandemica stanno creando sfiducia. Il senso delle azioni intraprese dovrà trasformare in maniera significativa l’accesso ai diritti fondamentali del cittadino, le interazioni quotidiane e il nostro modo di rapportarci con l’ambiente e le dinamiche urbane: in una parola, la stessa vita collettiva e individuale. Se questo avverrà con una visione precisa e forte, che faccia da collante tra le parti sociali e possa indirizzare univocamente gli sforzi verso risultati concreti, sarà da verificare. Uno dei temi fondamentali su cui Unione Europea e Governi stanno freneticamente lavorando è quello della Trasformazione digitale; non più necessità auspicabile o asset innovativo come ai tempi, (sembra una vita fa), delle prime politiche su smartworking, formazione a distanza, Industria 4.0 ed altro, ma obbligo indifferibile per la necessità di spingere, secondo paradigmi nuovi e veloci, un’economia nazionale in asfissia, l’apparato scolastico in allarmante ritardo generazionale e la trasformazione territoriale necessaria. Il Nextgeneration UE deve calarsi capillarmente sui territori secondo un’ottica di investimento sul futuro e ciò riguarderà sia le metropoli che le aree interne, a partire da problematiche fortemente diverse ma ugualmente discriminanti. Appare evidente che tra amministrazioni regionali e comunali le condizioni ante Covid, potremmo definirle con una forzatura le condizioni di partenza allo scoppio 24


dell’emergenza, siano state e siano tuttora del tutto disomogenee. Quando le grandi metropoli affrontano, per fare un esempio, il problema della mobilità per la scuola, anche in relazione alle scelte contrastate tra attività in presenza e didattica a distanza, le differenze strutturali emergono con crudezza. Al punto tale che gli stessi Presidenti di Regione assumono poi decisioni più restrittive rispetto al Governo nazionale, forti di una puntuale conoscenza delle criticità del proprio territorio e nello sconforto generale della cittadinanza. La città di Napoli può essere considerata scenario paradigmatico di tutti i tipi di difficoltà e ostacoli da superare per le grandi aree metropolitane, una sfida esemplificativa, il campo di battaglia più aspro sul quale testare e applicare le azioni del PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza desunto dal NextGenerationUE. Non è un luogo comune ma una realtà conclamata. Al di là delle più legittime valutazioni politiche sugli ultimi anni di amministrazione, non possono che essere elencate tecnicamente, in un drammatico cahier de doléances, disfunzioni amministrative, deficit finanziario, carenze infrastrutturali di tutti i tipi, croniche debolezze del tessuto economico, un governo del territorio metropolitano nel migliore dei casi disatteso, nessuna visione o idea di città, forti resistenze al cambiamento. In un tale contesto, nel quale solo il lavoro sull’ Open Innovation e le rivoluzionarie sinergie tra Università e mondo delle grandi aziende con le Academies di San Giovanni hanno aperto da tempo squarci di futuro, per partire con un’idea di Città resiliente e smart non vi è che l’imbarazzo della scelta sui problemi da risolvere. La #nextgenerationNaples potrebbe quindi essere annoverata tra le più difficili e articolate sfide sugli indirizzi per una nuova Europa se solo si sciogliessero fonda25


mentali nodi politici, la cui soluzione definitiva avverrà solo con la prossima tornata elettorale e, va sottolineato, non senza grandi incognite. Naturalmente intorno alla questione si alternano fitte le più diverse discussioni ed elencazioni di progetti da realizzare ma, a opinione di che scrive, senza che emerga con chiarezza quell’idea di Città cui si alludeva. Società civile, mondo delle imprese e politica non lesinano idee ma quel che manca è l’affermazione compiuta di un modello che, negli ultimi anni, è stato disatteso, se non apertamente rifiutato. La sfida della modernità a Napoli implica grandi sacrifici da assumere da parte della politica e dei cittadini, la rinuncia a un modello di consenso che per anni ha prodotto provincialismo e isolamento, l’assunzione di precise responsabilità sull’opzione del cambiamento, in termini culturali, di efficienza operativa, di partecipazione collettiva. Va affermata la volontà di ricominciare daccapo su temi che per decenni hanno prodotto il nulla, come Bagnoli, non solo per malgoverno, scandali politici e indagini giudiziarie in atto, ma soprattutto riconoscendo che la strada imboccata tanto tempo fa forse era impercorribile. Non a caso, nelle prime dichiarazioni politiche sulle nuove ingenti risorse a disposizione, si è accennato al fatto che non dovranno essere impiegate per la realizzazione di progetti vecchi. A cosa alludeva il ministro Amendola? Solo al tempo passato inutilmente su Bagnoli e Napoli est? Io credo che l’aggettivo vada letto in un’accezione estesa: vecchio sta per superato. Superato non solo dal tempo ma dalla modernità, dalla concretezza e realizzabilità, dalle nuove vocazioni delle capitali europee e dalle sfide esiziali che la pandemia ci impone. Il piano di Bagnoli è nato un quarto di secolo fa, in un’epoca in cui c’era ancora l’intervento straordinario nel Mezzogiorno e ancora non esistevano il Decreto Ronchi e le leggi sulle bonifiche, ancora erano sconosciuti i problemi e le possibilità reali di effettuare certe scelte senza che divenis26


sero distopia. Il treno del Recovery fund non può essere perso perché sarà l’ultimo utile per l’ambizioso obiettivo di un’Europa che vuole agire come un unico Stato, con orizzonti di sviluppo mutati e nuova governance dei processi di trasformazione. Modernità per Napoli vuol dire aderenza a questi programmi, capacità di agire contemporaneamente su più livelli, passare finalmente dalla tradizionale e spesso inutile “contrattazione” delle risorse alla progettazione concreta di opere strategiche che non possono attendere, integrate tra loro e perfettamente rispondenti agli obiettivi europei: opere che, a quel punto, non avrebbero bisogno di contrattazione né di assegni europei in bianco, nascerebbero perfettamente inserite in questo gigantesco sforzo di cambiamento. Un cambiamento che negli anni passati sentivamo utile, che oggi è ineludibile. È forse ironia amara della sorte che un’emergenza epocale come questa avvenga nel momento di maggior debolezza della politica nazionale e cittadina ma è con questa materia che dobbiamo avere a che fare e il vero motivo per il quale potrà cadere un governo qualsivoglia non sarà dovuto alle scelte di una parte di maggioranza o opposizione ma al non riuscire a rispondere collettivamente e in termini soddisfacenti al Recovery Plan e ai cambiamenti che ci impone.

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Politica

Sarò antipatica Antonella GOLINELLI

Sarò antipatica. Non è una novità ma lo premetto per correttezza. Siamo in dirittura d'arrivo con il Recovery fund. Abbiamo assistito nel tempo ad ogni tipo possibile e immaginabile di incontro tra 28


le parti economiche, sociali, civili. Ogni incontro ha provocato sequele di polemiche sul nulla tali da impressionare chiunque. Enormi stormi di urlanti vergini violate ci hanno riempito occhi e orecchi di nefaste previsioni, di orrori perpetrati per incapacità , di disgrazie legate all'inettitudine di Conte, di sventure inimmaginabili per non aver obbedito prontamente ai dictat di Confindustria. Un quadretto dipinto a tinte talmente fosche che nemmeno i pittori fiamminghi avrebbero mai osato. Sia come sia, alla fine si fa il giro delle proposte e delle richieste dei partiti allo scopo di arrivare alla sintesi piÚ stretta delle aree di intervento e ridurre il numero di progetti rimasti in campo (52) a un numero piÚ gestibile per arrivare alla conclusione nei termini e nei modi definiti per l'accesso. E TAC! Arriva lui! L'uomo piÚ improvvido e inopportuno che abbia mai visto in politica. L'uomo che ha fatto nascere a forza questo governo andando in tv a dettare la linea, as usual, per poi uscire dal partito che ha guidato per anni, portandolo al risultato peggiore mai avuto in termini di consenso elettorale, il giorno dopo il giuramento dei sottosegretari, si è messo in moto provocando una sorta di crisi di governo. Che io dico, I say, siamo nel bel mezzo di una pandemia giunta come il cacio sui maccheroni dopo 12 anni di crisi economico finanziaria, un paese ridotto ai minimi termini da politiche dissennate portate avanti anche da te e tu ti rimetti di traverso? 29


A che titolo esattamente? Come può un soggetto politico, si fa per dire, che ha fatto della distruzione, dell'esclusione, del dileggio, della recriminazione la sua cifra mettersi per l'ennesima volta al centro della scena con richieste che nulla hanno a che fare con l'argomento in trattazione? Come può un soggetto politico, si fa sempre per dire, esibire un ricatto dall'alto del suo 2,5% stimato nei sondaggi? Come può un soggetto politico, naturalmente per dire, che ha sostituito i SUOI membri in prima commissione a forza per non avere voti contrari, pretendere qualsiasi cosa? Come può un soggetto politico, per dire eh sempre per dire, che ha assistito come un condor alla discussione delle modifiche alla Camera cercando di intimorire il mondo, creare il fracasso che sta provocando essendo diventato nel frattempo un passerotto? (la zoologia la conosciamo anche noi). Come può un soggetto politico, non lo dico nemmeno più, che ha provocato l'ascesa a un potere di qualsiasi tipo e livello di chi era addetto a spazzare la sezione perché altro non era in grado di fare (è un dato di fatto) cercare la salvezza e la visibilità mettendo in pericolo tutti? Come può un soggetto politico, ovviamente si fa per dire, pretendere qualcosa a proposito della delega ai servizi? Cosa centra? Voi vi ricordate il momento in cui voleva affidare parte di queste delicatissime questioni ad un suo amichetto toscano? 30


Io sì… La levata di scudi fu talmente ampia che andò tutto a finire in niente ma il tentativo ci fu. Non furono bei momenti. Esattamente come non sono stati bei momenti quelli della sua ascesa e della sua gestione del partito, per non parlare della sua presa del potere effettivo conseguente a uno #STAISERENO che fa ancora impressione. O vogliamo parlare di una modifica costituzionale talmente snaturante da essere bocciata dal successivo referendum? O vogliamo discutere di tutta una nomenclatura zoologica applicata agli avversari rigorosamente interni? Per non parlare degli accoliti! Quelli tanto delicati, quelli integerrimi, quelli sempre proni al volere del capo. Quelli che sono arrivati a chiamarci truppe cammellate, scagnozzi e altre amenità. Oh! C'è da dire che uno alla volta sono scomparsi, dimenticati in un qualche crocicchio della strada percorsa. Senza rimpianti, sia chiaro, ma con le ferite che ci hanno provocato ancora aperte. Le cacciate, realizzate con i termini e le strategie più' disparate, di gente normale che lavorava con impegno e chiedeva semplicemente di poter esprimere opinioni. Chi ha fatto carta straccia dei diritti dei lavoratori, chi ha sbertucciato senza ritegno 31


coloro che buttava nel fosso, chi ha distrutto tutto ciò che ha toccato, chi ha fatto fuggire milioni di elettori, chi ha rinnegato percorsi e storie che aggregavano, chi ha fatto della concessione padronale un modo di vivere aggredendo e disgregando tutti gli organismi intermedi facendo della disintermediazione la normalità, come può continuare senza vergogna a tentare di ricattare un paese? Perché dobbiamo star qui a perder tempo prezioso con documenti concernenti reddito di cittadinanza, prescrizione e servizi? Perché dobbiamo star qui a discutere di task force piuttosto che di strutture dedicate? Cosa cambia se la chiami in un modo o in un altro? Cos'è questa furia di appropriatezza lessicale sgrammaticata nella sostanza? Si vuol andare all'opposizione? Che vada. Secondo me un qualche sostituto si trova. Chi è che rischia di perdere oltre 200 miliardi per delle inutili paturnie? Si trova o si troverà più a suo agio altrove? Buon viaggio. La popolazione intera ne trarrà le conclusioni. E' un azzardo, un bluff che porterà disastro qualsiasi sia l'esito finale. E a pagare saremo sempre noi per le ambizioni smodate di un ego talmente smisurato da non poter essere contenuto in questo mondo. Facciamo basta per piacere: abbiamo già dato. 32


