INGEGNO E PAURA VOL I

Page 1

UFFICIO
Flavio Ru sso f M!Jegno e Paura Trenta secoli d,fòrtificazioni in Italia Vol um e p ri mo L'e tà antica Roma 2005
STATO MAGGIORE DELL'ES E R CITO
STORICO

PROPR IETÀ LETrERAR LA

Tutti i diritti ri serval i Vietala anche la ri prod u7,ione parziale se nza autorizzazione

© Uf!ìcio Sto rico SME - Roma 2005

Codice ISBN: 88 -87940 -47 -9 N. Ca t. 6637

Soc ietà Ed itr ice Imago Media s rl
O
Dra gon i (CE) - te l. 0823 8667 I O
ia.i t - emai l: info@ im agomcdia.il
81
IO
www.imagomed

Da sempre l'uomo ha cercato di difendere la sua esistenza e il suo territorio dagli attacchi esterni costruendo fortificazioni poderose e stabili che, nel corso del tempo, hanno subito continue e radicali trasformazioni , adeguate alle tecniche di difesa più ingegnose per offrire una protezione efficace contro le minacce di nuove e temibili armi di offesa.

Tali strutture, una volta ultimate, hanno superato spesso il loro precipuo fine difensivo costituendo degli straordinari capolavori di architettura fortificata legata all'arte militare.

L'opera dell'ing. Flavio Russo ricostruisce in maniera completa ed esaustiva la storia e l'evoluzione delle fortificazioni in Itali a, dai primi manufatti di era preistorica e classica, alle costruzioni difensive di età medievale, moderna e contemporanea, con particolare rilievo ai periodi degli ultimi conflitti mondiali.

In ogni fase storica, sono state prese in considerazione non soltanto le conoscenze e le tecnologie costruttive del tempo, ma anche le vicende militari e strategiche riguardanti i principali assedi e campagne militari a cui dette fortificazioni dovettero far fronte, nella buona sorte di resistere e respingere gli attacchi o nella tragica evenienza di una disfatta.

Nondimeno viene esaminato l'aspetto di come le fondamentali innovazioni architettoniche, apportate nel tempo alle diverse strutture fortificate, siano state concepite e inevitabilmente condizionate dalle esperienze vissute, all'indomani di ogni avvenimento cruciale in ambito civile e militare.

Quello che oggi viene presentato è un o st udi o notevole, impegnativo, che integra egregiamente la collana edita dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito sul tema delle fortificazioni costiere e dell'entroterra , dagli Stati preunitari fino ad oggi.

Un vivo ringraziamento viene rivolto all'autore, ing. Flavio Russo, che, graz ie alla sua profonda competenza tecnica, unita a mirabili capacità narrative e didattiche, è riuscito a rendere agile e nel contempo dotta la stes ura cli un'op era complessa, ben documentata e ri ccamente illustrata, ma soprattutto molto attenta ali' intero panorama italiano su ll a storia delle fortificazioni.

PRESENTAZIONE
IL CAPO UFFICIO STO RICO Col. Ma ssimo Multari

Osservazioni etiche

Stando alle ultime rilevazioni il patrimonio mondiale artistico, ed in tale definizione conflu iscono tanto i beni archeologici che quelli architettonici , è per i due terzi concentrato in Italia . Non s i tratta ovviamente di un a coincidenza fortuita, ma dell'esito di una sequela di v icissitudini, nella maggioranza dei casi , traumatiche. Sin dalla più remota antichità, infatti, innumerevoli etnie si sono avvice ndate ne lla Penisola disputandosene il territorio, e per la s ua baricentrica ubicazione mediterranea, e per le sue straordinariamente propizie connotazioni morfologiche e pedologiche e, non ultimo , per la mitezza del clima. In linea di ampia schematizzazione, intorno agli albori del primo millennio a.C. è possibile di s tinguere i molteplici contendenti in residenti, ormai stabili, ed in aspiranti colonizza tori , genericamente Itali ci gli uni e Greci gli altri. Tutti , dopo un a interminabile conflittualità, fagoc i tati ed assimilati nella soc ietà romana, sintesi estrema delle rispettive diversità. Per secoli, però, essi restarono abbarbicati tenacemente ai propri in sediamenti , tentando di ampliarne i confini a danno dei vicini, nel mentre salvaguardavano il loro territorio non solo avval e ndo si di opere difensive di precipua concezione ma anche utili zzando g li apporti coesivi dell'altre ttanto precipue credenze religiose, ge ne s i entrambe di una cospicua aliquota delle menzionate permanenze archeologiche.

L 'a bbondan za, disgraziatamente, genera l'assuefazione, premessa a sua volta di in se ns ibilità e d ' incuria: nessuna meraviglia, quindi , che l'immenso repertorio di ruderi, es trema testimonian za di quel remoto e movimentato passato nazionale sia sta to fino a pochi anni fa appena tollerato. Nell'immaginario collettivo equivaleva a scalcinati lacerti di mura, ospizio per

gatti randagi, ed a malconci sepolcri, infarciti di cocci: in og ni caso deprecabili ingombri ed ostacoli per un più disinvolto utilizzo del territor io. Paradossalmente il rozzo giudizio trova una sia pur minima giustificazione . Le vestigia architettoniche sopravvissute alle ingiurie del tempo e degli uomini, per la qua s i totalità dei casi, infatti, possono includersi in due precise categorie, fra loro apparentemente antitetiche, ma ispirate da un unico fattor comune: la paura. Paura di morire, cer tamente, ma anche e non minore di vivere! Mai, a partire dai nostri giorni fino agli incerti albori della c i viltà< 1> , in qualsiasi contesto sociale ed in qualunque scorcio temporale , tale biparti z ione e compresenza è venuta meno.

Nella prima categoria, sbalorditivi allineamenti megalitici , vertiginose piramidi , mae s tosi templi , superbe basiliche, splendide moschee, come pure innumerevoli necropoli, catacombe ed infinite sepo lture, costruzioni tutte e comunque espressione di un ' ininterrotta ed universale spera nz a. Che in estrema sintesi, può definirsi aspirazione alla sopravvivenza ultraterrena , ovvero il rimedio per antonomasia contro l'incubo della scomparsa assoluta ed irre versibile. Soltanto quelle opere riuscirono, e rie sco no, a tranquillizzare , fornendo, con una prospetti va di eternità, un significato alla vita. L a inc oe r cib ilit à dell'esigenza è testimoniata dal riesplodere, al dissolversi dei rarissimi regimi politici miranti al s istematico srad icamento del trascendente , delle credenze più ortodosse e fanatiche. Ed, ovviamente, dall ' immediato riproliferare dell 'architettura sacra .

Nella seconda, eno rmi fossati, colossali murazioni ciclopiche, fiere cerchie urbiche turrite , geometriche fortezze e tetre casematte di cemento armato, costruzioni tutte e comunque espressione di un' altrettanto ininterrotta ed univer sale spera nza . Che , a sua volta, in

PREMESSA

estrema s intesi, può definirsi aspirazione alla sopravvivenza te1Tena , il rimedio per antonomasia contro l' i.ncubo dell'annientamento fisico e dell 'asservimento.

Anche in questo caso sol tanto quelle opere riuscirono, e nelle derivazioni più evolute ancora riescono, a tranquillizzare, fornendo, con una prospettiva di sicurezza, una coerenza alla vita. La inevadibilità dell'esigenza è testimoniata dal riesplodere, al dissolversi dei rarissimi regimi politici che vollero evitarle, dei terrori più angoscianti e paralizzanti. Ed ovviamente dall ' altrettanto immediato riproliferare dell ' architettura militare.

Motivazioni , quindi, analoghe e contigue, alle spalle di quelle costruzioni, nella quotidianità inutili ma indispensabili contro angosce di certissima poten zial ità quanto di incertissima attuazione. La loro s tretta affinità può peraltro recepirsi nell'essere entrambe le paventate eventualità esulanti dal libero arbitrio e perciò tanto scarsamente prevedibili quanto assolutamente inevitabili. Potendo colpire in qualsiasi momento, obbligano a contromisure prive della s ia pur minima soluzione di continuità. La religiosità assurge a prassi a cui s ubordinare l'intera esistenza, come del resto la difesa diventa obbligo perenne. La sco mparsa individuale, a seguito della morte, o soc iale, a seguito di una conquista nemica, rappresentando la violenta sottrazione di ogni bene , da quello della vita a quello del suo incondizionato godimento, giustificavano, e giustificano ancora, siffatte costrizioni. E spiegano esaurientemente il perchè, tanto in ambito sacra le che militare, si profusero, e s i profondono , ingentissime risorse, significativamente in proporzione di gran lunga più rilevanti in passato come, in generale, attualmente nelle società meno avanzate. Ed emblematicamente più la inte1Telazione fra le due istituzioni s i accentua, e purtroppo gli esempi anche ai nostri giorni abbondano, più gli oneri connessi si accrescono. Nell'antichità quanto delineato trova s piegazione osservando che mentre il tempio convogliava la protezione divina su lle mura, godeva a sua volta della loro

protezione, ottima ragione per eccedere in entrambe le opere, configurandosi una s in gola carenza foriera di sventura. Del resto la concretizzazione di edifici sacri, presupponendo disponibilità economiche considerevoli reputate conseguenti alla presunta benevolenza divina, o al contrario frutto di sacrifici immensi tendenti a richiamarla, fungeva in ogni caso da allettante st imolo per immancabili aggressori, attratti dal miraggio del1' acca pan-amento delle ricchezze e della razzia dei laboriosi abitanti.

Pertanto, l ' architettura re li g io sa, si n dai primordi, non ostentò significative manifestazioni in assenza di una contestuale architettura militare. Che , dal canto s uo , attingeva proprio nel comune credo la basilare coesione e deternùnazione. Affatto casuale, quindi, che fautrici delle due particolari tipologie edificatorie risultino le altrettanto partico l ari caste specializzate: quella sacerdotale e quella guen-iera, con innegabili affinità istituzionali sostanzialmente immutabili nel tempo e nei luo ghi.

Entrambe rigidamente gerarchizzate, entrambe non produttive, e ntrambe depositarie di conoscenze più o meno segrete e comunque avanzate, entrambe per definizione votate al sacr ificio estremo, proprio ed altrui, per la permanenza de l bene comune, tanto per citare le principali e precipue connotazioni. Ed entrambe sempre , al di là delle parziali e recenti ss ime condiscendenze, prettamente maschiliste, non di rado nei governi teocratici , con i ma ss imi vertici indistinti. Alla loro iniziativa va ascritta in definitiva l'ottimizzazione e la specializzazione delle accennate architetture onniprense nti e reciprocamente esiziali.

Simbiosi mutualistica trascendentale! Architetture sacre e difen s ive che per le rimarcate caratterizzazioni furono riguardate da alcuni acuti trattatisti sotto un ' unica comune etichetta quali 'architetture della paura'. Ma forse sare bbe più esatto, pur condividendo la loro innegabile matrice, reputarle , per quanto precisato, 'architetture de lla speranza' 12>

l 1GEGNO E PA URA TRENTA SECOLf DI fORTU-:ICAZIONI lN ITALIA

Posta così la questione , sarebbe coerente attendersi , se non dal profano almeno dallo studioso, un identico s tato d'animo scaturente dalla contemplazione dei rispettivi ruderi; in realtà , si colgono agevolmente, e paradossalmente, due divergenti suggestioni e, soprattutto, due antitetiche conclusioni.

Per la prima, infatti, poichè la pratica religiosa non si è mai sostanzialmente discostata dalle ancestrali estrinsecazioni, e come preghiera e come culto dei morti ed, infine, come fede nella immortalità de ll 'anima, senza che peraltro sia stato minimamente scalfito il mistero della divinità, i resti deJJe architetture sacre assumono valenze confermative. Rafforzano cioè, con la loro testimonianza archeologica, la convinzione dei credenti , prescindendo dalla loro titolazione. A voler essere ancora più pratici è tutt ' oggi possibile utilizzare tanto un tempio greco che una sepoltura preistorica per le iden tiche finalità senza ravvisarvi alcun anacronismo od inadeguatezza. Ovvio, pertanto, che se nella invarianza dell'architettura sacra si ravvisa una conferma della sensatezza dell'esigenza spirituale , l'opposto avviene per quella militare, che incessantemente correlata all'evo lu zione tecnologica, dimostrandosi effimera, accredita la taccia di velleitarismo

desiste dal!' evidenziare il presuntuoso , e velleitario , fascino che siffatte opere hanno sempre esercitato sull ' orgoglio dei potenti, anche i più smaliziati. La loro eventuale espugnazione, poi, tradita in tanti casi dalle ancora evidenti devastazioni, ribadisce la dinamica del ragionamento, confe rm ando l'intrinseca fallacia del1' opzione fortificatoria, alla quale, però, enigmaticamente, non seppero sottrar si neanche i suoi più smaliziati detrattori, persino in epoche recentissime.

Puntualmente ricompare l'immagine del soldato ge rm anico che contempla con beffarda fierezza i bunker della Maginot tranquillamente scavalcati, estrema esempl ific azione della superiorità de l combattente moderno nei confront i di una concezione difensiva arcaica e comunque illusoria. Ma si affaccia subito , quasi a confutare tanta certezza, anche una seconda immagine di un altro soldato , dalla identica uniforme ed, apparentemente, immutata fierezza, piantato innanzi ad una mostruosa casamatta dalla quale sporge un gigantesco cannone puntato verso la costa nemica. Meno di quattro anni separano le due foto, oltre dieci millenni i due stati d'animo ed, ironia della sorte, la più recente ripropone il più vetusto! Fra le inarrestabili divisioni corazzate del III R eic h del 1940, tracotanti Ben diverse, infatti, le conclusioni ispirate dai rude- su i loro superbi carri, e quelle, ad onta della propaganri delle fortificazioni, al di l à dell'ammirazione per le da , demoralizzate e sfiduciate rintanate nel Vallo configurazioni stru ttu rali. Pochissimi osservatori, in questo seco ndo ambito, riescono a sottrarsi alla sensazio ne di assoluta inutilità, erompente dalle pietre avviluppate dai rovi, in specie quando not or iam ente mai prova te dall'investimento ossidio nal e. Nessuna romantica reminiscenza di g lorio si fatti d'armi impregna allora quelle fat iscenti murazioni, nè mitici fantasmi di epici ero i paiono popolarle. Le poderose macerie divengono , così, una palese testimonianza dell ' ottusa ingenuità o dell'utopia, un tangibile, re iterato esempio dell'ass urdo sperpero di ri sorse imp osto dalla gue rra e da ll a belluinità umana.

E, con malcelata super iorit à int elle ttual e , non si

Atlantico ne l 1944 gioca a ll 'inve r so la storia! Forse anche i legionari romani dilaganti in Britannia avevano irriso l'utopia delle forticazioni ce ltiche facilmente s uperate, e magari conti nuarono ad irr idere dalle loro fortificazioni, che di lì a breve dovettero anch' essi erigere, quei barbari che premevano co n c rescente disperazione contro le stesse. Sappiamo c he in entrambe le circostanze quei m as todonti ci gusci finirono sfondati come quinte teatrali, fragili inte rm ezzi impos ti dalla debolezza. Facile, pertanto, concludere che in ness un caso avrebbero potuto alterare il corso della s toria , ma a l mas s imo rit ardarlo: e nella foschia del tempo i secol i di tenuta del Vallo di Adriano equival-

PREMESSA

go no a l g iorno ' più lun go', peraltro di ap pena sc i ore, del Vallo Atlantico! Sensato pertanto cog li e re nella vi ce nd a una sorta di parafrasi de ll a esistenza umana , sim ile nella s ua sco ntata es trin secaz io ne a lla din a mi ca s tessa della vi ta, s pavalda ne lla g iov in ezza lib era e d inami ca, quanto cupa e tre m ebonda nella vecch i a i a immobile nell e co nfort evo li dim o re, m a inevitabilmente condannata prim a o poi a l com pim e nto d e l uo fi sio logico ed in eluttabile destino. È probabilmente da questa estrema se mplifi caz ion e a posteriori c h e viene infi c iato l ' intero ra g ionamento.

Prescindendo dal fatto che tra il 'p rima ' e il 'poi' nella rea lt à intercorsero arc hi cro n o logici s pesso co ns id erevo li , non di rado pluriseco lari e tali da g iu s tificare ampiamen te l ' opzione fortificatoria, fu veramente so ltanto il rinvio della co nqui s t a la fun z ione di tante innum erevoli ope re? E la c i vi ltà che nel frattempo si sv ilupp ò al loro rip aro e c h e sop ravvisse a ll a loro distruzio ne, non ne rappre se n tò forse il maggiore s uccesso? Non può rit enersi affallo casuale che la 'c ivitas ' s imbol egg iata da una corona turrita , cost itu e ndo le mura urbiche la s ua pr ec ipu a e basila re co nn o tazione, sia l 'o ri gine e tim o logica di civ il tà Come ritenere all ora ininflu e nti sull'intero dip a nars i dell a s toria strutture c he h a nn o prodo tt o isole di tranquillità all ' interno delle quali pot è evo l ve rs i la cu ltu ra m o ndi ale, solo perchè limi tate c ronologi ca mente ? Se fos se rea lm ente av ul sa da s iffatte co nseg uenze, l a oltre d ec imille nari a produzione de ll ' architettura militare ce le reb be ne l suo costante ripropors i una indi sc utibil e co nferma d e ll a in s an ia me ntale d e ll a s pec ie umana , in ca pace di lib erarsi, pur ave nd one infinite vo lt e spe ri me nt ato la trag ica inutilità, di qu e i s upporti difen s ivi cos to s iss imi e promoto ri di una pernic i osa s indrom e d i s icurezza. Torna nd o al parall e lli s mo tra arc hi tellura milita re c d architettura sacra, se applica ss imo a n c h e a qu es t ' ultima il vaglio utilitari s tico n e co nseg uire bbe per tutti g li e d ifici sac ri , in a s e n za di un dichiara to g radim e nto divino e di una co mprovat a co rre lazio ne tra la lo ro co-

st ru z ion e e le so rti d ei crede nti , la taccia di superfl ui in ogni contesto c ronologico. Eppure, se bben e n o n siano m ancati pensa t ori, ed a vo lte a nc h e sis temi politici, c h e abb iano condiviso tale sem pli cist ica conc lu s ion e, mai la s tragrand e mag g ioran za d eg li uom ini l ' h a re putata se n ata.

Osservando per in c iso c h e la 'mania' di fort i ficarsi n o n è affatto peculiare de ll a so l a s pecie um ana01 , in c h e ambito int e ll e ttual e potremmo co llocare a ll ora g li a ltr imenti eccez iona li ce rvelli c h e s i c i mentarono in s iffatta di sc iplina? D a Ar c him ede a L eo n ardo , da Brama nte a Mi che la n ge lo, da Gali leo a Carnot, t anto per c itare fi g ure di estrazione non militare, tutti con indi sc utibil e o ne s tà e co mpeten za, ela bor arono inn ovazioni e potenziame nti per delle s trutture c he, per quanto detto, av rebbero in vece dovu t o a pparire lo ro , ormai, di co mpro vata inutilità. Tutti utopi s ti , tutti ve ll eitari, tutti s ubalterni e d incapaci di rib e llarsi ag li or dini d eme n ziali de i pote nti di turno?

Parimenti Etruschi, Sanniti, Celt i , Grec i , R oman i , Longobardi, Arabi, Normanni , Svevi , Angioni , Arago nes i , Spag noli , A us triaci. I ngle s i , d i vo l ta in volta fatt is i car ico d e l possesso di 'fette' della Pe ni so la tra mite fortificazioni di loro prec ipua in venz ion e ed ado z ion e, i c ui ruderi a nco ra si sco rgo n o num erosissimi , erano tutti afflitti d a una o ttu sa ingenuit à c h e li rendeva inc a pac i di superare utopi ci s te r eo tipi difensivi e di a dottare co ncezi o ni a ltern ative di ben di ve r sa rilevanza e co nseguen z ialità ? M a fu poi realmente qu es to il criterio informato re, per millenni ma te rializzato d a ll a fo rtifi caz ione, fa lli salv i i debiti aggiornamenti i mpo s ti d a ll 'evo lu zione tecno l ogica, o no n è pi utt os to que s to ra g io nament o frutto d e ll a no st ra mod e rn a incomprensione, frutto a s ua vo lta della ovv ietà del se nn o di poi?

E co m e d efi nire, a llora, i l piano d el così detto 'sc udo stellare' se n o n il pro ge tto di un a immen sa murag li a tridimens i onale capace di porre al riparo d a ll e offese cli un qu a l iasi eve ntu a le nemi co un a c itt a-

_ l
~GEGNO

della di dimensioni continentali? Ultima utopia difensiva o estremo rifugio delle speranze umane di sicurezza esistenziale? E se dalla sua attuazione scaturisse un millennio di inviolabilità, intervallo simile a quello fornito dalle mura di CostantinopoliHi, sarebbe poi per noi insignificante il suo apporto ed inutile e velleitaria la sua presenza?

La superficiale conclusione, ad un più ponderato approfondi mento, sembra affondare le sue radici nell'assurda equiparazione di una fortificazione ad un qual siasi manufatto pubblico, evitando di vagliarla a ll a luce della lo gica militare. Senza dubbio quest'ultima rappresenta, per molti aspetti, una lo gica alternativa ed antitetica a quella corrente15l, ma, nell'ambito specifico, è talmente str ingente e vincolante da fornirsi come unico tramite per un'attendibile valutazione.

Se, tanto per esempl ificare , due opposte sponde vengono allacciate con un comodo ponte, perfettamente dimensionato ed accuratamente realizzato, che però nessuno percorre, appare innegabile la sua inutilità. Per una fortificazione, al contrario, la conferma del!' ottimale ubica zione e dimensionamento, scaturisce proprio dall'essere s istematicamente evitata da ogni aggressore, bastando la sua sola presenza ad incutere ri spe tto. Far derivare, invec e, l'utilità dell 'opera dalla sua inviolabilità prescinde ndo dal numero degli attaccanti e dalla durata dell'investimento, equivarrebbe, tornando all'esempio del ponte, a reputarlo inutile perchè incapace di sopportare un carico arbitrariamente grande per un tempo illimitato. Qualsiasi progettista di fronte ad un s imile giudizio sarebbe colto da un attacco irrefrenabile di riso, eppure è quanto abitualmente si legge, anche in opere specializzate, in merito alle fortificazioni , a conforto della tesi della loro inutilità: sono state espugnate16> Inutili, allora, le mura di Troia , che già vecchie di alcuni seco li di anzianità, offrirono riparo ad un pugno di uomini per una decennale resistenza contro una miriade di attaccanti; inutili pure quelle aureliane di Roma , che la protessero per circa un seco-

lo e mezzo; inutili quelle di Costantinopoli, costruite ali' epoca della catapulte e sgretolate dalle artiglierie. Tutte inutili perchè prima o poi superate. Ma , prima o poi , qualunque manufatto, anche il famoso ponte è destinato a cedere, vuoi sotto un cari.co eccessivo, vuoi per naturale degrado, ma non per questo può essere definito inutile. In conclusione, per reputarsi utile la fortificazione si sarebbe dovuta dimostrare sempre e comunque infrangibile. Ma allora sarebbe stata la dinamica evolutiva a non esistere più, poichè, proprio dal tentativo di aver ragione di tale categoria di ostacoli, è derivata una buona parte del nostro progresso tecnologico, nel bene e nel malel7> _

Per ripugnante che possa sembrare non è dalla costruzione ma dalla distruzione che sono scaturiti i massimi stimoli evolutivi. Da sempre, infatti, chi costruisce dispone di più tempo e notorietà di chi distrugge, costretto alla segretezza ed alla immediatezza. Dal che, ovviamente, il costante perfezionarsi delle tecniche ed il loro lento propagarsi , ma anche la forte resistenza alle innovazioni mancando lo stimolo della ne cessità e dell'impellenza. La rivoluzionaria invenzione della volta richiese secoli per l'incontrastata adozione e millenni per la diffusione, peraltro non universale. Quella della poi vere pirica solo pochi anni e dovunque18 l Ad oltre un secolo dalla sua comparsa la tecnica del cemento armato, nono stante l'indubbia convenienza, è assente da una gran parte del pianeta a differenza delle granate ad alto esplosivo. Inoltre non è arduo rilevare che l'efficacia di qualsiasi espediente distruttivo è da semp re direttamente proporzionale alla sua rapidità attuativa ed alla grandiosità degli esiti: il minimo tempo con i massimi danni. Da questa diabolica sfida, e dalla contestuale nece ss ità di fronteggiarla, in sintesi resistere il massimo tempo con i minimi danni, deriva l'attuale civiltà avanzata. Il cannone < 9 > ,

ancora per esemplificare, si sv iluppò come prima macchina a combustione interna specializzata in demo1izioni a distanza. Si potrebbe obiettare che di tale

PREMESSA

avvento l'umanità avrebbe positivamente potuto fare a meno, ma si finge in tal caso di ignorare che da esso trassero origine, secoli dopo , le molteplici tipologie di motori endotermici 0 0l, tra i quali, non ultimo quello della no s tra automobile. E , so prattutto , che furono prorio i motori a farsi carico dell'eliminazione dello sfru ttamento dell'uomo come bestia, ovvero , della sc hiavitù. É emblematico che l'abie zio ne della tratta persista so lo per la so ddi sfaz ione degli istinti sess uali , per i quali, purtroppo , non c'è motore che valga! E, se contro le fortificazioni s i adottò prima il bombardam e nto terre stre e poi , appena poss ibile, quello aereo, fu proprio per co ntra stare que s t ' ultimo genere di offese che sì escog itarono, per il se rvi zio della contraerea, centraline automatiche di calcolo in tempo qua s i reale: per dirla in breve i computer, oggi onniprensenti e pacifici<n>

Non certamente architettura dell'utopia, quindi , è quella difen s iva e meno che mai materializzazione della stu pidità, ma al contrario la manifestazione completa delle mas s ime facoltà raziocinanti tese a garantire le più alte aspirazioni, ovvero quelle della libertà e della sicurezza sociale: in una parola della civiltà. Il che disgraziatamente, come in ogni istituzion e, non evitò il de ge nerarsi della finalità, per cui in di versi contesti l'architettura difen s iva s i trasformò in 'o ppressiva' o ' repre ss iva ' <12\ contribuendo all'arbitrio di una in significante minoranza su vas te popolazioni: non fu comunque la norma, come indirettamente conferma l a desuetudine delle men z ionate qualifica z ioni. E, se attualmente all'interno dei tanti vetusti ruderi di fortificazioni, dai lace1ti di mura urbiche ai romantici castelli medievali , non si coglie l 'identica se nsaz ione di imprescindibilità che s i avverte in vece ali' interno di quelli di un tempio, ciò non è imputabile, di sg raziatamente, al venir meno dell 'es igen za ma so ltanto alla mutata appariscenza della dife sa militare , non più percettibile su scala territoriale e pertanto non relazionabile a tal i permanen ze .

Considerando, inoltre, che la fortificazione ha seg uito, e continua per molti versi a seg uire, il cammino della civiltà, considerando che pe r la s ua affidabilità ha richie sto da se mpre st rutture particolarmente resistenti, capaci di sfi dare non solo il tempo ma anche, e so prattutto , le offese antropiche e naturali e c he , perciò , s i reali zzò con sol uzioni all ' avanguardia , è logico concludere che nei s uoi re st i si rintracciano le tappe fondamentali dell ' evoluzione dell ' homo sapiens . Sotto questo aspetto la s ua produzione può equipararsi ai fossili pervenutici, attrav e rso l e ere geologiche, più o meno ben conservati, dalla cui comparaz ione s i ri cava il pro cesso di s pecia z ione biologico in ogni distinta fase.

Come la pal eo ntolo gia, analizzandoli , consente la cronologizzazione delle rocce e dei sedimenti che li contengono, traendone basilari indi cazio ni pe r la ricerca geo lo g ica e mineraria, nonchè per la valu taz ione della sicure zza del territorio ai fini dello sfr uttamento antropico , così lo s tudi o di questa particolarissima categoria di colossali esosche l etri murari permette di ricavare non solo l'incedere della tecnolo g ia ma anche le altrimenti inspiegabili anomalie polemologiche e le possibili so lu zion i.

Tentando ancora una volta di ese mplificare, la proliferazione dei castelli in epoca medi evale, perfettamente recepibile grazie alle innumerevo li pittoresc he rovine , s uggeri sce il di sso lvers i di una soc ietà nazionale ed urbana. Suggerisce la sco mparsa dell'ordine e del diritto. Suggeri sce la dras tica contrazione dei commerci ed il loro scadimento a livello puramente regionale. Sugge ri sce il fortissimo rallentame nto culturale, la profonda crisi demografica e l 'i mperversare del fanati s mo e della s upersti zio ne più oscura. Concause, ques te, tutte congiuranti alla pochezza de llo strumento militare incapace di aver ragione di quelle modeste pietre e, pertanto , direttamente responsabile del loro abnorme moltiplicarsi , in una perversa s pirale. Sarà l 'a vvento dell ' artigliera ad infrangere le aberrazioni di quell'universo parcellizzato , pon e ndo rapidamente

I NGEGNO E P AURA TR ENTA SECOLI D I FORTI F ICAZION I I N ITALIA

fine al feuda lesimo ed a ll e s ue intoll era bili vessazioni. M a l 'artig li eria segnerà anche l'avvio della moderna sc ien za e degli stat i nazio n a li . In fatti, la costrnz i o ne e l'ottimi zzazione dei canno ni , impli ca nd o ri sorse tecniche ed economiche assolutamente eccede nti quelle dei mod est i potentati coev i , in breve si concen trò nelle mani di poche dinastie capaci , loro tramite, di imporre la prop ri a sovrani tà a qualsiasi riottoso b aro ne .

É e mbl e mati co c he la realizzazione di artig lierie evolute ed affidabili, i ntrapresa da Carlo VIII ag li inizi del 1490(1 3\ coincida strettamen te con l a conclusione del medioevo. In pochi decenni, sulla cupa co lon na so nora del loro rombare, un decrepito assetto isti tuzi onale s i dissolverà, per dar luo go ad un fervore di s tudi e di ricerche in ogni ca mp o, perfettamente definito ' Rinascimento'. Anche di quell'agonizzante scorc io sto ri co è agevo le rintr acciare ogni convu lsione, persino la più modesta, nei resti di tante fortificazioni , soprattu tto nell'ingenuo tentativo di adegua rl e alla riv o luzion ar ia novità04i se nza mutarne i criteri informatori.

Per to rnare a lla paleontologia, è risaputo che l'intera evol u z ion e, meg lio definita filogenesi, a pp are sinteti zzata in ogni sua singo la fase ne i nove mesi di sv iluppo del feto umano, o ortogenesi. In entrambe, infatti, s i passa da un organismo unic e llulare a l massimo li vello rappresentato dall ' i ndividuo raz iocinante. Un infinitesimale framm e nto di vita terre stre ripercorre nella s ua esiste nza prenatale qua s i tr e miliardi di a nni: tutti i dettag li cieli' interminabile processo posso no così agevolmente cog li ers i in questo microcosmo. N el1' ambito dell a fortificazione potrebbe , co n pari fondatezza, ravvi sars i all'interno di un a ri s tretta area geografica, a volte pers ino in una unica località, purch è se mpre abitata ed in contatto diretto con le altre etnie ci rco stanti , più o meno contigue, tutte l e accennate fasi evolutive ricavandone s ia l e crono l ogie effettive sia i debiti in segnamenti proiettivi. La ra g ione del fenomeno è abbastanza se mplice da delineare.

Tradizionalmente a seguito dei con flitti s i ebbe, e si co nt inua ad avere laddove purtroppo ancora divampano , una sorta di t ravaso di c ultura militare dal contendente più evoluto verso quello più arre tr ato, ovvero , nella stragrande maggioranza dei casi, dai vincitori verso i v inti. Quest' ul t imi , infatti, ravvisano nelle superiori conoscenze dei primi l'origine dei loro s uccessi, e finiscono per imit arne non solo I' armamento e le procedure di co mbattim e nto ma finanche ogni minima connotazione. Bast i considerare al riguardo la diffusione dell'uniforme dell 'esercito degli Stati Uniti presso tutti i popoli del mondo, compres i quelli ad essi profondamente ostili, per religione ed id eo lo gia <15 J _ Altrettanto risaputa è l'ado zione da parte di ex colo n ie, resesi completamente indip e nd e nti , delle istituzioni militari della madrepatria, senza quasi alcu na alteraz io ne fo rmal e, fatti salv i i necessari adeguame nt i geoclimatici. Credibile, pertanto, c he si sia verifi cato nel1 ' ambito dell'architettura militare un processo identico, probabile origine del diffondersi nell'intero bacino mediterraneo, da est verso ovest, delle m e desime soluz ioni e strutture, di pe r sè non inevitabilmente univoche, come dimo stra no le reali zzazioni mesoamericane e nipponiche . In al tri termini una matri ce fort ifi ca toria g ià matura in og ni s ingol a definizione funzionale , esito a s ua vol ta di mill e nni di sperimentazione, seg uì il mi grare d ei suo i fautori verso i me no contesi territori occidentali, sop piantando con il loro radicarsi, ogni prees is tente realizzazione difensiva e inte rromp en do si so lt anto con il cessare degli arrivi.

Tanto per ese mplificare, gli a rchetipi a dottati in area a natolica tra il VII e d il Il millennio a. C., compariranno, perfettam e nte identici , in Italia so lta nto agli albori de l I, ma s opravviveranno in Gran Bre ta g na fino ag li inizi della nostra era, indi sc utibili conferme de ll a comune origine e dello sfalsame nto cro nolo g ico, nonchè de lla stasi prodotta dall ' iso lamento. É ovvio c he il fenomeno s i reg is tri , più comp iutam e nte , ne ll e reg ioni per iferiche ed esposte , come, per res tare alla P eniso l a,

PREMESSA

la Puglia, almeno fino all'esaurimento di tale connotazione geopolitica. Fu lì, infatti, più che altrove che si abbatterono i flussi migratori nel corso degli ultimi tre millenni, da quelli preistorici a quelli moderni, introducendovi le rispettive culture e tecniche militari. Pertanto è agevole individuarvi nel sovrappors i alle arcaiche fortificazioni di forme più avanzate, non il segno di un 'avve nuta autonoma ela borazione, di per sè lunga e laboriosa, ma dell'avvento di nuovi colonizzatori più evoluti e pertanto rapidamente vittoriosi sui precedenti. Gli archetipi, quindi, ripropongono tutte le distinte tappe attuative ma in sequenza accelerata!

Ecco allora, intorno al Xll sec. a. C. sostituirsi alle fo11ificazioni daunie, estremamente e lementari ed affini alle mediorientali del V millennio , quelle micenee, appena meno evolute delle coeve dell' Argolide. Nell'arco di pochi secoli, a loro volta, cedono il posto ad impianti di concezione greca, e poi romana, praticamente equivalenti alle rispettive più avanzate realizzazioni in materia. In meno di un millennio l'immenso 'gap' tecnologico risulta a quel punto colma to!

Per l'Italia il processo acquista ulteriori definizioni, potendosi osservare che con le fortificazioni bizantine prim a e normanno-sveve poi, la tendenza si inverte, avviandosi un ruolo concettualmente trainante in materia, culminato con l'elaborazione del fronte bastionato, se nsibilm ente in anticipo rispetto al resto del mondo. In virtù di quanto detto il ten-itorio nazionale assurge ad osservatorio privilegiato, permettendo di tracciare una s intesi filogenetica esausti va dell'evolversi della fortificazione ed anche di ricavarne tutte le indicazioni ed i suggerimenti cronologici. É, sotto que s to aspetto, simile alle rocce del Gran Canion nei cui strati, accumulatisi nel corso di alcuni miliardi d'anni e sezionati propiziamente dalle vorticose acque del Colorado , si trova fossilizzata l'intera vicenda evolutiva planetaria. Per la nostra disciplina l'arco di se dimentazion e spazia in circa 30 secoli, ma sintetizza una produzione di quasi 10 millenni , consentendoci la realizzazione di

una sca l a temporale analogica applicabile alla datazione di ogni singo l a opera non s toricamente accertata. E, seb ben e tali reperti c i s iano pervenuti , nella stragra nde maggioran za dei casi, mutili , o parzialmente devastati, ciò non ostacola l ' individuazione degli eleme nti indispe nsabi li ad una esatta interpretazione. D el resto per la valutazione di una fortificazione non è necessaria la completezza dell'opera ma è sufficiente la permanenza, appena alterata, di una sua modesta sezione, essendo l'intera struttura la riproposizione ritmica e simmetrica di pochi elementi architettonico-militari, che ne costituiscono poi l e peculiarità identi ficative.

Lo stu dio che segue te nta di fornire un quadro cronologico delle fortificazioni avvicendatesi in Itali a, non tutte necessariamente, come accennato, opera di Italiani o di Stati italiani. Tale peculiarità, quand 'a nche umiliante sotto il profilo della sovranità naz ionale , forni sce nel suo dipanarsi una s intesi esaustiva dell'intera produzione planetaria nelle var ie epoc he storiche e, di conseguenza, una dettagliatissima cronologia degli sviluppi della tecnologia, per quanto detto non soltanto militare.

É forse per questa sorta cli comoda opportunità di st udio offerta da una inusitata abbondanza di esempi di disparatissima matrice che, fin dall'avvento dell'età moderna , gli ingegneri militari italiani si imposero ali' attenzione delle corti e uropee , confermandosi per lunghi seco li di gran lunga i migliori. Dalle mura del Cremlino alle fortezze della Florida, è facile individuarvi alle s palle sempre connazionali, magari con i nomi più o meno alterati per meglio in ser irsi nelle compagini straniere di committenza.

Ma la pros pettiva più interessante di tale approfondimento è la possibilità di accertare le oggettive vicende storiche e le concrete istanze motivazionali, ricavandone i s uggerimenti neces sari per la prefigura zione del futuro in chiave analogica. Il procedimento , in estrema s intes i, è del tutto simile a quello attualmente impiegato nella sis mologia e nella vulcanologia, disci-

ING
EGNO E PA U RA TRENTA S ECOLI DI FORTIFI CAZIONI I ITALIA

pline la cui finalità non ul tima contemp l a la salvaguardia della vita umana da incombenti catastrofi Le loro prev i s ioni , basate sulla comparaz i one dei sintomi tellurici con i precedenti storici, si confe rm ano meramente probabilistiche, essendo anche in tale amb ito l'e ve nt o potenzialmente certissimo ma auuativamente in certissimo.

Osservazioni tecniche

La guerra ridotta all'esse n zia le, può equipararsi ad un duello tra due contendenti ' 101 • In q uanto tale consiste, in estre ma s intes i , nella capacità di abbatte re un avve r sario mediante la som rnini straziona di sufficienti dosi ene rge ti c h e, evitando al contempo di riceverne. In tale estremizzazione nessuna differenza concettuale intercorre tra l ' impatto di un p u gno e quello di una testata atom ica(171 • Fatto sa l vo l'incomparabile divario dimensionale, in entrambe le circostanze si registra un a percossa offensiva-cinetica o nucl eare-tanto più ri solutiva quanto p iù eccedente l'eventuale reazione ne mi ca Il che, però, n on significa necessa ri amente asim metria offensiva dei conte nd en ti, ma spesso solt an to difensiva , bastando per neutralizzare g li esit i di un eq ui va l ente controtiro n emico, un efficace dispositivo dife ns ivo . In un duello con l a sc iabo l a, ad esempio, a parità di perizia trionfa c hi è dotato di corazza . P er l'identica ragione, in un ipot e ti co confl itto mi ssili stico più c h e il num ero d ei vettori co nta l 'interdizione sa tellitar e. In pratica, pertanto, i n ogni sco ntr o la s uperiorit à è la ri s ult an te del più accorto dosaggio delle antitetiche mani festazioni, offensiva-attiva e di fe ns i va-passiva, a ll e connotazioni precipue d el contendente . L 'a mbito di osci lla z io ne s pazia tra i due estremi insormontabili, peraltro puramente teori c i , d e lla assoluta aggress i vi t à e dell'assoluta in v iolabilità.

L'e ntit à minima d e lla prima, co rri s pondente alla fase puramente animale, fu appunto quella racchiu sa n el pugno con un ragg io di attuazione pari a quello del

braccio. Oggi al pugno si è sostituita la testata nucleare ed al braccio il vettore intercontinentale, ma la dinamica è immutata. A sua volta la seconda, finalizzata a vanificare le percosse nemiche , non sempre schivabili , va dall 'arcaico scudo li g neo al fantascientifico scudo stellare, ma anche per essa il concetto di base è sempre il medesimo: impedire all ' avversario di porre a segno i suoi colpi, o per lo meno neutralizzarne la vio l enza attraverso l 'i nterposizione di diaframmi impenetrabi I i.

O vviamente, in corrispondenza delle epoche più remote, l a componente offensiva e quella difensiva si presentavano allo stato puro: il combattente affrontava lo scontro senza alcuna protez ion e e la difesa ostava statica mente ogni assalto. Emi nentemente attiva l a prima ernjnenteme nte passiva la seconda. Tale stadio può essere preso come origine ideale a cui far riferimento per la valutazione dell'evoluzione di ogni struttura fortificata, osservandosi la progre ssiva compromiss ione dell'ance strale passività , contestuale del resto ali' altrettan to rap id a disso l uzione dello stereotipo del nudo guerriero. Come quest ' ultimo per meglio attaccare si corazzò passivandosi, così il recinto, per meglio difendersi , s i dotò di feritoie e piombatoie, attivandosi.

La modernizzazione del co nfli tto, in ultima a nali si, può in larga appro ss im azione individuarsi nella costa nte attivazione dei s upp ort i difen sivi, come pure nella passivazione di quelli agg ress iv i. Un moderno carro armato è ce rta m e nte un mezzo d'attacco, purtuttavia di spone di una robustissima corazza(18) D e l pari un bunker l a n c i amiss ili è ce rtam e nte un 'opera difensiva ma la s ua re azion e offensiva si protende a migliaia di chi lom etri di distanza 09 > L'estremizzazione degli esempi emblematizza l 'asserto e l o rende meno teorico. É com unqu e fondamentale osservare che anche in queste ultim e realizzazioni mili tari permangono le originarie connotazioni proprie di c ia sc una com ponente: il carro, infatti, attacca il nemico ed il bunker protegge la rampa di lan cio e i suoi se rve nti. É però nella menzionata com -

PREMESSA

promissione che si coglie l'accezione più calzante del termine 'fottificare': sopperire con ingegnos e strutture alle carenze numeriche, addestrative ed operative, in modo che possa riuscire possibile ai pochi opporsi ai tanti, ai deboli confrontarsi alla pari con i forti. Fortificarsi , quindi, non ha mai significato semplicemente rendersi invulnerabili, fenomeno che ridotto alla sua essenzialità, corrisponde in sostanza al rendersi invisibili, irraggiungibili o, comunque, totalmente estranei al territ01io ed alla dinamica storica. Fosse soltanto per l'inevitabilità dei rapporti intersociali, la fortificazione ha dovuto necessariamente confrontarsi ed aprirsi discrezionalmente verso l'esterno, ovvero munirsi di una sua componente difensiva attiva. Più in generale, si è strutturata per agevolare la reazione dei difensori, dotandosi , ad esempio, di opportune piattaforme per il lancio di massi o liquidi ustionanti , di sottili feritoie per il tiro con gli archi e le balestre prima, di troniere e cannoniere per le armi da fuoco poi , ecc. Purtroppo questa sua peculiarità, di volta in volta specifica, ma crescente con il progredire della civiltà, è quella radicalmente ablasa nelle opere più antiche. Per molti aspetti ciò ricorda la cancellazione nel processo di fossilizzazione delle parti molli, ad alcune delle quali erano delegate le funzioni aggressive indispensabili per la cattura del cibo. Pertanto solo dal punto di vista squisitamente passivo , e quindi primordiale, resta accettabile l'equiparazione di una fottificazione con l'esoscheletro degli invertebrati. Al pari di quello, infatti, vanificava gli assalti nemici senza alcun ricorso a canonizzate metodiche.

Sebbene l'esito finale di tale prestazione sia configurabile più come un decremento di vulnerabilità che come un incremento di forza, al contrario di quanto l'etimologia suggerisce, è paradossalmente proprio in questa remotissima direzione che sembrano orientarsi le più moderne riproposizioni in materia. Il già ricordato scudo stellare, ad esempio, non amplifica neanche virtualmente la capacità offensiva dei detentori, ma li rende semplicemente irraggiungibili dalle offese nemi-

che: il che lo connota per eminentemente passivo, sebbene il conseguimento di siffatto ambizioso risultato richieda un'esasperata reattività!

Cronologicamente la pre staz ione fornita dalla fortificazione, oltre al menzionato irreversi bile 'attivarsi', descrive una so rta di amplificazione funzionale. Dalla protezione del s ingolo, attraverso la corazza e lo scu do , si passa a quella del piccolo nucleo tribale, mediante palizzate e fossati, per giungere alla difesa delle città per mezzo di cerchie urbiche e quindi di interi Stati , attraverso catene di piazzeforti. Alcuni decenni or sono, si avviò la difesa di intere sez ioni continentali, per giungere all'attuale progetto di invulnerabilità semiplanetaria. Il fattor comune resta comunque la presunzione ostativa.

Sempre so tto il profilo cronologico, la validità s trutturale e la re sis tenza operativa di ogni fortificazione si sono costantemente contratte. Le opere più arcaiche ostentavano , infatti, permanen ze non di rado millenarie con scarsissimi interventi migliorativi. Del pari la loro resistenza difensiva poteva prolungarsi per decenni: tipico il caso di Troia<20l, già esistente ali' epoca del mitico assedio da alcuni millenni , con murazione perimetrale sostanzialmente immutata ma capace ancora di sopportare, inviolata, assedi decennali. In età romana la validità scese ad intervalli pluridecennali mentre la resistenza si ridusse a parentesi stagionali <2 '' · Con l'età moderna tali ambiti si contrassero vistosamente, fino a pervenire, nel corso del secondo conflitto mondiale a validità annuali ed a resistenze giornaliere (22i Mentre, però , lo scadimento della validità derivava dalla coeva evoluzione delle armi che la fortificazione doveva fronteggiare , quello della resistenza dipendeva da una matrice totalmente diversa, senza contare l'instaurarsi di limiti di progettazione sempre più stringenti, imposti a loro volta dagli esorbitanti costi delle strutture.

In pratica, infatti, con l 'avve nto dei grandi Stati nazionali, la prestazione difensiva di una piazzaforte

INGEGNO E PAURA TR ENTA S ECOLI DI fORTJPI CAZION I IN ITA LI
A

cessò di esaurirsi in se stessa, conservando l' inevitabile autonomia operativa, ma iniziò a correlarsi con le po ssibil ità di aiuto da parte delle limitrofe non ancora investite. Pertan to la sua re sistenza stimata doveva soltanto eccedere di poco il tempo necessario ai rinforzi più vicini per raggiungerla. Il progressivo incremento delle velocità di spostamento e di convergenza delle truppe, vuoi per l'infittirsi delle reti viarie, vuoi per l' adozion e di mezzi meccanici, contribuì a ridurre ulteriom1ente tale margine, consentendo perciò la costruzione di opere meno mastodontiche per guarnigioni meno numerose, a parità di sicurezza complessiva.

Per restare nell 'ambito della resistenza, va rimarcato che il protrarsi di un assedio ha costituito, semp re ; un gravissimo limite per gli attaccanti. Al di là delle inclemenze metereologiche, l'impossibilità di ricevere adeguati rifornimenti, in viveri e munizioni, s i dimostrò a lungo una difficoltà praticamente insormontabile anche per compagini militari discretamente organizzate. Nel corso del medioevo l'assenza di una s ia pur minima logistica non consentì di eccedere la sola buona stagione , prestazione assolutamente insufficiente per aver ragione persino della più scalcinata fortificazione. La risaputa limitazione incentivò la proliferazione di una tipologia difen siva particolare, economica, semplice e di rapida costruzione: i castelli. Nè valsero a superare l'inadeguatezza incentivi di tipo psicologico, quale, per tutti la facoltà di saccheggio indiscriminato, prassi tri s temente canonica alla caduta di qualsiasi fortificazione. Senza contare che, proprio per evitare quella notoria atrocità, si istigava anche nei difensori un simmetrico spasmodico furore che finiva per vanificare l'oppo sto(23i.

Sorge a questo punto una spontanea curiosità: perchè insi stere ad espugnare una fortificazione nel corso di una campagna militare , invece di ignorarla semplicemente, trascurandola e lasc iandola al suo destino, tanto più che la s ua resistenza, per ovvi motivi , non avrebbe potuto protrarsi all'infinito in mancanza di approvvigionamenti?

L'investimento ossidionale che, curiosamente trovava puntuale applicazione sia da parte di bande poco numerose sia da parte di orde sterminate, scaturiva, incredibilmente, per entrambe, da antitetiche esige nz e, congiuranti, però, verso quell'unica soluzione. Per le prime, fra le quali si possono includere i raffazzonati eserciti medievali, ignorare la fortificazione significava ritrovarsene alle spalle la guarnigione, certamente di entità non temibile ma libera di scegliere il contesto ed il momento migliori per attaccare, approfittando di s ituazioni critiche.

Facile, pertanto, immaginarne g li esiti. P er le seconde, come i grossi eserciti rinascimentali, il rilevante numero di uomini, ad onta delle famigerate razzie circostanti, implicava il mantenimento di linee di rifornimento, non potendosi comunque fare affidamento su lle risorse locali, meno che mai per le munizioni, che ogni singo lo assedio in goiava voracemente.

Il che, con il procedere dell'avanzala, significava estrema dispersione degli organici ad esse preposti, finendo per abbandonarli in balia persino di una patetica aggressione brigantesca. La cesura, allora, interrompendo i vitali collegament i, lasciava il grosso delle forze praticamente accerchiato in un territorio ostile: da quel momento il numero si trasformava in breve da premes sa di vittoria in prodromo di catastrofe, e gli esempi abbondano. In entrambi i casi, quindi, la fortificazione ine sp ugnata permetteva di disporre di aliquote militari potenzialmente suscettibili di rovesciare le so rti della campagna.

Quando l'insieme di queste se mplici osservazioni e proprietà iniziò ad essere distintamente recepito nella sua interezza, e lo fu molto presto nella storia dell'umanità, di s icuro prima dell 'avve nto della scrittura, il ricorso alla fortificazione assurse da opzione sporadica a sistematica, immancabile su pporto di qualsiasi istituzione statua le. Dall'infimo borgo allo sterminato impero, ogni nucleo abitato dov e tte necessariamente disporre di una s ua autonoma difesa perimetrale. Da allora le

PREMESSA

mura divennero per antonomasia sinonimo di città come per noi lo sono di casa. Non a caso il si mbolo geroglifico della città la rappre se nta con un cerchio sovrapposto ad una croce, dove il cerchio definisc e, idealizzandola, la fortificazione perimetrale continua e la croce il tessuto urbano scandito dagli assi viari.

Bisogna attendere la metà del secolo scorso per intravedere il superamento della corrispondenza biunivoca , pur nella immutata necessità dell'istituzione

zi one che, alla fine di una se quela di scontri più o meno lunghi, i nemici finiscono inevitabilmente per assimil ars i: l'unità europea ne è la più recente e lampante conferma, dopo millenni di infinite guerre interne tra gli attuali Stati costituenti.

Osservazioni cronologiche

L' evoluzione della fortificazione mediterranea, al militare. Potrebbe, pertanto, concludersi che, mentre pari di tutte le istitu zi oni umane , non ostenta un andal a distru zi one ha co stituito l'ala progressista dell'evo - mento lin eare nè monotono. Sembrerebbe, invece , luzione , quella difen s iva e fortificatoria la con- descrivere un tracciato vagamente si nusoidale , peralse r vatr ice, comunque costretta, a sua volta, ad escogi- tro di asimmetrica ampiezza e frequenza, la cui a sc istare soluzioni sempre nuove e migliori per opporsi alla sa rappresenta lo sco rrere dei secoli e l ' ordinata efficonquista, fun zio ne certamente basi lar e ma non cacia delle opere, una sorta, quest ' ultima , di prodotto glorificante. tra qualità e quantità delle stesse. L'apice, ad esemQuesta apparente limitazione trova una puntuale pio, raggiunto dalla fortifica z ione in Me so potamia eco pers ino nel pen s ie ro dei ma ss imi filosofi dell 'a n- intorno al III millennio a. c. < 24 i sarà seguito da un tichità , tra i quali Platon e, che nutrivano nei confron - lungo , ine so rabil e regre sso, int e n-otto dalla vivace ti della fortificazione un a profonda disi stima, ritenen- rie lab orazione e ripropo s izio ne in epoca romana. dola complice della scarsa combattività dei c ittadini e Analo ga mente la proliferaz ione castellana medievale , del loro progressivo rammollimento. Pr egiudizio , dopo una lunga fase di inadeguatezza strutturale, però , mai condiviso dagli stessi militari che videro me g lio nota come ' transizione' , si risolverà con la anzi in essa il s upporto impresc indibile per la salva- rivoluzionaria e grandiosa introduzione del fronte baguardia territoriale e per il ristabilimento deg li e quili - s tionato rinascimentaJe<25i _ bri fra poten z iali aggressori, localm e nte preponderan- Ovviamente l ' accennata fluttuazione rip ete, al di l à ti , e difensori. delle motivazioni tecnologiche impo ste dalla co nteIn ogni caso , l a fortificazione re g is trò e tramandò s tuale evoluzione degli armamenti, con una lieve sfatutti gli snodi evol uti vi della civiltà, consentendocene , s atura cronologica, quella dell ' economia dei rispettivi attraverso la decifrazion e delle sue s trutture, )'ogge tti - Stati, il cu i prosperare non solo consentiva l a cos truva identificazione, esattamente com e avviene per gli z ione delle fortificazioni ma , per molti aspetti , la deteresosche letri fossili dei crostacei. minava. La loro edificaz ione , infatti, implicando

In merito, del resto , va rimarcato che la guerra, pur necess ariamente una s tabile prosp e rità locale, indicon le sue manife s tazioni di vio l enza aberrante , cru - spensab il e non tanto per finan z iarne gli oneri quanto deità gratuita e di st ruzione generalizzata, costituì la piuttosto per incentivare l ' irreversibile sed entarizzars i maniera prioritaria , non di rado unica, per la presa di della popolaz ione, doveva farsi carico della protezione contatto tra civiltà distinte, premessa per la loro della s ua stessa origine. Non a caso il benessere, sia migliore rec iproc a conoscenza e fusione. che derivasse dallo s fruttamento del terreno, sia invece L o dimo stra, s e mai fo sse necessario, la constata- da accort i scambi commerciali, s ia infine da iniziati ve

- --------" l N:..:.: ' G:c:.:E,::,Ge.,.;N:..::O:...:E"-'P'--'A-'-'U::..:.R:..:..:A:....;T:....cR_,..,,E:.c:N_,_,TA S , ECOLJ DI FORTirlCAZJONI IN lTALIA

PREMESSA

militari , fungeva da iITes is tibil e stimo l o per le razz ie. Prende così a configurarsi una c hi ave di lettura a lternati va dell ' architettura difen s iva, imperniata sull'esistenza di di s parità energetiche.

In s ostanza, l'accennato be ne ssere, nella sua essenza elementare, cons iste in un'ampia disponibilità e nergetica, nella s ua più vasta accezione. Tutte le risorse materi ali convertibili, tra c ui i raccolti, e più in generale il cibo, altro non so no che scor te di energ ia potenziale, in qual s iasi momento co nc reti zza bili o trasformabili. Una massa di oro, co m e una di grano, poteva , e può ancora, convertirsi in altri beni in grado di fornire ai detentori quanto nec essari o alla so pravviven za, esentandoli dalla quotidiana asprezza del lavoro e dalle conseguenti incertez ze remun era t ive. La v it a stessa assume p erc iò una valenza e ne rge ti ca, riuscendo facile ravvisare in essa un a docile macchina capace di produrre più di quanto co nsuma. La differen za tra un terreno fertile ed uno ste ril e sta proprio ne lla differenza , più o meno ampia , fra l' e nergia c in etica spesa per la sua coltivazione e l'energia potenziale ricavata dai s uoi raccolti.

Logico , pertanto , che s in dagli albori de ll a c i vil tà , l'uomo abbia te ntato di assicurarsi scorte energetiche nella massima quantità po ss ibile , promessa e pre messa di adeg uati benessere e s icurezza. La procedura , d e l resto trova pieno riscontro anche in m olte s pec ie a nimali, c he accumulano ri se rv e alimentari ne lla buona stagione per utili zz arle nella cattiva' 26 > .

Paradossalmente, però, pe r conseguire tale risultato, è stato semp re nece ss ario s acrificare una parte dei be ni per la sa lvagua rdi a dei restanti, ovvero s pendere un ' aliquota del! ' energia potenziale per preservare la restante. La costruzione di un granaio, più o meno inviolab ile, di un muro di cinta difficilmente scavalca bile, o di un forziere pres umibi lmente impen etrab il e, cos tituisco no altrettante spese e nergetiche finali zza te a ll a intangibili tà degli accumul i. Sotto questo aspetto , l a fortificazione rappre se nta la massima co ncretizzazio ne

d e l sacr ifi cio e ne rge ti co in funzione de lla sa l vaguardia d e l benessere potenziale co ll ett ivo. Dal momento che raccolti, armenti e persone equivalevano ad altrettante riserve energetiche c he un qualsiasi razziatore avrebbe potuto sfruttare discrezionalmente, divenne prioritario in terdirne l'alienazione. Il c he, al pari di rutti gl i altri esempi, sign ifi cò distrarre un no tevo le numero di braccia dal re mun erati vo lavoro dei campi, per adibirle a ll a steri le ed i ficazio ne di r ec in z ioni , ovvero, ancora una vo lta, r inu nciare ad una parte de ll e ri so rse per interdirne la restante. La sc hematica rico struz ione spiega, tra l 'altro , perchè la fortificazione di venne necessaria e so prattutto fattibile so lo d opo il superame nto dell'ag ricoltura di pura s ussistenza, quella capace, cioè, di sfamare a lm eno due uo mini per ogni agricoltore. Per la cronaca, a l presente, la quota raggiunta presso i più avan zat i Stati è di un agricoltore per ogni 70- 80 non agr icoltori•21 >

Ben presto, quindi, il te nt at ivo di razziare quelle di s ponibilità ene rget iche presuppose la capacità di infrangere le p ri mordiali difese. In pratica, si trattò di spe nd e re una quantità di ene rg ia, a nc h 'essa logicamente di gra n lunga inferiore a quella del presumibile bottino.

La fortifi caz ione pe rciò, dopo ave r in go ia to una non indifferente quant it à di lavoro pe r la s ua rea li zzaz ione , se mpre più spesso ne richiedeva una seconda, normalmente minore ma affatto tra sc urabil e, per la sua distruzione! Paradossalmente la sommatoria delle oppo ste spese ener getiche superava, in tanti ss im e c ircostanze, la posta in gioco del con te nd e re , fe nom eno che rapidamente ini z iò ad in crementarsi.

Non a caso insis te proprio nell'irre versib il e ascesa delle quantità energet i che contese, e di quelle util izzate p e r contendere la t ragica vi ce nda del( 'umanità fino ad oggi. P ersino l a sc hia vit ù ri e ntrò in questa lo g ica( 28 >, e la di s ponibilit à di e nerg ia uman a a buon mercato fu ricercata non diversamente da quella petrolifera odierna(2'1>

É significativo osservare che, da un punto di vista meramente energetico, ogni uomo occidentale dispone, mediamente, dell'equivalente della prestazione muscolare di quasi un centinaio di schiavi. Una sola autovettura di media cilindrata ne sostituisce una squadra di circa 300! Non occorre più alcuna frusta per quest'ultima trasformazione energetica, ma ciò non toglie che essa implichi alle sue spalle un' altrettanto inumana e destabilizzante sperequazione planetaria, con la quale prima o poi occorrerà fare i conti.

Energia potenziale da difendere sacrificandone un' aliquota, energia potenziale da conquistare sacrificandone un'altra , in un mutuo incrementarsi.

Ecco allora subentrare all'urto dell ' ariete contro le mura di pietra, quello delle palle di cannone contro i bastioni terrapienati , e quindi quello dei proietti ad alto esplosivo contro le corazze di cemento armato. Pure in questa chiave di lettura la sequenza si avvia dal pugno umano all'estremità del braccio , ovvero dall ' energia meccanica, per approdare a quella nucleare, dopo aver attraversato quella chimica, fino a concludersi con la testata all ' idrogeno trasportata dal vettore intercontinentale.

Curiosamente l'ultima difesa, il rifugio antiatomico sotterraneo, è, per tanti versi, molto simile alla prima, l'altrettanto sotterranea spelonca!

Osservazioni geostoriche

Come già ricordato l'Italia conserva perfettamente leggibile l'intera vicenda evoluti va della fortificazione umana. La straordinaria e non frequente disponibilità dipende s enza dubbio dalla sua posizione geografica al centro quasi del Mediterraneo, a sua volta al centro qua s i di tre mas se continentali00 > JJ che significò al centro di tutte le vicende storiche relati ve, ovvero di buona parte dell'avventura umana. Sebbene la civiltà abbia attinto proprio intorno al Mediterraneo, grazie alla sua chiusa configurazione, il massimo sviluppo e

sebbene la Penisola di tale area costituisca il baricentro, la condivisione dei livelli raggiunti sulla fascia costiera arabica ed anatolica richiese un notevole lasso di tempo. Infatti, per quanto attualmente ricostruito dall'archeologia, quasi sette millenni di anticipo separano i traguardi culturali mediorientali ed anatolici da quelli occidentali sudeuropei, per cui l ' insediarsi degli stessi in Italia fu un fenomeno relativamente recente < 3 1J É comunque intuibile che proprio la vistosa asimmetria cronologica sia alla base della vivacità della diffusione della civiltà, non diversamente dalla rapidità della corrente di un torrente in relazione al suo salto di quota.

L'omogenizzazione dell'intero bacino, conseguita finalmente con l ' Impero romano, implicando proprio per l ' Italia l'inevitabile riproposizione accelerata di tutte le fasi già maturate , in una sorta di riepilogo evolutivo, rende coerente credere che alla nostra produzione architettonica militare non faccia difetto alcun archetipo. Il fenomeno spiega perchè riesca possibile desumere dalle fortificazioni presenti sulla Penisola, a partire da trenta secoli fa, una panoramica esaustiva dell'intera disciplina dipanantesi su di un arco temporale di quasi 10. 000 anni.

Sebbene equiparabile ad una sorta di bacino interno circondato da una pressocchè ininterrotta fascia costiera che ne consente il periplo terrestre , il Mediterraneo non può equipararsi ad un lago. É facile, infatti, scorgervi almeno tre fondamentali compartimentazioni, scandite da altrettante penisole che in esso si protendono. La più orientale è quella dell'Asia minore che serra quasi con la sua massiccia mole il mar Nero<m. Le fa seguito quella balcanica, contraddistinta dalle frastagliatissime coste meridionali e da innumerevoli arcipelaghi, che polarizza l'Egeo. Ultima quella italiana, la più occidentale, simile ad una gigantesco ponte tra l'Europa e l'Africa. li considerevole estendersi del Mediterraneo nel verso della longitudine e, per contro, il suo scarso ampliarsi in latitudine è forse la peculiarità

INGEG NO E PA URA TRENTA SECOLI DI FORTIFI C AZ IONJ IN ITALIA

più propizia alla svil uppo e diffusione della c ivilità.

Le condizioni climatiche, infatti, lungo l a ristretta fasc ia costiera che lo circondano non divergono significativamente. Appaiono decisamente temperate, con modeste escursioni termiche, discreta piovosità e sufficienza d'acqua, fattori tutti fortemente propizi per arcaici insediamenti umani ed inc e ntivanti attività pastorali, agricole e commerciali. La connotazione chiusa del mare è, a s ua volta, particolarmente idonea all'avvento di una navigazione rudimentaJe<33 >, sia per le condizioni di scarsa e contenuta tempestosità, sia

soprattutto per la determinazione nautica delle rotte . Ai preistorici nocchieri non necessitavano, infatti, complesse conoscenze per navigare da un punto all'altro: bastava seguire le circonvoluzioni costiere per ritrovarsi, dopo un periodo più o meno lungo, al punto di partenza. L'assenza di correnti e di venti dominanti consentiva persino a rudimentali imbarcazioni di solcarlo, nella buona stagione , con sufficiente sicurezza. In pratica, un qualsiasi galleggiante con pochi e rozzi uomini a bordo riusciva a stabilire commerci, scambi e colonizzazioni. L'opportunità, unica sulla faccia

PREMISSSA
I Il Mediten-aneo a Capo Co lonna, Crotone.

della terra, deve perciò porsi a fondamento dello sviluppo stesso della civiltà e della sua straordinaria dinamicità evolutiva.

Al di là della rimarcata sostanziale uniformità c limatica va osservato, però, che a ll e spalle della fascia costiera vigevano diversificatissimi microclimi, non tutti identicamente idonei all'innesco di una agricoltura spontanea. Al suo concretizzarsi, proprio nel contesto più arcaico, infatti, è indispensabile un rilevante rendimento ed una più serrata frequenza di raccolti, uniche condizioni capaci di convincere sulla validità dell'opzione stanziale rispetto a quella nomade pastorale. Ma occon-eva pure che la natura, autonomamente , avesse già selezionato adeguate specie vegetali suscettibili di coltivazione sistematica. Il tutto, necessariamente, a ridosso dei territori pastorali , quelli di massima frequentazione ancestrale. Solo lì , infatti, mentre le greggi avrebbero continuato a fornire il loro apporto al i men tare, sarebbe stata possibile l'attesa dei primi magri raccolti e l'ottimizzazione della coltivazione. E siffatte condizioni si presentarono esclusivamente a ridosso della sponde orientali, dove si innalzava la regione collinare e pedemontana, compresa fra la Persia e la Mesopotamia, odiernamente Iran e Ir ak(3~) Fu quella, per molti studiosi, la culla della cosiddetta 'rivoluzione neolitica', come pittorescamente definì lo storico inglese V G. Childe il passaggio dall'economia umana basata su1Ia caccia e pesca a quella impostata sull ' agricoltura e sull'allevamentoli51 Emblematico che proprio nella medesima regione la Bibbia ubichi il mitico Eden, e che sempre quella tena, compresa tr a i due grandi fiumi, fu sommersa interamente da una esondazione di catastrofica portata06J, rima.sta nell' immaginario collettivo come 'diluvio universale', le cui tracce archeologiche peraltro sono state effettivamente ritrovate e datate.

Che si trattasse di una vera 'rivo lu zione' lo dimostrano non tanto le modifiche comportamentali ed esi-

stenziali coeve quanto, soprattutto, le trasformarmazioni da essa originatesi. Infatti , nella generale lentezza con la quale si prendeva coscienza dei complessi processi evolutivi, l'avvento dell'agricoltura spicca per la straordinaria rapidità di diffusione e di condivis ione. In brevissimo tempo i risultati della rivoluzione agricola investirono e permearono qualsiasi settore della primordiale società. Il modo stesso di rapportarsi alla natura ne fu vistosamente alterato, superando la vigente, e fino ad allora immutabile, passività propria delle altre specie animali. Divenne possibile, e quindi attuata e costantemente perfezionata, una sorta di gestione delle risorse e delle necessità momentanee nell'ambito di una pianificazione sui ritmi stagionali. In poche parole l'uomo finalmente cessava di dipendere per la sua sopravvivenza dalla casualità delle prede e del rinvenimento fortuito di vegetali commestibili.

Le conseguenze, anche sul piano insediativo non si fecero attendere. Indi viduato empiricamente lo stretto rapporto tra fertilità dei suoli ed abbondanza dei raccolti fu subito non so l o ambita l'esclusiva disponibilità delle aree più idonee ma anche, per l'intervallo necessario a goderne i proventi e per la riproposizione dei ciel i colturali, strenuamente interdetta alJ 'altrui sfruttamento. La comprensione e la percezione del benessere, però, ormai differenziava e poneva in antagonismo insediamenti limitrofi con esiti conflittuali progressivamente più violenti.

Cronologicamen te è molto probabile c h e il processo appena schematizzato abbia avuto inizio intorno alla conclusione dell'ultima g la ciazione, allorquando lo spostamento delle perturbazioni atlantiche, e delle relative piogge, provocò un inesorabile e crescente inaridimento di immensi territori Alla sicci tà subentrò la rapida desertificazione: le estreme ed eloquenti testimonianze grafiche sono ben evidenti persino tra le rocce del Sahara<m, con le loro raffiguraz ioni di ecosistemi fluviali. L'inospitalità ambientale rarefece l a fauna che finì per concentrarsi esclusivamente lun go le

INGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIO I IN ITALIA

PREMESSA

rive dei maggiori corsi d'acqua. O vviame nte, pe r le tribù cacc iatrici significò il con tes tu a le spostamento verso i medesimi s iti e, se non proprio il sedentarizzarsi, almeno l a notevole co ntr az ione delle ancestrali escursioni. É c re dibile , però , che le ri sorse disponibili, anche dopo tal e mi graz ione , si dimostrassero scarse pers ino per la modestissima popolazione coinvolta , is tingandola perciò alla ricerca di integrazioni alimentari di versificate ed alternati ve.

Complici l'ormai sosta n z iale sta bilità degli i nsed iamenti, la spo ntanea fertilità dei te rreni alluvionali e, non ul t im o, il ruolo sociale notevolmente meno dinamico della com pon en te fe mminile1381, un più co nsapevole e mirat o utili zzo delle risorse vege t ali s ub entrò allo sfruttamen to accide ntal e. Le principali specie cerealicole, seb be ne in fonna se l va ti ca e minuta , del resto , non difettavano ne ll 'area anatolica ed il loro apporto nutritivo era noto da tempo119 i_ Selezionare le nùgliori, in c rementarne l a resa per qua ntit à e qualità, impiant ar l e ne ll e fertilissime vallate del Tig ri , dell 'E ufr ate e del Nilo (come pure del Gange) non implicò tempi eccessiv i . La s p o nt a nei t à dell'irrigazione e della co ncim azio ne assicurata dai regimi idrici se mplifi cò la proce dura ed amplificò i raccolti, confermando la convenienza d e lla sce lta.

Ques ta secon d a basi lare tappa del processo appena sommariamente ip o ti zzato, dovette a s ua volta svil uppars i intorno al X millennio a. C . e costituì l 'a lba della civiltà. Il definitivo a bb andono del nomadi smo, inconc iliab ile co n la coltura dei terreni, fu alle s p a lle del!' aggregazi one dei villaggi neolitici. Non s i trattava ancora di antesignane città, ma della concomitanza di tutti i loro principali presuppo sti. Parimenti il differenziarsi e moltiplicarsi degli uten s ili agrico li e la loro indifferibile esigenza, pur non coincidendo ancora con l 'avvento di attività spec i a li zzate dedit e esclusivamente a siffatta produ z ion e, ne cost ituì la premess a generativa. Bas ti co ns iderare, al riguardo, il caso d e lla ceramica la cui richi es ta, per la fragilit à, in go mbro e pesa n -

tezza dei manufatti, mai avrebbe potuto scaturire dal1' ambito pastorale•4lii_ Pertanto, nonostante la sua assoluta semp li cità inventiva, fu soltanto nei villaggi stabili che il s uo uso divenne corrente ed insostituibile, orig inand o un preciso artigianato. Ed anche per quel modestiss im o passo bisognò attendere che i raccolti eccedessero gli strett i bisogni dei coltivatori.

A quel punto, però, la stretta interdipendenza istauratasi fra agricoltura ed artigia n ato si trasformò in mercato, ed il conflui re di comp lementari attività produttive e consumistiche in un uni co sito si definì città, nella pienezza della concez ione.

A ll 'arcaico vi ll agg io di capanne si sostituì, gradatamen te, una pletora di abitazioni più solide perchè destinate a durare nel tempo, e più grandi perchè idonee ad ospitare nuclei familiari via via più consistenti, nonchè i beni prodotti, dai campi, dai laboratori o dai commerci. L a multiforme realtà urbana, a quel punto, s i confermò completa: case, laboratori , mercati e ri sorse accumu late. Mancava, forse, soltanto la coscienza di un a comune appartenenza, di un comune destino, e la presenza di una classe dir igente ma in brevissimo volgere anche quelle ultime esigenze furono sodd isfatte.

P arallelam e nte, sembra ce rt o che, per proce sso indipendente, anche in altre regioni del Mediterraneo si avviò un a rudimen tal e agricoltura , con risultati di varia co ns iste n za e remu nerat i v it à in relazione alle s pe cifiche cond iz io ni climatiche e pedologiche. Come pure s i affermò una più va ri ega ta zootec ni a, in dipenden za d e l progressivo ampliars i delle specie addomest icate , in parti co lare degli ovini , dei bovini e dei suini, come l asciano conclude re i tanti riscontr i archeologici rinvenuti nella peniso l a balcanica, risalenti al VII -V I mill e nnio a. C. (4 1i

In ultima a nali si, nell'arco s torico co mpreso tra i l X e d il VIJ mill e nnio a.C., qua s i dovunque in torno al chiuso bacino ed, in particolare, nei te1Titori tra questo e d il Golfo Persico, meglio noti come la 'fe1tile mezza-

luna', la rivoluzione neolitica può reputarsi compiuta. Il che non significò affatto, che lo fosse in modo omogeneo nè in maniera risolutrice: solo in pochissime aree, infatti, l ' agricoltura aveva, definitivamente e pienamente, affrancalo le rispettive popolazioni dall ' atavico incubo della fame. All'esterno di quelle fortunate oasi, si concretizzò un ' economia mista, ovvero agro-pastorale, non bastando nessuna delle due componenti, singolarmente presa, ad assicurare la sopravvivenza. Ed anche in tal modo, che per tanti versi andrebbe considerato dialettico, l ' obiettivo non fu conseguito: l'eliminazione della fame appariva ben lungi dalla portata immediata, e purtroppo lo è ancora! Nonostante ciò gli effetti della rivoluzione neolitica furono straordinari tanto da potersi rapportare , sotto i I profilo demografico , a quelli della recentissima rivoluzione industriale. In entrambi i contesti, infatti , si coglie un vistosissimo incremento numerico delle società coinvolte, innegabile riscontro del migliorato tenore di vita. Stando alle stime degli studiosi, si passò allora dai pochi milioni di individui , dispersi sull ' intero pianeta, a circa un centinaio(42i

Forse, proprio da quei giorni, iniziarono a manifestar si in maniera sempre più tangibile e stridente le insorn,ontabili sperequazioni di risorse e di benessere.

Scendendo in dettaglio, fermo restando il periodo d'indagine, il già esposto concetto di 'benessere' andrebbe ulteriormente precisato, ravvisandosi nello stesso anche una componente proiettiva. In altri termini, al di là dell'abbondanza contingente, esso sottintende , necessariamente, una disponibilità futura garantita dall'accumulo di eccedenze , simile ad una sorta di assicurazione sulla sopravvivenza. l n tale direzione si organizzò la nascente economia agricola, consentendo, nei casi più elementari , di superare le stagioni improduttive fino ad un nuovo raccolto, senza eccessivi sacrifici. Nei casi più complessi , con una oculata amministrazione, fu presto in grado di fronteggiare le

ricorrenti carestie, come, in epoca più recente, testimonia il celebre racconto biblico delle vacche grasse Il tenore di vita ne uscì stabilizzato e disciplinato con l'implicita conferma dell'esistenza di un'autorità politica capace di imporre l'adozione ed il rispetto delle norme. Evidenti appaiono anche i presupposti di tale regolamentazione ; il possesso di conoscenze super iori e l ' accentramento della proprietà. É, del resto, un passaggio obbligato, esulando dalle facoltà del singolo persino la semplice realizzazione di un canale irriguo o di un argine antialluvionale <43 ) _ La trasformazione delle diverse compagini umane in altrettante società chiuse e guidate da precise leggi deve collocarsi in quest'ambito storico ed in questo contesto economico. Maggior benessere e maggiore sicurezza, quindi, ma minor autonomia decisionale. Il costituirsi di un patrimonio pubblico, sia pur meramente alimentare in vista di una s uccessiva ridistribuzione in funzione dei diversi ruoli , è alla base dello Stato propriamente detto. I depositi granari divennero allora l'equivalente del nostri ministeri del tesoro, delle finanze, della difesa , della previdenza sociale, e non ultimo delle risorse energetiche , attivati e giustificati, però, da quell'unica risorsa. La sua abbondanza generava compo1tamenti difensivi, la sua penuria scatenava comportamenti aggressivi, pulsioni , peraltro, mai più dismesse (44 l _

Del resto, allora come ora, i timori non erano affatto infondati: il benessere riusciva vistosamente percebi le non solo dai diretti detentori ma, e soprattutto, dai loro meno fortunati vicini. L'aspirazione alla sua condivisione, o al suo accaparramento, si conferma contestuale al suo svilupparsi ed estendersi, quasi un simmetrico negativo.

Osservazioni polemologiche

Pertanto , mentre nei paesi deJla fertile mezzaluna ai seguito dell'agricoltura progrediva tutta la tecnologia ad essa connessa e da essa supportata, nei restanti inse-

di amenti l'evoluzione ristagnava. Si potrebbe perciò immaginare l'intero bacino frammentato tra popolazion i a d i verso livello di svi lup po economico e culturale, di cui le oriental i detentrici del primato resteranno, almeno fino alla conq u ista di Alessandro M agno, le precorritrici de ll a civiltà. Di sgraz i atamente, però, tale bipartizione di massima non significa affatto che anche a livello purame nte regionale, se no n addi r ittura contiguo, non esistessero p rofo nd e disomogene ità.

B astava, in fa tti , a ll o nt anarsi di pochi c hil ometri dal bacino idro grafico dei gra ndi fiumi e dalle loro fert ili contrade per piombare nei poverissimi e miserabili scenari deJJ' indigenza ancestrale e della stentata econo mi a di pura sopravvive nza, assolutamente inadatta a qual s ias i sv ilupp o . Il commercio, appena ricordato, lungi dal compensare le asimmetrie, accentuò invece i contrasti, accelerando i l progresso laddove già fiorente , ed inceppandolo gravemente dove appena avviato.

Pl ausibile, pertanto, il cronicizzarsi di una belligeranza stag ionale, di tipo incursivo , perfettamente e mblematizzata dalla perdurante intolleranza fra popolaz ioni nom adi e sedentarie, ovvero fra pasto ri ed agricoltori.

La conflitt ualit à non era per l' epoca in esame una novità , in assoluto, anc he se appare eccessivo r iguardarla alla s tr eg ua di guen-a propriam e nte detta, mancandole le motivazio ni ideologiche o politiche, e soprattutto le risorse materiali indi s pe n sabili per una conduzione che s i prolungasse, sia pure per po che settiman e . Anche nei casi di razzie finalizzate all'appropriazione , par zia le o tot ale, d e l bes tiame o delle de1Tate, la durata del l'operazione no n poteva eccedere i pochi giorni, provvedendo l a quo tidiana es i ge n za a limentare a smorzare gli a rdori. Col tempo , però , le aggressioni no n si limitarono più alle ri sorse ma ambirono al po ssess o della loro stessa origine , ovvero ai fertili terreni con le relative popolazioni da adibire coattamente a lla co lti vazione, o da sfrutt are con pesa nti con tributi periodici. La situazio ne ac qui siva

così inedite potenzialità negative.