La vignetta

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Europa

Fantasmi d’Europa Raffaele FLAMINIO

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Correva l’anno 1990 quando uno sconosciuto calciatore belga, Jean Marc Bosman, si vide rifiutare la sua richiesta di trasferimento dalla squadra in cui militava, il Royal Football Club Liegi, una squadra che allora disputava il campionato di prima divisione belga. Quello era il suo ultimo anno di contratto con la squadra e Bosman desiderava trasferirsi a fine stagione all’USL Dunkerque, squadra della seconda divisione del campionato francese. Il Liegi però non permise a Bosman di trasferirsi perché l’indennizzo proposto dal Dunkerque non fu ritenuto sufficiente. Bosmann fu messo fuori squadra e gli fu ridotto l’ingaggio. Il giovane Jean Marc, che allora aveva 26 anni, decise d’intraprendere una battaglia solitaria e pericolosa contro la Federazione calcistica belga, la squadra Royal Football Club Liegi e l’Uefa. Si rivolse alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in Lussemburgo. Cinque anni dopo l’inizio della causa, il quindici dicembre 1995, l’Alta Corte di Giustizia Europea emise una sentenza a favore di Bosmann che, intanto, per questo atto di “insubordinazione” verso i potentati calcistici vide la sua carriera definitivamente conclusa. L’Alta Corte di Giustizia Europea sentenziò la violazione dell’art. 39 del Trattato di Roma del 1957, considerato l’atto fondativo dell’allora Comunità Economica Europea; di fatto l’organizzazione calcistica aveva violato il diritto alla libera circolazione dei lavoratori. Le cronache ci dicono che Jean Marc Bosmann non trovò più un ingaggio, nessuna società calcistica volle più proporgli un contratto. Metà dei sedici milioni di franchi belgi (circa mezzo milione di dollari dell’epoca) che la persona Bosman si vide riconoscere dalla Federazione calcistica belga fu spesa in tasse e parcelle di avvocati. “Bosman smise di giocare definitivamente nel 1996 e negli anni successivi ebbe diversi problemi personali. Sviluppò una dipendenza dall’alcool, da cui uscì solo nel 2007, e cinque anni dopo fu condannato con la condizionale a un anno di carcere per violenze domestiche. Bosman ha vissuto fino a oggi lavorando saltuariamente, con l’aiuto del FIFPro — il sindacato mondiale dei calciatori — e grazie a un piccolo sussidio statale, che però gli è stato tolto lo scorso giugno.” (fonte IL POST sezione Sport 15 dicembre 2015). 35


Il fatto citato ci permette di compiere alcune considerazioni sul ruolo che l’Unione Europea avrebbe dovuto svolgere e dovrà svolgere nell’immediato futuro a difesa dei diritti dei cittadini di questa parte del nostro continente e di coloro che vogliono liberamente farne parte e condividerne lo spirito. La prima considerazione che scaturisce nel racconto della vicenda umana di Bosmann costituisce il pieno riconoscimento del diritto alla libertà di movimento dei cittadini nel perimetro dei confini dell’Unione, incorporando nel corpo e nell’ingegno individuale un effetto di trascinamento di tutti i diritti fondamentali di cui è titolare l’individuo sia come Diritto Naturale che come Diritti Civili senza discriminazione di sorta come sancito e sottoscritto nel Trattato di Roma del 1957. Ma possiamo osservare, al tempo stesso, che un cittadino Europeo è stato fortemente discriminato nella sua facoltà di esercizio nel reclamare un diritto riconosciuto ed esigibile. La partita mercantilistica ha concluso e schiacciato quella umana. Quali possono essere i costi umani, sociali se si subordina l’esistere decorosamente e dignitosamente ad una testimonianza fatta di esistenza in vita? La crisi generalizzata prodotta dall’epidemia da Covid 19 sta mostrando impietosamente i pericolosi limiti che incoraggiano la propensione all’accumulo, all’individualismo, l’arredevolezza alla paura che strangola i cittadini. Il paradigma della vicenda Bosmann sussiste nel fatto che lo Spettacolo deve continuare. Osservo che il mondo del calcio da quella sentenza e da quell’indennizzo ha risposto con la concentrazione di potere e danaro nelle mani di pochi. Le piccole e medie società di calcio non hanno avuto più l’opportunità di far crescere talenti, di trattenerli per aver la possibilità di competere equamente e dignitosamente con i grandi clubs. La conquista della Coppa dei Campioni ad opera di squadre che non siano il Real Madrid, il Bayern di Monaco, il Barcellona, il Milan o le squadre Inglesi risale agli ultimi anni 80 e inizio degli anni Novanta, quando ancora riuscivano a vincere la Steaua di Bucarest, la Stella Rossa, o squadre di seconda fascia dei vari campionati continentali. La concentrazione della ricchezza che intrinsecamente conteneva e contiene gli altissimi ingaggi ha prodotto la desertificazione e la marginalizzazione dei più deboli, l’invisibilità. Così come nella nostra comunità continua a crescere la disuguaglianza. 36


La crisi del lavoro, imperversante da decenni, disegna una curva discendente sempre più ripida e pericolosa. La sanità pubblica continentale è allo sbando, anche la granitica Germania e l’orgogliosa Francia fanno i conti amari su ciò che poteva essere e non è stato. Negli anni Novanta siamo riusciti a produrre una feroce guerra continentale nel cuore dell’Europa con milioni di morti, tradendo lo spirito fondativo dell’Unione Europea che nel 1957 a Roma vide la sua luce. Le conseguenze sono ancora sotto i nostri occhi. Pezzi del nostro continente sono preda di nazionalismi esasperati e anacronistici che impediscono di fatto lo sviluppo di una armonica ed efficace convivenza pacifica e civile basata sui diritti. I veti incrociati degli Stati membri e di quelli dell’est più recentemente accolti nell’Unione, di fatto impediscono fattive intese che, se lasciate ai singoli Stati sollecitano gli appetiti dei tanti Capitan Fracassa continentali. Ad est del continente si moltiplicano le leggi liberticide, il blocco dei Paesi Europei, battezzati come fronte di Visegrad, demolisce con golpe bianchi i progressi civili e democratici contenuti negli accordi di adesione all’Unione. Francamente tutto ciò dovrebbe essere indigesto per le Istituzioni europee ancora troppo deboli, balbettanti e cedevoli, incapaci per struttura organizzativa e qualità dei trattati non rispondenti alle esigenze e ai bisogni dei cittadini, i quali per la stragrande maggioranza si dichiarano Europei, specialmente tra le nuove generazioni. La Brexit sta dilaniando al suo interno quella comunità che, di fatto non vuole essere consegnata di nuovo al nostalgico isolazionismo britannico di stampo imperiale. Uno spiraglio di luce ci fu concesso il ventinove ottobre del 2004, ancora Roma a fare da padrona di casa; Romano Prodi, Presidente della Commissione Europea, la cerimonia solenne alla presenza dei venticinque Capi di Stato e di Governo Europei nella sala degli Orazi e dei Curiazi del Campidoglio a troneggiare sul tavolo la Costituzione Europea con i suoi 448 articoli e 36 protocolli. I Capi di Stato europei emozionati, armati di stilografica decisi a dare una svolta alla storia d’Europa; i media mondiali collegati per testimoniare la nascita di un nuovo soggetto politico mondiale che fino a quel momento aveva lavorato per dare consistenza ad una innovativa visione della politica di coesione scandito da un ordinamento dettagliato e preciso che regolava e univa la convivenza civile e politi37


ca di quei popoli che in passato si erano combattuti in guerre sanguinose per una supremazia continentale. Purtroppo, quella fantastica visione fu abortita e seppellita per sempre dai Francesi, Danesi, Olandesi Polacchi e Britannici che non avevano mai amato quell’idea unitaria e benefica che avrebbe costituito la nuova Europa. La bocciatura della ratifica della Costituzione attraverso i referendum indetti in Francia e in Olanda e mai esercitati negli altri Stati membri, pose una pietra tombale sull’argomento. In quel frangente anche le resistenze della rigorosa Germania erano state sconfitte. Romano Prodi abile tessitore diplomatico di quell’esperienza politica ed estensore del così detto “Progetto Penelope” di stampo federalista che prevedeva la cessione di sovranità e legittimità democratica verso Bruxelles disse: “Il progetto Penelope fu distrutto. Venne ritenuto una provocazione. Giscard fu abilissimo a tessere compromessi sul filo dei veti britannici e francesi. Poi arrivò la Conferenza intergovernativa e fece a pezzi quel poco che era rimasto ". Il seguito della storia è l’attualità di questi giorni dominati dall’epidemia che mette, a nudo tutta la fragilità di un’Europa incapace di esprimere se stessa in maniera efficace e convincente. C’è estremo bisogno di Lavoro che non produca dumping salariale e unifichi in tutti i Paesi membri salari e diritti, di un’istruzione unica e integrata, di una sanità pubblica ed efficiente, di un’unica politica fiscale ed estera, di un’unione bancaria e di un governo dell’economia che stimoli e finanzi la crescita economica improntata sulla sostenibilità. Di tutto ciò e di altro ci sarebbe bisogno in casa nostra. Il piano Next Generation E.U. è l’ennesimo tentativo di rinascita europea che consentirebbe al nostro continente di recuperare e integrare quanto di buono si è cercato di fare fino ad oggi.

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Europa

La forma e la sostanza Rosanna Marina RUSSO

In Germania la chiamano Mutti, la mamma. I tedeschi, infatti, vedono in Angela Merkel una figura materna che opera con una forte tensione verso la vita e la cura. Un modello di conduzione equilibrato il suo, rigoroso e attento alle diverse esigenze, che incarna l’idea di leadership al femminile, postindustriale, che prese forma negli anni ’90 contrapponendosi a quella maschia, competitiva ed escludente che fu peculiare di Margaret Thatcher. L’ascesa politica di Angela Merkel si è svolta all’interno di due storie più grandi, quella della riunificazione della Germania e quella della unificazione dell’Europa e in questo momento, probabilmente, si trova 39


a essere la donna giusta al momento e al posto giusto. Un mix di realismo e opportunismo, dicono alcuni, a cui va aggiunta una buona dose di fortuna e un’attenta e costante ricerca di posizionamento politico il più possibile moderata. I suoi pochi slanci radicali come il sostegno all’attivismo militare americano di Bush jr. e la proposta per un ritorno all’energia nucleare hanno avuto vita breve, sacrificati, forse, sull’altare dell’opinione pubblica. E da Mutti autoritaria (furono i compagni di partito a darle il soprannome) è divenuta Mutti buona che difende i tedeschi e gli interessi della Germania in un’Europa minacciata da pericoli interni ed esterni. Michael Braun nel suo libro “Mutti, Angela Merkel spiegata agli italiani”, la definisce una figura non banalmente ipocrita, ma una donna astuta, temporeggiatrice, non incline alle svolte e scevra da ideologie. Un modello di statista poco comprensibile da noi. Eppure, anche qui in Italia la cancelliera riscuote un certo successo, forse perché risponde appieno a quella immagine di leader richiesta dal periodo storico in cui viviamo, periodo che il presidente Sergio Mattarella ha indicato nel discorso di fine anno: “Questo è il tempo di costruttori”, ha detto. Il tempo, cioè, di leader capaci di ricucire strappi, curare ferite, costruire il futuro e non guerrieri che mirano solo alla lotta politica distruttiva. E in Europa sembra proprio lei la leader della costruzione, ormai lo si è intuito da tempo. Ma l’ultimo discorso alla Bundestag e la quasi totale assenza di successive sterili polemiche delle varie categorie non lasciano più dubbi. Non che precedentemente al discorso non ci fossero state riunioni su riunioni, anche lunghe e snervanti, con i governatori dei Leanders, ma nel momento in cui i contagi e i morti sono arrivati a dei numeri enormi, lei ha preso su di sé la responsabilità del lockdown, decisione illustrata ai governatori prima e ai parlamentari dopo, ma non negoziabile. 40