Parad ossalmente la rivoluzione neolitica, che con l 'avvento dell 'agrico ltur a aveva affrancato l'uomo dall'indigenza e da ll a fame, rendondolo per la prima volta padrone del suo domani mediante la disponibilità di riserve alimentari, proprio per l a stessa ragione g li rendeva nuovamente e, forse più ferocemente, precaria la sop ravvivenza! L'insicurezza nasceva, questa volta, non dalla penuria delle prede ma dalla violenza dei predoni e dalla loro esasperata avid it à . Agricoltura e pasto rizia , se dentarismo e nomadi smo, progresso e stas i, s ocietà aperta e tribale, tolleranza ed aggressività divennero perciò le configurazioni a ntitetiche del contendere l a cui posta in g io co era pur sempre il benessere. Contemporaneamente all'evolversi della produttività pacifica, prese a sviluppars i, ed a prosperare per la crescente remuneratività, il parassitismo bellico, incentivato dal miraggio della conquista delle risorse primarie, nonchè delle vite stesse dei vinti, trasfo rm ati in docili animali da lavoro. Allo spettro della fame iniziò ad affiancarsi quello della schiavitù.

Il fenomeno, che certamente non è peculiare del solo bacino de l Mediterraneo, ebbe però in esso una cruen ta e rapidi ssima evoluzione, tanto che, dopo una serie di profonde e comp lesse trasformazioni, già int o rn o al IV e III millennio a. C. assunse i precisi conno ta t i delle guen-e egemoniche che porteranno alla fonnazione dei grandi impe ri protostoric i. La causa agevolante fu, ancora una volta, il mare interno , vantaggiosiss im o per g l i sca mbi ma altrettanto propizio pe r le operaz ioni militari , strada maestra per l e in c ur sio ni , le razzie e le inva sio ni , utili zzo che da allora non ha più di smesso.

Le compo ne nti costruttive e d istruttive della civiltà p resero così ad evolversi paralle lamente , le une affina ndo le tecniche produttive e difensive , le altre quelle aggressive e di conquista. D alle prim e si svilupperanno in rapida sequenza le fortificazioni , dalle seconde g li eserciti: in brev e en tra mbe le estrinsecazioni

PREMESSA

confluiranno in ava nzate soc i età che riusciranno, utilizando accortamente entrambe, a dominare il mondo dell'epoca per periodi spesso notevolmente lunghi , come accennato, sa lvando ed affinando i livelli culturali attinti. Ma il termine 'salvare' ebbe in tale con testo socio-economico una valenza antitetica a ll'attual e: 'servare', infatt i, in latino oste nta la medesima e timologia di 'serbare', da cu i co nservare, ed anche risparmiare, ma da cu i in particolare 'servus', ovvero sc hiavo, la docile macchina capace di parlare, ottenuta come sot toprod otto della conflitt ualit à. I vinti sottratti a llo ste rminio , appunto 'servati', c io è conservati, in crementavano gli utili dei vinc it ori e con il loro sfruttamento assicuravano il mantenimento dei li veli i di benessere raggiunti, al di là di qualsiasi istanza e ti ca.

Ovvio, pertanto, che la difesa in genere e la fortificazione in pru1ic0Iare assurgessero ad una impo1tanza prioritaria, rappresentando, in estrema sintesi, il confine non più tra benessere ed indi genza, ma tra lib ertà e sch ia v itù , piena sottraz ione di ogni risorsa, anc he morale. Quantità progressivamente crescenti di ricchezze finiron o, così, sacrifi cate all'esigenza di mantenere la disponibilità piena delle restant i, ed il processo appena sc hemat izzato ancora ogg i non è affatto co nclu so. Nella soc ie tà occidentale avanzata la s pesa militare s i co lloca intorno ad un 10% dei bilanci naz ionali , ma raggiunge, nei regimi tota litari e meno progrediti, punte superio ri al 70%.

Antecedentemente allo sviluppo delle concezioni di difesa imperniate su s trutture s tatiche , variamente e l aborate ed articolate, da opporre alle scon-e rie dei predoni, si era diffusa una in genua re li giosi tà animistica tendente ad interpretare trascendentalmente qualsiasi fenomeno n at ural e ed, in part ico l are, la fertilità della terra ed i suo i cicl i produttivi, come sembra traspar ire da molti c ulti mcditen-anei. Adorare l'occu lto

per assicurarsi pingui raccolti divenne una de ll e basilari pratiche coadiuva nti i I na sce nte benessere. Tentare, con un se mpre più s tretto rapporto con la divinità di carpirne i favor i e la benevolenza fu, per vari aspetti, l' a ltra faccia della difesa. Al di là degli aspetti puramente spec ulativi c h e si intravedono in tale interdipendenza è certo, archeo log i camente parlando, che da ll a funzione unificatrice e dall'ordinamento socia l e imposti dalle prime religioni derivarono l ' in staurars i e lo svi lupparsi di soc ietà complesse, le sole ca pa c i, cultura lmente e tecno l og icame nte, di edi fi care oltre a colossali st rutture votive a ltrettanto grandiose fortificazioni. In ogni caso, comunque, il tempio precede di poch iss imo la ce rchia, essendone l a premessa attua tiva. É emb lemat ico che una identica percezione della fertilità mancasse nelle popolazioni nomadi c he , pertanto, non sent iron o affatto l a necessità di er igere edifici sacri, nè tantomeno for t ificazioni, per cui quasi niente ci è pervenuto del loro passato, comunque scars issi mamente di ssimile dal loro presente, invarianza sinonimo di inevolu zio ne.

Mentre per le sche matizza zio ni precedenti ab biam o dovuto necessru"iamente rifarci a ll a sola lo gica, coerente per quanto possibile e plausibile pe r quanto coerente, per l'identificazione delle antesignane opere difensive possiamo ricoITere all'archeologia c he ci fornisce ragguagli indiscutibil i. Dai remot issimi rude1i, riaffiorati in recenti campagne di scavo, s i ev in ce che tra la sco perta de i primi cereali coltivabi li e l'edificazione delle prime fortificazion i (a lm eno quelle fino al momento note anche se è c redib il e sup porre c he l'es te nd e rsi delle ricerche porti a retroda ta rn e ulteriormente l 'avvento) intercorse appe na un migliaio di ann i, int ervalJo asso lu tamente irri sorio se co nfront ato a ll e centina i a di migliaia propedeutiche di quell ' in certissimo pas so evol utivo.

I NGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZION I IN ITALIA

NOTE PREMESSA

1 Precisa S. MOSCATI, Antichi imperi d'Oriente, Roma 1978. p. 22: "Circa settemila anni prima di Cristo compaiono nel vicino Oriente i villaggi e le città per il momento, il più antico villaggio può consiederarsi Giarmo. in Mesopotamia, e la più antica città Gerico, in Palestina. Nell"uno e nell'altro caso la datazione è notevolmente solida... li villaggio di Giarmo presenta case con s tanze di fango pressato fdella sua] vita religiosa documentano le rozze figurine d'argilla, tra cui prevale un tipo femminile seduto con accentuati segni di gravidanza: è la dea madre , simbo lo della fecondità della 1erra., il cui culto si diffonderà progressivamente in tutto l'Oriente anteriore. A Gerico le case sono costruite con mattoni ma quel che più interessa è la torre monumentale, costruita con gros

si blocchi di pietra, che ra di questa la più antica città fortificata . .. per ora del mondo. Alcuni crani rivestiti di gesso e modellati con fattezze umane testimoniano comp lesse credenze magico religiose, mentre un piccolo santuario con abside. altare e co lonn a indica un culto già sedentariamente organizzato.''.

2 Cfr. l. HOGG, Storia delle.fortifìcozioni, presentazione e traduzione di F. Conti, Novara 1982, pp. 6 -7.

' B. R UDOFSKY, Le meravif?lie dell'architettura spontanea, Bari 1979. a p . 200, ricorda a commento dell'illustrazione n° 169. che: ''la più antica fortificazione umana non differiva molto dai bastioni di neve che g li a lci si costruiscono come difesa contro l'attacco dei lupi ''.

• Tn merito cfr- Y. MELEGARl, / grandi assedi, Milano 1972. pp. I00-103.

' Afferma E. N. L UTTWA K, Strategia. Le logiche della guerra e della pace nel confronto tra le f?IW1di potenze. Milano 1989 , p. 23, che:" la strategia non implica semplicemente questa o quella proposta paradossale, contradd itt oria eppure riconosciuta valida, ma piuttosto che l'intero regno della strategia è pervaso da una logica paradossale tutta sua. in contrasto con la logica lineare ordinaria, in base alla quale viviamo in tutte le altre sfere della nostra esistenza ...".

6 Al riguardo precisa E. N. L UTTWA K, La grande strwegia dell'impero romano dal I al lii secolo d C., Milano 1981. pp. 91-92: "I Romani non sono in genere considerati un popolo irrazionale o codardo, tuttavia le opere stabili di difesa da essi costruite sono s tate spesso considerate, s ia inutili, sia corruttrici L'e rrore più comune in cui cadcrno queste analisi consiste nella tendenza a valutare i sistemi difensivi in termini assoluti invece andrebbero valutati in termini relativi, e il costo dei mezzi impiegat i andrebbe confrontato con i suoi effetti mi litari. Inoltre, il valore di un sistema difensivo va s timato in base al tipo di pericolo a cui deve opporsi ... ··.

1 Cfr. Z. C!UFFOLETTJ, Esercito. scienza e società. in Esercito e scienz.o. Modena 1991, pp. 25-35 .

s Cfr. A. MO NDIN I, Storia della tecnico. Dalla preistoria all'anno mille, Torino l 973. voi. L pp. 306-309. Cfr. C. MONTÙ, Storia dell ' artiglieria italiana, Roma 1924, voi. T., pp. 83 - 185.

9 Cfr. E. BRAVE1TA, L'artiglieria e le sue meraviglie, Milano 1919, pp. 359-371;cfr. U. FORTI, Storia della tecnica, F irenze 1957. pp. 391-410.

1° Cfr. A. MONDINJ, Storia della tecnica. L'epoca con1e111poranea. Torino 19 80. voi. IV. pp. 31-40:cfr. R. J. FORBES L'uomo.fa il mondo. Una s roria della recnica: dall 'asc ia al reattore, Torino 1960. pp 287-292.

" Cfr. R. F!ESCHJ, Dalla pietra al laser, Roma 1981, pp. 124- 137: cfr P. A. GJUSTINl. // computer: s roria , sviluppi e prospettive, in. Esercito e Scienza, Modena 1991, pp. 183 - 190.

11 Cfr. C. VA N DEN HEUVEL, // problema della cittadella: Anversa, in La città e le mura, a cura cli C. De Seta e J. Le Goff, Bari 1989 , pp. 166 - 180. Così del resto affermava uno dei massimi progettisti di ci tt ade ll e. Carlo dc Grunemberg. in merito all'erigenda di Me ss ina: " La citradella prospettata trova quali sue iiust(ficazioni le seguenti: tenere ininterrottamente sotto controllo difensivo l'accesso alla Città ed al contempo dominare il suo porto nonchè essere in grado di presidiar/a, in periodi privi di minaccia nemica, con pochissimi uomini, evitando qualsiasi scambio o contatto per qualsiasi motivo Ira i soldati ed i cittadini, servendo pertanto in definitiva anche da.freno .. .'', Archivio Genera le di Simancas, Fondo Estado 3527- 135, apri le 1680.

13 Per una sintes i dell'evoluzione dell'artiglieria alla vigi lia del '500 cfr F. R usso. La mura zio11e aragonese di Napoli: il limite di un 'era, in A. S. P. N .. n. CIII. Napoli 1985. Ed ancora cfr. F. Russo, Fortifica z ioni e artiglierie aragonesi, in Atti convegno na zionale di studi Pietrame/ara 14-15 g iugno 1996, Roma 1996, pp. 54-65.

14 In merito cfr. M. MAURO, Rocche e l>omharde fra Marche e Romag11e nel XV secolo, Rave nna 1995, pp. 13- 33. Ed ancora M. MAURO, Antiche artiglierie nella Marche secc. X/V-XVIII, Ravenna 1990, pp. 5-13

' 5 Precisa G. BournouL. Trattato di sociologia. Le guerre. elemen ti di polemologia, Mi lano 1961, pp. 12- 13: " D'altra parte. la guerra è anche il fattore principa le di quell'imitazione collelliva che ha una parte così gra nde nelle tra sformaz ioni sociali. Imjtazione forzata da prin cipio, perchè la tendenza tradizionale de lla maggior parte delle nazion i e degli Stati ... è il ripiegamento su se stessi ... e inv ece la g uerra finisce, prima o po i, con l'obbligare anche gl i Stati più appartati e più chius i ad aprirsi Dopo l'im itazione forzata, l'i -

PREME=S=S~A~--------
-

INGEGNO E PA URA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA

mitazione volontaria: perchè i popoli anche quelli più misoneisti, diventano appassionati imitatori quando si tratta di possedere anche essi armi o metodi di combattimento che hanno dato la vittoria ai loro nemici La guerra arriva ad imitare persino le divise militare: si può giudicare chi sia stato il vero vincitore di una guen·a dalla copia delle sue uniformi, fatta qualche anno dopo i l conflitto dagli altri paesi L'im itazione è evidente, nella maggior parte dei popoli, anche in ciò che riguarda la tecnica delle guerre tutte le nazioni si spossano economicamente per non restare indietro ne ll a corsa delle tecniche dei mezzi di distruzione e l'una copia l'altra senza pudore. Su questo punto , l'emulazione è completa anche a dispetto del più inaspr ito spirito nazionale ".

16 Cfr. K. VoN CLAUSEWtTZ, Della guerra, Trento 1982, p. 19. Ed anche cfr. R A. PRESTON, S. F. WrsE, Storia sociale della guerra, Verona 1973, p. l I.

" Cfr. L. R1zz1, Clausewitz l'arte militare e l 'età nucleare, Milano 1987, pp. 206 -218.

8 Cfr. A. Do NNARI, Il carro armato. Storia, dottrina. impiego, R oma 1995, p . 13.

19 Cfr. B. MO NTGO MERY , Storia delle guerre, Milano 1970, pp. 597- 605.

20 Ricorda J. MELLAART, Dove nacque la civiltà. Dai primi villa1:gi ai grandi imperi nell'antica Turchia tra Oriente e Occidente, Roma 1975, pp. 44: "Il primo insediamento di Troia (Troia I ) era un modesto villaggio de l diametro di circa 100 metri , che sembra sia stato fondato durante I' AB (3400-2700 a. C. ). Ma un recente riesame suggerisce che la città di Troia fosse circondata da un massicc io muro di pietra , con ingress i fiancheggiati da torri, non prima del 3250 circa ... ".

2 Già nelle guerre sannite si può spesso osservare l'in terruzione invernale delle campagne militari e degli assedi. Ricordava Livio, ad esempio, che, nei pressi di Boiano. quando: " la neve aveva ormai tutto ricoperto e non era possibile soppo r tare i rigori del freddo in un accampamento il console condusse via dal Sannio l 'esercito ", in Storia di Roma, lib. IX, p. 309. trad. a cura di C. Vitali. Bologna 1973.

22 Cfr. F. Russo , Festung Europa. 6 giugno 1944, Roma 1994, pp. 24 -27.

n Cfr. A. MAR CHEGGIANO, Diritto Umanilario e sua introduzio ne nella regolamen1az ione del!' Esercilo italiano, Roma 1990 , voi. 1, pp. 19-35.

2 • Circa le fo1tificazioni arcaiche della Mesopotam ia cfr. R. WHITEHOUSE , Le prime città. Come nacque la vita urbana lungo i flumi dell'antico Orien1e, Roma 198 1, pp. 31 - 51.

25 Sulle caratteristiche del 'fronte bastionato ' cfr. A. C. RAMELLI, Dalle caverne ai rifugi blindati, Milano 1961, pp. 349- 378.

2 ' L'acc umulo di risorse risulta particolarmente attuato da a lcuni insetti, cosiddetti 'sociali' perchè formanti grandi comunità, che emb lematicamente sono g li s te ss i che praticano la guerra propriamente detta nel mondo animale. Ricorda G. BO UTHO UL, le guerre , cit., p. 237: " I soli anima l i che conoscono la guerra come l a fanno g li uomini sono le termiti e soprattutto le formiche. Ma sono anche g l i unici animal i che sono proprietari, che po ss iedono abbondanti riserve e beni , l ' impossessarsi dei quali è per altri animali cosa utile .. . Si hanno [ancheJ grand i guerre di ... api ... però sono rar issime, per ragioni che ci sfuggono, forse perchè le api sono terr ibi lmente armate ". I n ogni caso anche queste ultime dispongono di cospicue riserve apprezzate da moltissimi altri animali, non ultimi gli uomini!

27 Cfr. V. G. CHILDE, li progresso nel mondo antico, Milano l 975, pp. 71-90.

28 Cfr. M. T. FINLEY (a cura di) , La schiavitù nel mondo antico, Bari 1990, pp. 3 -25.

29 Cfr. D. YERG IN, li Premio. L 'ep ica corsa al petrolio al polere e al denaro, Firenze I 991, pp. 2 -5.

30 Cfr. F. BRAUDEL, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo Il , Torino 1976, vo i. I , pp. 102-130. Cfr. H. A. L FISHER, Storia d 'Europa, To1ino 1964, pp. 39-46. Cfr. P. SILVA.1/ Mediterraneo. 1927, pp. 13 -1 9. Cfr. G. DE'LUlGI, Il Mediterraneo nella politica europea, Napo l i 1926, pp. I - LO.

" Cfr. V. G. CHJLDE, L 'a lba della civiltà europee, Torino 1972, pp. 4 t-56.

12 Cfr. H. WEBER, Turchia, Firenze 1988, pp. 19-29.

'' Cfr. A. MO ND IN I, Storia della tecnica. Dalla preis/oria , c it. , pp. 154- 173 Cfr. J. MORDAL, Venticinque secoli di guerra sul mare , Torino 1973, pp. 1 1-1 2; cfr. A. FLAM IGN J, li polere marittimo in Roma antica, Roma 1995, pp. 1 1- 19

.14 Così ironicamente descrive quella regione A. SALVADOR J, le prime vittime del petrolio, Roma 1999 , supp lem. Riv Marittima, marzo 1999, pp. 25-28: "Per quanto r iguarda clima. paese ed abitanti, la Mesopotamia meridionale, dove il T igri e l'Eufrate fl ui sco no dapprima separatamente poi uniti nel lo Shatt-e l- Arab verso il Golfo Persico. era nella realtà assai meno attraente di quanto quel famoso corno della «mezzaluna fert il e» possa apparire da i libri di storia antica. Se quella era stata, come vuole la tradizione, la sede del Giardino dell'Eden qualcosa l'aveva radicalmente mu tata il clima era infa m e. Nella stagione calda non cadeva una goccia d 'acqua, in compenso verso apri le-maggio lo scioglime n to de ll e nevi su ll e lo n tane montagne d'A na t olia faceva s tra r ipare i due grand i fiumi che inondavano per mesi !"intera p ia n ura. Non eran o le be nevo le piene del Nilo c he re ndevan o ferti le l'Egi tto. Non solo aveva no luogo

PREMESSA

dopo il momento della semina ed esigevano quindi dighe ed argini per proteggere i campi già seminati e canali per irrigarli, ma sotto il sole estivo depositavano per evaporazione massicce dosi di sali che avvelenavano il ten-eno. D'estade il caldo era torrido, fino a 50° C all'ombra, e impediva il sonno dopo le 4 del mattino, anche se in gradito compenso induceva un certo temporaneo languore nella miriade di insetti voraci. Verso la fine di settembre la piena recedeva, ma continuava a essere ancora molto caldo e le frequenti tempeste di vento sollevavano accecanti nubi di sabbia. In autunno la temperatutra cadeva di noue fino a 10° C, e infine. nel gelido inverno, improvvisi nubrifagi trasformavano il deserto in un colloso mare di fango Le piene annuali variavano imprevedibilmente in intensità e livello, mediamente di 8 metri per il Tigri e di 5 per l'Eufrate. ben oltre quello della pianura circostante. Le piene normali erano una cosa molto seria, quelle «straordinarie» una catastrofe biblica. un dilivio universale, che spazzava via per sempre intere città e villaggi. I laghi erano numerosi e di dimensioni che variavano con la stagione e con l'anno ed anche il corso dei fiumi aveva una perversa tendenza a cambiare. Negli ultimi I. 000 anni il Tigri lo aveva fatto due volte in maniera addirittura drammatica ... I due grandi fiumi rappresentavano l'unica sorgente di acqua «potabile» della regione. Un'acqua così carica di germi più o meno maligni e di spiacevoli sali da non accordarsi facilmente con l'organismo ... Come in un paese simile si fossero potute succedere tante grandi civiltà ... non è facile comprendere ".

i~ Cfr. V. G. CH tL DE, Il progresso del mondo antico, Torino 1975, pp. 47 -69.

,I{, Cfr. W. KELLER, La Bibbia aveva ragione, Milano 1977, voi. I, pp. 5-22. Per quanto delineato in precedenza è probabile che quella fu soltanto la più grande e devastante delle tante non mo lto dissimili

.17 Cfr. D. H. TRUMP, La preistoria del Mediterraneo, Venezia 1983, pp. 9-23.

:is Così al riguardo V. G. C111LDE, li progresso , cit.. p. 47: " i rivoluzionari [neoliticil non furono i selvaggi più progrediti dell'Età della pietra antica ... ma gruppi piì:1 umili che avevano creato più a sud culture meno specializzate e meno brillanti. Fra di loro, mentre gli uomini cacciavano, le donne-dobbiamo supporre - avevano raccolto. con altri commestibili, i semi di erbe selvatiche, capostipiti del nostro grano e del nostro orzo. [I passo decisivo fu quello di seminare apposta tali semi in terreno adatto e lavorare questa terra con l a sarchiatura e altri accorgimenti Questo fu il p1imo passo della rivoluzione neolitica ".

39 Precisa B . GJLLE, Storia delle tecniche, Roma 1985, p. 103: "L'agricoltura compare alla fine del Mesolitico... I semi trovati in in sediamenti possono provenire, almeno agli inizi, tanto da piante selvatiche che da piante coltivate Un fatto evidente è che, nelle regioni dove sembra comparire per la prima volta, l'agricoltura è sempre legata all'allevamento, segno chiaro dell'esistenza di un sistema tecnico Le piante dai semi commestibi li si sono particolarmente sviluppate in tutta la fascia tenperata, soprattutto nella sua zona meridionale, r Africa a nord del tropico. il Medio Oriente, l'Asia centrale. Citiamo ancora Leroi Gourhan: « ...Tra queste piante occupano un posto importante le graminacee propriamente dette, che malgrado la piccolezza dei loro semi rappresentano un a lim ento di alto valore nutritivo e di prolungata conservazione. Si sa da non molto che le regioni del Vicino Oriente, in partico lare il nord dell'Iraq, hanno avuto, a partire almeno dalla metà dell'ultimo periodo glaciale. graminacee a seme grosso, antenate dei cereali attuali. Le condizioni fondamentali del progressivo sfruttamento agricolo de l grano selvatico si trovano di conseguenza realizzate nelle stesse regioni in cui l'allevamento della capra si è manifestato per primo ... »".

• 0 É comunque significativo che i prim i manufatti di ten-acotta conservassero una inconfondibile testimonianza dei contenitori dei nomadi. Ricorda. infatti. R. J. FORBES. L'uomo fa il mondo. Torino 1970, p. 35: "Non sappiamo esattamente come nacque quell'arte, ma gl i esemp lari pi ù remoti hanno la forma di borse di tela, di vasi di cuoio, di recipienti ricavati dalle zucche. Sembra che quegli oggetti originali siano stati ricoperti di uno strato di argilla per renderli impermeabili. Questo procedimento, tra l'altro, permetteva di riscaldare il contenuto dei recipienti ... Quando furono usati per cucinare, questi recipienti ricoperti d i argilla dovettero essere cotti su l fuoco; cert i antichi frammenti di vasi mostrano ancora le tracce degli oggetti originali a cui fu applicata l'argilla. L'osservazione e la ripetizione della esper ienza deve aver condotto alla scoperta dell'arte della ceramica .''.

4 1 Cfr. J. G. D. CLARK, Europa preistorica. Gli aspetti della vita materiale, Torino 1969, pp. 142- I 7 I.

• 2 W. SANDERMANN, Il primo ferro cadde dal cielo, Bologna 1978, pp. 11 -12. ricorda al riguardo che: " secondo il calcolo di Deevey, la popolazione mondiale, dal 300. 000 aJJ'8. 000 a. C., cresce da un milione a cinque milioni e mezzo, mentre. dopo l'inizio della rivoluzione neolitica che si conclude intorno a l 4. 000 a. C. -improvvisamente salta a otlantasei milioni e mezzo! Secondo altri calco li , il confine del milione deve essere stato raggiunto tra 12. 000 e 15. 000 anni a. C per sa l ire di co l po a duecentocinquanta milioni quando avviene il passaggio all'agricoltura. Di sicuro sappiamo che la co ltivazione di sole sette piante -su una varietà di quattromila piante se lvatiche - rese possibile la prima esplosione demografica ... ".

' ' Precisa R. WHJTEHOUSE, Le prime città. Come nacque la civiltà lungo i fiumi dell'antico Oriente, Roma 1981, pp. 62-63: "Solo la produzione di grandi quantità di cerea li era in grado di sostenere una popolazione urbana e solo mediante l'irrigazione si potevano ottenere ta li raccolti. L'irrigazione dunque era [in Mesopotamia] una funzione fondamentale e, diversamente dalla situazione egizia-

na. non si trattava di un problema semplice, come il lasciar andar liberamente sul te1Teno le acque alluvionali. 1 fiumi mesopotamici provocavano inondazioni in marzo e in aprile al contrario, durante restate la fornitura d'acqua è scarsa. E" necessario conservare l 'acqua in primavera per lasciarla andare d'estate. In effetti gran parte dell'acqua per irrigaLionc derivava non da acque alluvionali immagazzinate ma da l corso normale dei fiumi. in tutte le stagioni dell'anno. 1 fiumi sco1Tevano a un livello superiore a quello dei campi c ircos tanti , in conseguenza del costante deposito di detriti e ciò facilitava il trasporto dell'acqua su lunghe distanze Tuttavia il lavoro connesso alla costruzione dei cana li era immenso ed ess i richiedevano una manutenzione costante: le banchine dovevano essere riparare e rinforzate annualmente i cana li dovevano essere drenati dai detriti. Originariamente compito del tempio, a l meno dal 2500 a.e. la costruzione dei cana li maggiori divenne responsabilità del re e le iscrizioni c hi ariscono che questi lavori erano importanti per il prestigio reale quanto le vittorie militari o la costruzione dei templi ... "

..., Cfr. G. B oUTHOUL, Trattato .... c it ., pp. 145 - 148.

CAPITOLO PRIMO

G li A rchet i p i

Le prime fortificazioni

Equiparando ad un solo anno !' .intera vicenda evolutiva um ana, s uggestiva riduzione cronologica in sca la, mentre il primo rudimentalissimo utensile sarebbe apparso il l gennaio, so lt anto una decina di mesi d opo, per l'esattezza intorno alla metà di ottob re, lo sfavillio di un rogo , volontariamente e consapevolme nte acceso, rischiarava le tenebre. Il 22 dicembre si celebravano g li antes ignani riti funerari , ed il 28 ignoti artisti si c im entavano in ingenue rappresentazion i g rafi che. Nel pomeriggio del 30, affermatasi l 'ag ricoltura , dilaga l a conseguen te ri vo lu zione neolitica ed, appena , tre quarti d ' ora prima della mezzanotte de l 31, tra cadenzati sbuffi, la macchina a vapore si mette in moto: nel giro dì circa quaranta minuti il s uo sfe JTag li a.re sì perderà nel terribile fragore del l 'es plosione nucl eare111 • L a no stra r icerca prende le mosse, quindi, verso il tramonto dell'antivigilia d i Capodanno!

A breve distanza dall'odierna Gerico , nell' omonima oasi della Valle del Gi o rdano , piccolo paese di appena 7.000 abitanti, s i inn alza la co llin a di Te ll -es-Sulta n. Per la s ua innaturale config ur az ion e essa attrasse ine s istib ilmente l' a ttenzio ne degli archeologi s in dai primi anni del nostro seco lo, is ti gandone quasi l'in terve nto. D a allora, e pe r quasi cinquant 'a nni , in un alternarsi di fasi esaltan ti e delud e nti , i picconi degli scavatori dissezionarono l'altura, provoc a ndo , col riafforare de i primi ruderi , un es pl od e re di congetture e di di a trib e sull a loro presunta datazione. Pesava su lla questione la vice nd a biblica, e l a s peranza di veder materializzarsi dall'oblio dei millenni quelle miti c he mura , miracolosamente atterrate, co .invol geva tutti g li s tudi osi, indu cen d o li spesso a

2 Area biblica

grossolani errori di datazione e di interpretazione. Una cerchia perimetrale notevolmente massiccia in realtà era stata messa in luce, ma alcune peculiarità ben evidenti mal si adattavano alla troppo scontata datazione. E quel che rendeva la questione ulteriormente enigmatica era la non unicità di tale rinvenimento: al di sotto delle sue fondamenta se ne intravedevano di più antiche, a loro volta insistenti su ruderi immemorabili. Il fenomeno, di per sè non era affatto eccezionale, verificandosi allorquando: " ... le comunità furono costrette a vivere nel medesimo luogo per molte generazioni successive. I gruppi di capanne di canne o fango decadevano col passar del tempo, ma nuove costruzioni venivano edificate su quelle rovine " <21 •

Sotto diversi aspetti l'evoluzione cronologica di alcuni stanziamenti umani, ubicati in località di rilevante rendimento agricolo, od anche strategicamente significative ai fini del controllo dei traffici e dei commerci limitrofi, può essere paragonata alla formazione delle rocce sedimentarie. Strato dopo strato, i detriti si sovrappongono, diversificandosi, ad un certo punto, in seguito ad un evento più stravolgente, che ne consente la differenziazione rispetto ai successivi accumuli. Reiterandosi l'intero processo, con il trascorrere delle ere geologiche si origina una sorta di colossale libro le cui singole pagine, perfettamente riconoscibili, altro non sono che i tanti strati sovrapposti, dei quali i superiori sono abitualmente anche i più recenti.

Non diversamente sull'ancestrale accampamento paleolitico si i nsediò il villaggio neolitico, i cui ruderi a loro volta fecero da supporto per la cittadina protostorica, poi a quella p reistorica e storica, in un lento e costante crescendo altimetrico e volumetrico. Pertanto lo spostamento di tali centri abitati avviene esclusivamente nella direzione verticale, ricavando peraltro dalla maggiore elevazione una maggiore protezione difensiva. Le fasi cli avvicendamento sono generalmente sancite da altrettante distruzioni, naturali o belliche, e da abbandoni temporanei; le riedificazioni dal

reinsediarsi della medesima etnia sopravvissuta o, meno frequentemente , dallo stanziarsi di nuovi conquistatori. In ogni caso come gli strati sedimentari così anche quelli urbanistici sottintendono mutazioni traumatiche. In un particolare momento del millenario processo, cioè, un evento più devastante e sconvolgente dei precedenti , o una non più sopportabile mutazione climatica, decreta la conclusione della vicenda e l'abbandono definitivo del l'abitato, che in breve si trasforma in un incerto cumulo di rovine. La scomparsa sotto coltri di detriti o di sabbia è abbastanza celere, precedendo persino la perdita della memoria storica: tutto viene così sigillato e conservato in un involucro affatto dissimile dalle tante analoghe alture circostanti. Forse solo il dettaglio della sommità smussata tradisce la innaturale orogenes i: l'occhio esperto del nomade , infatti, da sempre ha saputo riconoscere conscio perfettamente della causa generatrice: il termine teli con cui le designa significa appunto ' mucchio di macerie ' .

Avviatasi la dissezione di Tell -es -Sultan, centimetro dopo centimetro, si scendeva, secolo dopo secolo, verso la misteriosa remotissima origine. Sempre, però, ci si trovava in presenza di un centro abitato massicciamente fortificato. Si attraversarono così, negli anni ' 30, ben tre cittadine sovrapposte, a cui si attribuì una datazione spaziante dal neolitico aJl'età d'Israele. La Gerico biblica oramai risultava cronologicamente abbondantemente superata, ma la vicenda non era ancora esaurita. A partire dal 1952 altre campagne di scavo vennero intraprese, sotto la guida del!' archeologa inglese Kenion, ed un'altra cittadina fu allora raggiunta. Si stimò neolitica e preceramica, costituita da case rettangolari addossate fra loro , e la si datò risalente intorno al VI millennio a. C.. Ancora una volta, però, guadagnate le fondazioni ci si accorse di ulteriori preesistenze. Ed infatti, approfondendo gli scavi, riemerse un ' altra cittadina con case a contorni curvilinei decisamente , e di gran lunga, più arcaica e grezza delle sovrastante. Non diversamente dalle precedenti, mura

I N GEGNO E PAURA TR ENTA S ECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA

3 Ruderi delle mura di Gerico perimetrali di ben 7 m di altezza, con spessori oscillanti tra i 2, 5 e i 3 m, la serravano. Ad esse antistava un notevole fossato, in diverse sezioni tagliato addirittura neJJa roccia, largo mediamente 5 m e profondo 3. Il complesso racchiuso dalla fortificazione spaziava su di una superficie di oltre 4 ettari e disponeva , quale ulteriore elemento difensivo di una torre circolare del diametro di 8 m circa, perfettamente leggibile nei suoi criteri informatori. Per tutta una serie di riscontri si reputò che i suoi: " ... abitanti si mantenevano con la caccia e la raccolta, ma anche con la cultura dei campi irrigati da una sorgente perenne, con l'allevamento di pecore e capre, ma probabilmente non di bovini, su prati irrigui. Ma, in contrasto con gli abitati successivi, non usavano asce levigate nè trasformavano con l ' aiuto del fuoco l'argilla in terraglie, Perciò si dice che Gerico I illustra uno stadio neolitico pre-terraglia. Lo stesso stadio è rappresentato in un secondo villaggio, Gerico Il, edificato sul posto un millennio più tardi, da un nuovo popolo ... " rn . In merito alla datazione, pertanto, fu stimato congruo l'VIII millennio a. C., con l'ovvia conclusione che quei ruderi appartenevano non

solo alla più antica città conosciuta ma anche alle più remote fortificazioni note.

Strutture difensive tanto evolute suppongono archetipi notevolmente più remoti e soprattutto una concreta necessità. Ed infatti è certo che la: " Gerico neolitica fosse un nodo fondamentale per i primi scambi commerciali ... una immensa città magazzino di prodotti rari e preziosi... rquali] la nera ossidiana e la turchese della zona del Sinai .. . sale ... bitume ... zolfo proveniente dal Mar Morto " < 4 ) _

Quasi a voler ulteriormente confermare le ipotesi in precedenza esposte all'interno della città più antica riemerse lo spiccato di una sala, unico residuo dell'originaria costruzione, che sembrerebbe adibita a tempio: anche questo primo esempio della storia.

Di Tell come queJJo di es-Sultan se ne conoscono in Anatolia, in Siria ed in Iran, molte centinaia, tutti da scoprire e non è affatto escluso che alcuni celino gli ipotizzati più remoti archetipi, peraltro confortati da enigmatici anacronismi riscontrati persino nelle costruzioni egizie.

Risalendo il perimetro costiero del Mediterraneo attraverso la regione siriaca, fino ai territori anatolici, nel vuoto contesto di quell'arco storico emerge l'abitato di Catai Huyuk, insediato neJJa pianura di Kenya , nell'attuale Turchia meridionale. Si tratta di un eccezionale e raro esempio di 'cittadina' neolitica, appena posteriore alla precedente, di cui supera abbondantemente le dimensioni. Si estendeva, infatti, s u di una superficie di circa 32 acri, per cui è fino ad oggi la maggiore in assoluto, costituita da ben quattordici distinti livelli sovrapposti. Per quanto deducibile la sua prima edificazione sembrerebbe rimontare al 7000 a.C. con una ininterrotta fruizione fino al 5600 circa.

La rilevanza delle dimensioni ed il numero delle abitazioni inducono a ritenere:" che il s uo precoce sviluppo si basasse non soltanto su un 'eco nomia agricola e pastorale, resa possibile per le ideali condizioni offerte dal graduale essiccamento del bacino alluvionale dove

Gu ARCHETIPI

ora si trova la pianura di Konya, bensì anche sul controllo comunitario dell" ossidiana che si otleneva dai vicini vulcani del Hasan Dag e del Karaca Dag Anche se la loro prosperità si basava sull'ossidiana, gli abitanti di Catai Huyuk avevano pure dimestichezza con l'uso di altre materie locali, che avrebbero avuto un v,ùore infinitamente maggiore nella storia successiva dell'Anatolia. Già prima del 6.000 fabbri locali avevano approfondùo la tecnica di fusione e producevano rame, perline di piombo ed altri piccoli ni1moli ... " 151 •

Più in dettaglio Catai Huyuk fu impiantata sulla sponda di un fiume che: " ... scendendo dai monti del Tauro, si getta nella pianura di Konya , la quale fino al 16.000 a. C. era coperta da un lago grandissimo ma poco profondo ... A est e ad ovest si stendevano terre da pascolo ed acquitrini, mentre a nord v ' erano s quallide paludi salate, regno di onagri, asini selvaggi, gazzelle e leoni. A una certa distanza, a sud e ad ovest della

Località, si stendevano le bo s cos e catene dei monti del Tauro .. . abitate dal daino ro ss o ... dal capriolo e dal.. . leopardo d ' Anatolia, come pure da qualche ors o occasionale. Da qui gli abitanti di Catai Huyuk ricavavano il legname per Le loro case ... La fore s ta a galleria che cresceva lungo il fiume forniva pioppi , salici e canne, e offri va riparo a cinghiali, serpenti e topi, come pure agli uccelli migratori ... " 1 > .

Il benessere , e soprattutto la tecnologia avanzala , rappresentata in que s to caso dalle remotissime tecniche metallurgiche, comunque già di valenza strategica, obbligavano ad una adeguata protezione della cittadina , che trovò una soluzione , tanto origale da non essere interpretata come una forma di forticazione! Non a caso es s a non conobbe succ es sive riproposizioni in toto , ma solo parziali a cc oglienze. In concreto , tutte le abitazioni vennero erette in aderenza tra loro , in modo da non formare alcuna rete viaria interna. Infatti: " ogni cas a era costituita da una stanza rettangolare , della superficie di circa 25 metri quadrati, c on l'aggiunta di uno stretto ripo s tiglio su uno dei lati; la costruzione era fatta con mattoni crudi intonacati, senza fondazioni di pietra. Non esistevano pareti in comune; ogni casa aveva le sue proprie mura e molte case erano riunite in grandi blocchi , l'una accanto alJ 'altra; in esse si entra va soltanto dal tetto. In ogni casa vi era un piano superiore parziale, fatto di legno e malta. I blocchi di case erano separati da cortili , che servivano come terreni per l'accumulo dei rifiuti domestici e per la vita ali ' aperto. La città non aveva mura , nè speciali fortificazioni; la parte e s terna dell ' insediamento era formata da una parete continua senza porte d'ingre s so, e ad e s sa erano attaccati i recinti per gli animali: quasi il prototipo di un muro a casamatta. Scale di legno fis s ate contro la parete meridionale di ciascuna stanza principale davano accesso all'interno degli edifici , i quali erano illuminati da piccole aperture ricavate in almeno due pareti sotto la linea di gronda dei tetti piatti ... " <7

_______________:_1:..:.;NG=E=G::.:..:N=O E PA URA TR ENTA S ECO LI DJ F ORTIFICAZ IO NI I ffALI A
O 5 10 20 m
4 Planimetria di Catai Huyuk
1 •

L'eventuale conquista, in definitiva, sarebbe dovuta avvenire espugnando, dall 'alto , casa per casa, indipendentemente, con rischi e lentezze facilmente immaginabili anche per gli aggressori più evoluti delle epoche posteriori.

La minimizzazione dei percorsi interni, ben rappresentata dai vicoli angustissimi e tortuosi del medievo ed ancor più da quelli delle città musulmane, meglio definiti genericamente come 'medine' o 'casbe' tsi, finalizzati appunto a rendere ad un eventuale nemico estremamente precario l'avve nturarvisi non potendoli scorrere in forza , risponde in sostanza ad un identico criterio informatore. Concettualmente simile, del resto, è anche l'addossarsi ininterrotto del le casupole di tanti paesini medievali sui cocuzzoli appenninici in modo da creare, a costo zero, una sorta di cerchia urbica abbastanza robusta. Senza contare che, in entrambe le circostanze, la comunità non avrebbe risentito del1' onere della difesa, scaturente dalla sommatoria delle tante concomitanti reazioni dei singolì proprietari. Nella sua pienezza, tuttavia, la soluzione interdittiva di Catai Huyuk, quand'anche efficace, per le fin troppo evidenti limitazioni imposte alla quotidiana esistenza, rappresenta un ramo secco del filone evolutivo.

Le origini concettuali

L' ubicazione orientale di questi primissimi esempi di difesa statica, da intendersi come veri e propri espedienti di fortificazione perimetrale, sembrerebbe avvalorare la tesi di una comune origine siriaca, e di un altrettanto unico archetipo ispiratore , a sua volta soluzione di una similare esigenza. Tale potrebbe essere stato il rozzo ricetto in cui si racchiudeva il bestiame, alquanto frequente nei deserti mediorientali, non a caso reputato da alcuni studiosi la remotissima origine delle cerchie urbiche. In essi si concentravano, e si

continuano a concentrare, le mandrie per impedirne lo sbandamento e la dispersione durante le ricon-enti tempeste di sabbia e, soprattutto cli notte, per evitarne la razzia da parte dei predoni. Tuttavia la somig li anza s trutturale tra le due tipolo gie, indubbiamente notevole , è solta nto superficiale e di larghi ssima approssimazione, non riscontrandosi in pratica, nemmeno nelle fortificazioni più arcaiche, una precisa identità funzionale. lnfatti, un recinto per bestiame deve frustrare la fuoriuscita degli animali, spo ntanea o conseguente a penetrazioni furtive, come pure l'accesso di belve. Pertanto è costruito in relazione alla loro incapacità a superare qualsiasi ostacolo verticale anche minimo. Nessuna differen ziazione, perciò, tra la configurazione del suo estradosso ed intradosso, poichè in definitiva le due facce della muraglia vengono fatte carico di un uguale compito, non ipotizzandosi, lungo il loro sviluppo, alcun ruolo attivo da parte dei pastori.

Completamente diverse, invec e, le prestazioni di una fortificazione perimetrale anche neolitica. Innanzitutto non s i proponeva per anlievasiva ma , eminentemente, per antintrusiva. In altri termini, il suo scopo primario consisteva nell'interdire I' accesso all'abitato a potenziali aggressori e non già la fuori uscita degli abitanti. 11 che s ignificava mura non facilmente sfondabili, cioè di rilevante spesso re , non se mplicemente scavalcabili, cioè alquanto alte, e soprattutto non di screzionalmente accostabili dal di fuori, caratteristica che, implicando un'azione non meramente passiva, richiedeva una diversificazione strutturale fra l'intradosso e l'estrados so. La faccia interna, infatti , doveva facilitare il compito dei difen sor i agevolandone 1'ascesa in massa sulla sua sommità, dalla quale combattere avvantaggiati dal dominio del teneno, ma doveva anche limitarne la vulnerabilità, defilandoli parzialmente. In definitiva caratteristiche e finajità a1ititetìche, progressivamente sempre più marcate e differenziate.

Da quanto esposto, pertanto, risulta sensato ravvi-

GLI ARCHETfPI
f NGEGNO E
TR
S
01
lN ITALIA
PAURA
ENTA
ECOLI
FORTIFI CAZIONI

sare nel ricetto un larvatissimo spunto alla formulazione, estremamente più articolata e complessa, della fortificazione perimetrale, senza che sia mai assurto apremessa archetipale mancandogli i requisiti specifici basilari. É, comunque, interessante 1icordarlo, non fosse altro che per una migliore percezione dei traguardi funzionali attinti già nelle opere difensive protostoriche e soprattutto in quelle preistoriche. Non va, in o l tre, sottovalutato che, per un arco cronologico estesissimo, a tentare di violare siffatte primitive difese pe1manenti agiva la so la forza umana, non coordina ta o sommata, dei singoli attaccanti, priva di qualsiasi supporto meccanico, ovvero di qualsiasi macchina, sia pure elementare. Nessuna alterazione in materia si verificò almeno fino quasi alla metà del secondo millennio a. C.: nel frattempo, ed è un intervallo di gran lunga più esteso di quello intercorrente da allora ad oggi, l'esito positivo di un investimento ossidionale implicò, inevitabilmente, la capacità di scavalcamento

delle mura, di penetrazione furtiva o l'induzione alla resa per fame, evenienza quest'ultima che, richiedendo tempi lunghi, si dimostrò scarsamente praticabile.

La precisazione sembrerebbe contraddire lo spessore delle mura che ostenta una evidente tendenza al rapido incremento, prop,io a partire dalla preistoria, suggerendo quasi l'avvento di procedure d'assalto capaci cli brecciare o sgretolare quel le meno massicce. In realtà si tratta di una suggestione istigata dalla incomprensione dei ruderi: le impressionanti dimensioni trasversali, infatti, sistematicamente testimoniate dalle strutture superstiti, sono funzionali soltanto al conseguimento di un rilevante sviluppo in altezza. Infatti la tecnologia edificatoria dell'epoca non era assolutamente in grado di elevare di molto un muro senza ampliarne vistosamente la base e ciò a causa della scarsissima coerenza dei materiali approssimativamente sovrapposti. Venuta meno con i millen ni l'originaria connotazione verticale, spianata dai teJTemoti

GLI ARCHETIPI
6 Ricetto pastorale appenninic o

o dagli uomini , sop r avv i sse soltan to l'immenso zoccolo c h e la so rre ggeva, ingenerando l e err ate co nclu sioni. L'altezza , quindi, costituiva l'unico presupposto d ' inviolabilità e la primari a prerogativa difen s iv a, capace di elargire ag li assediati l'inestimabile vantaggio di fornire una maggiore violenza d'impatto ai massi fatti piomba re dalla sommi tà delle mura s ugli incauti assalito ri. P o tre bbe ravvisarsi in quei tiri una antes ignana artiglieria, s i a pure a senso unico ed a traiettoria obbligata, capace però di liberare ali ' istante dell ' impatto forza viva di gran lunga eccedente quella puramente umana. É, so tto questo aspetto, il primo s uperamento del limite energetico fisiologico per scopo bellico. Il consistere della difesa in tiri necessariamente piombanti può essere la causa della eliminaz ione de g li spigol i , c he ne ostacolavano l 'att uazio ne oltre ad essere più difficili da costruù·e, perfino nelle fortificazioni più remote , erette con predilezione per i perimetri a contorni c urvilin ei.

La diffusione e differenziazione delle fortificazioni

Il fluire d ei millenni produsse un incre mentarsi degli in se diamenti e quind i delle fortificazioni, o almeno le rese meno deperibili, pe r cui i resti per ve nutic i i1ùziano a divenire più num erosi. Intorno al 5400 a. C. ad Hacilar, nel distretto dei Laghi , a circa 300 km ad oves t di Catai Huyuk , ancora una vo lta nell 'a ttuale Turc hia me ridionale , s i rintracciano i re st i di una vera e propria cittadella. La z ona d'impianto , in prima approssimazione rettangolare: " ... mi s ura 57 ,89 metri per 36 , 57 , [e] fu ta g liata fuori e fortificata da un muro di cinta di mattoni e di fango. All ' interno di que sta fortificazione c'erano un granaio, delle botteghe di terraglie, un po zzo ed un piccolo tempio. Evidentemente il s ignore locale av eva costruito una rudimentale fortezza per la sic ure zza ed il benessere s uo e dei suoi seguaci " <9>

La fortezza di Hacilar disponeva di un c ircuito murario perimetrale nettament e distinto dal restante in sed iam e n t o , il c ui spessore raggiun geva e, in diversi punti s uperava , i 3 m. Lungo la s ua circonvoluzione si ri sco ntrano alquante protuberanze in aggetto esterno: potrebbe tra ttars i di antesignane torri , che, se bbene di modestissime dimen s ioni , consentivano dall a loro so mmità un occasionale e sp oradico tiro di fianc he gg iamento. L a certeza dell ' interpre t azio ne ovviamente manca, ma l ' ipotes i è plausibile: in tal cas o saremmo di fronte non so lo alla prima fortezza della storia , ma a nche al superam e nto d e l tiro difensi vo esclusivamente piombante, caratteristiche e ntramb e des tinate a di ve nire canoniche nell'architettura militare fino ai nostri giorni.

Ch e Ha c ilar s ia stata molto più verosimilmente una fortezza piuttosto c he non un a ennesima piccola protocittà fortificata, lo conferma la proliferazione che similari realizzazioni ebbero in Anatolia in periodi appena più rece nti. Sembra, infatti, che: " ... dall ' ultim a parte d e l terzo millennio a. C., quest ' area fosse divenuta una terra di piccole città-stato , con i governanti che vivevano in castelli e con l'economia basata principalmente s uU ' ag ricoltura , mentre però l a ri cc h ezza real e era ripo sta nei metalli e nei prodotti metallici ... " 0 0>

L'i mpos ta z ion e difen s iva di Hacilar, quindi, non re st e rà un caso limite ma costituirà piuttosto la norma , poichè nella stessa area le fortificazioni assumeranno s pesso la connotazione di cittadelle di sc ars iss ima superficie e di eccezionale ridondanza difen s iva. La s tes s a Troia ne s arà un emblematico riscontro , non s uperando all 'epoca dell'epico assedio, i 140 mdi diametro. É, p e rò, pres umibil e che essa, appunto, fosse so ltanto la cittadella, ovvero, l ' estremo baluardo di un abitato di dimen sioni notevolmente più ampie, il nocciolo duro della resi s ten za ad oltranza. Il concetto di fortificazione concentrica tras migrerà nelle città greche dando luogo alle famose acropoli , come pure in quelle italiche. In esse la funzione abitativa risulta

lNGEGNO E PA URA TRENTA SECOLI DI FORTIF ICAZION I IN ITAL JA

7 Planimetria di Hacilar completamente s ubordinata a quella difensiva , anticipando l'analoga pr e minenz a che si verificherà in Occidente molto più tardi , in particolare dopo il XVI sec., allorquando al rigidissimo svi luppo delle fortificazioni delle pia zzeforti s i adatterà , alla men pegg io, uno scacchiere re s iden zia le.

Un altro archetipo fondamentale di fortificazione perimetrale urbana s i rintraccia a Mer s in in Cilicia, ancora una volta nella mede s ima regione. Si tratta di una tipica cittadella eretta intorno al 4. 000 a. C. In essa traspaiono, onnai perfettamente utilizzati e leggibili, i criteri difen siv i acquisiti. Le strutture murararie in s istono s u massicci zoccoli di pietra e la porta, che rappre se nta da s empre il settore critico di ogni fortificazione, ostenta una innovazione rivoluzionaria, anch ' e ss a destinata a permanere conc e ttualmente immutata per i s ucces sivi 5.000 anni.

Simmetricamente a l vano d'ingresso, infatti, si osservano due dist inti corpi di fabbrica, fuoriuscenti dal filo del perimetro. Siamo senza dubbio di fronte a ben definite torri ad impianto quadrangolare che serrano fra loro la porta, facendosi carico della sua difesa.

La disposizio ne c h e, molto più tardi , in architettura militare sarà denominata di 'doppio fia nchegg iamento di porta' , rappresenta una innovazio ne di tale portata da p e1manere ne l repertorio interdittivo persino dopo l ' avvento delle armi da fuoco , ed in credibilmen te persino dopo l 'abba ndono delle fortificazioni: l a coppia di telecamere che, spo rge nd o dai loro support i, fiancheggia no gli in gressi degli edifici di rilevanza pubblica sono, in ultima analisi, l'estre m a evo lu zione di quel medesimo co nc etto! Quant o alle abitazion i della cittadella, ri sultano addossate alla cerchia, che appare forata da num erose so ttili bucature. É logico presumere c he non si trattasse di anguste finestre ma di funzionali fer it oie, alle quali era demandata una temibi l e prestazione offe ns iva. All' interno delle corrispondenti sta nze, in fatti, al loro piede so no state ritrovate , ancora accuratamente d isp oste, cataste di pietre arrotondate , altrettanti rudimentali proiettili per le fionde. O g ni casa, pe rciò , non solo irrobustiva con le sue mura la cerchia stessa ma frustrava da quelle feritoie i potenziali avvicinamenti nemi c i.

Il piccolo rilievo che sovras ta lo stretto dei Dardanelli , noto con il toponimo turco di Hi sar l ik, è di gran lunga il s ito archeologico più famoso di tutta l' Anatolia. Nel 187 I il tedesco Heirin ch Schlieman ritenne che proprio qu e llo ricoprisse la celebre Tro ia e, con un de ce nnio di scavi, ne portò alla luce le mitiche s trutture. La certezza della identificazione, in realtà , non s i è m ai raggiunta ma: " se mai esistè un a Troi a nella reg ione dove Omero e la t radi z ione greca dicevano che sorgesse la città, que s ta poteva stare sol tant o nell a località di Hi sarlik , che s i trov a in una posizione stra teg ica da dove si potevano dominare le stra de

GLI ARCHETIPI 20m
f
NGEGNO E PAURA TR.!ThìA SECOLI DI fORTlFICAZIONI lN ITALIA

9 Planimetria di Mersin

co mmerciali di terra e di mare che passavano per i Dardanelli ... " <1n

Quasi a voler confermare, indirettamente, tanta fama la caratteristica predomjnante dell ' in se diamento , sin dalla s ua remoti ss ima origin e, è la poderosa fortificazione che ne cingeva l ' abitato. I nfatti se bbene il: " ... primo in se diamento di Troia (Troia I) era un modesto villaggio del diametro di circa 100 metri, che sembra sia s tato fondato [tra il] 3.400-2.700 a e un recente riesame delle testimonianze suggeri sce che l a città di Troia fosse circondata da un ma ss iccio muro d i pietra, con ingressi fianchegg iati da torri [già dal] 3.250 ci rca... Troia I fu distmtta da un incendio catastrofico intorno al 3.100 a C. e s ulle s ue rovine fu costruita una nuova cittadella più grande, senza interruzione appre zzabile ne ll a c ontinuità culturale . Ques to seco ndo in sediamento , che durò circa 500 anru, ebbe almeno dodi-

ci fasi, a metà delle quali venne distrutta dal fuoco ...

Tro i a II ebbe una fine catastrofica verso il 2.550 a.C. Ogni s in gola casa riportata a ll a luce mostrava le prove di un'evacuazione frettolosa o add iri ttura frenetica, come se un grande incendio avesse spazzato la città [ma ciò accadde] ben mille e cinquecento anni prima c h e P riamo potesse essere rea lm ente vissuto, se si accetta la data tradizionale de l 1.196 a.e per il sacco di Troia. .. Alla distruzione di Troia Il dobbiamo l a conservazione della grande quantità di oggetti preziosi che poi vennero recuperati d allo Schlieman Tro ia III e Troi a IV furono essenzia lm ente una modesta continuazione dell'ultima Troia Il " <12>

Una seque l a, quindi, plurimillenaria di distruzioni e ricostruzioni, sempre all'in terno di una massiccia cerchia che, nel lunghissimo intervallo, mutò di pochissimo il suo originario tracciato. Ed è proprio nell'accennata opu l e nt a Troia II che è possibile rintracciare la s in tesi dei continui perfezionamenti e potenziamenti dell'arch it ettu ra militare anatolica preistorica. In prima appross imazione la configurazione della cittadella è decagonale, con singole tratte di cortina di notevole spessore realizzate in mattoni su basamento scarpa to in pietra. Presenti lungo l 'inLero circuito alquante rudimentali torrette per il fiancheggiamento, nonchè alcune minuscole poste rl e per sortite . Dove, però, Troia II , i n particolare quella designata 'G' e ri sale nte ali' antica Età del Bron zo, sembra assolutamente dominare la produ zione a rc hit ettonica anatolica è nella s ua porta principale, la cui eco, sebbene relativa alla riedificazione successiva, si percepisce ne ll e pag in e omeriche. La compart imen ta zione impiegata c on se nti va di tenere, per il lungo perco rso di avvicinamento ob bligato , so tto tiro qualsiasi attaccante, soprattutto il s uo fianco destro quello non protetto dallo sc ud o . L a sca ltra impostazione planimetrica della porta, re ndend o l a difesa nel s uo complesso a preponderante reazio ne a s imm etrica, s ini stra per l'esattezza, l e va lse l'appellativo di 'scea' cioè, appunto, mancina.

GLI ARCHETIPI o_ . __ 6 _ ....12m
- - - - -
--'
l -'-'N-=G=EG1\0 E PAURA TRE1\'TA SECOLI DI FORTIFlCALIONI L'i ITALlA I O Rico1,1ru1.ione <li M ersin

arido deserto , all'epoca delle vicende in questione appariva coperta da rigogliose foreste ed inten samen te coltivata, caratteristiche che però paiono ancora insufficienti a giustificare le vaste convergenze, ritrovandosene di analoghe, se non migliori , in molti altri contesti geografici. In realtà ciò che stimolava tanti interessi erano le s ue rilevanti potenzialità minerarie, che proprio in quel cruciale scorcio storico iniziarono a condizionare pesantemente la civilizzazione. Alla coltivazione dei primi giacimenti di ossidiana, già di straordinaria richiesta, si sostituì l'estrazione dei metalli il cui ruolo strategico nella produzione di ricercatissime anni fornjva proventi economici cospicui e crescenti: stimolo questo perfettamente congruo alla conquista ed alla fortificazione. Significativo che nùllenru dopo, nel Ili secolo, in Grecia, esistessero interi distretti minerari O 10 20 40m pesantemente fortificati per la loro rinomanza mi

11 Planimetria di Troia II

Millenni dopo , anche per i Roman i il termine continuò a definire la medesima asimmetria funzionale: è notissimo l'episodio di stoico valore di Muzio, so prannominato Scevola per l'atroce automutilazione del braccio destro.

Il notevole anticipo stru ttural e che abbiamo rilevato nei precedenti esempi di fortificazioni deve nece ssariamente correlarsi a precise peculiarità del territorio. Senza dubbio confinando con la Siria e la Mesopotamia a sud-est e 1'E uropa a nord-ovest la regione anatolica ha s ubito innumerevoli incursioni e scorre1ie delle più disparate etnie. Tuttavia supp01Te che fu esclusivamente il suo ruolo di cerniera tra Asia ed Europa a provocare tale iattura non è sufficiente. Non spiega, infatti, perchè tanti popoli agognassero a stabilirvisi, nonostante tanto deprecabile esposizione. Quale fu allora la s ua vera attrattiva? Per quanto attualmente ridotta ad un

Mattoni e dinastie

Contestualmente all'evolversi delle fortificazioni prese a svi lupparsi, al fine palese di potenziarne anche esotericamente la presta z ione interditti va, il ricorso al simbo lismo apotropaico e religio so . In particolare, laddove era notoria la vulnerabilità delle strut ture, ad ese mpio presso le porte, l'impiego di elementi scarama ntici divenne un'immancabile presenza. Per restare ancora alla casistica anatolica, è agevole riscontrare che, da un certo momento in poi, i grandi piedritti lapidei dei vani d 'accesso si scolpirono con sembianti di feroci leoni od orripilanti sfi ngi, figure comunque aggressive e terrifiche, protervamente minacciose, destinate perciò ad incutere negli eventuali attaccanti una repellenza superstiziosa, qua si una sorta di deterrenza magica di indubbia efficacia. La conferma della validità dell 'i niziativa , connessa più in generale con l'affidamento dell ' intera fortificazione, o di una sua parte significativa, ad

GLI ARC HETIPI
_ -----·
12
L'lGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DJ FORTIFI CAZIONI IN ITALIA Ricostruzione mura <li T roia
11

una precisa divinità protettrice, la cui rappresentazione scultorea ne costituiva la tangibile materializzazione, si coglie nell'abnorme sovravvivenza della prassi. Ancora nel secolo scorso si solevano titolare alcune opere particolarmente esposte , quali bastioni e ridotte avanzate a specifici santi protettori. Similare, del resto, la vocazione a S. Barbara dei depositi di munizioni, la cui pericolosità restò sempre elevata.

Tanto i menzionati piedritti figurati, che il sovrastante architrave si ottennerono con enormi singoli blocchi , formando perciò un colossale e stabilissimo trilite, la cui coesione era basata sull'inerzia e sull ' incastro. Fu probabilmente quella la p1ima applicazione della tecnica edificatoria megalitica, la cui autonoma invenzione e vastissima adozione sarà una della più straordinarie concomitanze della civiltà umana1' 41 : più innanzi avremo occasione di fornirne maggiori ragguagli. La sua praticabilità restò, comunque, sempre condizionata dalla estrazione locale delle grandi pietre , ovvero dalla natura geologica dei siti.

Dove, invece tale opportunità non sussi steva e la deficienza di fonnazioni rocciose , persino di modestissima entità, si confermava assoluta, come nel bacino alluvionale mesopotamico, per la costruzione delle fortificazioni si imposero soluzioni alternative.

L'esigenza di solidità e longevità determinava cubature murarie immense compatibili con un unico materiale disponibile in abbondanza: il fango. Ma il suo impiego richiese il superan1ento di una serie gravissima di limitazioni. I primi tentativi di erigere mura di fango di consistente spessore, infatti, dovettero generare esiti deludenti e non utilizzabili. La lenta essiccazione della loro massa interna, nettamente contrastante con quella, rapidissima. delle superfici esterne sottoposte al I' ardente irradiazione solare, provocava la frammentazione dell ' opera compromettendone, con profonde ed irreparabili fessure, la resistenza statica e strutturale.

Per ovviare all'incoveniente e, forse , per suddividere più razionalmente la mole di lavoro neces saria, utilizzando anche l'apporto femminile e minorile , si escogitò, ben presto, un altro modo per pervenire ad identiche cubature assemblando piccoli blocchetti di fango es s iccato, preformati e standardizzati, di ridottissime dimensioni: i mattoni. E s si erano ottenuti mediante rudimentali stampi di legno che ne consentivano, oltre alla sagomatura approssimata ed alla quantizzazione stabile, anche la veloce produzione seriale. Posti ad asciugare al sole , non manifestavano con la medesima gravità la fessurazione e s i dimostravano , appena induriti , di consistenza perfettamente congrua ano scopo e di facile coesione, sia a secco, sia con leganti bituminosi. La composizione degli impasti risulta abbastanza disomogenea utilizzandosi varie percentuali di argilla con altrettanto vaiiabili quantità di inclusioni vegetali per migliorare il consolidamento115 > Nonostante ciò il risultato si dimostrò accettabile , s ebbene sempre notevolmente inferiore, per solidità e durata a quello conseguito successivamente con i mattoni cotti. Al di là della notevole evoluzione tecnologica che la cottura dell'argilla presupponeva ri s petto alla primitiva prassi dell'essiccazione, va osservato che in quelle stesse località non poteva trovare una facile attuazione per la carenza, altrettanto grave di quella della pietra, della legna da ardere. I quantitativi di mattoni necessari per le cinte urbane avrebbero ingoiato rigogliose foreste nelle loro fornaci e, di contro , il clima ai·ido non danneggiava i mattoni crudi. Lo conferma, al di là di ogni dubbio , la sopravvivenza in tante aree mediorientali di intere città, spesso di notevole grandezza, costituite interamente da edifici, di eccezionale fascino e suggestione, innalzati con mattoni crudi e mura di fango essiccato. É interessante ricordare che anche i Greci , in epoche molto più recenti ed in climi di gran lunga meno asciutti, si avvalsero di mattoni crudi con Iisultati affatto disprezzabili. Una della tante testimonianze di tale adozione la si può rintracciare a Siiis-Heraclea, nei pressi

GLI
ARCHETIPI

di M etapo nto. c he:"... aveva un a difesa in mattoni crudi mentre Her aclea, sorta in gran parte s ullo stesso lu ogo, di s poneva di una poder osa fortificazione in pietra

Probabilm e nte è stata l ' urgenza di affidare ad un manufatto la creazione del muro in mattoni c rudi senza alcun e lemen to lapid eo di base: la fort ificazione parte infatti direttamente dalla terra con il suo alzato .. . La presenza di qu est'o pera in mattoni crudi, co n una larghezza di circa 1.80-2.30, e co n un così gra nd e svilu pp o impone due co nclu s ioni d e ll a mass im a importan za storicoambientale ed econo mi ca nello stesso tempo. L ' uso dei mattoni c rudi per un 'opera di dife sa databile nei primi dece nni del VII secolo indi ca in maniera molto eviden-

13 Porta dei Leoni a B ogaz koy

te la mancanza totale di una qualsiasi pietra utile ad essere impiegata ne ll a costruzione. L' unica pietra c he non mancava era quella di fiume che nei monum e nti arcaici di Metaponto e anche di Siris è ser vita quale base alta circa cm. 15 del muro della collina occidenta le .. . Se il muro di difesa di Siris abbia seg uito una vecc hi a tradizione dell'Asia Minore può essere anche ben accettato ma molto più real e è che ne lla zona non v'erano buone cave dj pietra e quindi si è fatto ricorso ai mattoni crudi Un ' a ltra conclusione s i rife ri sce alle possibili tà economiche d e lla comunità: anche un muro in mattoni crudi ri c hi e de un ingente numero di mano d 'opera per un così lungo perimetro ... " ('6)

I NGEG NO E P AURA TRE NTA S EC OLI DI F O RTIFTCAZJ O Nl l N IT ALIA

Che i mattoni cotti fossero migliori, in Mesopotamia lo si sapeva perfettamente ma che fossero onerosissimi, per quanto accennato, anche, per cui il loro impiego si riservò oculatamente solo alle parti murarie più esposte ai possibili insulti idrici , quaJi le basamentali minacciate daJle risalite di umidità dal terreno, e Je sommitali per le rare, ma non inesistenti, precipitazioni meteoriche. E sempre per l 'es trema rarità di legna e roccia calcarea, per legare quei mattonj non si impiegò Ja calce, ma il bitume, naturalmente ed in abbondanza affiorante in tante pozze della regione. Il che limitava gli effe tti disgreganti delle infiltrazioni dal basso e dall'alto, con es it i che, alla luce dei ruderi attuali, so no da considerarsi felicissimi. In pratica si osserva che mentre per il corso inferiore dei mattoni sui quali veniva spalmata a caldo, la maJta bituminosa costituiva un legante eccezionale, perfino superiore alla calce, ciò non avveniva per il corso sovrastante, essendosi nel frattempo rappresa la miscela . La coesione, perciò , non era affatto omogenea, lontanissima dal monolitismo garantito dal calcestrnzzo romano, per cui era pricipalmente la massa inerziale a farsi carico della s tabilità. Per ridurre il deleterio inconveniente si ricorse ben presto alla interposizione di strati di argilla plastica, con ri s ultati appena lievemente migliori ai fini della saldatura dell ' intero complesso. A siffatta deficienza deve imputarsi la facilità di smantellamento delle mura urbane dopo la conquista e la possibilità di riutilizzare i medesimi mattoni , non sgretolati dalla demolizione.

Il sistema, tuttavia, rimase in auge per oltre duemila anni, come indirettamente conferma lo stesso Erodoto, a propo sito della nuova Ba bilonia ed in particolare delJe sue poderose fortificazioni, fatte costruire all'epoca di Nabuccodonosor (604-561 a.C.):

"Sita in una vasta pianura , è una città quadrata. e ogni lat o misura centoventi stadi: il perimetro raggiunge in complesso la somma di quattrocentottanta stad i. Tale l'am-

piezza di Babilonia, e il suo disegno era il più perfetto di ogni altra Città che noi conosciamo. Anzitutto le corre intorno un fossato profondo e vasto, pieno d'acqua: poi un muro di cinquanta braccia reali di larghezza e dj duecento braccia di altezza

Ma resta ancora da dire come fu impiegata la terra proveniente dal fossato e in che modo era stato costruito il muro. Man mano che si scavava, la terra tratta dalla fossa veniva co nv e1tita in mattoni, i quali, quando ne fu modellato un numero sufficiente, vennero cotti dentro forni; quindi, usando asfalto caldo per cemento e frapponendo ogni trenta strati di mattoni graticci di canne. furono costruiti prima gli orli del fossato, e poi. nella stessa maniera, il muro vero e proprio. E agli orli al di sopra del muro furono erette camere ad un sol piano. l"una di fronte all'altra:lasciando fra le costruzioni l'intervallo che occorreva perchè una quadriga potesse fare il giro della Città ... "<17•

I rudimentali mattoni di forma piano convessa 'a pagnotta' cotti al sole, con caratteristiche dimensionali approssimate e resistenze altrettanto disparate, crearono, comunque, la premessa per una semplificazione e razionalizzazione dell 'attività edificatoria.

Affrancatisi, progressivamente dal monopolio dell'impiego difensivo o religioso, divennero i componenti di base delle costruzioni civili e residenziali, pubbliche e private , e furono dall'antichità in poi sinonimo per antonomasia di casa. L e loro misure cambiarono pochissimo, a riprova della perfetta rispondenza ciel dimensionamento introdotto dai Sumeri

Jn metilo a questi ultimi va ricordato che, pur essendo gli artefici dello sviluppo civile in Me so potamia, non proposero alcun serio programma di fusione territoriale , ma diedero origine ad una fitta trama di città-stato, potentemente difese ed in perenne contesa fra loro. Il processo di unificazione si attuò, però, intorno al XXV secolo a. C. ad opera dei Semiti, popolo con

GLI ARCHETIPI

14 Ri cos truzione di Babilonia

il quale condivisero la regione, guidati da Sargon, capostipite della dinastia akkadica.

L'interes se che s uscitano le fortificazioni urbane mesopotamiche, ai fini della presente ricerca, si ravvisa, non già nelle innovazioni concettuali che sott intendono , peraltro modestissime, ma eminentemente nelle loro inusitate , almeno per l'epoca, dimensioni lontanissime da quelle delle minuscole cittadelle anatoliche. Vere e proprie metropoli, quindi, di straordinaria estensione e densità demografica, difese da cerchie altrettanto grandiose di cui la storiografia coeva ci fornisce ampi ragguagli. Come pure riporta i primi elenchi delle distruzioni operate proprio da Sargon:

"Sargon, re di Akkad soggiogò Uruk e ne distrusse le mura nella battaglia con gl i abitanti di Ur fu vittorioso; ne soggiogò la città e ne distrusse le mura. Soggiogò E - Nimmar,

ne distrusse le mura ... Nella banaglia con gli abitanti di Umrna fu vittorioso; ne soggiogò la città e ne distrusse le mura " •m

Il richiamo assillante alla demolizione delle mura ci lascia presumere che, a l di là della già ricordata facilità esecutiva, la prassi rappresentasse una so rta di ce11ificato di morte della città stessa, prova inconfutabil e dell'avvenuta conquista e sotto mi ssione. La formula troverà un'aderente riproposizione, secol i dopo, nel testo biblico. La valenza trascendente guadagnata dalla fortificazione perimetrale, assurta ad emblema di sovranità e di indipende za, trova così un'ulteriore, inequivocabile, conferma.

Divaricazioni socio -economiche

La serie intensa di avvenimenti bellici che ebbero per teatro la Me sopotamia, e di cui lo stralcio citato ci ha fornito una pallidissima id ea, non provocò però s ignificative evoluzioni deJle fortificazioni. L'assoluta invarianza delle procedure ossidionali ne confermò, infatti, seco lo dopo secolo l'efficacia che, a sua volta, ne garantì la longevità consentendo il pieno ammortamento dei costi. Non sembrano affatto eccezionali permanen ze, praticamente immutate, di oltre un migliaio d'anni, fenomeno che da allora non ha più conosciuto riproposizioni. Tale peculiarità spiega, per molti aspetti , la fattibilità di opere tanto costose, altrimenti capaci di collassare l'economia persino di una floridssima città-stato.

Una sig nificativa differenziazione inizia, in vece, lentamente a manifestarsi nelle cerchie urbiche, in funz ione della geomorfologia dei luoghi e della conseguente disponibilità dei materiali. Infatti nelle regioni accidentate, dove era possibile sfruttare ai fini difen s ivi le caratteristiche di dominio ed inaccessibilità di alture non troppo impervie, ma alquanto elevate ed

INGEGNO E PA U RA TRENTA SECOLI DI FORTll-'ICAZIONI IN ITALIA

ampie, la fortificazione adottò, abitualmente, perimetri irregolari e ristretti il cui tracciato si portò accuratamente a coincidere con il ciglio dell'altura stessa, definito 'tattico'. Il materiale impiegato fu esclusivamente la pietra, assemblata nei casi più arcaici, in maniera incoerente a blocchi di dimensioni ragguardevoli, e peraltro destinate ad aumentare col tempo, dipendendo dalla loro massa la stabilità del l'opera.

Gli insediamenti apicali tramandano, sistematicamente, dimensioni più contenute di quelli di pianura, limite certamente derivato dalle minori disponibilità della loro povera economia, basata sulla pastorizia e sulla stentata agricoltura. Sebbene praticate simultaneamente, infatti, esse non bastavano a garantire risorse compatibili con significative concentrazioni demografiche, nè, tantomeno, permettevano successivi incrementi.

Le eccedenze distraibili per realizzazioni difensive, e del resto la stessa loro esigenza, non raggiunsero mai i livelli delle società di pianura che contemporaneamente prosperavano. In queste, la straordinaria produttività dei terreni, favoriva non solo il moltiplicarsi della popolazione, ma anche la differenziazione delle attività, accrescendone gli utili complessivi. La floridezza stabilmente instaurata rese possibile, e purtroppo anche necessaria, l'erezione delle grandiose fortificazioni perimetrali che , per l'assenza di qualsiasi appiglio tattico appena sovrastante la piana alluvionale, come pure di qualsiasi materiale da costruzione già naturalmente disponibile, dovettero acquisire concez ion i funzionali, ed organizzative, notevolmente più complesse della precedente categoria.

É sensato collocare questa basilare bipartizione tipologica intorno al II I millennio, epoca dalla quale si accentueranno le peculiarità distintive di ciascuna produzione fino ai nostri giorni, divaricandosi le rispettive connotazioni sociali, prodromiche e conseguenziali. Ne scaturiranno due alternative modalità esistenziali, più chiusa e conservatrice la prima, più progressista e

dinamica la seconda, genesi a loro volta di due antitetiche civiltà, più evoluta e raffinata l'una più rozza e dura l'altra. Anche in Italia si riproporranno entrambi i modelli, determinando, nel periodo più arcaico, interminabili belligeranze tra le due opposte ed inconciliabili culture.

Nei primordiali esempi anatolici non sfugge che l'uso della pietra, inizialmente ristretto alle sole fondazioni, col tempo dilagò ali' intera massa muraria. Le difficoltà insite in tale sviluppo consistettero principalmente nell'organizzazione e coordinamento dei lavori di estrazione, di sgrossatura e di posizionatura dei blocchi, tutte fasi che, per quanto distinte, implicavano inevitabilmente una strettissima interdipendenza fra più individui.

A differenza delle opere in mattoni che, sebbene colossali, non richiedevano prestazioni fisiche ponderose nè per la produzione, nè per il trasporto, nè per la messa in opera essendo il peso del singolo elemento notevolmente inferiore alla forza del singolo lavoratore , per le strutture in pietra il discorso appare diametralmente opposto. Per giunta, mentre la tecnica laterizia era avvantaggiata dall'utilizzare quante più braccia possibile distribuite nelle distinte fasi, quella megalitica aveva presumibilmente esigenze opposte, fatti salvi un perfetto affiatamento fra gli uomini ed una loro eccezionale robustezza. Potrebbe, addirittura , supporsi che, se nella prima tecnica riusciva praticabile, e conveniente, l'impiego di abbondante mano d'opera coatta in almeno due distinte fasi, la produzione ed il trasporto dei mattoni, nulla di simile si verificava nella seconda . Priva di sequenze ripetitive, essa supponeva, invece, il possesso di una rilevante competenza per il dimensionamento e la movimentazione di ciascun concio, appannaggio di maestranze specializzate e libere. Il che, ancora una volta, sembra attagliarsi, nitidamente, alla ci viltà stabilitasi fra le montagne.

Un'eco, certamente più recente ma perfettamente esemplìficativa di quanto delineato, affiora persino

Gu
ARCHETIPI

nelle pagine della Bibbia, che narrano come gli Ebrei, ormai asserviti dai Faraoni, furono costretti a produrre, a ritmo febbrile, ed in quantitativi rigidamente prestabiliti, i mattoni neces sari alle costruzioni imperiali, civili e militari. Tutti vennero ritenuti idonei a tale lavoro, compresi i fanciulli e le donne, so luzione assolutamente inapplicabile se si fosse trattato dell'approntamento di grossi blocchi di pietra. Significativamente, infatti, gli s tessi Faraoni, almeno secondo le più acute analisi moderne, non poterono permettersi di utilizzare identiche masse se rvili per l'erezione delle Piramidi , composte assemblando milioni di enormi conci. Come controllare, in tal caso, migliaia di uomini particolarmente robusti per la spossante fatica, dotati di numerosi utensili non dissimili dalle armi dell'epoca, e fortemente coesi dalla esaperazione della sorveglianza e dalla brutalità dello sfruttamento< 19>?

Non casuale appare allora il dato che la schiavitù si originò e si diffuse rapidamente e massicciamente proprio nelle civiltà agricole di pianura<20i, mentre tra le montagne non trovò una identica adozione e richiesta. Anche questo preciso dettaglio soc iale è testimoniato, sia pure indirettamente , dalle opere difensive pervenuteci.

Gli sconvolgimenti del 11 millennio

La caratteristica polemologica del III millennio a.C. fu certamente quella di incentivare, e quindi agevolare, la formazione dei vasti imperi protostorici lungo le grandi vallate fluviali <21 > . Il processo, per molti versi, rappresentò una tappa obbligata dell'evoluzione politico-sociale. Dal momento stesso, infatti, che si re sero disponibili risorse e conoscenze tecnologiche , si organizzarono, dopo un esordio meramente difen sivo, ben definite caste professionali specializzate nell'uso delle armi per ambizioni vagamente egemoniche.

Forse per attenuarne i costi di mantenimento, forse per frustrarne la pericolosa inattività quei rudimentali

eserciti inizarono ad operare, con crescente frequenza, in campagne di conquista. La prassi da occasionale si trasformò in sistematica e gli utili delle aggressioni assursero ad introito basilare. I benefici derivanti erano molteplici: si eliminavano potenziali contendenti dalle vicinanze; si acquisivano altri suoli, già coltivati e quindi dissodati e produttivi , o mandrie di bestiame già selezio nate; s i asserviva una crescente massa di docili braccia lavorative , fonte di cospicui redditi. Ovviamente un sistema così impostato presuppone una endemica belligeranza, insistendo la sua economia sui bottini di guerra piuttosto che sulla produzione e sul commercio. Nel contempo richiede un costante potenziamento del suo apparato militare, indispensabile all'interno per il controllo coercitivo dei sottomessi, che non appaiono mai coinvolti in un processo d'integraz ione nazionale ma sono soltan to oggetto di spie tato sfruttamento economico, e all'esterno per la difesa contro crescenti antagonisti, attratti proprio dalla ricchezza accumulata. In definitiva un impero sviluppatosi grazie alle prede inevitabilmente diviene, a sua volta, una allettante preda, non appena il suo apparato militare mostri sintomi di decadimento. Il che è scongiura to fino a quando l'economia lo consente: e qui il processo si avvita, poichè, la disponibilità delle necessarie risorse dipende in pratica so lo da ulteriori co nqui ste. Pertanto: " s ia per il suo spezze ttamento che per le minacce dei confinanti, la Mesopotamia è tanto facile a soggiogare quanto a perders i e l' ostinata mentalità particolaristica non consentì a nessun capo di Sumer, di Accado di Babilonia quelle graduali fusioni che avrebbero potuto assicurare l'avv enire ... Nel Vicino Oriente le imprese di conquista imperialistica non hanno veram ente successo che a partire dal II millennio e al di fuori dell'ambito delle città-stato ... " l22 >

L' intensa attività militare, che aveva permesso, la formazione dei due grandi imperi vallivi dell'Oriente mediterraneo, presenta, infatti , già nel II millennio e

IN ITA LJA
ING EGNO E PA URA TRENTA SECOLI DI
FORTIFICAZIONI

massimamente intorno alla sua metà, una violenta ripresa. Non è però questa volta caratterizzata dalla epica, se ppur feroce, espansione imp eriali sta, ma dalla triste ed umiliante nece ssità di opporsi strenuamente agli aggressori, genericamente definiti barbari, che provenivano dalle circostanti regioni montane. Per la storia essi furono i Cassiti, gli Hurriti , e soprattutto gli Ittiti, sempre molto grezzi ed arretrati rispetto alla loro vittime ma sem pre di gran lunga più aggressivi e combattivi. L'azione di traino evolutivo svolta dalle due civiltà fluviali, pur non presentando vistos i seg ni di rallentamento in relazione allo svi lupp o civile ed urbano, aveva accusato, però, chiari sintomi di decadimento militare, conseguenza, forse, non tanto dei logoranti sfo rzi imposti dall'unificazione quanto piuttosto della rilas sa tezza determinata dall'agiatezza s uc cess iva. Di certo un apparato militare già temibile e collaudato, al momento dell'urto non fu in grado di opporsi agli invasori, nonostante l'ampio ricorso alle fortificazioni, che riu scirono soltanto a procrastinare, e non di molto , il crollo finale(23 > . Inizia così a configurarsi, nitidatamente , il ruolo coadiuvante, ma non ri so lutivo delle fortificazioni in quanto tali. Ed inizi a anche a prendere corpo la di s istima dei trattatisti teorici nei loro confronti.

Il decadere e lo sfaldarsi dell ' Impero mesopotamico, più completo e radicale di quello egizio, determinò nel corso della lunga agonia, non diver samente da quello che succederà per l' Impero romano, il diffondersi vivacissimo, qua s i esplosivo della ri spe ttiva civiltà, riuscendo pers ino , in tempo relativamente breve, a rigenerarla in forma più splendida. In linea di mas s ima: " ... tre sono i popoli dei monti che costituiscono forti stati nell 'As ia anteriore intorno alla metà del II millennio a. C.: nella Mesopotamia meridionale i Cass iti, in quella settentrionale i Hurriti , nell'Anatolia gli Ittiti ... Un interess ante parallelo può istituirsi tra la situazione dell'antico oriente nell 'età dei << popoli dei monti» e quella del primo medioevo europeo . .. Muovendo come i barbari da condizioni di nomadi -

s mo , i popoli dei monti portano con sè una struttura soc iale imperniata s ul predominio dì una ristretta classe nobile , controllante i mezzi che determinano il s uccesso militare: il cavallo ed il carro veoloce da guerra. Da questa classe promana, primus inter pares in guerra ed in pace, il re ... Con la conquista i nobili si dividono la te rra al modo feudale, assumendo i diritti e gli obblighi che il feudo comporta ... La situazio ne conseguente alla formazione dei nuovi s tati richiama quella che in Europa, si determina co n i regni romano-barbarici. Nuove forze attive interve ngono nella storia; l'area geografica s i amplia e gli organismi politici s i moltiplicano; i ce ntri di gravità s i s pos tano dagli antichi imperi e ad essi si s o s tituisc e un relati vo e quilibrio , in cui vecchi e nuovi fattori concorrono ... Nel loro affermarsi, i nuovi popoli assorbono profondamente la grande tradizion e che li prec e de ... [ed] in que s to a ssorbimento ... pare che la Me so potamia prevalga sull'Egitto " (24)

La potenza conquistatrice degli Ittiti , nonostante tanto dinami s mo e vigore, fu capace, però , di realizzare una aggregazione di soli tre seco l i: periodo certamente non insignificante ma modes tissimo in rapporto alla durata dei coevi imperi. Tuttavia con l'avvicinarsi della sua conclusione, s i riscontra il dilagare nel1' intero bacino mediterraneo delle tecniche e delle pratiche manifatturiere elaborate dalle civiltà del Vicino Oriente, prime fra tutte , e non cas ualmente , le fortificazioni. É significativo osservare , e meglio lo esamineremo più innanzi , che proprio in quest 'e poca decolla in Sardegna il fenomeno nuragico. Pur non essendo ancora s tato vagliato compiutamente nella sua plurimillenaria e strinsecazione , esso mantenne sempre, ed è un riscontro evidente, la connotazione precipua di una soc ietà feudale e guerriera.

La profonda se rie di sovvertimenti, di così estesa rilevan za per il mondo avanzato di allora, non mancò

GLI ARCH ETIPI

di esercitare la sua influenza anche nell'arte della guerra. Le fortificazioni, dopo millenni di stasi concettuale, tramandano importanti innovazioni rese s i necessarie per rispondere alle nuove procedure ossidionali. Fu, infatti, intorno alla metà di questo millennio che comparvero le prime rudimentali macchine da urto , la cui definitva funzionalità sarà raggiunta s ucc essiva mente sotto gli Assiri, nonchè le to1Ti d'assedio e le relative rampe. I primi esemplari del!' ariete in grado di operare , con discreta efficienza, so no contemporanei al sorgere della potenza ittita. Da un loro testo del XVII seco lo a. C. si apprende che l'invezione viene ascritta agli Urriti , poco discosti in direzione nord-est , dalla Mesopotamia<25 i L'avvento di quel semplic iss imo congegno scardinante, per popoli avvezzi al combattime nto sui carri, e quindi perfettamente consapevoli del concetto di forza d'urto , non dovette presentare soverchie difficoltà. Si trattava , a ben riflettere, di una variante funzionale, piuttosto che di una innovazione radicale. La sua presenza in epoca anteriore, pur essendo ipotizzata da diversi autori, non trova sicure conferme nè storiche nè grafiche, nè , meno che mai, architettoniche. Non a caso oltre al menzionato documento ittita , la conferma più probante dell'avvenuta sco perta la rintracciamo proprio nelle loro fortificazioni: una massiccia scarpata compare, da un determinato momento in poi, ai piedi di tutte le muraglie perimetrali , eloquente te stimonianza di quanto asserito. Vi è comunque da osservare che la scarpata rivestita di pietre sufficientemente lisce assolveva anche ad un altro compito: quello di consentire il rimbalzo delle pietre scagliate dall ' alto degli s palti con traiettoria rifle ssa quasi orizzontale. I massi acquistavano così le caratteristiche di veri proietti correnti radenti il terreno, con esiti micidiali sebbene non eccezi onalmente estesi, ma terrificanti per l'epoca in quanto non prevedibili.

stica ad un 'era di in condizio nata superiorità della difesa passiva, e riavviò l'evoluzione delle fortificazioni. La prima conseguenza fu l'abbandono delle mura costruite a compartimenti vuoti, definite, sebbene impropriamente , a casematte. L'espediente, che aveva permesso di conseguire sezioni basamentali notevolmente ampie, le so le in grado di supportare le rilevanti altezze delle cortine evitando le immense cubature altrimenti indi spensabi li , suppo neva proprio l'incapacità di sfondarne gli estradossi non p art icolarmente massicci. Sparivano pure le abitazioni addossate alle cortine e compenetrate alle stesse che agivano da irrigidimento: la soluzione si ctimostrava ormai troppo debole e vulnerabile. Il rimedio per antonomasia consistette nel colmare le suddette casematte con sc heggioni incoerenti che, per la loro enorme inerzia, riuscivano a neutralizzare gli impatti degli arieti assorbendone , se nza alcun danno per l'intera struttura, l'energia cinetica residua . In ogni caso lo spessore delle muraglie iniziò a dimensionarsi non più in funzione dell'altezza da raggiungere ma delle sollecitazio ni da contrastare. E , sem pre per timore degli arieti, si circondarono le mura con fossati: essi non costituivano , certamente, una novit à, rappresentando il più arcaico ed elementare dispositivo interdittivo, ma lo divennero nella circostanza, in quanto complemento delle mura, finalizzato ad impedire l'accostamento delle terribili macchine da urto , sempre più potenti e devastanti.

La civiltà che era entrata in que sto millennio cercando di padroneggiare la tecnologia del bronzo, senza peraltro aver ancora abbandonalo completamente quella della pietra, ne esce con utensili e con armi di ferro, nonchè con le basilari nozioni di meccanica.

Le fortificazioni ittite

L'apice della potenza ittita, fu attinto intorno al XV

La comparsa dell'ariete, pose fine in maniera dra- secolo a. C. e, durante il breve pe1iodo del s uo apogeo,

[NGEG NO E PAURA TRE NTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA

la relativa architettura militare sintetizza il meglio di quanto elaborato in materia in quello scorcio storico nell ' intero Vicino Oriente e forse nell'intero pianeta. Ancora una volta la spiegazione del fenomeno deve individuarsi nella posizione geografica e nelle risorse minerarie.

Uno stato piccolo come quello ittita poteva preservare la propria indipendenza solo attraverso effimere alleanze e rapidi colpi di mano. La sua posizione continentale , ovvero interna , lo rendeva particolarmente idoneo a muoversi, verso l'avversario del momento , nel minor tempo: ottimo alleato per tutti, ma poss ibile preda di tutti. La concomitanza, però, di un attacco da più direzioni non si concretizzò mai, per cui il rapido spostamento dell 'esercito da una frontiera all'altra si rivelò sufficiente a respingere le minacce.

Per quanto attualmente noto , l'esercito degli Ittiti

Gu AR C HETIPI
20m
15 Mura di Costantinopoli 16 Planimetria mura di Bogazkoy
I NGEGNO E PAU RA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI I N ITALlA 17 Ri cost
ru z
ione mura di Bogazkoy

ammontava, in condizioni normali, a circa 30.000 uomini, suddivisi in due distinte armi: la fanteria ed i carri. Nei periodi di guena l 'orga nico s'accresceva notevolmente. Cmiosamente , pur disponendo di uno straordinario numero di cani ippotrainati, non utilizzavano il cavallo al di fuori di tale impiego, per cui non schieravano alcun contingente di cavalleria. La dislocazione a difesa del tenitorio metropolitano impose la realizzazione di guarnigioni di confine, insediate in altrettante cittadelle, antesignani castelli medievali, coadiuvate, in caso di necessità, dalle popolazioni limitrofe.

La capitale dell'in1pero fu posta in Bogazkoy, Hattusa, che ovviamente attinse un livello difensivo ali' avaguardia, perfettamente consono Rl suo ruolo. Al riguardo è s ignificativo osservare che i criteri informat01i propri delle sue mura, si ritroveranno, praticamente immutati ed architettonicamente quasi identici ,

nelle mure di Costantinopoli, ricostruite dall'imperatore Teodo s io intorno al XIII secolo della nostra era e brecciate dalle mostruose palle dell 'aitiglie1ia di Maometto 11 nel 1453, dopo un lunghissimo assedio <261 ! E forse solo allora tale impostazione difensiva ebbe, definitivamente ed irreversibilmente, termine.

Per meglio vagliare la singolarità e la grandiosità della concezione d'impianto delle fortificazioni di Bogazkoy è indispensabile fornirne un preciso ragguaglio.

Le sue mura:" ... nel periodo tardo imperiale formano un vasto circuito lungo più di tre miglia.

Racchiudono una zona che, dalla vecchia città situata a nord , s i innalza a s ud in un 'altra cresta rocciosa; proprio prima della caduta caduta dell'impero , si estese sino ad includere la scoscesa collina chiamata Buyukkaya, costruendo due volte un ponte su ll a profonda gola a nord della cittadella. 11 terreno disu-

GLI ARCHETIPI
18 Testimo nianze della merlatura nei modelli in bronzo di Toprakkale

) Tebe,

guale , su cui si costruì la muraglia , fu inizialmente livellato accumulando un bas tione di terra , largo a volte più di nove metri alla base, che crescendo in altezza si restringeva, fornendo uno spalto degradante, rivestito in taluni punti di pietre levigate. Su questo bastione si ergevano le mura principali della città, una 'doppia casamatta ', formata da uno strato esterno ed uno interno di costruzione in muratura, irregolare ma accuratamente fatta combaciare, colJegata da mura tra s versali , e con gli interstizi colmati da pietrisco. In cima a questa struttura, circa nove metri più in alto del bastione di terra , c'era un secondo muro di mattoni di fango , presumibilmente rifinito da merli, come possiamo osservare dal frammento di un vaso ornamentale rinvenuto nella città... " <m .

Circa la presenza della merlatura, destinata a divenire la nota di s tintiva dell'architettura militare di tutti i tempi, al di là delle numero se raffigurazioni mesopotamiche pervenuteci, è soltanto a Tebe sul tempio di Ramesses III , che ancora sopravvive un frammento originale di coronamento, estrema testimonianza del dispositivo in epoca arcaica. Quel Faraone, infatti ,: " in seguito alla progressiva elaborazione della concezione del tempio, intes o sempre di più come «fortezza del dio » , ma soprattutto in seguito all'instabilità politica della XX dinastia... [lo] chiuse entro una duplice cinta di mura merlate, provviste di porte fortificate a forma di torre ... " <281 •

Tornando a Bogazkoy: " ... torri rettangolari sporgevano dalle mura ad intervalli di trenta metri e mezzo circa, e in certi punti c'era un ulteriore muro di difesa , costrnito di fronte alle mura principali, a una distanza di circa sette metri tra le sue torri. Gli ingressi principali erano fiancheggiati da grandi torri , alle quali si univano le estremità, sia della muraglia principale, sia di quella secondaria. Cancelli rivestiti di bronzo erano situati tra queste torri, un pò rientranti rispetto al1e loro facciate esterne, mentre altre porte erano rasente alle facciate interne. Si raggiungevano le entrate mediante

Medi net Habu: la porta Alta
lNGEG NO E P AU RA TR E NTA S ECOLI DI FORTIFICAZIO N I IN ITALIA

ripide rampe, parallele alle mura, che avrebbero costret- doveva essere difficile conquistare il controllo della togli attaccanti ad offrire il fianco ai difensori. città " <29 , _

Almeno in un caso, si aveva ancora una protezione nel muro e nella torre sussidiari, sul lato esterno della rampa.

Nel punto più meridionale della città c'era una piccola porta ( «la P orta della Sfinge»), utilizzata dalle persone a piedi. Il bastione era alto quasi dieci metri e mezzo e dall'esterno si accedeva alla porta per mezzo di due scalinate, tagliate nella superficie del bastione, ad una certa distanza, su entrambi i suoi lati. Una galleria a modiglione, sottostante la porta e costruita precedentemente al bastione, era lunga quasi ottantadue metri e conduceva all'interno della c ittà Certamente si voleva che rappresentasse qualcosa di più che una scorciatoia per cittadini pigri. Era infatti una costante caratteristica dell'architettura di difesa ittita, perchè ce ne sono altri esempi nelle mura meridiona li della città vecchia, come ad Alaca, Alisar ed in località molto più lontane, come U garit. Queste gallerie erano forse usate per il contrattacco, o per cogliere i nemici a ll a sprovvista, o per impegnarli quando erano sul punto di cedere, ma la collocazione di tutti gli esempi di Bogazkoy sotto le mura meridiona li , sul l ato più distante dalla con tinu a min accia di un'assalto dei Gasga, fa pensare che lo scopo definitivo fosse quello di facilitare la fuga verso il più propizio sud della c ittà, quando fosse sul punto di esse re conquistata.

L 'a nello di mura es terne di Bogazkoy non rapprese nta va il suo unico mezzo di difesa. All'interno, la città era divisa in zone, che potevano essere difese separatamente, nel caso che un settore qualunque delle mura principali cedesse al nemico. La zona più forte era senza dubbio la cittadella, sito del palazzo reale e degli archivi, costruita in alto, al di sopra della paite vecchia della città. La sicurezza natural e del luogo era integrata da mura dello stesso tipo di quelle princ ipali: altre mura spartivano il resto della città in unità più picc o le o cittadelle secondarie. É facile osservare come

La complessa e grandiosa fortificazione, appena sommariamente descritta, non costituisce un caso limite nella produzione architettonica militare ittita quanto pi uttosto la norma: molte altre città ne ripropongono i criteri-guida con leggere diversificazioni. L ' impero ittita, grazie alle sue risorse minerarie ed alle sue rinomate fabbriche di armi, fu legato da relazioni commerciali con le restanti civiltà del Mediterraneo, in particolare con la micenea che, in quel medesimo scorcio storico, si stava rapidamente sviluppando in Argolide, su rigide impostazioni militaresche.

Il re ittita Khattushili muore intorno al 1250 a.C.: è quasi certamente l'ultimo sovrano di una qualche importanza, sopravvivendogli il potente impero sugli altipiani di pochi anni. Il crollo dovette , infatti, avvenire bruscamente , senza la tradizionale , lenta, agonia. Probabilmente la catastrofe dipese dal violentissimo urto dei 'popoli del mare', o meglio 'de11e terre in mezzo al mare', provenienti da.Il ' Egeo e dalla Grecia00i Tuttavia se la struttura politica degli Ittiti venne fac ilm ente spazzata via ed inesorabilmente cancellata, un diverso destino sembra che arrise alle loro realizzazioni più caratteris tiche : le costruzioni monumentali e le fortificazioni.

Ciò avvenne per la suggestione c h e quelle grandiose muraglie esercitarono sui barbari conquistatori o no n fu piuttosto il risultato del trasferimento dei loro artefici, scampa ti a i massacri ed alle deportazioni?

Forse nelle leggendarie vicende della diaspora troiana si celano l'estrema eco di tale tragico epi l ogo e la remota testimonianza delle migrazioni ad ovest dei sop r avvissuti, verso il centro del Mediterraneo. Del resto prop ri o intorno al 1250 a.C. a Micene, in Argolide, s i iniziò a costruire una nuova cerchia, più bassa ed articolata della precedente, in modo da formare una impre ndibil e c i ttadella, di chiara ispirazione ittita,

imponentemente fortificata, con identiche logich e per nulla anomala all'epoca. Re sta il fatto che, es tintad ' impianto e con id en ti c he tecni c he costruttive. si la c ultura minoica, tante sue peculiarità riaffioraro-

Interludio miceneo

Per molti studios i tra le civiltà ittita e micenea , deve aver svolto aJmeno una funzione di tramite quella minoica che, significativamente, toccò, in quel movimentatissimo snodo storico, splendore e prosperità strao rdinari , esiti di traffici marittimi di inusitata vivacità. La città di Mino sse , Cnoss o< 3 1l, ha tramandato ruderi talmente cospicui da consentire un preciso riscontro della vigente opulenza e raffinatezza s ociale. Paradossal mente, in antitesi con tanta evidente ricchezza, in quei ruderi spicca un ' assenza quasi dovunque priva di analogie, una originale s ingolarità urbanis tica<32> . Tanto l'articolatissimo ed immenso palazzo reale, come l'intera città non mo s trano la benchè minima traccia di strutture difensive! Il fenomeno ci pone di fronte , molto verosimilmente, al più important e aggregato residenziale, di rilevante grandezza, assolutamente aperto. La deficienza, che non può ascriversi ad una aspirazione al martirio dei suoi abitanti, deve necessariamente imputarsi ad una collaudata stima di inviolabilità. Presu nzion e giustificata, nel caso di un ' isola, soltanto dalla disponibilità di una posse nte ed agguerrita flotta.

Comunque non durò a lungo, e la sfarzosa civiltà minoica svanì improvvisamente e trau mati camente, senza alcun malinconico crepuscolo. L'ipotesi p i ù acctedita attribuisce la sua sco mparsa ad un cataclisma, forse ad una eruzio ne apocalittica del vicino Santorino<JJ), forse ad un sisma imman e. Di sic uro la città non fu più ricostruita ed i profughi dovettero riversarsi nella vicina Argolide. La di struzione ed il conseguente abbandono, tuttavia, potrebbero reputarsi anc he l'e sito d i una s pietata conquista, completata dalla deportazione globale della popolazione, prassi

no , se bbene ad uno sta dio più grezzo e primitivo, in quella micen ea, sov rapponendosi alle g ià evidenti connotazioni di matrice ittita. Da qu e l momento: " l ' egemonia passò saldamente ne lle mani degli abitanti del continente. Pers ino la fren et ica opera di costruz ione di edifici monumentali, s ia a Micene s ia in altri siti, denuncia que s to cambiamento. La cinta muraria c he difende la città e la Porta dei Leoni ri salgo no appunto a questo periodo, il XIV seco lo , come pure il palazzo, praticamente di strutto, che si ergeva s ulla cima della collina; e prese ntano tutti ben pochi caratteri minoici. Le mura monumentali , vere costruzioni ciclopiche, se mbrano più vicine alla tradizione hittita c he a quella cretese ... "( 34>

Com e già più volte ribadito , le strutt ure difensive s uppongono , in generale, considerevoli di sponibilità e co nomich e e, in particolare, la costru zione di opere tanto mastodontiche riesce att uabil e so lo in prese nza di una economia florida e con una rile va nte popolazione. Alle s pall e delle cittadelle micenee, in vece, e ntrambe le condizioni non avrebbero dovuto s uss istere : eppure non può di sc onoscers i la ragguardevole ricchez za che se nza dubbio racchiu se ro. A Micene le grandiose tombe real i hanno tramandato s ignificative tracce di tale prosp e rità. Ma la constatazione: " ... lascia insoluto il problema del l'origine deUa ricchezza. Esc ludi amo che proveni sse da bottini di guemt, perchè a Creta regnavano la pace e la se renità; la s te ssa Micene non possedeva grandi risorse e, secondo le tes timonianze fornite da s iti co ntemporan ei, non aveva il pieno controllo della pianura di Argo, che s i estendeva per so li tre nta chilo metri; e inoltre, lontana com'era dalla costa, difficilmente avrebbe potuto intraprendere avventure commerciali marittime, anch e se potrebbe aver tratto qualche modesto profitto dalla propria collocazione s ull'itinerario terre stre che congiungeva Argo e Corinto. L'unica intrepretazione plausibile è che

INGEGNO E P AURA TRENTA S ECOLI DI FORTI FICAZ IONI IN ITALIA

Micene esercitasse sui propri vicini un'egemonia di tipo militare, e che operasse prelievi sulle loro economie ... "( 35)

L'ipotesi, senza dubbio plausibile, non è però certamente l'unica nè la più sensata: l'impressionante grandio sità delle mura di Micene a fronte della ristrettissima superficie racchiusa, e soprattu tto della ricche zza rastrellabile in zona, induce a rigettare il presunto dominio militare. Per questo, infatti , sarebbe stato necessario disporre di un potente esercito, che però non trova un corrispettivo sociale nella cittadella e che, per gi unta, se mai fosse esistito non avrebbe obbligato a fortificazioni tanto poderose. Le notate contraddizioni sembrerebbero, invece, attagliarsi al minaccio so covo di una organizzazione di predoni , in s idiosi ed aggressivi, ed invuln erabil i so lo all'interno di cittadelle ostentamente mastodontiche ed eloquentemente inespugnabili per la conduzione bellica dell'epoca. E che s i paventassero assedi piuttosto lunghi , ovvero miranti alla resa per fame o sete, lo dimo stra no i complessi lavori finalizzati a garantire l'autonomia idrica, di cui più innanzi forniremo brevi ragguagli. Le ricchezze micenee , quindi , sarebbero non d'origine commerciale nè impositiva ma razziatoria, forse piratesca, attività del resto ali' epoca perfettamente lecita e non disdegnata da alcun mercante propriamente dettd 36J: la distanza dal mare, peraltro relativa , sarebbe stata allora una ulteriore misura difensiva. Le vittime, infatti, quand'anche temibili talassocrazie, non avrebbero potuto facilmente investire quelle cittadeJle appollaiate s ulle aride ed impervie colline interne dell' Argolide. Comunque, per 20 Micene, la porta dei Leoni lo sviluppo della pirateria occorreva la pratica del mare e, non a caso, i Micenei si confermarono provetti navigatori e trafficanti, capaci di spingersi persino al di fuori delle Colonne d'Ercole.

La metà del II millennio a. C. segnò il trionfo del commercio interno mediterraneo, contraddistinto dal

moltiplicarsi degli scali, degli empori, dei depo iti e so prattutto delle colonie, lun go il perimetro costiero. Le rotte reg i strarono un visto o incremento per ampiezza e numero, co n un infittirsi della loro tram a. In alcuni casi è persino se nsato parlare motivatament e di linee commercial i regolarmente percorse e gestite. Ed i Micenei furono tra i migliori operatori de l settore, come notificano le tante indicazioni archeologiche. Nella storia dell' Argolide e d ei s uoi primitivi ab itanti il rapporto con il mare, del resto, era b asi lare, non os tante l ' in co nsistenza del suo litorale.

Dal punto di vista geografico la regi one è una piccola pianura vagame nte triangolare, con il lato maggiore pari a 21 km ed una costa sviluppata per 14. Una se rie di brulli i olotti le fa da contorno, proteggendone g li approdi sa bbios i dall e intemperie, fornendole co ndiz ioni ideai i per una marineria arcaica. Una catena di montagn e circonda la piana e la separa dal re s to della penisola: i pochi passi che le attraversano risultano ard ui e scosces i e quindi, di in significante valenza militare. Scars iss ima l'acqua e pe r conseguenza misera e tentata l 'ag ricoltura , fattore ulteriormente in ce ntivante il co mmercio e le vie d e l mare. Nessuna m e raviglia, pertanto, che i rapporti tra i Mi ce nei e le altre genti del M e diterran eo: " ... in un primo tempo s p o radici, divennero in seg uito reg o lari e semp re più s tretti. L'intero ambiente socio-cu lturale ne venne ad essere presto modificato , oprattutto pe r il progressivo rafforza rs i dei ce ntri co mmerciali: Tirinto , s ulla costa, e Mice ne , nel punto di passaggio verso la regione di Cori nt o, iI Peloponne o se tt e ntrionale e la Grecia co ntin e ntal e. Il predominio finale di Mi cene era già da quel momento prevedibile: Tirinto seg nava il lu ogo d'arrivo dei trasporti marittimi , ma Mic e ne co ntrollava in più le rotte terre st ri e l'int e rn o del paese... " m 1 •

Circa le fortifica z ioni, la c ittadella di: " Micene sorge su una coWna relativamente bassa (278 m ); intorno ad essa s i is tallò l'abitato ... le prime vestigia

imp or tanti , alcuni muri e so prattutto la necropo li, che si es t e nd e ad Ovest ai piedi dell ' a llura... appartengono alla metà del li millennio prima d ella nostra era .... La prima ci nta muraria fu cos truita verso il 135 0 a.C. , ma la forma c he essa prese nta attualmente non risal e c h e a l 1200 a.C. ci rca. Durante questo periodo, Micene fu la sede dei potenti sov rani de ll a reg ione Gli scavi mo s trano che fino al 1200 a.C. circa Micene non fa che accrescere ed esten dere la sua pot e n za. É a quest'epoca c he bisogna co llo care il fatto s torico (a ai probabilm e nte un te ntativo di in se diamento perman e nte sulle coste nord-occidentali dc li ' Asia Minore) c he sta all'origine dei poemi epici s ull a g uerra di Troia... Il livell o di v ita si abbassa a po co a poco, l'influenza es terna di Micene decre sce, e verso il llOO a.C., la s ua acropo li è preda delle fiamme: v iene allora abbandonata e le su e cost ru z ioni cro llano. M a il luogo non cessa tuttavia di essere abitato da alcuni di sce ndenti degli antichi Micene i e dai nu ovi ve nuti, i Dori ... I bastionj sop ravv i ssero. Nel 468 a.C. g li Argivi si impadronirono dell'acropoli e ne distru sse ro le fortificazioni in vari punti; ma le ripararono al momento cli fondare, nel III seco lo , una nuo va borgata, che coprì l ' intero spaz io fortificato e le sue immediate adiacenze. Questo villaggio durò fino al per iodo romano , ma non fino al t e mpo di Pausania (Il secolo d.C.), la cu i de sc rizione è i-ultima informazion e che po ssediamo s u Mi ce ne, prima che il s ito venga ris co perto ... [ali' I inizio d e l XIX seco lo ...

Ad eccezione di tre punti, in c ui i bas tioni furono dis trutti dagli Argivi, e più tardi riparati, le mura so no nel loro in s ieme micenee , e costruite con due spec ie di mater iali: la Po rta dei Leoni. la Porta Nord e un agg e tto in forma di torre d el bastione s ud-e st... cos t ano, in facciata , di g randi blocchi di conglomerato, tagliati abbastanza rego larment e a mezzo di sega, e dispo s ti seco ndo un apparato pseudo -i so d o mo ... Il resto dell a fortificazione è fatto di grossi blocchi di pietra non lavorati, lasc i ati così come sono s tati estratt i dall e cave, più grandi nei du e paramenti d e l muro che nel

I NGEGNO E PAURA TR ENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN. ITALIA

ri empimen to di esso, e i blocchi s i adattan o esa ttam e nte l'un l'altro o , più spesso , la sciano dei vuo t i colmati con picco le pietre (tecnica ciclopica)

La costru zio ne della ci nta dell ' acropol i risale a tre diversi periodi: le mura più antiche (del 1350 a.C.) c in gevano so lo la sommità della co lli na ... Una nu ova cinta ... fu costrui ta più in basso, ad O ves t e a Sud, con la p01ta dei Leoni ... (1250 a.C.). Un poco più ta rdi (1200 a.C.) s i demolì la stretta fascia nord -orientale delle fortificazioni per costruire un nuo va muragli a ... che racc hiude va la fontana sotte1Tanea d ell'acropoli. Con queste diverse aggiu nte, la s up erfic ie fortificata raggiunse i 30 . 000 mq, racchiusi entro un muro continu o di 900 metri circa, co nse rvato al giorno d'oggi pressochè per intero ... [Lo] spesso re medio [delle mura è] di 5,50-6 metri in nessun punto hanno co nservato la loro a ltezza tota le: si igno ra dunque l' aspetto della sommità delle mura; queste erano assai probabilmente costruite fino in cima nel medesimo modo ... lsenza] un coronam ento in mattoni, nè una me rla tura ... " < 3si Mura quindi di sei metri di s pessore e, forse , di una dec in a di altezza , con co nci di varie tonne llate c ia sc uno, perfettamente in castrati fra loro.

21 Tirinto: le cas amatte Intuibil e la saldezza de ll'oper a , co nferma ta del resto dalla sua stupefacente conservazione. Ma intuibile pure la g rav osità dell a costruzione p er una c ivilt à asso lut ame t e priv a d i s upp or ti tec ni c i adeguati , a l di là di sempli c i leve e rulli. E se, a d un certo momento, s i ravvisò la necessi tà di inglobare, ampliando con oneri immaginabili la cerc hia , un a piccola vena d 'acqua, sgorga nt e alla consi derevole profondità di 18 m, è agevole co ncludere che so lo quell a care n za metteva a rep entag lio la res istenza d e lla c ittadella. Ed è forse qu es t a la più eloquente testimonianza di os tinati investimenti oss idian ali non gi u st ificati dalla s u a mode s tia ma d a ll a necess it à di reptim e rne g li affronti.

Se le fortificazioni di Micene i mpress ionano per la loro imponenza quelle di Tirinto , non a caso l'omeri- 22 Pl a nim e tri a

GLI
ARCHETIPI
O 10 20m
mura di Ti rin to
I NGEGNO E PA URA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI r:,;, !TALIA
ticostruzione mura di Tirinto

ca 'città delle mura'. si dimostrano ulteriormente più grandiose e più complesse a riscontro del maggior rischio derivante dalla vicinanza del mare. La cittadella, infatti: " ... costruita a Km 1,5 dalla costa, su una collinetta rocciosa isolata, lunga stretta e bassa, di circa 20.000 mq, si innalza 18 metri al di sopra della piana circostante... la tradizione ammetteva che ... fosse stata costruita due generazioni prima di Micene, dato che è convalidato dai risultati degli scavi ... [i quali hanno anche] provato che alla fine dell'epoca micenea, l'intera acropoli, devastata da un incendio venne abbandonata. Sulle sue rovine venne costruito ... run] abitato, ma senza mai recuperare lo splendore di un tempo

Le prime costruzioni (case di un villaggio ... ) risalgono al 2500 a.C. circa, ma la prima cinta muraria venne costruita un pò dopo il 1400 a.e Cento anni più tardi, il dispositivo dell'entrata est venne modificato. il bastione rinforzato, e venne inglobata entro la cinta una regione abbastanza vasta. quella del pianoro intermedio. La configurazione finale del sito risale tuttavia a poco prima del 1200 a.C.: l'ingresso est fu reso veramente inespugnabile, e sul lato opposto venne costruito il muro curvo del bastione ovest; lo spessore delle mura sud venne ugualmente rinforzato, e il pianoro in feriore lungo e stretto, venne incluso nel perimetro fortificato, esteso ormai ali' intera collina, fa tt o che assicurò l'approvvigionamento idric o della piazzaforte . .. " 139>

Nello stesso periodo storico, quindi. anche a Tirint o si opta per un ampliamento delle ci nt a onde assicurarsi l'autonomia idrica: segno che la pressione dei nemici non era sporadica o localizzata ma generalizzata contro tutte le cittadelle micenee, con procedure d'assedio identiche. Continuando nella descrizione delle carntteristiche strutturali delle fortificazioni di Tirinto, l'entrata:" .. . principale della cittade lla è situata ad Est. Essa è preceduta da un'enorme rampa ciclopica, di metri 4.70 di larghezza, più lunga in epoca micenea

che al giorno d'oggi. Al tennine della rampa si gira destra, per superare un varco aperto, che aveva in origine la stessa larghezza della rampa ... e ci si trova in uno stretto passaggio tra il bastione esterno (del terzo periodo) e il bastione interno (il più antico, del secondo periodo). Esso porta, a Nord, alla spianata più bassa e , a Sud, alla porta principale dell'acropoli, che rassomiglia per disposizione, dimensioni e svariati dettagli, alla Porta dei Leoni di Micene ... Dopo la porta, il passaggio si fa più largo, supera una porta ancora: è l'antica entrata del secondo periodo, mantenuta come sussidiara nel terzo. Non ne restano che alcune pietre della fondazione della soglia. Si arriva così a un piccolo cortile a cielo aperto ... Si raggiunge quindi un corridoio ... largo metri 1,65 appena, con copertura di blocchi aggettanti, una delle famose gallerie di Tirinto ... nelle mura stesse. che toccano in questo punto uno spessore di 11 metri comunica con una serie di casematte quadrangolari che misurano metri 4.30x3.30 ugualmente coperte con blocchi aggettanti "Hm _

Pur non trovandoci nelle fortificazioni micenee dinanzi ad alcuna assoluta novità architettonica, in quanto tutti gli elementi adottati , dalle feritoie agli aggetti, dalle torri alle porte compartimentate, dalle mura megalitiche alle casematte, appartengono al repertorio anatolico-ittita, è nel loro surdimensionamento ed esasperata ridondanza, che se ne coglie l'inedita portata. Sembrerebbe quasi che una cultura non particolarmente evoluta in alcun settore al di fuori dell'arte della guerra abbia tentato di imitare, ampliandole a dismisura e moltiplicandole, soluzioni osservate durante le sc01Terìe, senza essere peraltro capace di coglierne a pieno i limiti e le valenze. 11 che dà origine all'incomprensibi le, spropositato, incremento delle resistenze passive, ben al di là di qualsiasi concreta esigenza con inserimento cli espedienti di interdizione attiva, non semp re esattamente dimensionati ed ubicati. L'insieme è, per molti versi, un vistoso an·etramento rispetto ai livelli ittiti, per molti a lt ri, invece, una

Gu ARCHETIPI

suggestiva rielaborazione amplificativa. In ogni caso l'architettura militare micenea non può definirsi una tappa evolutiva ma , piuttosto, una fase divulgativa e diffusiva, un tramite culturale tra est ed ovest.

Il dettaglio delle cosidette casematte di Tirinto, sebbene già larvatamente presente in cerchie ittite, è forse il criterio più interessante, e più innovativo, dell'intera concezione micenea. Si tratta di piccoJi locali destinati a consentire l'utilizzo delle feritoie verso l'esterno, praticate lungo il muro perimetrale , che, per il suo abnorme spessore, circa m 17 nel lato meridionale, sarebbero altrimenti risultate inefficaci consentendo il tiro appena su di un insignificante settore. Il che costituisce un primo chiaro riscontro della subordinazione di una fortificazione alle esigenze delle armi in dotazione ai difensori. Ad una identica finalità del resto sembrano potersi ascrivere le numerose riseghe che scandiscono il perimetro della cerchia di Tirinto, già sporadicamente presenti in quella di Troia, compatibili soltanto con un tiro di fiancheggiamento dal) ' alto.

Un'ultima osservazione si può compiere a carico della curiosa protuberanza curvilinea che: " ... inglobò la fronte a riseghe delle mura, tagliando un piccolo sentiero che sali va verso la torre. Al posto del sentiero, venne costruita, all'interno del bastione un'ampia scala di pietra La postierla, di metri 1.50 di larghezza, si apriva di sbieco rispetto alla cinta, a forma di feritoia: la sua volta a blocchi aggettanti era molto più larga ali' interno che all'esterno, e non comportava una porta per la chiusura. Tale dispositivo riduceva il numero degli assalitori, mentre permetteva a un numero abbastanza grande di difensori di fare loro fronte. I nemici che riuscivano ad infiltrarsi erano costretti a salire la scala tra le due linee di fortificazione, quella interna e quella esterna, attaccati su tutti i lati. Ed anche se raggiungevano la torre, il fossato, senza il tavolato che doveva normalmente ricoprirlo , tagliava defi-

nitivamente la loro avanzata " < 4 1> Il dettaglio di questo arcaico dispositivo ostativo, che in pratica equivale ad un ponte levatoio , completa il quadro innovativo ed integrativo delle fortificazioni di Tirinto.

Una particolare tecnica costruttiva s i ravvisa nelle cittadelle micenee, e nei coevi mausolei funerari: la cosidetta tholos, o falsa volta, a conci sfalsati e progressivamente aggettanti. Rappresenta una soluzione di grande semplicità e solidità per la copertura di vani non eccessivamente ampi. Dal punto di vista strutturale non è affatto assimilabile alla volta propriamente detta, riuscendo stabile staticamente per la massa dei conci, e quindi in ogni fase della esecuzione, e non dinamicamente solo alla sua ultimazione per il loro reciproco contrastarsi; perciò, a differenza della volta, non richiede alcuna centina<42> La tholos costituisce un ottimo indicatore di paternità inventiva poichè, non fornendo l 'esatta soluzione per le coperture, la sua adozione rimase limitata al solo ambito culturale originario. Avremo, infatti, modo di rintracciarne la presenza in altre opere difensive , di là a qualche secolo, in altre regioni del Mediterraneo , ed in particolare in alcune aree della nostra Penisola, significativo indizio di intensi contatti con i Micenei. Va comunque precisato che quelle prime frequentazioni non andarono oltre l'instaurarsi di modesti avamposti mercantili , senza mai originare vere e proprie colonie che nasceranno solo molto più tardi, soprattutto per iniziativa delle 'poleis' greche. Del resto la testimonianza esplicita dei rapporti annodati dai Micenei , non limitati alla sola componente materiale, insiste su due ordini di riscontri: di natura storica documentale e dì natura archeologica. Entrambi confennano la loro intraprendente presenza in ogni angolo del Mediterraneo, e probabilmente anche fuori, dalla remota Gerico alla costa spagnola, fino alla Gran Bretagna. É pertanto presumibile che in quella fitta trama dì scambi si verificassero anche trasferimenti di tecnologie e di maestranze spe-

INGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZ IONI IN ITALIA

cializzate, in grado di fornire ovunque le rispettive competenze, prime fra tutte quelle inerenti la produzione metallurgica e fortificatoria.

E proprio circa una larvata finalità deterrente delle fortificazioni micenee va precisato che anche in questo caso non ci troviamo di fronte ad una assoluta novità, ma semplicemente all'esasperazione di una già sperimentata intuizione. La salda staticità delle loro cittadelle ci appare, ad oltre tremila anni di distanza, in tutta la sua severa fierezza architettonica, quasi immune dagli sconvolgimenti naturali e da quelli antropìci, ancora più devastanti.

La stessa rozza ed approssimata squadratura dei giganteschi conci risponde ad un sottile calcolo psicologico finalizzato ad intimidire i potenziali aggressori, e non già ad una presunta imperizia dei costruttori, smentita ad esempio dall'indubbia maestria riscontrabile nel fregio del triangolo di scarico della porta dei Leoni di Mi cene. L'ostentazione di tanta ciclopica solidità, serviva, più dei mostri terrifici ai fianchi delle porte ittite, ad incutere una sorta di timore reverenziale inibente, e costituiva una antesignana manifestazione del mostrare la forza per non doverne fare uso. La vale nza di ssuasiva di un dispositivo militare potrebbe trovare allora la sua origine. Del resto non si può evitare , analizzando queste fortificazioni, di scorgervi un s urdimen s ionam en to caricaturale, da teatro tragico, truce ed apparentemente superfluo, destinato ad essere divulgato piuttosto che nascosto, fenomeno questo tipico delle città mercantili a rilevante frequentazione straniera.

Dalle pagine della Bibbia apprendiamo che il fattore deterrenza di una fortificazione non era affatto all' epoca una componente ignota, pur non essendo consapevolmente perseguito. La visione sulle alture della Palestina delle rozze e massicce cittadelle cananee atterrisce gli Ebrei di Mosè, inducendoli a desistere dall' affrontarJe l43 > _ Occorrerano ben 40 anni di assuefazione a quella visione inibente perchè si decidano ad assalirle. Con i Micenei, proprio quell'effetto collaterale sembrerebbe volutamente e sapientemente ricercato ed esasperato.

Il fascino tetro dell'architettura micenea si protrasse ben oltre la breve stagione dello splendore della civiltà che l'aveva generato, e le sue suggestioni come accennato vennero diffuse dall' intraprendenza stessa dei suoi mercanti, in particolare, verso le coste italiane.

Il ritmo di intensi scambi materiali ed intellettuali stabiliti dai Micenei cessò improvvisamente intorno al XII sec. a C. sotto l'urto dei 'popoli del mare'. La sostanziale unità, sia pure a livelli estremamente diversificati, delle culture mediterranee si frantumò e si spezzettò in tante piccole compartimentazioni stagne ed un lungo 'medioevo' si abbattè sull'area, protraendosi almeno fino all'VIII-VII sec. a.e. Questo periodo di prolungato isolamento permise, però, l'evolversi, partendo dai comuni archetipi difensivi, di impostazioni architettoniche diversificate. Alla ripresa delle relazioni, oltre ad un raffronto dei risultati conseguiti, avverrà anche una selezione degli stessi, a favore dei migliori.

GLI ARCHETIPI

N OTE CAPITOLO PRIMO

1 Cfr. B. GILLE, Storia delle tecniche, Roma 1985. p. 86.

2 Da V. G. CHILDE, Il progresso nel mondo antico, Milano 1973, p. 50.

3 Da V. G. CHILDE, Il progresso , cit., p. 51.

4 Da F. BECCA RJ A, Le antiche c iviltà del Vicino Oriente , Perugia 1979, p. 61.

5 Da J. G MACQUEE N, Cli Itti ti: un impero sugli altipiani, Roma 1978 , pp. 13-14.

6 Da J. MELL AART, Dove na cq ue la civiltà, Roma 198 I, pp. 15-16.

7 Da J. M ELLAART, Dove , cit., p. 19.

8 Cfr. K. F. ALLAM, C. LETTIS, Lo spazio europeo dell'islam , in , La città e il sa c ro, a cura di F. CARDINI , Milano 1994 , pp. 291-294

9 Da J. G. M ACQU EEN, Gli Ittiti , c it. , p. 15.

10 Da J. G. M ACQUEEN, Gli Ittiti ... , cit., p. 16.

"Da J. G. MACQUEEN , Dove nacque , cit., p. 44.

12 Da J. G. MA CQUEEN, Do ve nacque..., cit. , pp. 47-48.

11 Cfr. S. LAUFFER, Le condizioni di la voro degli schiavi minatori, in Schiavitù antica e moderna, a c ura di L. S1CHIROLLO , Napoli 1979, p. 97.

1 • Cfr. E. BERNARDTNI, Guida alle civiltà megalitiche, Bolog n a 1977, pp. 22 -2 5.

15 Così N. DAVEY, Storia del materiale da costruzione, Mil a no 1965, pp. 33-36 , descrive la preparazione de i blocchi di fango e quindi dei mattoni: " L'agg iunta di pezzetti di paglia, di e rba o di a ltre fibre vegeta li non servì solo a dare maggiore coesione al materiale, ma a facilitare l'e va porazione dell'umidità interna ed a di s tribuire più uniformemente la fessuraz ione [ Per le costruzioni in blocchi di terra] il procedimento era il seguente: ven ivan o impastati in sieme fango e paglia spezzettata, si no a ottenere una poltiglia plasmabile, con cui venivano formati dei blochi allungati di forma «pianoconvessa» T blocchi, esposti a l so le per divers i giorn i, venivano poi voltati sull'a ltro lato ancora per qualche giorno ed infine posti in opera. Success ivamente venivano battuti e sc hiacciati s ino ad ottenere una massa compatta e stabi le, a cui era applicata una rinzaffatura di fango Nel 4000 a.e. in Mesopotamia veniva no generalmente usati dei mattoni rettangolari, modellati in stampi, di cm. 40x20x5; le dimensioni tuttavia variavano notevolm en te da luogo a lu ogo. Ne l 3000 a.C. c irca, venivano pure usati mattoni di dimensioni inferiori , non realizzati in stampi, ma modellati a mano , di cm. 20 o 22xl0x7 [gli attuali sono 24xl2x7 n d. A] li procedimento di fabbricazione era il seg uente: s i di s poneva del fa ngo in uno stampo rettan golare e, con le mani, si arrotondava la superficie este rn a, in modo da ottenere un matton e dalla s uperficie inferiore piana e da quella sup er iore rotonda o convessa... " .

16 Da D. ADAMESTEANU, Quadro storico delle fortificazioni greche della Sicilia e d ella Magna Gre c ia. in, La Fortiflcation dans I'histoi re du monde g rec, a cura di P. LERICHE e H. TREZINY, Pari g i 1986, pp. 106-107 .

17 Da ERODOTO, Le Storie, lib. I, 179, traduzione a cura di P. SGROJ, Napoli 1968, voi. 1, p. 154.

18 Da S. MOSCATI, Anti chi impe ri d 'Ori ente, Roma 1978 , p. 67.

19 Già Erodo to aveva al riguardo ricordato che per la costruzione della grande piramide erano s tati impiegati 100. 000 operai per circa una ventina d ' anni, se nza fare alcun riferimento alla loro pre sunta condizione servile. R. J. FORB ES, L'uomo fa il mondo, Torino 1970, pp. 55 -56, a sua vo lta precisa che:" ... i lavoratori non erano tutti sch ia v i, ma per la maggior parte artigiani e co ntadini: ques ti ultimi lavora vano in pagamento delle ta sse durante il periodo de ll 'inondazio ne, quando il lavo ro ne i campi era impossibile ".

20 Cfr. L. FIORE, La co ndizione dello s chiavo ne ll'antichità classica, Tera mo 1968 , pp. 7-23; cfr. Y. GARLA N, Guerra, pirateria e schiavitù nel mondo antico, in, La schiavitù nel mondo antico, Bari 1990, pp. 3 -26.

21 Cfr. J. HARMA ND, l'arte della guerra nel mondo antico, Roma 1978 , pp. 25 -35.

22 Da J. HARM AND, L 'a rte ... , c it. , p. 28.

n Cfr. J. G. MACQUENN, Gli Ittiti , cit. , pp. 40 -55.

24 Da S. MOSCATI, Antichi imperi , cit. , pp. 158-159.

25 B. GI LLE, Storia ... , c it. , pp . 134- 135 , ricorda ch e:"... l' ute ns ileria della Mesopotamia è altrettan to limitata di quella de ll'Egitto della stessa epoca Quest'attrezzatura, come l'armam e nto , si è modificata molto poco , anche pa ss ando da un metallo a un altro. Come in Eg itto la macchina è praticamente sco no sc iuta ai mesopotami. Conviene tuttavia segnalare. nel macchinario bellico, g li arieti, di cui pos se diamo rappresentazioni figurate ant iche... ".

26 Per una s intetica descrizione d e ll e mura di Costantinopoli prima della conquista turca cfr. F. RUSSO , Guerra di Corsa, Roma 1997, tomo I , pp. 26 -38.

INGEGNO
I
E PA URA TRENTA SECOLI DI FORTIFIC AZION
IN ITALIA

Gu ARCHETIPI

21 Da J. G. MACQUENN, Gli Ittiti , cit.. pp. 113-115.

28 Da H. W. MuLLER, Architettura dell'Antico Egiuo, in , Storia Universale dell'architettura-Architettura mediterranea preromana, a cura di P. L. NERVI , p. 159.

29 Da J. G. MACQUENN, Gli Ittiti... , cit., pp. 115-116.

1° Così a l rigua rdo G. BIBBY, Quattromila anni fa, Milano J976, pp. 292-293: "T popol i del mare sono un mistero. Nei documenti egizi vengono descritti dettagliatamente, chiamati per nome e persino illustrati. L'e lenco dei popol i non è sempre lo stesso per tutte le invasioni, ma comprende nazion i chiamate teresh, meshewesh , shardana, shekeles h, akaiwash, da iniuna, e pe leset. Vì sono buone ragioni per credere che siano i popol i p i ù tardi noti come etruschi, massi loti, sardi, siculi, achei, danai e filistei, stabili in tempi storici rispettivamente in I ta lia, T u nis ia, Sardegna, Sicilia, Grecia. e Palestina. Ma è improbabile che all'epoca degli attacch i a ll'Egitto tutti questi popoli fossero già stanziati nei paesi i n cui li troviamo in seguito e ai quali in molti casi diedero il nome T documenti egizi affermano che in alcune invasioni recava no seco le famiglie e gli averi, in altre parole che migravano. Ed è probabile che g li attacchi all'Egitto facessero parte di u n movimen t o migratori o che a ll a fine li portò alle terre dove li troviamo più tardi Ma di dove venivano? Un cert o numero di testimonianze in dicher ebbe l 'As ia M i nore occidenta le e l a Grecia, con la riserva che non pare s iano rimast i a l u ngo in questi luoghi ... ".

3 1 Cfr. L. R. PALMERE , Minoici e micenei, Torino 1970, pp. 126-166.

12 É probab il e che anche Tebe all'epoca de l suo massimo sp lendo r e non fosse circondata da mura , ritrovandosi al centro di un grand ioso i mpero dotato d i notevoli forze militar i. Per le sue caratteristiche urbane cfr H. W. MULLER, Architettura de/l'Anrico Egitro , cit. , pp. 130- 160

n M. S1NCI.AIR , F. Hooo, L 'e ruzione di Santorino, in, Le grandi svolte della storia, a cura di S G. F. BRANDON, Verona 1974, p. 36-37, così ricostruiscono la vicenda:" ... sembra che il cataclisma del 1450 a.C., quello di Santorino, abbia avuto proporzioni anche maggiori. Fra quest'iso la e la costa settentrionale di Creta ci sono poco più di una settant i na di miglia di mare aperto: l'impeto dell'esplosione deve perciò aver investito non so lo le popolose città del litorale cretese. ma anche gli insediamenti dell 'e ntroterra. A quell'epoca Samorino era di forma più o meno circo l are con a l centro il cocuzzolo del vulcano: oggi dopo l 'esplosione, non ci sono che due isolotti, due strisce di terra, arcuate e dal profilo frastaglia t o, poste una di fronte ali' altra. Come nel caso del Krakatoa, il crollo del cono vulcanico provocò un maremoto le cui ondate devono aver raggiunto l'altezza di una cinquantina di metri: abbattendosi sulla costa cretese, esse certamente distrussero que llo che r imaneva in p iedi "

:14 Da D. H. TRUMP, La preistoria del Mediterraneo, Vicenza 1983, p 174.

1 ; Da D. H. TRUMP, La preistoria , cit., p. 175

16 Y. GARLAN, Guerra e società nel mondo amico, Imola 1985, pp. 29 - 30, r icorda che:''nelle società antiche, abituate alle guerre privare , la p irateria non era affatto disprezzata l n pa rt icolare ai tempi di Omero e pe r fino p i ù tardi, in epoca arcaica, era diffici l issimo distinguere i merca nt i dai pirat i: era questo il doppio fondamento della reputazio ne de i ta f i e dei fenici nell'Odissea. nonchè dei focei che solcaro no il Medi t e rraneo occidentale durante il VI secolo coi vasce ll i da g ue rr a da ci nq uan t a rematori ".

-' 7 Da S. E. lAKOVIDIS, Micene - Epidauro -Argo -Tirinto -Nauplia, Atene 1981, p . 14.

38 Da S. E. lAKOVIDIS, Micene , c i t., pp. 21-30.

-''J D a S. E. lAKOVIDIS , Micene .. . , c it., p. 9 1.

0 D a S. E. lAKOYIDIS, Micene , c it., pp. 91 - 96.

• 1 D a S . E. IAKOVIDIS, Micene .. . , cit., p. 103 .

42 C irca la tholos o pseudo -cupola nell'a rc hi tett u ra micenea cfr. R. M ARTIN, Archilel/ura greca, in, Storia Universale , cit. , pp. 214 -223.

41 BTBBT A, Numeri, 13 .28 .

CAPITOLO SECONDO

Le prime Fortificazioni in Italia

Passaggio ad ovest

L'es tinguers i degli ultimi incendi nelle ormai de se rte cittadelle mic e nee , distrutte dai Dori aggressori, se da un lato costituì il brusco svanire di quella dinamica civiltà dall'altro fu l'istante genetico del riaffiorare della stessa nei territori fino ad allora frequentati so ltanto dai s uoi intraprendenti mercanti. Infatti, il suo collasso: " verso la fine del seco ndo millennio, non lasciò il vuoto assoluto. Scomparvero, è vero, re e palazz i , crollarono le attività commerciali, che essi avevano favorito, sco mparve anche la scrittura ma nelle campagne le condizioni di vita, pur precarie, erano indubbiamente migliori... Ben presto iniziò una graduale rinasc ita, con una notevole ripresa demografica Le uniche alternative erano rappresentate dall'inedia e dall'emigrazione ... Probabilmente la civiltà conobbe un declino improvviso, ma la cultura materiale ne risentì molto meno di quanto solitamente si creda... Non disponendo di risorse minerarie interne, i Micenei importavano tutto il bronzo del quale si servivano: ora questo veniva loro negato, ma questo grave inconveniente sortì un effetto positivo, poichè furono costretti a rivolgere la loro attenzione alla metallurgia del ferro, i cui minerali erano molto più diffusi ... La civiltà micenea fu decapitata; ciò, inevitabilmente fatale per un organismo vivente, poteva risultare per una società, sul lungo periodo, addirittura vantaggioso ... " <11 • Ed il prodromo della rigenerazione fu il dilagare in ogni possibile direzione dei superstiti. Non a caso, come accennato, mentre il lungo periodo posteriore a quella traumatica eclisse viene definito 'medioeveo ellenico', per i tanti esuli, fortunosamente scampati si parla di diaspora micenea. Ed ovviamente di tali immigranti proprio in Italia, la sponda contigua e conosciuta, si rin-

tracciano le testimonianze più abbondanti ed esplicite, ben distinte, per entità e varietà, dall e più antiche e marginali dei loro antenati commercianti.

Per quanto , infatti, è stato ormai assodato dall'archeologia gli antesignani contatti del mondo miceneo con la Penisola sembrano rimontare ad almeno quattro secoli prima. Le fasi salienti, per grande s intesi: " . .. della storia dei rapporti fra Egeo e Italia dall'inizio dell'età dei metalli possono essere schematizzati come segue: 1) Contatti della prima età dei metalli e dell' inizio dell 'età del bronzo (fino al XVII sec. a.C. almeno) probabilm e nte determinati dalle ... ricerche di metallo. Ci fu sic uram e nte anche movimento di nuclei etnici farse più dall'Anatolia che dalla Grecia 2) Nel corso del XVI sec a.C. si stabilisce una continuità di traffici fra mondo miceneo ed Italia che si mantiene fino alla metà del XIII sec. a.C. senza sol u z ione di continuità nè modificazioni sostanziali 3) Dopo la metà del XIII sec. a.C. i traffici con le Eolie e con la Sicilia divengono estremamente rari fino a cessare del tutto. Però , anche se mancano le importazioni, in Sicilia fiorisce una cultura, quella Panta Iica , che denuncia il forte influsso miceneo che concorre alla sua formazione. La Puglia invece mantiene rapporti con la Grecia che conosce l'ultima fase della civiltà micenea. " < 2 •

Per meglio valutare il ruolo giocato dalle ricerche minerarie, dell'ossidiana prima, dello stagno e del rame, poi, nelle frequentazioni micenee è interessante ricordare che proprio in base alla lavorazione del bronzo il secondo millennio è cronologicamente così suddiviso:

età del bronzo antico, dal 1800 al 1500 a.C. medio, dal 1500 al 1300 a.C. recente, dal 1300 al 1100 a.C.

finale, dal 1100 al 900 a.e.

Sempre al riguardo, è plausibile suppolTe ancora che soltanto una tecnologia avanzata fosse in grado di procedere alle introspezioni ed alle coltivazioni dei giacimenti , impiegando gli indigeni al massimo come manovalanza. Così pure, per le difficotà connesse con il traspo110, la lavorazione dei metalli si effettuò presso le miniere, caricandosi sulle navi lingotti già raffinati '-11, procedura che suppone la creazione di centri metallurgici di discreta rilevanza e stabilità. Logico, quindi, che in corrispondenza dei bacini minerari gli influssi micenei, indispensabili per la realizzazione delle sia pur rudimentali infrastrutture e difese, fossero sin dall'avvento dell'attività particolarmente cospicui, introducendo soluzioni costruttive precipue e facilmente identificabili.

A confortare la tesi del movente minerario, e delle accennate conseguenze, basterebbero le connotazioni geologiche dei siti notoriamente più frequentati , quali le Eolie, abbondanti di ossidiana(4 > , e la Toscana, a sua volta rinomata per l'allume">, e soprattutto la Sardegna, ricca certamente di ossidiana (6> , ma anche e soprattutto di rame. É significativo al riguardo ricordare che in quest'ultima: " ... la ricerca si estese sino ai giacimenti del'intemo dove la miniera di Funtana Raminosa-Gadoni sovrastava le altre per valore. Qui i filoni di calcopirite m furono fatti oggetto di esplorazione diffusa lungo la valle del riu Saraxinus. Strumenti di scavo e di lavoro in pietra furono trovati sul posto A bocca di miniera si osservano rifiuti di fonderia ... Dell'attività metallurgica costituiscono documento importante lingotti di rame di forma grande e pesante a profilo di pelle di bue ... alcuni dei quali sono marcati con segni dell'alfabeto cipro - miceneo ... Lforse] prodotti da ramai locali, con la supervisione di esperti di un centro propulsore mediterraneo orientale ... "< 8>

Dalle fonti letterarie, tuttavia , gli ante s ignani stanziamenti di Elleni s ulla Pe nisola sembrerebbero riconducibili ad iniziative precoloniali , sebbene la loro dinamica attuativa appaia fin troppo simile a quella verificatasi quasi otto secoli dopo, per riuscire completamente credibile in quanto tale. In ogni caso, una fase di precolonizzazione è ormai ampiamente accettata dai maggiori studiosi del settore. Stando. allora, alle pagine di Dionisio di Alicarnasso, a sua volta divulgatore di una tradizione più antica e scontata, gli: " ... Arcadi. primi tra gli Elleni , attraversato l'Adriatico si stanziarono in Italia, condotti da Enotro, figlio di Licaone, nato 17 generazioni prima della gue1Ta di Troia. Era con lui Peucezio, uno dei suoi fratelli. Lo seguivano molti compatrioti, e quanti tra gli altri Elleni non disponevano di terre a sufficienza. Peucezio dunque sbarcò al di sopra del promonto1io Iapigio , nel primo luogo d ' Italia dove avevano toccato terra, e vi fece stanziare le sue genti: e da lui gli abitanti di quella regione presero il nome di Peucezi. Enotro invece, portando con se la maggior parte della spedizione, giunse all'altro mare , quello che bagna le regioni occidentali d'Italia. Questo si chiamava allora Ausonio , dagli Ausoni che abitavano sulle sue rive; ma dopo che i Tirreni stabilirono la propria egemonia marittima prese il nome che porta tuttora.

E trovate colà molte terre adatte sia al pascolo che alle colture agricole, ma per la maggior parte deserte , e poco popolose anche quelle che erano abitate, ne liberò alcune dai barbari, e fondò sulle alture piccoli centri abitati vicini gli uni agli altri, secondo la forma di insediamento consueta tra gli antichi. E la regione occupata, che era vasta, fu chiamata Enotria, ed enotrie tutte le genti su cui egli regnò ... " (9i

Stando a quanto citato, e valutando cronologicamente l'ammontare di 17 generazioni, l'episodio tratteggiato si collocherebbe intorno al 1600 a.C., età del bronzo medio. In tale scorcio storico un nutrito sciame di Elleni, effettivamente, si insediò sia sull'estrema

INGEGNO E PA U RA TRE NTA SECOLI DI FORTIR C AZION I IN ITALIA

24 Alberobello, scorcio di un trullo costa adriatica, sia su quella tirrenica. Lì , avuta facilmente ragione dei rispettivi abitanti, ovvero liberati i paraggi dai 'barbari', fondò i primi villaggi stabili. Il che, oltre a lasciare facilmente configurare il contesto di belligeranza in cui si sviluppò la precolonizzazione , ad onta della iITilevanza demo&'Tafica degli indigeni , ci prospetta l'avvento nel mezzogiorno dei 'liberat01i' archetipali, destinati, disgraziatamente a trovare schiere di ripropositori nei millenni successivi.

É comunque significativo che la datazione leggendaria coincida con quella archeologica dei primi stanziamenti micenei, e che le rozze fortificazionj già presenti sul territorio registrino una concomitante discontinuità, conferma, a sua volta, della resistenza alla penetrazione degli stranieri dotati di maggiori conoscenze militari. Quanto alla motivazione, senza dubbio, quella mineraria resta di gran lunga la più plausibile.

Di certo: " al più tardi già nel II millennio a. C. le genti marinare del Mediterraneo orientale erano cupi-

de di metalli etruschi e s ardi: genti che v e nivano da Creta ... [e] in seguito s i mossero anche dai grandi in sediamenti della Grecia continentale, che già allora aveva dato alla cultura che prenderà nome da una de ll e sue fortezze, Micene ... " c101 • É probabile che, per qu e l medesimo fine, veni s sero vagliati anche i bacini vulcanici campani che, proprio per l'incon s is tenza mineraria, non determinarono alcun nucleo residenzial e s tabile. É l ' ipotesi che sembrano s uggerire alcuni ritrov amenti archeologici stando ai quali le: " ... più antich e importazioni micenee risalgono al XVI secolo e s ono attestate, finora, nella z ona del golfo di Taranto e nell'arcipelago delle Eolie.

Immediatamente più recenti , ma fors e anche contemporanee, s ono le tracce recuperate nell'isola di Vivara, nel golfo di Napoli Irradiazione di manufat ti micenei verso l'interno si hanno anche nel Salernitano: qui sono in relazione le località di Paestum e quelle di Polla ... " (11 )

Del re s to il medesimo scorcio s torico appare caratterizzato da una intensa navigazione per cui: " .. . il Mediterraneo occidentale diviene un mare culturalmente agitato. Dal levante giungono influ ss i quanto mai vivaci , talvolta accompagnati o meglio portati fi s icamente da piccoli gruppi di uonùni che s ulle navi s i muovono verso il miraggio della ricchezza o delle terre libere occidentali Ne abbiamo le prove materiali , come i pani di rame con segni di scrittura cretese ritrovati nell'isola fSardegnaJ; ma ne abbiamo soprattutto prove artistiche e culturali. Compare improvvisamente la tholo sl 12) nuragica, l'elemento caratterizzante di tutto un periodo di mirabile fioritura ... nel mondo ellenico: il famoso tesoro di Atreo a Micene è coperto a tholos .. " 113 '

Ma anche in Puglia, terra frequentatis s ima dai micenei, i famosi 'truUi' di Alberobello , altro non sono che le estreme riproposizioni di tale arcaica tecnica' 1 1 , appena miniaturizzata, introdottasi. con notevole attendibilità, significativamente intorno alla metà del

LE PRIM E FORTIFI C AZ IO I IN I TA LI A

secondo millennio, allorquando i contatti con l' Argolide conobbero la massima sistematicità ed intensità.

L'adozione di conoscenze straniere costituisce, per molti aspetti, la conferma dell 'arretratezza locale che, peraltro, trova riscontro nei resti delle coeve fortificazioni con le quali gli autoctoni proteggevano i loro villaggi. Tra queste , interessanti in quanto emblematici, i villaggi trincerati pugliesi, i castellieri alpini ed appenninici, i nuraghi , nonchè, quasi una sorta di singolarità, la muraglia del piccolo insediamento di Ustica. Tutte le menzionate fortificazioni, ad eccezione dell'ultima , al di là delle divergenze concettuali e strutturali, ostentano un significativo fattor comune: furono erette in grande numero e con notevole densità territoriale. Spesso, infatti, soltanto poche centinaia di metri separano le une dalle altre, la s ciando coerentemente concludere che la precarietà esistenziale, sottintesa da tali difese, ad onta della notevole diversità morfologica dei rispettivi contesti, proveniva sem pre dai clan vicini, ovvero dalla belligeranza tribale , residuo retaggio di arcaicismi culturali. Ed almeno sotto tale profilo, l'intera Penisola appare sostanzialmente uniforme: quanto ali' anomalia di Ustica va ricercata nella piccolezza dell'isola, incapace di concomitanti insediamenti. Nonostante la palese rozzezza , in quelle fortificazioni non mancano suggestioni e soluzioni orientali , anatoliche e micenee, inspiegabili per spontanea eleborazione , e probabile ulteriore testimonianza dell'avvenuta presa di contatto con gli stranieri.

Se, per quanto accennato , lo stimolo primitivo di quei contatti può verosimilmente ricondursi alle pros pezioni minerarie e d alle conseguenti rudimentali coltivazioni dei giacimenti, è plausibile, allora, supporre che i s iti interess ati dalla successiva diaspora siano s tati i medesimi di quelle lontane frequentazioni, vuoi perchè dettagliatamente conosciuti, vuoi perchè meno ostili, essendosi già stabilito una sorta di modus vivendi con gli indigeni. In ogni caso, le terre alle s palle

delle aree di sbarco non erano affatto spopolate, essendo i residenti , per la maggior parte , a loro volta i discendenti di più remote migrazioni. Sempre dai ritrovamenti archeologici, infatti, si apprende che: " ... l' economia neolitica diffondendosi verso occidente per mare , era naturale che raggiungesse la peni so la italiana subito dopo la Grecia. Tale previsione è giustificata da antichissimi stanziamenti in Puglia, in Sicilia e nelle adiacenti Isole Eolie, nonchè lungo le coste del Mare Tirreno ... " 05 ' Ed è significativo osservare che anche in quel remoti ss imo ambito cronologico, la frequentazione dei s iti che ritroveremo nella precoloniz zaz ion e micenea , sembra imputabile a motivazioni minerarie. Il caso delle Eolie è, forse , al riguardo il più emblematico , poichè mancandovi completamente la sia pur minima sorgente d 'acqua, potevano costituire per i primitivi sfruttatori un approdo giustificabile soltanto in virtù di risorse straordinariamente remunerative , quali 1'estrazione della richie s tis s ima ossidiana. In effetti: " ... il vetro vulcanico fu esportato estensivamente ed usato nei villaggi neolitici in tutta la penisola e in Sicilia ' 'i 161 •

Agli iniziali contatti subentrarono gli insediamenti stabili che proprio in Sicilia hanno lasciato significative tracce, al punto da costituire una precisa fase culturale, definita di Stentinello, dal nome del primo villaggio interessato. Tanto questo che gli altri due coevi: " ... s ono circondati da fosse scavate nella roccia e difese interne di ogni specie; a Matrensa il fossato è interrotto da frequenti passaggi selciati simili a quelli che s i trovano negli accampamenti neolitici inglesi e rena" i 17) Ili...

La constatazione porte rebbe a concludere che, a differenza di quanto esposto dalla leggenda, nella realtà i precoloni zza tori non navigarono a caso verso occidente, nè s barcarono sulla prima terra c he si parò loro innanzi, imbattendos i su essa in bellicose popolazioni se lvagge , assolutamente ignote ed aggressive. Seguirono , invece, rotte perfettamente note, approdan-

ING EGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFI CAZIONI IN ITALIA

do su terre abbas tanza evolute, la cui economia insisteva su di una discreta agricoltura ed una cosp icua pastorizia, attività e ntr ambe fortemente attraenti agli occhi di profughi bisognosi di pro cacciarsi tutto e n el minor tempo possibile, e detentori uni camente di una superiore c ultura militare. B en noti era no , pertanto, non so lo i punti migliori per lo s barco, ma la capacità di re s is tenza della popolazione locale e l a sua consistenza d e mo grafica, connotazione quest'ultima basilare in vista dell'impianto di una colonia. I primordiali stanziame nti , in conclus ione , rappresentarono l 'es it o di sce lt e attentamente vag liate e ponderate, riponendosi proprio n ell'assoggettamento degli indi gen i e nella presa di possesso delle loro risorse la contropartita ottimale d e ll e enormi difficoltà d' i n se diamento. Si co mprende così la confl it t u alità con i nativi , nonostante la loro in s i gn i ficante opposizione iniziale , che, qualora imm ediata , non avrebbe co n se ntito la costruzione di alcuna fortificazione. Si compr ende pure la necessità di ' liberare' il teITitorio militarmente, evita n do però , curiosamente, le tant i ssime altre fasce costiere assolutamente deserte. Una s i gnificati va reminiscenza di qu e ll a v io l en ta prassi, è possibile recep irl a, seco li dopo, n e lle insormontabili diffidenza ed astiosi t à che i di scendenti d ei protocolonizzatori, divenuti ormai indi ge ni a t utti gli effetti , nutriv ano nei confronti di chiunque g iun gesse dal mare e, sopratt utto, nel timore che il liquido elemento ispirava, in asse nza di poderose dife se, te1Te stri e navali. Ness una meravig lia , quindi, che intorno al 1200 a.e. in Sicilia il collasso della civiltà micenea produces se vistose alte razion e in t anti in se diamenti litoranei, fra cui:" ... il ripiegamento delle popolazioni costiere verso i siti dell'entrote1Ta, meno numero s i ma più vasti e ora anche più s icuri , che costituiscono le prime formazioni a ca rattere urbano in quest'area. Un ese mpi o sig nific ativo è P a ntalica... " <•~i

Da quanto s uccintam e nte esposto risulta innegabile che la Peni so la , intorno alla metà del II millennio, era costellata di piccoli v illag g i di indi geni, mentre

lungo le sue coste cominciavano a moltipli carsi gli stanziamenti precoloniali. Tutti, in una maniera o nel1' altra, appari vano discreta mente fortificati, se bben e con concezion i e ste reotipi altrettanto nettamente distinti. Roz zi e passivi i primi , complessi ed articolati i secondi.

Le protofortifica zioni italich e

Secondo la so lita ampia schematizzazione le fortificazioni pre senti in Italia a ridosso d ella metà del II millennio, in pratica quelle c h e sostennero l'urto dei precoloni zzatori pos so no raggrupparsi in poche tipolog ie. L a prima, senza dubbio la più rudimentale ed arcaica, appare ben rappre sen tata in Sardegna, in Sicilia, in Puglia, nel Lazio e nella Toscana. Non ostenta peculi arità s pecifiche fornendo la ri spos ta difensiva più ovvia e spontanea, quella eminentemente pass i va, affidata esclusivamente a li ' ostaco l o verticale. Consistette, infatti, in fossati anulari, spesso concentrici di rilevante amp iezza e di discreta profondità, la cui te1Ta di risulta , riportata lungo il ciglio in terno dello scavo, andava a formare un massiccio e ripidi ssimo aggere-da l latino ad gerere: a rg inare ammassando. L'a ltezza di que st' ultimo, sommandos i con la profondità dell'anti stante scavo, creava una cortina in so rmont abile per g li assalti dell'epoca. Forse p er gl'immancabili smottamenti dell 'agge re, forse per incrementarne la vertica1 it à, in brev e volgere la connotazione ostativa fu accresci uta inserendo , tra il s uo piede e d il ciglio del fossato , una aguzza pali zzata continua, contro c u i se ne cost ip ò l ' in coerente ma ssa . Un unico acce sso, ric avato con una s trettissima cesura d e l terrapieno ed una altrettanto modesta colmata del fossato, in seg uito sos ti tu ita da una passerella di tron c hi facilmente asportab ili, consentiva l'ingre sso all'abi tato, cos tituito da una mi ri ade di capa nn e di dimens ioni variabiliss im e . Ines i s tente qualsia s i espediente stru tturale di fianc h egg iam ento ed appena ipotiz-

LE PRIM E
fORT I FICAZION I f N lTALl/\

zabili vaghi accenni a difese piombanti. Rappresentando tali rudimentali cerchie l'archetipo della fortificazione in Italia, e il punto di partenza della sua successiva travolgente evoluzione, meritano una più dettagliata esemplificazione e descrizione, peraltro funzionale alla comprensione delle fasi immediatamente posteriori.

T villaggi trincerati della Daunia

La scoperta di numerosi recinti anulari, altrettanti fossati con aggeri, disseminati in numero impressionante sulla pianura pugliese, è abbastanza recente. Per la loro identificazione ha giocato un ruolo fondamentale la foto aerean 91, originariamente eseguita per fini militari connessi con le operazioni alleate nel corso del secondo conflitto mondiale120) Nulla, infatti, sulla superficie del terreno ne poteva far lontanamente presumere la conservazione, essendo ormai totalmente ablasi gli aggeri e colmati i fossati dal livellamento del suolo per la sua messa a coltura. Il diverso grado di imbibizione, imputabile alla disomegenea densità della terra , e la conseguente dissimile compattezza della sovrastante cotica erbacea, stanno alle spalle del]' incredibile fenomeno, manifestatosi con la presenza di enigmatiche ombre circolari su])e istantanee dei campi raccolte dai ricognitori anglo-americani. Dopo una prolungata incomprensione della natura di quei tanti approssimati cerchi scuri, alla fine se ne individuò la esatta spiegazione, che fu verificata appena possibile, attraverso gli scavi i ntrapresi pochi mesi dopo la fine della guerra.

In breve da quelle invisibili permanenze si è desunto che la: " .. . fase del Medio Neolitico in Puglia era già iniziata con l'avvento o lo sviluppo di una distinta cultura che chiameremo di Molfetta fotografie aeree hanno 1ilevato la presenza di numerosi recinti segnati da fossati, ma soltanto pochi sono stati esplorati per mezzo di scavi. Trecinti solo dalla pianta possono esse-

re classificati in villaggi o fattorie. I primi coprono aree molto vaste, spesso suddivisi con recinzione più interna, contenenti entro il fossato recinti più piccoli e circolari che rappresentano la parte abitata e uno spazio esterno più ampio , probabilmente adibito a campi o pascoli. Le ripartizioni interne che possono raggiungere il numero di cento in un solo villaggio, variano da quindici a diciotto metri di larghezza e dovevano essere fattorie del tipo di quelle irlandesi , abitate ognuna da una famiglia. Anche le fattorie possono essere divise in un campo interno o cortile di circa un acro di superficie e in una più vasta proprietà esterna.

Il Bradford soltanto mediante la fotografia aerea ha identificato più di duecento villaggi e fattorie in un'area di meno di 4.085 chilometri quadrati ... " < 2 11 •

Sotto l'aspetto concettuale. come accennato, possono reputarsi il tipo più elementare di fortificazione di pianura, significativamente tutt'oggi impiegato dalle ultime popopolazioni preistoriche del pianeta<221 • Nel caso in questione , tuttavia, la singolarità è insita nelle dimen s ioni dei recinti appena più recenti , assolutamente abnorn1e per l ' epoca. In dettaglio: " ... sono ormai identificati e saggiati archeologicamente i maggiori centri della Daunia fioriti all'inizio del primo millennio a.C. , cioè in epoca parallela e talvolta anteriore alla colonizzazione greca.

I principali sono Arpi, con il suo porto naturale Siponto, e Selapia: ma notevoli appaiono anche Tiati, Luceria, Aecae (l'attuale Troia), Herdonia, Ausculum (l'attuale Ascoli Satriano), Canosa. Notevole anzitutto appare l'ampiezza delle cinte fortificate che raggi ungono ad esempio i 13 km ad Arpie gli 11 a Tiati. Se si pensa che l'attuale Foggia ha un perimetro di 7 km si vede quanto straordinario sia il fenomeno " 1231 •

Originariamente il varco d ' accesso era se1nto con un rudimentale cancello: sempre per ragioni di stabilità, venivano anche costrniti aggeri che conservano al loro interno rozzi sostegni murari, una sorta di spina longitudinale di grosse pietre a maceria, su cui si com-

INGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI I N ITALIA
LE
PRIME FORTIFICJ\Z.,,IO=!cN_,_,1_,IN"-'--'l'-'-T"-'A""LIA"'-'------ -
25 Foto aerea cli un recinto dauno 26 Foto aerea di un recinto dauno: evidente la traccia del ponte d'accesso
____ l NGEGNO E P AURA TRENTA SECOLI DI FORT LFTCAZIONI IN ITALIA 27 Rico stru zione di un v i llaggio trinc era to

--

pattava il ten-eno. Il rinvenimento di sporadici manufatti di bronzo, nei pochi saggi di s cavo effettuati, ha confermato il supposto contatto miceneo ed indirettamente la datazione dei villaggi.