E proprio nella sede del Parlamento ha mostrato quella che tutti hanno chiamato empatia e che ha convinto tutti i suoi alleati della giustezza delle misure. C’è da chiedersi perché da noi le cose siano andate diversamente, perché da noi le polemiche siano esplose dopo il discorso del premier che pare abbia istillato più dubbi che certezze, tanto che gli stessi alleati di governo hanno iniziato delle vere battaglie intestine. La risposta, credo, stia tutta nelle parole della premier tedesca: “Per quanto tutto ciò sia difficile è incompatibile… Mi dispiace, mi dispiace dal profondo del mio cuore, ma se il prezzo che dobbiamo pagare è avere 590 morti al giorno, allora non è accettabile.” Senza alcuna incertezza, chiarisce che la vita è il bene più prezioso, rimarcando con il linguaggio del corpo l’impossibilità di futuri ripensamenti e lo dice in una sede istituzionale, alla nazione, senza fare attendere, senza annunci e senza dirette Facebook. Ora, se confrontiamo questo discorso con quello degli altri capi di governo di altri Stati, riusciamo a cogliere appieno la sua forza politica e la sua capacità comunicativa. L’empatia sussiste se si avvia un vero flusso di emozioni e la Merkel fa sentire vicinanza mentre parla di distanziamento, trasmette unità mentre impone la divisione, usa parole morbide come cuore e amore in un momento durissimo e si inchina con voce rotta ai parlamentari per imprimere forza al suo dispiacere. Ma non è solo questione di empatia, è anche questione di leadership. Non si nasconde tra le righe delle norme e dietro responsabilità condivise, non cammina sulla fune con una rete di protezione, non si sostituisce ai suoi ministri. Ella dice sulla scuola: “Non è di mia competenza. Non posso interferire”. Ora, non è che la cancelliera non abbia ricevuto critiche dall’opposizione e nonostante che la Germania sia il paese europeo che ha elargito più aiuti di Stato (285 miliardi, 194 di erogazioni pubbliche in più rispetto all’Italia), e nonostante che i cittadini tedeschi, tutti, abbiano ricevu41


to i sussidi sin dalle prime transazioni di aprile, in pochi giorni e direttamente sui conti correnti. Ma l’opposizione deve fare il suo mestiere di contrappeso democratico. La gente, però, è con lei, con Mutti. Ma anche noi siamo con lei, perché ha una vera e propria leadership e possedendola può indirizzare le scelte verso il bene comune, confortare tutti non dimenticando il bene di ciascuno e spingere gli altri a fare quello che non farebbero mai. In definitiva può dare sostanza alla società politica. Non basta, dunque, la leadership formale per riuscire ad avere potere, influenza, autorità. È necessaria, soprattutto in momenti così drammatici, una leadership empatica, perché per la risoluzione dei problemi, per la scelta delle decisioni, è necessario mettersi in una prospettiva diversa dalla propria, entrare negli stati d’animo degli altri, nei pensieri degli altri, creare un’osmosi permeabile alle problematiche e sentirle proprie. Ed è necessario che la forma sia sostanza, perché quando questi due aspetti si dividono o addirittura si contrappongono la vita reale e la “buona politica” si allontanano. C’è da chiedersi, però, se tutta la preoccupazione mostrata, tutta l’emozione suscitata durante quel discorso non sia un altro riposizionamento, stavolta verso una leadership europea che richieda una nuova pelle, in un’Europa che mostra di aver bisogno di nuove politiche e riforme istituzionali. Non sappiamo se la Merkel entrerà nella storia, ma sappiamo che ha davanti una sfida difficile, perché la vittoria oggi in UE di Berlino potrebbe significare la sua sconfitta nell’UE domani. Tuttavia, la storia europea ha finora conosciuto solo padri, pertanto non possiamo non tifare per la sua vittoria che sarebbe anche quella di tutte le donne europee. E della sostanza che prenderebbe solo un’altra forma. 42


Pandemia

Su alcune pandemie degli ultimi cento anni (parte seconda) Giovan Giuseppe MENNELLA

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Forse ancora più dimenticate sono due altre pandemie di influenza aviaria verificatesi nel corso del XX Secolo, l’influenza “Asiatica” del 1957 e quella “Hong Kong” del 1968. Hanno presentato caratteristiche più simili all’attuale pandemia da nuovo coronavirus 2019-2020 che alla pandemia di febbre “spagnola” del 19181920. In effetti, il conto delle vittime totali dell’attuale pandemia si attesterà probabilmente più vicino a quello degli episodi pandemici del 1957 e del 1968 che a quello della febbre “spagnola”. Il virus dell’influenza pandemica del 1957 fu isolato in Cina già nel 1954 ed era del sottotipo A/H2N2, mentre quello della febbre spagnola era stato del tipo A/ H1N1. Anche questo fu un virus aviario, cioè transitato dagli uccelli selvatici ai maiali e da questi all’uomo, in luoghi come in Cina, dove i suini sono macellati in pessime condizioni di igiene e sicurezza. Si disse allora, scherzosamente ma non troppo, che quando Mao Tse Tung starnutiva, il resto del mondo prima o poi rischiava di ammalarsi. Dalla Cina era passato a Hong Kong, allora colonia britannica, da cui ebbe maggiore propensione a espandersi in altre parti del globo, tuttavia meno rapidamente di oggi perché quella era un’epoca in cui la gente viaggiava molto di meno. E c’erano maggiori probabilità che i microorganismi nocivi per l’uomo restassero confinati in parti remote del mondo. Il rovescio della medaglia era che la scarsa diffusione dei mezzi di informazione di allora, soprattutto se confrontata con quella di oggi, impediva di conoscere per tempo notizie utili per l’assunzione di provvedimenti di quarantena o comunque di apprestamento di presidi sanitari adatti. A metà degli anni ’50 le frontiere erano chiusissime, nessuno andava in Cina, prima che nel 1972 Nixon e Kissinger aprissero i rapporti diplomatici con la Repubblica popolare cinese. L’ influenza, dopo essersi sparsa nel mondo abbastanza lentamente a partire da Hong Kong, divenuta una pandemia, colpì all’incirca il 20% della popolazione, con una mortalità stimata allo 0,4% dei contagiati. In Italia fece 20.000 morti, moltissimi di meno della spagnola. La malattia era molto contagiosa, ma meno letale delle pandemie influenzali del passato, soprattutto quella del 1918-1920. La spiegazione è stata rinvenuta nel fatto 44


che attaccasse di più le persone giovani, quindi in migliori condizioni di salute, anziché persone anziane. Infatti, i più vecchi dovevano già avere nel loro sistema immunitario gli anticorpi ereditati dall’esposizione alle influenze precedenti, anche esse di origine suina o aviaria (pollame o anatre). Anche la possibilità di usufruire degli antibiotici, da poco entrati in commercio, contribuì a limitare la mortalità. Non che gli antibiotici fossero utili contro i virus, ma almeno potevano contribuire a lottare contro le polmoniti batteriche secondarie opportuniste che si insinuano negli organismi in seguito alle infezioni virali. Sulla pandemia “Asiatica” del 1957, e anche sui rapporti che il mondo occidentale intratteneva con la Cina durante la Guerra Fredda, è stata resa di recente una gustosa testimonianza giornalistica da Paolo Guzzanti. Il giornalista ha raccontato che una volta fu sul punto di essere ammesso eccezionalmente a visitare la Cina, con un percorso via Tirana. Aveva superato tutti gli impedimenti e gli esami, ma all’ultimo momento rifiutò di partire perché gli era stata imposta l’ulteriore condizione di tagliarsi la barba. Sempre seguendo il racconto di Guzzanti, apprendiamo, qualcuno ricorda anche, che durante l’Asiatica i medici di famiglia andavano a visitare i malati nelle loro case, presentandosi alla porta armati di una panciuta valigetta, contenente un enorme stetoscopio, l’apparecchio per misurare la pressione e un bollitore in cui sterilizzare antiche siringhe di vetro opaco. Gli aghi erano d’acciaio e venivano usati e riusati fino a trasformarsi in pugnali da infilzare nelle natiche dei malcapitati. Guzzanti continua raccontando che a quell’epoca i medici si sedevano ai piedi del letto dell’ammalato, mettendo il cappello sulle coperte. Simbolo scaramantico di morte in agguato. Allora si moriva in casa, anche in una pandemia. Circostanza che oggi non usa più, si muore al terzo o quarto piano di un ospedale o di una clinica. Poi si viene portati nel seminterrato della morgue per l’eventuale autopsia, si viene tagliati col bisturi e poi ricuciti per il funerale. Nel 1968 si sviluppò un nuovo virus, del sottotipo A/H2N2, sostanzialmente una mutazione genetica del virus dell’Asiatica. Alla fine dei contagi, si calcolò una letalità leggermente più bassa di quella del 1957. A livello globale i morti si calcolarono in una forbice da 750.000 a 2 milioni, anche se la cifra più plausibile potrebbe ascendere a 1 milione tondo. La pandemia venne definita Hong Kong perché in 45


quell’anno 1968 il Times di Londra fu il primo mezzo di comunicazione che lanciò l’allarme circa la diffusione di una strana epidemia di carattere respiratorio nella colonia britannica in Cina. La malattia si diffuse rapidamente, ma non con la velocità di oggi, prima nell’Asia continentale, poi negli Stati Uniti, veicolata dai soldati americani che tornavano dal Vietnam, poi in Europa. In Italia giunse solo nel 1969, e fu definita con il nome particolare di “influenza spaziale”, perché intanto nel luglio c’era stato lo sbarco dell’uomo sulla Luna. Si rivelò molto contagiosa, ma meno letale delle precedenti perché, essendo il virus un mutante di quelli delle precedenti pandemie, molte persone anziane avevano già sviluppato una certa protezione anticorpale. I decessi anche allora furono causati per la maggior parte da polmoniti virali o secondarie batteriche. Ci fu una ripresa nel tardo 1969 e nei primi mesi del 1970, con code che si spinsero fino al 1972. Nella seconda ondata si registrò un maggior numero di morti rispetto alla prima. Come detto, In Italia la “spaziale” giunse nel 1969 e causò 20.000 vittime nell’arco temporale 1969- 1970. Fu prodotto anche un vaccino che però non giunse in tempo in molti paesi. Nell’Asiatica del 1957 e nella Hong Kong del 1968 non si verificarono le paure ancestrali e le chiusure di quasi tutte le attività umane che si sono riscontrate nella Sars Covid 2 di questo epocale 2020. La spiegazione va rinvenuta probabilmente non solo nella maggiore gravità dell’infezione attuale, quanto nelle condizioni di vita molto differenti che si vivevano sulla Terra alla metà del ventesimo Secolo. Nel periodo storico in cui infuriarono Asiatica e Hong Kong la durata media della vita umana era più bassa di quella attuale, c’erano molti più giovani rispetto agli anziani, in una proporzione esattamente rovesciata rispetto a oggi, precisamente quattro giovani per ogni anziano allora, quattro anziani per ogni giovane oggi, almeno nei Paesi più evoluti e industrializzati. Non si fa fatica a capire che a quei tempi era quantitativamente assai minore la platea di anziani che potessero essere maggiormente in pericolo per il contagio e in preda alla paura. Viceversa, i giovani rappresentavano la classe di popolazione più ampia che fosse mai apparsa sulla faccia della Terra; erano, eravamo, i baby boomers, i moltissimi nati dal 1946 al 1964 che non sono, non siamo, altri che gli anziani di oggi. 46


E mentre gli anziani di allora dovevano fronteggiare altri pericoli e preoccupazioni anche più forti del contagio, quali malattie altrettanto pericolose e oggi quasi estinte e le preoccupazioni di completare la corsa verso la ricostruzione post-bellica e un nuovo benessere, viceversa i tantissimi giovani baby-boomers di allora o erano (eravamo) solo bambini nel 1957, o nel 1968 troppo impegnati a inseguire un mondo migliore facendo la Rivoluzione per impaurirsi e farsi rinchiudere in casa, come accaduto oggi che sono, (siamo) diventati anziani e maggioranza della popolazione . Nel 1977 un virus del sottotipo A/H1N1, che non circolava più dal 1957, cominciò a espandersi dalla Cina all’Unione Sovietica e poi nel mondo intero. Ebbe la caratteristica di colpire molto i bambini. Pur essendo di fatto una pandemia, non causò una mortalità eccessiva. Quel virus A/H1N1 dell’anno 1977 continuò a circolare insieme al virus stagionale A/H3N2 del 1968 per 32 anni, fino al 2009. Nell’anno 2009 un nuovo virus influenzale A/H1N1, proveniente dal Messico, causò una nuova pandemia influenzale, di severità moderata, la cui fine fu annunciata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2010. Il virus messicano del 2009 sostituì i virus precedenti del sottotipo A/H1N1, ma i virus del sottotipo A/H3N2 del 1968-1969 continuarono a circolare ugualmente, ma, essendo virus ormai antichi, molta parte della popolazione ne è risultata immunizzata. Un caso particolare è la pandemia che si è scatenata per il retrovirus dell’AIDS a partire dall’inizio degli anni ’80 del XX Secolo. Diversamente da quello che si era ritenuto certo per anni, più di recente si è compreso che il salto di specie del virus dell’HIV dall’animale all’uomo si era verificato fin dal 1908. In quell’anno un cacciatore di scimmie in Congo si era contagiato con il sangue di una scimmia uccisa. Da allora il virus aveva continuato a serpeggiare in Africa per decenni. Poi nel 1969 giunse ad Haiti, a causa dei frequenti contatti commerciali tra l’isola caraibica e l’Africa. L’ultimo salto verso gli USA avvenne nel corso di tutti gli anni ’70, a causa del turismo sessuale degli statunitensi. A quel punto, arrivato in un grande Paese con scambi turistici e commerciali, il virus non fece più alcuna fatica a espandersi in tutto il mondo e diventare pandemia. Non si tratta di un virus respiratorio, come quelli che avevano caratterizzato le precedenti pandemie, ma è veicolato tra gli umani attraverso il sangue. Un vaccino non è stato ancora messo a punto, 47


ma da alcuni anni nuovi farmaci antiretrovirali consentono di tenere abbastanza sotto controllo la malattia, per anni mortale. Attualmente, attraverso accordi internazionali il prezzo, prima elevatissimo, dei nuovi farmaci è stato calmierato e ne possono usufruire con discreta disponibilità anche i Paesi più poveri, in Africa, India, Oriente, dove nel passato si erano verificate autentiche stragi. Nel novembre 2002 apparve per la prima volta nella provincia cinese di Guandong (Canton) una forma di grave polmonite. In quel mese un allevatore di Fuhan morì per questa grave forma morbosa nel Primo Ospedale del Popolo di Fuhan. Sulle cause del decesso non fu redatta una diagnosi definitiva, ma presto molte altre persone si ammalarono della stessa sindrome. Pur essendo chiaro che stava esplodendo un focolaio epidemico di una malattia non ben diagnosticata e conosciuta, i responsabili del Governo cinese, non solo non adottarono appropriate misure per controllare l’epidemia, ma non informarono dell’evenienza morbosa l’Organizzazione Mondiale della Sanità fino al febbraio 2003, sempre per la solita ossessione dei regimi autoritari di limitare le notizie per tutelare la sicurezza pubblica. Un simile comportamento è stato tenuto dalla Cina anche in relazione ai primi focolai della pandemia in corso, con conseguenze che tutto il mondo sta ancora subendo. Natura e pericolosità della malattia furono individuate dal medico italiano Carlo Urbani, che si recò nelle zone di infezione per incarico dell’OMS, non appena le autorità sanitarie internazionali riuscirono ad apprendere la notizia. Urbani fu contagiato e perse la vita ma il suo tempestivo intervento si rivelò decisivo per circoscrivere l’epidemia nell’estremo Oriente, con poche sporadiche apparizioni in altre parti del mondo, soprattutto in quei paesi dove ci fu nei primi tempi di comparsa del contagio un frequente scambio di persone con Cina e Corea del Sud, come il Canada anglofono. Il medico marchigiano è stato un vero eroe della medicina e purtroppo è ancora poco conosciuto e celebrato nella stessa Italia, pur essendo uno dei personaggi che hanno dato dignità a questo paese. Il Laboratorio dell’Università di Hong Kong fu il primo a identificare il virus il 21 marzo 2003. Il sequenziamento del genoma virale fu effettuato alla British Columbia Cancer Agency dell’Università di Vancouver, Canada, il 12 aprile 2003, costituendo un primo passo verso lo sviluppo di un test diagnostico e di un vaccino. Si 48


trattava di un coronavirus, definito così perché appare al microscopio come una corona circolare. I coronavirus sono a ssRNA+ e sono importanti organismi patogeni degli uccelli e dei mammiferi causa di importanti infezioni respiratorie ed enteriche sia negli animali che negli umani, ai quali fanno danni quando si verifica lo spillover, il salto di specie da animale a uomo, come era stato nel caso dell’influenza “Spagnola”. L’OMS comunicò il 6 aprile 2003 che la causa della malattia era un coronavirus ormai identificato da numerosi laboratori.La malattia sviluppatasi in Cina fu denominata dall’OMS Severe acute respiratory syndrome da Coronavirus 1, acronimo SARS Cov-1. Sviluppava negli umani severe forme di polmonite. Nel maggio 2003 studi, condotti nei mercati alimentari della Cina su animali selvatici, dimostrarono che il coronavirus in questione poteva essere isolato negli zibetti (soprattutto nel tipo Paguna larvata) che però non sviluppavano la malattia. Il virus fu rinvenuto anche nei cani procioni e nei gatti domestici. Successivamente, due studi scientifici condotti nel 2005 identificarono molti coronavirus simili a quelli della SARS Cov-1 nei pipistrelli cinesi. Le analisi filogenetiche condotte su questi virus dei pipistrelli cinesi indicarono un’alta possibilità che il Coronavirus SARS Cov-1, sviluppatosi inizialmente in quei mammiferi volatori, si sia diffuso nell’uomo direttamente o attraverso specie animali presenti nei mercati alimentari cinesi. Anche i pipistrelli non mostrarono alcun segno visibile della malattia, essendo solo i serbatoi naturali di Coronavirus di tipo SARS. Considerato che l’ipotesi più probabile sull’eziologia del nuovo Coronavirus SARS Cov-2 della attuale pandemia risiede nell’infezione trasmessa da pipistrelli di cui si sono cibati i cinesi, è fin troppo ovvio, alla luce delle osservazioni scientifiche del 2005, che sarebbe stato saggio da parte delle autorità sanitarie mondiali monitorare attentamente sia i pipistrelli che i mercati cinesi. Ma la Cina non tollera interferenze al proprio interno, anzi ha mentito e tenuto segreto il contagio per un tempo che sarebbe stato decisivo per bloccare la malattia. D’altra parte, anche l’OMS è risultata a dir poco non incisivo e preveggente, se non addirittura complice del negazionismo delle autorità cinesi. La malattia si sviluppò come polmonite grave, con il maggior danno probabilmente provocato da un eccesso di reazione del sistema immunitario al virus. Tale sinto49


matologia è stata riscontrata anche nella attuale malattia da nuovo Coronavirus SARS Cov-2, anche se ovviamente gli studi sulla attuale malattia sono ancora in fase iniziale e incompleti. Prima della comparsa del SARS Cov-1 i Coronavirus non erano stati oggetto di ricerche antivirali e non esistevano terapie efficaci per i casi più gravi, salvo trattamenti empirici. Tuttavia, a differenza dell’attuale sindrome da SARS Cov-2, quella del SARS Cov1 non arrivò a sviluppare una pandemia, sia perché quasi certamente, per la sua stessa maggiore gravità, non produsse molti asintomatici e poi aveva un periodo di incubazione molto più breve e quindi, con appropriate, anche se tardive misure, si riuscì a circoscriverlo a non moltissimi casi in 17 Paesi, la maggior parte dei quali nella Cina continentale e a Hong Kong. I casi totali della SARS Cov-1 risultarono 8096, con 774 decessi, con letalità finale pari al 9.6% dei contagiati. L’epidemia durò dal novembre 2002 al luglio 2003 e dal 2004 al 2019 non si registrarono più casi da coronavirus nell’uomo. E tuttavia, gli studi sui pipistrelli avevano abbondantemente dimostrato che, in caso di mancata prevenzione sul territorio, massime in Cina, nuovi pericolosi coronavirus avrebbero potuto effettuare il salto di specie sull’uomo, cosa puntualmente verificatasi alla fine del 2019 con il nuovo coronavirus da SARS Cov-2. E infatti, nel 2012 si verificò un altro contagio da coronavirus, la MERS, acronimo di Middle East Respiratory Syndrome, nota anche come influenza cammello. Il primo caso fu individuato il 24 settembre 2012 dal virologo egiziano Ali Mohamed Zaki a Gedda in Arabia Saudita. Fino al 30 aprile 2014 furono registrati 424 casi, con una mortalità del 34% dei contagiati, nettamente superiore anche a quella della SARS Cov-1 di 10 anni prima. Anche la MERS non diventò una pandemia perché si riuscì a circoscrivere il contagio a poche zone del Medio Oriente, a causa del suo decorso molto grave ma breve, per il periodo di incubazione limitato e per il numero molto basso di asintomatici. Da questo punto di vista, la MERS, il SARSCovid-1 ed Ebola, ormai endemica in alcune zone d’Africa, sono state accomunate dalle stesse caratteristiche. Tutti questi episodi epidemici si sono potuti circoscrivere in tempo in poche zone e non far 50


assumere loro il profilo di pandemie perché molto gravi e quindi presentano manifestazioni morbose immediatamente riconoscibili, hanno un periodo di incubazione molto breve e comportano una piccola o nulla platea di soggetti asintomatici. Infatti, le esperienze scientifiche ed empiriche fatte sul campo hanno dimostrato che quanto più, in una malattia contagiosa, è breve il periodo di incubazione, quanto più sono immediatamente riconoscibili i sintomi gravi e quanti meno soggetti asintomatici comportano, tanto più sussistono buone probabilità che si riesca a circoscriverle nelle zone di origine senza farle espandere ormai fuori controllo in vastissime zone del mondo. Le pandemie verificatesi nell’ultimo secolo hanno presentato caratteristiche comuni, su cui possono essere fatte alcune riflessioni. In tutte gli agenti patogeni hanno iniziato a circolare silenziosamente, senza che le autorità politiche e mediche se ne fossero rese conto per molti mesi o addirittura molti anni prima che l’epidemia e poi la pandemia fossero scoperte e ne fosse accertata la natura e le caratteristiche. Se una malattia contagiosa grave non è scoperta e contrastata in poco tempo dall’insorgere, è quasi sempre troppo tardi per fermarla. Perciò sarebbe opportuno bloccare il proliferare di questi agenti patogeni non appena diventi probabile che possano effettuare il salto di specie dall’animale, qualunque esso sia, all’uomo. Per fare ciò, la soluzione ideale sarebbe quella di evitare che gli umani continuassero a occupare e alterare ambienti naturali ancora incontaminati o addirittura a edificare in breve tempo autentiche megalopoli in zone da poco tempo strappate alla natura selvaggia, dove è probabile che ci siano incontri assai ravvicinati e convivenze tra esseri umani e animali selvatici. Se proprio non si dovesse riuscire, come auspicabile, a evitare l’occupazione e la colonizzazione umana di territori incontaminati, una soluzione alternativa dovrebbe essere quella di predisporre gruppi di intervento di virologi, zoologi, biologi, esperti di scienze forestali, sotto la supervisione di organi scientifici e politici sovranazionali veramente indipendenti, meglio le Nazioni Unite che l’OMS, che sorveglino i territori dove sia probabile l’incontro e la convivenza tra l’uomo e la natura selvaggia. Sia per segnalare assai per tempo gli allarmi di possibili salti di specie, sia per di51