Come accennato, siffatte fortificazioni non furono una peculiarità della Daunia, trovando innumerevoli riproposizioni nel resto del1' Italia , in particolare nel Lazio. Nei pressi di Roma, infatti: " ... una forma di oppido caratte1istico in tal senso era là dove un poggio si poneva alla confluenza di due fossi, così da avere in una forma grosso modo triangolare o rettangolare a due o tre lati naturalmente protetti , mentre solo l'ultimo lato , dove la collina continuava il rilievo vers o monte, veniva ad avere necessità di difesa. Qui, spesso ancora usando condizioni favorevoli del terreno, come una balza dominante o il convergere di vallecole laterali, la collina veniva isolata mediante uno sbarramento, generalmente costituito da un muro e da una fossa. Di oppida così formati ne conosciamo moltissimi ed il sistema era ancora usato in piena età repubblicana Questi antichi oppida occupavano posizioni che in media distavano l'uno dall'altro dai quattro ai sei chilometri Ciò presuppone per ogni oppido uno spazio territoriale medio di 25-30.000 metri quadrati , che possono naturalmente essersi estesi in condizioni di terreno sfavorevole ali ' agricoltura , come per la presenza di paludi o di montagne " ' 241 •

Villaggi, quindi. solo parzialmente racchiusi da fossati ed aggeri di r iporto, dovunque fosse praticabi le uno sfruttamento difensivo dell ' orogenesi. Negli altr i contesti, invece, in cui la pianura non offriva prominenze . r espediente del fossa lo continuo risulta sistematicamente adottato, tanto da trovarne esplicita menzione ancora negli autori classici. É emblemat ico che: " ... Varrone ricorda come fos s e caratteristica del Lazio più antico la costruzione per la difesa di un semplice fossato, mentre la ten-a ed il pietrame di risulta dello scavo veni va rovesciato sul lato interno del la fossa e ben battuto, così da costituire terrapieno ... " < 2 ' 1

Ma, forse , l'insondabile arcaicità di siffatte fortificazioni trapela esplicitamente dalla loro trasfigurazione in cerirnonjaJe religioso, con la completa alienazione delle remotissime motivazioni e valenze tecnico-militari. Fu questa, per esemplificare, la celeben-ima prassi adottata da Romolo al momento di fondare la sua mitica Città Stando agli storici romani: " ... il rito è ricordato come etrusco, ma trova certamente le sue origini nello spazio magico di consacrazione che dai primordi cingeva la capanna ed il campo coltivato così come l'abitato e il suo agro, quindi la città e il suo tenitorio. É probabile invece che il rito si sia istituzionalizzato come altre forme legislative e sacrali al formarsi dei grandi agglomerati protourbani e delle città " <261 •

I n pratica, il giorno stabilito dagli au s pici , nel sito prescelto , dopo aver aggiogato ad un aratro dal vomere di bronzo un toro ed una vacca, rispettivamente all'esterno ed all'interno del solco anulare, il fondatore conduceva la pariglia, a capo velato ed in abito cerimoniale, per meglio sottolineare la sacralità dell'evento. La terra, divaricata dalla prua del vomere, veniva accortamente deposta dal suo versatoio s ul s olo bordo interno. In corrisponden z a dei programmati acce s si urbani, l'officiante, sollevato l ' aratro, lo portava oltre: da cui il termine di 'porta', specifico per ogni accesso u r bico, dizione nettamente distinta da quella di ianua, designante, invece, la porta di un'abitazione, e derivata dalla voce verbale portare dal sign ificato inequivocabile di trasportare sulle spalle! É facile, allora, ravvisare nel solco il preisto r ico fossato, nelle terra accatastata sul suo ciglio interno l' aggere. nel vomere di bronzo l'indicatore cronologico e ne ll a rigida posizione del toro e della vacca i ruoli dell'uomo e della donna , il primo a ll ' esterno della cerchia in funzione difensiva e la seconda al suo interno in funzione domes tica. Ma è, s enza dubbio , nella tassativa interdizione scaramantica a scavalcare quel solco, empietà prefigurante l'espugnazione della fortificazione, e quindi tale da giustificare, pienamente e ad imperitura memo-

L E PRIM E
FORTlfl CAZ lONl IN ITALIA

ria, persino l'uccisione di Remo, che si ravvisa la più pregnante reminiscenza difensiva. Il circuito difensivo, infatti, conserverà una fascia di rispetto, il pomerio, reputata sacra ed in quanto tale vietata a tutti pena la vita.

Quanto all'arco di fruizione di quell'ingenuo dispositivo, più o meno perfezionato, va rilevato che la: " ... rozza fortificazione in pietrame, completata da palizzate o da opere in legno , era già in uso presso gli antichi oppida dell 'e tà del bronzo, ma non ne conosciamo nel Lazio di esempi così antichi, archeologicamente documentati. Anche quando l 'a bitato può risalire ad epoche così remote, la costruzione è attestata con sicmezza solo con monumenti che per ora non rimontano più in su dell'VIII sec. a.C., a parte i fossati difensivi :'m>. li che dimostra, se non altro, la sua sopravvivenza ultramillenatria persino in aree fortemente contese ed abitate come il Lazio primitivo.

I castellieri alpini

Concettualmente affini ai fossati possono ritenersi i castellieri, od anche ricetti, alpini ed appennicini e, per estensione, anche quelli delle pianure pedemontane. Si tratta, pure in questo caso, di costruzioni estremamente semplici ed elementari, in genere a forma di recinto sub-circolare, innalzate accatastando a secco le pietre di dimensioni maggiori disponibili all'intorno, senza però giungere al megalitismo. Al pali dei fossati racchiudevano, abitualmente, diverse capanne ma, non di rado , soltanto mandrie di animali in precisi periodi dell'anno, e per tale impiego ancora se ne incontrano in quasi tutta l'Italia e sempre utilizzate dai pastori. Non a caso per la loro rozzezza riesce opinabile non solo l'individuazione di un qualsiasi criterio informatore ma finanche l'appartenenza all'ambito dell'architettura difensiva. Pertanto si detennina: " ... il problema di quante opere di questo genere possano essere effet-

tivamente classifica te come fortificazioni. Come, per esempio, sarebbe stato possibile presidiarle o difenderle? ... Senza dubbio alcune ... furono progettate come opere difensive; altrettanto certamente altre non avevano que sta caratteristica, e non erano verosimilmente niente di più che recinti per il bestiame della tribù, costruiti in modo tale che un paio di pastori disposti agli ingre ssi potessero impedire agli animali di disperder si durante le ore notturne. Quale s ia poi l'esatta proporzione tra ques ti due tipi di struttura apparentemente simili ma funzionalmente divers i può essere stabilita solo da appositi , approfonditi scav i di tipo archeologico .. .''(28J _

A far pendere il giudizio verso l ' interpretazione difen siva contribuisce, curiosamente , proprio la loro rilevante densità territoriale, perfettamente analoga a quella dei fossati con capanne ed, in epoca più recente, dei nuraghi strutture certamente non destinate al concentramento del bestiame, ma verosimilmente pertinenze territoriali per la prote zio ne dalla endemica conflittualità intertribale ed endotribale.

Per tornare ai castellieri, appaiono particolarmente interessanti quelli della fascia alpina alto atesina, la cui prestazione si protrasse eccezionalmente a lungo , fino alla conquista romana. Tradizionalm ente vengono fatti risalire ad un capo etrusco di nome Reto, da cui per estensione tutti i gruppi etnici limitrofi acquisirono la definizione di ' retici'. Ad ogni buon conto ai Reti: " va ascritta la polverizzazione del territorio in una miriade di castellieri. 1 quali non erano solamente un fatto difensivo: ve n'erano infatti di diverso tipo, e solo i più elevati e di difficile accesso godevano di attributi fortificatori. La caratteristica principale è una costante di scelta orografica e di orientamento ... Presupporre, come taluno ha proposto , una interdipendenza tra castelliere e castelliere, un sistema insomma che rispondesse ad un di seg no , e di conseguenza ad una possibilità operativa, unitario è giocare di fantasia ...

intuitivo e naturale che di fronte ad un pericolo cornu-

INGEGNO E PA URA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALTA
É

ne le singole tribù trovassero un'improvvisa coesione, e che in quei frangenti s i s iano potuti addirittura erigere nuovi punti fortificati di difesa. Ma da questo a soste nere l'e s igenza di una pr ecedente federazione fra tribù totalmente eterogenee il s alto logico è eccessivo.

Per evitare comunque di dare un ' impressione errata del sistema sociale vigente prima dell'invasione romana (e si noti che nelle brevissime note si n qui esposte si è abbracciato un arco di tempo assommante ad alcuni millenni) va chiarito che accanto agli in se diamenti semplicemente abitativi , vi erano i recinti più o meno provvisori per la raccolta e la custodia del bestiame ed altri spesso ad altezze incredibili, in zone innevate per la maggior parte dell ' anno , che fanno supporre ricorren ze periodiche determinate da cicli astronomici . Solo quelli di carattere difensivo hanno però il diritto di

chiamarsi castellieri nel vero senso della parola. E corrispondendo a situa z ioni tipiche di dife sa naturale-prominen ze collinose o dorsali montag no se accessibili da un lato , generalmente a nord -non è raro che in ess i s i trovi il primo germe delle successive fortificazioni arrivate poi s ino a noi nelle vesti delle ricostruzioni medievali " •'.!9 ,

Il fenomeno nuragico

Pur senza originare la minima ambiguità valutativa anche i nuraghi, per il loro enorme num ero e per la caotica di s tribu z ione territoriale , rappresentano fortificazioni in attesa di ulteriori chiarimenti. Nell ' idioma sardo nurra è chiamato un mucchio di pietre, come

L E PRIMF. FORTIFI CAZ ION I IN~ l T'-'-'/\=Ll"-A,_ ________
28 Castelliere alpino. Mereto, Udine

pure una cavità, ovvero tanto una costruzione senza possibilità di fruizione, quanto un volume senza alcuna forma esterna. Paradossalmente entrambi i s ignificati sembrano attagliarsi contemporaneamente ai nuraghi , mucchi colossali di pietre, ma anche caverne artificiali, rifugio di trogloditi.

Per inciso i maestosi torrioni megalitici tronco-conici sono tra le rari ss ime s trntture rimaste se mpre a vista, dalla preistoria ai no s tri giorni. Sotto il profilo cronologico siamo ancora una volta di fronte alla riproposizione di un tipo di concezione difensiva pressocchè invatiante , per oltre un migliaio di anni , caratteristica che accentua le difficoltà di comprensione. I nuraghi , infatti , furono eretti tra il 1800 ed il 500 a.C., per cui se la loro comparsa coincise con le antesignane ricognizioni anatolico-micenee la loro dismissione corrispose all'avvio della colonizzazione greca. In tale luogo intervallo , in merito a]la loro evoluzione architettonica,

sono s tate individuate almeno c inqu e fasi salienti, c o sì riassunte:

r fase-dal 1800 al 1500 , corrispondente al Bron zo antico

nafase-dal 1500 al 1200, corrispondente al Bronzo medio

Entrambe que ste fasi, protrattesi complessivamente per circa 600 anni vedono lo s viluppo della cosiddetta c ultura di Bonnànnaro ed il s uo evo lver si nell a facies Subbonnànnaro.

.1 1la fase-dal 1200 al 900, co1Tispondentc al Bronzo recente e finale

Ne l corso dei suoi 300 anni s i dip a na la cosi ddetta

_____ -----~JN-'-"G=t =G':\1('-'> -=E--"P A =UR=A TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONJ LN lTAI.IA
29 Nuraghe se mplice

'bella età dei nuraghi', intervallo che ne vide la massima produzione. É in questo lasso storico che si sviluppa distintimente il 'borgo nuragico ', includente oltre alla fortificazione, anche il tempio ed i sepolcri, tutti sempre in opera megalitica. In questo medesimo intervallo quasi un terzo dei nuraghi già esistenti viene potenziato mediante un incremento dello spessore delle pareti ed addossandogliene altri di minori dimensioni. L'insieme risultante è la struttura definita polilobata.

Iva fase-dal 900 al 500, corrispondente al Ferro antico

In quei quattro secoli si svilupparono le aristocrazie feudali in una sorta di antesignano medioevo, ed i nuraghi conobbero le realizzazioni più elaborate e variegate.

ya fase-dal 500 al 238, corrispondente al Ferro recente

Nel suo relativamente breve dipanarsi si regi s tra soltanto la pura sopravvivenza e conservazione, peraltro limitate alle aeree più interne dei nmaghi, mentre sotto la pressione della colonizzazione cartaginese la loro cultura è ormai in rapida estinzione.

Da quanto schematicamente esposto risulta evidente che il cuore dell'età nuragica è la fase compres a tra il 1200 ed il 900, tanto da guadagnarsene l'identificazione per antonomasia. Significativamente risulta sincrona al: " ... grande rimescolio di popoli del Xlll-Xll secolo avanti Cristo, quando Achei e «popoli del mare » raggiunsero il lontano occidente, [e] probabilmente qualche gruppo toccò anche la grande is ola e s ulle più antiche influenze si depose una più progredita esperienza militare, organizzativa ed architettonica... "t 3o) _

30 Nuraghe po l ilobato
I NGEGNO E PA URA TRENTA SECOLI DI FORTIP IC'AZlONl IN ITALIA A A' ?
3 1 Nuraghe Santu A ntin e, Ton-alba Sez. A-A' O 4 8 12m 33 Nuraghe Santu Antine, pianta e sezione 32 Nuraghe Santu A ntin e, foto zen ital e

Indubbiamente la fitta trama di nuraghi si originò a partire dall'età del Bronzo antico, per attingere so ltanto nel Bronzo medio, con il moltiplicarsi di quelli cosiddetti 'monotorri'. ed in particolare neu-'età del Bronzo recente. con l'evoluzione delle arcaiche costruzioni in meno rozze dimore feudali, una connotazione residenziale ed una logica difensiva più credibili. In dettaglio , di: " ... pseudo e proto nuraghi se ne conoscono almeno 185, seco ndo una ricerca in corso, con densità che decresce dal nord al sud dell'isola ...

Rapportati ai nuraghi a tholos, che s i calcolano tra sette e ottomila, costituiscono una ben povera cosa nell'incidenza territoriale , mentre è eccezionale il loro interesse quale documento dei passaggi nello sviluppo del! ' architettura nuragica funzionale alla vita e alla difesa nei limiti del controllo di beni economici (terre e bestiame). Si tratta di costruzioni civili di aspetto bas so e mas s iccio, a forte inclinazio ne di profilo e con pianta in prevalen za ellittica ... talvolta con anqamento pe1imetrale s inuo so ma anche s ubcircolare ... Più raro lo schema quadrangolare ... e rettangolare. .. La struttura è fatta di grosse pietre poliedriche, appena sgrossate, con collocazione ad accumulo piuttosto che a filari, tranne che negli ingressi architravati e talora allegeriti da spiragli di scarico, dove la muratura, non di rado tendente a perdere il filo rettilineo , appare realizzata con una qualche diligenza.

Gli edifizi si elevano in due piani con ambienti vari in ciascuno, di rado constano d'un solo ripiano a terrazzo nel quale sta l ' abitazione accessibile da scala frontale in muratura subito dietro l'ingresso ... A piano terreno l'interno è percorso in longitudine ... e più spesso di traverso ... da uno o (eccezionalmente) due coJTidoi quando è presente un solo accesso, o da una o due gallerie ... nel caso di due ingres si opposti ... Di solito su uno dei lati di meno s ul fondo del corridoio cieco la parete si apre per far luogo alla scala intermuraria che svolta ad angolo o in curva seguendo a

rampe il profilo rettilineo o tondengiante del perimetro dell'edifizio e sbocca nel piano superiore dove so no allogati i vani di dimora, essendo quelli del piano terra se mplici passaggi o spaz i di deposito. Ques to sch ema ... è carateristico degli pse udonurag hi.

I protonuraghi invece contengono a livello di s uolo una camera fornita di due cel1ette laterali o più camere ... di pianta subrettangolare nel primo ( m. 6,5x3 , l) ed ellittica nel seco ndo (due vani di m. 6,52x4,056 ,00x4,05), tutte coperte a falsa volta P seudo nuraghi e protonuraghi fanno vedere al piano s uperiore uno o più ambienti d'abitazione, di pianta rettangolare ... o circolare ... i vani constano di una base in muratura su cui si impo stava no i tetti lignei a doppio spioven te o a pinnacolo ...

Qu es ta sov rappo s i zione di nuraghe a pseudo - nuraghe, realizzata presumibilmente a poca distanza di tempo e certo durante il Bronzo antico, sta a dimostare che le due forme sono st re ttamente connesse e dipendenti l ' una dall'altra. Pertanto non è necessario pensare, come s i fa di so lito per il nuraghe a tholos, all 'influenza del modello miceneo che, peraltro , se effettivamente applicato nell ' iso l a, ne avrebbe voluto l'impiego nell 'edili z ia funeraria e non in quella civile quale si esplica nelle strutture in esame ... " 1311 •

Ma, prescindendo dal dettaglio che difficilmente i nuraghi possono ritener si una, s ia pur abeITante, forma di 'edilizia civile', non è affatto sco ntata l 'adoz ione di una tecnica tanto complessa e mas sacrante per scopi puramente funerari , di gran lunga meno pressant i di quelli difensivi. Gli innumerevoli nuraghi , e non solo quelli sardi, restano perciò un ulteriore enigma nella s toria delle fortificazioni, paradossa lmente , con un unico elemento di chiarezza: Ja loro affinità costruttiva con le opere micenee. Di s icuro con il sopraggiungere della conclusione dell 'età del Bronzo antico. sull ' isol a spiccavano già moltissimi nuraghi tronco-conici con camera interna coperta a tholos. Un vistoso sa lto di qualità si coglie con il sopraggiungere del Bron zo

LE PRIM E FORTIFICAZIONI ..,_IN'-'-"'l T'-'--A=L'-'-IA,..__ _______
_ - l NGEG • ~NC~)~E~PAURA TRENTA SECOLI 1)1 FORTIFICAZIONI I N ITALI ,'\
34 Rico s tru z ione nuragh e Santu Antine

medio, allorquando migliaia di nuraghi semplici vennero erelli in serrata scansione. Infatti, tanto i: ·'.. . monotorri ... Lcome] i nuclei dei nuraghi polilobati .. . elevati da uno a tre piani, non furono costruiti tutti contemporaneamente, ma dato il grande numero, la loro età marca momenti successivi di realizzazione. Indicatore di sequenza cronologica è l'inclinazione del muro perimetrale della torre che subisce una lenta e lieve trasformazione, dando luogo a profilì di volumi tronco-conici a forte scarpa ... a media pendenza ... sino a forme subcilindriche appiattite ... Anche il rapporto tra l'altezza e il diametro di base varia col tempo, nel quale si susseguono a sagome strette e svelte, longilinee ... coni tronchi proporzionati dall'ampia impostazione del piede murario L'indice, poi, del rapporto massa struttiva-vuoto segnala la progressiva tendenza ad ampliare lo spazio senza che. però, in nessun caso, il vuoto (ossia la camera pscudocupolata deJla torre) riesca a diminuire e a togliere valore preponderante al senso e all'effetto ma::;siccio cbe è lo specifico del monumento, pure in verso funzionale

Le torri di plurimi piani. nei quali le tholoi si sovrappongono decrescendo in diametro e in altezza dal basso alla sommità a te1rnzzo, muovono da un archetipo ad unico vano terreno, col terrazzo accessibile, se ve ne fosse stato bisogno, per mezzo di una scala esterna, di legno o di corda. Il sistema di scale incassate e nascoste dentro la muratura sarà venuto in seguito: prima la scala di camera, che si interrompe ai diversi piani, dopo la scala d'anelito, per lo più sulla sinistra di chi entra, che percoJTe 1' intero elevato senza soluzione di continuità.

L'edificio a torre del nuraghe nacque da esigenze di d ifesa e di abitazione. Dal terrazzo circondato da parapetto in muratura o da un recinto in legno sporgente a ba l latoio su mensoloni di pietra... era possibile osservare movimenti di nemici, spostamenti di bestiame, offese al territorio coltivato, onde provvedere alla necessaria tutela e repressione con i mezzi e le regole di allora.

L'abitazione si affidava allo spazio ottenuto sovrapponendo le camere dei nuraghi a più piani. i supcrio1i asciutti e illuminati. per il riposo, quello ten-eno esposto all'umidità, usato per magazzeno e per le faccende nel brutto tempo ... " 1.12i

Dal punto di vista costruttivo è possibile ravvisare nitidamente due distinte tecniche. La prima consisteva nel po1Te in opera, per edificare le murature nuragiche, grosse pietre di forma irTegolare, poliedrica, cercando di farle combaciare, per quanto possibile, almeno nei giunti di contatto, magari tramite l'inserimento di schegge e scaglie lapidee. Il piano di posa non appare orizzontale ma inclinato, formante nel suo sviluppo complessivo una sorta di spirale cingente 1' intero tronco di cono. Tale espediente, non solo facilitava l'ascesa dei grossi conci. ma incrementava, per gravità. la stabilità di ciascuno di essi in tutte e tre le dimensioni: verso il basso innanzitutto. come in ogni costruzione, verso le spalle per la scarpatura dell'estradosso e verso il fianco per la pendenza dell'allettamento. Intuibile la saldezza complessiva rispello a qualsiasi sollecitazione.

La seconda tecnica edificatoria, più evoluta e ricercata, consisteva nel disporre i conci, sempre di enormi dimensioni ma discretamente squadrati in forma parallelepipeda, lungo filari orizzontali. 11 paramento risultante è di accurata definizione con i blocchi progressivamente più piccoli con l'aumentare dell'altezza e con i giunti abbastanza stretti. Pur essendo senza dubbio esatto che la seconda maniera fu messa in opera in epoca più recente . non è affatto vero il contrario: la corrispondenza, quindi, va intesa esclusivamente per univoca, in quanto spesso, per motivi contingenti, si impiegò, anche in opere relativamente moderne, la tecnica più rozza. Un identico fenomeno si osserverà pure nella tecnica poligonale.

Circa la configurazione architettonica è possibile ancora individuare durante il Bronzo recente e finale un progressivo raccordai-si e coordinarsi dei nuraghi,

LE
PRl\'1E FORTIFICAZIONI LN ) i'ALi ,\ ______

,5 'Broch '

tramite: " altri corpi di fabbrica, pur essi in forma di torre , di vario disegno e di articolazione più o meno complessa.

Queste moli di grande architettura le chiamiamo nuraghi plurimi o composti a causa della quantità di elementi turriti s uss idiari (da uno si no a sei) e ne contiamo oltre J .000 che fanno il 15 % sul numero complessivo Se ne dà una s uccinta esemplificazione in riferimento ai modi diversi di addizione delle nuove parti architettoniche al nucleo originario: frontale, laterale e concentrico ...

Le forme più elaborate e vistose di nuraghi plurimi s i realizzarono con l'addizione concentrica. La to1Te principale funge da elemento centrale, o quasi, di un bastione di vario disegno che agli angoli del perimetro si articola in toITi minori collegate per mezzo di raccordi murari (c01tine) rettilinee o curvilinee. Tali coslruzioni so no denominate nuraghi polilobati perchè ciascuna torre angolare costituisce un lobo della massa interna dominata dalla torre maggiore che fu nge, in questo caso. da mastio Il s iste ma di massima sicurezza dei nuraghi a più lobi consisteva nel chiuderli dentro antemurali, o cinte avanzate, di pianta quadrilatera pentagonale eptagonale con torri numericamente corrispondenti agli apici dei poligoni ... Queste fabbriche monumentali, con grandi spalti ten-azzati e con ballatoi piombatoi sostenuti da men so loni per l'intero perimetro , in forma di maestosi e so lidi ss imi castel] i, aJtro non possono essere s tati se non residenza di principi, protette da fedelissime guarnigioni militari, attrezzate per sos tenere, all'occasione lunghi ed estenuanti assedi di nemici interni (sopratt utto) ed esterni ''m >

Occorre tuttavia non indugiare eccessivamente sulle acute disquisizioni tipologiche dei nuraghi poichè si rischia di perdere di vista la finalità sociale ad essi sottesa. Dall ' equiparazione degli ultimi e più complessi nuraghi con i castelli medievali, emerge, per logica correlazione, per la Sardegna un as setto

britannico ING EGNO E PA U RA TRENTA SECOLI DI FORT IFICAZIONI IN ITALIA

demografico di scarsissima coesione, premessa di una in significante evoluzione culturale. In dettaglio: " . la popolazione dell ' isola non viveva in villaggi, ma doveva essere dispersa in piccole unità, forse in tribù , organizzate secondo un sistema che è stato definito «cantonale» , spesso in lotta con i gruppi vicini. Un quadro, come si vede, non dissimile da quello offerto nel tardo Medio Evo dalle torri fortificate e indubbiamente in entrambi i siti la razzia di bestiame doveva essere praticata ampiamente. I nuraghi, quindi, che dominavano i piccoli aggregati di fragili costruzioni, fungevano da rifugio contro gli attacchi nemici, ma anche da basi fortificate dalle quali organizzare le proprie incursioni. Un simile modo di vita offriva scarse possibilità di sviluppo culturale, eccetto che negli ambiti dell'architettura militare , della s trategia e, forse, della letteratura epica orale ... " c 34 >

E, soprattutto, della produzione metallurgica in quanto connes sa con la fabbricazione delle armi , magari , per usare una terminologia contemporanea, 'su licenza ' . Non può e ss ere infatti: " ... e s clusa l'ipotesi che artefatti metallici di lus so fossero foggiati da corporazioni di ramai indigeni, anche se i primi s timoli e insegnamenti bisogna supporli venuti dall ' esterno (Cipro, Siria) tra la prima metà del XII e i primi cinquant'anni dell ' X l secolo a.C. .. Le relazioni di pari grado col mondo tardo-miceneo sono le più trasparanti; il livello del suo apporto è tutt'altro che 'coloniale'.

Dopo la caduta di Micene (1100 a.C.) lo scambio si sviluppò con Cipro e con la S iria , prima dell'approdo commerciale fenicio .. . D ' altra parte, le evidenti somiglianze costruttive di nuraghi, talaios e 'torri ' denunziano incontri tra la Sardegna, le Baleari e I.a Corsica, mentre oggetti di bronzo dei ripostigli isolani hanno riscontro ... in depositi della Francia atlantica e della 36 Ustica , planim e tria villagg io Penisola iberica ...

Finiva la civiltà micenea, dissolta dall'invasione dorica, era cancellato l'impero hittita, si frantumava l'unità del Paese egizio. Una caduta degli dei! La

L E PRIM E FORTIFICAZ
IONI IN ITALI A
O 20m ---

37 Ustica, veduta del promontorio del villaggio dei Faraglioni

civiltà nuragica, invece , non subisce crisi, marca una fertile continuità culturale... " < 3 5 , _

É singolare osservare in proposito che allorquando . intorno al 500 a.C., la costruzione dei nuraghi cessò definitivamente in Sardegna, la concezione della singolare fortificazione non sco mparve affatto ma riemerse, proprio negli s te ss i anni, appunto lungo le coste della Bretagna, dove del re s to non mancano , se bbene controverse, tracce mi ce nee . Anche in Scozia il torrione tronco conico avrà in quel mede s imo scorc io storico una vivace ripropo s izione, originando una tipologia praticamente identica. denominata broch. Consi s te in: " ... rec inti di pietra di non grande diametro, ma in com-

penso di altezza relativamente elevata, c he può anivare a 12-15 m, consentendo la sovrapposizione di cinque o se i livelli abitativi. Infatti i muri interni e d esterni di que sti recinti erano costruiti in modo tale da la sc iare, al loro interno, uno s pazio vuoto, che veniva poi coperto con lastre di pietra e con impalcati lignei; scale retrattili co llegavano poi un piano all'altro ... In alcuni broch so no rima ste tracce di maga zz ini ricavati , all'interno dei mu1i, al livello del s uolo ... i broch so no costruzioni realizzate con muratura a secco , se nza alcun g iunto di malta che ne connetteva i vari conci so no databili , a ppro ss imati vamente, intorno al 500 a.e ... "< 36)

[ NGEGNO E PA URA TRENTA SECOLI DI FORTIRCAZJONI IN !TAU,-\
L E PRIME FORTIFI CAZION J I N ITALIA 38
Ricostruzione villaggio cli Us ti ca

Il 'castello' di Ustica

L'ossidiana, come accennato in precedenza, sembrerebbe la ragione della rinomanza e della frequentazione delle splendide quanto inospitali isole Eolie. Tra queste, sebbene notevolmente distaccata, anche quella di Us tica , di appena 8,09 kmq, che a quelle vicende storiche : " non rimase nè poteva rimanere estranea [sebbene] vediamo nel vi llaggio usticese le testimonianze di un momento successivo alla fin e per violenta distruzione... alla quale i villaggi eoliani soggiacquero per sempre ed a c ui invece il nostro pur subendo incursioni e sacc heggi , riuscì a sopravvivere per breve tempo ancora " 1 37), intorno a lla fine del XIII sec a.e.

Tenendo conto degli sp rofondamenti dovuti ali' erosione dell'alta costa, s i suppose per quell'insediamento, fatto rimontare alla Età del bronzo medio, una superficie originaria complessiva di oltre un ettaro, capace di sopportare circa 300 capanne. Ulteriori campagne di scavo, accertando che gran parte di tale area non fu mai coperta da costrnzioni, hanno ridimensionato di molto la suggestiva ipotesi, riducendo l'abitato ad un massimo di una ventina di case. Niente di straordinario, quindi, in quel brevissimo duplice filare di umili capanne spartite da una stradina di appena un metro di larghezza, simile in sostanza ad innumerevoli altri coevi stanziame nti mediterranei di miserabili pescatori, la cui: " piccola necropoli, s ituata immediatamente fuori dalle mura di cinta verso Est... non avrebbe potuto mai sodd isfare nemmeno i bisogni di un villaggio modes to ... " <3&> .

Niente di strao rdinario, tranne la fortificazione, assolutamente sproporzionata a tanta inconsistenza, e per giunta posteriore, sebbe ne di poco, alle capanne che in parte dovettero addirittura essere abbattute per consentirne l'edificazione. Difesa poderosa per un abitato striminzito: impossibile scan dagliare la moti vazio ne del timore , tale, comunque, da giustificare l'improba fatica che

assunse l'antesignana configurazione di un preistorico ' castello '. Le sue mura: " ... verso terra sono rimaste in uno splendido stato di conservazione. Lunghe m 250 esse lasciano il dirupo sopra il mare all'estremità nord del sito e alla fine del loro percorso tornano di nuovo al ciglio del dirupo. I1 muro è una struttura a cumulo di pietre eretta s u una base larga m. 5. La parte superiore di esso appoggia su una base costruita con larghi massi. I1 muro così fatto si divide in tre e lem enti ben distinti: le fondazioni, il muro a faccia verticale e sopra di essi un parapetto legge1mente inclinato. In totale il muro avrebbe ra ggiunto m 4 di altezza. Strutturalmente indipendenti dal muro ... ma possibilmente e lementi del progetto originale, so no le torri semicfrcolari poste lungo l'esterno del muro ... " <39 ' · Più in dettaglio la muragli a appare: " ... formata da due cortine, entrambe a scarpa, di bombe vulcaniche rese lenticolari dal grossolano sp ianamento, per la posa, di due facce contrapposte, distanziate e riempite da pietre e rifiuti di lavorazione. I massi sono posti in opera leggermente inc1inati verso l ' interno il che, se ppure rafforza co nsiderevolmente la statica, diminuisce l'efficienza dell'opera già le sa dalla scarpa ...

Dalla cortina es terna, nel versante meridional e, a tratti regolari di una ventina di metri, s i aggettano torrioncini di qualche metro che sembrano avere una funzione statica come quella dei pilastri di oggidì nei muri di confine. Alla fortificazione originaria sono state aggiunte opere di rinforzo. Alcuni torrioncini semicircolari del diametro di circa 5 metri costituiti da un muro esterno a st ruttura pseudo-megalitica e da un muro mediano di pietre di modeste dimensioni, riempiti, se mbra, a mano a mano , con terra battuta. Un muro a strutt ura pseudo-megalitica discosto circa un metro dalla fortificazione , del quale sono visibili tratti con due o tre filari. Un corpo quadrangolare , di cui s i conse rva so lo il basamento, di circa 5 metri di lato , costituiti da grosse pietre, che s i addossa contemporaneamente ad un torrioncino e a l muro appena accennati. Nell'interno del villaggio, ai piedi e parallelalmente

INGEGNO E PA URA TRENTA SE COLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA

alla muraglia, si scoprono due allineamenti di pietre che sembrano due successive cortine poste a consolidamento della precedente e più possente difesa.

L'opera originaria si conserva per tutto il suo sviluppo per una altezza mediamente di circa due metri ... "140 )

Nonostante la estrema arretratezza del villaggio, testimoniata dalle sue approssimate capanne a contorni curvilinei, è innegabile che quelle strutture semicilindriche, di circa 5 m di diametro ed interamente aggettanti rispetto al filo esterno della muraglia, fossero finalizzate al suo fiancheggiamento e non al semplice rinforzo, funzione che sarebbe stata più efficacemente svolta da contrafforti interni. Il dettaglio, pertanto, contribuisce a far presumere una logica d' impianto di gran lunga più evoluta dell'insediamento stesso ed una sua preminenza impositiva, determinata dal ruolo assegnato alla fortificazione. Non sembrano, infatti, mancare esplicite tracce di investimenti ossidionali quali la: " breccia, poi chiusa, fra le torri nn.

1 e 2. In seguito a questa sventura si è proceduto ad una ristrutturazione delle difese alzando un nuovo paramento del muro che corre da un punto immediatamente a Nord della torre n. 7 ad un punto oltre la torre n.

1 " l4 1l Nè i potenziamenti finirono, ma coinvolsero quasi per intero il fronte a terra, a conferma della sua imprescindibile funzione ed, indirettamente, del minaccioso incombere di aggressori ignoti , abbastanza evoluti da poterne aver ragione.

Quanto al fronte a mare, le sue mura sebbene: " ... rase al suolo già durante la media età del bronzo ... non erano meno imponenti della cinta verso terra. In questo settore le indagini archeologiche... hanno rivelato, quasi in superficie, a partire dallo spigolo nord delle fortificazioni, il piano di posa, largo m 5, di un robusto muro di difesa. Lo scavo ha pure documentato la linea difensiva scoprendo i resti di una porta che dava accesso all'interno del sito ad un sentiero che si può ipotizzare lungo il ciglio del dirupo. L'apertura, delle stesse dimensioni delle strade del sito e della porta già

descritta, ha una larghezza di m 1. Il corridoio di accesso, che si piega leggermente nel suo percorso , è lungo m 11 e per tutta questa distanza viene fiancheggiato a destra e a sinistra dall'imponente massa del muro resa più forte da due bastioni interni , realizzati a modo di torri, a destra e a sinistra del corridoio ... Non c'è nessuna circostanza che permette di dubitare che ques ta imponente opera difensiva sia stata demolita già durante l'età del bronzo ... Sembra perciò evidente che le mura di cinta verso mare siano state intenzionalmente smantellate quando non servivano più ...

La pianta del castello di Ustica ... a losanga , ha qualcosa in comune con le grandi fortezze micenee. La sua forma... [è funzione anche l del bisogno di lasciare spazi aperti dentro le mura ... per ospitare le industrie, soprattutto metallurgiche La posizione del complesso ai piedi dell'altura dove si può ipotizzare il sito della dimora del capo ha una stretta analogia a Micene Per tutti Lquesti] motivi si deve considerare il sito dei Faraglioni di Ustica castello e per di più un castello del tipo miceneo in un contesto siciliano ... " < 42 •

Conclusioni

In tutti gli esempi di fortificazioni fin qui sommariamente descritti appare innegabile l'apporto , od anche l'influsso estrinsecatosi nella prima metà del II millennio a. C., di una cultura proveniente dall'area orientale del Mediterraneo, specie per le opere più complesse. Furono, per quanto accennato , forse gli stessi nuclei di immigrati a farsene portatori, forse soltanto i mercanti ed i cercatori di metalli; di certo furono proprio quelle fortificazioni , appena più elaborate, che oltre mezzo millennio dopo i colonizzatori provenienti dalla Grecia si trovarono di fronte. In quel cruciale snodo storico: " ... i popoli della Penisola sembrano, a noi che li vediamo confusamente così di lontano, uniformati da una certa omogeneità culturale, che apparentemente li

LE PRJMF.
I A-'----- - - - -
FORTIFICAZIONl.__,l=N-"'1-"-'-TAL=

livella al disopra delle molteplici e profonde differenziazioni di stirpi e di parlate con cui è invece frazionato il territorio e, nel corso di tanti secoli, man mano trasformato dalle stesse componenti etniche per il muoversi ed il sovrapporsi anche di popoli e di genti nuove. Così, sulla base profonda dei sostrati mediterranei preindoeuropei, complessamente legati a razze, popoli, ambienti culturali e linguaggi del tutto diversi , nel corso di tutto l'arco dell'età del bronzo (e poi ancora in maggiore o minor misura durante l'età del ferro) affluiscono e s i incontrano, si compenetrano altri apporti di civiltà ed altri gruppi etnici differenti dai primi ed a loro volta diversi tra loro.

Questo processo, che si evolve in un arco cronologico lunghissimo , elabora esperienze, travagli, pause assai lunghe, affermazioni e rigetti , rielaborazioni estremamente complesse e variate non solo nei tempi , ma negli stessi luoghi in cui man mano vengono a manifestarsi. É, tutta questa, una grandiosa epopea che noi possiamo so lo assai vagamente intuire, non certo conoscere: al tennine però di questo lungo processo possiamo vedere come le regioni della Penisola si caratterizzino in forme culturali proprie , ben definite, e s i s iano formati interi gruppi etnici. L'età del bronzo medio e recente è il tempo di quegli abitatori primitivi della Penisola, che gli antichi s tessi ricordano confusamente come i progenitori dei popoli di età storica, i Siculi, gli Enotri, gli Aborigeni, i Pelasgi , gli Umbri , che lo stesso svilupparsi del fenomeno di acculturamento regionale porterà alla formazione di quelle civiltà che chiamiamo villanoviana, laziale, sabina, e in Campania delle tombe a fossa." (431

Senza voler assolutamente affrontare l'improbo tentativo di delineare , anche per sommi capi, la situazione etnica vigente in Italia al profilarsi della colonizzazione greca, compito peraltro esulante dalla finalità della ricerca, è certo, per quanto appena accennato, che quei remoti ssim i sbarchi trovarono un territorio ormai discretamente popolato e dotato di una sua connota-

zione culturale precisa sebbene vistosamente frammentata e diversificata. Una sorta di arcipelago di stirpi e di tradizioni, non fortemente dissimili fra loro ma sufficientemente variegate da non consentirne l'ulteriore assimilazione, limite che ne permise il più facile assoggettamento, almeno fin dove conveniente.

In ogni caso una dettagliata ed incontrovertibile mappatura dei popoli dell'Italia antica è ancora ben lungi dall'essere tracciata distintamente, tanto più che: " . .. una precisa concoscenza... si ha solta nto dal momento in cui essi entrarono in contatto co n i Greci, nell'VIII-VII sec. a. C., da quando cioè la tradizione sc ritta ne ha tramandato il ricordo e s' incontrano i loro primi documenti epigrafici.

I Greci determinarono il progresso d'incivilimento delle popolazioni della penisola, ma Etruschi e poi Latini, Campania, Sanniti, rappresentano le stirpi più progredite dell'Italia antica; essi ebbero maggiore coesione e coscienza nazionale ed esercitarono influssi più o meno estesi sulle altre genti ... " <44 i

Inizia così a configurarsi, allo scade re del seco ndo millennio ed agli albori dell'Età del ferro, convenzionalmente fissata intorno al 900 a.C. , e massimamente dopo !'VIII sec. a.C., una basilare biparti zione della genti che risiedono stabilmente nella Peni so la. Da una parte il g ruppo degli indigeni, definizione che in effetti comprende tutte le etnie presenti da almeno mezzo mìllennio , e dall'altra i nuovi colonizzatori provenienti dalla Grecia: definiti genericamente Italici i primi ed Italioti i seco ndi. Da un punto di vista storico, tuttavia , nonostante la contemporaneità delle rispettive vicende, mentre conosciamo abbastanza dettagliatamente gli Italioti , la cui colonizzazione (come quella degli Etruschi (451 per ragioni sos tanzialmente analoghe) è stata approfonditamente studiata e vagliata, disponiamo di informazioni decisamente più scarse sugli Italici dell'entroterra.

Tale divario di conoscenze è imputabile eminentemente al più modesto livello culturale di questi ultimi:

INGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFI CAZ ION I IN ITALIA

in assenza o quasi di produzioni letterarie le principali infonnazioni su di essi sono di natura archeologica. Per la solita ampia schematizzazione, a parte: " ... gli Etruschi, il gruppo etnico e linguistico più considerevole dell'Italia antica è costituito dalle popolazioni distribuite nelle vallate della catena appenninica dall'Umbria alla Lucania per le quali suole adoperarsi dai moderni la designazione complessiva di Italici orientali, o più brevemente, per antonomasia, di 'Italici ' Esse non ebbero mai coscienza della loro unità, se non forse e solo parzialmente e confusamente ai tempi delle lotte contro Roma... La storia degli Italici è, invero, essenzialmente quella della loro espansione, che noi vediamo in atto specialmente fra il VI e il IV secolo a.C. e che la tradizione antica riconnetteva al rito della 'primavera sacra', e cioè alla migrazione in massa di una intera generazione, votata al sacrificio in cerca di una nuova patria. Questo movimento si manifesta dapprima dalle sedi appenniniche verso le coste del Mar Tirreno, con la pressione dei Sabini e dei Volsci sul Lazio in età arcaica , e poi con la conquista della Campania da parte dei Sanniti che ivi assunsero l'antico nome etnico di Osci; culmina tra la fine del V ed il IV secolo con il dilagare del popolo sannitico degli Hirpini o Lucani nel! 'Italia meridionale... L'espansione italica fu arrestata so ltanto dalle guerre con Roma. In questo momento vediamo formate le seguenti compagini etnico-territoriali: gli Umbri a nord i Sabini e i Volsci stanziati nel Lazio e nel suo entroterra (Anzio, Velletri, Norma, Fregellae, Arpino, ecc. ) ... i popoli 'centrali' degli Hernici ... i Sanniti veri e propri nel Samnium... i Sanniti di Campania, o Campani, o Osci, con centro principale a Capua ... infine gli Hir pini o Lucani in Lucania... " < 461 •

Più in dettaglio: " ... per la critica moderna, Opici e Oschi sono due popoli diversi: l'uno apparterrebbe alla prima ondata dei popoli italici, i proto-latini; l'altro sopraggiunto con la migrazione più recente, degli Osco-sabelli, avrebbe assunto al momento della pene-

trazione in Campania il nome degli Opici adattandolo alla propria lingua "H 7 J _ In vece gli: " Ausoni sono i resti di una retroguardia che alla fine del secondo millennio non ha seguito i Protolatini nel loro spostamento progressivo verso la regione dei Colli Albani ... " < 4 x, . A loro volta i Sidicini, che compaiono sulla scena storica in coincidenza con la prima guerra sannitica, occupavano, almeno in età protostorica, una regione che: " confinava con gli Ausones di Cales ad est, gli Aurunci cli Suessa ad ovest, i Sanniti a nord ed a sud il mare di Sinuessa (Mondragone) e l'ager Stella tra il Savone e il Volturno ... " (49 > _ Circa i Volsci s i sa che costituivano una popolazione di stirpe osco-umbra, più affine agli Umbri che agli Oschi. Risultano insediati tra Velletri e Formia, tra il mare ed il fiume Sacco espandendosi a ventaglio lungo la costa pontina. Quanto ai Sanniti, stando a Strabone, provenivano dai Sabini, e si erano ulteriormente frazionati in tribù nettamente differenziate, tra cui quella degli Irpini, dei Pentri, dei Caudini, dei Frentani e dei Lucani. Per immaginare quale fosse l'entità territoriale che ciascuna di esse si era ritagliata basta rievocare i confini della Lucania che: " estendevasi propriamente dal Sele [Salerno] e dalla Puglia fino allo stretto di Sicilia, ma senza comprendere le contrade poste sul Tirreno dal Sele fino al Lao e quelle poste sul Jonio dallo stretto di Sicilia fino al Bradano, le quali obbedivano ai Greci ... " '50)

Gli Etruschi, infine, sebbene la loro estrazione etnica sia fortemente controversa, si distinsero dagli altri Italici soltanto per preminenza culturale e vastità territoriale, avviando in perfetta sincronia con gli stessi il loro espansionismo coloniale. Al di là della diatriba circa la loro più probabile origine, sia: " ... gli antichi che i moderni hanno riconosciuto che gli Etruschi hanno il merito cli aver avviato l'incivilimento cli tutta l'Italia centrale tra i limiti estremi della zona sottoposta al diretto controllo politico o ali' influsso delle colonie greche dell'Italia meridionale e il confine settentrionale dell'Italia antica , tradizionalmente fissato tra

LE
PRIME fORTTFICAZJOt-;l IN ITALIA _____

INGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI 01 FORTIFICAZIONI IN ITALIA

la Magra e il Rubicone. Le sedi storiche degli Etruschi sono, secondo la partizione augustea dell'Italia antica, quelle dell'Etruria, corrispondente all'attuale Toscana, alla parte occidentale dell'Umbria e settentrio na le del Lazio, il ten-itorio cioè compreso tra l 'Arno a nord , gl i Appennini e il corso del Tevere a est e a sud. Tuttavia non so l o !'Etruria, terra di 'orig ine ' di quel popolo, era so ttopo sta al controlllo politico etrusco, ma , almeno per l 'età arcaica, probabilmente dalla fase protostorica, certamente dal VII secolo a.C., fino agli ultimi decenni del V sec. a.C. in un caso e del IV seco lo a.C. in un a ltro, la parte centrale della Campania e una larga porzione della pianura padana furo no sedi di 'co lon ie' etfUSChe ... " eSI I

Pur essendo le accennate distinzioni etniche sostanz ia lm ente scolastiche, e limitate alle principali etnie, es e valgono tuttavia a fornire una pallida immagine del menzionato arcipelago, nel quale peraltro si inserì la colo nizzazio ne g reca, ed, in alcu ni contesti, quella fenicia e punica. E va lgono soprattutto a spiegare la necessità, ai fini della presente ri cerca, di ridurre quella pletora in s tabile, e co ntinuam ente fluida, a lle sue due componenti principali, quella italica da una parte e quella itali ota dall'altra, entrambe travagliate da ulteriori suddivis ioni interne ma en tramb e abbastanza omogenee per cultura e tradizioni. Non a caso la produzione delle rispettive architetture militari ostenterà, nitidi ssima, una identica bipartizione.

NOTE CAPITOLO SECONDO

' Da D H. TR UMP, La preistoria del Mediterraneo, Vicenza 1983, pp. 233-236. Precisa ancora lo stesso autore circa il ruo lo dei Dori, p. 178:" ... ment re per spiegare i l crollo della brillante civiltà minoica possiamo far ri fe rim ento a un intervento d ivino (l'eruz ione del Santorino) , per il declino della civi ltà micenea. invece, possiamo pensare che il medesimo ruolo sia stato giocato dall'attacco dei Greci - Dori; ma le d iffico lt à che questa tesi presenta sono evidenti, prima fra tutte quella pos t a dalle cifre: la Grecia, densamente popolata verso il 1300, lo era molto meno intorno a l I I 00, Come avrebbero potuto piccole bande di Dori prevalere su una popolazio ne così ricca e numerosa e be n difesa? L a documentazione archeologica è, a questo proposito, sorprend entemente scarsa Sembrerebbe forse pi ù veros i mile affermare che i Micenei abbia no dovuto soccombere sotto qualche altra min accia. precedente all'invasio ne dei Dori.... Anche i livelli di distruzione di molte c i ttà micenee potrebbe ro essere antecedenti, piuttosto che conseguenti, all'immigrazione dorica. Difficoltà anche magg ior i si oppongono alla tes i che la Grecia sia stata attaccata da una fo rza navale proveniente da oriente L'interruzione dei traffici commerc iali con l'oriente avrebbe potuto ave re gravi ripercussioni sull'econo mi a greca, specie se avesse impedito i rifornim enti di bronzo; ma difficilmente ta li effetti avrebbero potuto essere così disastrosi. Alcuni studiosi hanno ipotizzato a nc he mutame nti climatici o il diffondersi di una pestilenza. É più probable che si sia verificata una comb inaz i o ne di tutti questi fat~ori .. .. I Dor i non gi un sero come invasori, ma furono risucchiati ne l vuoto che seg uì questa crisi... ".

2 Da L. V AGNETI' I, I Micenei in It al ia: la documentazione archeologica , in La Parola del Passato, XXV, pp. 359- 80.

3 Al riguardo è interessante ricordare il ritrovamento ci t ato da D H TRUMP, La preistoria , cit., p. 163, d i:" una nave naufragata al largo di Capo Gelidonya, su ll a costa me ridi onale della T urchia. Proveniva, forse , da un porto siriano (Uga rit?) , ed è affondata poco dopo il l.200 a.C. TI suo carico, disseminato sul fo nd o del mare, comprendeva un a quarantina di li ngotti di rame a forma di pelli di bue conc i ate, del peso di 24 kg ciascuno, alcuni lingotti più p icco li cli bronzo e stagno e una notevole quantità di minuscoli pezzi di bronzo da fondere. Si d iscute accan it amente su ll a provenienza dello stagno, ma poichè il rame e i frammenti di bro nzo erano stati certamen te stivato a ovest di Cipro. questo ritrovamento in d uce a ritenere che anche lo stagno seguisse il medesimo itinerario ". In ogni caso s i tratta sempre di metalli g i à purificati e mai di m in erali allo stato grezzo.

• La presenza dell'ossidiana è stretta m e nt e connessa con ratt ività vulcanica, poichè la stessa:" è ge nerata da raffreddamento rap ido di lave esse nzialmente acide in cui l 'a lta vi scosi t à impedisce la degasazionc:meno comuni sono qui ndi le ossidiane basaltiche, t ipic he invece q ue ll e riolitiche dette anche liparitiche ", da Dizionario d' Ingegneria, fondato da E. PERUCCA , To rin o 1976, voi. Ylll, al la voce.

i Cfr. M. GRA1'T, Le città e i metalli. Società e cultura degli Etruschi, Bolog na 1982, p.25.

6 Precisa G. LILLIU, Le origin i della storia sarda, in Storia dei Sardi e della Sardegna, Milano l 988. vo i. I, p. 44: "L'oss idi ana, una pietra vulcanica nera e lucente, da ll a quale si estraevano, co n varie tecniche di lavoro, diversi oggetti domestici no nc hè s trumenti per cacc i a e armi, con i ricc hi depositi del Monte Arei ( Ori sta no) cost itui va una materia preziosa, un a so rt a di oro nero, da tutti apprezzato in quella remotissima età e a nco r dopo l'oro nero sa rd o, es tratt o dai minatori del Mont e Arei e imbarcato dai mercanti locali nei porticcioli nat urali tra Marceddì e Cabras , vi aggiava anc he o ltre i ce ntri di richiesta della Val Pada na , de ll a Liguria, del Mezzogiorno della Fran cia e della Catalogna C iò, ovviamente, poneva le comunità della Sardegna (alme no q ue ll e ri vierasche) a contatto con genti e culture d ifferen t i dell'Occidente rned ite mtn eo... ". Circa le moda lità d i la vorazione dell'ossidiana cfr. G. B ENEVELLI, Dalla pietra afl'ago, M il ano 198 3, pp . 43 -4 8.

' Il min era le appare di lucentezza meta lli ca viva, con co lorazione gia ll as tra , non di rado iridescente, di ril evante peso specifico. Circa le giac iture ri corda E. ARTINI, I minerali, Mil a no 1941, pp. 344-345:"Da no i i c ri s talli sono rari: abbasta nza abbondante, per lo più in masse compatte, o disseminata, o mi sta, la calco pirite si tro va specia lm e nte in Li g uria , nel t errito ri o di Casarza e di Sestri Levante, e in Toscana, in prov. di Pi sa (Montecatini) e di Grosseto nel territorio di Mas sa Mar ittim a e di Mont ie ri (Boccheggiano). J giac im enti di queste reg io ni so no in stretta relaz ion e gene ti ca co n rocce erutt iv e ba s ic he ... e ntro le quali il min erale forma vene o mosche; più s pesso s i trova co ncen trato a l co ntat to con le rocce incassanti, in noduli , p icco li ammassi, o veri filoni, a matrice q uarzosa E ' questo il più diffuso e d importante min e ral e del rame ".

8 Da G. LILLIU, La bella età del bronza, in Storia dei Sardi , cit., voi. I , p. 108.

9 La citazione è tratta da R. P ERON I, Enotri, Ausoni, Itali e altre popolazioni dell'estremo sud d'Italia, in Italia omnium terrarum parens, Milano 1989 , p. 137.

10 D a M. GRANT, Le città , c it. , p. 22.

11 D a P. G. G uzzo, Le città scompa rse d ella Magna Grecia, Perugia 1982, p. 20

11 Cfr. R. M ARTIN, L'architettura della Cre ta minoica e del mondo miceneo, in Storia universa le dell'architet1ura-Archite1tura mediterranea preromana, Venezia I 972, pp. 193 -223.

LE PRIME FORTlflCAZIONI IN ITALIA

u Da L. ZEPPEGNO, C. F1Nz1, Alla scoperta della antiche civiltà in Sardegna. Roma I 978. pp. 18 - 19.

14 Cfr. B. RUDOFSKY. Le meraviglie de/l'architettura spontanea, Bari 1979, pp. 242-249.

15 Da V. G. CHILDE, L'alba della civiltà europea, Milano 1972, p. 265

16 Da V. G. CHILDE, L'alba , cit., p. 266.

17 Da V. G. CHlLDE, L'alba , cit., p. 266.

1 ~ Da D. H. TRUMP, u, preistoria , cit. , p. 200.

19 Cfr. G. ScHMIEDT, Atlante aen!o_fotografìco delle sedi umane in Italia. parte prima. L'wi/iz:a zione delle fotogrqfìe aeree nello studio degli insediamenti, Firenze 1964, p. 13.

2° Cfr. F. Russo, La d(fesa delegata, Roma 1995, pp. J2-14.

21 Da V. G. CHlLDE, L'alba ... , cit., p. 267.

22 Precisa al riguardo V. L. GRO'ITANEI.LI, Il diritto e la.forza, in Etnologica, l'uomo e la civiltà, Milano 1966, voi. IIT, p. 272:''Con la fine o almeno l'affievolimento dello stato di guerra interlribale o endotribale, i veri e propri villaggi fortificati sono spariti ormai da quasi ogni parte del mondo; ma essi erano frequenti ancora nel secolo scorso, dal Congo alla Melanesia, dalla Nuova Zelanda all'Amazzonia; le relazioni dei viaggiatori e conquistatori fra il Cinque e il Seicento ci descrivono vaste zone degli attuali Stati Uniti di sseminate di vere e proprie fortezze indigene. I vi llaggi dei Guarani, fra Paranà e il Paraguay, erano protetli da una duplice o triplice palizzata concentrica, e da fosse che gli assalitori dovevano per forza attraversare, e il cui fondo era irto di punte aguzze ben confitte nella tena e dissi mula te sotto la melma e le foglie. La stessa descrizione si applica ai vi I Iaggi fortificali della Melanesia. Quel I i dei Mafolu (Nuova Guinea orientale interna) visti oltre mezzo seco lo fa da Williamson avevano anch'essi palizzate di tronchi, alte da 5 a 8 metri e disposte a file successive, profondi fossati, e piattaforme s ug li alberi circostant i da cui gli ab i tani potevano saettare e precipitare sassi sui nemici che cercassero di salire verso il villagg io ".

23 Da S. MOSCATI, La civiltà mediterranea dalle origini della storia a/l'avvento dell'ellenis1110, Milano 1980, pp. 344-345 Cfr. E. M. DE J u u ,s, Civiltà preistoriche e protostoriche della Daunia, AA. Yv., Firenze 1975. p. 287. Cfr. A. DoNVJTO. Città.fortificate della Puglia preistorica. in Città. torri e opere fortifirnte di Puglia, a cura di R. De Vita, Bari 1982. pp. 298-303.

24 Da L. Qu1uc1, Roma primitiva e le origini della civiltà la ziale, Roma 1979, p. 148.

25 Da L. Qrnuc1, Roma , ci L. , p. 150.

2 • Da L. Qu1uc1, Roma ciL., p. 150.

27 Da L. Q u1uc1 , Roma , cil., p. 151.

zs Da I. HOGG, Storia delle fortificazioni, Novara 1982, p. J I.

9 Da G. M. TABARELLI, Castelli dell'Alto Adige, Milano J974, p. 10.

30 Da L. ZAPPEGNO, C. FINZI, Alla scoperta delle antiche civiltà in Sardegna, Roma 1978, p. 20.

31 Da G. LILU U, Nuova riccheu,a e nuovo potere: l'età del rame (eneo/otico), in Storia dei Sardi e della Sardegna, Mi Iano 1988, voi. I, p. 86.

32 Da G. LTLLIU, u, bella età del bronzo, in Storia , ci t., voi. T, pp. 94 -96.

33 Da G. LILLJU, La bella , c il. , p. I 02.

34 Da D. H. TR UMP, La preistoria ... , cit., p. 203.

15 Da G. LILLI U, La bella , cit., p. 110.

1 '' Da 1. HOGG, Storia ... , ci l. , pp. 14-15.

n Da G. MANNINO, Il villaggio dei Faraglioni di Ustica, in Studi in onore di Ferrante Rittatore Vonwiller , Como 1982, parte prima, voi. I, p. 296.

18 Da R. Ross, S S. LUKE.SH, Ustica, lo calità Faraglioni: perchè castello?, in Archeologia e territorio, [?] 1995. p. 457. Sempre degli stess i autori cfr. Ustica I. Excavations of 1990 and 1991, Luovain La Neuve, 1995 , pp. 5- 12.

,.~Da R. Ross., S. S. LUKESH, Usrica , cit., p. 458.

40 Da G. M ANNlNO, li villaggio , cil., p. 282

4

1 Da R. Ross, S. S. LUK ESH, Ustica , cit.. p. 458.

4

2 Da R. Ross, S. S. LUKESH, Ustica , c it. , pp. 459-460.

4

3 Da L. Q uruc,. Roma , cit., pp. 38-39

44 Da L. SANTORO, Fortificazioni della Campania antica , Sa lerno 1979 , p. 23.

45 Cfr. M. PALLffrrINO, Etruscologia. Milano 1968, pp. 146-149.

46 Da M. PALL01T IN0 , Centri e tradi zioni etrusco -italici: gli Umbro -Sabelli e la cultura «italica » , in Enciclopedia Universale

1NGEUNO E PAURA TRENTA SECOLI DI fORTll'ICAZIONI IN ITALIA

LE PRIME FORTIHCAZIONJ IN ITALIA

dell'Arte, V, I 958. c. 145.

41 Da B. D' AGOSTI o, Il mondo periferico della Magna Grecia, in Popoli e civiltà dell'Italia antica, Roma 1974, voi. Jl, p. 183.

,;< Da G. DEVOTO, Per la storia linguistica della regione, in La Ciociaria, Storia arte e costume, Roma 1972, p. 4.

4 9 Da P. MlNGAZZ T , Sidicini, in Enciclopedia Italiana, I 936, XXXI, p. 705.

l-0 Da B. D ' AGOSTL"lO, li mondo periferico , cit., p. 183.

1 ' Da M. TORELLI. Le città etrusche, a c ura di F. Boitani, M. Cataldi, M. P asq uinucci , Verona 1973. p. 11.

CAPITOLO TERZO

Le Fortificazioni Italiche

La civ iltà appenninica

Per una comprensibile repulsione ispirataci dalla odierna civiltà, in costante conflitto con la natura per lo spietato, e spesso scriteriato, sfruttamento delle sue risorse , siamo portati a rimpiangere, anche sotto il profilo ecologico, una mitica età dell 'oro . La sua connotazione precipua sarebbe stata il sostanziale equilibrio fra quanto consumato e quanto disponibile , tra le esigenze umane e le potenzialità ambientali. ln altri termini, le economie arcaiche non solo non avrebbero in alcun modo compromesso il delicato bilancio della biosfera ma , anzi, adeguandovisi accortamente, lo avrebbero addirittura ottimizzato. La presunzione, tuttavia, è per molti aspetti assolutamente gratuita e per nulla giustificata, essendo proprio nella forzatura degli ecosistemi insita la capacità della nostra specie di sopravvivere, anche nelle più avverse condizioni.

Ovvio, pertanto, che persino agli albori della civiltà, ancor prima che l'agricoltura imponesse le sue molteplici istanze alterative del territorio, si ravvisino nella rudimentale pratica pastorale le antesignane trasgress ioni. Il progressivo incremento artificiale del numero dei capi di bestiame , più o meno addomesticati, infatti, esulò ben presto dalle concrete possibilità rigenerative dei pascoli, obbligando ad incessanti spostamenti. E se nelle immense regioni mediorientali e nelle grandi aree continentali tale comportamento non diede origine a spec ifi che culture , ri solvendosi genericamente nel nomadismo al seguito delle mandrie, lo stesso non si determinò laddove gli spazi disponibili non erano analoghi soprattutto per dimogeneità geomorfologica. Una rilevante massa di bestiame, infatti, in una regione estremamente ampia come le propaggini del deserto

nordafricano<1i, o le steppe asiatiche, s i scinde in una miriade di modesti branchi , assolutamente liberi di s postarsi discrezionalmente alla ricerca del cibo. I ri spettivi pastori, pe1tanto, non sono costretti all'affannoso e spesso conteso accaparramento delle sc arse zone idonee al pascolo. La vastità stessa del territorio , infatti , comporta che la frequentazione dei medesimi siti avvenga con ricorrenze estremamente rade , frustrando l'instaurarsi di percors i ciclici. In pratica, sembra lecito poter affermare che, in tali circostanze, siano stati piuttosto gli uomini a seguire gli animali che non il contrario: dal che si origina una società pastorale nomade, impossibilitata a sedentarizzarsi. Una situazione, invece, diamentralmente opposta si veri.fica per le regioni relativamente più piccole e comunque disomogenee, quali appunto la nostra Penisola.

Nel capitolo precedente si è osservato che la conformazione geologica estremame nte variegata dell'Italia , origine delle sue splendide connotazioni ambientali, sotto il profilo antropico si dimostrò inizialmente, se non avversa, almeno non propizia allo sviluppo delle più arcaiche popolazioni residenti. Non mancavano certamente pingui pascoli appenninici per le greggi, come pure feraci pianure da coltivare a ridosso del mare. Ma la rigidità invernale dei primi e l'insalubrità dell'aria per delle seconde, contraevano sensibilmente le rispettive potenzialità. Tra l e pendici montane e le dune litorali si estendevano campi coltivabili, ma per lo più riarsi d'estate ed a llagat i nelle restanti stag ioni, mentre l'abbondante innevamento degli altipiani precludeva a l bestiame il sostentamento naturale e la permanenza all'aperto durante i lunghi inverni.

Ri sultando impraticabili sia l'agricoltura estens i va che la pastorizia intensiva, per una comunque stentata

sopravvivenza si rendeva indispensabile l'apporto sia degli scarsi raccolti sia delle misere greggi. Nessuna meraviglia che gl i sforzi per prosciugare quei terreni si intrapresero in epoca remotissima, con esiti remunerativi. Pertanto sin: " ... dall'età neolitica, molteplici canali sotterranei, di cui l'archeologia ha ritrovato i resti, solcavano l a campagna romana. Si conoscono anche i primitivi lavori degli Etruschi nelle ristrette pianure toscane ... " 12 )

Ma proprio la spasmodica ricerca di ulteriori superfici da coltivare comportò un vistoso aggravio della situazione, poichè la distruzione delle foreste e dei boschi incrementò il dilavamento dei crinali ed il trasporto a valle della relati va copertura fertile. Lì, per la scarsissima pendenza dei corsi d'acqua, i sedimenti si depositavano, ostruendone l'accesso alle foci ed impaludandoli. L'erosione, appena accennata, finì perciò col rendere contemporaneamente incoltivabili sia molte pendici appena sottratte alle foreste col fuoco, trasformandole in sterili pietraie, sia molte pianure riducendole a loro volta a pantani, circolo vizioso a lungo irreversibile. Eppure dovette essere proprio la constatazione delle spiccate antinomie tra i due concomitanti ambienti, montano e pianeggiante, a suggerire, prima una migliore integrazione tra le rispettive insufficienti economie, agricola e pastorale, e poi una razionale compresenza, premessa della più grand io sa so lu zione antiecologica dell'antichità, rimasta, nonostante la sua rischiosissima precarietà, a lungo immutata e senza significative analogie. Quanto accennato tro vò la massima attuazione e sviluppo tra la dorsale dell'Appennino centrale e le brulle pianure pug lies i, come pure, sebbene in maniera più modesta, anche sulle fascie costiere campane, laziali e to scane. Pert anto: " .. . il rigido inverno delle zone montuose più e levate e l'aridit à estiva che riduceva la piana del Tavolie re ad una specie di deserto scoraggiavano l' agricoltura di s us sistenza. La terra, d'altra parte, poteva essere trasformata in una componente produttiva del-

l'economia rurale se i prodotti commerciali della pastorizia venivano introdotti ad integrare la dieta poco equilibrata degli agricoltori dediti alle colture e viceversa. Il formaggio e il latte prodotti dalla gente di montagna venivano scambiati con i cereali degli agricoltori delle pianure e rendevano coltivatori e pastori vicendevolmente dipendenti per la sussistenza. Gli allevatori radunavano inoltre le loro pecore e discendevano alla piane, per trovare rifugio dai rigori dell 'inverno e per partecipare ai mercati primaverili. Questo tipo di scambio competitivo è caratteristico di una economia agricola che vive in relazione simbiotica con la pastorizia L o specifico calendario della migrazione corrispondeva al ciclo agricolo. Il movimento pastorale dalle montagne estive alle piane invernali avveniva anticipando le prime piogge autunnali, in settembre o ottobre, nello stesso momento in cui il grano veniva piantato nelle pianure invernali. Per quanto il concime anima le fosse un fertilizzante benvenuto per i campi, tenere le pecore al pascolo lontano dai campi seminati a grano non era impresa facile. Al seccarsi dell'erba primaverile, alla fine di aprile o maggio, e all'approssimarsi della mietitura... le greggi si rimettevano in movimento. Pecore e cereali erano in concorrenza per l a stessa terra nel medesimo periodo ... " < 3 > _

Posta così, la questione altro non sarebbe che la spiegazione della classica conflittualità tra allevatori e coltivatori, ma in realtà nelle vicenda giocava un ulteriore basilare elemento: il c icl o di coltivazione dei camp i, secondo il quale14 ) tre anni consecutivi di raccolti erano seguiti da altrettanti di pascolo, intervallo necessario alla rifertilizzazione dei suo li. A questo punto diveniva possibile, con una oculata gestione del territorio, avvicendare greggi e grano, con reciproco beneficio, modificando ampiamente i limiti ecologici naturali. Di sponendosi, infatti, nel corso dell'estate di pascoli d'altura di eccez ion a le capacità ricetti va si incrementò a dismisura il numero dei capi di bestiame, non tenendo in alcun conto il rigidissimo vincolo impo-

INGEGNO E PAURA TRENTA S ECOLI DI FORT IFICAZLONJ I N ITALIA

sto dalla penuria di foraggio e di ripari nella cattiva stagione. Infatti la so luzione escogitata lo aggirava trasferendo le greggi sulle pianure costiere, messe in temporaneo riposo agricolo, che i tanti animali pascolanti provvedevano a fertilizzare.

La procedura, success ivamente definita 'transumanza', rappresentava in realtà una so rta di azzardo ecologico. Gli allevatori, infatti, nel loro complesso, riunivano e selezionavano un numero di capi, in maggior parte pecore, le più idonee ai lunghi spostamenti, notevolmente superiore a quello sostenibile localmente, ovvero compatibile con le risorse ambientali, s ia di montagna sia di pianura. Il periodico tra sferi mento delle greggi evitava la moria per stenti di un significativo numero di capi, altrimenti inevitabile. La convenienza del sistema cresceva, ovviamente, con l'allontanarsi dai limiti naturali, seb bene tale forzatura implicasse crescenti rischi. Nessuno ignorava che il: " ... capriccio della natura ... poteva facilmente sconvo lgere la pratica ideale dell'allevamento. I pascoli avrebbero potuto inaridirsi a causa della sicci tà , permettendo ad numero minore di pecore di nutrirsi ... [mentre in p ianura] era raramente il freddo stesso ad uccidere le pecore , ma la neve sul terreno che impediva un pascolo agevole e provocava la morte per fame o per malnutrizione "(5) _ L'alternativa però consisteva soltanto nell'impossibilità d'incrementare le gregg i, ovvero le risorse alimentari.

D al punto di vista a ntr opico, la coraggiosa scelta non originò società nomadi, quand'anche pastorali, ma fo ndam ental mente sedentarie, in cui so lo una frazione di individui conduceva un'esistenza pendolare. P iù in dettaglio, essendo la distinzione basilare ai fini della r ice rca, è assodato che : " .. . la transumanza, a nc he la più tumultuosa, trascina co n sè soltanto una popolazione specializzata di pastori. Essa imp li ca una divisione del lavoro, un'agricoltura dimore fisse , villaggi Il nomadismo, al contrario, trascina tutto con sè, e su percorsi e norm i:l e genti, le bestie e anc h e le case. Ma non

incanala mai, come la transumanza, enormi fiumi di ovini. Le sue greggi, anche rilevanti, si diluiscono in uno spazio immenso " <61 •

Pertanto la maggioranza della popolazione italica, nonostante il prevalere dell'economia pastorale, continuò a risiedere nei villaggi, dove integrò gli apporti alimentari derivanti dall'allevamento con quelli provenienti da una ste ntata, ma affatto marginale, agricoltura. In definitiva si: " ... è parlato esageratamente, per l 'e tà appenninica, dell'importanza del mondo pastorale, come se le popolazioni di questo tempo conducessero una vita nomade, alla costante ricerca dei luoghi di pascolo e di caccia. Invece la pratica della transuman za non richiede una vita errabonda, ma uno spostame nto di certi elementi di un gruppo soc iale in una determinata stag ione de ll 'anno. La migrazione, infatti, non implica l'abbandono delle abitazioni originarie da parte di tutto il clan, ma solo delle persone necessarie a questo lavoro. La stessa economia delle comunità montane non appare so lamente pastorale e di caccia, ma anche agricola e di allevamento sta nziale ... così dobbiamo vedere la migrazione so lo come una necessità climatica stagionale, non un normale modo di vivere. Un certo numero di animali doveva poi certo restare nelle sedi montane anche d 'inverno ... per le nece ss ità di chi continuava la vita sul posto ... " <7l _ Di conseguenza la sce lta per l'ubicazione degli sta nziamenti, essendo gli estremj dell 'esc ursio ne immutabili e ciclici, si riduceva alle pianure costiere o alle pendici montane. A favore delle prime la minor rigidità degli inverni, mentre delle seconde la sa lub rità dell'aria , l'abbondanza d'acqua, di selvaggina e soprattutto una inconfrontabile sicurezza, senza contare una inesa uribile disponibilità di legname, unica fonte energetica e basilare materiale da costruzione. La preferenza, ovviamente, andò alla montagna per cui i villaggi sorsero adiace n ti ai pascoli estivi che, attraverso una trama di tratturi <8l si collegarono con le pianure costiere dove sve rnare. In concl usio ne, cronologicamente

LE FORTIFICAZIO
NI ITALICHE

la: " ... vita montanara sembra sia stata la prima vita del Mediterraneo, la cui civiltà «proprio come quelJa del Vicino Oriente e dell'Asia centrale, ricopre e nasconde male le sue origini pastorali» che evocano un mondo primitivo di cacciatori e di allevatori, una vita di transumanza... legata alle regioni alte, molto presto ord in ate dagli uomini. Le cause? Senza dubbio la varietà delle risorse montane; ma anche il primitivo dominio in pianura delle acque stagnanti e della malaria; oppure il vagare incerto in quelle zone delle acque dei fiumi. Le pianure abitate, oggi immagine della prosperità, furono creazioni tardive, faticose di secoli di sforzi collettivi So lo progressivamente l'occupazione si è estesa dalle alture alle bassure febbricose , luccicanti di acque morte " (9> _

Una testimonianza implicita della notevole antichità degli stanziamenti d'altura e della inevitabile transumanza si coglie nelle pagine di Plinio. Il celebre naturalista, infatti, precisava che due distinte razze di pecore erano coinvolte nelJe periodiche migrazioni, una detta 'greca' l ' altra, ovviamente , 'italica'. Il dettaglio , pertanto, sembrerebbe far risalire se non l'avvento della transumanza almeno la sua ottimizzazione agli albori della colonizzazione g reca, ovvero intorno all'VIII secolo a.C. Molto più verosimi lm ente, però, potrebbe anche sig nificare che in tale epoca alla tradizionale razza indigena se ne affiancò , per iniziativa dei coloni , una seconda, più remunerativa , esattamente come oltre due millenni dopo si verificò con l'introduzione dalla Castiglia delle pecore di razza 'meri na ', senza che per questo la pratica della transumanza sub isse contest ual i alterazioni.

In ultima anali si, con l'adozione delJa transumanza riuscì possibile infrangere la biocompatibilità e l ' incremento delle risorse consentì un rapido proliferare degli insediamenti appennin ici. Ne scaturì una ben distintà civiltà, non a caso definita appenninica, che rapidamente evo lse e si stem però nella più recente 'tardo appenninica' fiorita, a s ua volta, in concomitanza con i

prodromi della colonizzazione greca. Nel frattempo le quote dei villaggi , lentamente , s i abbass arono , in modo da poter meglio sfruttare sia le fertili fasce pedemontane sia i floridi pascoli sommitali.

Circa le caratteristiche degli insediamenti va precisato che: " ... le popolazioni italiche primitive vivevano in piccoli villaggi aperti e sparsi. L'unione di alcuni di questi villaggi della stessa razza, della stessa lingua e degli stessi costumi formava un distretto, il quale costruiva in luogo elevato un centro religioso e di culto , recinto da un muro e abitato solo in caso di sommo pericolo (arx). Esso non è ancora la città, ma il nucleo della futura città, la quale comprenderà poi tutte le abitazioni che a mano a mano si verranno a raggruppare intorno ali ' arx o capitolium. Si formerà così l' urbs ... contornata anch ' essa da un muro (oppidum). La differenza fra rocca e città appare dal numero delle porte , scarso il più possibile nella prima, abbondante quanto più si poteva nella seconda; per cui nella rocca se ne trova abitualmente una sola e nella città almeno tre ... " c10 > .

In merito alla sopravvivenza, e ali' origine, di tali arcaici insediamenti , il Mommsen precisava che: " ... il territorio degli Equicoli, i quali ancora la tempo dei Cesari non vivevano in città, ma in numerosi villaggi aperti , mostra una quantità di antichissime cerchie di mura, che come «città deserte» destarono ... la meraviglia degli archeologi romani e dei moderni, perchè quelli credevano di riconoscervi le abitazioni dei loro Aborigeni, e questi quelle dei Pelasgi. Ma più esattamente si dovrebbero riconoscere in quei resti non già città murate, ma asi li dei membri della comunità, come se ne trovavano senza dubbio in tutta Italia, in tempi più ant ichi, costruiti però in modo meno ingegnoso. É naturale che quando ... anche quelle comunità ... lsostituirono] mura di pietra ai terrapieni e alle palafitte delle loro fortezze tali fortificazioni divennero inutili, si abbandonarono, [e] divennero un enigma per le generazioni future. Quelle comunità che tro-

INGEGNO E PA URA TRENTA S EC OLI DI fORT JFI C AZ IO NI rN ITALIA

ITALICHE

varo no il loro centro in una rocca ... sono ... il punto di partenza della storia italiana.

Ma dove tali distretti si formassero nel Lazio non si potrà mai stabilire con certezza... [la] catena dei monti Albani ... senza dubbio fu occupata subito dai popoli sopravvenuti. "(1 1 > In particolare fra i 200 ed i 400 m di quota: " ... attorno alla campagna romana corre la linea dei Castelli Romani , [dove] si annidano i vecchi oppida che costeggiano sui monti Volsci la frangia deserta ... delle Paludi Pontine ... L'orto ne è il primo piano, la montagna grigia lo sfondo. Gli oppida, vecchie cinte fortificate, si annidano sugli speroni, nelle parti non coltivabili. Non vi è vita urbana, bensì una vita cantonale abbastanza potente " <12>

Quale fu, in effetti, la connotazione insediativa in cui tale popolamento della dorsale appenninica, dall'Emilia allo Stretto di Me ssina, si sviluppò?

Per la menzionata caratteristica di frammentazione demografica non attinse mai l'entità minima necessaria per la formazione di città propriamente dette, bloccandosi alla fase del villaggio. Pertanto l'insediamento:

" ... italico nelle zone appenniniche si articola nelle forme caratteristiche di una struttura soc io-economica pre-urbana, di tipo paganico-vica no. Gli insediamenti che gradualmente acquisiscono consistenza urbana, a partire dal IV sec. a. C. e specialmente durante il III, rimangono sempre nelle condizioni di entità costitutive dello stato, la touta, nella sua dimensione etnico-tribale, e non si evolvono sul modello della poli.\Jurbs, a differenza delle città sannitiche della Campania. I modelli istituzionali sono noti su vasta scala, dalle regioni sabelliche settentrionali a quelle irpine e campane, anche attraverso quanto di essi è stato mantenuto , per funzionalità amministrativa, nella prima fase della romanizzazione e che poi in parte è perdurato in età imperiale.

La struttura insediativa diffusa sul territorio come unità produttiva è il vicus: «gen us aedificiorum» rurale, secondo Festo , esso assomma alle funzioni produt-

tive (agrico le, di allevamento, artigianali) quelle di scambio, ed è sede di poteri amministrativi nella sfera civile e religiosa. Il vicus si contrappone all'unità produttiva della villa, che ha funzioni specializzate e che si afferma nell'ambito di società urbanizzate La formazione spontanea di un vicus presuppone un sito aperto, vallivo, pedemontano o collinare, facilmente accessibile, la cui scelta viene determinata, attraverso un processo di convergenza, dalla sua capacità di assonunare funzione diverse " <13 > _

E, sempre per la stessa frammentazione demografica la connotazione aggregativa non superò mai la fase tribale propriamente detta , e quella di una società divisa per clan con nuclei chiusi e statici, gelosi custodi della propria autonomia, anarchicamente indipendenti . Ed esattamente come in tutte le società del genere, la conflittualità intertribale ed endotribale costituì piuttosto la norma che l'eccezione, ruotando attorno al furto del bestiame. Etnologicamente la tribù è definita: " come « un gruppo autonomo dotato di coesione politica e sociale, occupante un dato territorio o avente diritti s u di esso >>.

Tale definizione minima si applica anche alla grande comunità che noi designarne di soli to con il nome di popolo ... Il concetto di base rimane il medesimo , e include la nozione di un certo grado di omogeneità razziale ... Ma vi sono anche gmppi etnici compatti sotto il profilo territoriale e molto numerosi, che conducono vita sedentaria e abitano zone geograficamente ben delimitate, e che tuttavia mancano di un ordinamento politico ... lla cui finalità] ridotta ai suoi minimi termini ... consiste nel garantire, quanto meno all'interno del gruppo etnico cui si appartiene, il rispetto di alcuni diritti essenziali, cioè la sicurezza della vita umana e della proprietà. Nessuna società conosciuta può fare a meno di questo minimo... [nonostante ciò l esistono unità etniche ... le quali proprio sul piano politico sono suddivise in sotto-unità distinte e in lotta fra loro ...

É probabile che appunto quest ' ultima connotazione

LE FORTIFICAZIONI
1141
"

sia stata il contesto esistenziale degli arcaici insediamenti appenninici italici, ed è significativo che in alcune delle più remote fortificazioni sannite, fatte rimontare: " stando al Maiuri, [non più in là del] settimo secolo a.e., i manufatti si spingano oltre. [Tra questi] tre punte di selce levigata... [dell'] epoca neolitica... " <15>. Logico, pertanto, ravvisare nella preesistenza di simili, e non eccezionali, reperti alle più remote fortificazioni la conferma della belligeranza intertribale ed endotribale, normale contesto esistenziale degli italici primordiali.

Del resto più in generale: " ... un antagonismo fra gruppi che spesso agiscono di iniziativa propria, senza essere mandatari della comunità di origine, non implica affatto un vero e proprio stato di guerra fra le comunità in questione: su altri piani può coniugarsi perfettamente con il mantenimento di alcune relazioni che a loro volta non avranno come contropartita, la regolarità e la stabilità tipiche di un autentico s tato di pace " ' 16 i

Ne deriva, in conclusione, un arcipelago di piccoli villaggi, distanziati fra loro, abbarbicati alle pendici montane dalle quali traggono sicurezza e sostentamento . Ques ta paiticolare forma insediativa, frutto più del provvisorio che della sedentarietà irreversibile, non può ovviamente trovare stretta corrispondenza con le fortificazioni, che per contro suppongono certezze e inamovibilità secolari. Pertanto, inizialmente: " ... i centri fortificati sorgono nel territorio con funzione specifica e senza necessità di coincidenza con entità vicane. La loro utilizzazione diviene più intensiva nei momenti di maggiore instabilità civile ... [successivamente] il prevalere di esigenze difen s ive ha determinato l'introduzione di modelli nuovi: costituzione di vici nell'ambito di aree fortificate, ovvero fortificazioni di nuclei abitati preesistenti , senza tuttavia incidere nel1'assetto strutturale produttivo nè nel quadro istituzionale. Gli insediamenti vicani mal si prestavano nel loro complesso per un potenziamento diretto , ad essere cioè

muniti di mura, sia per la loro ubicazione prevalentemente esposta e non arroccata , s ia per la loro diffu sione eccessivamente sporadica. Il luogo fortificato è in effetti non una pertinenza del vicus, anche nei casi in cui vi s ia coincidenza topografica, ben sì della comunità intera. Questa , a differenza di una comunità urbanizzata, si identifica con un ambito territoriale e non con un s ito abitato. " (111 •

fJ quadro appena tracciato, anche se risponde necessariamente al criterio, peraltro già più volte ribadito , della massima schematicità, riesce tuttavia a spiegare con s ufficiente chiarezza la ragione del proliferare degli insedian1enti italici appenninici, in antitesi, so tto tutti i punti di vista con il processo di urbanizzazione avviatosi con la colonizzazione greca. Spiega pure la ragione della sostanziale identità concettuale e strutturale degli stessi , e delle loro fortificazioni, a prima vista inconciliabile con la pletora di etnie fautrici, di certo scarsament e differenziate fra loro ma altrettanto sic uramente in costante conflittualità. E che tutte quelle innumerevoli s tirpi , tribù e clan fossero, in ultima analisi, filiazioni di una comune matrice lo dimo s tra ancora ]a s ingolare tecnica con cui eressero tali difese nel lungo intervallo compreso fra l'VIII ed il ITI sec . a.e.

Criteri d ' impianto

Tipici e maggiori rappresentanti del variegato arcipelago di etnie contigue , e comunque derivate dal comune crogiolo della civiltà appenninica, furono senza dubbio gli Etruschi a nord ed i Sanniti a s ud , che giunsero a contendere per quasi un secolo l'egemonia peninsulare ai Romani. Nessuna meraviglia, quindi, che entrambi, ed i Sanniti in particolare, producessero uno sterminato repertorio di fortificazioni dalle caratteristiche indubbiamente peculiai·i, ma non per questo del tutto inedite , nel bacino mediterraneo. Alcune soluzioni ricorrenti , alcune impostazi oni canoniche, a1cune

INGEGNO E PA U RA TRE NTA SECOLI or FORTIFICAZION I IN ITAL IA

tecniche edificatorie, alcune logiche d'impianto, infatti, sembrano rifarsi a più remoti archetipi ittiti e micenei al di là di una riproposizione fortuita determinata dall'invarianza della funzione. Caso emblematico, al riguardo, Ja costruzione di una cerchia apicale in opera megalitica, probabile cittadella, sovrastante un'analoga cerchia più bassa ed ampia, eretta nella medesima maniera e destinata, forse, a protezione di un abitato. Parimenti significativa è la non adozione delle torri, di sicuro note, ma non reputate congrue alla precipua dinamica difensiva. Pertanto la: '' ... somiglianza di queste fortezze italiche con le forme più arcaiche della città greca è sorprendente; c'è da chiedersi se non si possa considerare le une e le altre come tappe corrispondenti in due processi evolutivi analoghi seppure sfasati nel tempo: lo stesso sviluppo che ha po11ato l'abitato dei centri micenei a staccarsi gradualmente dall'acropoli per scendere in piano sarebbe rimasto

incompiuto in Italia dove la conquista romana ha precocemente troncato l ' evoluzione spontanea dei centri indigeni ... " m i _

Al pari dei toponimi liviani che hanno dato luogo ad una fioritura di localizzazioni, più o meno condivisibili, l'interpretazione delle fortificazioni italiche ha innescato una miriade di descrizioni formali, dissertazioni stilistiche e distinzioni tipologiche. in gran parte anacronistiche ed improprie. L'equivoco più comune è consistito nel volerle invariabilmente leggere in chiave meramente architettonica, statica , senza mai tentare un approccio funzionale. Pertanto si è disquisito di fortificazioni perimetrali , cerchie o cinte, supponenti immancabilmente al loro interno cittadine o cittadelle, munite di improbabilissimi baluardi , o peggio bastioni , porte compartimentate. opere a tenaglia, torrioni, spalti e ridotti avanzati, il tutto condito dati' onnipresente compito d'avvistamento. Più in generale, è stata ravvi-

L E FORTIFI CAZIONI
I E
ITALICI
39 Monte Cila, Pie<limontc, s corcio fortificazion i sann ite

sata una concezione informatrice comprensiva non solo dell'intero repertorio architettonico militare romano, ma persino di quello castellologico medievale e, in non rari casi, di quello fortificatorio rinascimentale, in una sorta di miscuglio dosato a orecchio.

Che alcuni degli espedienti difensivi citati ali' epoca fossero pienamente recepiti e frequentemente applicati, è indubbio, e lo abbiamo brevemente ricordato, ma non per questo la loro adozione si può reputare universale e contemporanea per ogni ci viltà. Nè ciascun popolo 1i cooptò acriticamente, prescindendo dalla sua modalità precipua di combattimento e dalle sue potenzial ità tecnologiche. Senza contare, infine, che le presunte attribuzioni fortificatorie presupponevano, nella stragrande maggioranza dei casi, contesti urbani in assenza dei quali non potevano trovare congrua adozione. M eno che mai poi si rinvengono nel repertorio delle fortificazioni campali, alle quali molte delle opere italiche sembrano potersi ascrivere, con l'unica, e certamente non insignificante, anomalia della valenza permanente.

Circa la funzione d'avvistamento, della quale nessuna fortificazione appenninica è graziata, prescindendo dal fatto che non è mai esistita sul nostro pianeta un'opera difensiva di qualsiasi entità da cui non si sorvagliasse continuamente il territorio circostante, è credibile che per la sua espletazione fosse necessario erigere cerchie in opera megalitica sulle pendici o sulla sommità di alture? Non sarebbe stato più semplice, meno costoso, e soprattutto meno visibile, e quindi più efficace, dislocare nei medesimi siti prominenti sentinelle appollaiate sug li alberi o sui pinnacoli rocciosi?

Va, inoltre, osservato che, pur parlandosi correntemente di cerchie e di mura perimetrali le fortificazioni erette in opera poligonale non hanno, in realtà, una stretta affinità con le cerchie urbiche propriamente dette, quali si erigeranno nell'architettura greca e romana, nè dal punto di vista strutturale nè dà quello militare. La loro principale diversificazione è nella

mancanza di un intradosso, essendo, nella stragrande maggioranza dei casi , del tutto simili a mura di sostegno, o di terrazzamento. L'apporto difensivo, per conseguenza, si organizza sfruttando un ostacolo verticale.

Tramite un procedimento astrattivo è però possibile estrapolare dalle diverse centinaia di fortificazioni italiche in condizioni di sufficiente leggibilità, etrusche , volsce, sannite, tanto per limitarci alle principali etnie, le effettive logiche d'impianto e le concezioni informatrici secondo le quali vennero erette, evitando le menzionate elucubrazioni interpretative.

Riguardo all'impianto occorre, innanzitutto, osservare che una prima diversificazione si origina dalla quota, non assoluta ma relativa, dell'altura su cui s'insediarono. Dal che derivano opere apicali , per lo più cerchie continue, ed opere di pendice, simili a lunghi terrazzamenti. Le prime formavano una sorta di anello, che inglobava al suo interno la cima stessa, vagamente spianata, occupata in molti casi dal nucleo residenziale. Non mancano, sempre in tale tipologia, cerchie plurime, approssimativamente concentriche, a quote decrescenti, in alcuni casi appena sfalsate in maniera tale che il piede della superiore coincida, altimetricamente, con la sommità dell'inferiore, lasciando fra loro una sorta di ballatoio più o meno pianeggiante, largo al massimo una decina di metri, simile ad uno spalto. Siffatta configurazione trova frequente applicazione nelle principali fo rt ificazioni sannite, costituendo perciò una precisa opzione etnica, probabilmente connessa ad una altrettanto precisa tattica difensiva(19 > _ Sempre in merito a siffatte cerchie, va ancora precisato che la loro muraglia poligonale, normalmente, non eccedeva l'altezza massima di una decina di metri e che di solito insisteva con precisione sulla stessa curva di livello, di cui seguiva, ovviamente, il contorno. Pertanto l'andamento è convesso, privo di spigoli, con vistose concavità in corrispondenze delle incisioni torrentizie<20) , in sostanza molto vicino alla concenzione

INGEG NO E P AURA TRENTA SECOLJ DI FORTIFI CAZIONI IN ITALIA

ITALICHE

ittita, a suo tempo descritta, sebbene nella versione più elementare e grezza.

L'altra ampia tipologia di fortificazioni è quella di pendice, ottenuta mediante l'erezione di una o più muraglie lineari aperte, correnti sempre lungo la medesima curva di livello, non di rado per oltre un chilometro. Anche questa soluzione, equiparabile ad un ostacolo multiplo interposto per rallentare i potenziali assalti nemici lungo le pendici meno ripide, trova una vasta riproposizione nelle opere sannite<21J , per motivi, senza dubbio anche in questo caso, connessi con l'ipotizzata tattica difensiva. Un notevole esempio di fortificazioni del genere, addirittura ben tre muraglie di cui le due inferiori duplici, è possibile riscontrarlo sulle pendici del Monte Cila che sovrasta l'abitato di Piedimente Matese. Stando alle memorie di Amedeo Maiuri del l 926 , infatti, quelle strutture sono: " ... cinque, così disposte: 2 in basso, 2 al centro, l in alto. Questi cinque semicircuiti del Cila sono lunghi in tutto 7.000 metri. Il primo, alla base del monte è assai rovinato, ed è composto da due muri quasi paralleli alla distanza di m. 7-15. La seconda cinta, duplice, è molto meglio conservata, e raggiunge in qualche punto 7-8 m. di altezza. La terza ad un solo muro , è presso l'attuale cabina S. M. E., ed è più bassa delle precedenti ... Il Majuri conclude dicendo che «questi grandiosi resti di difesa sul monte Cila ... non possono non riferirsi a quello che dev'essere il centro più importante di tutta questa regione montana , e cioè l' Alife sanniti.ca, di cui l 'A life romana, posta a 3 km dai piedi del Cila , in aperta pianura, non fu che la naturale continuazione ... "(221 • Sempre in linea di larga massima le fortificazioni italiche si ubicarono di preferenza s ui contrafforti della catena appenninica, in prossimità delle caratteristiche terrazze geologiche, residuo dell ' ultimo sollevamento tettonico. Sebbene sottostanti alla sommità della montagna, formavano a loro volta un ben distinto cocuzzolo, mai però nettamente isolato dall'intera formazione. Non a caso l'opera costruttiva tendeva

prioritariamente ad accentuare l'arroccamento e l'inacce ssi bilità delle predette terrazze, stornandone anzitutto l'investimento da monte, peraltro di improba attuazione, presupponendo il dominio integrale della vetta, e quindi quello, più impervio, secondo la direttrice da fondovalle.

In pratica le mura in opera poligonale venivano erette in corrispondenza del bordo estremo delle terrazze, più esattamente pochi metri al di sotto della sua massima altezza, ovvero lungo il contorno militarmente definito 'ciglio tattico'.

Per la loro verticalità, esse bloccavano la risalita della pendice, impedendo agli attaccanti di guadagnarne la sommità. Si trattava pertanto, come accennato, di una fortificazione eminentemente passiva, priva di ingegnose articolazioni ostative, ma non per questo , nelle sue più accurate impostazioni, scevra di efficacia. Poichè la pendenza delle falde sottostanti al perimetro murato non era uniforme, variando fra vertiginosi strapiombi e dolci declivi, l'accuratezza della fortificazione risultava inversamente proporziale alla loro impervietà: massi approssimativamente accatastati in c01rispondenza dei precipizi, ma giuntati con cura al termine delle facili ascese. É comunque da rimarcare, che, in entrambi i casi, non rappresentavano per gli attaccanti un ostacolo insormontabile in assoluto, specie in assenza di una energica azione difensiva, sia per gli appigli offerti dalla loro trama muraria sia per la non rilevante altezza: è probabile, però, che quella fin troppo evidente deficienza costituisse una ulteriore scaltra componente della tattica interditti va, in ciò antitetica a tutte le altre fortificazioni , coeve e successive, con cui si sono spesso ravvisate analogie.

Giustamente è stato stigmatizzato per le fortificazioni sannite, ma il discorso è pienamente valido più in generale per tutte quelle italiche, che per siffatte opere si: " ... devono registrare ben tre li velli di confusione: uno già presso le fonti; uno moderno dovuto all'uso

LE FORTIFTCAZIONI

improprio di una terminologia antica, già confusa in origine; il terzo recente , ove evidentemente per superare . [quest'ultimoJ impaccio si è utilizzato 'fortifi caz ion e di altura', con una marcata connotazione difensiva, accanto a termini più generici di 'abitato di altura', dove però l 'elemento in sediativo sembra far scomparire o comunque prevalere sull'evidente fenom eno difensivo... Pr eoccupazione della chiarezza sema ntica... che s i ritro va anche, per indicare il fenomeno insediati vo fortificato montano, nell'uso de i termini pres i in prestito dal lessico latino, quando però nell'uso di castellum e oppidum è trasparente la volontà di esprime re quel carattere difensivo/fortificatorio, che si voleva riconoscere prevalente od esclusivo ne gli insediamenti fortificati: cosa che in effetti i dati in nostro possesso non dimostrano.

Senza contare che nel lessico latino i termini che le fonti indifferentemente usano urbs, oppidum e vicus, pagus hanno precisi riferimeni giuridico-istituzionali ed il confuso uso di questi già negli Autori antichi dovrebbe esser segnale non inefficace della difficoltà p er i Romani , nel venire in contatto con la realtà organizzativa teITitoriale 'ital ica', di trovare equivalenti se manti ci di una qualche cosa che essi non riuscivano a comprendere, g i acchè nascente da una esperienza diversa ... " ì 23 l

alcun legante c24 > Gli antichi usarono pure gli aggettivi di 'saturnia', 'tirinzia' e 'lesbica'. Tutte queste qualifiche e specificazioni, di volta in volta, sembrano voler sottolineare il carattere geometrico dei conci, la loro incredibile mole o la supposta origine etnica d ' irradiazione, sempre sottintende ndo , però, lo stupore e la meraviglia di fronte all'improba fatica necessaria all'assemblaggio. Proprio tale stato d'animo fu alla base di diciture più fantasiose e suggestive che, disconoscendo la paternità umana dei manufatti li attribuirono all'intervento di entità sovran naturali; quindi, mura delle fate, del diavolo o delle streghe, in ogni caso manifestazioni di potenze magiche, le uniche supposte capaci di s imili ottuse grandiosità. In vece per i Romani , che conobbero benissimo siffatta modalità costruttiva, avendola peraltro adottata agli albori de!Ja loro epopea , essa non meritò una distinta definizione, al di là di quella abusata di 'opus incertum' mai come in questo caso assolutamente incongrua e fuorviante.

Criteri costrutti vi

La t ecn ica edificatoria con la quale furono innalzà te le fortificazioni italiche, a lm e no nel corso dei primi quattro seco li , è nota, sebbene con alquante varianti, come opera poli gona le, megalitica, pelasgica, micenea, t anto per citarne l e principali definizioni. In prima approssimazione s i tratta , in ogni caso, di muraglie erette met tendo in sieme massi di no tevoli dimen s ioni , di forma irregolare e cercando di fa rli combaciare tra loro il più poss ibi le se n za l'imp iego di

Del resto l ' opera poligonale, in specie nella maniera più raffinata e precisa, g iu stame nte reputata il vertice evolutivo di tale tecnica, e quindi, cronologicamente, la più recente , non è appannaggio esclusivo dei popoli mediteITanei, ma anzi si ritrova in strutture innalzate, con identiche connotazioni geometriche, anche in Giappone, in Asia, in Africa, in Britannia, e pe r sino nel Perù e sulle Ande, fra il II millennio a. C ed il XV sec . d. C. Non a caso per tentare di superare, in qualche modo , tanta incertezza si è voluto: " cercare nella loro forma e nella loro struttura indizi cronologici, etnografici, storici, ma ce ne sono in tutte le epoche, p resso tutti i popoli ed in tutti i paesi... " <25 , _ Tuttavia, agli inizi del nostro secolo, fu introdotta da parte dell' Ashby una basilare distinzione tra opera poligonale e ciclopica, sta ndo a ll a quale: " si dovrebbe adottare il termine poligonale solo per le costruzioni dove questa intenzione è manifesta applicando a tutte le altre dove i blocchi sono irregolari il nome di ciclopico ... " <26>

INGEGNO E PAUR A TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA

ITALIC HE

Per restare in Italia, bisogna ancora osservare che la sua superficie non è interessata in maniera omogenea dal fenomeno della tecnica poligonale. La massima frequenza delle testimonianze, infatti, si riscontra in Etruria Marittima, in Sabina, in Marsica, e nelle territori degli Emici, dei Volsci e dei Sanniti, in particolare. Esse sono meno diffuse, ma non per questo completamente assenti, nell'Italia Settentrionale e nella Magna Grecia, come pure in Lucania ed in Sicilia. Il che può , senza dubbio , mettersi in relazione con l ' ampia gamma di impiego che tale tecnica conobbe nel1' antichità, approssimativamente così riassumibile:

l O - Mura di città, per lo più ad andamento irregolare e senza torri

2 ° - Caposaldi singoli o cittadelle

3° - Sbarramenti montani, impropriamente detti anche trinceramenti di pendice

4 ° - Basamenti di templi o podi

5° - Sostruzioni stradali od opere relative alla viabilità dal basolato delle strade militari ai muri di contenimento

6° - Terrazzamenti agricoli propriamente detti

7 ° - Platee artificiali per l'impianto di ville

8 ° - Sepolcri e cisterne

9 ° - Torri isolate, o monopirgi. A questa categoria appartengono pure i nuraghi

l 0° -Piedritti di ponti e, più raramente, ponti stessi

Tornando al discorso della interpretazione e classificazione di siffatte costruzioni in base ai criteri tipologici e strutturali della tecnica poligonale adottata, tra i primi studiosi che se ne occuparano approfonditamente va menzionato il Gerhard <27 ) che le attribuì ai Pelasgi o agli Aborigeni, ribadendo però la difficoltà e l'arbitrarietà di stabilirne la datazione esclusivamente in base a connotazioni formali. Sempre lo stesso autore osservò che il manto d'usura delle strade romane ne risentì concettualmente, adottando, per i suoi basoli, la

configurazione geometrica irregolare propria delle muraglie , senza tuttavia indagare in alcun modo le ragioni della scelta. Fu la volta, quindi, del D0dweJl<23> che iniziò a distinguerla in precise maniere così suddivise:

1a Maniera rozza, formata da macigni a contorni approssimati e superficie scabra , praticamente messi in opera senza alcun intervento di sgre zz atura o di sagomatura avvalendosi , per conseguire una maggiore concatenazione e stabilità, di scheggioni di pietra più piccoli, in funzione di zeppe.

2a Maniera perfetta, ottenuta facendo accuratamente combaciare tra loro ma s si lavorati con notevole perizia in forma di poligoni irregolari, con tolleranze ridotte al minimo per la precisa levigazione delle superfici di contatto.

3a Maniera ori zz ontale , con conci che pur non av e ndo ancora acqui s ito una configurazione ortogonale te ndono ad allettamenti con andamento appro s simativamente orizz ontale.

Ovviamente non mancano, sempre per lo stess o studioso, modalità intermedie e sottotipologie, ma sono comunque facilmente riconducibili alle suddette maniere. Il Promis, che si occupò delle fortificazioni antiche(29l, entrò anche nel merito della datazione di siffatte costruzioni, tentandone la classificazione: " ... secondo la maggiore o minore esattezza di lavorazione per metterle in rappo110 coll ' uso comune che si ha di distinguerle in tal modo, benchè la storia e l ' osservazione egualmente dimostrino che l'opera poligonale, anz ichè a certe epoche ed a certi popoli, debbansi attribuire alle località ed ai materiali dei vari paesi e che da questo dati debbansi in gran parte ripetere la sua maggiore o minore perfezione ... " 00> . Per la prima volta la geomorfologia è messa in stretta correlazione con tale tecnica, sebbene solo per spiegarne la maggiore o minore accuratezza:

LE FORTIFICAZIONI

rappresenta, comunque, un'acuta intuizione del ruolo giocato dal contesto naturale nella sua adozione edottimizzazione. Lo stesso studioso non mancò di ravvisare nel basolato di tante strade romane la variante orizzontale del poligonale , ancora una volta senza attingerne la motivazione plausibile. Le sue precisazioni trovarono concordi altri autori, quali il Niebuhr, il Gel ed il Canina, mentre il Poletti < 3 D articolò ulterio1mente la classificazione formale del poligonale, ravvisandovi quattro maniere, corrispondenti ad altrettante epoche distinte. Evitò, però, di fissare la relativa cronologia, limitandosi alla constatazione che, indubbiamente , la più antica doveva essere anche la più rozza.

Il ragionamento, apparentemente lapalissiano, aveva fino ad allora trovato sempre una frustrante limitazione nella facile osservazione che in una stessa cerchia, presumibilmente eretta senza interruzioni, si possono rintracciare estremi di finezza esecutiva molto divaricati. Per cui se in una singola opera riesce assurdo reputare le tratte più rozze di gran lunga antecedenti a quelle più accurate, altrettanto arbitraria sembra la generalizzazione secondo cui le fortificazioni più rozze siano incontrovertibilmente le più arcaiche. Esiste , infatti, tra arretratezza ed arcaicità una corrispondenza di tipo univoco, per cui se le fortificazioni sorte in epoca remota non possono che essere il portato di conoscenze ed abilità rudimentali, non è detto che la rozzezza rimandi necessariamente all'arcaicità.

Infatti, se mettiamo in relazione l'accuratezza della trama polrgonale di una fortificazione con la sua esposizione ossidionale, ci rendiamo conto che anche in quelle evolute le sezioni reputate inattaccabili sono sempre molto più grezze di quelle supposte a rischio e ciò per ovvi motivi di risparmio di risorse economiche ed umane. Quando, invece, anche le tratte esposte risultano approssimate e grezze, ciò significa che i costruttori non disponevano ancora della maestria necessaria, e che quindi, inevitabilmente, le opere

appartengono ad un periodo più remoto. Una volta divulgatosi il concetto nelle successive classificazioni del poligonale l'interrelazione accuratezza-epoca divenne ricorrente. Il Fonte-a-Nive, ad esempio , pur attenendosi alle tre distinzioni già esposte, nè precisò gli ambiti epocali , per cui:

"La i° epoca si serve di pietre trovate isolatamente e riunite in modo irregolare con gli interstizi rinforzati da pietre più piccole ...

La 2° epoca presenta blocchi spianati negli angoli e nelle fessure e nelle facce, in modo da combaciare fra loro senza interstizi; le fronti restano tondeggianti , costituendo una superficie a bozze, simile al c. d. bugnato; le rastremazioni conservano ancora i risalti delle reseghe ... Paiono propri di quest'epoca i massi trapezii

La 3° epoca: i massi vengono spianati completamente e levigati all'esterno tagliandone le sporgenze; le pietre, anche squadrate, son poste in strati orizzontali con le linee verticali di combaciamento inclinate in vari sensi. Gli strati dei blocchi non sono sempre orizzontali, ma tendono verso una linea curva. Ciò può attribuirsi più che ad una predilizione per le linee curve, che fa supporre vicino l ' uso degli archi, al modo di squadrare i massi, alla natura del terreno che obbliga i piani di posa ... " t.m

L'architetto GiovenaJemi, a sua volta, dopo aver supposto una diversa matrice culturale per le mura poliedriche e quelle megalitiche, concorda sulla corrispondenza delle tre maniere con altrettante epoche. In ogni caso, ammette trattarsi di opere molto antiche, implicanti un gran numero di operai specializzati, o, più verosimilmente, di squadre itineranti di specialisti, forse di provenienza orientale. L'ipotesi che tali strutture potessero in qualche modo derivare dalle fortifi-

I GEGNO E PA URA TRENTA SEC OLI DI FORT IFI C AZ IO NI IN ITALIA

I ITALICHE

cazioni micenee fu alla base dei saggi intrapresi agli inizi per conto del Ministero della Istruz ion e Pubblica, a Norba<341 • Ma il risultato che emerse valse so lo a dimostrare la notevole modernità di tale murazione ri spe tto a quelle s imilari dell' Argolide.

In base ai frammenti ceramici rinvenuti, infatti, s i accertò che la cittadina rimontava a quasi un millennio dopo queste ultime e si poneva, per l'esattezza, a ridosso del III sec. a.C., per cui: " ... Norba fu una rocca essenzialmente romana, vale a dire di schietto carattere italico, come italica era la gente della quale rintracciamo le tombe nella sottostante pianura; e che le mura di Norba, quali anche oggi le vediamo, non sono più antiche di quel tempo in cui i Romani posero sta nza la prima volta" c35 > _

Ulteriori ricerche, tuttavia, evidenz iando le notevoli diversità fra la cerchia urbica perimetrale e quella più interna dell'acropoli, la tipica aree italica, stimarono che proprio la seconda corrispondesse al nucleo primigenio dello stanziamento, rimontante al V I- V sec. a. C., in sostanz iale contemporaneità, quindi, con il diffondersi di siffatte fortificazioni.

Il che, se cronologicamente ribadi va la non diretta influenza micenea, proprio per la presenza di una cittadella apicale sembrava, invece , avvalorarla come stimolo archetipale.

Tornando alle caratteristiche formali della tecnica poligonale, lo stesso Lugli, dopo una attenta valutazione di tutte le precedenti classificazioni e suddivisioni, e di molte altre ancora, ne elaborò un'ennesima più accurata ed articolata, che divenne, da allora, la classificazione per antonomasia. Innanzitutto osservò che: " ... si tratta di maniere e non di epoche, e che la inclusio ne di un monumento in una maniera, anzichè in un ' altra, non pregiudica affatto la sua cronologia Inoltre la maniera è stabi lita in base alla valutazione di tutto il complesso murario, poichè la caratteristica del1' opera poligonale è quella di variare notevolmente anche in uno stesso edificio " c361 • In sintesi:

"I8 MANIERA

Il materiale viene raccolto sul terreno stesso, oppure staccato dalla roccia con leve o cunei battuti... approfittando delle fratture profonde e delle cavità; viene sbozzato a colpi di mazza o di altri sassi, quanto b asta per togliere le eccessive sporgenze, lasciando s ia la parte esterna, sia i lati allo stato grezzo.

I massi, che non sono mai troppo grandi, vengono ruzzolati per mezzo di pali fino al loro posto, procedendo dall'alto verso il basso, con l avoro esegu ibil e da un piccolo gruppo di operai ...

É difficile poter assegnare una data a questi muri, che rappresentano il primo sfo rzo dell'uomo per una costruzione sta bile in Italia la data ini ziale può essere ritenuta il declinare del seco lo VII av. Cr. o tutt'al più 1' ini zio del VI... " <37> .

Gli esempi di fortificazioni eretti in questa maniera , ovviamente, abbondano ed i più significativi possono così rubricarsi, previa suddivisio ne etnica:

Etruschi Populonia

Ro selle

Cortona

Volsci Segni

Preneste

Cori

Terracina - Pesco Montano

Circeo

Atina

Sanniti Aufidena

Piedimonte Matese - monte Cila

Sepino-Terravechia

Faicchio-monte Acero, monte Monaco

Siculi

Termini Imerese

LE fORTlFICAZION

m

40 Le quattro maniere del Lugli " Ila

MANIERA

I ma ssi adoperati ve ni vano completamente staccati dalla roccia viva, in su perfic ie, ap profittando d e lla s trati ficaz ion e ... Sul posto s i eseguiva la prima lavorazion e a colpi di mazza e sca lpello , portando la fronte esterna ad un piano leg germent e convesso.

I blocchi hanno già la forma poligonale con i lati abbastanza re tti , ma di lun ghezza assai diffe rente ; gli spigoli so no ancora sm ussa ti e il combaciamento non è perfetto; si ini zia l a tendenza alla forma poliedrica. Sono evitati intenzionalmente i piani di po sa, trann e che presso le porte e neglrangoli. Sono frequenti ancora le sc hegge cli ca lzatura ... Le mura s ono costruite generalmente a rido sso de l colle: di rado so no is olate in ambedue i l ati... L a posa d ei bloc c hi avviene con una considerevole ra s tremaz ione dal basso in alto ,

ottenuta mediante ri seghe, le quali... rappresentano uno svantagg io per la difesa, perchè permettevano agli assalitori di infilare ... pal ett i, nelle fessure e quindi dare la scalata alle mura con un a cer ta facilità ... Si comincia a formare una tradizione italìca, che seg ue uno sv iluppo proprio e una volta affermatasi di vie ne nonna costante ... I costruttori s anno c he è facile agli assalitori di far e leva negli spaz i di risulta fra i vari ma ss i per mezzo di g rosse travi e aprire così l a rghe brecce nelle mura; aumentano perciò il volume dei blocchi, procurano di far megli o combac iare i g iun ti ... aJlisciano le pareti esterne ... " P ~> .

É da rilevar e che nel poligonal e, sopratt utto a partire dalla seconda maniera , dipendendo la sta bilità lateral e della costruzione dal mutuo contrasto dei blocchi, non era poss ibile interromp e re vertica lm e nte un muro senza che crollasse. P er tale rag ione una for-

lNGEGNO E PA URA TRE NTA SECOLI DJ FORTIFICAZI ON I IN ITA LIA n JV
L E FORT IFICAZION I ITALICHE
41 Scorcio mura poligonali di Terracina 42 Scorcio mura poligonali cli Atina
INGEGNO E
URA
F
ION] IN lTALIA
PA
TRENTA SECOLI DI
ORTlflCAZ
43 Sco rcio mura poligonali di Atina 44 Sco rcio mura pol igonali di Sepino
L E F O RT IFI CA ZJ ON J I TA LICHE.~_____
45 Scorcio mura polignali di Sep i no 46 Scorcio mura poligona l i di mont" Ac ero
- ---------"' l N.:-:G=EGNO E PA U RA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA
47 Ae reofo to ce rc hi a po ligo na le mont'Acero

48 Testa di ariete in bronzo tificazione perimetrale non ammetteva spigoli, nè acuti nè ottusi: i piani di posa in cl inati avrebbero imm e diatamente es plulso i conci terminali, quelli privi di controspinte. Pe rtanto , allorchè tale esigenza s i dimo s trò inevitabile , e gli ese mpi sia pur rari non mancano, come presso le porte o nelle ancor più sparute torri, fu ri s olta serra ndo la trama poli gona le con una sez ione in opera quadrat a, costituita da blocchi, sempre di not evo li d .imensioni, ma ortogona li su allettamenti orizzontali. Il dettaglio, più in ge nera l e, spiega il perchè dell 'a ndamento curvi lin eo delle cerchie poligonali, dimo s trando, al co nt empo, se mai ve ne fosse bisogno , c h e i costruttori e rano pe r fettamente a conoscenza delle ca ratteri stiche d ei co nci parallelepipedi , ma ad ess i preferirono , comunque, quelli irregolari, se bbene più complicati da realizzare e più faticosi da porre in opera.

Circa le presunte macchine ossidionali impiegate per demolire muraglie poligonali, se ne deve supporre la sostanziale affinità alle travi armate, si mili, ovviamente su sca la gigante, ad un palanchino e lontanissime da un miete di classica concezione. Gli impatti che esaurivano le oscillazioni di quest'ultimo, infatti, non avrebbero sortito alcun effetto qualora somministrati a strutture verticalmente aderenti alla preminenza rocciosa. Di tutt'altra rilevanza, invece, gli esiti della rotazione delle travi armate, capaci di svellere anche grossi blocchi, provocando così il crollo di ampie sezioni. Disgraziatamente di siffatti congegni t1on cì sono pervenute nè rappresentazioni iconografiche, nè meno che mai testimonianze materiali: una so l a eccez ione al riguardo potrebbe ravvisarsi nella testa di bronzo rinvenuta, recentemente, nel corso degli scavi dello stadio di Olimpia, probabile ex voto militare.

l n dettag li o si tratta di una sorta di puntale cavo, in cui si incastrava l'estremità di un tronco appena squadrato. Alto cm 25,2, lungo cm 18,5 e largo mediamente cm 9, con spessori oscillanti fra i 9-10 mm, termina nella prute anteriore in una approssimato cuneo con ai lati due file di grossi denti lunghi cm 4,7. Su ciascuna delle facce verticali si distinguono quatlro fori, in qualcuno dei quali si trova ancora il rispettivo chiodo di bloccaggio al l egno. Lo stato: " ... di conservazione delle dentature anteriori, c h e sono più o meno smussate e piegate, permette di affem1are che tale 'ariete' era stato concretamente adoperato ptima di essere consacrato in un santuario, senza dubbio in ringraziamento per la vitto ri a, come uno di quelli di cu i si servì Alessandro innanzi T yr. L a loro disposizione, invece, ci illumina sull'utilizzazione che ne era stata fatta: questo co ngegno, che a causa delle dimensioni e della debole resistenza del metallo non poteva che essere manovrato a mano, non era destinato a sgretol are, o a fracassare i conci del paramento, ma a svellerli ed a strapparli (si può pure immaginare che fosse riservato a ll 'attacco delle porte e delle posterle delle antiche cittadelle).

LE FORTIFICAZIONI I TALICHE
I NGEGNO E PA L'RA TR ENTA SECOLI DI FORTIFJCAZJONI I N ITALIA
49 Ariete assiro, da un bassori liev o 50 Scorcio mura poligonali di Ame lia
LE FORTIFI CAf: IO N I ITALICH E
5 1 Dettaglio trama mura poligonali di Amelia 52 Scorcio mura poligonali d i Norba
I NGEGNO E P AURA TR ENTA SECOLI DI fORTIFICAZIONl IN ITALIA
53 Scorcio mura poligonali ti Norba 54 Scorcio mura poligonali di Norba
L E FORTIFICAZIONI ITA LI CHE-;__ ______
57 Scorcio mura poligona li di MonLecassino
lNGEG'.'JO E
DI
I N ITAL_i,\
PAURA TRENT,\ SECOLI
FORTIFICAZIONI
58 Panoramica aree di Monteca ss ino 59 Scorcio mura poligonali di Pietrabbondante

Ques to tipo di ' ari e te ' non contundente prese delle fogge diverse, sia nella parte posteriore che in quella a nterio re, dall'epo ca assira a quella romana. La decorazione appostavi s u entrambe le facce , in prossimità dell ' innesto con la trave-due teste di ariete-si acco rdano perfettamente alla sua funzione, p e r cui l'interpretazione ris ulta scevra da qualsia s i dubbio.

La stessa, inoltre, rappresenta un notev o le aiuto per la co lloca zio ne cronol ogica del reperto: tramite co mparazioni stili s ti che, se ne può infatti co llocare la comparsa nella seconda metà del V secolo Il s uo luogo di costruz ione tuttavia resta ig noto: glj unici argomenti per propoITe la Sicilia ... so no i rapidi progressi della poliercetica sic iliana ve rso la fine del V seco lo a.C. "' 391 •

Tornando alla seco nda manier a i s uoi esempi sign ifi cat ivi, sempre di st inti s u base tenica, so no:

Amelia Spoleto

Preneste

Segni

Cori

Sezze

Norba

TeITacina

Arpino

Montecassino

Fere ntino

Alatri

Olevano

Pietrabbondante

I se rnia

Calazia

LE FORTIPI
CAZ IO NL ITA LICHE
Etruschi P opulonia
Yetulonia Umbri Vo lsci Ernici Sannit i
60 Scorcio mura pol igona li di Ise rnia

Accettura

"Ura MANIERA

I blocchi assumono la forma di poligoni regolari, con i lati retti e gli spigoli a ciglio vivo; il combaciarnento fra ess i è perfetto, fac ilit ato da Lassel l i triangolari inseriti ne gl i spaz i di ri su lta. Sono frequenti gli innesti di blocc hi vicini, mediante un dente tagliato nel masso già in opera. Sembra che i blocchi fossero l avorati su l posto, ripo,tando co n una squadra falsa, o con una lamina di piombo, su di essi l 'ango lo corrisponde nte di quelli coi quali dovevano riconnettersi nel muro in costruzione.

La lavorazione non avv iene più ruzzolando i massi dall'alto verso il basso, ma anche trasportandoli dal

piano di steITo fino al piano di lavoro per mezzo di castelli lignei ... il lavoro procede per mezzo di due maestranze in sensi opposti ... finchè avviene la sutura dei due cantieri, mediante un blocco in chiave Lo spessore dei massi ed i piani interni di allettamento sono in relazione alla loro funzione stat ica ... Le superfici esterne sono lavorate a gradina in modo da renderle peJtettamente levigate , mentre i piani di posa sono tagliati a mazza e scalpello; il paramento è allineato con il filo a piombo, sa lvo tener conto dell ' inclinazione nece ssaria ... Negli angoli, presso le porte e le torri, s i nota , più accentuata ... la tendenza ai piani orizzontali ... per evitare la spi nta laterale dei mas si ... " 14<))

01 i esempi etnici possono così riassumersi:

___ I N~GEGNO E
I LN ITALIA
PAU RA TRENTA SECOLI DI fORTLPICAZION
Etruschi Cosa - Orbetello Umbri Amelia 61 Scorc i o mura poligonali di Cefa lù

I TALICHE

Volsci Cori - Norba

Seg ni - Atina

Ernici Ferentino - Alatri

Sanniti Pi etrab bondante

Siculi Cefalù

" IVa MANIERA

É ev idente qui la imitaz ione dell 'o pera quadrata, d e lla qual e però, non s i ragg iung e l 'esattezza, sia perc hè s i preferi sce l'aspetto i1Tegolare, s ia perchè il materiaJe adoperato è quasi sempre il calcare di monta gna, che è duro a tagliar s i. l blocchi so no allettati con lun g hi piani di posa, che seguono una lin ea s inuosa e ogni tanto si s pezza no per la differente aJtezza dei filari ; so no tagliat i seco nd o quattro piani non paralleli fra loro e le gi unture vert icali sono qu asi sempre oblique; hanno cubatura differen te e profondità varia; la di spo siz ione è sempre nel senso della lunghezza. Le pareti sono leg germe nte conv esse, poichè la levigatura de ll e facciate ba ini z io dalla periferia dei blocc hi verso il mezzo, dond e la frequenza del bugnato, accompagnato dall 'anathy ros is.

Tal vo lta l 'opera poligonale s i accopp ia con l'opera cementizia, serve ndo a que s ta da paramento es terno o so ltanto da legamento angolare... " < 4 11 •

I princip a li ese mpi di que s t 'u ltima maniera so no:

Etruschi Cos a

Eroici Fe renti no

Prob abili ragioni del poligonale

L a s uddivi s ione architettonico-stilistica della tecnica poligonale e la s ua dettagliata distinzione, al di là delle ribadite incertezze cronologiche, lascia, però, assolutamente inevaso l'inten-o gat ivo di fondo . Perchè tante popolaz io ni appena usc it e dalla preistoria adottarono una così faticosa e complicata modalità ed ifi catoria , affinandola, per giunta, progressivamente in vece di abb a ndon arla? Perc hè, poi, n e i secoli successivi l'ingegneria romana, di gra n lunga più evoluta e razionale, l'e s tese persino alla p avimen tazione stradale, evitando volutamente i basol i rettangolari a favore di qu e lli a poli gono iffegolare?

Costruire in opera p o li gonal e, in partico l are nella seconda e terza maniera , significa sagomare ogni blocco, sem pre di enormi dimensioni, in s tretta interrelazione con quelli già posizionat i, con i quali deve andare a combiaciare co n prec.is io ne via vi a più accurata. In tuibili la lentezza e le difficoltà della procedura, certamente non giustificate nè dalle finalità militari nè , meno che mai, da presunti effe tti es teti c i, peraltro diffic ili da immag inare nel caso del manto d'usura delle strade . La prese nza in prossim ità dei vani, o degli spigo li, di seg menti in opera quadrata , come innanzi acc e nnato , cos trin ge ad escludere ogni ipotesi , perallro deboli ss ima, circa l'ignoranza, o l'incapacità di avval e rs i, di tale maniera , enormemente più se mpli ce e spedita. L' adoz ion e di blocchi parallelepiped i , come pure di basoli rettangolari , i nfatti, im p licando la l oro esatta s ta nd ard izzazio ne dimensionale , co nse ntivano l a prefabbricazio ne mass iccia in cava . Il che non solo ne avrebbe garantito una di spo nibil ità ininten-otta, essendo il loro num ero funzione soltan to della quantità di addetti ai l avori , m a avrebbe consentito a nc he un più rapido , ed economico, avanzamento dei l avor i, caratte-

LE FORTIFICAZIONI
U mbri Todi Volsci Pal estrina S ezze Ten-acina
Perngia
--=1.:_N..:.:G..:.:E.:..cG'-'N""'O-'E"-P:c...cAURA TR ENTA S ECOLI Dl F ORTI FICAZION I IN ITA LI A
62 Mura poli gonali di Sa cs ahua,mm. Pe rù 63 Costruzioni megalitiche di Malta

risti ca pregnante in strutture tanto rilevanti. Senza contare che si sarebbero trasportati a piè d'opera soltanto conci finiti, cioè molto meno pesanti.

Nè è pensabile seriamente che tanto i Giapponesi, quanto Peruviani, i Micenei, i Britanni , i Maltesi , gli Italici, i Siculi, i Nordafricani, in epoche e circostanze diverse, ma in assoluta autonomia, escogitassero tutti la medesima pazzesca maniera di assemblaggio di enormi pietre magistralmente sagomate. Anche Lu gli percepì quella s ingolare affinità precisando che: " lo stesso fenomeno di un 'o pera poligonale genuina e spontanea s i incontra nel Mes s ico e nel Perù, dove esistono numerosi recinti sacri e muri di fortificazione appartenenti alle civiltà pre-colombiane ... "1421 É stupefacente osservare che in tutti i contesti etnico-geografici elencati l ' adozione del poligonale fu costantemente impiegata per strutture prefigurate per grandi longevità e per gravosissimi ci men-

ti da parte di sollecitazioni naturali ed artificiali, quali appunto fortificazioni, strade, ponti , templi e se polture elitarie. Ma come si può definire spontanea e genuina una tecnica invece sce lta, nella piena e consapevole accettazione delle difficoltà e delle esasperanti lentezze esecutive? Quale fu, allora, il fattor comune che persuase tanto gli In ca s ulle Ande quanto i Vol sci sull'Appennino ad erigere in quel modo le 1ispetri ve muraglie?

Se ci si riflette sopra, partendo dalla accennata resistenza alle sollecitazio ni di straordinaria intensità e di breve durata, è proprio dall'analisi delle caratteristiche del le regioni cointeressate che emerge la probabile soluzione del l'enigma. La loro scansione, infatti, si associa, in maniera inequivocabile, ad un'altra , regolarmente recitataci in occasione di ogni catastrofe s ismica: tutt i i fruitori della tecnica poligonale, dai preistorici Ittiti , ai recentissimi Peruviani risiede-

LE FORTIFICAZIONI ITALICHE
64 Costruzioni megalitiche di Malta

vano su falde pedemontane, o nell e loro immediate adiacenze! In altre parole semp re in s iti sistematicamente e terribilmente devastati da fr e quenti quanto terribili terremoti sca turenti dal so lle va m en to tettonico andino-alpino-himalaiano. La tecnica poligon a le, pertanto, co n la sua accorta e l iminazione degli al lettamenti o ri zzo nt a li , frustrava qualsiasi potenz iale scorrimento dei conci so uoposti a l le pos se nti so llecita z ioni oscillatorie delle scosse telluriche. I blocchi, graz ie a ll a loro configuraz ion e irregolare, pur sube nd o una insignificante rotazione, all'estinguersi d e lle s pinte si riposi zionava no esattamente nella g iac itura ini z iale, dissipando in quegli imp erce ttibili movimenti se n za alcu na app rezzabil e co nseguenza, l e a ltrimenti mi cidiali energie distruttrici.

Siamo perciò di fronte, s i c uram ente dalla secon da maniera in poi, ad una antesignana e diffusissima tecnica di costruz ion e a nti s is mi ca, e le div e r se centinaia di opere pervenuteci sos tanzi a l mente integre, in co nt esti geologici dove nessuna a ltra costruz io ne, anche di molto posteriore è so pravvi ss uta , convalidano l'ip o tes i141) Quanto alla pavimentazione stradale, il ragionamento è id e nti co, essendo sufficie nte so tituire alle so llec itazi o ni telluriche quelle meccaniche, inc essa nti , provocate dal tran s ito dei pesa nti carriaggi protrattosi per seco li 144 > _

Del res to c he se nso avrebbe avuto innal zare fo11ezze, o addirittura s is temi di fortezze co me fecero i Sanniti, incapaci di su perare il primo terremoto che s i fosse abbattuto s ull a zona? Co n una ricorrenza s is mica, che lun go il corrugamento alpi no- appenn ini co non ecce de la trentina d'anni, una inad eg uata re sis te nza strutt ural e delle fort ifi cazio ni avreb be co mportat o frequenti ri cost ruzioni, assolutamente impraticabili ec onomicam ente e azzardate militarmente. Un poten z ial e agg ressore, infatti , nel co r o deg l i in terminabili co nflitti del!' epoca1451 , avrebbe potut o faci lm e nte scag liare un massic c io attacco a ll ' indomani di una viole nta scossa, in quanto tale recep ibili ssi ma anche a

centinaia di c hilom e tri di distanza, fidand o su lla radicale distruzione di qualsiasi dife sa statica.

La so lu z i o ne, appena accenna ta, s i basa su criteri che da l punto di vista tec nico so no in netta antitesi con qu e lli attualmente adoperati. A differenza, infatti, de ll e nos tre s trutture in cemento armato, c he te nd ono ad evitare la di s tru z ione rea ge ndo monoliticamente a ll e so llec it az ioni , qu e lle in opera poli go na le oppongono un a sorta di preframmentazione non ulterior me nte disg regabile. Non è, pertanto, casuale che l'ado z ione di tal e te c ni ca cessasse con l'avvento del ca lces tru zzo ce me ntizio , quando cioè g li ingegneri romani raggiunsero la capacità di reali zzare cost ru z ioni re lativamente monolitiche. La s te ssa c upola del Panteon'46 ', so tto qu esto profilo, altro non è c he un giga nte sco coper c hi o, s ta ti ca mente a naloga a ll a pietra c he co pre il mausoleo di Teodorico a Ravenna (4 7> , ma completamente diversa d a quella michelangiolesca di S. Pi etro quasi e qui valente so ltanto per dimensioni 1481 • n poligonal e non sco mparv e ne lle applicazioni in cui il calcestnizzo n on poteva sostitui rlo proprio a ca u a della sua rigidità, co m e nelle p avimen tazioni s tra d a li , che so lo in età modern a e per moti vi economici adotteranno i baso li rettang o lari.

Criteri difen s ivi

Le fortificazioni itali c he in opera po li go na le , per quanto ricordato, non di s pongono in genere di torri n è adotta no tra cc iati regolari. Abitualmente: " ... esse seg uono ancora il prin cip io di lasciare a ll a na tura una parte notevol e della difesa e di aumentarne l 'efficien za mediante una parete più o meno alta, e so lid a quant o basta per rend e rne imp ossi bil e lo sfo ndam e nto e lo sca lamento.

Le mura , quindi girano le colline, evitano le valli ne i punti più profondi formando rientra nze e spo rge nze, che

I NGEGNO F, PAURA TRENTA SECOLI 01 FORTIFICAZIONI IN ITALIA

allo stesso tempo servono a colpire gli assalitori di fianco; la linea spezzata sostituisce le torri Non sembra che sulle mura vi fosse un cammino di ronda continuo, nè una merlatura, almeno nel tempo più antico ... " 1491 •

Il perchè delle menzionate carenze architettoniche se inizialmente deve ascriversi alla rozzezza dei fautori, in epoche più recenti va ricondotto alla peculiare tattica difensiva degli Italici , nel frattempo pienamente sviluppatasi. Le loro murazioni, infatti , dominavano la pianura da una discreta quota, aderendo strettamente ai suo i bordi, senza lasciare all'esterno il benchè minimo spazio pianeggiante e impedendo perciò agli attaccanti s ia d'investirle che di cingerle ossidionalmente in maniera ortodos s a. Dal che derivava un tiro offensivo, necessariamente diretto dalle falde dell 'a ltura verso la sommità delle fortificazioni , del tutto inefficace, a differenza di quello difensivo, micidiale per opposti motivi. Facile allora concentrare nel suo potenziamento la primaria connotazione architettonica interdittiva, accentuando le opportunità strutturali di lancio. In particolare quelle fornite dalle sinuos ità delle cerchie, c he si prestavano egregiamente a far convergere, da punti diversi, le traiettorie dei dardi sui nemici. Riusciva, pertanto, attuabile un terribile tiro in c rociato, più nutrito e pesante di quello che nelle fortificazioni di pianura scat uriva dai lati delle numerose torri aggettanti. La difesa di fiancheggiamento, in definitiva, nono sta nte la semplicità di siffatte cerchie vantava esiti mortiferi persino s uperiori a quella di opere più complesse, potendosi estrinsecare ancora prima dell'accostamento al piede delle mura.

Non essendo, per giunta, praticabile il loro sfondamento, ma al massimo, e raramente, un parziale smottamento di insignificante vantaggio per gli attaccanti, l'unica possibilità di espugnazione contemplava la scalata in massa delle mura. Tuttavia, la ricordata naturale impervietà dei siti d'impianto la consentiva in pochi settori, certamente i meno ripidi da raggiungere ma, ovviamente, i più accuratamente fortificati. La sequenza d'as-

s alto assumeva perciò , verosimilmente, questa scansione: guadagnata, a costo di ingentissime perdite, una parz iale base delle cerchia se ne tentava lo scavalcamento. La scalata delle mura, di per sè, non presentava soverchie difficoltà, per quanto a suo tempo precisato sulla tecnica poligonale, e di ciò i difensori erano perfettamente consapevo li e, probabilmente, consenzienti rappresentando essa il secondo criterio interdittivo.

Gli attaccanti, infatti, superato l ' ostacolo, inevitabilmente, pervenivano sul sovrastante pianoro alla spicciolata, in ordine sparso, decimati dai difensori, spossati dalla fatica ed impacciati dall'armamento. Facile, allora , per quest'ultimi avvantaggiati dalla proponderanza numerica settoriale, ben riposati e motivati, affrontarli e sopprime rli , spesso sfrace llandoli su lle sottostanti rocce, terrificante monito per i commilitoni.

Nel caso di assedi più lunghi una ulteriore tattica, anch ' essa supportata da evidenti so luzioni architettoniche, consisteva in frequenti sort ite notturne. Una pertinenza, infatti, frequentissima delle fortificazioni italiche poligonali è costituita dall'alto numero di posterle e sottopassi di cui normalmente disponevano. Le loro dimensioni, in media, non eccedono l'altezza di m 1,5-1 ,8, con una larghezza spesso inferiore al metro, sufficiente quindi appena al transito di un singo lo uomo. Non di rado rappresentano l'imbocco di cunicoli, più o meno estesi, che corrono al di so tto delle mura, in perfetta analogia formale e funzionale con quanto già a suo tempo ricordato circa le cittadelle ittite. Quale ne fosse la rilevanza difensiva lo dimostrano i non rari esempi di gallerie del genere scava te pers ino nella roccia viva. Alcuni studios i, tuttavia, non condividono il loro presunto impiego tattico, ritenendoli canalizzazioni per il deflusso delle acque, piovane o luride. Ma l'interpretazione contrasta sia con le loro dimensioni, eccessive per lo scopo, sia con l'ubicazione , non coincidente con gl'impluvi naturali, se nza contare che tali cittadelle erano ben lontane dal disporre di una rete fognante vagamente paragonabile a quella romana.

L E fQRTI FIC/\ZlON l
lT/\LI CHE

Quanto alle porte urbich e, quasi mai ostentano connotazioni monumentali ma solo dimensioni più grandi ed articolazioni più complesse rispetto alle menzionate posterle. Del resto, non ravvisandosi nel1'urbanistica italica un preciso schema planimetrico con strade regolari facenti capo ad edifici pubblici. mancavano del tutto i presupposti di una loro rigida posizionatura e simmetria, basilari per intenti scenografici . I n linea di mass ima: " ... le porte sono tre, attenendosi al principio raccomandato dagli antichi per le città perfette. Esse si aprono dove le condizioni del terreno lo permettono o dove le necessità di accesso lo impongono: di solito si trovano neUe insenature fra du e colline, oppure nel fianco di una collina, aperte in senso obliquo ... " < 50> .

Nella vastissima produzione non mancano, tuttavia, nelle opere più evolute, esempi di porte compartimentate con corte intermedia di sicurezza, nè di porte dotate di saracinesca con sovrastan te camera di manovra e neppure di porte sottostanti ad archi monumentali, anche se rappresentano piuttosto l'eccezione che la regola. Quanto alle torri di fiancheggi.amento, anch'esse rarissime come accennato, vanno cons iderate l'estremo impiego della tecnica poligonal e, influenzata dalla coeva fortificazione greca.

Un'ultima immancabile pertinenza delle cittadelle italiche è individuabile nelle grandi cisterne d'acqua, rese indispensabili dalla loro ubicazione arToccata, difficilmente includente una copiosa sorgente perenne. In genere consistono in cavità sotte rran ee, più o meno naturali, adattate allo scopo con opportuni lavori di impermeabilizzazione.

Per lo stesso motivo, costituendo: "il sis tema difensivo di oppida e caste lla ... la più colossale tesLimonianza ar·cheologica delle condizioni che si crearono nel Sannio dall'epoca delle guerre sannitiche fino alla guerra annibalica... " 15 1> , i relativi esempi saran no esposti dopo un breve ulteriore approfondimento architettonico-militare. La digressione deriva , al di là dell'ampiezza de] repertorio pervenutoci , dalla constatazione di alcune peculiarità specifiche di tali fortificazioni e dal ruolo da esse svolto nel periodo di intens i sco ntri fra le due massime potenze militari per il predominio ideologico e materiale in Italia.

Riscontri territoriali

La straordinaria abbondanza di ruderi di fortificazioni italiche ci obbliga a limitare l'esemplifica zione a pochissi mi casi, quelli di spiccata valenza tipologica.

Fu una fortezza latina , eretta sulla sommità di un' altura che domina il ripidissimo declivio attraverso il quale i monti Lepini si innalzano dalla pianura pontina'521 La rilevanza militare del s ito può facilmente dedursi ricordando che proprio alle loro falde correva la preistorica pista che collegava il Lazio con la Campania, prima che l ' Appia la sostituisse nel 312 a.C 153 i Più in generale, sotto il profilo strategico , unit amente alle cittadelle di Cora, Setia e Signia, Norba formava la Linea interdittiva che si oppose al dilagare della penetrazione volsca dopo la conquista di Pom ezia.

La sua murazione racchiude una s uperficie di 382.000 mq, caratterizzata da un lieve degrado da nord- est a sud -ovest, con due distinte prominenza, di cui la s uperiore a quota 490, adibita ad acropo li maggiore e l'inferiore, a quota 469, che ospitò i templi dell'acropoli minor e. Sono evidenti significative ricercatezze monumentali, confermate dai resti di una e dilizia re sidenziale alquanto evoluta. A differenza delle tradizionali cittadine italiche, specie quando montane , Norba conserva le tracce di una rete viaria regolare con s trad e parallele e perpendicolar·i, nonostante la superfi-

ING EGNO E PAURA TR ENTA SECOLI DI F ORTIFICAZION I l N TTl}LIA NORBA
L~ FORTIFICAZION I ITALICHE O 50 100 150 m ,, I 65
Planim e tria di Norba 66-67 Dettagli Porta Grande di Norba
I
I IN
NGEGNO E PAURA T RENTA SECO I.I or F ORTIFICAZION
ITALIA
68 Scorcio murn di No rba 69 Norba: lo s perone care nato della porta Mag gi ore

ITALICHE

cie accidentata d'impianto. Le porte la Maggiore o Grande, la Ninfina, l'Occidentale, la Signina, sebbene in numero pari, non obbediscono, però, ad alcuna s immetiia ubicativa. In merito alla prima va rilevato che il suo vano, largo circa m 6, è fiancheggiato da due pareti di enormi blocchi poligonali, ascrivibili alla terza maniera, una delle quali, quella a destra, assume la forme di un possente sperone carenato di sbalorditiva accuratezza esecutiva. Un'altra struttura difensiva particolam1ente interessante è la cosiddetta 'Loggia', una sorta di torre quadrata, alta ancora quasi m 13, fortemente scarpata, posta a difesa del lato orientale della città, quello sulla pendice meno ripida (5 4 1 • La cerchia poligonale della città ribadisce la menzionata compresenza di più 'maniere' neJJa medesima struttura, in funzione delle relati ve vulnerabilità. Nel caso in questione le sez ioni più possenti sono formate con blocchi perfettamente sagomati e giuntati, di ragguardevole mole, ciascuno del peso di alcune tonnellate , in ottimo stato di conservazione.

La sua fondazione potrebbe risalire al VII sec. a.C., allorquando gli Etruschi l' impiantarono su di un rilievo, a quota m 80, non lontano da Grosseto , in modo a da poter controllare l'antico lago di Prile. Una conferma di tanta antichità è fornita dai mattoni crudi con cui si eressero alcune sue sezioni e la parte sommitale della cerchia. Tuttavia il rinvenimento limitrofo di tombe a pozzetto e di un insediamento ancora più arcaico sulla sommità di quota 317, Poggio di Moscona, fanno motivatamente propendere per una preesistenza di nuclei abitati. Circa la fortificazione, va osservato che quella attualmente visibile, formata da una cinta in opera poligonale ad andamento irregolare, sostanzialmente concorda nte con l'isoipsa di m 130, ed in buona parte conservata , non è l'originale, ma un suo rifacimento più recente. In alcune tratte , infatti, insiste su segmenti, quelli appunto del VII secolo, realizzati con l'impiego di mattoni crudi.

LE FORTIFICAZIONI
70 Ro se lle , scorcio mura poligonali

L'altezza massima dei segmenti meno devastati raggiunge i m 7 con uno spessore oscillante intorno ai 2 m. Non si riscontra la presenza di torri, mentre la posizione delle porte, probabilmente in numero di quattro, è deducibile unicamente dalle rientranze della murazione. Al suo interno risultano inglobate due ci me, rispettivamente a quota 170 la inferiore ed a quota 190 la superiore: sulla prima, posta a settentrione, s i trovava un piccolo anfiteatro eretto in età augustea demolendo più antiche abitazioni. Scarse le tracce dell' assetto urbanistico e delle trama viaria, risalenti comunque all ' epoca romanac55 > .

La città, sopravvissuta a lungo ai suoi fondatori, fu abbandonata soltanto nel XII secolo.

s 1 m area etrusca, le s ue mura, in opera poligonale vis tosamente evoluta e di notevole precisione, risalgono al massimo al III sec. a.e., epoca coincidente con la deduzione della colonia romana nel 273 a.C. ' 56> Pertanto, questa fortificazione perimetrale, ancor più delle precedenti, deve considerarsi uno dei più rilevanti esempi di realizzazione romana. Non a caso, infatti, pur adeguandosi a] tipico andamento irregolare delle cerchie italiche, quella di Cosa se ne differenzia per l'alto numero dì torri di cui era munita: ben 18 lungo l'intero sv iluppo , circa 1,5 km, di s locate in sequenza con un interasse di una trentina di metri , perfettamente congruo alla gittata degli archi, in stretta osservanza dei canoni vitruvianj <57J.

La loro pianta è quadrata, con un aggetto pari alla metà del corpo, dettaglio che ne certifica la derivazione ellenistica. Le porte urbiche sono tre, abbastanza complesse ed articolate, oltre ad una posterla. Ancora

Fu fondata sulla sommità spianata di un promonto- una volta l'interno della cerchia include due distinte rio calcareo , a soli km 7 da Orbetello. Pur ritrovando- alture, entrambe fortificate autonomamente e secondo

COSA INGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZI0Nl IN ITALJA 71 Cosa, dettaglio porta

una precisa logica: la superiore assolveva a lla funzione di acropoli , mentre l'inferiore, ad essa simmetrica, quella di caposaldo a cui era delegata la resistenza della parte orientale della città<5sl Una ulteriore testimonianza della matrice romana si coglie nella rete viaria dell 'abitato che, ad onta della tormentata a ltim etria dell 'area cintata, appare sca ndita ortogonalmente con una definizione minuziosa delle insulae rettangolari , sulle quali sorgevano le abitazioni anch'esse risalenti a1 III e II sec. a.C.

T ERRACINA

Fondata dai Volsci , probabilmente intorno al V sec . a.C., nell 'area più inaccessibile fra il promontorio del Circeo e la penisola di Gaeta, con il nome di Anxur, rappresentò una ennesima cittadella finalizzata alla interdizione dell ' itinerario costiero fra il Lazio e l a Campania. Stando a Livio nel 406 a.C. fu co nqui stata

dai Romani e divenne pochi ann i dopo, nel 392 a.C., una l oro colonia marittima , chiamata appunto Colonia Anxurnas in riferimento al s uo antico toponimo' 59 '. A voler essere pignoli, in realtà , di toponimi antichi a carico di Te rra c in a, e dei suoi immediati paraggi, se ne rintrac c ia un a ltro, più e ni gmatico: Arnie/e , da cui per estensione anche il golfo di Gaeta prese il nome di sinus Amiclanus. L a ragione dovrebbe ri cercarsi nella prese nza, remotissima, di un a colonia spartana che commemorava così una piccola città della Laconia, dagli s tess i Spa11ani di strutta e poi asso rbita: del resto sembra che proprio a loro debba attribuirsi il cu lt o di Fero nia'òO> , tanto celebre in segu it o nel basso Lazio. La cittadella impiantata dai Volsci seguiva un pe ri metro quadrilatero irregolare, a lqu anto allungato , con una a cropo li interna, s ull a quale nel medioevo i Frangipane eressero un mod esto cas te ll o'6 11 • Le mura in opera poligo nale s ubirono . già a ll 'indo mani della conquista romana, un primo amp li amento con ! ' inglobamento di un 'altra acropoli, il colle di S. Francesco. Tn età sillana un nuovo in creme nto del ci rcuito fu supportato da una riqualificazione s trutturale della cerc hi a. Non costituì l'ultimo , poichè, il venir meno dei vinco l i difensivi sotto l'impero , ed il concomitante sv ilupp o commerciale innescato dal potenziamento del suo porto voluto da Traiano e dalla rettifica de l tra cciato dell'Appia con il taglio del Pesco Montano(621 , de termin arono l'esigenza di ulteriori espansioni. Nonostante c i ò, l e poderose fortificazioni volsco-romane non finirono in-eversibilmente di s messe , poichè, in epoca bizantina, B elisario se ne avvalse per riqualificare l'assetto difensivo de ll a cittadina nel co rso della guen-a go ti ca.

Le fortificazioni dei Sanniti

Un ulteriore approfondimento su lle fortificazioni italiche è consentito dall 'anali s i, quand ' anc he sintet ica, di quelle s annite , come accennato, e sopra ttu tto

LE FORT!FJ
~\ O 50 100 IS0m
CAZI0 Nl ITALICHE
72. Cosa , planimetria
INGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTCF!CAZIONI IN ITALIA
73 Terracina, planimetria 74 Terracina, dettaglio mura poligona li
Lg__ FoJnIFI_ç:AZIONl lTALlCI-lE
75 Terracina. sco rcio del 'Pesco Mon tano ·

dalla loro originale interdipendenza operativa. Pur confermandosi tra le più rozze ed elementari , stupiscono per l'eccezionale numero'631 e per alcune soluzioni strutturali, caratteristiche entrambe finalizzate alla impenetrabilità di vasti territoti, spesso interi altipiani, e non già di piccoli agglomerati residenziali, come finora osservato per lutte le coeve opere. La concezione, di per sè tipica delle società pastorali, alle quali non interessa il possesso dei pascoli ma la loro esclusiva disponibilità in determinati periodi dell'anno, non è in assoluto inedita, riscontrandosi anche alle spalle di molti centri italici. Diviene però vistosamente innovativa presso i Sanniti per l'ampiezza delle aree difese, per la sistematicità del Ia prassi e per I' organizzazione tattica che implicava, prive di qualsiasi confronto. Necessario, allora, ravvisare in tante loro fortificazioni chiaramente interdipendenti, precisi sistemi difensivi eretti a protezione di un distinto ambito

geografico , perfetta anticipazione delle regioni fortificate ottocentesche di cui il famoso quad1ilatero costituisce la più immediata reminiscenza scolastica(M• .

In pratica un sistema difensivo su scala regionale presuppone non tanto Ja cooperazione fra i suoi diversi caposaldi, ovvia e scontata, ma la realizzazione di articolate e variegate strutture militari accessorie tese aJ totale controllo del territorio. Postazioni periferiche di vigilanza e segnalazione ottica, centri di coordinamento tattico, percorsi interni coperti per le forze di contrasto, sbarramenti fissi delle possibili vie di penetrazione nemica , ponti asportabili ed ostruzioni itinerarie prontamente attivabili e, non ultimi, ampi ricetti per farvi convergere gli abitanti di diversi villaggi nei momenti critici con le rispettive masse armentizie. Dal punto di vista della pura definzione architettonico-militare siamo di fronte ad opere comunque 'campali', ovvero fortificazioni realizzate esclusivamente in funzione di

_ _,T.,_,N=G EGNO E PA U RA TR ENTA SEC OLI DI FORTl FI Ci\ZJONI I N !TA U /\
76 Terracina, scorcio torri romane
LE FORTffl CAZTO"-'N'-'-'l,__:__,IT/\,:.,L::..:ICe..:'l.:.:11'.:... : __
77 Faicchio ponte d i Fabio Massimo e dettagli dei suoi picdrilli

un imminente e localizzato scon tro: strutture effime re, per lo più in terra di riporto e legno. Dim ostratasi la paventata co nflittu alità un 'incessante reiterazione di assalti analoghi e non risolutivi, co nfermatisi immutabili gli ambi ti es trin seca ti vi, sempre le pendici esterne d elle medesime alture, le s udde tte opere campali ac quisiro no valenza fruiti va permanente ed, ovvia me nt e, co nnotazion i non d eperi bili. Fortificazioni co nce ttu almente campali, quindi, ma struttu ralm e nte pe1manenti. Facile, a dis tan za di millenni, sca mbi arle per le vuote corazze di altre ttante c ittadin e di cui, ne l frattempo, è svanita la sia pur minima traccia. Sicuramente non mancarono anche agglomerati abitativi o approssimati villaggi, ma della loro e dili zia residenz ia le quasi nulla ci è p e rvenuto , tiprova non già delle di stru zioni conseg uenti a ll a sco nfitta finale, quanto piuttosto della es trema p overt à dei materiali impiegati.

Em erge, pertanto un a singo lare in congruenza con la sto ri a ufficiale tramandataci da Livio . Se, infatti, le fortificaz io ni sannite non racchi ud evano abitua lm ente si ti abitati, grandi o piccoli c h e fossero, e se questi a lo ro volta, quand o esistenti si confermavano tanto miserab ili , do ve le legioni eb bero modo di prodursi nelle tante glo rio se espug n az ion i dallo stesso rievocate e, so prattutto, do ve raz ziarono gli a ltr ettan to mitici bottini ?

L'indole lib e ra e se lva ggia dei Sanniti, la l oro incompatibilità con qu a ls ia si coercizione o di sc iplin a ist itu z ionali zza ta propria delle popolazioni pas torali se minomadi e le connotazionj geomorfologiche delle aree di loro appartenza costituivano altrettante co mponenti di una unica ri s ultante militare: la naturale prop ens ione e disposizione alla difesa mano vrata ad oltranza, sos tenuta autonomamente da mode s ti ss imi co ntin genti. La g uerra da ess i condotta, in altre parole, sare bbe s tata un continuo s tillicid io di p icco le azioni improvvise lanciat e contro trupp e nemiche io pro ss imità di se ttori di attraversamento critici, o comunque non idonei allo schieramento abituale di

combattimento, di tipo falangistico <651 • Imboscate , quindi, assalti alle retroguardie , od alle avanguardie , rapide e violente cariche di cava ll eria, azioni terrifiche e spietate : l'intero repertorio di combattimento che attualmente definiamo 'guerrig li a' . Leggendarja ed e mbl ematica, al riguardo, la notissima vicenda delle 'Forche Caudine', da cui si originò la meschina den ig ra zione, ribadita e propagandata da tutti gli annalisti, c he segnò i combattenti sanniti col marchio di innate codardia e viltà , nonchè di connaturale slea l tà militare: pregiudizi innumerevoli volte smentiti, nel corso d ell'intermi nabile conflitto, da episodi di strenuo ard imento ed eroismo. Ad una i n terpre tazione meno parz iale, la tattica dei montanari appare analoga a quella delle bellicose, e fiere , tribù del deserto che appunto nella guerriglia estrin secano la loro tipicità combattiva . l Sanniti, però , a differenza dei nomadi tuareg nordafricani disponevano di centinaia di fortificazioni: e furo n o proprio q uelle che valsero ad avvalorare la leggenda di tremebondi pecorai ranicchiati perennemente dietro le lo ro mura, in attesa di una propizia imboscata. Il colmo dello scherno fu attinto bardando una categoria di g ladiatori del tradizionale armamentario sannitico, vistosame nte esagerato!

Ma , come acce nn ato in precedenza, raramente tali massicce muraglie poligonali proteggevano un in sediamento od a ncora una guarni gione: nella s tragrande maggioranza dei cas i , infatti, il loro impiego risulta talmente diverso da quello squ isi tamente difensivo da i n generare fraintendimenti persino negli s to rici class ici.

Molte di qu e 11e fortificaz ioni tramandano, e lo abb iamo in precedenza ricordato, un singo lare impianto grado n ato. In particolare si tratta d i una artico lazione: " a doppia ci nta, organica me nte concepita, con terrazza intermedia, come nei casi di Monte S. Croce e ... di Saepinum. Tale s is tema sembra tipico dell'area ca mpana e san niti ca: a tale sc hem a sono state adeg uate, sia pure limitatamente al se ttore più esposto, anche

I NGE GNO E PA URA TRENTA S ECOLI DI FORTfFI CAZ IONI IN !TAL IA
L E F ORTIFICAZ ION I ITA LI CHE
f
NGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFI CAZIO N I lN ITALIA
79 Ricostruz ion e giavellotto s annita 80 Ri cos tru z ione schiera m e nto s annita

TTAI.ICIIE

alcune cinte preesistenti di città della Campania, come Teano e Pompei ... " <(,(,> .

Da alcuni stud iosi si è ravvisata in tal e peculiare connotazione l a conseguenza di una vo lula scelta progettu a le. Essa sarebbe stata, in altre parole, un preciso suppo rto tattico alla l oro 01iginale modalità di combattimento, che era non già queJla di sottrarsi pavidamente alla battaglia, ma di affrontare arditamente g li attaccanti; questo giudizio sembra per parecchi aspetti convincente e condivisibile. Per i Sanniti c iò sarebbe equivalso alla " ... possibilità di sc hierar si su due file ... [D i certo] è possibile che nei cas i di pericolo dei difensori si schierassero contemporaneamente su ambedue l e cinte, per aumentare verosimilmen t e l a possibilità di offesa delle armi da lancio (di cu i peraltro se si escludono i giavellotti, non abbiamo molt e testimonianze per quanto riguarda i Sanni t i ) ma per questo in fondo poteva essere sufficien te la costruzione di un doppio gradino dove maggiore era da aspettarsi la concentrazione degli attaccanti ... inoltre la larghezza delle terrazze doveva ridurre notevolmente la portata dei lanci dei difensori posti più in alto. C'è piuttosto da pensare che al cinta esterna serv isse per le prime operaz ioni di difesa, mentre quella più int e rna cost i tuisse l a vera roccaforte degli assediati. In ogni caso è chiara la maggiore complessità del sis tema di fortificazioni a grado ni che dimo stra una co noscenza abbastanza avanzata degli elementi della tecnica fortificatoria. Quanto ala larg h ezza delle terrazze, essa va dai m 3,50 di Saepinum ai m 6-11 di Monte S. Croce, ai 15 di Piedimonte d ' Alife. La maggiore ampiezza di alcune terrazze può forse essere g iustifi cata , o ltre che dalla diversa conformazione orografica dall'opportunità che offriva agli assediati di spostarsi più agevolmen t e ... " <61 > L ' intenelazio ne fra le fortificazioni gradonate e le armi da lanc io , appare subito ev id e nte: l e rappresentazioni di arcieri s anniti sono però est re mamente rare, mentre i giavellotti s i rinvengono con relativa fre-

quenza nelle tombe.

In realtà va osservato che presso tutte le società pastora] i si ravvisa sempre una propensione alJ'impiego di armi da lancio elementari , quali la fionda od il giavel lotto. É perciò probabile che l'adattamento di alcune peculiarità dell'una sull'altro abbia 01iginato un particolarissimo tipo, di g ia vellotto, di notevole efficacia, c he sembra appartenere contemporaneamente anche alla cu ltura tradizionale dei Greci arcaici, dei Celti, dei Galli, degli Etruschi e che sar à adottalo anche dai Romani in virtù della sua acclarata rispondcnza<68 i La caratteristica preminente di tale giavellotto consisteva nel suo propulsore flessibile , I' amentum , una correggia di cuoio arrotol ata intorno alla sua asta'69l, per mezzo della quale veniva scagliato, con un rapidissimo strappo. La sollecitazione così impressagli constava di due componenti, una equivalente alla tipica traslativa e l'altra, assolutamente inedita. rotativa. Mediante quest'ultima veniva somministrata a li ' arma quello che negli attuali proietti si definisce 'effetto giroscopico' , ovvero la rotazione intorno all'asse maggiore, col conseguente vistosiss im o incremento della stabi li tà nella traiettoria e soprattutto del s uo allungamento, ollre il 50%P 0> Tn tal modo i lanciatori erano messi in cond izione di colpire il nemico, pur ritrovando si pienamente fuori tiro. I Sanniti, pertanto, si sc hi erava no lun go il ciglio delle loro fortificazioni in duplice ordine. o , ne ll e meno comp lesse, in singolo, e nel preciso is tante in cui gli attaccanti penetravano all'interno della gitta ta , la fila più bassa scagl ia va una salva di dardi mortiferi, replicata dopo pochi istanti dai combattenti della fila sovrastante, che compl etava la strage. Di siffatta tattica, però, non abbiamo esplicita menzione negli storici romani, che scrissero seco li dopo l' epico confronto, ma l a modifica dell'ordinanza legionaria nel corso delle guerre sannite11 1l, resasi necessaria per ridurre le perdite, ne è una impli c ita testimonianza. Analoga conferma proviene dalla descrizione dell'assedio di Saepinum, rarissimo esempio di conquista di una cittadina sa nnita archeologicamente identificata.

LE F0RT1f1CAZIONI
________....:l.:...:N.:,:G.:e:EG"'N'-=O_,E PA URA TRENTA SECOLI D I FORTIFICAZIONJ IN ITALIA
81 Planimet,ia di Saepinum 82 Saepinum, posterla del Matese

SAEPlNUM

La Sepino sa nnita sorgeva sulle propaggini orientali del massiccio del Matese , ad una quota di m 953. La sua ubicazione deve essere posta in relazione con il contro llo del sottostante tratturo per la Puglia. Dal punto di vista strutturale l'insediamento appare fac ilme nte identifi cabi l e per la sua cerchia po li gonale, dalla pianta vagamente trapezoidale. In dettaglio: " ... le mura sembrano descrive re un circuito continuo, senza cesure o salti, neppure in corr ispo nd e nza di s peroni di roccia o strapiombi , per una lunghezza di circa l .500 metri; so no cos tituite da una doppia cortina terrapienata in opera poligo nale: l a cortina supe riore risulta arretrata di 3 m etri rispetto a quella inferiore. Al loro interno, nella zona nord ovest, sul culmine dell 'a ltura, è da collocare 1'arx. Tre le aperture identificate: s ul lato s ud-ovest, in corris po nd enza della via d 'accesso dal val ico di quota 934, si apre la 'pos tierla d e l Matese'; una vera e port a carregg ia ta, si schiu de sul la to no rd ovest, l a ' po1ta dell ' Acropoli', diretta a Bo vianum La terza porta, forse la più importante, la 'po rta del tratturo' , si apre nell 'ango lo es t dell e mura... "mi _ In s intes i s i tratta della tipica c ittadina itali ca, se nza alcuna peculiarità distinti-

va , ad eccezione della s ua cerchia poligonale gradonata. Nel 293 a.C., i legionari romani investirono quelle rozze fortificazio ni e Livio così ricordò l'episodio:

·•... non era un vero assedio, ma piuttosto un combattere a parità di condizioni, perchè i Sanniti più che difendere se stessi dietro le mura , difendevano queste con uomini e con armi ... Perciò presa la città, il furore portò ad una strage mag giore: settemila e quattrocento furono gli uccisi, meno di tremila i pri g ionieri "m•

I Sanniti. quindi, s tand o alle parole di Livio, volgevano le spalle alla loro fort ifi caz io ne , ma tale comportamento non può asc1iversi ad uno sterile quanto temerario erois mo . Qual ora atte ndibil e, infatti, presuppoITebbe l'idiozia congenita della dirigenza militare, che dopo aver imp osto la costruzione di una colossale cerc hi a, a prezzo di jmmani fatiche, e costi e levati, poi tranquillamente la ignora e si fa massacrare al lo scoperto! In rea lt à ]o sc hi erarsi all'esterno delle mura era prop ri o la migliore maniera di combatte re sui descritti gradoni, volgendo così, ovviamen te, le spalle all a muraglia più alta mentre si scagl iav a no i giave llotti dall a sommità della più b assa, contro i nemici i n avvicinamento. Nessun sannita stava dietro le mura, c he peraltro no n disponevano di una faccia posteriore, ma tutti erano schierati dav a nti, quas i protesi alla loro difesa! Qu e llo che però Livio non poteva ormai sapere, essendosene perduta completamente la memoria, non lo ig noravan o invece i legionari, assuefatti e consapevoli alla tremenda, quanto ingenua, tattica e co n accorte manovre ne vanificaro no le offese. La c ittà s ul tratturo finì così e, tranne una bre vi ss ima parentisi di riutilizzo altomedievale , l e sue deserte mu ra sos te nn ero da quel momento so ltanto l'assedio del bosco, lento quanto inesorabile, fino a mezzo seco lo fa. J vincitori, po c hi anni dopo ne fondarono una nuo va a valle, chiamandola Altilia , impo sta dall ' immutat a esigenza del controllo de] vitale percorso delle g reggi, che du e volte l'anno deflui vano lun go il s uo decumano.

L E FORTII-1CAZ10N l ITALICHE
83 Saepinum, ruderi di case medievali

NOTE CAPITOLO TERZO

1 Precisa G. CHJAUZZI, Africa se11entrio11ale, Novara 1982. p. 26. circa la distinzione fra società nomadi e seminomadi che: "la differenza... non è determinata solo dalle maggiori o minori distanze percorse dai nomadi, nè dai più lunghi periodi di sosta dei seminomadi: in realtà dipende dal diverso spazio che gli uni e gli altri assegnano alla coltivazione quale attività economica complementare a ll'alle vamento. I nomadi si dedicano all'agricoltura so lo sporadicamen te, limitandosi a seminare alcuni cereali nei greti dei fiumi e mietendo il poco che è nato al loro ritorno. Oppure, anche se possiedono oas i e terreni coltivabili, li affidano ai sedentari, un tempo g ià da ess i conquistat i o comunque soggetti alla loro protezione. li vero nomade non coltiva... disdegna la fatica dell'ag1icoltore, so litam e nt e in erme e da lui vinto Per contro il seminomade coltiva cercali (quale genere di sostentamento complementare dei prodotti animali) facendo affidamento sulle piogge per l'irrigazione, ma cercando di intervenire sul territorio costruendo adeguati sistemi di sfruttamen to e distribuzione delle acque Ma, a sotto lin eare quanto i gruppi possano essere condizionati da ll e situazioni ambientali, i nomadi, c ui sia consentita l'opportunità, tendono al seminomadismo... ; i seminomadi... tendono alla Lransumanza, con la quale si avv iano gradualmente a forme di vita sedentaria. nelle quali l'agricoltura occupa spazio sempre maggiore accanto a l preesistente allevamento ... " .