fendere preventivamente dalle attività invasive degli uomini ambienti naturali e animali selvatici. Sia consentito, infine, di esprimere un giudizio molto negativo sul comportamento grave e irresponsabile tenuto dal regime cinese in occasione dell’inizio degli ultimi contagi da coronavirus, SARS Cov-1 e SARS Cov-2. L’azione del governo cinese, locale e nazionale, ha presentato profili di colpa grave, laddove non ha mai fatto nulla per impedire la macellazione e il consumo di animali selvatici che fin dal 2005 studi scientifici autorevoli avevano identificato come serbatoi e veicoli nell’uomo di pericolosissimi virus, ma anche di vero e proprio dolo in quanto ha consapevolmente nascosto le notizie dei contagi e scientemente mentito alle autorità sanitarie mondiali per tutelare la sicurezza interna del regime. Il comportamento è stato tanto più grave in quanto la Cina si è dimostrata poi capace di mettersi in sicurezza dalla pandemia prima di tutti gli altri Paesi, valendosi di una perfetta organizzazione di reazione militaresca ex post e della capacità di imporre qualunque confinamento e quarantena con la forza delle armi, cose che le Nazioni democratiche non possono fare. Però anche le altre Nazioni, compresa l’Italia, hanno avuto le loro colpe. Specialmente l’Italia non ha predisposto l’aggiornamento del piano pandemico e in tal modo, per non stanziare preventivamente nessuna cifra in bilancio, dovrà spendere mille volte tanto per fronteggiare le conseguenze dell’incuria, al netto delle vite umane perdute. D’altra parte, l’Italia ha una lunga tradizione di tale comportamento dissennato anche per quanto riguarda la messa in sicurezza del territorio rispetto ai terremoti, alle frane e alle alluvioni. Per queste ragioni sarebbe auspicabile che almeno per il futuro siano predisposti adeguati meccanismi di tutela internazionale per prevenire un simile comportamento e anche per imporre il pagamento dei danni al resto del mondo.

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Politica

Io sto con Francesco Antonella BUCCINI

Non c'è niente da fare. Non siamo abituati. Siamo scettici. Sospettosi. Non ci fidiamo. PerchÊ i fatti che seguono le parole, qui da noi sono eccezioni e quando una congiunzione astrale ne favorisce un decimo, siamo esageratamente entusiasti 53


(vedi l'Italia migliore del mondo nella prima ondata pandemica). Bene. C'è invece chi sul suolo italico, ma solo il suolo perché lo Stato è un altro, con inusuale tenacia, intuizione e consapevolezza ci sta provando. Papa Francesco, insomma, si è messo in testa di praticare il Vangelo e a molti, prelati e buona parte dei cattolici, è sembrata una novità insopportabile. La straordinaria crisi che ha investito la Chiesa negli ultimi decenni è stata compresa profondamente da questo Papa e il suo modo di affrontarla si è declinato nel cambiamento abiurando ottusi arroccamenti. L'accoglienza, l'omosessualità, il lavoro, la fragilità, i conflitti sono concetti che hanno trovato in Francesco una rivoluzionaria formulazione. La pervasiva corruzione di molti e l'ostilità di lobbies interne ed esterne così come le coperture infami alle stragi di abusi sessuali sono combattute in questo tempo con una determinazione che non è altrettanto rinvenibile nei papi che lo hanno preceduto. La liturgia celebrata in una piazza S. Pietro deserta, in quella giornata uggiosa di questo inverno, nel pieno della pandemia, è l'immagine emblematica della tragedia che stiamo attraversando ma forse anche della dolorosa solitudine di un uomo che lotta per il riscatto di tutti. È plausibile per qualcuno sospettare in questo Papa un esercizio strategico in luogo di una sincera istanza di rinnovamento a fronte proprio delle accennate difficoltà di una chiesa a corto di vocazioni e anacronistica nei suoi principi. Ma per tutti può valere, da ultimo, a proposito anche dei fatti che seguono le parole, la recente adozione di una fondamentale riforma della Curia romana. Papa Francesco ha infatti affidato all' Apsa (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) i fondi della Segreteria di Stato. L' Apsa, comunque soggetta a stringenti controlli interni ed esterni, sarà l'unica istituzione abilitata a gestire il patrimonio mobiliare e immobiliare. Quindi niente Ior né Segreteria di Stato. Gli odiosi scandali recenti hanno probabilmente dato impulso a un processo già avviato pur tra le tante prevedibili resistenze. Ah, se Francesco potesse occuparsi del recovery plan! 54


Costume

Natale in giro per l’Europa. Viaggio alla scoperta delle tradizioni natalizie più bizzarre dei Paesi europei Veronica D’ANGELO

I viaggi mi mancano, inutile negarlo. Mi manca l’emozione di prendere un aereo e partire alla scoperta di cultura, paesaggi, stile di vita di un altro Paese, ma soprattutto delle sue tradizioni culinarie che per noi italiani, amanti del buon cibo, hanno sempre una importanza fondamentale. 55


Se avessi potuto viaggiare anche quest’anno, al ritorno avrei portato sicuramente in ricordo un ingrediente della cucina locale, magari con un oggetto tipico da tavola o da cucina, in modo da poter poi replicare a casa un piatto provato durante il viaggio. Perché così, magicamente, quando a distanza di giorni, o di mesi, prepari quel piatto e ne ritrovi i sapori, le papille gustative attivano la macchina del tempo e ogni boccone ti fa tornare indietro ai momenti che hai vissuto e ai luoghi che hai visitato. Così nei giorni di preparazione del cenone di San Silvestro più casalingo e solitario della mia vita, ho cominciato a documentarmi su abitudini e pietanze natalizie tipiche di altri Paesi alla ricerca di ispirazione, e sono rimasta colpita da alcune tradizioni dei popoli europei davvero particolari, molte delle quali hanno una comune origine religiosa o pagana. Ho scoperto, ad esempio, che in Polonia alla cena della Vigilia vengono serviti dodici piatti che rappresentano i dodici apostoli (o anche i dodici mesi dell’anno), tra cui la zuppa di barbabietole e la carpa preparata in molti modi diversi, che si lascia un posto vuoto a tavola per un ospite inaspettato e che la cena comincia solo quando il bimbo più piccolo della famiglia vede comparire in cielo la prima stella, in onore di quella che orientò i Re Magi. Anche in Francia, in Provenza, a Natale si preparano tredici diversi dessert, come il numero dei commensali dell'ultima cena. Tra questi, non può mancare il delizioso tronco al cioccolato tipico delle feste natalizie, il Bouche de Noel. Pare che questo dolce, nato nel 1945 dalla creatività di un pasticcere francese, rimandi a un’antica usanza pagana che celebrava il solstizio d’inverno bruciando per diversi giorni, fino all’arrivo dell’anno nuovo, un tronco d’albero che i contadini avevano scelto appositamente nella primavera precedente. 56


In Ucraina la tavola viene apparecchiata con due tovaglie, una dedicata agli antenati e l’altra alle persone vive, e il piatto principale è il kutia, fatto con grano bollito, semi di papavero e miele, spesso accompagnato da una tazza di succo di frutta sciroppata. Ho letto che qui gli alberi di Natale sono decorati con ornamenti portafortuna che assomigliano a…ragnatele. La leggenda narra, infatti, che una povera donna che non poteva permettersi decorazioni con cui addobbare il proprio albero si svegliò al mattino con l’albero ricoperto di ragnatele che scintillavano alla luce del sole. In Germania, invece, è molto sentito il periodo dell’Avvento. In ogni famiglia si prepara una ghirlanda composta da quattro candele, una per ogni settimana che precede il Natale, che viene accesa la domenica mattina quando la famiglia si riunisce per una grande e ricca colazione. Non meno ricca del pranzo di Natale, naturalmente, che ha per protagonista, in genere, l’arrosto d’oca ripieno o la carpa. In Finlandia, il Paese di Babbo Natale, il giorno della Vigilia, dopo avere fatto la sauna con tutta la famiglia, si consuma un prosciutto cotto cucinato con la birra a fuoco lento per circa dieci ore, ricoperto di pane grattugiato e spezie. E in Norvegia c’è un’usanza davvero strana: si nascondono le scope per impedire agli spiriti maligni, che tornano sulla terra di notte, di rubarle e girare per il cielo natalizio con questi oggetti. Nelle fredde notti norvegesi ci si scalda con la birra di Natale fatta in casa e con il gløgg, fatto con vino rosso o acquavite caldi e speziati, si preparano sette diversi tipi di biscotti natalizi, le torte di pan di zenzero a forma di casa e il risolatte fatto con zucchero, cannella e burro, che è considerato il cibo preferito dai folletti. In campagna, infatti, pare che si usi ancora lasciarne una ciotola fuori la porta a Natale, insieme ad un generoso boccale di birra, per propiziarsi il dispettoso elfo del granaio. In diverse zone della Spagna, ma in particolare in Catalogna, i doni sono portati da 57


Tìo de Nadal - o “Caga Tìo” – un ciocco di legno da camino decorato con faccia e gambe che viene nutrito di notte e tenuto al caldo sotto una copertina, finché il giorno della Vigilia viene colpito in modo che…espella regali e caramelle. Al nord, invece, nei paesi baschi, i doni non li porta Babbo Natale, ma Olentzero, un gigante vestito da contadino che gira nella notte fumando la pipa e distribuendo regali. La notte della Vigilia, dopo aver cenato con l’immancabile bacalhau, in varie città del Portogallo si organizzano grandi falò sul sagrato delle chiese - i madeiros - che devono durare tutta la notte in ricordo delle celebrazioni del sole, dove convergono amici e vicini per scambiarsi gli auguri, Il dolce tipico natalizio qui è il Bolo rei, una torta a forma di corona dorata – in onore dei Re Magi – farcita di canditi, all’interno della quale viene inserita una fava: chi la trova nella sua porzione deve comprare il Bolo l’anno successivo. Anche la Grecia ha il suo pane dolce in cui viene nascosta una monetina in segno di fortuna, la vassilopita, ma sapete una cosa? L’albero di Natale non c’è, e al suo posto vengono decorati riccamente modelli di barche a vela di legno! Dopo questo giro fantastico, mi è sembrato di aver davvero viaggiato per mezza Europa e di dover assolutamente portare sulla mia tavola non solo qualche piatto, ma anche qualche tradizione portafortuna. Così il menù del mio cenone si è arricchito di dodici antipasti, vino speziato e una bella ghirlanda a centrotavola con quattro candele, mentre il panettone è stato decorato con biscotti a forma di case e alberelli. E il giorno dopo abbiamo aperto il ripostiglio e preso nuovamente le scope che avevamo chiuso a chiave la sera prima. Perché di sorprese quest’anno ne abbiamo avute già abbastanza…. Un brindisi a voi, cari lettori, con l’augurio che sia un anno di viaggi, reali o immaginari, e di scoperte di sapori meravigliosi, perché alla fine, si sa, gli unici veri confini sono quelli mentali. 58