2 Da F. BRAUDEL, Civiltà e imperi del Medi1erraneo 11ell'e1à di Filippo Il. Torino 1976, voi. r, p. 53. Cfr. M R. DE LA BLA NCHERE La malaria de Rome et le drainage anrique. in Mélunges d'Arc/1. el d'His1., a cura dell ' Ecole française di Roma . ll, 1882, pp, 94 e sgg.

; Da J. A. MARINO, L'economia pastorale nel Regno di Napoli, Napoli I992, pp. 33-34.

4 Cfr. J. A. MARINO, L 'econom ia ... , cit., pp. 112- 122.

i Da J. A. MARINO. L'economia cit., p. 107.

6 Da F. BRAUDEL, Civil1à ... , cit., voi. I , p. 76.

' Da L. Qu1uc1, Roma primitiva e le origini della civiltà laziale, Roma 1979, p. 44.

8 Cfr. U. SPRENGEL, La pastorizia transumume nell'l!alia centromeridionale, in Annali del Mezzogiorno, XV. 1975, p. 294.

9 Da F. BRAUDEL. Civi/Jù , cit., voi. L p. 37.

'

0 Da T. MOMMSEN , Storia di Roma antica, ediz. ital. 1857, lib. I, p. 41.

11 Da T. MOMMSEN, Storia di Roma an1ica, Bologna 1979, lib. l. pp. 50-5 I.

12 Da F. BRAUDEL, Civil1à , cit., voi. I , p. 42.

1 ' Da A. LA REGINA, Dalle guerre sanni1iche alla romanizzazione, in Sannio-Pentri e Frentani dal VI al I sec. u. C. , Roma 1982, p. 37.

14 Da V. L. GROTIARELLI, L'ordinamento politico, in Ethonologica. L'uomo e la civ iltà, Milano 1966. voi. lll, pp. 191-195.

15 Da D. B. MARROCCO, Piedimonte Matese, Napo li 1980, pp. 36-37.

16 Da Y. GARLAN, Guerra e società nel mondo antico, Bologna 1985, pp. 2 1-22

17 Da A. LA R EG INA, Dalle guerre , c it. , p. 38.

18 Da M. A. BOCCHINI VARANI, L'insediamento som111itale appenninico e insediamento vallivo alpino. Le origini, in Rivi.Ha Geografica Italiana, LXXXII, n. 2, 1975, pp. 181-182. La citazione è tratta da L. SANTORO, Fort(fica-;,ioni della Campania antica, Salerno l 979, p. 52, no ta n 27.

19 Al riguardo cfr. F. R usso, Dai Sanniti all'Esercito Italiano, Roma 1991, pp. 35-43.

2° Cfr. G. CONTA H ALLER, Ricerche su alcuni cen11·i for1ifica1i in opera poligonale in area campano sann itica, Napo li 1978, pp. 73-86.

21 Cfr. S. P. 0 AKLEY, The hi/Ljorts of the Samnites, in Archaeological monographs of the brilish school at Rome n IO, Cambridge 1995, pp. 129-1 38.

22 Da D. B. MARROCCO, Piedimonte ... , cit., p. 36.

23 Da G. GUADAGNO, Ce111osessan1a anni di ricerche e studi sugli insediamenti megalitici: un /entativo di sintesi, in Ani I sem inario nazionale di studi sulle mura poligonali , Alatri 2. J O. 1988, p. 18.

24 B. RUDOFSKY, Le meraviglie delf'architettura sponlanea, Bari 1979, pp. 89-90, così riporta lo sba lordimento provato da un conquistatore spagnolo, Garcilaso de la Vega, al la v ista delle muraglie poligonali peruviane della fortezza di Sacsahuarnan: " chi l'abbia veduta. e l'abbia studiata con attenzione, non so ltanto dovrà immaginare, ma dovrà credere che venisse eretta per incanto: da dèmoni e non da uom.iiù, in ragione del num ero, e della dimensione dei massi posati nelle tre serie di mura , p iù rupi che mura. e che è impossibile credere venissero tratti dalle cave, poichè gli indiani non possedevano nè fc1To nè acciaio con cui estrarli e sbozzarli ".

" Da G. G UADAGNO . I seminario , cit., p. 14.

26 Da G. G UADAG NO, I seminario , cit.., p. 15.

________________.:.:.[Nc..:
' G"'E"-'·Ge.:.N.:..,O"-"'E-"P-'-A'-"URA TRENTA SECOLI DI FORTIFI CAZION I IN ITALIA

ITALIC HE

27 Cfr. O GERHARD, Mura dette ciclopiche, in Annali dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica, Roma 1831.

28 Cfr. E. DODWELL, Views and description rl Cyclopian, or, Pelasgic remains, in Greece and /taly, London 1834.

:?9 C. PROMI S, Le antichità di Alba Fucens, Roma 1836, pp. 114-115.

30 La citazione è tratta da G. LUGU , La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio, Roma 1957, p. 60.

3 1 Cfr. L. POLE1Tl, Delle genti e delle arri primitive d'Italia, in Dissertazioni della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, VTTT, Roma 1838.

u Da G. LUGLI, La tecnica , cit.. p. 61.

"Cfr. G. B. GIOVENALE, / monumenti preromani del Lazio, in Dissertazioni della Pontificia , cit., s. IT , VIT, Roma 1900.

,. Per l'esattezza la Scuola Archeologica Italiana, diretta dal prof. Luigi Pigorini , stimolè> l'a llora Ministero della Istruzione Pubblica ad intraprendere una serie di scavi in diverse loca lità fortificate italiche al fine di accertarne il grado di derivazione e dipendenza dalle cittadelle micenee In pratica si prescelse allo scopo Norba e le ricerche vennero affidate a Luigi Savignoni e Rani ero Mengarelli. Le campagne di scavo si attuarono nel 1901 e nel 1902, ed i risultati furono pubblicati a partire dall'anno seguente.

35 La citazione è tratta da G. LUGLI, La tecnica cit., pp. 63 -65, che a sua volta l'attinse dalle «Notizie Scavi» del 1903 , p. 265, in cui gli esiti degli scavi di Norba vennero pubblicati originariamente.

36 Da G. L UGLI, La tecnica , cit., p. 64.

37 Da G. L UGLI, La tecnica ... , cit., p. 70

38 Da G. LUGLI, la tecnica cit., p. 73.

39 Da Y. GARLA N, Recherches de poliorcétique grecque, Parigi 1974, p. 138. Il testo originale è in francese, la traduzione invece è dell ' A.

40 Da G. LUGLI, la tecnica , cit., p. 76.

4 1 Da G. LUGLI , la tecnica ., cit., p. 81.

42 Da G. LUGLI, la tecni ca , cit., p. 70, nota n 1.

43 Un perfetto esempio di tale resi stenza è fornito da ampie tratte delle mura dell'acropoli di Montecassino, reali zza te in terza maniera , sopravvissute sostanzialmente intatte ai pesantissimi e scriteriati bombardamenti aerei, e terrestri, alleati nel corso del II conflitto mondiale. In merito cfr. A. PANTONI, l'acropoli di Montecassino e il primo monastero di San Bendetto, Montecassino 1980, pp. 29-50

44 Cfr. A. MONDINI, Dalla preistoria all'anno Mille, in Storia della Tecnica, Torino 1973, pp. 334-337. Ed anche cfr, V. W. VON HAGEN, Le strade imperiali di Roma , Roma 1978 , pp.7-20.

45 Cfr. E. T. SALMON, Il Sannio e i Sanniti, Torino 1985, pp. 207 e sgg.

411 Cfr. J. B. WARD-PERKINS, Architettura romana, in Storia universale dell'architettura, diretla da P. L. Nervi, Venezia 1974, pp. 133-142. ln particolare, l'autore a p. 134, precisa che:"... a quell'epoca s i poteva dare per scontata la resistenza dell'impasto cementizio. Descrivendo la cupola [del Pantheon] come un monolito artificiale, Choisy cog li e l'esse nza di tutla questa architettura ".

" Più in dettaglio la 'cupola' del mausoleo di Teodorico a Ravenna , fu ricavata da un unico blocco di circa m 11 di lato, per conseguire un diametro di m 10, 76. li peso raggiunge le 230 t., e, probabilmente, le dodici anse a squadro che ne ornano l'estrados so servivano per agevolorne la manovra .

8 Cfr. P. MURRAY, Architettura del Rinascimento, in Storia universale , cit., pp.202-222. Ed anche L. BENEVOLO, Storia dell'architettura del Rinascimento, Bari 1973, pp. 346-360.

49 Da G. LUGLI, La tecnica , cit., pp. 83-84.

50 Da G. LUGLI , La tecnica ... , cit., p. 86.

5 1 La citaz io ne è tratta da L. SANTORO, Fortifica zioni , cit., p. 11 5.

il Cfr. G. M. DE Rossi, La z io meridionale, Roma I 980, pp. 115-120. E anche cfr. G. SCHMIEDT, Atlante aereofotografico delle sedi umane in Italia , parte terza, Firenze I 964, alla scheda 'Norba'.

53 Cfr. J. RIPOSTELLI, H. MARU CC I, La Via Appia, à l 'époque romaine et de nos jour;histoire et description, Roma 1908.

54 G. M. DE Rossi, Lazio cit., p. 120, tuttavia suppone che la struttura in questione sia: " identificabile con una torre, più di segnalazione, vista la s ua posizione affacciata sull'entrote1Ta di Norba e in direzione di Cori e Segni, che di difesa vera e prop1ia. É cos truita in opera poligonale con blocchi di notevole grandezza. Lo spessore delle pareti è alla base di circa 4 m: l'interno era accessibi le so lo dalla patte della città, mediante una porticina larga m 1, 50." É difficile però credere che per un compito del genere perfettamente assolvibile dalle contigue mura, di pari a lt ezza od appena più basse, si rendesse necessaria una costruzione così complessa e massiccia.

55 Cfr. F. BOl1AN l, M. CATALDI, M. PASQ UINUCCI, le città etrusche, Verona 1973, pp. 110-115. E anche cfr. G. SCHMIEDT, Atlante

LE FORTIFICAZIONI

aereofotografi co , cit., alla scheda 'Roseli e·.

1<> Cfr. G. SCHMIEDT, Ai/ante aereclotografico ... , cit., alla scheda 'Cosa'.

11 Così in merito in 'Vitruvio e Raffaello·, il 'De Archirertura ·di Vitruvìo nella tradu z ione in edita dì Fabio Calvo Ravennate , a cura di V. FONTANA, P. MORACHIELLO, Roma 1975, pp. 89-90.

<g Cfr. S. MOSCATI, Italia archeologica, Novara 1980, p. 265.

" Cfr. G. M. DE Rossi, La zio , cit. , pp. 87- 105

''° Cfr. G. SCHMIEDT, Atlante a ereo.fotografico , cit. all a scheda 'Anxur-Tcrracina'.

61 Cfr. G. StLVESTRELLI, Ciltà castelli e terre della regione romana, II edizio ne, Roma 1970, pp. 36-42.

62 Sulla vicenda del 'Pesco Montano' cfr. F. Russo, La difesa costiera dello Stato Pontificio dal XVI al X IX secolo. Roma 1999, pp. 209 -215.

6 J Per un 'idea sulla quantità di fortificazioni sann it e cfr. S. P. 0AKLEY. The hill-forts , cit., pp. 18- 12 1.

64 É singo lare che un a interpretezione del genere a carico del Massiccio del Matese sia stat a form ul ata per la prima vol ta dal sacerdote G. V. CIARLANTI, Memorie Historiche del Sannio, Isern ia 1644, p. 25, molto tempo prima, quindi. della teorizzazione delle regioni militari propriamente dette, con le seg uenti motivazioni: " E' da notare che negli ant ichi tempi furono intorno à questo Monte quattro p rinci pal i Città fondate in quattro parti poco men. che in ugual distanza, e grandezza rendessero più forte detto Monte, e gli habitatori di q uello, e forse essere potrebbero, che dalli primi habitatori di queste parti per tale effetto fossero state edificate ".

6 Cfr. A.M. LIBERATI, F. SILVERIO, Legio. Storia dei soldati di Roma, Roma 1992, pp. 11-17.

"" Da G. CONTA H ALLER, Ricerche s u alcuni , cit., p. 79.

67 Da G. CONTA H ALLER, Ricerche su alcuni... , cit., p. 80.

"" Cfr. F. Russo, Dai Sanniti cit. , pp. 35 -43. A. LA REGINA, La lancia e il toro, in La cultura della transumanza, a cura di E. NARCISO, Napoli 1991, p. 60, ric orda, a proposito del giave ll otto sanni ta, la samnia , che i:" Sanniti hanno il loro eroe eponimo in Sabus, che ha dato il nome al popolo dei Sabini Alle loro più remote orig ini si risa le dunque attraverso la leggenda sab ina [Del resto alle l comu ni o ri gi ni riconducono poi i due simbo li che accompagna no i Sanniti nel corso della loro storia, fino al s uo ep il ogo:il toro della p1imavera sacra sabina, che consente l'interpretazione miti ca della fondazione di B ovian um. e l'asta sabina, che istituisce i legami ideali con il mondo greco attraverso il saunion, e co n il mondo romano attraverso Quirino: Curis in sabino è la lancia, donde Romo lo è detto Quirino perchè la portava ".

f'I Cfr. V. L. GROTIARELLI, Etnologica , cit., voi. Il, pp. 170- 173.

7° Cfr. Y. GARLAN. Guerra e società nel mondo antico, Imola. 1985, p. J52.

7 1 Cfr. R. PRESTO N. S. F. WJSE, Storia sociale della guerra . Verona 1973, p. 47.

71 A. CHIAPPINI. Terravecchia, in Sepino archeologia e continuità, Campobasso 1979, p. 7.

'' Da T. Lrv10 , Storia di Roma, lib. X, 45.

INGEG NO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA

CAPITOLO QUARTO

Le Fortificazioni Italiote

Le causali della colonizzazione greca

Nel precedente capitolo è apparsa evidente la notevole sproporzione fra l'ampiezza territoriale su cui proliferarono gli insediamenti italici, praticamente l'intera dorsale appenninica con le relative pendici, e l'inconsistenza demografica delle s ingole stirpi. Come pure la loro comune genesi che soltanto: " ... nel corso del VI e V secolo, tra i diversi nuclei tribali si traduce in forme di identità etnica. Nel secolo successivo le singole popolazioni sabelliche hanno già assunto il nomen che manterranno poi definitivamente per tutta l'antichità. "(l) Fu certamente la più vistosa conseguenza dell 'eco nomia pastorale, che trova una puntuale eco storica nelle famose 'primavere sacre', allorquando una intera generazione, di una precisa tribù, sciamava verso una nuova regione. Stando a Strabone(2>, sostanziai mente concorde con tutte le altre fonti, ali' origine del rituale vi fu una tragica carestia nel corso della quale i Sabini consacrarono a Marte i nati del periodo. Nella circostanza si stabilì pure che gli stessi, appena raggiunta l 'età adulta, avrebbero dovuto emigrare, seguendo un toro, stabilendosi laddove l'animale s i fosse fermato. Innegabile pertanto che: " il ver sacrum sabino è un rito di fondazione di un nuovo popolo, di una nuova colonia, di una nuova città. Mentre la migrazione ne è l'esito naturale, è la consacrazione, il suo atto costitutivo, in conseguenza di un voto formulato nei confronti delle di vità con finalità propiziatorie ... " m .

Così si originarono i Sanniti , e sempre nella medesima maniera, con altre primavere sacre, le loro tante tribù. Di tali remotissime vicende sopravvivono nel1' attuale toponomastica italiana inconfondibili riscon-

tri: il gruppo che adottò un lupo - hirpus - per guida si radicò nella regione che da allora sarà l'Irpinia, quello che seguì un picchio-picus-nel Picentino, ecc. É sintomatico che lo stesso nome Italia derivi da Viteliù, indubbia reminiscenza di un'ancor più remota ver sacrum, al seguito di un vitello.

La procedura, che da un determinato momento s i ist ituzionalizzò in un dettagliato rituale politico-religioso con cadenze più o meno regolar i, conferma implicitamente l 'inc remento di popolazione derivato dal maggior benessere prodotto dall'economia agro-pastorale e, sopra ttutto , l'insufficienza del territorio a sostenere insediamenti appena più consistenti. Alle spa lle pertanto delle primavere sacre la necessità, inderogabile, di mantere la densità demografica sempre allo stesso livello e se mpre di scarsa rilevanza(41 • Al riguardo anche la più evoluta civiltà ellenica non differì sostanzialmente dall'italica, tranne che per un anticipo attuativo di alcuni secoli. Tra le cause della penuria di risorse, innanzitutto, la connotazione geomorfologica della Grecia. Infatti: " ... una terra così povera è un incentivo al saccheggio e alla pirateria, alla colonizzazione e alla guerra Le scorrerie di frontiera alla conquista di pecore e capre, degeneranti a volte in vera e propria guerriglia estiva, erano, in questi primi sec oli, incidenti comuni quanto la razzia di una nave di pirati o la più legittima conquista della ricchezza coi pacifici metodi del commercio ... L'uomo doveva mangiare per vivere. Se i raccolti non bastavano, era costretto a rubare, combattere o emigrare ... I primi coloni, tra nomadi e agricoltori, abitavano in villaggi sparsi, ma , gradatamente, la comodità e il bisogno di difesa li costrinse a raggrupparsi.

Si costruirono città ... e con le città, sorse e si svi-

luppò una coscienza politica così forte e intensa che il mondo non potè dimenticarla. La città-stato della Grecia doveva molto a favorevoli circostanze climatiche e geografiche . Po sta in un cerchio di colline, poteva vivere appartata dai vicini, creare le proprie istituzioni e acquistare caratteristiche così decise che, nonostante i comuni legami di lingua e di religione, uno spartano, un ateniese e un tebano non potevano essere confusi tra loro." < 5' Ma nessuna di esse, spartana, ateniese o tebana che fosse potè evitare l'allontanamento periodico di tanti suoi membri!

Sebbene la colonizzazione, nella pienezza del significato demografico, si avviò soltanto a partire dall'VIII secolo a. C., non ebbe però, neppure agli inizi, una estrinsecazione equiparabile a quella della emigrazione, antica o moderna, propriamente detta, pur mantendendo una ragione di fondo assolutamente identica. Una colonia greca, infatti, costituiva una decisione dello stato stesso e non già di singoli cittadini disperati. Certamente lo stato che prendeva tal.e decisione lo faceva sotto lo st imolo primario di alleggerirsi dai gravami socia li , altrimenti insostenibili, ma non per questo abbandonava i coloni al loro destino, come invece sembra avvenire nelle migrazioni italiche. In pratica, la città madre organizzava la colonizzazione indicando non so lo dove dirigersi, attraverso una particolare sentenza dell'oracolo di Delfo, di tipo approvativa, ma riconosceva la pienezza di appartenenza dei membri in partenza ad una città derivata, con tutta la so lennità del caso. La componente religiosa anche in questo caso serviva a sancire meglio la sacralità della decisione e l a sua buona probabilità di successo essendo affidata e posta sotto la protezione di Apollo. É significativo che il nume tutelare dei co lonj greci fosse lo stesso delle primavere sacre storicamente meglio co no sc iute, come quella dei Mamertini, intorno al 288 a. C. , allorquando:

" ... essendosi diffuso per lutto il Sannio un grave morbo , Stennio Mettio, il capo di quella gente ... riferì di

aver sognalo che Apollo, ordinava, se volevano essere liberati dal male di far voto di una primavera sacra "' 61 •

É probabile, pertanto, che: " ... il rnolo centrale di Apollo, divinità solare, abbia innanzitutto una motivazione nel fatto che le sped izioni marinare in oriente potevano trovare una allegorizzazione nel percorso del Sole Il più greco di tutti gli Dei va inteso infatti come «spirito della conoscenza contemplante» e dei misteriosi distacchi ... Apollo influiva direttamente sulle legislazioni che soprattutto in ambito coloniale, permettevano un accordo fra le classi ... La fondazione di ogni colonia va riferita non soltanto genericamente a una «nuova nascita» ma, più precisamente, al simbolismo della rigenerazione ... LÉ emblematico] che una causa (più s ign ificativa di quanto non sia frequente) di fondazione coloniale sia data proprio dalla partenza verso le nuove terre di persone cadute in disgrazia o addirittura di c riminali: per citare un esemp io, Archia, fondatore di Siracusa, era stato es ili ato dopo aver causato la morte del giov in etto di cui si era invaghito e il su icidio del padre " 0 >

In conclusione, come le comunità italiche anche quelle greche antiche insistevano su equilibri demografici delicatissimi quanto rigidissimi. Le città dell'Ellade, per l'accennato anticipo evolutivo, già con l'avvento del I mmennio a.C., a causa della crescente popolazione, iniziarono a tradire evidenti sintomi di carenze di risorse, innescando il fenomeno della colonizzazione. Ma se le primavere sacre guidate da mitici animali, o più verosimilmente dalle greggi, ostentarono un dipanarsi in ev itabilmente terrestre, le migrazioni dei Greci, per la naturale propensione verso il liquido elemento degli abitanti delle frastagliatissime coste dell'Egeo e dei suoi innumerevoli arcipelaghi, impeg narono le rotte mediterranee. Non a caso: " ... tutto in Grecia invi ta al mare: il poco nutrimento che s i può ricavare dalle colline arse dal sole e dalle brevi pianure orizzontali, l'abbondanza di piccoli porti ben riparati, le costellazioni di isole che sembrano quasi formare

I NGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALJA

un sentiero tra la Grecia e l'Asia Minore. E i Greci si diedero alla vita del mare, attraversarono l'Egeo e fondarono colonie sulla sponda opposta, s'insinuarono lungo le bocche dell'Ellesponto, sfidando, quando fosse necessario, i popoli dell 'Asia anteriore ... " <81 •

Ovviamente la scelta dei siti da colonizzare rispondeva ad indicazioni preliminari di accorti esploratori e magari di mercanti che, pratici dei luoghi e delle genti, fornivano tutte le informazioni basilari indispensabili per il buon esito dell'impresa. Nè può escludersi che, spesso, in tali individuazioni si celassero prevalenti interessi strategici finalizzati al controllo di aree, sempre più vaste e sempre più lontane , per le loro acclarate potenzialità economiche, agricole e minerarie. Infatti: " gruppi di cittadini greci erano spediti in ogni parte del Mediterraneo e delle coste del Ponto.

Mileto, con la sua collana di colonie, sfruttava gli opimi campi di grano della Russia meridionale e le ricchezze dei commercianti di pellicce e dei cercatori d'oro dell'interno. Cirene era la chiave dell'Africa settentrionale, Marsiglia apri va la via ai mercanti della Gallia, un gruppo di prosperose colonie, quali Siracusa di Corinto, Gela di Rodi , Selino di Megara segnavano la via alla copiosa fertilità delle valli siciliane. Verso la metà del sesto secolo una collana di città greche circondava dall ' Ebro al Dnieper, le coste del Mediterraneo e del Ponto " < 9 >

Paradossalmente, quindi, la colonizzazione greca, in maniera ancora più stridente della migrazione italica, deve ascriversi all'esigenza di mantenere inalterati, e magari accrescere, i livelli di benessere lentamente attinti. Al riguardo, sono state ripetutamente: " ... fino dall'antichità, analizzate le cause della spinta alla colonizzazione, individuate in un concorso di circostanze economiche, sociali, politiche. A parte spiegazioni di tipo universalistico che vedono nella colonizzazione un effetto primario o secondario delle grandi migrazioni dei popoli, o viceversa un fenomeno naturale di ere-

scita organica (principio degli «sciami»), la teoria più diffusa è quella relativa alla incapacità di autarchia economica da parte di poleis in cui la terra era in sufficiente e povera e in cui era addirittura una necessità vitale la ricerca di mercati lontani per la vendita di vino, olio e manufatti contro l'acquisto di cereali e materie prime. Tutt'altro che infrequenti erano poi motivazioni socio-politiche legate a contrasti interni e a lotte intestine, con le conseguenti crisi di rigetto di nuclei cittadini che avrebbero potuto minacciare la sussistenza delle poleis."' 10 )

Più in dettaglio: " ... la crescita demografica e lo sviluppo delle tecniche e del commercio verso l'Oriente avevano saturato le disponibilità di sussistenza e fatto aumentare i bisogni: così che le classi che non trovavano soddisfatte le proprie richieste, e che d'altro canto fornivano lavoro, prodotti e possibilità di commerci, si riversarono fuori dai luoghi originari. Alla ricerca di terra che li alimentasse, alla costruzione di una rete di rapporti commerciali che sostenesse le «fabbriche» della madrepatria, per fornire quest'ultime delle materie prime necessarie. Delle attività economiche che così si s tabilirono trassero però vantaggio precipuo le nuove città coloniali, più che le vecchie madripatrie. Ma che queste e le colonie costituissero punti di uno stesso sistema, con zone di int1uenza delimitate, nel quale doveva regnare l'equilibrio perchè fosse produttivo al massimo, è dimostrato dalJ'opera di mediazione raffinata ed accorta, esercitata dall'oracolo di Delfi. A questo si rivolgevano i coloni sul punto di partire: e venivano indirizzati con precisione in zone stabilite, a complemento di attività già iniziate, ma senza troppo pressanti concorrenze " c 11i

Nella citazione è ribadita l'ipotizzata pianificazione della colonizzazione, secondo preci se direttrici di espansione e di occupazione, a loro volta funzione di ben determinati interessi commerciali e strategici. La tesi, certamente suggestiva e per molti aspetti innegabile, è però almeno per la fase iniziale del fenomeno

LE FORTIFICAZIONI
ITALIOTE

difficilmente dimostrabile, tanto più che gli stessi fautori ignoravano completamente l'effettiva rispondenza dei siti prescelti, non potendo in alcun modo prefigurarne la remuneratività nè, meno che mai, la longevità dell'iniziati va a fronte delle perfettamente risapute ostilità indigene e concorrenze straniere. Logico, pertanto, che: " uno dei più ardui problemi storiografici è l'esistenza o meno di un piano di colonizzazione. Certo gli insediamenti veri e propri dovettero essere preceduti da campagne esplorative, e anche le prime colonie in assoluto (Pitecusa, oggi Ischia, e Cuma, fondate tra il 775 e il 760) non sono da ritenere imprese individuali e incoerenti, ma frutto di una accurata preparazione ... llnfatti] sembra che la sequenza stessa delle colonie non rappresenti un capriccio nè un fatto casuale; se la prima colonia fondata in Magna Grecia è anche la più lontana, ciò significa che la metropoli (nel caso specifico, Calcide d'Eubea) doveva avere programmato ben chiaramente le fasi della s ua espansione economico-commerciale; in ogni caso i considerevoli rischi dovevano essere compensati da congrui profitti in una prospettiva non lunga.

Il primo episodio contiene in nuce molte caratteristiche della politica coloniale greca. L' insediamento su un'isola (Ischia) ab basta piccola da essere difesa e abbastanza ricca dal punto di vista agricolo, doveva servire come base per ispezionare il continente ed entrare in contatto con i barbari ... La fondazione di Cuma fa parte probabilmente di una strategia a più ampio respiro territoriale: la scelta stessa del luogo, su una altura ben difendibile ma senza attrezzature portuali, fa sospettare che i Pitecusini dovessero contare sulla conquista della regione circostante per garantirsi lo sbocco portuale di Capo Miseno. In effetti, Cuma si impadronirà di vasti territori prima della fondazione etrusca di Capua (600 circa)C1 2> , e insieme a Pitecusa costituirà la testa di ponte del commercio e della diffusione della civiltà greca in Campania, Lazio, Etruria. Il golfo partenopeo (Napoli stessa è una sub-colonia

cumana) si chiamava allora golfo cumano. La tappa successiva della colonizzazione calcidese fu la fondazione di Zancle (il primo scalo ri sa le al 757 circa) e poi di Reggio sui due lati dello stretto di Messina, come basi logistiche per il controllo della più importante via di accesso alle colonie campane, nell'ambito di una «politica degli stretti» seguita dalle varie popolazioni greche nel Mediterraneo e nel Mar Nero." <13)

Pertanto mentre i nuovi insediamenti degli Italici continuarono ad abbarbicarsi alle penedici appenniniche le colonie dei Greci s'impiantarono sempre a strettissimo contatto con il mare, in prossimità di riparate insenature, altrettanti scali naturali, o con le foci dei fiumi, in prima approssimazione porti-canali. Emerge, a questo punto, una seconda significati va affinità tra il fenomeno della migrazione greca ed italica: la rilevante frammentazione etnica dei protagonisti pur nel)' ambito della derivazione da un comune ceppo originario. Come il rituale delle primavere sacre coinvolse ogni stirpe peninsulare , romana compresa, la colonizzazione che per semplicità continuiamo a definire 'greca ' riguardò, in effetti, tutte quelle dell'Ellade, all'epoca nettamente distinte tra loro. Non a caso la mitologia rivendicava per i Greci un unico antenato , Elleno, i cui suoi quattro figli Acheo, Doro, Eolo e Ione sarebbero divenuti i capostipiti di altrettanti popoli. Questi, a loro volta, si sarebbero insediati in diverse regioni della Grecia , innescando ulteriori suddivisioni e ripartizioni. É questa forse la spiegazione, o la giustificazione, del perchè la Grecia antica non divenne mai uno stato, cioè una entità politica dotata di un minimo di unità amministrativa e di compattezza territoriale , restando , invece, sempre un coacervo di città-stato, completamente indipendenti, spesso in conflitto fra loro, senza per questo però perdere la consapevolezza della propria consanguineità. In tale frammentazione insisteva, del resto, la sua forza e purtroppo anche la sua debolezza. La prima poichè l'assenza di un potere

I NGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA

centralizzato consentiva una inusitata vivacità d'iniziative autonome, non a caso poste alla base dell'odierna civiltà. La seconda poichè, per lo stesso motivo, le discordie e le conflittualità fratricide finirono col renderla una facile preda e dell'effimera epopea macedone e della duratura conquista romana. Unici elementi coagulanti di quel burrascoso arcipelago etnico rimasero sempre la religione ed alcune ricoITenze , quali ad esempio i famosissimi giochi di Olimpia.

Democra zia e colonie

Sempre a causa dello straordinariamente propizio isolamento delle città greche, spesso molto relativo in termini chilometrici, i legami fra gli abitanti di ciascuna di esse conobbero intensità e coesioni, prive di equivalenze covee o successive. Ne derivò, oltre alla rimarcata vivacità di rapporti sociali, l' istaursi di un sistema dirigenziale, che poi sarà definito 'democrazia', certamente non confrontabile con l'omonima attuale , ma di sicuro più vicino ad essa di qualsia s i altra soluzione. Cronologicamente fu l'ultimo stadio della pur rapida evoluzione politica, passata dalla monarchia all'aristocrazia, poi alla plutocrazia e quindi alla tirannide, per concludersi appunto con la democrazia. La sua caratteristica precipua fu il prevalere della maggioranza nelle decisioni significative, principio che da allora divenne, sebbene lentissimamente , patrimonio universale.

Disgraziatamente tanta libertà comportò pure un esasperarsi del l'indipendentismo e dell'autonomismo, fattori disgreganti che entreranno inalterati, se non ulteriormente accentuati, nel patrimonio genetico delle colonie. Nessuna meraviglia, quindi, che, pur nella precariatà dei nuovi ambiti geografici, prevalessero fra le stesse le tradizionali astiosità e rivalità, acuite per giunta dalla rilevanza degli interessi commerciali inevitabilmente concomitanti e concorrenti. E non di rado

la contrappos1Z1one si estese persino alle rispettive madrepatrie, senza esclusione di colpi. La conflittualità fratricida per le colonie, pertanto, non si riguardò come un evento sporadico, ed il suo sommarsi alle preventivate resistenze indigene spiega la preferenza accordata, nella fase iniziale di insediamento, alle ubicazioni naturalmente arroccate. Stando a Tucidide, infatti: " ... la colonia ha un fondatore, l 'eciste, designato per tale compito; talvolta può averne contemporaneamente due ... La presa di possesso urbano del suolo avviene con la fondazione dell'acropoli o, eccezionalmente, con la fondazione di un semplice isolato di abitazioni in terreno pianeggiante ... "• 14 ) Una significativa eccezione, tuttavia, può cogliersi nelle fondazioni più spiccatamente strategiche, che non: " sono unite alla madrepatria so lo da un legame morale, [eJ non da una concreta dipendenza politica, così che sfuggono alla s ua autorità effettiva. Le colonie ateniesi, denominate «cleurchie», sono ... risultato di una politica di espans ione imperialista per cui le città coloniali, che servono di sbocco ad una popolazione in esuberanza, conservano con la madrepatria un preciso legame di indipendenza. Le più antiche risalgono alla fine del VI secolo. Questo tipo di città colonia trae il carattere dalla sua origine: non si tratta ... di empori disseminati da un popolo di commercianti, ma... di fondazioni dello stato ateniese, rappresentato dal consiglio dei cinquecento e dall'assemblea popolare. Ogni cosa viene perciò prestabilita: il numero dei coloni, la suddi visione del terreno in base alla di visione dei geometri, la distribuzione dei lotti ... Nella riparti zio ne delle terre una parte viene assegnata agli dèi invocati dallo stato all'inizio della fondazione. L 'eciste in sostanza adempie ad una missione ufficiale; i coloni non cessano di essere cittadini ateniesi pur amministrandosi da sé secondo il modello di Atene. Esteriormente la cleurchia si presenta con la fisionomia di una città greca, ma il suo carattere l'avvicina strettamente alla colonia romana

LE fORTIFICAZIO NT ITALIOTE
"' 151 •
...

Nonostante le molteplici peculiarità distintive delle innumerevoli colonie greche, sotto il profilo della fortificazione non si osserva alcuna significativa diversificazione fra quelle contemporanee. Le relative strutture, per lo più cerchie urbiche, appaiono, infatti, sostanzialmente omogenee e simili, tutte conformi ad una medesima matrice culturale, fenomeno, peraltro, già riscontrato in quelle italiche, indipendentemente dalla stirpe o etnia di appartenenza. In quanto erette in Italia ed in particolare nel suo meridione e nella Sicilia, per la storia la Magna Grecia, vennero definite correntemente 'italiote', denominazione che designava, senza ulteriori specificazioni, qualsiasi colonia greca: approssimazione perfettamente compatibile con la finalità della ricerca. Le vistose differenze, invece, che affiorano fra le stesse, anche ad una superficiale ricognizione, devono ascriversi alla loro divaricazione cronologica, giocando l'evoluzione tecnologica militare un ruolo . estremamente importante in tale vitale settore. Possibile perciò che mderi di colonie coeve ostentino, fortificazioni inspiegabilmente incomparabili: l'enigma, però, trae origine esclusivamente dalla mancata riqualificazione delle più arcaiche. Infatti, proptio per la rilevanza assegnata alla difesa, ogni città si faceva sistematicamente carico dell'aggiornamento del Ia propria cerchia, astenendosene soltanto per riconsciuta insignificanza ubicativa o per insormontabili carenze economiche, peraltro rispettivamente causa ed effetto di una infelice fondazione.

Sempre sotto il profilo cronologico, pur non essendo in Italia la colonizzazione greca, come a suo tempo precisato, la prima in assoluto riscontrandosene una appena più antica d'iniziativa fenicia, e quindi cartaginese, ebbe però modalità attuative e istituzionali talmente originali e radicate da divenire quella per antonomasia. Del resto gli stanziamenti fenici non pervennero mai a connotazioni urbanistiche lontanamente equiparabili a quelle delle colonie greche. Emblematico al riguardo il caso della Sicilia dove, sebbene la

presenza dei Fenici si collochi fra il XII e l'VIIl secolo fu soltanto l'avvento della colonizzazione greca che: " dovette intensificare, se non proprio determinare, l'evolversi di alcuni scali commerciali in insediamenti stabili: il che trova conferma in quell'evidenza archeologica che manca ai primi stanziamenti, probabilmente «scali marittimi lungo la grande traversata, agenzie commerciali, ufficio di corrispondenza per acquisto e collocamento di merci» ... " <16> E forse da tale precarietà dipese la rapida evacuazione fenicia dell'isola, così rievocata da Tucidide:

" i Fenici abitavano qua e là per tutta la Sicilia dopo aver occupato i promontori s ul mare e le isolette adiacenti per favorire i loro commerci con i Siculi. Quando poi i Greci arrivarono dal mare in gran numero lasciata la maggior parte del territorio, si concentrarono a Mozia, Solunto e Palermo. presso gli Elimi, fiduciosi della loro alleanza e del fatto che quel punto della Sicilia distava pochi ssimo da Cartagine. "" 11

Sensato supporre che il ritiro dei Fenici non sia avvenuto a seguito di trattative meramente politiche, ma, più verosimilmente, in conseguenza dell'offensiva militare intrapresa dai sopraggiunti colonizzatori. Il dato costituirebbe una palese conferma della non pacifica acquisizione del territorio, ed implicitamente della capacità di resistenza dei nuovi arrivati, presumendosi inevitabili i contrattacchi nemici. Nuclei coloniali, quindi, sin dall'inizio perfetta sintesi di razionalità residenziale e difensiva, connotazioni precipue di quella che sarà la città moderna. Significativo, ciel resto, che proprio ai coloni greci viene fatta risalire la comparsa della città in Italia, concezione che finì, lentamente, per essere adottata dai Punici e, persino, dagli Italici che ne erano tradizionalmente avulsi, e: " ... ciò perchè gli abitanti delle «vere» città, gli Italioti, furono messi a dura prova, e spesso sconfitti, dagli Italici ... [che però] a loro volta, subirono progressivamente un processo di acqui-

INGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA

sizione e di adattamento culturale, al quale si fa risalire anche la formazione delle «città» italiche ... " c 181 .

Dal canto loro pure i coloni acquisirono ulteriori e più avanzate concezioni urbanistiche, ma solo nel ristrettissimo ambito della fortificazione perimetrale, superando rapidamente l e originarie impostazioni. Per meglio vagliare quel considerevole salto di qualità, che influenzerà e cond i zionerà tutta la successiva produzione architettonica militare per quasi un millennio, è indi spensabile approfondirne i precedenti.

sentava il suo maggior vanto: gli Ateniesi dovranno rinunciare a fregiarsene già dalle Guerre del Peloponneso(201 , intorno al 460 a.e., mentre i loro tradizionali rivali , gli Spartani, a giusta ragione invece, lo conserveranno per un altro secolo, fino al 370-369 e forse persino oltre: di certo dopo la battaglia di Megalopoli nel 331 < 21 > persino il poeta comico Antifane lo ritiene, ormai, immeritato.

La fortificazione greca arcaica

Per quanto possa sembrare paradossale, nella fase più arcaica della fortificazione perimetrale greca, la frustrazione degli assalti nemici non ne costituiva la primaria finalità. La ragione dell'anomalia deve individuarsi in una seconda singolarità, ovvero che l 'espugnazione delle città non rappresentava, a sua volta, l' obiettivo delle operazioni militari, nè la dimostrazione per antonomasia del successo bellico.

Per la visione politica imperniata sulla costante riaffermazione dell'indipendenza la semp li ce violaz ione della sovranità territoriale, peraltro raramente eccedente il giro d'orizzonte, già equivaleva per i soccombenti alla più umiliante sconfitta e per i vincitori alla più indiscutibile vittoria. Nel che potrebbe, forse, ravvisarsi un estremo re siduo culturale della società pastorale che individuava nell'incontrastato utilizzo dei pascoli il massimo riscontro della superiorità di una particolare tribù.

Tale originalissima ed atipica concezione polemologica dovette protrarsi per molti secoli, poichè, per l'ampio conforto delle fonti, di sicuro ancora:" ... intorno alla metà del V secolo, a.C., la sca la dei valori militari greci sembra aver avuto quale fondamento strategico essenziale l'attacco e la difesa del territorio " ('91 Comprensibile, pertanto, che per qualsiasi città il non aver mai dovuto subire devastazioni limitrofe rappre-

Quanto delineato trova una puntuale conferma nelle pagine degli autori classici stando ai quali, nella stragrande maggioranza dei conflitti fra città greche, ad operazioni concluse, i vincitori sono descritti perfettamente appagati dal puro controllo del territorio nemico, per giunta raramente a lungo irreversibile. Sporadici i riferimenti ad espugnazioni, esiti, comunque, improbi ed eccessivamente lunghi da conseguire. Da un punto di vista etico tale indiscutibile inibizione potrebbe imputarsi ad una mai disconosciuta consaguineità etnica con i momentanei contendenti , già preziosi alleati contro le minacce dei barbari. Per lo stesso motivo sarebbe stato controproducente esasperare i successi, risapendosi anche per il futuro imprescindibili quelle alleanze, permanendo immutate le mire stran iere. Costringere una città alla resa per fame e per sete, accomunando alle sofferenze dei combattenti tutti i ci vili inermi, non solo ripu gnava mora lmente ma soprattutto politicamente in quanto potenzialmente foriera di sciagurate iniziative. In conclusione lo scontro tra c i ttà greche rico rd a molto un duell o fra maschi di una s tessa specie, determinati esclusivamente a ribadire il proprio presunto ruolo dominante, senza perciò mai spingers i alla soppressione dell'avversario, mettendo a repentaglio in tal caso la sopravvivenza dell'intero gruppo. Pertanto i conflitti endoetn ici in Grecia, almeno tra il V ed il III sec. a.C., si esaurivano, abitualmente, in urti campa li , spesso estremamente violenti e sanguinosi, prodromici alla devastazione del territorio degli sconfitti, ma quasi mai della loro città. Nella circostanza: " le derrate agri-

LE FORTlFICAZIO

cole finivano sia distrutte sul posto, sia razziate ed allontanate dagli invasori contestualmente alle truppe, agli schiavi ed ai cittadini che cadevano nelle loro mani. Le masserie erano incendiate, o almeno minuziosamente saccheggiate; il nemico a volte le privava persino dei loro migliori travi, dopo aver asportato tutti gli oggetti di ferro o di bronzo che in esse vi trovava ... La sorte riservata agli alberi da frutta è più difficile da precisare per ciò che riguarda l'Attica nel corso della prima parte della Guerra del Peloponneso siffatte devastazioni sono segnalate esplicitamente soltanto da Diodoro e da Aristofane ... " <22> .

Circa la convenienza strategica della suddetta procedura è presumibile che, per la stringente penuria derivante dalle distruzioni, l ' intera popolazione sconfitta finisse costretta, per periodi più o meno lunghi, a dedicarsi spasmodicamente alla rimessa a cultura dei campi. Dagli stessi, infatti, doveva pur sempre continuare a trarre la maggior parte degli alimenti, accantonando nel frattempo qualsiasi velleità od ambizione militare: risultato di per sè già pienamente remunerativo per i vincitori nell'ottica greca. Scendendo ulteriormente in dettaglio , dal punto di vista operativo, la devastazione del territorio nemico deve considerarsi al contempo causa ed effetto dello scontro risolutore, a secondo che si perpetrasse prima o dopo dell'urto. Causa poichè le scorrerie e le razzie tendevano a provocare l'uscita degli assediati dalle loro mura ed a battersi all'aperto. Effetto poichè le peggiori distruzioni si verificavano proprio dopo la disfatta campale, quando nessuno più poteva opporvisi in armi. La prima evenienza sembrerebbe di gran lunga la meno frequente. Infatti, quando i cittadini apprendevano, più esattamente scorgevano, la penetrazione nei propri confini di un aggressore si precipitavano in massa fuori dalla città per affrontarlo. L'atteggiamento di passiva attesa dall'alto degli spalti, in simili circostanze e per quel1' epoca, va considerato eccezionale ed aberrante. Se però, per qualsiasi ragione, si fosse verificato l' attac-

cante ricorreva ad una seconda e più grave provocazione, con s istente nell'erigere a ridos s o della città s tessa, perfettamente in vista, un'opera fortificata , insediandovi all'interno una nutrita guarnigione.

L'impianto di un caposaldo a brevissima distanza da una città assediata rappresentava, nella poliorcetica greca, una efficace procedura per fiaccare la resistenza degli assediati, senza investirli direttamente.

L'espediente, che a prima vista sembrerebbe platealmente inconcludente, si dimostrava, invece, una minaccia particolarmente temuta e sconvolgente per vari motivi. Tatticamente, infatti, forniva agli attaccanti una base fissa da cui lanciare le scorrerie in assoluta sicurezza , potendovisi rapidamente rifugiare nel caso , abbastanza frequente, di sortita o di improvviso contrattacco in massa degli assediati. Tale fortificazione ricorda perciò l'accampamento Jegionaiio, del quale: " i critici moderni hanno spesso osservato che la sicurezza garantita ... non era commensurabile all'enonne s forzo nece ssario per costruirlo dopo un giorno di marcia ... Comunque , erano soprattutto le funzioni non tatti che, che rendevano l'accampamento mobile dei Romani molto più di un semplice recinto difensivo ... Con il fossato, il terrapieno e la palizzata che tenevano lontani gli sporadici indigeni e le bestie feroci, i soldati potevano [soggiornarvi] in un ' atmosfera rilassata. Questo senso di sicurezza avrebbe permesso di dormire sonni tranquilli e di essere quindi pronti per la marcia o la battaglia il giorno seguente [Non a caso infatti] il tipico scopo delle operazioni notturne è quello di impedire il sonno al nemico; pur con minimi danni, il rumore degli attacchi di sorpresa poteva provocare, notte dopo notte , un progressivo deterioramento delle condizioni fisiche e mentali delle truppe che li avevano subiti Si è talvolta affermato che l ' accampamento mobile costituiva un elemento di garanzia dal punto di vista tattico, poichè se le truppe romane venivano sconfitte sul campo di battaglia, potevano sempre rifugiarsi nell'accampamento Questo poteva accadere, però , solo se le trup-

ING
NI IN ITALI A
EGNO E PA U RA TRENTA SECOLI DI FORTIFI C AZ IO

ITALIOTE

pe sconfitte disponevano di un accampamento intatto a breve distanza... [per cui] questa osservazione può essere valida In questo modo, l'accampamento univa i vantaggi tattici di un bivacco alla comodità offerta dagli alloggiamenti, oltre al fatto di possedere un recinto custodito, che all'occorrenza ... poteva trasformarsi in una vera e propria fortificazione ... " 123 )

Ma al di là di queste potenzialità, più o meno tattiche, il caposaldo in questione ne forniva un altra di natura psicologica, la più destabilizzante per gli assediati: incentivare gli schiavi, presenti sempre in discreto numero nelle città greche, alla fuga od alla ribellione. I disgraziati, infatti, vedevano in quella fortificazione, a brevissima distanza dal luogo della loro pena, l'immediata libertà e nella sua guarnigione gli unici amici. Ovviamente quest'ultima si prodigava per avvalorare tali allettamenti ostentando calorose accoglienze ad ogni fuggiasco, dispensandogli inoltre generosi riconoscimenti. Le conseguenze, anche non prendendo in esame la paventatissima rivolta generale, si dimostravano gravissime. Dopo una permanenza più o meno lunga nella città, infatti, i miserabili evasi ne conoscevano perfettamente ogni dettaglio ed ogni punto debole, come pure l'esatta entità delle sue truppe nonchè lo stato d'animo dominante nella popolazione, tutte informazioni preziose per gli assedianti. Senza contare, infine, che persino il semplice venir meno della mano più docile e disponibile ai massimi rischi, creava, nella criticità della circostanza, insormontabili difficoltà. Fu questo, per quanto ci è dato conoscere, l'unico caso di funzione sovversiva sostenuto da una fortificazione, al di là di quella canonica eminentemente difensiva e della sporadica repressiva!

zione perimetrale greca, almeno fino allo scadere del V secolo, con curiose peculiarità. In particolare, ogni cerchia civica non appare subordinata a criteri rigidamente militari, come sarà per quelle romane, o religiosi esoterici come per quelle etrusche, ma piuttosto concretizza la massima espansione residenziale prevista. Il suo tracciato, pertanto, non scaturisce da una stretta aderenza alle esigenze del momento, che avrebbero finito per condizionare ogni possibile sviluppo futuro dell'abitato, ma mantiene nei suoi riguardi una sostanziale autonomia. Del resto già l'adozione dell'impianto urbanistico a scacchiera, di tipo ippodameo, costuisce una decurtazione della sicurezza complessiva a vantaggio del benessere cittadino. Si tratta di una opzione squisitamente filosofica, che lascia, comunque, intuire la reputazione di ampia sufficienza per le fortificazioni adottate. Stando ad Aristotele:

·' lppodamo di Eurifonte nativo di Mileto fu il primo che senza aver mai avuto pratica nei pubblici affari ardì formulare una teoria sul la migliore forma di governo. Egli immagina una città di diecimila cittadini, divisa in tre classi, l'una composta di artigiani l'altra di agricoltori, la terza di armati, difensori della patria: il territorio di essa dovrebbe essere, secondo lui , diviso in tre parti, una consacrata alla divinità, l'altra pubblica, la terza riservata alle proprietà individuali .''< 2 ,,

Ciò premesso, il grande pensatore non può evitare di affrontare l'aspetto difensivo, ribadendo che:

Implicanze filosofiche ed urbanistiche

Da quanto precisato emerge ben delineata l'evidenziata marginalità dell'apporto difensivo della fortifica-

" ... la disposizione delle case private è più gradevole e più funzionale sotto qualsiasi aspetto allorquando è regolare e conforme allo st ile moderno , quello dj lppodamo , ma , per assicurare protezione in tempo di guerra, si deve preferire lo stile contrario, impiegato nei tempi antichi, che rende dif'ficile alle truppe straniere di penetrare nella città, come pure agli assalitori di trovarvi un loro percorso. Pertanto è bene combinare le due maniere ed evitare di

LE FORTIFICAZIONI

assoggettare l' intera c ittà ad un piano regolare , limitandolo soltanto a certi sellori ed a certi quartieri ... "<25>

Significativo che in epoca appena posteriore Filone di Bisanzio<26> , uno dei massimi trattatisti dell'architettura militare, assegni alla fortificazione dei principali ed ifi ci della città un ruolo difensivo complementare , ma affatto marginale contro le aggressioni nemiche. Suggerisce perciò che:

Occidente prima della seconda metà del VT secolo, e si è persino dubitato dell'esistenza di cerchie urbane prima di questa data. Una siffatta fortificazione è perfettamente ricordata dalle fonti per Gela nel VII secolo , ma sembra limitata all'acropoli , e non è stata ritrovata archeologicamente. Le datazioni proposte per Himera e per Casménai non hanno fino ad oggi molto fondamento archeologico.

"

è necessario coronare di merli le case private pros picienti la cerchia [e quelle] siruate ai margini degli s pazi liberi , ed anche quelle lungo le strade principali, dovranno essere munite alla s tessa maniera ... " <21 >

La prescrizione, che non rigetta l'impianto ippodameo, lascia però intuire la definitiva conclusione dell ' inibizione ad espugnare con qualsiasi mezzo le città o, più verosimilmente l'irruzione sul teatro ellenico di 'barbari' interessati a farlo. In Grecia i prodromi della mutazione, consistenti nel non limitare la fortificazione alla sola acropoli , sembrano potersi ascrivere agli inizi del V secolo a.C., con il manifestarsi della minaccia persiana. NeJle colonie, invece, a costante contatto con i 'barbari' sin dalla fondazione, tale adeguamento, alla stessa epoca, risulta già avvenuto. Disgraziatamente, anche in questo caso, non è possibile risalire con ce rtezza oltre il VII secolo a.C. Tuttavia, per molti riscontri, è c redibil e che nelle più a nti che realizzazioni difensive, in particolare nelle colonie della Magna Grecia, non fosse affatto disdegnato un tracciato irregolare ade rente al ciglio delle alture, con le conseguent i tortuosità della trama viaria interna. Soltanto in un secondo momento, maturatosi un contesto ambientale meno precario subentrò l 'imp ianto urbano ortogonale e la murazione lineare, aggiornamento che, nella s tra grande maggioranza dei casi, ha cancellato le originarie fortificazioni. Pertanto: " ... conosciamo pochissimo la tecnica di fortificazione impiegata dai Greci in

La fortificazione in mattoni crudi rinvenuta sulla collina di Policoro potrebbe trattarsi dell'antica Siris è stata datata con notevole attendibilità intorno alla metà del VII secolo, e si è equiparata tale tecnica di costruzione con quella dell'antica Smirne e di Roselle.

Ben diversa è la cerchia in pietra da taglio di Leontini di cui la prima fase limitata all a collina della città (Colle S. Mauro) è stata datata alla prima metà del VII secolo e di cui la seconda fase, che circonda ugualmente la collina orientale (Metapiccola) sarà stata costrui.ta verso il 600... " <28 > . Curiosamente nonostante il concretizzarsi della minaccia persiana, in Grecia l'adozione di cerchie del tipo di quelle ormai canoniche intorno alle città italiote sollevò aspre diatribe, precipue della sua esasperata dialettica democratica. Per Platone rappresentavano una minaccia grav issima all'onore della gioventù che , rintanandosi dietro tali robuste muraglie si sarebbe effemminata, coprendosi di ridicolo. Senza contare che le stesse, e l'accusa considerando la già deprecabile igiene pubblica non appare assurda, avrebbero compromesso ulteriormente la salubrità dell'aria. Di pari avviso anche Senofonte, che però non misconoscendone la necessità, le considerò un rimedio odioso ma legittimo. Intorno alla seconda metà del IV seco lo un giudizio meno ideologico e più pragmatico inizia ad affermarsi , compl ice certamente il precipitare degli event i e la netta percezione dei rischi incombenti Ed è proprio Aristotele a farsene interprete ribadendo che:

" quanti affermano che le città aventi aspirazioni al valore non debbano es sere fortificat e s ostengono una opi-

I NGEGNO E P A URA TR E NTA S ECOLI DI FORTIFI
IONI IN ITAL IA
CAZ

I TALIOTE

nione ben strana, specie constatando che quelle che di ciò si vantano ricevono delle smentite dai fatti. Sicuramente contro un nemico di valore uguale e leggermente superiore per numero, non è bello far dipendere la propria salvezza dalla protezione delle muraglie; ma siccome è parimenti possibile c he, per superio rità numerica, gli aggressori abbiano ragione di difensori valorosi ma scarsi, se è necessario che la città garantisca la propria salvezza senza subire nè danni nè oltraggi, si è costretti a pensare che le fortificazioni capaci di fornire la maggiore protezione siano le migliori dal punto di vista militare, soprattutto ai nostri giorn i quando l'invenzione delle artiglierie e delle macchine d'assedio ha raggiunto tanta precisione

Ritenere gi usto non innalzare delle cerchie intorno alle città corrisponde in pratica ad evitare di ed ific a re muri intorno all e abitazioni private, per paura che i loro proprietari ne rimangano detenuti Vi è un dettaglio che non si deve perdere di vista: quelli che dispongono di cerchie urbiche hanno la possibilità d'utilizzare le loro città in due maniere, sia come città fortificate, sia come città non fortificate, facoltà che manca a quelli che ne sono privi Se c iò è gi usto vuol dire che non so lo bisogna innalzare delle fortificazioni perimetrali urbane, ma anche preoccuparsi di renderle capaci di abbellire le citta stesse .. . " <29 •

Si può pertanto concludere che, tanto sotto il profilo etico che sotto quello estetico, entrambi fortemente sentiti dai Greci , oltrecchè ovviamente militare, la fortificazione urbana più evoluta a partire dal JV secolo guadagnò anche in patria il pieno riconoscimento e la generalizzata adozione, avviando un ulteriore processo evolutivo di cui si avvantaggeranno in breve pure le colonie italiote.

implicitamente evidenziato, non deriva da una autonoma esigenza, costituendo in defintiva la risposta neutralizzativa della simmetrica evoluzione della poliorcetica. Indispensabile, pertanto, per vagliare la prima, approfondire la seco nda.

Nel 546 a.C. il sovrano lidio Creso fu detronizzato , mentre la sua capitale cadeva sotto l'assalto dei Persiani, comandati da Ciro, erede della potenza assira e creatore di un vastissimo regno in minaccio sa espansione. La scomparsa della Lidia, prezioso stato cuscinetto, pose da quel momento , improvvisamente, e per la prima volta nella loro storia, i Greci di fronte ad un nemico bellicoso ed aggressivo, ben determinato al loro assoggettamento. Comprensibile, perciò che nei: " ... duecento anni che seguirono, il pericolo persiano fu il fattore dominante della politica greca... [Come se non bastasse] mentre si veniva svolgendo in oriente il dramma della guerra persiana, i greci di Sicilia si trovarono di fronte una potenza orientale da gran tempo dedita al traffico e al commercio e volta ora a una politica d 'es pansione. I fenici di Cartagine avanzavano a grandi passi nel Mediterraneo occidentale. Dalla loro sede su lla costa di Spagna dominavano la Sardegna, ed erano contemporaneamente alleati dei pirati d'Etruria e strettamente legati alla corte persiana. Non fu dunque un semplice caso che un attacco cartaginese ai greci di Sicilia coincidesse con un ' invasione persia na in Grecia (480 a. C.). L'anno glorioso in oriente per le battaglie delle Termopili e di Salamina vide anche in Sicilia la sconfitta dei cartaginesi sul campo di !mera ... Tuttavia, benchè dopo la vittoria .. la Grecia non doves se più subire alcuna occupazione persiana , e la Sicilia non fosse più incontrastato possesso dei Cartaginesi, non s'ebbe mai più una vera pace ... finchè la Persia non fu conquistata da Alessandro Magno [330 a. C.]" <30>

Evoluzione dellafort(ficazione greca

L'ev oluzione dell'architettura militare, come fin quì

Un secolo e mezzo separa i due grandiosi avvenimenti, e proprio in tale movimentatissimo intervallo si registrano i maggiori perfezionamenti della fortificazione greco-italiota conseguenza, senza dubbio , degli

LE
FORTIFICAZIONI

innumerevoli investimenti ossidionali che costellarono le guerre avviate dai Persiani. Ma in cosa consisteva all'epoca l'investimento ossidionale?

In linea di massima , almeno inizialmente, definiva l'azione di forza mirante a scavalcare, brecciare o comunque violare le mura di una città con una pressione continua, poderosa e prolungata. In realtà, però, per il prevalere della resistenza passiva delle fortificazioni si trasformò, rapidamente, in una procedura complessa di blocco, teso ad isolare rigidamente gli assediati, provocandone così la resa per fame. In altre parole si trattava proprio dell 'a pplicazione sistematica di quel criterio che ripugnava ai Greci nella belligeranza fratricida, ma perfettamente legittimo contro i barbari , od i loro alleati. Allo scopo fu elaborato un particolare tipo di fortificazione, che sarebbe più esatto definire 'controfortificazione', o 'controvallazione', ovvero un'opera campale continua intorno alla citta assediata. Per molti aspetti può ravvisarsi nella controvallazione la otti mi zzazione del già ricordato caposaldo d'assedio, amplificandosene le funzioni destabilizzatrici , quelle di difesa degli assedianti dai contrattacchi degli assediati e quelle di cesura delle comunicazioni.

In pratica tale fortificazione quasi mai ebbe una perimetro chiuso poichè, ritrovandosi molte città impiantate all'estremità di sottili istmi, bastava condurla da una sponda all'altra per conseguire il loro isolamento. Quando, invece , si imponeva anulare correva circoncentrica alle mura urbiche, dalle quali si discostava poco più della gittata delle armi da lancio , individuali o collettive. Negli investimenti maggiori la controvallazione veniva dotata di un fossato volto verso la città, e di un doppio coronamento merlato sulla sommità, precauzione quest'ultima destinata non solo a proteggere gli assedianti dalle immancabili sortite degli assediati, ma anche dai più rari contrattacchi di possibili alleati esterni. In qualche caso lungo il suo perimetro si eressero persino numerose torri, che finivano col rendere la controfortificazione una sorta di

sec onda cerchia, con l'unica ma significativa differenza che l'agge tto d elle torri sporgeva verso interno(3 1 • Trattandosi, come precisato di opere eminentemente campali, e quindi rapidamente deperibili, non disponiamo di precisi riscontri archeologici ma solo di numerose menzioni degli autori classici. E sem pre dagli stess i apprendiamo di contravallazioni conquistate dagli assediati o vanificate da ingegno s i stratagemmi. Nessuna meraviglia , pertanto , che la conclusione di un in vestimento per fame richiedesse , in media , alcuni anni di blocco , impegno destinato a protrarsi ulteriormente quando l'aggressore di una città marittima era una potenza esclusivamente terrestre, incapace, pertanto di recidere i s uoi rifornimenti navli Un s ignificativo esempio del genere, s tando a Tucide<32 > , lo realizzarono gli Ateniesi nel 414 contro Siracusa. In dettaglio:

" ... gli Ateniesi co minciarono un muro a s ud, dal forte circolare fino allo sprone s ulla palude , il quale da questa parte dell'Epipole dà s ul Porto Grande, e s uperando il quale era più breve , dopo la discesa, attravers o il piano e la palude , la c inta fino al porto. T Siracus ani allora, uscendo. ri costruirono anch'essi un a palizzata cominciando dalla città per il mezzo della palude, scava ndoc i anche a fianco una fossa, perchè agli Ateniesi non riuscisse lo sba rramento fino al mare. Gli Ateniesi te rminato il muro fino allo sprone, attaccarono, come prima, la palizzata e la fossa dei Siracusani " <33 > ,

Ben evidente nel brano citato il criterio seguito dagli Ateniesi e le contromosse siracusane per impedirlo. Ma ciò che più stupisce, ed al contempo illumina, è la progres s iva inversione di ruoli che si produsse in quell'investimento mediante un'altra opera di controvallazione, eretta però dai Sircusani dopo un vittorioso contrattacco dei loro alleati, compiuto immediatamente prima dell ' ultimazione del blocco. Sconsolatamente lo stretega ateniese nel suo rapporto in patria così la rievocava:

ING EGNO E P AURA TRE NTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA

" ... Ora dunque, mentre noi, smesso il lavoro di accerchiamento per la superiorità numerica del nemico, restiamo inattivi ( nè infatti potremmo impegnare tutto l'esercito assorbendo il presidio della cinta ma soltanto parte degli opliti), i Siracusani ci hanno tagliata la strada con un muro semplice, sì da toglierci ogni possibilità di bloccarli, se non c'impadroniamo di questo contrafforte, assalendolo con forti truppe. La conclusione è che, mentre cred iamo di assediare gli altri, gli assediati, almeno per parte di terra, siamo piuttosto noi ... " '34 )

Alternativo all'investimento, per molti autori, era la procedura dell 'ass alto, rapida, improvvisa e violentissima. Ma richiedendo un gran numero di circostanze favorevoli concomitanti, dalla scarsa tenuta delle fortificazioni alla deficitaria vigilanza sugli spalti, restò sempre una even ienza occasionale, sporadica e non preventivabile. Forse proprio per tale estemporaneità in essa iniziarono a giocare un ruolo determinante le artiglierie neurobalistiche, provocando un conseguenziale adeguamento delle fortificazioni sia per neutralizzarne le offese sia, soprattutto, per favorirne l 'ista llaz ion e. ln generale, per: " ... valutare l'importanza relativa di queste armi da lancio, bisogna tener conto della loro precisione e della loro portata, ma anche d ella loro abbondanza. Ciò perchè, piuttosto che dei giavellotti, dei quali i magazzini dovevano rapidamente svuotarsi e la cui gittata, al pari della precisione, era relativamente ridotta si faceva senza dubbio un vasto impiego di archi <35 l e di fionde 0 <>> , l a cui gittata massima attingeva i 175 ed i 200 m (ma quella efficace era considerevolmente inferiore). Pertanto ci si guarderà dal ritenere nel lancio di pietre, frequentemente menzionato dai poeti tragici, una semp lice notazione artistica destinata a colorire di reminiscenze arcaiche gli scontri dei loro eroi. Questi proiettili, di cui è tanto ricco il s uolo greco, potevano, soprattutto quando erano scag liati da una posizione dominante, produrre delle ferite mortali ... " <31> .

Quanto alla macchine d ' assedio , in origine eminentemente da urto ed incendiarie, è abbastanza certo che comparvero, o meglio si perfezionarono ulteriormente , durante la guerra del Peloponneso. Si sa pure , sempre dalle fonti, che nel corso dell 'asse dio di Platea nel 429, i difensori, per neutralizzare gli arieti ateniesi, escogitarono un 'efficace contromisura consistente in una pesante trave, sospesa alle due estremità con grandi catene di ferro ad una coppia di mensole infisse nelle mura. Al momento dell'urto, mollate le catene, piombava sul 'collo ' dell'ariete schiantandolo. Sebbene alquanto rudimentale il congegno dimostra la petfetta conoscenza e della macchina e della relativa modalità d'impiego , conferma implicita della sua ben più remota 01igine. Discorso diverso, invece, per un'altra macchina concettualmente riconducibile all'aggregazione di una grossa forgia con un gigantesco cannello ferruminatoio. La si costruiva svuotando longitudinalmente un lungo tronco, ricavandone così una sorta di tubo. Rivestitolo in gran parte con lamine di ferro, vi si sospendeva ad una estremità un braciere. Un becco angolato, sempre di fe rro , fuoriuscente dal tubo penetrava nel braciere in cui ardeva una consistente massa di carbone, zolfo e pece. Avvicinato l'ordigno, tramite un carrello, alla sezione delle mura dove risultavano più abbondanti le strutture lignee, mediante un grosso mantice si insulfava aria compressa nel braciere. Quasi istantaneame nte dallo stesso si sprigionava un violentissimo dardo fiammeggiante capace di appiccare in pochi attimi il fuoco agli elementi presi di mira, mentre la densa coltre di fumo tossico, prodotto dalla combustione dello zolfo e della pece, costrin geva i difensori ad allontanarsene, con immaginabili conseguenze. Sempre in questo scorcio storico vanno collocate le rampe d'assalto, necessarie per accostare le menzionate macchine alle mura, e l e gallerie da mina mediante il c ui c rollo , provocato incendiando i puntelli che ne sorreggevano il soffitto al di sotto della fortificazione, si determinavano improvvi se ed ìrreparibili brecce.

LE FORTIFI

La fortificazione italiota

Nell'Italia meridionale ed insulare, tra l'VIIJ ed il V sec. a.C., le colonie greche si moltiplicarono punteggiando dapprima te rive del mare e poi , gradatamente, spingendosi nelle pianure interne in prossimità dei fiumi , contesti geografici all'epoca entrambi scarsamente o affatto popolati. Il che lascerebbe presumere una insignificante ostilità da parte indigena nei confronti dei nuovi venuti, se non addirittura una completa indifferenza. Ed è estremamente probabile che in diverse località tale fu effettivamente la situazione, almeno inizialmente, magari agevolata persino da scambi commerciali. Ma anche in quelle condizioni ideali ben presto i rapporti fre le due comunità si deteriorarono ed alla tolleranza subentrò la conflittualità. Forse dipese dalla crescente pressione espansiva dei coloni, forse dalla loro ostentata superiorità materiale,

forse dal s istematico accaparramento dei migliori terreni: di cer1o s i innescò una contrapposizione violenta ed irriducibile che finì per esasperare anche i già critici rapporti fra te s tesse colonie. Quanto sc hematizzato trova precisa conferma nella prudenza e circospezione con cui si insediarono le più antiche colonie cercando di trarre partito dalle impervietà naturali.

Pertanto: " ... le piccole iso le litoranee del golfo di Napoli , come già dal II millennio l'arcipelago delle Eolie, permisero uno stanziamento s icuro ed una fase di esplorazione, prima che i Greci occupassero stabilmente la ten-aferma. Anche se gli abitanti indigeni erano da tempo abituati a contatti, pur se sa ltuari, con l'es terno, era chiara, ed evidentemente incuteva prudenza , la netta disproporzione numerica: ma , come se mpre avviene, alla logica dei numeri s i sovrapposero la violenza tecnologica, quella politica, ed il fascino, sottile ed avvelenatore, di una cultura «superiore».

84 Marchi sulle pielre e s ui mattoni di Elea ING EGNO E PA UR/, TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA

A queste favorevoli risorse primarie si aggiungevano quelle sfruttabili dalla tecnologia dell'epoca: cave di. rame, già da tempo note ; vicinanza a quelle etrusche di ferro; probabile sfruttamento di vene d'argento; abbondanza di alberi d 'alto fusto.

Era, dunque , l' Italia meridionale un paradiso per i coloni greci dell'VIII secolo? Sapp iamo di battaglie contro le popolazioni preesistenti, di peregrinazioni alla ricerca di s tanziamenti favorevoli: non tutto deve essere stato facile per gli emigranti ... " (381 •

Inizia da questo s nodo cronologico a fornire, finalmente, un impresc indibil e apporto la documentazione scritta, pur con le intuibili approssimazioni ed inesattezze , in netta antitesi all'esasperante silenzio degli Italici. Ed iniziano pure a dimostrarsi di eccezionale valenza conoscitiva le pem1anenze archeo logiciche delle colonie, in particolare delle loro grandiose fortificazioni perimetrali. Perfettamente leggib ili ed

interpretabili nei criteri informatori e nelle soluzioni tec nico-militari adottate, consentono, alla luce delle fonti , di accertare il contesto storico vigente. E la prima basilare .osse rvazione è relativa al probabile perchè del loro massiccio potenziarsi immediatamente dopo l' iniziale relativa semplicità.

La spiegazione più logica in ogni circostanza analoga, per tutte l'improv viso evolversi delle fortificazioni di confine romane del III secolo d.C. , consiste nel supporre un co ntestuale repentino perfe zio narsi delle procedure oss idionali nemic he. 11 che nel nostro caso s ignificherebbe un bmsco incremento delle capacità poliorcetiche indig ene: ma nemmeno il più insignificante riscontro avvalora tale ipotesi , come, del resto, non se ne scorgerà traccia neppure a carico dei barbari del III s ecolo. É probabile, pertanto, che la causa sia diametralmente opposta. Infatti, per restare al!' esempio, poichè: " .. . le testimonianze a noi giunte

LE FORTIFICAZIONI
[TALIOTE
85 Dettaglio sez ion e mura di Cuma

86 E lea , detta g lio di una torre quadrata

dimostrano che il progresso della tecnologia barbarica di ass edio ebbe un ruolo s olo marginale nel periodo fra il I ed il VI secolo ... que ste spiega zioni 'tattiche ' dei rivoluzionari cambiamenti avvenuti nell ' architettma militare romana sono poco plau s ibili , [al contrario] e sis te invece una chiara interpreta z ione s trategica, che può es sere applicata ... Le basi romane furono trasformate in roccheforti non tanto perchè i barbari ave s sero ormai imparato a demolire dell e semplici mura (cos a che devono essere stati sempre capaci di fare), ma proprio per il fatto che non avevano s viluppato delle notevoli capacità di ass edio ... " 139> !

Probabile, pertanto, che anche le fortificazioni delle colonie grech e si potenziarono perchè gli a ss alti degli indigeni avevano ampiamente mo s trato la loro incapacità ad averne ragione , giu s tificando così gli oneri di strutture più elaborate, massicce e , soprattutto , durature. E' fuor di dubbio , infatti , come più volte accennato,

lo s tato di belligeranza tra Italici ed Ttalio ti, di g ran lun ga più es as perato ed irriducibile, ovviamente, di quello fra colonie , nonchè la rilevante sproporz ione numerica fra le due etnie. Ciò pre me s so , ass odata la press ante es igenza difens iva e la contiguità con il mare , le cerchje delle Magna Grecia sembrano ri s pondere preliminarmente a due precis e condizioni. Innanzitutto alla compatibilità con 1' impianto in pianura , ovvero al s uperamento dello sfruttamento degli apporti tattici delle alture. Secondariamente a11a praticabilità di veloci edificazioni, conseguenza di una razionale suddivi s ione del lavoro, s ia per l ' approvvi ggionamento dei materiali , sia per la pos a in opera, sia, infine, per il criterio di ottimizzazione progress i v a.

Tra le più as s illanti incombenze da s oddisfare allorquando si doveva innalzare una fortificazione perimetrale, quella del reperimento dei materiali era senza

l.NGEGNO E P AURA T RENTA S ECO LI o r fORTIFlCAZION J IN ITALIA

dubbio la più stringente e co ndizionante. Per i mattoni, co me già precisato , la soluzione abitualmente adottata consisteva nell'impastare la terra di risulta dello scavo dei fossati: significativame nte in molte opere s i potrebbe ancora facilmente verificare che le cubature di sbanco co inc idono con quelle murarie Per la pietra, però, la questione s i dimostrò immediatamente di incomparabile difficoltà, tanto più che raramente ubicazione costiera e fonnazioni rocciose coincidevano. Mentre, infatti, le murazi oni poligonali italiche coeve, erette sui rilievi calcarei appenninci, si avvalsero della comoda stratificazione degli stessi per estrarne, senza alcun limite e senza insormontabili difficoltà, i grezzi blocchi necessari, le fotificazioni itali ote furono lontanissi me dal giovarsi di

una equivalente opportunità. Per giunta la precarietà di un insediamento costiero, minacciato al contempo da terra e da mare , e la rilevanza dei perimetri da recingere costrinsero i coloni ad escogitare modalità di estrazione, trasporto ed assemblaggio idonee ad assorbire tutte le forze disponibili , indipendentemente dalle capacità individuali: torme di manovali coordinate da pochissimi tecnici. Occorreva, pertanto, disporre di notevoli quantità di pietre in tempi brevissimi e di facile posa in opera. Senza contare che in mancanza di un saldo cementante la coesione della struttura finita era pur sempre funzione della dimensione delle stesse: pezzature modeste avrebbero prodotto stabilità precarie, sinonimo di muraglie inutili. La mentalità razionale dei Greci , aveva già da tempo individuato l'ottimale so luzione del problema, concettualmente simile a quella dei mattoni, e ad essa s . i rifecero, ovviamente i coloni, elaborandola ulteriormente. In pratica consisteva nel dimensionamento standardizzato dei grandi blocchi di pietra da impiegare nella fortificazione, in particolare del loro spessore e della loro altezza. Si realizzavano in tal modo degli el ementi accuratamente parallelepipedi, quasi dei giganteschi mattoni lapidei, semplici da disporre in corsi regolari a secco con a11ettamenti orizzontali: la loro ingente massa forniva la ricercata saldezza strutturale.

La tecnica muraria, definita 'isodomica'( 4m, per l'identità geometrica dei conci, permetteva non so lo la loro prefabbricazione seriale ma soprattutto la messa in opera continua degli stessi, limitata in definiti va alla sovrapposizione ed all'accostame nto lineare con i precenti, operazioni semplici e rapide, al di là dello sforzo fisico richiesto, peraltro agevolemente superato con ingegnosi paranchi. L'avanzamento dei lavori veniva così a dipendere, tanto in cava, quanto in cant iere dalla manovalanza disponibile. Nessuna eccezionale competenza per squadrare blocchi sempre uguali, nessun peso s up erfluo da trasportare, nessuna anomalia di sagoma, nessuna incertezza di collocazione.

LE FORTIFI CAZIONI ITALIOTE
87 Poseidonia, guida della saracinesca di torre

88 Elea, panoramica

La vistosa contrazione dei tempi di edificazione grazie ali' increm e nto parossis ti co del numero degli operai , dal punto di vista meramente eco nomico l ascia supporre una cospicua pros perità delle colonie già dall'i s tante s tesso dj fondazione, o di quello appena success iv o, dell'ampliamento. Pur ammettendo un ampio ricorso alla mano d ' opera servil e, o coatta, era comunque indi spensabile provvedere al nutrimento di tante bocche in un contesto di assoluta improduttività agricola, senza contare che una rilevante aliquota di co loni doveva vegliare in armi per l'intera durata dei lavori (4 11. Ad ogni buon conto , l'espedien te d e ll a standar-

dizzaz ion e d ei blocchi s i dovette dimo s trare estremamente conveniente poichè fu in seguito coop tato sia dagli Etru sc hi c he dai Romani , e ntrambi già padroni del poligonale più evoluto<42l

In linea di mass ima i blocchi utiliz za ti s i atte s tano s u dimen s ioni oscillanti , mediamente, intorno a m l.50x0.6x0.4 , non di rado co n valori multipli fra loro. N e i casi di estrema difficoltà di reperimento limitrofo di idonee forma z ioni lapidee sufficientemente compatte s i toll erava no pezza ture m inori. Quando , invece, tornava possibile un a scelta fra diverse dure zze di roccia sem bra ricorre nte nelle fortificazio ni più arcaiche la prefere nza per quelle più tenere , quali tufi o trachiti .

Per la ri levanza delle cerchie, in ge nere ampiamente eccedenti l'effettiva esigenza residenziale del momento, è immaginabile la straordinaria complessità dei re lati v i cantieri con una puntigliosa predeterminaz ione non s olo delle dimensioni dei: " componenti, altez z a delle assise, lun ghezza dei blocchi , spessore delle co rtin e e dei muri delle torri , ma anche [del] l a sce lta dei valori ripetitivi per i fianchi significativi quali il diametro p e r le torri rotonde o del lato per quelle quadrate "( 431 • Il che , ovviamente, implicava innan z itutto lavori di estrazione in cava altrettanto grandiosi e complessi, dei quali una pallidiss ima testimonianza indiretta può ravvi sarsi negli sv ariati marchi incisi s u c ia sc un blocco. Loro tramite , in fatt i , s i verificavano gli esatti quantitativi prodotti da]]e s ingo l e squadre di scalpellini, come pure il preciso impiego nelle diverse tratte della muraz ione , evitando ogni co nfu sione (44 >

P oichè la larg hez za dei co nci, per intuibili difficoltà connesse so prattutto con il tra sporto a piè d 'o pera, non potè mai eccedere il metro , risultò su bito evidente che la cortina otte nuta dalla loro sovrapposizione, sostanzialmente sirnile ad un muro di pari s pess ore con un intradosso ed un estradosso , all ' incrementarsi dell'altezza, se bbene staticamen te stabile , non avrebbe in alcun caso fornito resistenze trasversali considerevoli.

lNGEG
NO E PA URA TR ENTA SECO LI Dl F ORT IFI CAZION I 1N ITALlA

Ingenuo perciò supporre che fortificazioni siffatte avrebbero vanificato gli urti degli arieti, anche ammettendo una loro immunità ai terremoti. In breve , pertanto, si raddoppiarono, l asciando tra le due, ad andamento rigidamente parallelo , un ampio intercapedine, oscillante fra i 3 e gli oltre l O m delle cerchie più poderose. Per incrementare la solidità comples~iva si raccordarono le due muraglie con altre trasversali di identica fattura, ri cavandone delle ce llu le quadrilatere, che s i costiparono di scheggioni di pietra, re si dui della sgrezzatura dei conci, e terreno di riporto ricavato

dallo scavo delle fondazioni e dei fossati.

É probabile ancora che per fornire una prima protezione le due cortine non si innalzassero contemporanemente, rinviandosi la seconda a dopo l ' ultimazione della prima.

Al tennine dei lavori la struttura risultante garantiva, al contempo, una straordinaria sa ld ezza ed una incredibile elasticità. I conci, infatti, per l'allettamento orizzontale conservavano una discreta possibilità di scorrere fra loro , scaricando su l retrostante riempimento le sollecitazioni eccessive impresse dalle macch ine ossidionali. Pur confermandosi la deformazione irreversibile, la praticabilità di brecce per impatti consecutivi ne risultava drasticamente neutralizzata, poichè, da un ce1to momento in poi, le te s te degli arieti sarebbero penetrate nell'incoerente riempimento senza alcuna cons eguenza, come un moderno proiettile in un sacchetto di sabb ia. La ragguardevole larghezza della muraglia in tal modo realizzata, d ' altro canto, consentiva altezze cospicue che, non solo frustravano quals iasi tentativo di sc alata , ma permettevano alla difesa piombante esiti letali inediti.