Europa

Viva viva l’Inghilterra (parte seconda) Antonella GOLINELLI

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È l'ultimo dell'anno e scrivo. È un mese che non racconto gli ultimi eventi. Nel frattempo, hanno fatto irruzione sulla scena un bel po' di avvenimenti: il vaccino Pfizer; la variante inglese; gli accordi in extremis sulla Brexit; il vaccino AstraZeneca. Avendo Albione indipendenza decisionale e organi a sé stanti, ha verificato e approvato subito il vaccino disponibile cominciando a breve la somministrazione. Questo ha provocato un'accelerazione per l'Europa. Il mastodonte ancora vittima delle forme e delle lungaggini originali fa fatica ad adeguarsi alla scioltezza delle convocazioni. Sono tutti sempre impegnatissimi ad essere impegnati e a programmare a lungo termine (perché subito non si può mai nemmeno in caso di necessità). Anyway la subitanea approvazione albionica ha provocato una scossa e hanno anticipato l'esame documentaristico approvandolo e permettendo conseguentemente le successive approvazioni degli organi competenti sovranazionali e nazionali. Siamo quindi andati alla spettacolarizzazione delle consegne delle prime dosi, irrisorie, e alle prime vaccinazioni. In effetti la spettacolarizzazione è avvenuta un po' ovunque. Negli USA si sono vaccinati in pubblico ad uso esortazione il presidente eletto e la vice, per dirne una. In Albione la prima vaccinata è stata una signora anziana, che nel frattempo ha ricevuto anche la seconda somministrazione, e un signore sul cui nome si è giocato un po' sui social: tal William Shakespeare da Stratford upon Avon. Ditemi voi l'ironia della sorte alle volte. 60


Qui la prima vaccinata è stata una giovane infermiera che oltre alla dose si è beccata il mondo di insulti, rigorosamente anonimi, sui suoi profili social. Lei ha chiuso i profili ma non si hanno notizie delle sospensioni di quei fake che scrivono costantemente sotto ogni pubblicazione. Meanwhile è stata identificata la variante inglese. Bello. Questa mutazione comporta una capacità di contagio, non capisco perché non si chiami più morbilità, molto elevataa rispetto alla versione precedente. Il virus vuole vivere, fa il virus e si applica per poterlo fare. Fa il suo mestiere insomma. Ridendo e scherzando la variante inglese è già stata rintracciata un po' ovunque. Blocchi dei voli, della circolazione, zone rosse. In effetti in Inghilterra si è' passati da un lockdown ad una fase 4 che arriva da oggi fino al Vallo di Adriano. Dall'altra parte però sono schierate le guardie di confine scozzesi e non c’è molto traffico. In Galles già non c’è vita normalmente, figuratevi ora. Diceva BoJo che queste norme arriveranno fino ad aprile. Come la vedete? Io malino. Si prorogano le misure, si tiene la gente in casa e si lavora da casa. Cosa volete fare? Mica si potrà far ammalare il mondo per salvaguardare la sandwich economy, come la chiamano loro. In tutti questi blocchi di voli un po' di italiani è rimasto bloccato negli aeroporti inglesi a ridosso del Natale. Voli speciali per recuperarli ma con delle condizioni, per esempio non hanno riportato i residenti. Quello che mi chiedo è perché al momento del blocco i voli Alitalia sono stati sospesi subito quando in contemporanea i voli British sono partiti. Va a capire. 61


Nel frattempo, i numeri crescono un po' ovunque con record di contagi e decessi. In questo quadretto pandemico siamo arrivati agli sgoccioli della Brexit. Oh! Quattro anni dal referendum, quattro anni di chiacchiere, di trattative, di governi caduti e conseguenti elezioni, quattro anni di schermaglie per non arrivare a un dunque. Alla fine a un dunque ci si è arrivati. A va là che te! La prospettiva di non avere più zone di pesca nel mare del nord da parte dei frugali deve aver fatto la sua parte. Credo che anche la prospettiva di non vendere beni di consumo e di lusso da parte di oltre mezza Europa abbia avuto il suo peso. Comunque, alla fine della fiera ci siamo arrivati. La montagna ha partorito il topolino. Da quel che ho capito in realtà cambia ben poco, essendo la Gran Bretagna partner commerciale (come è ovvio e banale sia), non ci sarà più l'Erasmus ma vi garantisco che in Inghilterra si andava a studiare anche senza l'Erasmus da sempre e i corsi importanti, diciamo così, sono da sempre esclusi da questa forma di scambio. Altra modifica, per adesso, è la necessità del passaporto. Ohi! Me lo farò. 62


Andrò a depositare le mie impronte digitali e via. Io in Albione ci devo andare per altri quattro anni, volete non ci perda una giornata per le pratiche? L'altro giorno hanno approvato il vaccino AstraZeneca, quello sviluppato ad Oxford in collaborazione con un'azienda italiana. Il quattro gennaio cominciano a sforacchiare la gente. In Europa non si sa. Non si capisce se son lunghi come al solito, se l'azienda non ha presentato domanda o cosa. Nel frattempo, salta fuori che la Germania ha comprato una trentina di milioni di dosi aggiuntive in silenzio da Pfizer. Sorge il sospetto che avendo finanziato il progetto in maniera importante abbia usufruito di una piega degli accordi europei per portarsi avanti coi lavori. Mah. Comunque, tranquilli, prima o poi in dirittura d'arrivo ce ne saranno una quindicina. Uno alla volta verranno approvati e distribuiti. Una cosa mi chiedo: le case farmaceutiche nostrane cosa aspettano a riconvertire o a creare produzioni locali? Pensano forse di continuare con la strada di far produrre tutto in Cina? (fine parte seconda)

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Racconti

A un passo da loro Lucia COLARIETI

Vit era entusiasta, da quando aveva conosciuto la sua destinazione Erasmus un misto di sentimenti la attraversavano, sopra tutti l’eccitazione di iniziare una nuova avventura, un po’ di timore per un paese sconosciuto e una lingua da imparare, curiosità per le nuove amicizie, un’università da scoprire. Da qualche tempo le lezioni del suo corso magistrale la annoiavano e inoltre l’idea di trovare un po’ d’indipendenza dalla sua amatissima ma ingombrante famiglia era allettante. Cercò su maps il nome della città: Guimarães provincia di Porto in Portogallo. Lei aveva viaggiato parecchio ma di quella parte dell’Europa non conosceva quasi nulla, poco male, sarebbe stata una magnifica avventura. Lo era stata fino alla sera dell’otto marzo. Già da qualche giorno arrivavano dall’Italia notizie sull’epidemia in corso, cronaca di sottofondo, amplificata dalle parole di una mamma un po’ ansiosa. Poi si erano fatte rumore, messaggi che par64


lavano di emergenza, di misure di sicurezza, di rischio elevato e provvedimenti drastici del governo. Vit iniziò ad usare le precauzioni che le venivano da casa: mascherina, guanti, gel disinfettante. Si sentiva un po’ ridicola, lì nessuno faceva altrettanto, in Portogallo la vita continuava come sempre e una ragazza con il viso coperto suscitava ilarità, gli amici la prendevano in giro invitandola a prendere le bibite dalla stessa cannuccia e le ansie prendevano radici anche se intorno a lei non c’era la percezione di quello che invece le trasmettevano i genitori e i fratelli. Cedendo alla pressione una mattina decise, insieme a Martina e Federica, di prenotare un volo per l’Italia, sarebbero rientrate per qualche tempo, in modo da tranquillizzare le famiglie e attendere che la situazione si calmasse: volo Porto – Roma per il tredici marzo. Non fu così facile come si aspettavano. Due giorni prima della partenza arrivò la notizia del volo cancellato, a causa delle misure di restrizione per il contenimento del virus. Vit prenotò subito un altro volo per il sedici marzo, anche questo fu cancellato. L’agitazione iniziò a serpeggiare nei loro cuori, cercarono contatti per avere notizie, l’unico numero di telefono cui risposero era quello dell’ambasciata italiana. Furono gentili ma le dissero che tutti i voli erano bloccati, suggerivano di passare per la Francia che ancora non aveva chiuso le frontiere, ma non era una certezza, i provvedimenti venivano adottati di ora in ora e le cose potevano cambiare, la Francia avrebbe potuto chiudere le frontiere. Il consiglio era di rimanere in Portogallo. Vit rimase attonita e ammutolita di fronte a questa evidenza, nella sua giovane vita aveva preso tanti aerei, varcato innumerevoli confini, si era allontanata da casa con la consapevolezza che qualche ora di volo avrebbe presto annullato ogni distanza. Faceva fatica ad elaborare quel concetto: non mi posso muovere. Martina e Federica le rimandavano lo stesso pensiero, sul loro divano di una casa per studenti, uguale a tante altre, crocevia di vite ed esperienze, si sentivano in 65


trappola. Federica continuava a digitare febbrile sul suo cellulare, a casa il padre era ammalato e lei non voleva assolutamente considerare l’idea di non essergli vicina. Si fecero forti di questo motivo del cuore e iniziarono a vagliare alternative. Scelsero un volo per Lione dove avrebbero incontrato un’altra amica, era di conforto pensare che almeno si sarebbero trovate in una città con una casa ad ospitarle. Prepararono i trolley da cabina inserendo il minimo indispensabile, abiti invernali per quelle settimane, tanto poi sarebbero tornate per primavera. Vit aveva il volo già prenotato dopo Pasqua, avrebbe usato quello. Uscirono da casa di notte per prendere l’autobus ed essere all’aeroporto entro le sei, giunsero con l’aereo a Lione dove avevano in programma di stare chiuse in casa di Emilia un giorno, distanti l’una dall’altra e poi avrebbero preso il treno per Torino. Durante la notte le urla di Federica le svegliarono: avevano cancellato il treno per l’Italia. Tutte e quattro si attaccarono agli schermi dei computer, i treni sparivano uno alla volta dalla programmazione, tentavano di prenotare, di scoprire nuovi canali, si passavano le notizie l’un l’altra, contattavano amici in giro per l’Europa, ogni via sembrava sbarrata. Un’amica, che stava a Lille al confine con il Belgio, doveva prendere un treno per raggiungerle e partire insieme per Torino, avevano cancellato anche la tratta interna alla Francia; infine trovarono un’auto a noleggio per andare alla stazione di Torino, prima dell’alba si avviarono all’agenzia. I moduli da firmare erano tantissimi, Vit era l’unica a guidare e dovette farsi carico del noleggio; dalle chat di whatsapp continuavano a piovere notizie sull’andamento dell’epidemia e delle restrizioni nel mondo, le quattro ragazze sapevano di dover contare solo su loro stesse, nessuno poteva fare altro per loro. In quel momento neanche la disponibilità di soldi avrebbe potuto migliorare la situazione, contava solamente essere lucide, conservare la calma e impegnarsi al meglio. Prima 66