Con il tempo si escogitarono molteplici accorgimenti per incrementare ulteriormente la resistenza di s iffatte cerchie, quali l'ammo r samento sull'i ntrado sso, ad intervalli regolari , di speroni e contrafforti nonchè l'adozione di più elaborate modalità di allettamento dei blocchi. L'opera isodomica, pertanto, si diversificò secondo che i conci fossero disposti di lato , od alternativamente di la to e di testa, od ancora nelle più disparate combinazioni, ferma restando l'altezza dei corsi , dettaglio che valse a conferire ad ogni fortificazione italiota la s ua più precipua ed inconfondibile connotazione.

E sempre con la medesima tecnica sì eressero anche le torri che in numero variabilissimo, ma in genere abbastanza esiguo, sca ndivano ciascuna cerchia. Le si preferì, prevalentemente , di pianta quadrilatera, più facilmente compatibile con conci parallelepipedi, seb-

LE F ORTIFI CAZIONI l TALIOTE
89 Elea , Porta Rosa
I NGEGNO E P AURA TR ENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA i o 50 100m
• l o 10 20m
90 Fortificazio ne a ·denti di sega', Siracusa - caste ll o Euri a lo 9 I Fortifi caz io ne a 'c remagli era', Sirac usa - cas te llo Euri a lo

bene non ne manchino di cilindriche. Le rispettive djmensioni , al contrario degli interassi eccessivamente estesi, specie neJle fortificazioni più antiche, appaiono alquanto modeste, inadeguatezza che , al pari della precedente, va ascritta non certo alla sottovalutazione del fiancheggiamento quanto agli insostenibili costi derivanti dall'elaborata concezione delle stesse. Non dissimili da un autonomo caposaldo, di cui peraltro ostentavano tutte le caratteristiche strutturali e funzionali, poste a cavallo delle cortine ne dominavano il camminamento di ronda sovrastandolo in altezza. In molti casi la loro compartimentazione era spinta al punto di eliminarne ogni accesso indiretto, munendo l'unico ingresso , alle spalle, di un robusto dispositivo di chiusura, a volte persino doppio come quello delle porte urbiche. Sono ancora facilmente osservabili, infatti, nei ruderi di alcune torri le guide di scorrimento delle saracische che in caso di emergenza, con una rapidissima manovra , le isolavano completamente.

Tanto la sommità delle torri, come delle cortine venivano munite di merlature regolari , con un retro s ta nte ampio terrazzo le prime ed un hu-go camminamento di ronda le s econde. Su entrambi si schieravano i difensori, per lo più arcieri s ulle piazze delle toni e soldati , e cittadini , lungo il circuito. A partire dal III secolo a.C. vi saranno postate anche le artiglierie neurobalistiche. efficacissime per il fiancheggiamento. Quasi certamente proprio ali' evvento delle stesse si deve attribuire la copertura spiovente verso l ' esterno che in numerosis s ime fortificazioni fu collocata sulle torri e sull ' intero comminamento di ronda. Lo scopo di tali tettoie non contemplava, ovviamente, la protezione dei difensori dalle intemperie ma dai colpi a traiettoria molto arcuata delle macchine da lancio assedianti <451, tiri destinati ad eliminarli prima di un a s salto. É anche probabile che le stesse tettoie riparassero le artiglierie difensive dalla pioggia che, alterando la tensione delle matasse elastiche , le rendeva rapidamente inutili zzabili.

LE FORTIFI
CAZIO NI ITALIOTE
92 Siracusa , veduta fortificazioni a dente di sega

Sempre al crescente ruolo delle macchine ossidional i va ricondotto l'ampliamento delle strutture antemurali , in particolare dei fossati. Co nsiderando che quasi certamente i prodromi della loro successiva ge nerali zzata diffusione si ebbero nelle città della Sicilia ed in quelle più meridion al i della Magna Grecia è s ignificati vo che propri o in esse 1'adozione dei fossa ti risulti s iste matica e la loro di mensione notevole : così a M égara H y blea così a Taranto<46)

Sebbene di ri sco ntro più sporadico è possibile a ncora cogliere nella fortificazione italiota concezioni interdittive molto più avanzate e so fi sticate, miranti non so lo ad impedire l'accostamento del nemico alle mura ma addirittura il suo avvicinamento alla città. É tale il caso dei caposaldi di s taccati, opere autonome di ragguardevole grandezza, poste a corona sulle alture limitrofe. Si tratta di una so lu zione difensiva talmente avveniristica c he di verrà in Europa prass i corrente soltanto ver s o la fine del XVII secolo<47 > _

Un s ig nificativo esem p io del gene re si attuò ad Elea, nei press i d e ll 'att ual e Ascea, in provincia di Salerno, patria del celebre filosofo. In base a ll e recenti campagne di scavo è accertato c h e il suo: " sistema difensivo s ia stato molto articolato e si sia es teso su un 'area molto ampia. Infatti , lo stesso Napoli, che condusse g li scav i, individuò già anni addietro, sui co lli c he circo ndano la città verso l'inte rno montuoso della regione, fortili z i (dominanti le vie di pe ne trazione) c he so rgevano oltre le opere fortificat e urbane; uno di ta li impianti è stato locali zzato su l co ll e di Mojo della Civitell a .. . "<48 > Non si trattava di un es pediente sporadico nè di un sol itario caposaldo distaccato poi c hè altri: " centri fortificati ... sui co nfini d e l territorio di Elea, sono s tati individuati a Perdifumo, Torric e lli , Castelluccio presso Pisc iotta. «Si tratta di co llin e situate in posizioni strateg iche, press o corsi d 'acqu a o valichi na tu rali di accesso al territorio eleate; si so no in genere rinv en ute tracce di cinte murarie con grossi blo cc hi sq ua drati di arenaria , se nza costruzioni all'interno e situa te in posizioni diffi-

ciii per lo svi luppo di una comu nità stab il e, seg no evidente c he il loro uso doveva essere limitato a momenti di attrito, per ospitare guarnigio ni militari. Fa eccezione solo Moio, do ve si è a nche compiuto un o scavo rego lare; qui, alla prima fase, legata alla sola funz ione militare, seg ue un'occupazione s tab ile con case in muratura che sfruttano i terrazzamenti e le fort ificazioni interne . In base ag li elementi cro no logici finora reperiti... s i può ritener e c h e le fortificazioni furono ere tte tra la fine del V sec e gli inizi del IV, quando minacciosa s i faceva la pression e dei Luc ani, c h e que lli di Elea riuscirono a re s pingere; la cura e lo scrupolo con cu i il terri torio era difeso con quest i veri e propri castelli di confi ne mo strano ch e, oltre alla necessità di tenere il peri co lo lontano da lla ci ttà , che pure era saldamente fortificata, s i se ntiva il bisogno di difendere il territorio in quanto tale " <49 > _

Un'ultima annotazione riguardo ad Elea deve riferirsi nec essaria mente alla sua celebre Porta Rosa, c h e conferma, se non a ltro , la notevole evoluzio ne raggiunta dalle fortificazioni italiote già nel IV secolo, a l punt o da utilizzare con incredib il e maestria persino l 'arco a tutto sesto, con conc i perfettamente cuneiformi, e sovras tante arco di scarico!50> .

Fiancheggiamento e difesa attiva

Dove però l ' architettura difensiva italiot a seg na dec isamente un vis to so sal to di q ualità ris petto alla coeva italica è nella raz io na le s ubordina zion e d el tracciato delle mura alla difesa di fiancheggiamento. Anche in que sto caso si trattò di una scelta obbhgata poichè l' impianto di pianura riduceva co ns idere vo lmente l 'efficacia del tiro piombante, es ponendo per g iunta l'intero perimetro a d una id ent ica p oten zia le press ione o ssi dionale.

In pratica per co nseguire un efficace fiancheggiame nto le soluzioni escog it ate furono molteplici e non

I NGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA

limitate alla semplice interposizione delle torri. Fra le più frequenti l'adozione di perimetri spezzati, meglio definiti a 'cremagliera' o a 'de nti di sega', entrambi caratterizzati da un succedersi ininterrotto di segmenti, ciascuno inferiore alla gittata di un arco, sporgenti sui successivi tramite una risega di pochi metri dotata di feritoie per il tiro radente il loro estradosso . Da un punto di vista funzionale il fiancheggiamento effettuato da un tracciato a 'cremagliera' o a ' denti di sega' risulta persino più efficace di quello di una cerchia turrita, poichè non è inficiato da nessun, sia pur minimo , settore defilato che, invece, in misura variabile è insopprimibile dinanzi alle torri. Non si trattava , in verità, di novità assolute, in quanto siffatte soluzioni difensive ostentavano già all'epoca secoli di anzianità fruitiva.

Cronologicamente:" è in effetti dall'epoca di Filippo di Macedonia che sembra rimontare la comparsa di due tipi di tracciato in grado di consentire artificialmente .. . il fiancheggiamento reciproco delle cortine.

11 primo , quello che s i defini sce a ' denti di sega', fu, stando a Filone di Bi sanzio, inventato da Polyeidos. Teoricame nte , tale espressione non designa se non uno zig-zag i cui denti hanno la forma di triangoli isosceli. Ma, ritrovandosi che questa soluzione era particolarmente raccomandata allorquando il terreno da recingere si caratterizzava per l'irregolarità dei suoi contorni, è poco probabile che nella realtà si siano consegui te pienamente le simmetrie del modello geometrico: tuttavia c iò è osservabile, con o senza l'adozione delle torri e malgrado i molteplici adattamenti ai dettagli del contorno naturale, nella sezione nord della cerchia siracusana, presso la porta dell'Epipole, databile al terzo quarto del IV secolo. .. Benchè abbiano in comune diversi elementi di somig li anza, dal tracciato «a denti di sega» si distinguerà nettamente l ' altro, secondo cui, stando a Filone di Bisanzio, «s i costruirono le co11 in e oblique », e che, per precisione definiamo «a cremagliera», a causa della forte dissimetria dei denti dello zig-zag ... A differenza delle «false» cremagliere ,

prodotte tramite un ampliamento de lla murag lia, e delle cremagliere «naturali » ri s ult a nti da una pura e semplice aderenza alla direttrice del rilievo che paiono entrambe dimostra zioni di una precisa cronologia le «vere» cremagliere se mbrano non essere state impiegate, in forme diverse , se non in epoche relativamente ben determinate: a partire dal regno di Filippo II, quando queste non fanno , come a Filippi o ad Eraclea di Latmos, che sostituirsi, in maniera discontinua ed occasionale, alle torri di fiancheggiamento, s ulle quali , peraltro, la capacità difensiva della cerchia, non cessa, fondamentalmente, di fare affidamento. Più esattamente tra il 340 ed il 260, quando queste vengono a formare serie autonome ed omogene, specialmente sui settori scoscesi... come lun go il fronte meridionale di Preine ... A partire dall 'u ltimo quarto del IV secolo per l'adozione di torri al centro od all'estremità delle cortine , come ad Apollonia di Cirenaica s i realizza un tipo di cremagliere, ancora più ela borato delle precedenti, che si so no potute definire «bastioni ».

É questa cronologia del tracciato «a cremagliera», come la sua distribuzione geografica abbastanza rare nel Peloponneso... più frequenti nella Grecia del nord , molto diffuse nelle città dell ' Asia Minore che consentono secondo R. Ma11in: «d'attribuirne l'invenzione, o almeno il perfezionamento , ai principi della Macedonia ed ai loro successori».

Entramb i i tracciati, comunque, offrono il grande vantaggio d'assicurare con poca spesa il fiancheggiamento reciproco delle cortine (a condizione che fossero di estensione limitata); ma presentano anche l 'inconveniente, via via più grave con il perfezionarsi del1' artiglieria [neurobalistica], di non prestarsi al l 'istallazione delle batterie pesanti: è questa probabilmente la ragione per la quale, ad esempio, il tipo «puro» di tracciato a cremagliera, prima di scomparire verso la metà del III secolo, diede origine, dall'ultimo vente nnio del IV, al tipo «bastionato» più idoneo del precedente alle nuove esigenze della difesa.

L E FORTIFICAZIONI
ITALIOTE

É altresì probabile che, proprio da quest'epoca, si comincino a sperimentare, volta per volta, gli altri disegni (a «semicerchi», a «mean dri», a «tracc iato doppio» descritti da Filone di Bisanzio alla fine del III secolo ... " ' 51 '

Va osservato che fra i motivi che non favorirono il diffondersi del tracciato spezzato, oltre alla inidoneità all'istallazione delle artiglierie , ne sussistevano di ulteriori forse anche più gravi. Tra questi, in particolare, quello della unidirezionalità del tiro di fiancheggiamento. Ogni segmento, infatti, poteva essere battuto lateralmente da una singola direzione, deficienza che non solo impediva il tiro incrociato, ma rendeva troppo precaria la difesa stessa, bastando tacitare quell'unica postazione per annientare la difesa di un 'intera tratta di cortina. Ed ancora il non poter disporre di piattaforme sovrastanti il circuito murario , analoghe cioè alle piazze delle torri, impediva il dominio dello stesso, fondamentale per respingere gli scavalcamenti nemici.

Quanto all' elaborazioni alternative di fiancheggiamento proposte da Filone di Bisanzio , di una almeno, di tali sofisticate ipotesi progettuali, quella della cortina a 'semicerchi' o più propriamente a ' mesopirgi ', avremo occasione, nel prossimo capitolo, di esaminarne un rarissimo esempio pervenutoci per adozione romana. In conclusione, comunque, è lecito affermare che tutte queste soluzioni tendevano a contenere i costi delle fortificazioni perimetrali eliminando le torri , senza 1inunciare completamente alla loro funzione. Di certo il fiancheggiamento costituì una esigenza imperativa della fortificazione italiota, una coerente scelta di razionalizzazione difensiva, indispensabile in nuclei che potevano contare esclusivamente sulle proprie forze contro nemici preponderanti ed irriducibili, per i quali solo la letalità della reazione fungeva da deterrente. Ma come si giunse ad individuare in tale metodica il più efficace apporto difensivo di una cerchia?

In realtà, proprio negli assalti ossidionali condotti da torme di aggressori fu presto evidente che il rispetto imposto da una fortificazione dipendeva, più anco-

ra che dallo spessore e dall 'al tezza dell e mura, dal1' intensità dei dardi da esse scagliati. Ma richiese una più accorta e ponderata riflessione ottimizzarne il tiro ed esaltarne gli effetti. In particolare la vulnerabilità nemica sa rebbe risultata tanto superiore quanto meno conseguente all'abilità dei tiratori '52>. In maniera più esplicita, se ogni freccia scoccata, dopo attenta mira, aveva discrete probabilità di colpire un preciso attaccante, l'esito della dife sa sarebbe stato infinitamente più favorevole se comunque ogni dardo , a presc indere dall'accuratezza della mira e dalla bravura dell 'arciere, avesse colpito qualcuno ne 11a massa degli attaccanti. Il risultato complessivo, in tal caso, avrebbe beneficiato di tempi di punteria enormemente minori e, quindi , di cadenze e centraggi incomparabilmente maggiori.

A prima vista l'idea di poter aumentare i centri tirando a casaccio sembrerebbe un paradosso , ma fu proprio quell'apparentemente assurda intuizione ad incrementare l'adozione del fiancheggiamento, vuoi tramite le torri vuoi tramite il tracciato spezzato, ed a regolarizzarne la sca nsione.

É noto che sotto il profilo antropometrico il corpo umano può , in prima approssimazione, equipararsi ad un parallepipedo le cui facce laterali più ampie so no il torace e le s palle , mentre le restanti due , i fianchi, risultano molto più s trette . Tradotto in termini balistici, significa che la massima esposjzione di un soldato è il torace, non a caso protetto dalla corazza, e, non a caso, protetto oggi dai giubbotti antiproiettile. Ne discende che tirare ai fianchi non costituisce una scelta sensata, senza contare che correndo o camminando , il corpo esce continuamente, e rapidamente, dalla linea di mira. Il ragionamento , però, è ineccepibile soltanto quando riferito ad un unico individuo , osservandosi per intere schiere e sattamente l 'o pposto. Se molti soldati, infatti, avanzano a breve intervallo, su file più o meno regolari , tirando a casaccio, da una delle estremità di tali file cioè ai loro fianchi

INGEGNO E PA U RA TRENTA SEC OLI DI FORTIFICAZ ION I IN ITALIA

parallelamente al terreno e ad un'altezza inferiore ad un paio di metri (tiro radente) le probabilità di colpirne almeno uno, sono enormemente maggiori che tirando frontalmente dall'alto ad un singolo (tiro ficcante) proprio per la ridondanza di bersagli equivalenti lungo l ' intera traiettoria della freccia. La procedura, in termini militari, è definita 'sfruttamento dell'errore battuto ', poichè il proiettile, pur mancando il primo potenziale bersaglio, non esaurisce la sua letalità affondando inerte nel terreno, ma, proseguendo la corsa, è in grado, per un centinaio di metri ancora, di abbattere chiunque l'intersechi casualmente. Ora, assodato che l'assalto alle mura avveniva con un accostamento in massa al loro piede, sarebbe bastato far sporgere dalla faccia esterna delle cortine alcune torri, o alcuni seg menti murari, dalla cui base, protetti dalle strette feritoie, si facessero sae ttare, in rapida successione, fasci di dardi radenti alle mura, e diretti ai fianchi degli attaccanti , per infliggere terribili perdite.

Da allora, mentre nel linguaggio comune 'mostrare il fianco' diveniva premessa di annientamento, l'adozione delle torri, o dei similari dispositivi menzionati, si confermò indispensabile, a patto che il loro interasse non eccedesse la gittata degli archi, quindi delle balestre e successivamente delle artiglierie, elastiche prima ed a polvere poi. Considerando che nel nostro contesto storico il loro tiro efficace raggiungeva la cinquantina di metri, ne conseguiva che la scansione delle torri lungo le cortine, o la lunghezza dei segmenti delle 'c remagliere' e 'dei denti di sega', per fornire le menzionate prestazioni, non dovesse superare tale limite. Secoli dopo Vitruvio, riferendosi esclusivamente alle torri, le sole ormai destinate al fiancheggiamento, ne avrebbe ribadito ancora quel valore. Così la sua precisa prescrizione, nella traduzione di Marco Fabio Calvo destinata a Raffaello:

" ... Anchora le torre se debbano fare spo rge re in fora, aciochè quando lo inimico vorà fare impeto verso le mura

et apropinquarvisi, dalla to1Te, e da man dritta e dalla si nistra ha ve ndo scoperti li lati , con le saette et altre armi possa esser ferito ... Lo interva llo delle torre è da fare così, che le torre non s ien o più lontane l'una da l'altra c he una missione over trar di saetta "•~ 1>

Cronologicamente l'adozione del fiancheggiamento pu ò individuarsi a partire dalle cerchie coloniali più arcaiche in cui non appare nè di basilare importanza nè imprensci ndibile, riservato perciò ai soli settori critici, quali le porte e gli sp igoli. Le torri generalmente risultano a corpo pieno fino al camminamento di ronda, so lu zione costruttiva di gran lunga più facile ed economica. Ben evidente, con il trascorrere dei secoli, il loro irreversibile incrementarsi di numero, esplicita conferma della già pienamente accertata validità difen s iva ed, al contempo , della prosperità delle rispettive città. Si spiega così perchè , a partire, dal III secolo compaiano sign ifica tive innovazioni a carico delle torri, non in contrasto però con il tradizionale impiego. In particolare: "... l'autonomia architettonica delle opere di fiancheggiamento può ormai conseguirsi in una inedita maniera: non più sol tanto congiungendole al tracciato delle mura, ma concependole come insiemi autonomi, dai cui fianchi venivano battute le contigue cortine. Come pure adottandosi planimetrie diversificate ed originali: sia a forma di ferro di cavallo ... espediente che permette di ovviare alla debolezza del tiro di quelle semicircolari e circolari, s ia a forma di pentagono ... di esagono ... soluzione che a confronto con le torri quadrilatere , permetteva ad un tempo di in c rementare la resistenza degli spigoli esterni ai colpi nemici e di ridurre l 'am piezza del triangolo defilato ad esse antistante, se nza dover ricorrere a tracciati curvilinei che nuocevano al concentramento del tiro su di un punto strategico.

Ma le torri dell'avvento del periodo e lleni stico iniziano anche a tradire le nuove preoccupazioni determinate dalle minacce dei tiri piombanti che potevano scagliare gli assalitori dall 'alto delle torri d 'assedio o

LE FORTIFICAZlO
NI ITALIOTE

per mezzo di c atapul te, c ome pure per la messa in b a tteria sulle s tesse in fun zione difensiva, delle più pesanti artigli e ri e [neuro bali st iche].

Infatti, per co ntinu are a conse ntire a ll e torri de ll e cerc hie di svo lgere la loro fun zio ne tradizionale, c he co nsis teva ne l po rre g li assediati in p os iz ion e do minante rispetto agli assedianti , era norm a le c he s i ricercass e di in c re mentarn e l'alt ezza, nella mi sura almeno c he no n ne venisse co mprom essa la so lidità .. . M a è piuttosto l' impianto di tetti a tego le s ulle pittaforme so mmitali c he ci co nse nte di va lu tare l'aggravarsi de lla press ion e ne mi ca, alla quale no n s i potè, o non si volle, so ttrar si incrementando sempli cement e l'altezza delle to rri

I più g ross i pe zz i d'artiglieria erano inoltre trop po pesanti e trop po ingombranti perchè si potessero i ntrodurre n on importa in quale tipo di torre e no n importa in qual e e poca ; il ca mpo di tiro che occorreva al loro brandeggio se si vo levano co n segu ire i mi gli ori rendimenti, era ugual me nt e di ve rso da que ll o delle tradi z iona li armi da lancio. Da qui la necessità di concepire deg li inn ovativi modelli di o pe re di fiancheggiamento , i nteramente o parzialmente de s tinati all'artiglieria ... Ma occorre rib ad ire che, quando abbiamo a c he fare, caso più frequ e nte , con torri «di me dia grandezza» (aventi, pe r dire , 8 m c irca di lato o di diametro) , no n es is te per il mom ento a lcun argomento, o ltre alla pura ve ri s imiglianza, p e r es prim e rs i s ull a loro destin az io ne ... " <54>

to de ll e mura ri s ulta per lo più indipendente dalle compartiture de ll a maglia in terna s trad a le, radiale , ortogon a le, segme ntata c he s ia. Nato esclus i vame nte d al la es ige nza fun z io na le della di fesa e dalle necessi tà di sfruttare ai s uo i fini ogni ri sorsa del terren o, il muro corona di sol ito le lin ee di costa più a lte e tutt 'al più s i p rol un ga ad accaparrare le posizioni dominanti più vicine tanto pe r utili zza rle , quanto per so ttrarle a l nemico, an c he se nza c he l' ampi ezza del tes s uto urb ano che si svi luppa, si collega e si appoggia alla fortificazione dell'A c ropoli, lo richi eda. Raram e nte... le mu ra urbiche c irco ndav ano l'Acropo li . Le cara tt e ri s tiche tattic he delle Acropoli so no d i 'c arattere esterno'. Esse funzionano co me funzionerà il dongionc o la ci ttad e ll a nei periodi me di eva li ...

Sintesi conclusiva

D a quanto s in o ad ora es posto si può ricavare una se rie di co nnotazioni precipu e della fortificazione greca e d italiota, così articol ate:

" 1 - Ta nto s e s i tratta di un a dattamen to progress ivo ad un nucl eo prees is te nt e come c apita spesso quanto se s i tratta di un impi anto urbani stico ex-novo, il trac c ia-

2 - Gli svil uppi planimetric i eccezio nali di taluni di que s ti trac c iati perimetrali difesi no n debbon o però far pres umere la es is tenza di nuclei abitati compless i, accentrati e s traripanti. Il più de ll e volte infatti la es ig ua c ittadin a nza non poteva nem me no forn ire i tre turni di di fe n sor i c he in s tato d'assedio vengo no no rma lm e nte di st ribuiti: a) s ull e mur a; b) a bi vacco per rinforzo; c) a riposo pe r recupero e ne rgie. P o ic hè però per ragioni tattiche la c in ta dilatata non poteva ve nire sacrificata, s i usava diaframmarla ult eriormente con mura di ripartizione interne (diateic hi s ma ). A l momento s i sg ombrava un ' an sa o 'e rni a' e s i con traevano e s i se rravano le fil e, neg li sv iluppi de ll a dife sa così r accorcia ta Bisogna ril eva re c h e fo rtifi care in mi s ur a giusta una c ittà è sempre s tata impre sa diffi c ile, s pecie ... [quand o] i ce ntri abitati so no molto picco li e lontani tra loro, s icchè in co nd izio ni di eme rge nza la città fortificata ospita molti a bitanti de l co ntado , s fruttando in ca mbi o le risorse e le braccia in reg im e dilatato di sovraffollam e nt o

3 - Meno freq uente è la di s pos i zio ne murata ottenuta da ll e pare ti d e ll e case pri va te co nti g ue se rrate in

- - - - - -' I NGEGNO E
TR ENTA
DI FORTlFICAZIONI I N ITALIA
PAURA
SECOLI

ITALIOTE

schiera, l'una contro l'altra a volte verso l'esterno che Platone consig li ava per la sua città ideale ...

4 - Salvo che nelle vicinanze delle porte, le torri sono distanziate molto maggiormente di quanto non risulterà in seguito negli esempi romani. Si vuol ricono scere in questo fatto una co ncentrazione conseguente la penuria degli effettivi disponibili ... Si noti pure l'espediente ingegnoso e abbastanza com un e delle mura a dente di sega che permettono il tiro di fiancheggiamento della cortina senza bisogno delle torri e che rinforza con la resistenza trasversale dei salienti la co mpagine totale del manufatto ...

5 - Dette resistenze trasversali erano tanto più utili in quanto non tutte le c inte poterono usufruire delle buone cave di pietre...

6 - La morfologia e l'apparenza esterna delle mura deriva ovviame nte dalle risorse lapidee di vicine cave locali dalla facilità della la voraz io ne manuale, dalla premura e dalla disponibilità e dalle consuetudini tecniche delle maestranze imp egnate... Si noti che lo strato regolare come capiterà nella casistica quasi coeva e tru sca e poi in quella più tarda romana - permette lavorazioni in certo senso organizzate e s u larga scala ... decisa l'altezza del corso, la durata del lavoro risultava prevedibile all'incirca in funzione della manodopera disponibile... Più facili, in funzione anti-ariete, risultano in questo caso le immorsature trasversali di co ll egamento che, nell'altro caso, o non si realiz zano o domandano ausilio di costose za nch e e arpioni metalicci. Spesso il paramento esterno delle mura viene arricchito co n materiali duri e paramenti a bugna grossa, anche di accuratissima fattura Nè risultano assenti qua e là anche finezze di ricerche e raffinatezze cromatiche "l55 > _

mmeremo alcune realizzazioni emblematiche. Va al riguardo osservato che gli esempi abbondano, ammontando le città della Magna Grecia, finora identificate archeologicamente, a molte centinaia.

Tra esse, tuttavia, poche tradiscono il diffidente avvio della colo ni zzazione, come Cuma. Poche , divennero talmente importanti da non essere mai più abbandonate, come ad esempio Napoli. Poche , invece , per il progressivo alterarsi dell 'am biente finirono completamente , e mestamente spopolate, tramandandoci così, come a Pos eidonia , sostanzialmente integro l' intero perimetro murario con alquante torri. Poche , ancora, ebbero fortificazioni così avanzate da meritarsi una notorietà storica per la complessità dei relativi assedi , come Siracusa con il suo Castello Eurialo.

Ognuna delle menzionate contribuì, però, alla formazione dei concetti difensivi innanzi s intetizzati, obbligandoci ad una breve scheda descrittiva.

Fra gli antesignani scali micenei , tra s formatisi poi in colonie, spicca Cuma, una sorta di testa di ponte su lla terraferma, dopo la fondazione di Pithecusai su Ischia. É intuibile che per una talassocrazia, da un punto di vista meramente difensivo, un insediamento isolano offrisse maggiore sicurezza ed inviolabilità di uno cont inental e, specialmente in un contesto limitrofo ignoto e, non a torto, supposto ostile. E proprio il leggero sfasamento cronologico tra la fondazione di Pithecusai 761 a.C. e quella di Cuma 756 sembra confermare un più ponderato accertamento delle potenzialità difensive del secondo sito, previa una sommaria fortificazione.

La morfologia, infatti, del: " ... luogo scelto dagli Euboici per la fondazione di Cuma appare tipico per le colonie di terraferma: su una collina isolata e ben Esposta nei termini generali l a fortificazione greca e distinta dalla circostante pianura si pone l'abitato; ai quella, ad essa in timamente connessa, italiota, ne esa- piedi di questo è l'insenatura del porto . La somm ità

LE FORTIFICAZIONI
CUMA

della collina era frequentata durante l'età del Ferro e forse fin dal periodo del Bronzo Fjnale (Xl-X secolo) ... " (56 i Tuttavia iJ: " ... materiale più antico della città greca finora rinvenuto non risale però oltre l'ultimo venticinquennio dell ' VIII seco lo a.C. La colonia greca fu preceduta sull'ac ropoli da un villaggio indi geno, del quale è stata anche scavata, ai piedi della collina, larga parte della necropoli

Delle fortificazioni conosciamo con sufficie nte preci sione il tracciato ... Il sito .. . presentava già alcune difese naturali, che condizionarono l'andamento della cinta muraria. Le mura della città, partendo da quelle dell'acropoli sfrnttavano a s ud-ovest il ciglio di una sella tufacea che discende piuttosto ripidamente verso il mare dominando il litorale: a sud s i sv iluppano sulla sommità di un pendio, non molto accentuato so prattutto nella parte centrale, che degrada dolcemente verso il lago Fusaro. Il lato est della cinta correva sulla sommità della collina, piuttosto elevata (rn. 100 circa) e stretta,

TNG
EGNO E PAURA TRE NTA SECOLI DI FORTTFICAZIONI lN ITALIA
93 Cuma, panoramica deUa costa v ista dall'acropoli 94 Cuma , planimetria
L E FORTIFI CAZ ION I ITALIOTE 96
Cuma, sc orcio de ll e mura

del monte Grillo, che poi fu tagliata al centro in età romana. A nord-ovest la cinta muraria si avvantaggia della presenza, a breve distanza, dello sc hermo costituito dal prosciugato lago di Licola, c h e probabi lm ente esisteva già nell ' antichità. I settori maggionnente esposti perchè meno difesi naturalment e erano dunque il lato nord-est, da dove uscivano la via litoranea e quella per Capua e che fu dunque quello attaccato dagli Etruschi nel 524 a.C. e da Annibale durante la seconda guerra punica, e il lato sud: questì sono dunque i punti dove è lecito attendersi difese maggionnente articolate. Che la cinta muraria cumana fosse, a lm eno a ll a fine del III seco lo a.C., potentemente munita di t01Ti, è testimoniato da Livio a proposito di un prodigio del 2 12 a.C. Le mura della città si staccavano da quelle dell'acropoli immediatamente ad ovest della porta sud della rocca, e dovevano correre s ull a so mmità della sella .. . nulla è attualmente visib il e del tratto al di sopra della cosiddet-

ta grotta della Sibilla... a causa dei crolli e delle trasformazioni romane ... Per quanto riguarda la c ollina dell'acropoli, protetta da una doppia cerchia di mura anche verso l a città bassa. resti notevoli del circuito erano affiorati all'epoca del Gabrici sui lati sud, nord e es l della rocca .. . si trattava di brevi settori ... " (571 •

Anche la fo1tificazione di Cuma rispecchia la tipica tecnica edificatoria greco-italiota. In particolare: " il muro, in blocchi sq uadrati di tufo, era a doppia cortina, co n la faccia vista a scarpata e tutto l ' elevato in ortostati. Nella parte occiden tale del lato S ad una cortina dello stesso tipo, ma con caratte ri più rece nti , s i è aggiunta una più es terna, in assise piane, come in alcuni sett01i delle mura di Neapolis ... Porte esistevano evidentemente a S ... Non sappiamo quando l'acropoli ebbe una cinta propria Indubbio carattere di fortificazione ha ... un muraglione in blocchi di tufo uniti seco nd o il sistema a ch iave, spesso m. 1.60, con speroni che si addentrano nella scarpata.. . " <58'

ING EGN O E PA U RA TR ENTA S ECOLI DI FORTIFI C A Z IONI I N ITAU A
97 Cuma, score i o delle mura
L E fORTIFICAZIONT ITALIOTE
98 Cuma. imbocco antro de ll a Sibil la 99 Cuma, antro della Sibilla

Sempre in merito all ' acropoli un breve ragguaglio di Dionigi di Alicarnasso confermerebbe la sua autonoma recinzione: " ... almeno al momento della presa del potere da parte del tiranno Aristodemo, nella seconda metà del VI secolo a.C. ... La fortificazione tardo-antica rese la collina dell'acropoli ... quasi imprendibile. La rocca cumana ebbe infatti un ruolo assai importante durante la guerra greco-gotica'5 9 > _ Al momento dell'inizio del conflitto essa era l'unica piazzaforte della Campania costiera insieme con Napoli ... La vita sull'acropoli, che si spopolò gradatamente dopo tale periodo, si spense nel 1207, quando venne distrutta l'ultima fortificazione rimasta, una munita torre (quella che fiancheggia la porta sud dell'acropoli) ... " l61Jl

Dove, però , la fortificazione cumana appare più originale, ed al contempo più suggestiva e ricca di reminiscenze, è nel cosiddetto 'antro della Sibilla', singolare opera militare avanzata. Consta di una: " ... galleria lunga m. 142,5 larga m. 2,40, alta m. 4,5 , [che] sbocca in un grande ambiente rettangolare , scavato anch'esso nel tufo, con tre nicchioni a intervalli piuttosto regolari verso W, dal lato mare, brevi gallerie laterali di taglio identico, delle quali tre cieche. Delle altre, tutte erano originariamente degli accessi. Da Est, invece, verso il monte, a metà circa dell'intera lunghezza , si aprono tre bracci minori di galleria, di taglio identico, disposti a croce, nei quali, dopo averne abbassato il piano rispetto a quello della galleria principale, vennero adattate in età romana tre cisterne con scalette di discesa, utilizzate probabilmente a questo scopo fino ad epoca piuttosto avanzata La conformazione dell'antro ... spinse il Maiuri a ... [notarne] alcune affinità con opere militari micenee, in particolare con le cosiddette «casamatte>> di Tirinto) ... 11 confronto [invece] che viene subito alla mente è con una delle gallerie del castello Eurialo di Siracusa ... Un passo di [Filone di Bisanzio] ne fa meglio comprendere il complesso sistema:<<bisogna predisporre sicure vie parallele e perpendicolari alla fortificazione affinchè i nemici,

dopo aver sistemato i loro petroboli sul bordo del fossato, non utilizzino questo come trinceramento ... » . Inoltre Filone prescrive di collocare macchine da guerra, che dovevano essere ben protette e facilmente accessibili, dietro le difese avanzate, ai piedi della muraglia principale , cosa che permetteva un aumento considerevole della capacità di «fuoco » e della gittata. Polibio descrive le difese avanzate di Siringe nell'Ircania, dove furiosi combattimenti si svolgevano «non soltanto all'aperto, ma anche nei cunicoli sotterranei» ... ". In conclusione , la: " ... galleria a taglio trapezoidale trova facilmente la sua spiegazione come opera militare connessa alla difesa 'attiva' e avanzata di un punto particolarmente importante e delicato della fortificazione cumana, in corrispondenza del collegamento fra il circuito murario dell'acropoli e quello della città, a difesa, forse, di una delle porte , che dovevano aprirsi verso il litorale e l'approdo più prossimo. Le numerose aperture laterali munite di porte, alcune delle quali mai realizzate, servivano ad effettuare rapide sortite e altrettanto rapidi ripiegamenti al piede della muraglia e per disimpegnare le difese avanzate, in un ' epoca che vede un particolare sviluppo delle macchine da guerra ... " (621

Un'ultima osservazione sulle fortificazioni cumane è relativa ai resti di quella che motivatamente sembra una torre, posta a difesa del fianco orientale della porta. A pianta rettangolare, di circa 14 m. per lato, in aggetto rispetto alla cortina per quasi l O m., fu edificata in opera cementizia rive s tita con grandi blocchi di trachite. Conserva nella parte inferiore, non stravolta dai rifacimentj medievali , alcune strettissime feritoie.

NAPOLI

Mentre tra le fondazioni delle prime due colonie cumane intercorsero appena cinque anni, per la terza Partenope, da cui si originerà poi Neapolis, l'interval-

INGEGNO
CA Z IONI f N l TA LIA
E PA URA TRENTA S ECOLI DI FORTIFI

ITALIOT E

lo risulta sensibilmente più lungo, oltre settata anni. La modalità d'insediamento, tuttavia, si conferma canonica: un primo nucleo stanziato in posizione dominante, su di un imp ervio promontorio proteso nel mare. Canonica anche la connotazione costiera alla sua base: due in se nature s imm etriche e la foce di un corso d'acqua negli immediati paraggi.

Pur riuscendo facilmente comprensibile il disegno strategico di occupazione progressiva dell'intero golfo cui obbediva la nuova colonia, il suo prudentissimo attuarsi per gradi lascia supporre preesistenti e radicati interessi geopolitici. Del resto, dopo quella prima

iniziativa, le resistenze e le ostilità contro i coloni si protrassero, per quasi due secoli e so ltanto la loro piena affermaz ion e militare valse a dissolverle.

Significativo al riguardo che mentre il villaggio di Partenope sulla sommità di Pizzofalcone è attribuito al 680 l'impianto della 'città nuova', Neapolis, non oltrepassa il 474, ovvero immediatamente dopo la grave disfatta inflitta dalle squadre cumana e siracusana alla flotta etrusca in quelle stesse acque. Per gli Etruschi non si trattò di un nefasto episodio ma di un ennesimo disastro bellico, ulteriore tappa della loro completa estraneazione dalla Campania. I Cumani, infatti, li avevano già: " ... sconfitti in una battaglia terrestre nel 524 a.e., e di nuovo, nel 506 a.C. ad Aricia e nel 474 in una battaglia navale davanti a Cuma, battaglia che stroncò il potere marittimo etru sco. La loro influenza in Campania e nel Lazio decadde così molto rapidamente " <63 >

Ovvio, quindi, che dissoltasi tale temibile minaccia nulla più si oppose alle mire cumane: Partenope fu vistosamente ampliata e ad essa s i affiancò una nuova città, appunto Neapolis. É interessante ricordare che almeno fin quasi alla conclusione del IV seco lo , entrambe coesistevano perfettamente distinte e separate, tanto che nel 327, nel corso d ella guerra con Roma il console Publiolo si accampò nell'area interposta. Essendo Napoli il tangibile riscontro di un'affermazione militare oste ntò dall'origine un cospicuo apparato difensivo senza dubbio eccedente le sue coeve esigenze. Di certo Neapolis: " ... nacque come una città relativamente piccola. Il colle su l qual e essa sorgeva era stato circondato con opere di fortificazioni, rinforzando le difese naturali, delimitando così un 'area già naturalmente definita, entro il perimetro della quale doveva potersi assicurare una v ita autonoma ed autosufficiente " <64i

La cerchia eretta in aderenza al ciglio tattico del modestissimo rilievo costiero , accentuando e d integrando le scarse difese naturali non teneva in alcun conto,

LE
FORTIFICAZIONI
100 Napoli, rest i su l monte Echia

IOJ Planimetria della Napoli greca

come di prammatica, del tessuto w-bano di gran lunga inferiore, finendo perciò per includere anche su perfici disabitate. La città del V secolo, perciò: " occupava solamente la parte nord-occidentale (attualmente S. Aniello a Caponapoli piazza S. Gaetano) dell'ampia area recinta dalle mura. Nella seconda metà del V sec poi, per influenza ateniese con il conseguente svi luppo dell'economia napoletana , la città ampliandosi ebbe il tracciato ortogonale (tuttora presente) che fu protetto da mura non costituenti però una vera cinta difensiva. Infatti , solo dalla metà del I V sec. a.C. le nuove murn divennero un efficiente sistema fortificato, segue ndo il precedente tracciato per la maggior parte del perimetro difensivo " <651

• In ogni caso Neapolis: " al s uo sorgere , lnon] lascerebbe intravedere caratteri molto dissimili da quelli che aveva Partenope: s i tratterà sempre, al

princ1p10 di una città non molto grande, ben difesa , collegata al porto e capace di una vita autonoma nei confronti del retroterra ... "<Ml.

Lo st rin gen te bisogno di sicurezza di quel nuovo insediamento traspare pienamente dalla sua approssimata fortificazione perimetrale. Le mura infatti: " non hanno un carattere omogeneo e continuo: costruite per potenziare le difese naturali , si pongono a seconda delle particolari esigenze del terreno; tendenzialmente abbiamo un duplice aspetto, quello datoci dalle mura poste in cresta al colle o in un avvalJamento e l'altro datoci dai grossi muri di terrazzamento che, addossati agli strapiombi, ne accentuano i valori difensivi. La pietra impiegata è un tufo granuloso molto friabile, di facile lavorazione In alcuni casi è a doppia cortina con speroni tra sve r sa li di collegamento , con blocchi posti a coltello e con un riempimento. tra cortina e cortina, costituito da resti tufacei di lavorazione, pietrame e terra ... " <67)

Il tracciato della fortificazione più arcaica , per quanto desumibile, s i snodava lungo l'attuale via Foria, piazza S. Domenico , via Mez zoca nnon e, corso Umberto, S. Agostino alla Zecca, via Soprammuro, piazza Tribunali, via S. Sofia, piazza SS. Apostoli per chiudersi nuovamente in via Foria. Dell 'orig inale muraglia restano alquanti lacerti, il più consistente dei quali è osservabile presso il moderno edificio costruito a ridosso dell ' Ospedale degli Incurabili. Un altro, nei pressi di S. Domenico Maggiore , sebbe ne di minore entità, appare più complesso tramandandoci non so lo segme nti di cortina isodomica ma anche ruderi di torri, con le relative scal e, probabili componenti di una porta.

I n breve però le fortificazioni del V secolo si dimostraro no se non in s ufficienti di sicuro non più affidabili, essendosi nel frattempo rivoluzionato per l'avvento delle macchine l 'i nvest imento ossidionale. Ne conseguì una profonda 1iqualificazione della cerchia, con la

IIIO& ------
ING
SECOLI DI FORTIFIC AZION I IN ITA UA
EGNO E PA URA TR ENTA
L E FORT IFI CAZ IO NI I TALIOTE
111
I
102 Resti delle mura grec he di Napoli I03 Re sti delle mura greche di Napo Ii
IN GEGNO E PA URA TRENTA S ECOU DI FORTIFICAZIONI LN ITALIA
104 Resti delle mura greche di Napol i 105 Resti de ll e m u ra greche di Napo l i

rifondazione di ampie tratte e la sostituzione dì molte altre con muraglie di più moderna concezione e di più stabile saldezza, conseguite: " ... impiegando un tufo più compatto e resistente in un'opera isodoma che allineava conci posti di testa e di taglio e che conferiva maggior compattezza alle strutture... " <<>8)

Più in dettaglio, circa la trama muraria: " le fortificazioni di Napoli sono un modello della perfezione raggiunta dalle scuole greche nel lavorare i materiali da costruzione, quando non ancora si adoperava il cemento. r blocchi con tutte le piccole differenze si possono ricondmTe ad unica misura di larghezza e di spessore. La larghezza varia dai 78 agli 82 cm, lo spessore si mantiene tra i cm 40 e 42. La isodomia dei filari risulta qundi di due varietà secondo che i massi erano disposti a coltello o adagiati sulle facce maggiori; nella prima posizione si aveva il filare alto da 78 a 82 cm, nella seconda da 40 a 42. La lunghezza dei parallelepipedi variava con maggiore libertà [con] massi lunghi fino a due met1i ... La concatenazione dei massi , indispen sabile per ottenere la solidità della struttura fu osservata in sommo grado " <69 >

Quanto al perimetro della nuova murazione va rilevato che in linea di massima: " ... non si discostò, se non limitatamente per particolari esigenze, dal I' andamento delle primitive mura condizionate, anch'esse dalla natura del terreno; non vi fu, infatti, necessità di cambiamenti ma solo quella di potenziare il valore difensivo ... " 17 0) In pratica tale incremento fu ottenuto per lo più maggiorando lo spessore della cerchia , tramite: " ... una cortina esterna a lieva scarpata con speroni appoggiati alla vecchia cortina; a volte, invece, l ' ispessimento delle mura è ottenuto con un muro a 106 Res ti delle mura greche di Napoli doppia cortina accostato al muro primitivo , o , in altri casi, completamente separato. Spesso ove esisteva il ten-azzamento a protezione del fianco del colle , con le mura poste sul! ' orlo dello strapiombo, le nuove opere di difesa si sono portate sin nelle parti basse, come è il caso delle strutture di piazza Bellini, databili al quarto

LE FORTIFIC
AZlONl ITALIOTE

I 07 Resti delle mura g rec he di Napoli

sec olo, che cost mite ai pi e di dell o strapio mbo. finiscono per rendere inaccessibili le mura correnti in alto. In tali lavori le mura fini sco no con l 'acqui s tare uno s pesso re notevole , anche s uperiore a i venti metri, p er cui dovevano risultare , considerando l'altezza, inespugnabili. Ma ancora maggiore diventa Ja forza di re sis tenza di que s te mura in virtù di tutto un complesso , e non c hiaramente per noi definito, sis te ma di avancorpi s ituati nella parte pianeggiante , tali da impedire all'eve ntu ale nemico di accostarsi al già munito s istema difensivo. Non sappiamo se que s ti avancorpi fo ssero o no collegati con le mura, anche se sembra logico pens are che non fossero isola ti. L e opere più poderose dì questi propugnacola so no a piazza Cavour ed all'angolo di via M ezzocannone ... "< 711 •

E proprio a carico d ella tratt a coincidente con via M ezz o ca nnon e, il cui andamento appare e nigmatico per i 1itrovamenti dì re st i murari s ia ad est che ad ovest della s te ssa, una plau s ibil e ipotesi fornisce: " una

s oluzione al duplice probl e ma topografico [secondo la qual e] quel vallone di via M ezzocannone che di per sé poteva essere elemento favor evo le, così come tutti gli altri che circondano la città, finiva per tradire la s ua debole zza a causa della limitata ampiezza... invece il fos s ato di via Mezzocannone presentava s ul versa nte occidentale un'altura quasi alla stessa quota delle alture d e l lato orientale; nel l ato meridionale , inoltre, il colle di S. Giovanni Maggiore è quasi più a l to del corrispondente del l ato opposto, mentre iJ fo ssa to sembra far s i più a ngusto. É ovvio quindi che, urgendo una nece ss ità difensiva, nel rinforzare il s istema di mura s i sia co nqu istato anc he il ciglione opposto del fos sa to di via Mezzocannone, crea ndo si un amp io ed organico sistema difen sivo così come s i era fa tto s ul versante se ttentrionale "<72)

Dal punto di vista tattico le mura del IV seco l o offrono una maggiore protezione del front e a mare

I NGEGNO E PAU RA TRE NTA SECOLI D I F'ORTIFICAZ IONl I N ITALIA

I TALIOTE

rispetto a quelle del V, accentuazione da correlarsi alle crescenti rivalità commerc iali della città. Il che darà origine a cospicui caposaldi spec ie in prossimità degli spigoli del circuito. La singo larità, del resto, era stata già evidenziata nel seco lo scorso dal Capasso che ipotizzava: " su la spiana ta di S. Agostino a11a Zecca [dove] i resti dell'antica muraglia sono stati ricono sc iuti in una zona così ampia ... [che] non si arriva a spiegarli neppure aggiungendo una torre al semplice muro ... [è necessario] su pporre un fortilizio.

Difatti sulle antiche mura è costruito il convento ... La straordinaria fortificazione vuol dire, che ivi convergevano il lato meridionale e 1' orientale della cinta, e che si volle rendere più robusto quel cantone " <rn Ed ancora una volta il modello ispiratore del dispositivo sembrerebbe il mitico Castello Eurialo di Siracusa, posto appunto a11a convergenze di due cortine laterali.

Ovviam ente lungo la ce rchia di Napoli non facevano difetto l e torri, di pianta quadrata, seco ndo la tipica concezione greca. A scansione rada si impiantarono in prossim ità delle porte e delle sezioni più vulnerabili.

Quelle: " rinvenute nella zona di S. Aniello a Caponapoli e in prossimità di S. Agostino alla Zecca, si appoggiavano, a vo lte, su l lato esterno della cortina muraria oppure ne erano completamente distaccate ; del primo tipo è la torre nei pressi cli via della Maddal ena, a pianta quadrata, ammorsata nella cortina esterna ed a lei contemporanea (IV sec. a.C.). Anche quadrate sono le tipiche torri di porta ritrovate a Forcella, come le due laterali al varco nei pressi dell'attuale porca S. Gennaro , oltre molte altre delle quali vi so no numerosi ricordi ... " <74 >

La lunga pace conseguente alla conquista ed unificazione romana, provocò a Napoli l'inesorabile abbandono della sua fortificazione perimetrale. L' incuria, progressivame nte più devastante si protrasse per secoli, dis so lvendosi con il tragico manifestarsi delle scor -

LE FORTIFICAZIONI
80 60 40. 20 -108 Ampliament i della Napoli Greca / / / \ / ' ./ ,..._ __ .,. 10 I 09 Dettaglio
20 m
tecnica mura greche di Napolj

rerie da mare dei Vandali: la riqualificazione delle difese divenne allora di indiffe ribil e urgenza. A farsene promotore provvide l ' imp e ratore ValenLiniano III ne l 440: qual e s ia stata però la portata del s uo intervento è o gge tto di approfondite ricerche. Difficile crede re c he la muraz ione tardo - imperial e altro non fosse che il puro restauro di quella italiota di g iu sto un millennio prima. Ma altrettanto incon cep ibil e su ppoITe che, nel rapido sgretolar si delle istituzioni e delle risorse economiche , fo sse il grandioso ri s ultato di una inedita impo s tazione Di certo molte parti dell'antica fortificaz ione permasero, magari ulteriormente potenziate: è s ignificativo che allorquando Beli sario penetrò nella città Io fece attraverso l'acquedotto, non essendogli riu sc ita l'e spu g nazion e d elle sue mura, ad onta della indubbia competenza bizantina in mat eria0 ' ' Po chi anni dopo sa rà un altro generale di Costantinopoli, Narsete, ad aggiornare queIJa stessa cerchia , senza peraltro a bb andonarn e l'ormai antichissima s truttura. Soltanto nel corso della dinastia angioina s i eresse un nuovo circuito, ponendo fine ad una v icenda difensiva protrattas i per oltre 1.500 anni.

mania. Una dimostrazione di tanta incoercibile ambizione può cog li ersi allorquando , sotto Dionisio il Vecchio, giunse a fondare nu ove colonie s ulla cos ta adriatica settentrio n a le, per l ' esattezza Ancona071 e Lyssa, sostenendo tale espansionismo razziando e sacchegg iand o le coste dell'Etrnria, ed in particolare Cerveteri e l'i sola d'Elba. In definitiva d a parte della metropoli s ic ili ana: " ad una disposizione generalmente favorevole ag li Italici, in quanto avversari degli Italioti, si accompag nano però azioni di segno opposto, motivate in specie dalla necessità di conservare i dontini penisulari acquistati Nei confronti degli Italio t i, i Di onisi miraro no principalmente ad isolare una c itt à dall'altra, spezzandone le alleanze c he tra esse s i venivano costituendo in funz ion e preminente di difesa contro g li I talici " 081 •

S IRACUSA

La vittoria sug li Etruschi del 474 ebbe tra i massimi protagonis ti la flotta di Siracu sa, colonia c he al l 'epoca s i avviava a diveniere un a della maggiori potenze militar i del M e diteIT a neo. La città, del resto , prosperava da seco li a l punto che i s uoi interessi ormai s i este nd evano ben oltre il rispettivo pur ampio territorio si cil iano t76J D i lì a breve, infatti, anche Crotone, Reggio e Locri diverranno suoi pos se dim enti. Una politica di così ampio res piro implicava, inevitabilm ente, I' in gerenza nelle vicende dell e altre colonie itali o te, co n alJean z e cangianti e spregiudicate: in non rare circostanze Siracus a si sc hi e rò persi no con g li Itali c i co ntro i connazionali per meglio accentuare la propria ege-

Logicamente tanto pragmatismo non poteva non aizzare violente reazioni di cui i Siracusani e bbero s in dall'inizio perfetta percezione, mettendone nel conto l e preved i bili estrinsecazioni Nessuna meravig li a, quindi , che la città si munì di straord in ar ie fortificazioni, incrementa nd one la rilevanza contestualme nte all'incre m entarsi della sua sfera di influenza strategica. L'acme di tali difese fu att in to con la cos tru zio ne di Castello Eurialo: " ... che è forse l a più bella e certo la più completa o pe ra fortificata dell'antichità, nella quale si somma no feliceme nte tutti i ri sultat i raggiunti dal mondo tecnico militare dell'epoca.'' '791

L'a vanzatiss im a fortificazione fu fatta eri gere, s tando alle più accreditate ipotesi, dal1o stesso Dioni s io il Vecchio, ne l breve int e rva11o tra l'assedio greco del 402 e quello carta g in ese d el 397. La rapidità della realizzazione è un'innegabile conferm a del vo litivo dinamismo del ce l ebre tiranno , c he, pochi anni prima, a so li vent ici nqu e anni, con una demagogica denunzia d e i capi militari, re i a suo du·e de lla sconfitta patit a dalla c itt à nel 406 ad o pera di Cartagine, era riuscito ad accentrare in se il co mple to coman d o delle forze armate. A ribadirn e però il dominio pro vv id ero indiret-

- - -·~ lN~G'-"E'°"-G'-"NO~E_,._P.!..!/\=URJ\ TRE NTA S ECOLI DI FORTIFI CA Z IONI IN ITA LIA

tamente gli stessi Cartagines i che , imbaldanziti dal recenti ss imo success o , cercarono di consolidarne la portata investendo Gela. Al giovani ss imo stratego autocrate sembrò l'occasion e ideale per dimostrare le millantate attitudini militari , ma la sua conduzione rivelata s i incerta si risolse in una cocente disfatta: a stento si potettero evacuare gli sfortunati assediati trasferendoli a Siracusa. A quel punto , improvvisamente, la situazione mutò a s uo favore: i Cartaginesi, forse per una epidemia, forse per il timore di un più ponderato contrattacco s iracusano si reimbarcarono per l'Africa riconoscendo a Dioni s io la tirannia sulla città e su buona parte della Sicilia .

Per gli storici fu quello il contesto in cui il fortunato personaggio elaborò l'intento di fortificare poderosamente Siracusa secondo concezioni avanzatissime. Allo scopo individuò nella terrazza dell ' Epipole il sito ottimale per l'edificazione di un co-

Jossale caposaldo. Avrebbe costituito il vertice delle due lunghe muraglie che , costeggiando i suoi divergenti ciglioni, si sarebbero spinte sino al mare, serrando al loro interno l'abitato.

Sorse così Castello Eurialo, con l'articolata finalità di fornire una base inespugnabile per le operazioni di contrattacco proteggendo al contempo la città da qualsia s i potenziale aggressore sin dal suo più labile profilarsi. In sostanza si trattava di una ennesima riproposizione della concezione difensiva greca: la novità, invece, si concretizzava nella struttura adottata di straordinaria modernità. Innanzitutto, assodato che il: " ... punto più vulnerabile della terrazza di Epipole era ad occidente, dove il terreno restringendosi a guisa di istmo, si prolunga e si allarga verso uno sperone del monte Crimiti formando due declivi frastagliati da anfrattuosità e balze, che scendono, da un lato verso I' A napo , e dall'altro verso la pianura ora chiamata

L E FORT IFICAZION I ~ I T-'-'A=Ll=O-'-'TE=----........ --o 1 2Km
110 Sirac usa , pl a nimetria de ll a città

della Targia "c80> , si scelse tale direttrice per l'orientamento del castello, in modo da frustrare quell'unica via d'avvicinamento alla città.

Allo scopo si scavò un primo fossato, largo circa m 7, poco profondo ma corrente quasi da una estremità all'altra del colle. Un solo varco fu lasciato in corrispondenza del suo asse, angusto passaggio obbligato, lo stesso, peraltro, che ancora consente l'accesso al complesso. A poco meno di un centinaio di metri da quel primo ostacolo si aprì un secondo fossato di configurazione geometrica più definta: una sorta di enorme punta di freccia, largo circa 22 m e profondo 7, antistante ad una prima opera avanzata. La nuda s uperficie rocciosa lasciata fra i due rappresentava, a sua volta, un'ulteriore micidiale interdizione, costituendo un perfetto campo di tiro per le artiglierie neurobalistiche e per gli arcieri postati nell'opera avanzata. Tentare di superarla, anche a passo di corsa, equivaleva ad un

inevitabile suicidio in massa!

Nonostante ciò un terzo fossato fu praticato immediatamente alle spalle dell'opera avanzata, corrente anch'esso da una estremità all'altra del colle, con andamento si mmetrico al precedente e dimen sioni maggiori , circa m 16 di larghezza in corrispondenza dell'estremità sette ntrionale e m 9 per la meridionale, profondo m 9. A ridosso del suo ciglio interno si eresse un recinto cuneiforme, posto a protezione della base del 'mastio' del castello, definizione quest'ultima senza dubbio anacronistica, come del resto quella di 'cas tello' , ma priva di più calzanti coeve proprio per l'eccezionale modernità dell'opera. Quanto al ' mastio' consisteva in una costruzione a pianta trapezoidale, di circa m 70x30, il cui lato minore retrostante al recinto era difeso da ben cinque torri, distanziate appena 3 m l'una dall 'a ltra , ciascuna delle quali di m 4x7 circa. Alle loro spalle dei robusti contrafforti lunghi m 6 e

111 Aereofoto castello Eurialo INGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA
LE FORTCFICAZIONI ITALIOTE
112 Aereofoto castel lo Euria lo l 13 Fossato cas tello Eurialo

spessi circa 2, destinati, probabilmente, a soste nere una struttura lignea fungente da spalto.

Proseguendo ancora nella medesima direzione, al di là: " ... del mastio, trovasi un grande recinto di forma anche trapezoidale, con un lato rivolto verso la Epipole e che qui aveva perciò la porta di ingresso del caste11o, aperta in un forte muro dello spessore di m. 5 circa, che sbarrava una grande cavità, praticata nella roccia , per rendere meno ripido l'accesso. Nel grosso di questo muro si trovano gli avanzi di un cunicolo largo m. 0,96 che sboccava nella porta. Il mastio doveva avere dal lato di mezzogiorno, più in basso, un altro recinto di fiancheggiamento su cui ricadeva una caserma scavata in parte nella roccia, difesa da una grande toITe e da un muro le cui tracce vennero disperse ...

Anche a tramontana del mastio doveva esistere un altro recinto difeso da un muro ...

Il Castello, dovendo difendere il s ottostante ingres-

so della città (Epipole) aveva a tramontana un robusto muro in discesa , per cui veniva collegato ad un'opera a tenaglia facente capo a un dipylon , a sua volta protetto da un ' altra fortificazione s taccata che faceva te sta con una grande torre, al muro di tramontana della terrazza di Epipole " <80

In estrema sintesi il sistema fortificato dell 'E urialo constava:

"a) di un mastio a forma trapezia, col lato occidentale (m. 32.50), composto da cinque torri quadre lunghe quattro metri co11egate da brevi cortine interposte e i-ientranti. Verso nord, il ma stio sprofo nda in un fossato: sempre a nord avviene la saldat ura del centro di resistenza alla cinta della città con avancorpi a travers a raggiungibili percorrendo i camminamenti so tterranei ... procedendo sia dall'interno del mastio , sia da un altro centro di raccolta più avanzato previsto per lo smistamento dei rincal zi.

IN GEG NO E PA U RA TRENTA SEC OLI DI FORTIFICAZIONI lN !TALLA
114 Camminamenli sotterranei caslello Eurialo

b) di un sistema di quattro fossati pressochè paralleli destinati a successivi sbarramenti all'avanzata nemica proveniente da occidente, prima che questa potesse raggiungere il mastio. I fossati erano destinati a rompere l 'at tacco, a diluirlo elasticamente in profondità e infine a fronteggiarlo successivamente in condizioni di dominio particolarmente adatte e con forze facilmente affluenti e da ogni lato attraverso i cunicoli coperti, nel momento e nel punto prescelto.

c) dei tre fossati , il primo rettilineo ... [il] secondo, tagliato a dente con saliente ottuso verso l'attacco Il terzo ... [con] andamento irregolare ma chiaramente angolato a tenaglia, cioè con l'angolo ottuso aperto verso il casteJlo. Tra il 3° e il 2 ° fossato, le testate laterali risultavano coperte dai tiri d'infilata o dal pericolo di infiltrazioni di fianco non soltanto dalla difficile praticabilità del terreno di accesso , ma anche da opportuni rilievi e rinterri. Inversamente , data la loro angola-

zione, da questi rinteTTi si poteva battere il fondo dei fossati. Un quarto ed ultimo fossato era scavato al piede delle torri affiancate Al fondo del terzo fossato, come s'è detto, si accede attraverso undici sbocchi di una galleria sotterranea di manovra "<82 > Al di là dell'evidentissima complessità e sofisticazione dell'Eurialo, ciò che più impressione è l'ampio ricorso ai camminamenti sotterranei per la difesa avanzata, un larvato esempio dei quali lo si è già evidenziato a Cuma. In particolare l'accennata galleria, praticata con andamento parallelo alla parete di levante del terzo fossato, può riguardarsi come una antesignana teoria di casamatte 'traditore': dalle sue feritoie, perfettamente defilate, riusciva possibile, infatti, eliminare qualsiasi incauto nemico che fosse riuscito a penetrare nel fossato stesso. Degna di menzione è ancora un ' altra galleria, lunga 180 m, che metteva in comunicazione sempre il fondo del terzo fossato con il forte

LE FORTIFIC/\Z!ONI ITALIOTE-=--
115 Le cinque torri di castello Eurialo
ING EGNO E P AURA T RENTA SECOLI DI FORTIFI C AZ IONI IN ITALIA .=B,__ ......___ 116 Planim etria di cas tello Eurialo da Mauceri 11 7 P lastico di Caste Jl o E uria lo, T.S.C.A.G.
Roma fl rn... , ...,..,. • ._.~ , + • C ,._,.,,, ••1AU11 Trt• •-• I rr-,1 a lr,..h "f'f _.,i• , k...-..it lf ,-,d .t.l __. •lii. \I c.~ ••11 , ''"""· • ,.1i,.,.. liii • t-tm• d,cf, U'C1llln • I (u-'"' I • t,,t"L,.,.....>l•T!f°- r.>rto•NMV l"I Il a,c:- • "1ul a,j ,1,,1 " • 11'11tf'1'9110l Jiri c.,,dl., lh.1 ._... Jid'- lr,, • w J......,.,... • lMMtl ìWL • P.P"' • 111 ~«- • 11,.,... 41 ",_,.,,. ..,._. • I Tu111!1•· d, IM"r.J. 9'lhb • : t,,.wtiird JI r-o,,•'TV J ,•-.~""' flol1 ~. * ".,,.,,~i.. • , p,r lU'II ~l.t ,-.1.:M at1~" .a.I ,-, .a·.,..,. ,,.,....,.,, f. ,t.....,., •• Il• WI (1, 1",.,. • l h,-., ,., .,. 1,,..... 'i. (•lfft.t 'Nit• .-i.. ,....1 1• .I Whòl ~Q '-.'TaJ, twn• fu ti .,.u,.,. n1 ,I ,_,,.. 1,, ,.-r,- ,.tft .,~., °41,)rt_,. rn (;..afrri, 4, J,..,... .i .,,_ .._.,, 11 N• , .,.n..,. ,-., _, •'1ttt 1,-.1, • U l.w•r• ,....,.,vau MB, ,-:e• r,,, 1 ·""""'•....,. 1,.. _....I~•~ Il...,.. -.. • I) 41 a. ,.__,,,,, r-1 kt ••• drtt. ,.-,..,.. I • ~-.llinv di __....,.,... 1\1' t. '--""M nl Il M...,..,ftt i, \, :ll'!m ,"1 1•"""'1 d,,q,,, ,,.,,... Hl p..,.._. fnt d ftelll• lii I.• 1r11Nn '""r•tmk 1111. "_..,..," J; <u•Nlc ,...-. aa. f' ""''"'' 61\. C-,,,nJ ,ell4 (W'l"IN dJl1il tc.Jrn e ,.J •1 tu,.. ~• h \ l'IUI J •1\,r;,;, Ml NQm<l 1'. l"I Torff •1.r,-ol•1t lfffllfM I _,lffl!O. ,..,.. - Il ,,>nJ.:.,.,_ l, 11....,..._,. • • J!l J\,..f.,.., •••01 • .t1 .t..:.u. .,..is..,,.. a-1•lo:1"'" .,..,.. ,,,.,h ""'r,,t.T ddl..,.,.. • w....C- :, f°lf'f ddb fp""'* • u ,,....,. • ,t.-1 "" ""'" ,....,..,,.., r• ~1r1rn,._ r,..-~ • 1•mwur,._ In •1 ...,. 'Il ,....~ J,,-, tinenll • .ll ,,. •• J ~t-o~• .,.,.J_. • i t \l_...,.. eh ~te~ 1..n. f. °'"' p,-t1111 • t l\ li1-.....k hHrr ,.....,,.,.....a. .,,I C.i.t,!l,1 eoto ,1 • e.i....,., IY' lii ...,,._.. 1au • ,.. ,,.,.,.... ,;.;~ ddt, 1.r w n ,,t,;,-.i,.. ~tni1,_,. ,_ ..i~,. a1r11NT..- • ,....,....,.5. 1..'rv,nw • i-, (;n,nJ, "'"' CÌ,-1 -, '"""" kt ru.,., li ••iw• r-•••1•
,

118 Re s ti del pilone del ponte

posto a difesa dell'ingres so. In dettaglio , la lunga galleria: " ... che va dal 3 ° fossato al forte (N), presen ta molti elementi degni di studio. Fu scavata nella roccia con divers i attacchi di lavorazione, dimostrando l'accorgimento abile degli architetti militari greci, e la loro preoccupazione di finire sollecitamente il lavoro, raggiungendo il livello stabilito. Ess i perciò si servirono della lavorazione a foro cieco, attaccando lo scavo ai due estremi; e, nello s tesso tempo, aprirono in punti intermedi altri pozzi di escavazione, e due attacchi di scavo a cielo aperto. La sezione della galleria mi s ura m. 2,60x3,40 " (831 •

Per concludere con il terzo fossato è interessante un' ultima osservazione circa la presenza dei re st i di un pilone e di due spalle, s trutture residue di quello che doveva essere il ponte levatoio che lo scavalcava. Il piimo è spesso m 2 mentre le seco nde s ono l'una di m 1.40 e l 'altra di m 1.25 , per una larghezza comune di

m 6.7. Essendo improbo manovrare un ponte di m 9x7 la so lu z ion e adottata, c he di verrà ca nonic a in ogni struttura analoga fino al XIX seco lo , consistette nel rendere sollevabile sol ta nto la seco nda metà dello s tesso, che fatta ru otare intorno ad un perno so tto sta nte la sog lia d ' ingre sso del mastio , finiva per serrarla come un secondo portone.

Esaurita la sia pur brevis s ima descrizione, va ricordato che il complesso su bì ne i secoli succe ss ivi g li immancabili adeguamenti alle più evolute esigenze. É del resto anc he probabile che nella s ua definizion e originaria non disponesse delle famose cinque torri , nè dell ' intera trama di camminamenti sot terranei. infatti: " ... si può ritenere che in un primo tempo , insieme alla muraglia settentrionale della terrazza, sia stato costruito il muro di s barramen to del pianoro d ' ingre sso d 'occ idente, con una o due aperture domi-

LE F ORTIFICAZIO~I rTAUOTE

nate da una rocca rudimentale col fronte a prua di nave, che poi costituì il mastio del castello. In un secondo tempo, cioè dal 402 al 397, fu data esecuzione al castello, secondo i piani di Dionisio, utilizzando le opere preesistenti; furono cioè aperti i fossati, scavate le gallerie, costruito il lripylon d'ingresso all'Epipole con una rudimentale porta a tenaglia. Posteriormente fu migliorata quest'opera obliterando la porta centrale, furono costruiti i due muri di sbanamento paralleli, fu riordinata la costruzione del forte (N) e forse rifatta la costruz ione della grande muraglia di diramazione per comprendervi le gallerie sovrapposte sboccanti nelle postierle.

Probabilmente, allora o poco dopo, fu eseguita la trasformazione del mastio con la costruzione delle cinque grandi torri sul fronte, ricostruendo un tratto del muro nord. immediatamente dopo, avvenne la chiusura fra le dette torri e la costruzione del conidoio con cui fu messo in comunicazione diretta il mastio col ponte levatoio e l ' opera avanzata. Fu costruita gran

parte del braccio meridionale dell'opera a tenaglia e furono chiuse le due postierle in essa sboccanti. Ad epoca posteriore va attribuita la ricostru zione del forte muro di sbarramento del 3° fossato, e la ricostruzione del muro est del mastio " <841 •

La tragica conclusione dell'assedio di Siracusa alle armi romane, nonostante il geniale apporto di Archimede, sembrerebbe smentire la validità difensiva dell ' Emialo. ln realtà il caposaldo fu ceduto, inviolato, dietro la promessa di salvezza per la popolazione.

PO SEIDONIA

Un esempio di fortificazione italiota di gran lunga meno lacunoso dei precedenti, sebbene alquanto più recente, è quello della cerchia urbica di Poseidonia-Paestum. Infatti: " ... sono veramente rari i casi in cui è dato poter segu ire nella sua interezza il tracciato della cinta fortificata di una città antica. In questo senso Paestum rappresenta sicuramente un osservatorio privilegi a to, offrendo una visione pressocchè inte gra dei quasi 5 km di percorso che circondano la città TI discreto stato di conservazione dell'elevato delle torri, porte , cortine consente inoltre una lettura piuttosto fedele del monumento, nonostate i parziali restauri effettuati a partire dagli anni trenta di questo seco lo " <85 )

U s ito d'impianto, all'epoca, si presentava come un'ampia pianura costiera nei pressi della foce del Sele, al di sopra di uno zoccolo sedi mentario di modestiss ima altezza. Originariamente il mare lo lambiva: l'avanzamento del litorale di quasi 2 km ne ha s travolto la connotazione ambientale. Per quanto è possibile individuare al presente, la s ua fondazione non deve rimontare oltre la fine del VU e l'inizio del VI secolo: in alcuni saggi di scavo sono emersi, ancora una volta, frammenti di ceramiche micenee. Strabone l'attribuisce ai Sibariti<86l, ipotesi non priva di credibilità.

119
Poseidonia, planimetria
lNGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA
LE FORTIFICAZIONI ITALIOTE
120 Poseidonia, dettaglio ruderi di una torre, con due feritoie 121 Po seido nia . scorcio mura

La pianta, a pprossi m a ti vame nte rettangolare-trapezoida le, è scandita da una robusta ci n ta turri ta real izzatil mediante: " ... due paramenti in blocchi , collegati a distanze più o meno costa nti da briglie trasversali, e riempimento di terreno misto a pietre... " <871 , ovvero seco nd o la tec nica tradizi o nal e greca. Anche in dettaglio la fortificazione perimetrale si co nfe rma di impos ta z ione canonica, con doppia cortina a blocchi para llepipedi , ciascuna di circa m. I. 5 di spessore, e colmata di scheggioni e teròccio.

Tuttavia i du e paramenti non sembre rebbero co ntemporanei, m a esito di un potenziamento per raddoppio di una più arcaica impostazi on e unifilare, soluzione che, oltre ad i11cremen tarne l a resistenza passiva, permi se di ricavare i n so mmità un ampio cammÌ11o di ronda. Sempre in me rito alla tecnica murari a , è perfettamente ri co noscibil e un a dupli ce mod alità esecutiva. L a prima contempla i conci messi in o pera nel senso della lunghezza, maniera precip ua g r eca, m entre l a seco nda un loro a ltern ars i nel senso della lunghezza e de ll 'altezza, maniera qu esta invece di matrice latina, carat teri zzata da un a maggiore s tabilità. La disomogeneità d eve ricondursi ad interventi restauratori, o potenziatoti, di e poca romana. Il materiale, comu nqu e, è sempre il m e de s imo , co me pure le dimensioni dei blocchi: non è affatto da es clud e r s i c h e s iano proprio gli s tess i, divelti o crollati per even ti bellici o s ismici e ricollocati nella nuova giacitura, re pu tata più sicura.

A Paestu m molte torri so no scampate a ll a distruzione , alcune in man .iera addirittura so rprend ente , tan to da essere ancora adibite ad abitazioni. La distanza tra loro, come già osse rvato in diverse fortificazioni italiote, ecced e però la co mpatibilit à co n un corretto fiancheggiamento. Ed anche in qu es to caso Ja palese d eficie nza non è imputabile ad una inad eguata co mpe te nza d e i progetti s ti ma, piuttos to , all'eccessivo costo delle torri. Il che consente di de su mere, dal loro infittirsi o rarefar s i, il grado di pericolos ità pres unta per il se ttore.

fn dettaglio le: " torri hanno tutte pianta quadrangolare e pres entano dim e ns ioni più o m e no costanti (da 6 ,00 m. a 6 ,30 m. di larghezza per la fronte esterna; da 5 ,50 m. a 6 ,60 rn. di lunghezza per i lati). Nel loro assetto originario erano di s poste «a cavallo >> de ll e co rtine , aggettando così tanto verso l'esterno che verso l ' interno ...

Non molto resta dell'elevato: è probabile, comunque, che le torri avessero una struttura semplice, con un basamento pieno fino al livello del cammino di ronda, dal quale probabilmente s i accedeva , tramite porte aperte s ui fianchi , ad una prima camera. Lo spesso re delle pareti (0,60 m. circa) consentirebbe con tutte le caute le dov ute al catti vo stato di conservazione delle stru tture, di ipotizzare la presenza di una seconda camera.

Unici indizi per una restituzione dell'elevato s ono forniti dalla T. 4 che s ulla fronte e s terna c on s erva, quasi certamente in situ, tre feritoie a sezione rettangolare (h 0,65 m: largh. interna 0,40 m, es terna O, 10 m circa) attribuibil i al primo piano ... Si può .. . sottolineare che l'articolazione degli spazi è ancora piuttosto sempli ce e che la presenza del basamento pieno non risponde a criteri funzionali ... nè tantorneno tattici: fornire cioè un supporto solido al piazzamento di armi da getto di grosso calibro. Le dimen s ioni stesse di queste torri sembrano in fatti escludere tale possibilità. Indi cat iva potrebbe essere in vece la d isposizione di queste torri a distanze non dico cos tanti , ma comunque piuttosto ravvicinate (da un minimo di 50 m ad un mass im o di 100 m ca)

A motiv i di carattere strategico si deve inoltre il ricorso a postierle, numerose .. . [nel] settore nord-oriental e d el circuito ... Da questi passaggi vi ene un ' ul teriore conferma delle modalità di esecuzione del potenziamento del muro. Sono infatti chiaramente distinguibili le due fasi: Ja prima, relativa al muro interno, è stata realizzata con b lo cchi di dimensioni minori (0,25 - 0,30 x 0,80 - 1,00 m ca) dispo s ti di piatto, su assise più o

- - - !c!. l N:.,:Gce::E""GNc:..,Oc.'.....!:!.E..:...P:..:.AU,::_,R.,,_A.,_T"'-'REN=TA S EC OLI DI F o 1rnFICAZIONI IN ITALIA
L E FORTIFICAZIONI I TALIOTE 122
Po se idonia , d e ttaglio torre

meno regolare. La tecnica contrasta nettamente co n quella impiega ta nella fase del raddoppiamento, contraddi stinta dall'impiego di blocchi di maggiori dimensioni (0 ,45 - 0,60 x 1,00 - l ,30) di spost i a lte rn ativamente di testa e di piatto e che so prattutto risu lt ano privi di qualsiasi legante struttural e con i blocchi del paramento retrostante " <881 •

11 discreto stato di conservazione della cerchia co nsente di approfondire la co ncezion e delle porte, da sem pre punto critico di ogni fortificazione. In numero di quattro ad eccezione di una , completamente distrutta per l'ammodernamento de ll a recente strada, per le restanti tre: " .. . possiamo , almeno in pianta, ricostruire pe rfettam e nte la struttura originaria. Si tratta infatti di porte fiancheggiate da torri s u uno o su e ntrambi i lati ... e dotate di un'ampia corte inte rn a, chiusa tra gli stretti pa ssaggi dell ' ingre ss o es terno ed incemo "< 89 '.

La grandezza e l'evoluto li vello de ll e fortificazioni

non bastarono co munque a salvare la città dalla conquista operata nel TV seco lo dai Lucani. L 'offe ns iva degli Italici investì le principali città greche, confermandoci l a crescente ostilità fra le due etnie, esplosa al co ncluders i del V seco lo a. C. In quello scorcio st orico: " .. . i Sanniti, e i popoli derivati , si spinsero contro le c itt à greche della costa. Cuma fu conquistata nel 421; a Neapolis si in se diò un nutrito nucleo di Sanniti, così c he s i ebbero magi strature doppie ; alla fine del seco lo Poseido nia fu conquistata anch'essa ... " <90>

La rozza popolaz ione italica s opravvenuta apportò ovvia m e nte alterazioni alla fortificazione perimetrale di Posei donia sec ondo le s ue peculiari e s perienze Non vennero tuttavia rimosse o smantellate le possenti mura greche, ma ulteriormente potenziate con accorgimenti difensivi tipicamente sa nniti .

Fra ques ti il rincalzo con un vistoso aggere del piede delle cortine, minacciate dalle ormai temibili

INGEGNO
E PAURA TRENTA SECOLI Dl FORTIFICAZIONI IN ITAL.IA
123 Poseidonia, scorc io inne sto torre- cort ina

macchine ossidionali, introdotte in Italia e perfezionate proprio dei tecnici greci. In particolare:" ... nell'ultimo terzo del IV secolo, al tempo dell ' occupazione lucana, fu scavato lungo il settore settentrionaJe della cerchia di Paestum un fossato a sezione trapezoidale , le cui pareti obblique erano interrotte da una piccola t errazza: larghe circa m 20 nella parte supe ri ore, e 11 nella inferiore , erano riempite di acqua dolce per un aJtezza di m 5. " (91 >

Nel 273 a.C. Poseidonia divenne colonia l ati na in virtù della sua comprovata fedeltà a Roma: la sua esistenza però volgeva al termine, minata dalla ragione s te ssa dell'antica prosperità: l'ampia foce del fiume Sele, sicuro porto naturale e comoda via d'acqua, iniziava ad impaludarsi. L'agonia fu lunga , a differenza dello spopolamento, che ebbe subito vistosi sviluppi. La grande metropoli decadde a povero villaggio insalubre : le spietate incursioni saracene abbattutesi tra l 'Ylll ed il IX secolo ne completarono la desertificazione. In pochi decenni la palude regnò incontrastata e so ltanto miserabili pastori di bufale raccontavano agli in creduli romantici viaggiatori di fantastiche dimore di giganti avviluppate dai rovi.

La loro riscoperta ri sale al XVIU secolo e gli scavi ai giorni nostri: grazie all'isolamento protrattosi per circa un millennio le mura di P ose idonia forniscono oggi uno dei più comp let i, affascinanti e significativi esempi della fotificazione italiota.