dell’ultimo modulo da firmare l’impiegato dietro al vetro le fermò: “Hanno chiuso le frontiere con l’Italia, non posso noleggiarvi l’auto”, un’altra strada chiusa. Non rimaneva che tornare a casa di Emilia e cercare altre soluzioni. Come una squadra speciale tutte e quattro iniziarono ad elaborare le più assurde possibilità, contattarono agenzie di viaggi, Uber, chauffeur privati ma nessuno passava il confine. Dall’Italia, dove anche le famiglie si stavano attivando per cercare soluzioni, arrivò la notizia di un treno Modane – Torino che ancora non era stato cancellato. Ritornarono all’agenzia, tra francesi che le guardavano stupiti perché nessuno usava la mascherina e ancora erano tutti per strada, correndo per arrivare prima del noleggio dell’ultima vettura, che nonostante tutto stavano andando a ruba. Allo sportello scoprirono che la carta di credito di Vit non era abilitata, dovettero prenotare a nome di Martina e pagare il secondo autista, ma ormai i soldi erano l’ultimo dei loro problemi, si ingegnavano i tutti i modi per farsi fare le ricariche dai genitori in Italia. Alle quattro del mattino, con le borse piene di panini e di biscotti, partirono per un viaggio di tre ore in autostrada verso Modane. Non era facile tenere a bada l’ansia e la stanchezza, le aiutavano le play list e i reportage da postare agli amici, le risate e i messaggi audio, però lo svincolo per Modane passò inosservato e si trovarono di fronte a quelli che per loro erano dei caselli autostradali. Un uomo in divisa fece loro segno di fermarsi, iniziò a parlare francese poi passò all’italiano: “Ragazze questa è la frontiera con l’Italia, non potete passare”. L’Italia era a un passo da loro, si vedeva e non potevano raggiungerla. La generazione di Erasmus e dei voli low-cost non aveva mai visto una frontiera, non aveva mai passato una dogana. Non poterono far altro che tornare indietro verso la stazione ferroviaria di Modane, 67


giusto in tempo per apprendere che anche quel treno era stato cancellato. In quel posto non avevano dove andare a dormire, di nuovo si misero alla ricerca di una soluzione. La trovarono in un taxi che, per una cifra sproporzionata, le avrebbe portate appena fuori dal tunnel del Frejus. Si trovarono così a Bardonecchia, a piedi, in mezzo alla neve, senza attrezzatura, davanti ad un bar che verosimilmente era aperto fuorilegge, però erano in Italia. Trovarono strane tutte le misure di sicurezza, i nastri rossi, gli avvisi per il distanziamento, le mascherine per tutti, loro venivano da una realtà che avevano vissuto come normale fino ad allora, una cioccolata calda al bar, sedute ognuna ad un tavolo diverso, sembrava la scena di un sogno. Un treno regionale le portò a Torino e le cinque ore di attesa del convoglio per Napoli sembrarono dilatarsi al soffio della paura di vederlo cancellato, ma furono i timori ad essere cancellati: partiva in orario. Autocertificazioni, documenti, controlli, altre novità che aumentavano l’estraneità e la difficoltà ad abbandonare il senso di precarietà e insicurezza. Il viaggio verso Napoli corse in un paesaggio che si faceva sempre più familiare, arrivarono alle ventitré in una piazza Garibaldi spettrale. Dovettero accontentarsi degli occhi sorridenti dei loro genitori, rimandare il riposo a dopo una doccia e un ripasso di disinfettante, sopportare due settimane d’isolamento ma tutto era dolce quando aveva il sapore di casa. Giusto il tempo di riprendersi, di raccogliere le forze e ed essere consapevoli che si diventa grandi anche così. Vit e le sue amiche già hanno nuovi progetti in giro per il mondo. NdA. Ringrazio V.T. per il racconto che mi ha regalato, un’esperienza davvero vissuta. 68


Politica

Non ce lo possiamo permettere Aldo AVALLONE

Prima di apprestarmi a stendere questo pezzo sono andato a leggere ciò che avevo scritto, sempre sull’Unità laburista, un anno fa. Ebbene, Renzi dialogava con Salvini ipotizzando un governo di unità nazionale e Conte si preparava a una verifica di maggioranza per mettere in agenda un cronoprogramma di interventi per arrivare alla scadenza naturale della legislatura. Si discuteva se aderire o meno al MES e i problemi di insufficiente crescita economica animavano il dibattito pubblico. Poi, con i due turisti cinesi ricoverati allo Spallanzani di Roma, nel nostro Paese è arrivato il COVID-19. È trascorso un anno assolutamente anomalo, il mondo ha affrontato una pandemia che ha modificato totalmente il modo di vivere di miliardi di persone. Oltre due milioni di esseri umani hanno perso la vita (in Italia, mentre scrivo queste note sia69


mo giunti ad oltre settantacinquemila vittime), l’economia mondiale si ritrova in uno stato di crisi ben più grave di quella del 2008 e Renzi è ancora lì, pronto a minacciare una crisi di governo. L’anomalia di un partitino che tutti i sondaggi danno intorno al 2,5 per cento e che, in caso di elezioni, avrebbe difficoltà a portare qualche suo rappresentante in Parlamento raffigura un vulnus insanabile alla governabilità del Paese. Mentre scrivo queste note non è ancora chiaro come evolverà la situazione ma è molto probabile che il re degli irresponsabili porti fino in fondo le proprie minacce di crisi di governo non ascoltando nemmeno le parole del Presidente della Repubblica che nel tradizionale discorso di fine anno ha invocato “costruttori” e non distruttori che inseguano “illusori vantaggi di parte”. È davvero impensabile che in questo momento, in piena pandemia, si possa soltanto lontanamente ipotizzare una crisi con tutte le conseguenze che potrebbe comportare anche, se non soprattutto, nei rapporti con l’Europa in una fase delicatissima nella quale bisognerà trovare la massima unità di intenti per la programmazione e poi la gestione del Recovery fund. I duecentonove miliardi di euro, di cui oltre ottantuno a fondo perduto, che giungeranno in Italia rappresentano un’occasione unica e irripetibile per modernizzare il Paese. Saranno risorse decisive per attivare la ripresa di un’economia messa a terra dal virus. Ed è proprio sulla gestione di quei duecento e più miliardi che Renzi ha deciso di giocare la sua partita. Gli altri Paesi si sono dati ognuno una propria organizzazione. La Spagna ha deciso che la gestione dei fondi sarà affidata unicamente al governo, senza il supporto di soggetti esterni. Nella cabina di regia entrerà quindi un gruppo di ministri, sotto la guida del primo ministro Pedro Sanchez. In Francia è stato creato il Commissariato al Piano per gestirne l’attuazione. A capo della struttura c’è François Bayrou, politico, ex ministro dell’Istruzione e della Giustizia, che riferirà direttamente al governo e, in particolare, al ministro dell’Economia. 70


Quindi, come in Spagna, la gestione dei fondi sarà di competenza governativa, anche se il Commissario sarà naturalmente affiancato da tecnici. In Germania gli aiuti europei serviranno a finanziare, in parte, un piano interno di misure di sostegno all’economia che era stato approvato dal governo nel giugno scorso. Nel nostro Paese, in un primo tempo, Conte aveva previsto la creazione di una task force di esperti che avrebbe individuato i progetti da finanziare, riferendo a una cabina di regia governativa formata dallo stesso primo ministro insieme ai titolari dei dicasteri dell’Economia, Gualtieri, e dello Sviluppo economico, Patuanelli. Naturalmente il Piano, una volta definito, sarebbe dovuto passare attraverso la discussione e l’approvazione in Parlamento. Un percorso, come si vede, in linea con quello degli altri Paesi europei. A questo punto Renzi, preoccupato di rimanere fuori dai giochi, ha cominciato ad attuare la strategia che gli è abituale e gli riesce meglio: criticare il governo di cui fa parte. In nome della stabilità, nessuno si augura una crisi di governo in piena emergenza pandemica, Conte ha fatto alcune aperture sulle richieste del vivaista: meno peso alla task force e più collegialità nella cabina di regia governativa dove potrebbero entrare un rappresentante di Leu e uno di Italia Viva, presumibilmente il coordinatore nazionale Ettore Rosato. Al momento in cui scriviamo non sappiamo se queste “concessioni” saranno sufficienti ad arrestare il percorso che condurrebbe a una crisi di governo davvero incomprensibile alla maggioranza degli italiani. In un sondaggio IPSOS del 19 dicembre scorso il 57% degli intervistati dà un giudizio positivo su Giuseppe Conte, il leader politico più popolare, seguito dal ministro della Salute Roberto Speranza al 36%. Seguono, con percentuali minori, la Meloni, Salvini, Zingaretti, Franceschini, Di Maio. In questa classifica Renzi è dato per disperso dietro persino a Calenda e Toti. Questi dati confermano, ancora una volta, la fiducia che la maggioranza degli italiani possiede nei confronti dell’attuale primo ministro che, tra mille difficoltà e sia pure con qualche indeci71


sione di troppo, ha ben governato una crisi epocale. Cosa avverrà nelle prossime ore è difficilmente ipotizzabile. Si va da uno scenario minimale quale un rimpasto della formazione di governo in cui Italia Viva abbia qualche ministero di maggior peso fino a elezioni anticipate. La via intermedia sarebbe una “crisi pilotata” che porti a un Conte ter. Bisognerà vedere di cosa si accontenterà l’ego del narcisista di Rignano e cosa deciderà Giuseppe Conte. Credo che la tentazione di portare la crisi in Parlamento e, in quella sede istituzionale, provare a trovare i voti che gli consentano di proseguire l’azione di governo liberandosi una buona volta di Renzi sia forte. Benché a parole tutti dichiarino di non aver timore di elezioni anticipate, è chiaro che non siano gradite a nessuna delle forze che compongono l’attuale maggioranza. Il rischio di consegnare alla destra la gestione del Recovery fund e l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica è troppo alto. Alla fine, probabilmente, si troverà un compromesso che consenta al governo, quello attuale o a un altro leggermente modificato, di proseguire la sua azione e a Renzi di ottenere quella maggiore visibilità a cui da sempre aspira e di “mettere le mani” nella gestione dei miliardi che giungeranno dall’Europa. Al momento si può lavorare solo su ipotesi che, per quanto ragionevoli, possono essere sempre ribaltate dal fattore umano. È risaputo che tra Renzi e Conte non esista proprio una forte simpatia e ognuno di loro farebbe carte false per liberarsi dell’altro. Ma mai come ora al Paese serve stabilità ed è auspicabile che tutte le forze in campo remino in quella direzione. A Conte e alla sua squadra chiediamo un nuovo slancio per uscire progressivamente dalla crisi sanitaria ed economica. Nessuno pretende miracoli ma decisioni tempestive e interventi efficaci che superino i ritardi che in alcune circostanze hanno caratterizzato l’azione dell’esecutivo. L’alternativa è consegnare il Paese alla peggiore destra che sia mai esistita e questo non ce lo si può assolutamente permettere. 72


Inchiesta/Esteri

Nazisti dell’Illinois e dove trovarli di Umberto DE GIOVANNANGELI

Una strana dimenticanza s’aggira per il mondo della comunicazione e della politica occidentali. Un’anomalia semantica che prova a mascherare un imbarazzo inquietante, una reticenza pelosa, riassumibile così: se non è “islamico” non è terrorismo. Può essere “atto criminale”, “gesto folle”, partorito da una mente malata, ma guai a usare la parola terrorismo o terrorista. Donald Trump l’ha definito “un crimine d’odio”. Ma le parole che il presidente statunitense non riesce a pronunciare sono due: “suprematismo bianco”. Di questo universo impastato di odio antisemita, faceva parte John Earnest, il diciannovenne autore dell’attacco, il 28 aprile 2019, alla sinagoga di Poway, nella contea di San Diego, California, che ha provocato un morto e tre feriti. Come i suoi “eroi” anche Earnest ha postato prima dell’attacco il suo “manifesto”. Il killer l’ha riempito con copia/incolla, tesi a volte a posticce, 73


parla di “rivoluzione”. In questo ha emulato Breton Tarrant, lo stragista della Nuova Zelanda diventato suo ispiratore e modello. Nelle lunghe pagine cita anche Robert Bower, l’assassino responsabile del massacro alla sinagoga di Pittsburg avvenuta esattamente sei mesi fa. Il manifesto di Earnest è zeppo di dichiarazioni d’odio contro ebrei, musulmani, africano-americani, ispanici, immigrati e femministe, così come altri gruppi e minoranze. Ogni ebreo è responsabile del genocidio meticolosamente pianificato della razza europea, delira il diciannovenne terrorista. Earnest ripropone anche la teoria, molto popolare negli ambienti di estrema destra americani, del “complotto giudaico”, e cioè del piano pilotato dagli ebrei di “sostituire” americani bianchi con immigrati provenienti da altri Paesi. Nel documento, scriveva il Washington Post, Earnest rivendica di aver dato fuoco un mese fa a una moschea nella località californiana di Escondido, a poche miglia dalla sinagoga in cui è avvenuta la sparatoria. Gli estremisti del “white power” si passano il testimone, indicano a chi li vuole seguire cosa fare. Gli attentatori suprematisti amano l’esibizione mediatica, agiscono rivolgendosi sempre a un’audience a un pubblico che credono ricettivo alle loro idee, hanno sempre contatti con gruppi più o meno radicali. E a quel mondo appartiene anche Christopher Paul Hasson, 49 anni, tenente della guardia costiera americana, arrestato nella cittadina di Silver Spring in Maryland con la grave accusa di terrorismo interno. A fermarlo l'Fbi e i servizi investigativi della Guardia Costiera dopo che una indagine federale aveva portato alla luce un piano criminale per un attacco terroristico su larga scala contro civili e personaggi noti. Nel mirino anche una lista di giornalisti e politici democratici. Tra essi la speaker della Camera Nancy Pelosi, il leader dell'opposizione democratica al Senato Chuck Schumer, la deputata newyorkese Alexandria OcasioCortez, ma anche i giornalisti della Cnn Don Lemon e Chris Cuomo e della Msnbc Chris Hayes e Joe Scarborough. Nell'abitazione di Hasson, non distante da Washington, gli inquirenti hanno ritrovato una consistente scorta di 15 armi da fuoco e migliaia di munizioni, ma anche steroidi e ormoni. Rinvenuti nel suo computer lettere e documenti impregnati di odio e piani omicidi. Nella cronologia delle sue ricerche in rete c'erano "il miglior posto a Washington per vedere persone del Congresso" o anche "i giudici della Corte Suprema hanno la scorta?". L'uomo, che si è autodefinito un nazionalista bianco e filo-russo, era ossessionato da neo-fascismo e neonazismo. Hasson aveva anche studiato il manifesto di Anders Behring Breivik, il suprematista norvegese di cui era un ammiratore e che nel 2011 uccise 77 persone. Secondo la documentazione raccolta dalle forze dell'ordine e depositata al tribunale distrettuale del Maryland, l'obiettivo finale era quello di "stabilire una patria bianca". 74


Le loro idee, le loro parole d’ordine, non sono estranee alle destre sovraniste in crescita in tutto il globo. Il mondo degli Earnest, dei Tarrant, dei Bower, è il mondo dei “suprematisti bianchi”, che possono contare su oltre 1022 siti che fanno riferimento a idee e pratiche razziste, che indottrinano e addestrano in rete gli affiliati e chi, anche se “cane sciolto”, vuole farsi giustizia da sé: aprendo il fuoco contro un centro in cui si pratica l’aborto, aggredendo persone di colore, e aprendo la caccia all’“islamico”. Gruppi che hanno come centro propulsivo gli Stati Uniti. I suprematisti bianchi sono cresciuti di numero dopo le presidenziali del 2016. Alcuni appartengono al gruppo Vanguard America, usano slogan razzisti, iconografie connesse a simboli del passato e ora sulla loro divisa, polo bianca e pantaloni khaki, molti hanno aggiunto il cappellino rosso con la scritta “Make America Great Again”, motto della campagna elettorale di Trump. Un’immagine che ha creato imbarazzo per la Casa Bianca. Attualmente sono 1124 gruppi razzisti che sostengono idee come la supremazia bianca basata sulla teorica superiorità di questa razza su africano-americani, ispanici, arabi o ebrei. Queste credenze, basate sull’odio, hanno fondamenta politiche e sociali che a volte partono da una base religiosa spesso 75


legata al cristianesimo fondamentalista. Nel 2017, secondo i dati americani, il sessanta-settanta per cento degli omicidi di stampo politico, ideologico o religioso sono stati messi in atto da suprematisti bianchi o da gruppi di estrema destra, neonazisti. E sono largamente superiori a quelli commessi dagli estremisti islamici. È stato stimato che un numero tra le 150mila e le 200mila persone s’iscrivono a pubblicazioni razziste, partecipano alle loro marce e manifestazioni e donano denaro. Circa 150 programmi radiofonici e televisivi indipendenti sono trasmessi settimanalmente e raggiungono centinaia di migliaia di simpatizzanti. Saint Tarrant, il nuovo cavaliere crociato che “pulisce il mondo dalla feccia musulmana”. Ma anche James Mason, un membro del partito neonazista americano che idolatrava Hitler e Charles Manson, ispiratore del gruppo Atomwaffen, sospettato di diversi omicidi. O ancora il norvegese Andres Breivik, autore della strage di Utoya, o lo youtuber da 53 milioni di follower PewDiePie, accusato di antisemitismo. Sono questi gli eroi dei lupi solitari di destra che si radicalizzano in rete, nei canali come 8chan trovano manifesti preconfezionati per motivare le loro azioni e sul Deep Webcomprano armi, abbigliamento militare per entrare in azione, magari utilizzando Bitcoin per evitare di essere rintracciati o per finanziare le loro ricerche “sul campo”. Il nemico sono gli “infedeli”, i musulmani, gli ebrei, i gay, le donne. I target: le moschee, le sinagoghe, i luoghi di ritrovo di chi invece vive liberamente la sua vita. All’interno del movimento bianco suprematista, i gruppi neonazisti hanno registrato la crescita maggiore, aumentando del 22 per cento. I gruppi antimusulmani sono saliti per un terzo anno consecutivo. In South Carolina, ad esempio, secondo il Southern Poverty Law Center, operano almeno 19 “hate groups”, cioè i gruppi che fanno dell’odio la propria cifra. Tra quelli che operano attivamente sono compresi: neonazisti, miliziani del Ku Klux Klan, nazionalisti bianchi, neoconfederati, teste rasate di taglio razzista, vigilanti frontalieri. I gruppi neonazi nel 2008 erano 159, otto anni dopo sono saliti a 1384. Tra i più attivi: American Front, American Guard, Hammerskins, National Alliance, National Socialist American Labor Party, National Socialist Vanguard, Nsdap/Ao, White Aryan resistance. Il suprematismo bianco Usa corre anche sul web. Un recente studio del Simon Wiesenthal Center ha identificato più di dodicimila gruppi di odio xenofobo e antisemita sul web. La League of the South sul proprio sito avverte: “Se ci chiamerete razzisti, la nostra risposta sarà: e allora?”. 76


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L’amministrazione Trump ha tagliato i fondi per dieci milioni di dollari a diversi gruppi che combattono l’estremismo di destra negli Stati Uniti per un programma mirato alla de-radicalizzazione dei neonazisti Dagli Stati Uniti, il fenomeno dei gruppi anti-islamici, che sempre più prendono il connotato militante di gruppi antimigranti, s’è esteso nel vecchio continente, in particolare nel Nord ed Est Europa. Un esempio sono i “Soldati di Odino”, un gruppo di estremisti di destra che pattuglia le strade della Finlandia con l’obiettivo di “proteggere gli abitanti del posto dagli immigrati”: una pratica che si sta iniziando a diffondere in altre nazioni scandinave e baltiche, suscitando preoccupazione nelle autorità. Questi autoproclamati “patrioti”, che prendono il proprio nome dal re degli dei della mitologia nordica, aspirano a diventare “gli occhi e le orecchie” dei poliziotti, i quali – secondo loro – farebbero oggi sempre più fatica a portare a termine i compiti loro assegnati. Dal Nord-Est al cuore dell’Europa: Gran Bretagna e Germania. Nel Regno Unito, l’estrema destra (suprematista, razzista, isolazionista, anti-migranti) fa proseliti e ha un seguito crescente. Materiale estremista è disponibile ovunque in rete. Un gruppo come National Action, quello che è nato per “celebrare” la morte della deputata laburista Jo Cox, conta su un centinaio di militanti, ma i suoi video su YouTube hanno quasi 2800 adepti. Proclamano una “White Jihad”, una guerra santa bianca, che significa rendere omogenea e aderente “ai valori tradizionali inglesi” questa terra che oggi invece ospita persone provenienti da ogni angolo del mondo ed è un crogiolo di culture. “I rifugiati non sono i benvenuti” si legge in uno dei loro proclami che va di pari passo alla proclamazione che “Hitler aveva ragione, i rifugiati devono tornare a casa”. Thomas Mair, 54 anni, l’assassino (16 luglio 2016) di Cox, era legato al gruppo suprematista bianco Springbok Club, visceralmente ostile all’Europa e simpatizzante del vecchio apartheid sudafricano. Le prove emerse al processo, conclusosi con la condanna all’ergastolo dell’assassino della quarantunenne deputata laburista, hanno dimostrato che Mair ha ucciso Jo Cox sulla spinta di un’ideologia neonazista, razzista e suprematista bianca. La polizia aveva trovato nella sua abitazione simboli e libri sul Terzo Reich, sul Sudafrica dell’apartheid e su movimenti razzisti di altri Paesi. Prima di Mair, ad entrare in azione (nel 2013) era stato Pavlo Lapshin, neonazista ucraino trapiantato a Birmingham, che uccise un’anziano musulmano e si preparava a piazzare esplosivi in varie moschee. Lapshin era un suprematista, così come David Copeland, l’uomo che ha ucciso tre persone in una serie di attacchi dinamitardi e voleva dare inizio ad una guerra civile nel Paese. Un altro dinamitardo – Ryan McGee – era un estimatore del Ku Klux Klan. McGee è stato fermato in tempo per evitare una strage. Come Ian Forman, che stava pianificando di attaccare una mo78


schea, e passava ore nella sua camera da letto indossando cimeli nazisti e postando messaggi razzisti sul web. Il ministero dell’interno britannico ha dichiaro fuori legge un gruppo dell’ultradestra inglese denominato “National Action”, accusato di progettare e istigare atti di violenza razzisti. Dal Regno Unito alla Germania. Qui è nato il movimento “Pegida” i “patrioti europei contro l’islamizzazione dei paesi occidentali” (Patriotische Europäer gegen die Islamisierung des Abendlandes), movimento che sta catalizzando l’attenzione di tutti i discorsi riguardanti l’islamismo e l’anti-islamismo in Germania. Nel febbraio 2015, “Pegida” ha reintegrato nel suo comitato di direzione il leader del gruppo Lutz Bachmann, che si era dimesso il 21 gennaio dello stesso anno dopo che il giornale tedesco Bild aveva pubblicato una sua foto in cui mostrava un taglio di capelli e di baffi che ricordava quello di Hitler. Gli estremisti di destra – si legge nel rapporto – hanno scoperto come condurre la loro guerra via Intemet, come usare la “elecronic warfare”. Simili tattiche hanno indotto le autorità di alcuni Stati a mettere in guardia contro le derive terroristiche dello spettro dell’estrema destra. In più, la potenziale violenza è coltivata dai peggior tipi di giochi elettronici, diventati arma politica vera e propria utilizzata abilmente dai neo-nazi. Questi siti hanno un pubblico fedele e ampio, costituito non di semplici curiosi, ma di persone che sull’odio hanno costruito il proprio rapporto col mondo e usano Internet per ritrovarsi, scambiarsi informazioni, infiammarsi reciprocamente, creare steccati, alzare barriere, scavare fossati. E assaltare moschee. È l’internazionale del separatismo. Internazionale del terrore bianco.

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