LE FORTIFICAZIO
NI ITALIOTE
124 Poseidonia: A-B dettagli feritoie INGEGNO E PAURA T RENTA SECOLI DI FORHFICAZIONI IN lTALIA 125 Poseidonia. dettaglio posterla 126 Pose id on ia. porta Sirena
LE fORTIFICAZIONJ ITALIOTE
127 Po se idonia, tracce del fossato

NOTE CAPITOLO QUARTO

' Da A. LA REGINA, La lancia e il Toro. in La cultura della tran.H111uu1za. a cura di E. NARCISO, Napoli 199 I. p. 53. Cfr. STRABONE, Geoiraphica. V. 4. 12.

' Da A. LA REGU\A, La lancia cit., p. 53.

• Preà,a al riguardo G. B0uT11ouL, Le guerre. elementi di polemologia, Milano 1961, p. 553: ''Negli animali, le migrazioni sono dovute o alla carestia o a quel minimo di previsione che si può fare quando si è in attesa dell'arrivo della stagione fredda. Nell'uomo. questi motivi cli migrare hanno un'influenza identica a quella che hanno sugli animali. Ma ci sono anche altri motivi. La concezione del livello di vita si aggiunge a quella del semplice sostentamento. Un popolo relativamente pro!>pcro può benissimo emigrare perchè sente l'attrattiva di un paese nuovo, in cui le risorse sono più abbondanti e in cui la facilità di ascesa a un grado di civiltà più elevato è maggiore ... Oltre a queste cause edonis tiche , c i sono poi tulle le cause sociali, che sono conseguenza dei fenomeni di violenza e sono imparentate col fatto guerra, come ad esempio le proscrizioni il cui motivo può essere razzista oppure religioso oppure politico, eccetera. Vengono infine. con tutto il loro codazzo di conseguen7e, le guerre. che indubbiamente costituiscono il fenomeno migratorio più frequente nell'uomo ".

' D a H A. L. F1sHbR, Storia d'Europa, Bergamo 1964, voi. I, pp. 50-51.

• Da FESTO, 150 L. ( 1913) , in Glossaria Latina, IV. 1930. La citazione è tratta da A. LA R EGINA, La lancia cit., p. 54, n. 24.

7 Da M. FAGIOLO. La psicologia della coloni:za:.ione e il mito solare della ragione, in Guida allo studio dell'architettura antica, Napoli 1978. pp. 232-233.

8 Da H A. L. F1s11cR, Storia... , cit., voi. I. pp. 47-48.

9 Da H. A. L. F1SHER, Storia , cit., p. 56.

0 Da M. FAGIOLO. La psicologia , cit.. p. 230.

" P. G. Gt zzo. Le ciuà scomparse della Ma gna Grecia, Perugia 1982, pp. 16-17.

11 Per approfondimenti sulle origini e sulla fortifica;,ione di Capua antica cfr. L. SANTORO. Fortificazioni della Campania antica, Salerno I 979, pp. 214-216.

11 Da M. FAGIOLO. La psicologia , cit.. p. 231.

'' D a M. POETE. Le, ciuà antica, in Guida ... , cit., p. 159.

1 ~ Da M . PoETE. La ciuà antica cit., p. I 60.

16 Da E. ACQUARO, Cartagine: 1111 impero :,111 Mediterraneo, Roma 1978, p. 129.

17 Da Tu c rDl'IE, La guerra del Peloponneso, VI, 2, 6.

,R Da P. G. Guzzo. Le citlà cit.. p. 142.

19 Da Y. GARLA.". Recherches de poliorcétique grecque. Limoges 1974, p. 20. La traduLione dal francese è dell' A.

:'() G. C. KoHN. Di :.io nario delle guerre, Milano I989, p. 436, così sintetizza la Guerra del Peloponneso, 460-445 a.C.: " La Lega Delio-Attica, gradualmente si trasformò in un impero marittimo con centro Atene che ebbe, success ivament e, le città stato di Corinto e Sparta come rivali . A causa di una rivolta degli Il oti Sparta ruppe l'alleanza con Atene rifiutando il suo aiuto; qundi Atene si alleò con i rivali di Sparta (462). Megara chiese l'aiuto di Atene contro Corinto e nel 460 dichiarò guerra. Ini1i almente vittoriosi, gU ateniesi man mano fonnarono un impero su tutta la Grecia centrale dopo aver sconfitto la flotta di Corinto (460) ed un'armata di Corinto inviata per attaccare Megara (459). Egina, alleata di Corinto, ven ne assediata e conquistata da Atene nel 457. Sparta provocò un conflitto inviando una spedizio ne in B oezia per appoggiare la sua alleata Tebe; vinse la battaglia di Tanagra (457) contro Atene nei pressi di Tebe. ma poi si ritirò. Allora gli ateniesi sconfissero i tebani a Enofìt (457) ed ebbero il dominio di tutta la Boezia. Sotto la guida di Pericle (495? -429) gli ateniesi nel 455 conquistarono una lunga fascia costiera achea e gli iloti spa rtani divennero loro vassalli, quindi procedellero a coloninare il golfo di Corinto. Nel 451 inizia una tregua di 5 anni con Sparta. Quando la Boezia si rivoltò contro Atene le sorti cambia rono in favore di Sparta e dei suoi alleati; Megara, la Focide e l'Eubea insorsero. Un'armata spartana marciò su Atene ma venne bloccata in tempo dalle truppe di Pericl e. Atene recuperò l'Eubea, ma il suo impero ormai non esisteva più. Ne l 455 venne negoziata la Pace dei Trent ·Anni: Atene poteva mantenere il proprio impero marittimo e Sparta l'egemonia sul Peloponneso. ma dopo soli 14 anni la rivalità tra Sparta e Atene riprese ". Si scatenò allora la Seconda o Grande Guerra del Peloponneso protrattatasi dal 431 al 404 a.C., che vide la completa disfatta di Atene, con la distruzione delle s ue fortificazioni e della s ua !lotta, nonchè con la sottomissione a Sparta.

11 La prima fase della Seconda Guerra del Peloponneso si aprì nel 431 con il re di Sparta Archidamo 11 alla testa delle sue truppe per rinva sio ne delr Attica: la campagna si risolse in cocenti sconfitte, e soltanto la vittoria del 422 ad Anfipoli invertì il corso della guerra.

22 Da Y. GARLAN, Reclterches ... , cit. pp. 23-24. L a tradu zione è dell'A.

23 Da E. N. L UTIWAK. La grande strategia dell'impero romano, Milano 1981, pp. 82-83.

2 • Da A. G1ULtA1'0. Urbanistica delle ciuà greche, in Guida , cit.. p. 163.

25 La citazione è traila da Y. GARLAN. R echerches , cit., p. 88.

______..:(c.cN-==GEGNO
E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA

LE FORTIFICAZIONI ITALIOTE

26 Cfr. E. VOLPINI, La scienza nell'Antichità e nel Medioevo, in Storia della scienza, a cura di M. DAUMAS, Bari I 969, voi. I., pp. 2)1 - 213.

21 La citazione è tratta da Y. GARLAN, Recherches , cit. , p. 90.

28 Da H. TREZINY, Les tecniniques grecques de fortijìcc11ion et leur dijfusion à la péripherie du monde grec d'occident, in La fortification dans l'histoire du monde grec, Paris 1986, p. 187.

29 La citazione è tratta da Y. GARLAN, Recherches cit., pp. 101-102

.10 Da H. A. L. F1SHER, Storia , cit., voi. 1, p. 57.

3 ' Cfr. Y. GARLAN, Recherches , cit., pp. 112-116.

32 Circa la biografia del celebre storiografo, ricorda P. SGROJ nell'introduzione a La Guerra del Peloponneso, Napoli 1968, voi. l, p. 7:" .... si può quindi supporre che sia nato intorno al 460. Nell'inverno del 424, ottavo anno di guerra, incrociava come stratego a capo di una squadra navale nelle acque di Taso, l'isola a nord del Mar Egeo, di fronte alla Tracia. Fu chiamato in soccorso dal collega Eucle, che difendeva la piazzaforte di Anfipoli ... minacciata dal generale spartano Brasida. Ma non giunse in tempo, e, affrettandosi, riuscì so lo a salvare Eione, il porto di Anfipoli, alle foci dello Strimone. Ciò gli fu imputato a colpa, e stette in esilio per venti anni non sappiamo se condannato a morte per tradimento fino al 404, quando le Mura Lunghe di Atene furono distrutte, e gli esuli tornarono in patria. L'esilio gli diede agio di attingere direttamente notizie sugli eventi in corso presso ambedue le parti belligeranti, specie presso i Peloponnesi. Sua residenza abituale durante questi venti anni è probabile sia stata la località tracia di Skapté Hyle. dirimpetto a Taso, località in cui Tucidide sfruttava le miniere d'oro che gli davano indipendenza economica e possibilità di viaggiare, e dove godeva di molta autorità [La sua opera] si arresta in modo così brusco a mezzo della campagna estiva del 41 L da far pensare da antichi biografi che l'autore fosse finito di morte violenta ".

1 Da TUCIDIDE. La guerra del Peloponneso, a cura di P. SGROJ, cit., voi. 11 , p. 181-L. VI, I OI.

.l4 Da TUCIDIDE, La guerra ... , cit., voi. TI, p. 19 l-L. VII, 11.

~ 5 Ricorda Y. GARLAN, Guerra e società nel mondo antico, Bologna 1985, pp. 150-151: "Greci e romani conobbero due tipi di arco: un tipo semplice e un tipo composito. E ' probabile che il primo esistesse dalla fine dell'epoca paleolitica: aveva due bracci fatti di un unico pezzo di legno, che si incurvava ad arco circolare sotto la trazione dell'arciere. Esso continuò ad essere il normale complemento del cacciatore fino alla fine dell'Antichità, ma sui campi di battaglia, da Omero in poi, in genere fu sostituito dal tipo composito, che era già abbastanza ampiamente diffuso in Asia occidentale e in Egitto dal 11 millennio ... La potenza di quest'arco era superiore a quella del precedente, perchè elasticità e robustezza erano accresciute dalla fissazione di un fascio di tendini sulla superficie esterna dei bracci, e di lamelle di corno su quella interna. Legato insieme a fatica ... perchè la naturale tedenza dei bracci era quella di flettersi nella direzione opposta (donde l'attributo di palintone riservato a quest'arma), esso prendeva allora una forma caratteristica, a doppia incurvatura. poichè le diverse sezioni flettevano in modo diverso. Pare che la sua portata utile fosse all'incirca di 60 metri, mentre la portata massima poteva raggiungere i 200 ...".

36 Sempre Y. GARLAN, Guerra , cit., pp. 151-152, precisa: " Pare che la fionda a mano avesse una portata lievemente superiore a quella dell'arco, anche composito; essa consisteva in una doppia striscia di cuoio o di fibre vegetali collegata a una tasca dove si trovava una palla di pietra, argilla o piombo, che il più delle volte pesava dai 20 ai 30 grammi. Il fromboliere, che trasportava le munizioni in una piega della tunica o in un piccolo tascapane, faceva roteare l'ordigno verticalmente, poi orizzontalmente sopra la testa prima di mollare una delle cinghie in modo da liberare il proiettile e spedirlo, con una precisione st upefacente, nella direzione voluta. Forse anche questa invenzione appartiene alla fine dell'epoca paleolitica; comunque il suo uso nel mondo egeo è testimoniato a partire dal III millennio ... ".

17 Da Y GARLAN, Recherches .. . , cit., p . I 35. La traduzione è del!' A .

.is Da P G. Guzzo, Le città , cit., p. 16.

39 Da E. N. LUTIWAK, La grande strategia , cit., p. 183.

40 Precisa N. DAVEY, Storia del materiale da costruzione, Milano 1961, p. 23: "La tecnica greca era più raffinata e regolare, come si può vedere nella piattaforma del tempio di Poseidone a Paestum, che risale al l a metà del V secolo a. C. l corsi in questo caso sono di varia altezza. Nello stesso periodo si diffuse un tipo di muratura isodomica, caratterizzata da corsi di blocchi di altezza e lunghezza uniforme, con giunti posti, a corsi alterni, vertica l mente l'uno sull'altro... ".

"' Un interessante st udio sui costi delle fortificazioni perimetra l i è quello di P. DucREY, les fortifications grecques: role. fonction, efficacité, in La fortification dans , cit. pp. 134-135. In particolare: "La costruzione di una torre a Cizique tra la fine del IV e l'inizio del m secolo costò 9.200 dracme. Senza tener conto del livello monetario ed app li cando ipoteticamente il medesimo salar io giornaliero di 6 oboli ad operaio, si è ottenuto il totale di 1533 giornate per 50 uomini. Sapendo che di torri se ne contano spesso a decine, e che la l unghezza di alcune cinte può ragg iun gere i 5,6 e persino 7 chilometri, è facile farsi un'idea degli oneri sosten uti per tali costruzioni ". La traduzione dal francese è del!' A.

4 2 Cfr. H. TREZINY, Le tecniques grecques .. . , cit., p. I 96.

J .\ Cfr. G. HALLIER , Pierre de taille et mesures normalisées: Apollonia de Cyrenaique et Massalia, in Lafortijìcation dans... , cit., p. 252.

INGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA

44 Precisa sempre G. HALLIER, Pierre ... , cit. , p. 270: "I monogrammi incisi sulle pietre sono senza dubbio dei marchi di cavatori o di appaltatori ... pertanto si può imaginare che gli appaltatori aggiudicatari si comportavano al medesimo tempo, sia da cavatori sia da squadratori di pietre dal che la necessità di un doppio controllo , allo scarico dei battelli e prima della po sa in opera ".

•s Cfr. Y. GARLAN , Recherches , cit., pp. 263-268 .

4{\ Cfr. Y. GARLAN , Recherc hes ... , cit., pp. 150-151.

'

7 Cfr. F. Russo , La d(fesa costiera del regno di Sicilia dal XVI al XIX se colo , Roma 1994, vol. 1, pp 56-64.

'

8 Da L. SANTORO, Fortifi ca z ioni , cit. , pp. 74.

49 Da L. S ANTORO, For1ijica z ioni , cit. , pp. 75-76.

50 Cfr. P. G. G uzzo, Le città , cit. , pp. 221-225.

5 1 Da Y. GARLAN, Recherche s cit., pp. 246-250.

52 Cfr. F. R usso , Ragguaglio sul settore defilato , in Capua città d ' arte, di C. RoBOTTI, Lecce 1996, pp. 137-148.

53 Da V. FO NTAN A, P. MORACHTELLO, Vitruvio e Raffa ello. il 'De architettura' di Vìtruvio nella traduz ione inedita di Fabio Calvo Ravennate , Roma 1975, pp. 89 - 91.

54 Da Y. GARLA , Recherches.. . , cit., pp . 261-262. La traduzione è dell'A.

11 Da A. CASSI RAM ELLI , Dalle caverne ai rifugi blindati , Milano 1964, pp. 28-29.

56 Da P. G. G uzzo , Le città scomparse , cit. , p. 180.

57 Da M. PAG ANO, Ricerche sulla c inta muraria di Cuma , in Mélanges de l ' écolefrançaise de Rame , Mefra Tome 105 , 1993, p. 847 - 850. Cfr. anche B. D'AGOSTINO, F. FRATTA , Gli s cavi d e ll'I. U. O. a Cuma negli anni 1994-95, in Istituto Universitario Orientale, Annali di Archeologia e s toria anti ca, Nuova serie n 2 , Napoli 1995 , p. 204 e sgg.

58 Da W. JOHANNOWSKY , Cuma , in Enciclop edia dell'Arte Anti ca , U, 1959 , pp. 970- 971. La citazione è tratta da L. SANTORO , Fortifi ca z ioni , cit., p. 79, nota n 7.

5 ' Al riguardo cfr. R. FoLz, A. GuJLLOU , L. Mu SSET, D. So URDEL, Origine e forma z ion e dell ' Europa Medie vale , Bari 1975, pp. 92 -95.

60 Da M. P AGAN O, Ricerc he , cit., p. 862.

6 1 Da M. PAGA NO, Consideraz ioni sull ' antro de lla Sibilla a Cuma, in voi. LX d ei R endiconti d ell'Accademia di Archeologia Lette re e Belle Arti di Napoli 1985-1986, p. 71.

62 Da M. PAG ANO, L'acropoli di Cuma e l'antro della Sibilla , in Civiltà d ei Campi Fle grei, atti del convegno internazionale, a cura di Marcello Gigante , Napoli 1992, p .. 267

6 3 Da A. FLAMIGNI , Il potere marittimo in Roma antica, Roma 1995 , p. 17.

64 Da L. SANTORO, le mura di Napoli , Napoli 1984 , p. 25.

65 Da L. SA NTORO, Fortifi caz ioni , cit. , p. 64.

66 Da L. SA NTORO, Le mura , cit. , p 26.

6 7 Da L. SANTORO , Fortifica z ioni. , cit. , p 64.

6R Da L. SANTORO, Fortifica zioni..., cit., p. 65.

69 La citazione è tratta da L. SANTORO, Le mura , cit. , p. 42

70 Da L. SANTORO, Fortifi caz ioni ... , cit., p. 65.

71 Da L. SA NTORO, Fortifica z ioni ... , cit., p. 65.

72 Da L. SANTORO , Le mura , cit. , p. 37.

n Da B. CAPASSO , Napopli greco - romana , Napoli 1978, p. 143.

1 • Da L. SANTORO, Le mura , cit. , p. 38.

75 B. M1 cc10, U. POTENZA, Gli acquedotti di Napoli, Gaeta 994 , p. 28, preci sano che: " anche se molli attribuiscono l'interruz ione del Claudio a 'decisione di Belisa1io per costringere alla re sa Napoli tenuta dai Got i ' questa tesi non convince del tutto Chi legga la 'Guerra Gotica ' di Procopio non può non costatare che il taglio degli acquedotti era normale attività bellica equamente praticata sia dai Goti che dai Bizantini... una lettura dei cap i toli di tale opera relativi alla presa di Napoli ci induce a pensare che l' acquedotto attraverso il quale Belisario prese la città, in effetti, fosse il Bolla. Tale acquedotto, infatti, entrava in Napoli: ' all ' altezza de ll a prima torre aragonese a nord di Po1ia Capuana, superando su archi e pilastri il dislivello del fossato'.

76 Cfr. A, FLAMIGNI , Il potere marittimo ... , cti. , pp. 16-18.

77 Cfr. G. LuCHETTJ, R. Belogi , Ancona pia zzaforte del Regno d ' Italia, in Studi storico militari 1990, Roma 1993 , pp. 542-543.

78 Da P. G. Guzzo , Le città , cit. , pp. 126- 127.

79 Da A. CASS I RAMELLI , Dalle caverne , cit., p. 41.

80 Da L. MA UCERI, Il Castello Eurialo ne lla storia e nell'arte, Catanìa 1981, p. 13.

8 1 Da L. MA UCERI, Il Castello ... , c it. , p. 14.

8 2 Da A CASSI RAMELLl, Dalle caverne , c i t. , p. 46.

81 Da L. MAUC ERI, Il Castello... , cit., p. 20.

LE FORTIFICAZIONI ITALIOTE

84 Da L. MAUCERI, Il Castello ...• cit., p. 48 .

85 I. O' AMBROSJO, Le fortificazioni di Poseidonia-Paestum. Problemi e prospettive di ricerca , in Annali dipartimeno di studi d e l mondo classico e del mondo antico -Archeologia e storia antica-Napo l i 1990, p. 7 I.

86 Cfr. P. G. G u zzo. Le città ... , cit., pp. 99-107.

87 Da I. D' AMBROSIO, Le fortifica zioni , cit., p. 73.

88 Da I. D' AMBROSIO, Le fortificazioni , cit., pp. 73 -75.

89 Da T. D' AMBROSIO, Le fortificazioni , cit., p. 75.

90 Da P. G. Guzzo, Le città , cit., p. 126.

91 Da Y. GARLAN, Recherches , cit., p. 252.

CAPITOLO QUINTO

Le macchine ossidionali*

Le tracce architettoniche

Dagli esempi, descritti negli ultimi due capito] i, è affiorata, dapprima confusamente quindi sempre più nitidamente, la reazione strutturale delle fortificazioni all'avvento delle macchine ossidionali. Da un lato , infatti , si rese indispensabile neutralizzare , per quanto possibile, le temibili potenzialità offensive di quei congegni, dall'altro, per quanto conveniente, adottarne alcuni per la difesa. [n entrambi i casi il repertorio formale , fino ad allora inalterato per l' intenninabile stasi evolutiva della tecnologia militare(!> , dovette adeguarsi alla rivoluzionaria realtà , originando una precipua architettura. Ovviamente non si trattò di un processo fulmineo nè , meno che mai omogeneo, ma gradual e ed irreversibile. In definitiva, potrebbe immaginarsi del tutto similare a quello che, circa due millenni più tardi, si innescherà con la comparsa della polvere pirica121 • Occorreranno anche in questo ben più progredito contesto oltre due secoli di espedienti e di elucubrazioni prima che i tecnici siano in grado di elaborare opere capaci di resistere ai cannoni ed, al contempo, di utilizzarli efficacemente per incrementare la propria inviolabilità. E, parimenti, mentre la completa valenza funz ion ale di tali fortificazioni si conseguirà soltanto in pieno Rinascimento, i prodromi della soluzione di continuità possono già individuarsi nelle mura trecentesche riscontrandosi, in quelle successive, tutte le tappe del perfezionamento delle artiglierie.

In maniera esattamente analoga le cerchie greche, ed italiote in particolare, hanno conservato nei loro ruderi la risposta architettonica alla sequenza evolutiva delle macchine ossidionali ed il definitivo superamento delle arcaiche procedure d'investimento, peraltro fino ad allora di scarsa conseguenzialità. Dalle

loro vetuste macerie, infatti, emergono impostazioni complesse e sofist icate del tutto incongrue alla tradiz ional e dinamica d'assedio ed alla insignificante reattività difensiva, di trascurabile proiezione esterna. Non a caso, negli esempi citati, è stata evidenziata la rilevante distanza fra le torri, di gran lunga eccedente I' ottimale sfruttame nto del tiro di fiancheggiamento, al quale, tuttavia, le stesse erano chiaramente finalizzate. J loro interassi, infatti, superavano ampiamente la gittata efficace degli archi coevi, la scia ndo vaste tratte di cortina prive della esiziale copertura. La spiegazione corrente , ovviamente, insiste su motivazioni economiche, cioè di esasperato contenimento degli oneri di costruzione persino quando, risaputamente, inficiante l'affidabilità globale della fortificazione. L a riflessione, quand'anche attendi bi le è però scarsamente plausibile e pertanto condivisibile soltanto parzialmente, so prattutto osservando un 'altra anomalia delle medesime cerchie, altrettanto ripetutamente evidenziata: il loro surdimensionamento perimetrale, non giustificato da alcuna impellente costrizione urbanistica.

In poche parole, il massimo risparmio sulla difesa attiva, ormai di indiscussa efficacia, e, per contro, il massimo sperpero per ampliare a dismisura quella puramente passiva. Difficile credere prioritario ed inderogabile l'inglobamento di sterili terreni mediante abnormi circonvoluzioni delle mura considerando che si trattava, abitualmente, di aree destinate ad un probabile svi luppo edilizio, ma lontano nel tempo. Meno credibile ancora ritenere che quegli appezzamenti fossero capaci di sostenere, per l'intera durata degli assedi , gli animali domestici. Più sensato, invec e, supporre che l'opzione di diradare le torri, certamente positiva per le finanze pubbliche , riuscisse praticabile proprio perchè non debilitava il fiancheggiamento, limitando -

lo magari a pochi settori critici, col rischio in tal modo di suggerire agli assedianti dove attaccare.

Ora, assodata la portata insufficiente del tiro degli archi e rilevate le caratteristiche dimensionali ed architettoniche delle torri in questione, è giocoforza subordinarne i loro eccessivi interassi, le ampie piazze sommitali, le s trombature e l 'a ltezza dal calpestio delle loro feritoie a settore obbligato, all'esistenza ed alla disponibilità di micidiali armi da lancio da posta, o da fortezza. Grazie alle loro considerevoli gittate, alla esattissima punteria ed alla facilità d'impiego, quelle antesignane artiglierie leggere, avrebbero consentito di 'spazzare' le mura da grandi distanze. Infatti, pur essendo indubbio che la cadenza di tiro di siffatti congegni fosse sensibilmente inferiore a quella dei provetti arcieri, la stabilità fornita dall'adozione di solidi affusti perme tteva , persi no a serventi scarsamente addestrati, centraggi s is tematici. Ogni cittadino, in definitiva , presc indendo dalla sua forza fisica, dalla sua attitudine militare e dal suo coraggio era in grado di impiegare tali macchine, incrementando così vistosamente il numero dei difensori attivi. Inoltre la potenza di cui disponevano imprimeva ai dardi energie cinetiche tanto rilevanti . da poter trapa ss are agevolmente corazze ed elmi, rendendoli perciò letali laddove le frecce non impensierivano. Pertanto, i brevi interassi fra le torri , indispen sab ili per gli archi, non avrebbero più avuto ragion d'essere , permettendo il diradamento.

Una ulteriore conferma della prese nza delle artiglierie meccaniche, sebbene in funzione meramente offensiva, si ravvisa ancora nella copertura delle torri e delle mura, già evidenziata nel precedente capitolo. Anche ipotizzando tiri fortemente arcuati, difficilmente le frecce avrebbero potuto abbattersi sugli spalti con densità tali da provocarne l'abbandono in massa dei difensori. Inoltre essendo l'ordinata massima della loro parabola di poco maggiore alla sommità delle fortificazioni, la ricaduta non avrebbe potuto fornire alle

frecce l'accel erazio ne necessaria per trapassare le armature.

Ovvio, pertanto , che questa seconda categoria di test imonian ze strutturali lasci addirittura intravedere l'avvento di una artiglieria meccani ca pesante, d'assedio, dalle prestazioni micidiali e d accurate, in grado di effettuare lanci parabolici di proietti di considerevole mole , capaci, questi sì , di maciullare assembramenti di difensori. Incompren si bile , altrimenti, in un ambito per giunta di esas perato contenimento dei costi, l ' immensa spesa richie sta per munire l'intero sv iluppo degli spalti, s pesso divers i chilometri, di robuste e durature tettoie.

Curiosamente entrambe le sol uzioni adottate dai Greci italioti, diradamento delle torri e copertura delle fortificazioni, non trovarono pari applicazione nell 'architettura militare dei Romani , se nza dubbio altrettanto consci delle minacce dell e artiglierie meccaniche. Le loro cerchie urbiche continuarono, fino alla dissoluzio ne dell'impero , a mantenere sca nsioni fra le torri non eccedenti la trentina di metri, e non contemplarono, abitualmente, l'impiego di tettoie continue. É probabile che i ridotti interassi dipe sero, eminentemente, dall 'es igenza di di sporre di un maggior volume di tiro, ovvero di più macc hin e da lancio di minori dimen s ioni , implicanti a loro vo lta piccole quanto frequenti torri. Ma è altresì probabile r avv isar e, sempre nella medes ima ri so luzione , una maggiore di s ponibilità economica ed umana , ovvero ri sorse finanziare meno limitate, per opere comunque di gran lunga meno onerose, ed abbondanza di cittadini addestrati alle armi. Senza contare l'ine s istenza di nemici tecnicamente evoluti, ed il ruolo di sbarramento delle difese di frontiera.

Una ulteriore motivazione potrebbe ravvisarsi ne lla disistima da parte romana della più evoluta concezione polemologica italiota, che soltanto con il diffondersi del cristianesimo troverà anche nell'impero piena adozione, divenendo da allora la nota di s tinti va della civiltà occidentale. Per la stessa, essendo la guerra una

I NGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN !TALIA

sciagurata necessità, il minore dei mali consisteva nel potenziare le difese piuttosto che il numero dei combattenti. Fu , in definitiva , la medesima concezione che si generalizzò molti secoli dopo nell'irriducibile confronto con il mondo islamico, avara di uomini quanto prodiga di mura e cannoni. Rappresentò perciò la perfetta antitesi di quella orientale che riguardò la guerra come una delle massime attività umane, con assoluta indifferenza per lo sperpero di vite. Nessuna meraviglia che presso le armate sultanili, gli assedi si trasformassero sistematicamente in allucinanti mattanze , le cui perdite abitualmente eccedevano di molto quelle degli sconfitti. Le inesauribili potenzialità demografiche evitarono il collasso ma evitarono pure qualsiasi interesse per le innovazioni tecnologiche , determinando l'inesorabile marginalizza zi one culturale delle società musulmane 0 >

Per meglio esemplificare quanto delineato è il caso di ritornare brevemente ad alcune delle già citate fortificazioni della Magna Grecia. Ri su lta così s ubito evidente che:" ... il Castello Eurialo a Siracusa fornisce il migliore esempio di un sistema difensivo avanzato progettato per proteggere un fronte limitato e per funzionare autonomamente. Esso costituisce un caposaldo munitissimo in grado di interdire quella che altrimenti sarebbe risultata una fin troppo facile via di penetrazione all'Epipole. Non ci sono difese adiacenti abbastanza vicine da fornire alcun appoggio. Perciò nel suo disegno finale, che fu probabilmente opera di Archimedec 4 >, Eurialo disponeva di strutture permanenti in pietra e di tre fossati, disposti in linea di massima nella maniera raccomandata da Filone di Bisanzio.

Le differenze fra le loro dimensioni e le prescrizioni del trattatista, infatti , possono ascriversi alle condizioni ambientali. Le opere avanzate, entrambe dietro il fossato interno ed il fossato centrale, senza dubbio contenevano postazioni per l'artiglieria ad un livello molto più basso della batteria principale, postata sulle famose cinque torri, linea estrema di resistenzac 5 >.

Se un aggressore fosse stato abbastanza demente da lanciare un attacco all'Eurialo, i suoi uomini e l e sue macchin e ossidionali, mentre avanzavano dal c ig lio del fossato esterno, avrebbero potuto essere battuti da una qual s ias i cata pulta della batteria prin c ipal e delle cinque torri e d e i fossati. Inoltre, la forza attaccante sare bbe stata anche esposta al tiro di sbarram e nto per tutto il tempo che avrebbe impiegato per attraversare faticosame nte il primo fossato nonch è la fasc ia inte rmedia fra quello ed il s uccessivo, di circa 90 mdi es te ns ion e. E se g li assalitori, miracolo sa mente, c i fo ssero riu sci ti avendo trovato il fossato es te rno privo di difesa, sareb bero stati a quel punto sufficientemente vic ini per evitare i tiri della batteria principale ; ma, allorq~ando avrebbero tentato di attraversare il fossato interno avrebbero avuto di front e le b a li ste piazzate nello stesso, in grado di concentrare s u di loro un violentissimo tiro radente.

Incidentalmen te le mi s ure prescritte da Filone per un s istema di tre fossati possono fornire un ulteriore riscontro per la larghezza della fascia di terreno antis tante la cortina principale, qu e Jla c he non poteva essere battuta dall e catapulte po state sulla s tess a o sull e sue torri. La controscarpa de l fossato esterno, infatti, si sarebbe do vu ta collocare a circa 70 m. dal muro d e lla città. li dato s ug geri sce l ' impossibilità per le artiglierie postate sulla cerchia e sulle torri di tirare a bersag li più vicini di tale distan z a. Ovvio , quindi , che l'ultimo fossato fosse pos izionato per prevenire una penetraz ion e del nemico al di là della principale copertura di difesa dell ' artiglieria.

La suddetta s ituazione comunque rappresenta una s oluzione eccezionale ... [in casi più frequenti come] a Perge e a Paestum, per esempio torri contigue possono agevolm e nte appoggiars i reciprocamente [in particolare] può essere facilmente osse rvato che so ltanto una stretta stri sc ia di terreno, aderente alla base delle torri e larga circa 6 m, non è coperta dall'artiglieria difensiva. Nessuna necessi tà pertanto di ricorre re a batterie fra le opere avanzate e que sta . Ci s i as petta, inol -

LE MACCHINE OSSIDIONALI

tre, che il fossato interno in un tale sistema possa essere molto più vicino alla base del muro dei 35 m raccomandati da Filone. Ora la sezione rettilinea delle mura settentrionali di Paestum, dispone di otto torri i cui interassi variano da un minimo di 70 m a poco più di 100 ... [proprio antistante ad esse] nel 1961 fu scoperto un fossato, con andamento parallelo, il cui ciglio interno era a circa 5-6 m di distanza. Il fossato, a sua volta, misurava 20 m da sponda a sponda, contro i 30 prescritti da Filone, con una profondità di 8 contro i 9 dello stesso autore. L'artiglieria sulle otto torri poteva agevolmente battere ogni pezzetto di terreno compreso fra il ciglio esterno del fossato e l'estremo della loro massima gittata, pari a circa 350 m. Le batterie di catapulte al livello del terreno, nello stretto spazio fra la base del muro ed il fossato, non avrebbero potuto accrescere ulteriomente l'estensione della copertura " (6)

Pertanto il contemporaneo ampliarsi a dismisura ed allontarsi dal piede delle mura dei fossati , come pure l'incrementarsi della scarpatura e la diradazione delle torri, non può ascriversi semplicisticamente a remote incoerenze, appagate da sterili surdimensionamenti estetici. Sono, invece, le più vistose conseguenze della rielaborazione delle fortificazioni, l'accennata risposta strutturale alla radicale mutazione poliorcetica, le cui prime incerte manifestazioni sembrano potersi collocare tra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C.

Cronologicamente, infatti: " ... « fu solamente a partire dall'inizio del IV secolo che iniziò a verificarsi una seria evoluzione. Si procedette ancora molto lentamente sino a che i successi folgoranti riportati da Filippo il Macedone e da suo figlio Alessandro aprirono gli occhi a tutti». In precedenza le tecniche della poliorcetica e quelle riguardanti le macchine da gue1Ta erano veramente rudimentali, ancorchè si facesse uso di macchine delle quali le nostre fonti documentarie hanno cura di fare menzione. É probabile che si trattasse ancor di arieti " (7) Più in dettaglio è molto probabile che le: " ... prime macchine da lancio semplici balestre o già

basate sul principio della torsione furono inventate nel 399 dagli ingegneri greci che Dionigi il Vecchio aveva fatto venire a Siracusa per riprendere la lotta contro i cartaginesi. Si diffusero poi lentamente in Grecia nella prima metà del IV secolo e infine, a ritmo accelerato , in Macedonia al tempo di Filippo e di Alessandro. A quest'epoca risale, se non l'invenzione, almeno il miglioramento dei congegni a tors ione , come testimonia l'utilizzazione dei petroboli durante l ' assedio di Tiro, nel 322. É più difficile precisare, invece , il seguito di questa evoluzione fino all'inizio dell ' impero romano, anche se è probabile che abbia comportato notevoli perfezionamenti nei particolari: intorno al 275, per esempio , si sarebbe iniziato a regredire tabelle di calibratura, che stabilivano rapporti fissi tra il diametro delle matasse di propulsione , la lunghez za o il peso dei proiettili e le dimensioni delle diverse parti della macchina. Comunque , fu in epoca ellenistica che si fece uso dei pezzi di artiglieria più gro s si che il mondo antico abbia conosciuto, capaci di proiettare frecce di 4 cubiti(= 1,85 m) e palle di 3 talenti (78 kg) a una distanza che variava fra i 100 e i 300 metri "(8) Di certo a partire dagli inizi del IV secolo, s ignificativamente, presero a comparire, a diversificarsi, a perfezionarsi ed a diffondersi rapidamente, le macchine d'assedio. Ben presto si bipartirono in due distinte tipologie: da urto e da lancio. Se nella prima di es se permane l'ariete, la cui invenzione si perde nella notte della preistoria, è nella seconda, ovvero nella capacità, assolutamente impraticabile sino ad allora, di battere con violenza le mura e , soprattutto, i loro difensori da ragguardevole distanza, che la poliorcetica del IV secolo s egna una netta rottura con il pas s ato. Lo s te ss o ariete del resto, per millenni ingenuo congegno di percussione, ricevette nel periodo in questione migliorie e potenziamenti tali da renderlo solo concettualmente affine ai remoti archetipi, ma talmente temibile da costringere a cospicui adeguamenti alla parte basamentale di qualsiasi opera difensiva.

I NGEGN O E
URA
FORTLFICAZ ION I IN ITALI A
PA
TRENTA S ECOLI DI

Diversificazione delle macchine ossidionali

Sebbene tutti i congegni, più o meno grandi, impiegati neglj assedi vengano correntemente ricordati quali macchine ossidionali, definizione generica di cui per comodità e per mancanza di precise informazioni ci siamo fin qui avvalsi, a partire dall'epoca dei precedenti esempi non è ulteriomente utilizzabile. Del resto le stesse fonti, sia pure lacunose ed incomplete, da quel momento iniziano a fornire in merito pedanti descrizioni e minuziose differenziazioni tipologiche, in relazione alle precipue caratteristiche strutturali ed operative di siffatte armi. E proprio in ossequio a tanta precisione va osservato che la già esposta suddivisione fra 'urto' e 'lancio' non può, pertanto, ritenersi tecnicamente corretta.

Tutte le macchine, infatti, producevano in qualche modo un urto, sebbene agendo da distanze notevolmente diverse. La vera differenza era semmai nel contatto o meno fra la macchina ed il suo bersaglio: l'ariete e la cortina al momento della percossa aderiscono strettamente, non così invece la balista, che rimane sempre nettamente distaccata dal punto d'impatto, incaricandosi il proietto di trasportarvi la sua energia cinetica. Pertanto mentre l'urto di un ariete è ancora antropomorfo, concretamente analogo ad un pugno, quello di una palla di balista lo è ormai soltanto figuratamente. Nonostante ciò già in una commedia di Plauto s i può leggere:

" Meus est ballista pugnus, cubitus catapulta est mihi"< 9 •

Esaurita que sta basilare puntualizzazione, sotto il profilo cronologico l'accennata suddivisione fra macchine da urto o da lancio, costuisce già una fase abbastanza tarda rispetto all'avvento delle stesse. La più arcaica, infatti, può so ltanto distinguerle in base alla loro diversa maniera di tentare di aver ragione delle fortificazioni, ovvero se di tipo elusiva o di strutt iva. Alla prima vastissima categoria appartenevano le

arcaiche scale d'assedio, i più sofisticati 'tollenoni' ed anche le grandi torri ambulatorie, oltre ad un nutriti ssimo repertorio di congegni, più o meno occasionali, tutti però miranti allo scavalcamento delle mura senza nemmeno tentare di brecciarle.

Nella seconda, di gran lunga più variegata e composita, rientravano invece le macchine de stinate a sfondare le fortificazioni, a demolirne le sovrastrutture, ed a tacitarne ogni reazione difensiva. Fu soltanto seco li dopo, grazie ali' assoluta preminenza guadagnatasi nella conduzione degli assedi, che la categoria ricevette, ad opera dei trattatisti, la classica bipartizione in macchine da urto e da lancio. Tuttavia nell'ambito di quest'ultime, mentre sin dal IV sec. quelle impiegate nel tiro antiuomo, nella difesa o nell 'offesa, fornirono prestazioni sostanzialmente simili per letalità e modalità d'impiego alle moderne artiglierie leggere, quelle destinate a battere le strutture richiesero u·na ben più lunga gestazione, senza peraltro attingere mai esiti distruttivi appena paragonabili persino a quelli delle più rudimentali artiglierie d'assedio a polvere. Nessuna balista, infatti, per potente che fosse stata avrebbe mai potuto sgretolare una muraglia per debole c he fosse stata. Il suo compito si riduceva, e non era affatto insignificante, a tener lontano i difensori dalla sezione battuta dagli arieti, a distruggere le loro contromacchine e le protezioni posticce.

Scendendo ulteriormente in dettaglio fra le macchine da urto rientravano , oltre agli arieti, di tutte le fogge e le dimensioni, anche congegni meno usuali, quali 'trapani', arpioni e palanchini giganti per svellere conci di pietra, per sgangherare porte, per strappare merli, eccetera. Per la stretta contiguità operativa possiamo includere fra le stesse anche macchine 'passive', quali le 'test uggi ni ' o le 'vinee', sorta di corazzature collettive mobili, immancabilmente impiegate per la protezione degli arieti e dei loro serventi dal tiro piombante degli assediati. É interessante ri cordare, che tutta la menzionata categoria di macchine, a differenza di

LE MACCHINE
OSSIDIONALI

quelle da lancio trovava, per ovvie ragioni, impiego soltanto da parte degli attaccanti. Le artiglierie meccaniche, quelle definite 'leggere', invece, sebbene di indifferenziata validità, riuscivano di gran lunga più efficaci in funzione difensiva , per vari ordini di motivi. Innanzitutto tirando attraverso sottili feritoie risultavano in pratica invulnerabili; secondariamente, non dovendosi spostare, potevano impiegare affusti più pesanti e stab ili, premessa di precisione nella punteria e veloc ità nella cadenza; infine essendo i loro bersagli costituiti da nuclei di attaccanti, bassi, immobili ed inermi ai dardi, garantivano letalità altissime.

P e r concludere è agevole osservare che, sebbene tutte le menzionate macchine permasero nei contesti ossidionali per quasi venti secoli, so ltanto quelle da lancio introdu ssero defini zioni d'impiego tutt'oggi vigenti, quali set tori di tiro, defilamento, copertura balistica, traiettorie incrociate, appoggio reciproco delle opere, cadenza di tiro, angoli di alzo e di brandeggio, gittata efficace, massima depressione, ecc., tanto per citare le principali. Ovviamente all'epoca ebbero altre designazioni, altre identificazioni: il mutare della lin gua però non ne ha minimamente alterato i rispettivi s ignificati, adottati ed adattati

immediatamente dalle artiglierie a polvere. Tale invarianza giustifica, e consente, nonostante le precisazioni esposte, di applicare nei loro confronti, oltre al termine generico di ' artiglieria', una delle sue tante qualificazioni moderne quali , leggera, pesante, campale, da piazza, navale , ecc., ricavandone, di volta in volta, una adeguata connotazione della partico lare arma in esame. La licenza se nza dubbio non ortossa, ed apparentemente anacronistica, evitando, per quanto possibile le astruse nomenclature coeve quali, gastrofete, balista, scorpione, onagro, catapulta, trabucco, mangano , arcobalista, carrobalista , ecc., favorisce però una più immediata percezione e valutazione funzionale.

Un'ultima annotazione va riservata alle tante macchine composite che comparvero in quel medesimo scorcio storico . Si trattava normalmente di aggregati capaci di sfruttare s u di un unico supporto, quasi sempre mobile , le prestazioni dì più congegni. Si ebbero così to1Ti dotate alla base di mieti ed in sommità di catapulte, come pure testuggini al riparo delle quali tiravano baliste e sco rpioni. Indi s pensabile pertanto tracciare , almeno delle principali tipologie, delle esaurienti descrizioni, sulla falsariga delle fonti.

128 Bassori lievo di assedio con scale I NGEGNO E PA URA TRENTA SECOLI DI FORTIFI CAZIONI IN ITALIA

Scale d'assedio

L ' umilissima scala a pioli, rappresenta, senza dubbio, nella connotazione elementare il più antico congegno per violare le fortificazioni. Per millenni lo scavalcamento costituì oltre all'insidia, di cui leggendaria quella del cavallo di Troia, l'unica possibilità di penetrare ostilmente all'interno di una cerchia. La scala, quindi, se non ne garantì l'esito ne agevolò il tentativo. Quale minaccia abbia costituito quel modestissimo attrezzo nella storia delle fortificazioni lo dimostra lo scrupolo con cui, ancora alla fine del '700, si evitavano cortine di altezza inferiore ai 7 m, canonizzato limite operativo delle scale<101 !

Pur essendo a chiunque notissima nella sua versione domestica, quelle propriamente d'assedio se ne discostavano alquanto per la larghezza, per la robustezza e per l'interasse dei pioli. Dipendendo la conquista di uno s palto dal numero di attaccanti in grado di giungervi contemporaneamente, una singola scala doveva consentire a più uomini di salirvi affiancati, nel minor tempo possibile. Al pari dell'altezza però anche la sua larghezza non doveva eccedere un preciso limite, circa 4 m, poichè altrimenti sarebbe risultata troppo

pesante per esse re issata e troppo fragile per il potenziale carico. La difficoltà, a prima vista, ammetteva una apparentemente ovvia logica soluzione: aumentare il numero delle sca le riducendone al massimo le dimensioni. Gli esempi, certamente non mancano, ma si trattò se mpre di ripieghi occas ionali e d'urgenza. Scale molto strette, indubbiamente facili da approntare in discreto numero e da maneggiare, s i dimostravano altrettanto facili da abbattere. La loro stab ilità laterale, infatti, soprattutto quando gli attaccanti ne raggiun-gevano la sommità, era estremamente precaria, per cui sp ingendole, con un rudimentale forcone da fieno, a destra o a sinistra, rovinavano immediatamente. Per contrastare la difesa se ne realizzarono di uncinate in modo da avvinghiarsi alle merlature, ma il rimedio non risultò vantaggioso.

Tollenoni

Per frustrare la minaccia delle scale d'assedio la fortificazione iniziò, ben presto, ad adottare ingegnose soluzioni. Le mura, ad esempio, si munirono di sporti e di protuberanze che ne impedivano il saldo appoggio, constringendo gli attaccanti a disporle con una scarsa pendenza, causa di forti osci Il azioni e repentine rotture. Ma fu l'incrementarsi abnorme del1' altezza delle delle difese che finì per relegarle ad impieghi sporadici, affidando, negli assedi meglio organizzati, ai tollenoni, il loro tradizionale compito. Questi, in dettaglio, erano costituiti da un s uppo1to verticale, abitualmente un grosso palo saldamente infisso nel terreno, e da un lungo braccio, ad esso congiunto nella parte centrale tramite un doppio snodo, capace di ruotare orizzontalmente e verticalmente. Alla sua estremità stava collegata una capace 'navicella' di vimini, dotata , a sua volta, di un secondo snodo, necessario a garantirle la verticalità, qualsiasi inclinazionazione assumesse il braccio.

LE MACCHINE OSSIDIONALI
129 Tollenone M ACCHINE DA SCAVALCAMENTO E D'AVVICINAMENTO
ING EGNO E
IN
PAURA TRENTA S ECOLI 01 FORTIFI CAZIONI
ITALIA 130
Ri coslr uzione de ll a torre ambu latoria se m ove nte e co razza ta di Dem e trio Poliorcete

OSSIDIONALI

All'interno prendevano posto un discreto numero di attaccanti che, senza alcuna fatica da parte loro, il congegno deponeva direttamente sulle mura, in maniera del tutto simile a quanto avviene con le attuali piattaforme a sollevamento idraulico. La forza motrice , ovviamente, la forniva una squadra di serventi tirando verso il basso, con numerose funi, l 'altra estremità del braccio. L'invenzione del congegno viene correntemente attribuita a Diaclet11l, uno degli ingegneri militari al servizio di Alessandro.

Torri d'assedio

La soluzione ottimale dell'esigenza si conseguì però con le torri ambulatorie, o mobili o d 'assedio , che coniugavano alle prestazioni delle scale, quella della piattaforma di tiro, sovrastante a qualsiasi struttura assediata. Per i Greci furono le 'elepoli', cioè le conquistatrici delle città, esplicita testimonianza del ruolo risolvente guadagnatosi negli assedi. Da un punto di vista funzionale una torre d'assedio si può assimilare ad un tralicci.o mobile di legno, di notevole altezza. per lo più superiore a quella delle torri assediate.

La macchina , quindi , almeno negli esemplari più semplici, non presentava rilevanti comp lessi tà strutturali o meccaniche. ridu cendosi, in definitiva, ad un insieme di quattro scale, dagli spigoli uni ti fra loro, con un impalcato sommitale.

Ed è molto probabile che tali siano stati i suoi archetipi, inunutati per secoli, rivelatisi sin dall'inizio, perfettamente idonei allo scopo, sebbene eccessivamente vulnerabi li , non occorrendo agli assediati notevoli sforzi per rovesciarli o dargli fuoco. Della concezione originar ia, in età classica permase la pianta quadrilatera, innestata però su di un robusto telaio sostenuto da rotelle, o più frequentemente da rulli, in grado, sia pur lentamente e su superfici abbastanza

lisce, di consentirne l'accostamento alle mura. Verticalmente la torre d'assedio venne s uddivi sa in diversi piani , in media uno ogni 3 m circa, che fungevano e da ballatoi per le rampe di scale che conducevano alla s ua sommità, e da piattaforme per gli arcieri e per le anni da lancio. La s ua superficie anteriore, e spesso persino quelle laterali, erano abitualmente rivestite con pelli fresche o, sporadicamente, con piastre metalliche, in maniera da proteggere gli attaccanti dal tiro degli assediati e la torre stessa dai dardi incendiari, che continuavano a rappre se ntare la sua principale minaccia. In cima stava la piattaforma d 'a ttacco, equivalente alla piazza di copertura delle torri in muratura, al pari di que11a munita di coronamento merlato e, quasi certamente, anche di copertura a due s pioventi. La vera differenza s i coglieva nel ponte volante di cui era sempre dotata, identico per forma e funzione ai celebri 'corvi', con i relativi ros tri di presa.

L'impiego delle torri implicava una fase di avv icinamento che, come accennato, 1iusciva possi bile soltanto su apposite piste accuratamente preparate. Allo sc opo s i adottarono, migliorandol e , le remotissime rampe d'assalto. Ne ll ' antichità: " la costruzione di una rampa d'assalto fu fatta sempre nello stesso modo: cioè a forza di lavoro, coi materiali sotto mano e badando che il terreno ripo11ato non cedesse durante 1'assedio ... "< 12i Stando a Tucidide nel 429 nel corso dell 'ass edio di Platea i Peloponnesiaci:

' ' Laglialo il leg nam e dal Citerone. elevarono una costruzione ai due lati del terrapieno, po sta a cro ce davanti ai !ianc hi perchè il terrapieno non si ap1isse pe r un largo tratto: vi port aro no legname e pietre e terra e tutto quello che, gettato sulla costruzione, avrebbe dovuto terminarla. El evaro no tutto ciò per dieciassette giorni e pe r allreltante notti continuamente, dividendosi a turno per il riposo. sicchè gli un i portavano il materiale , gli altri prendevano sonno e cibo :·,, J,

LE MACCHINE

Di tali grandiose opere, le cu i prime testimonianze archeologiche certe, risalgono al V secolo , ci sono pervenuti ben conservati gli esempi maggiori, fra i quali sp icca la rampa realizzata dai Romani a Masada nel 73 d. C., lunga oltre m 200 per un dislivello di m 90, con una pendenza quindi prossima al 50%.

Tornando alle torri mobili, esaurita la costruzione

molto probabile che si sia trattato piuttosto di un perfezionamento del congegno di posizionatura che di un vero apparato autopropulsi vo. In ogni caso, allo scopo: " ... fra le travi del telaio di base era no state disposte delle grandi ruote , forse del tipo di quelle a gabbia di scoiattolo, sicuramente in posizione verticale, che azionate dalla forza umana, erano in grado di trasmettere la rotazione alle ruote motrici della della pista, spesso una rampa a forte inclinazione, si toTTe." <15 l _ portavano ad accostare alle mura. Il tragitto veniva Circa la violenza della reazione degli assediati compiuto in tempi considerevolmente lunghi, ed durante l'avvicinamento delle torri, in particolare del essendo ovvio che per fermare il loro avanzarsi occor- loro tiro incendiario contro le stesse, basti considerare reva incepparne il 'motore', il tirare ai disgraziati che uno degli espedienti più crudelì, quanto ricorrenti, avvinti alle funi di traino, rappresentava la soluzione per tentare di bloccarlo era del tipo di quello messo in difensiva per antonomasia. atto, nel 307 a. C. , da Agatocle dinanzi ad Utica, allorLe fonti ci tramandano delle innumerevoli squadre quando: " ... fatta costruire una torre, vi legò innanzi i di serventi adibiti a quel massacrante e pericolisissi- prigionieri e la spinse contro le mura " <16l Ovmo compito: non a caso spesso si costringevano ad viamente, nel frattempo, anche le armi della torre si assolverlo i prigionieri di guerra. Ma essendo anche prodigavano in un rabbioso controtiro, cercando di agli attaccanti perfettamente nota la procedura osta- allontanare i difensori dalle mura, o almeno di attetiva, nella maggioranza dei casi, sebbene la soluzione nuarne l'intensità dei lanci. comportasse maggiori fatiche, le torri più che tirate Completata la manovra di accostamento, posizionaveni vano spinte, distribuendo i serventi al riparo della ta con estrema accortenza la torre , essendo indispensaloro mole. La fase peggiore consisteva, però, nel con- bile che la sua distanza dalle mura non eccedesse la seguimento della precisa p osizionatura finale delle lunghezza del 'corvo', gli attaccanti penetravano, ordistesse, ad immediato ridosso delle mura e, per giunta , natamente al suo interno, saturandone ogni piattaforin evitabilmente di esasperante lentezza. Non a caso , i ma , protetti e nascosti dal rivestimento ignifugo. Fatti modelli più evoluti di torri ambulatorie, erano dotati allontanare con nugoli di frecce i difensori dagli spalti, di appositi congegni interni mediante i quali erano in inchiodato il ponte al parapetto, i primi ad avventarvigrado di compiere autonomamente i piccoli sposta- si, sotto la copertura degli arcieri, erano gli uomini menti richi esti dall'operazione. É interessante, al schierati sulla piattaforma sommi tal e, avvicendati in riguardo, ricordare che nel 291 a. C. per prendere rapida sequenza da quelli delle sottosta nti. Nel giro di Tebe, Demetrio Poliorcete utilizzò una torre: " ... ma- pochi minuti si riversavano sulle mura centinaia di novrata per mezzo di leve con tanta difficoltà e len- soldati, il cui numero eccedeva, specie nei casi di tezza, per il suo peso e la sua mole, che avanzò appe- assalto sincrono di più torri, quello dei difensori con na di due stadi (circa 380 m) nell'arco di due es iti irreparabili. mesi " c 14 l _ Da un punto di v ista cronologico sappiamo, s tando Sembra pure che in casi eccezionali si progettare- a Diodoro c17> che nel 397 Dionisio il Vecchio fece no addirittura torri ampiamente semoventi. Ma è spingere sulla rampa d ' assalto costruita a Mozia, torri

[NGE GNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFlCAZION I IN ITALIA

mobili a se i piani. La loro altezza superava quella delle case, ed erano dotate di ponti volanti, in modo da poter irrompere nella città cartag in ese, proprio dal tetto delle abitazioni. Sappiamo ancora che nel 340 a.C. Fi lip po II di Macedonia era in grado di impiegare torri d 'assedio di circa 37 m di altezza che: " superavano di molto le torri della cerchia di Perinte e dalla loro sommità i Macedoni ridu ssero a mal par;ito gli assediati ... " 118>

Anche il fig l io Alessandro ne utilizzò, di dimensioni probabilmente simili, contro l e mura di A li carnasso, tanto che gli stessi assediati, nell'estremo tentativo di dominarne la minaccio sa piattaforma sommitale, si videro costretti, ad e l evare rapidamente una controtorre di ben 46 mdi altezza. Sempre tramite Diodoro, e sempre a ca rico d e l m e de s imo arco storico , ci giunge notizia di due torri di legno, al te circa 47 m, postate sul mo lo di Tiro e dotate di una protez i one antincendio consis tente in un rivestimento di pelli fresche. La so lu zio ne, nei seco li s uccess ivi, diverrà canonica non fosse a l tro che per la sua conveni enza in un contesto, quale quello degli assedi, dove di animali macellati per le trupp e dovevano co ntarsene a migliaia.

Non mancavano, infine, torri d'assedio ga ll eggianti, ovvero in stallate su appositi pontoni per favorire l'accostamento da mare: la manovra, grazie alla spinta di ga ll egg iamento ed alla orizzontalità dell'acqua, doveva riusci re di gra n lunga più agevole c h e in terra, e lo spegnimento degli even tu ali incendi più rapido.

Secondo l'Anonimo di Bi sa nzio, t rattatista di straordi naria reputazione nell 'an ti chità, i celebri ingeneri militari Diade e Che rea:

" ... costruivano le loro torri più piccole con una altezza pari a 60 cubiti (m 27.7), dandogli per ba se un quadrilatero con larghezza e lunghezza uguali, pari a 17 cubiti (m 7.8), dividendole in dieci piani, dei quali il più alto si restringeva per formare un quadrato che, in rapporto aJia

base, rappresentava un quinto di quella definita ·superficie portante·, vale a dire il terreno delimitato dai quattro lati ...

Quanto alle loro torri più grandi. le realizzarono ~uperiori di circa la metà delle precedenti, di quindici piani e di altezza di 90 cubiti (circa 41.6 m); ma gli stessi ne fecero anche di doppie delle precedenti. di venti piani. alte J20 cubiti (circa 83.2 m); ciascuno dei lati di base, nel caso di torri doppie, misurava 24 cubiti (circa 11. I m).

Costruivano tanto le torri grandi quanto le piccole secondo identiche proporzioni, aumentando e diminuendo le tre dimensioni dei pezzi di legno, ovvero la loro lunghezza, la loro larghez7a ed il loro spessore: alla medesima maniera operavano la suddivi,;ione dei piani in fun;,ione dell'altena. Le costruivano a sei ruote, e qualche vo lta ad otto in ragione della grandezza della loro mole. Per tutte queste torri ridussero ~empre la sommità ad un quinto della superficie di base

E siccome le 1ravi centrali e laterali sono rare eia trovare a causa dell'entità della loro lungheaa. è indispenc;abile seguire Di ade e Cherea. e dare ai montanti una sezione quadrata di 12 dauili (circa 23.1 cm), più stretta in sommità: e soprattutto alle travi laterali, che saranno perfettamente adattate alla grandeua che si vuole dare a que~to tipo di torre

Per ciò che concerne la diMribuzione dei piani e la loro altena, Di ade e Cherea. la misurano in cubiti. dando al p1imo piano a partire dalla base un' allena di 7 cubiti e 12 dattili (circa 3.46 m); a ciascun piano superiore un·a1tena di soli 5 cubiti (circa 2.37 m): e a ciascuno dei piani rimanenti un altezza di 4 cubiti e 1/3 (circa 2 m). Lo c;pessore tota le dell'impalcato d ei piani e la parte inferiore della piattaforma, come il tetto superiore. erano compresi nel calcolo dell'altezza. Alla stessa maniera nella torre più piccola, la distribuzione dei piani si faceva nella medesima proporzione in rapporto all'altezza... ·••

.!,E MACCHINE
OSSIDIONALI
1• 1 •

Nella tra scri zio ne del medesimo brano, compiuta da Vitruvio, è poss ib ile individuare ulte rio ri e lement i dim ensional i, qu a li l a l arghezza dei montanti per l e torri più piccole, p a ri a cm 23 ed a cm 31 per quelle doppie , che si ridu cevano in sommi tà a soli cm 15 . Quanto a lla larghezza per que st' ultim e è fatta ascendere, dallo s te sso autore, a m 10.8. E sempre Vitruvio parla di torri finestrate, cioè munite in c iascun piano di feritoie aperte nel rivestimento, come pure, ma solo nelle maggiori, di una galleria este rn a. Ad essa, che correva lungo il perimetro di ogni piano era affidato l o spegn iment o di eve ntuali principi d'incendio.

N e l 304 D eme trio Poliorcete fece cos tru ire, stando a ancora una volta ag li sc ritti di Diodoro , una gra ndi osa torre d 'ass edio per conquistare la città di R odi. Così lo sto ri co ce ne tramand a la costruz ion e e le caratterist ic he:

" ~opo di aver p repara to una grande quantità di svariati materiali, fece costruire una macchina chiamata E lepol i, di una grandezza notevolelmnte superiore a quelle fino ad allora note. Di ede infatti a c i ascun l ato d e lla sua piattaforma quadrata un a l unghezza di circa 50 gomiti ( m 23 L), realizza n9ola mediante un assemblaggio di montanti di leg no a sez ione quadrata legati co n ferro; divise lo spaz io interno tramite travi distanti l'una dall'altra circa un gomito ( cm 46.2), in maniera che vi pote sse ro predere po s to quelli incaricati di cond urre innanzi la macch in a. Tutta questa mas sa era mobile, sosten uta da otto ru ote , so lide e di grandi dimen s ioni;i lo ro cerchi infatt i erano larghi 2 gomiti ( cm 92.4) rivestiti da robuste pias tre di ferro. Per la tra sl azio ne laterale era s tata dotata di inverti to ri , grazie ai q ual i l ' insieme de ll a macchina pote va facilmente esse re m ossa in qualsiasi direzione. Ag li sp igoli aveva dei pali di lunghezza uguale, di poco inferiore ai 100 gom it i (46 .2 m), a i quali era s tata impartita una inc lin azione tale che, in questa costruz ione che comprend eva in tutto nove piani. il primo aveva una s up erficie di 43 akaines (c irca 130 mq) e l ' ultim o di 9 (c irca 30 mq). Tre lati della macchina furono

ri vestiti esternamente co n piastre di ferro chioda te , affinchè i dardi incendiari non potessero arrecare alc un danno.

I piani, dal lato de l nemico, disponevano di finestre, la cu i grandezza e forma erano adatte alle caratteristiche delle macchine da lancio che vi si voleva no porre in batteria; queste finestre avevano dei porte lli che si so llev avano tramite un congegno e che assicuravano la protezione di quelli , che nei vari piani erano adib it i al servi zio della macchine da lancio, poichè erano riv est iti di pelle ed imbottiti di lana, per a mmorti zzare i colpi delle baliste lsi tratta di un dispositiv o sim il e ai portelli di murat a dei vascelli a ve la del XVlII sec. n.d .A.]. Ciasc un piano aveva due sca le: una di esse serviva pe r inn a lzare i materia li necessari, l'altra per d iscendere, in mod o che tutto s i svolgesse con i l mass im o ordin e. Quelli che avevano l'incarico di far avanzare la macchina erano s tati sce lti nell' int ero eserc ito per la loro forza ed erano in numero di 3.400; alcuni di loro stava no posizionati a ll 'interno, altri più indietro, s ui lati , e tutti s pingevano avanti la ma cchina, il c ui movimento era fortemente agevo lato da congegni meccan ic i. "120>

Di tali colossali macchine è intuibil e il peso : stando a Vitruvio quella appena descritta, alta circa 42 m , raggi un geva l e 360.000 libbre, ovvero J20 tonnellate. E non s i t rattav a, per quanto detto, di una delle maggiori. Il dato tuttavia introduce un 'a ltra indi spensa bil e osservazione, c irca la s tab ilit à di s i ffa tte strutture. La punti gliosa indi cazione, tramand atac i da tutti i tratt ati st i dell 'a ntichit à, s ulla ridu z ion e della s uperfici e delle pi attafo rme a l crescere della loro altezza da terra, o ltre a fornirci per tali torri un a connotazione geometrica di tipo tronco-piramidale quadrata, ci testimoni a l a precisa valutazione dei ristrettissimi ambiti dell a loro stabili tà vertica le. P o ic hè un a costru zione a montanti di legno , inclinati uniform ente verso l ' interno , è particolarmente co mplic ata da eseg uire, è indubbio c he la ragione di tanta accortenza deve ricercarsi proprio nell 'es igen za di garantire a quelle ve11i ginose st rutture la mas s ima tolleranza alle inevitabili oscillazioni provocate da l movim ento.

ING EGNO E PA URA TRENTA SECOLl DI FORTIF ICAZIONI IN ITALIA

Supponendole, infatti, con le facce perfettamente verticali, ovvero parellepipede quadrate, per un'altezza pari a 30 m su di una base di 10 m, sarebbe bastata una pendenza di un qualsiasi lato anche di soli 20°, per provacarne l'abbattimento. L'angolo che su terreno pianeggiante appena battuto sembra, apparentemente, irrangiungibile, si manifesta in tutta la sua conseguenzialità allorquando l'avvicinamento avviene su rampe inclinate, bastando per attingerlo una loro monta del 30%, valore, come già osservato, per nulla eccezionale. Rastremando invece una torre di pari altezza, secondo le citate prescrizioni, l'angolo di abbattimento sale a 35 ° , pari ad una pendenza del 70%, limite al quale nessuna rampa poteva mai giungere.

La soluzione, però, implicava un abnorme allungamento del ponte volante, che, per superare le contrapposte inclinazioni della scarpa delle mura e della torre, avrebbe dovuto raggiungere almeno i 15 m , luce estremamente improbabile per una semplice passerella. Più sensato, allora, supporre che la maggioranza delle torri avessero una rastremazione, anche più accentuata ma soltanto sul lato posteriore , opposto alla direzione di accostamento, il più sollecitato dalla rampa inclinata, mantenendo per gli altri tre lati una sostanziale perpendicolarità.

Testuggini

Se l'accostamento delle torri si confermò sempre estremamente temerario e sangu inoso, il tentativo di praticare brecce alla base delle mura si dimostrò, almeno fino all'avvento delle artiglierie a polvere, di gran lunga più rischioso e micidiale, ritrovandosi i guastatori direttamente sottoposti al tiro piombante, tanto di masse solide quanto di liqu idi ustionanti. La soluzione escogitata per contrastare la terribile reazione degli assediati, consistette in una gamma di macchine pass i-

ve, in sostanza delle robustissime tettoie ruotate, capaci di sopportare i peggiori impatti senza schiantarsi, consentendo così agli attaccanti di afrontare al loro riparo le demolizioni in relativa sicurezza.

Abitualmente tali corazzature mobili constavano di un solidissimo telaio, insistente su rulli piuttosto che su ruotelle, i cui assali difficilmente avrebbero resi stito ai sovraccarichi improvvisi dei colpi nemici, chiuso superiormente da una ancor più solida copertura a due falde a forte pendenza. É plausibile che l ' idea di una configurazione del genere sia scaturita dall' osservazione dei tetti delle capanne montane in grado di allontanare, per la loro inclinazione, i cumuli di neve: di certo l'angolo di colmo si preferì, al di là delle semplicistiche raffigurazioni epiche, abbastanza acuto. Per la tradizione, invece, lo spunto inventivo fu offerto dal carapace delle tartarughe, anch'esso spiovente sebbene con angolo vistosamente ottuso: dal che la loro definizione di 'testuggini'.

La blindatura orizzontale era affidata a spessi tavoloni fissati su massicce travate, simili a 'capriate', resi incombustibili dal solito rivestimento di pelli fresche o di piastre metalliche. Di minor consistenza la schermatura laterale, come pure quella anteriore, peraltro non sempre indispensabile, destinate soltanto a neutralizzare i dardi degli archi e, successivamente, i verrettoni delle catapulte.

Yitruvio ce ne tramanda la descrizione di un tipo standard semovente. La bella traduzione rinascimentale, già utilizzata a proposito delle torri urbiche, è senza dubbio concettualmente e tecnologicamente più vicino di noi all'Autore e quindi più aderente alla sua cultura.

Dunque:

"La testudine, la qual si apparecchia per rie mpire li fossi e per accostarsi alle mura, faccisi così. Compongasi insieme una basa over s ustentacolo per ques ta machina, la qual si fa quadrata, la quale in greco si chiama scanteria [eschara]; la qual sia per ogni verso sia vinticinque piedi et

LE MACCHINE
OSSIDIONALI

habbia quattro tran sversa rie , e qu es te se in ca te nano con due altre di grossezza di uno piede, di largheua di meno. et ogni uno d e l\i loro intervalli se li mc c ta socto arbuscole. la qual in greco si chiamano amaxopode cioè piedi del carro. nell e qua li se li voltino li ax i dell e rote e t inchiu sevi co n lame di fe rro. E queste arbusco le si te mperano e fan no , per modo che hann o li cardi ni e li fori, nelli qua li si mettan l e sta ng he c he le po sso no espidatamentc voltare innante et indietro et a dextra et a sinixtra, overo in cantone. aciochè qu es te cose di possino fare co n l'aiuto di dette arbucole. Poi si menano sopra questa basa due ti gni, li quali cx hin o in fora da ogni part e sc i piedi circa. le pro iecture e spargimento de · quali se ne inchiodino doi altri, li quali ese hino in fora. nanle alla fronte se tte piedi. l a rg hi e grossi come in la superi ore e prima ba~a è dicto.

E sopra questa co mpos izi one si al.i:ino poste over stipiti compactili e composti. levandone el cardine. di nove piedi alti, di grossezza per og ni ve rso d'un pi ede e mezzo; e questi se includano di <,opra via li travi cardinati: sopra questi travi s i mec tano ca prioli lcapriare] ove r calecti, o incanalature, li quali siano inclu<;i run con l'altro con li s uoi ca rdini alti nove pi ed i. e sopra qu est i capri o li si mecta un trave quadrato, el quale incateni e tenghi fo rte li caprioli l'un con l 'a ltro: e t essi da og ni canto siano in ch iodati. tenuti e però coperti co n li s uoi laterali e tavole, s i si po sso no ha vere, di palma. se non d'altro legname c he si possa ha ve re c he s ia di tan t a fer mezza , exce tto che di pino e d'altano e di abe te e simili perchè son fragili e facc ilm en t e se incendono dal fuo co . Que s ti tavoloni s i ves tan o di graticci texuti di vimene minute et strecta m ente e verde poi se lii metta sopra co ri i c rudi l c uoi c rudi] e d o ppoi c usiti in s iem e e ripieni, tra l'uno e !" altro, di alga marin a over paglia bagnata in aceto. e co n questi s i copra tutta la machina, la qual co pert a reg getterà og ni colpo di balista e t ogni impeto di foco.

É anchora un' altra sorte di testudine. la quale h a tutte le cose che ha vemo dicto di so pra, sa lvo li ca pri o li; ma

que s t a ha int o rno spo nd e e pinn e over medi di tav o le, e sopravia la s ua gronda, e di sopra è conten ut a da tavole fixe e corii crudi; e so pra di qu esta se li dà una man o di creta impastata con pelo, tanta grossa ch'e l foco non possa noc e re a ll e leg nami Se possono anchora, se fia bisogno, queste machine, seco nd o la natura del luoco, te mperare e farle con otto rote "m •

Le testuggini, co m e accennato, co nobb ero a lquante var ianti fun z ionali, di c ui certa m e nte la più nota fu quella impi ega ta per i lavori di mina , in particolare a li ' imb occo dello scavo, non a caso ri co rdal a come 'testu ggine dei minatori ' P o ic hè, per ovvi m o tivi , s i cercò se mpre di ridurre al minimo l'esten s ione di tali g alleriemi, des tinate a raggiun gere le fondazioni delle fortificazioni per provocarne il crollo , il loro imbocco finiva, inevitabilme nte, per rientrare nel ragg io di Liro de lle macchine da lan cio de lla difesa. Da c iò l' es ige nza di pro tegge re i minatori e, so prattutto, i manova li impi egat i per ev acuare la terra di ri s ulta. Non trova nd osi e s posta a l tiro piombante, qu es ta s peciale te s tug g ine non necess iLava di blindature ori zzo ntali. Ri c hi edeva però, oltre alle so lite late rali , un a robu s ta protezione frontale , poss ibilmente c un e iforme per m eg lio attudire, e ma gari deviare , g li impatti dei proietti nemi c i. Anche di l ei Vitruvio forni sce prec isi ragguagli, ne i seguenti termini:

"Quelle tcstudine che s i fanno per far cave, da ' Grec i c hi mate orige, hanno tulle le parte che hannose so p ra<;cri tte: ma hann o la fronte triangolare, perchè dai mura niun a saetta o altra cosa li possa nuoce re o cogliere in fronte, m a per li lati sfugga acioché quelli c he s tan dentro possino libe ramente c avare •·ci,,

É interessa nte osservare che l'ado z ion e del la co razzatura s fugg e nte, se bbene in una macchina tra le più elementari, costitui sce l'incontrovertibil e acqui s iz ione di una concez ion e rivoluzionaria c he cos tituirà il criteri o bas ilare della fortifi c azione rin asc im e ntal e e

-------=~
INGEGNO E PAU R A T RENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA

delJa protezione passiva tutt'ora vigente. Favorire la deviazione degl'impatti eliminando qualsiasi superficie ortogonale alle traiettorie offensive è, infatti, il medesimo principio applicato nella costruzione della corazza dei più avanzati carri armati <24 J _

E proprio come nel carro armato la corazza protegge il cannone ed i suoi serventi, così molte testuggini vennero impiegate per proteggere altre macchine da urto o da lancio.

occorreva che lo stesso venisse poggiato, o sospeso, ad appositi supporti in modo da poterlo più agevolmente non solo accelerare ma riportare alla condizione iniziale per reiterare l'impatto.

Dall'insieme delle peculiarità appena accennate scaturì la più arcaica e temibile macchina da demolizione dell'antichità: l'ariete. Per quanto in precedenza già precisato, tanto la sua comparsa che il suo perfezionamento si perdono nella notte della preistoria. É molto probabile che gli archetipi di questa macchina fossero sorretti fra le braccia di pochi uomini, i quali, da fermi, li portavano a cozzare contro le fragili cortine di fango.

Arieti

Lo sfondamento delle mura, rivelatosi sin dall'inizio assolutamente impraticabile per il singolo combattente, continuò a confermarsi sempre di improba attuazione anche per gli sforzi concomitanti di molti uomini, fin quando almeno non fu trovata la maniera di sincronizzarne gli impeti e concentrarli in un unico punto. Forse osservando la violenza delle testate impartite dagli arieti al termine di una carica, forse constatando i danni impressi dall'urto di un tronco d'albero trasportato dalla corrente di un fiume contro un qualsiasi ostacolo, di certo molto presto nella storia della poliorcetica comparve un congegno che, fondendo insieme le due esperienze, riusciva a squassare, se non le mura, almeno le loro porte.

Ed altrettanto rapidamente si realizzò che l'entità della distruzione cresceva al crescere della massa battente e della velocità impartitagli, osservazioni naturalissime per gente avvezza a combattersi a sassate. Più complessa, invece, la deduzione che la distruzione cresceva ancora al crescere della frequenza degli urti. Nel giro di alcuni secoli, però, tutte le nozioni risultano ampiamente acquiste e sfruttate. E se per le prime condizioni si rendeva necessario un congegno di rilevante peso, manovrato da moltissimi uomini, per la seconda

L'avvento delle fortificazioni in pietra, per l'incommensurabile divario fra l'inerzia delle murature e l'energia cinetica degli arieti ne limitò l'impiego unicamente allo scardinamento delle porte.

L'iconografia assira, comunque ci ha tramandato, arieti montati su ruote e muniti di testuggine di protezione: al di là della indubbia modernità di macchine del genere, la loro dimensione appare estremamente modesta, valida al massimo contro fragili cerchie di sparuti villaggi.

Vitruvio fornisce una interessante ipotesi storica sulla comparsa dell'ariete, che sebbene cronologicamente inattendibile, non è priva di plausibilità locale:

"Prima alle oppugnazioni e bataglie lo ariete si dice esser stato trovato così. Li Cartaginesi posero campo a Gade [Cadicel, per pigliarla; et havendo prima preso el castello o ciptà, volevano spianare la fortezza, e non havendo ferramenti acti et acomodati a ciò, presero un travo e, tenendolo con le mani, andavano col capo di quello levando le pietre de 1'ordine loro e così dissiparono tutta quella fortezza. Di poi un certo fabro e maestro tyrio, el qual si chiamava Pephasmeno, seguitando questa invenzione, adrizò e ficcò in terra uno arbor di nave et un altro gli ne legò per traverso e sospeselo come una tructina o volem dir bilancia, el qual tirato a dietro e remandato inan -

LE MACCHINE DA URTO
INGEGNO E PAURA TR ENTA SECOLI or FORTIRCAZIONT I N JTALIA
J31 Ri costruzione d i ariete s tandard

te da molti homini dava maggior colpo e così rovinò tutti

Ma Cetra chalcidonio primo fece le base delli arieti e fecielle di legno e poseli sotto rote. e sopra con arectarii per dricto e transversarie et iughi le compose insieme, variamente larghe e forte; et in queste suspese l' arieto e trave , e coperse questa machina di cuorii di bovi non conci e cocti, aciochè quelli che stavano dentro stessero sicuri; e questo, perchè haveva el moto tardo, lo chiamorno testudine ariectaria..." 115i _

Tra le ri g he risulta evidente, e solo in ciò la rico s truzio ne è pienamente condivisibile, l'evolversi del congegno, da una semp li ce trave manovrata a braccia, capace appena di svel lere i conci uno per uno, ali' ariete propriamente detto, sos peso e tes tug g inato di notevole mole.

Il progresso culturale e la rivoluzion e meccanicistica del IV seco lo , 1i servarono anche a quella arcaica macchina una sos tanziale rielaborazione , fornendogli inedite e teJTibili potenziai ità distruttrici. Non a caso nella lett e ratura epica gli arieti iniziano a menzionarsi sis tematicamente a partire dalla fine del IV secolo, lasciando desumere che proprio a ridosso di quel periodo sia avvenuta la loro s traordinaria mutazione offensiva. Quale fosse, infatti, la nuova connotazione della macchina la si può desumere dalla testimonianza del so lito Diodoro , seco ndo cui, durante l'assedio di Rodi , intorno al 305, Demetrio Poliorcete ne costruì di mostruose, debitamente testugginate. Stando allo storico: " ... erano di dimensioni inaudite , poi c hè c iascuna possedeva una trave di 120 cubiti (= 53,8 m ), armata di ferro, provvista di una punta paragonabile al rostro di una nave, e facile da spingere perchè era montata s u ruote e mes sa in moto , in combattimento, da più di 1000 uomini ... " <201 • É interessante ricordare che la: " ... s tes sa impresa tecnica fu rinnovata successivamente da

un ce rto Egetore di Bisanzio che costrnì un ariete delle stesse dimensioni, ma sospeso a cavi per cui basLavano 100 uomini a m etterlo in moto ... " '21 i Circa la modalità con cui tali colossal i congegni, pesanti decine di tonnellate, venivano accelerati , come già precisato e per quanto appena c itato, esistevano alquante so lu z ioni. La prima consisteva nel montarli su articolati treni di rotolamento, la seco nda nel sospenderli ad apposite, so lidi ss im e, incastellature. Entrambe le modalità presentavano concomitan ti vantaggi e svantaggi, per c ui riesce difficile valutarne la più conven iente. Nel s istema ruotato, ad esempio, dando per sco ntata la disponibilità di una pista abbastanza uniforme, e magari legge1mente in discesa ve r so la fortificaz ione, potevano conseguirsi velocità d'impatto rilevanti, ma la ripetezione del ciclo implicava però tempi lunghi ssimi ed innumerevoli uomini. Nel sistema oscillante, d'altro canto, g li urti, sebbene singolarmente più deboli, avvenivano con scansione ravvicina e per la manovra bastava una .squadra relativamente modesta, ovviamente dando per scontata la messa in posizione dell'incastellatura a ridosso delle mura.

In ogni caso è fuor di dubbio che la velocità massima di un ariete non era incrementabile al di sopra di un ben minuscolo valore, pari a 3-4 m/sec . 11 che costringeva, per aumentare l' e nerg ia d'impatto , ad accrescerne a dismisura la massa, ovvero le dimen s ioni

Per rendersi meglio co nto di quanto delineato basti ricordare che mentre un ariete di 10 t lanciato a 3 m/sec percuoteva con una energia doppia di uno di 5 t alla stessa velocità, l'e s ito s i sarebbe invertito se il più piccolo avesse potuto raggiungere i 6 m/sec!

Si spiega in quell'insormontabile limite l 'innesto, all'estremità dei grossi tronchi che costituivano il corpo dell'ariete, di teste di bronzo, meno frequentemente di ferro, sem pre più mastodontic he , be n al di là della logica esigenza di fornire una dura s uperfici e di percu ss ione. Un ese mplare a sos pens ione di notevole mole viene così de sc ritto da Vitruvio:

LE MACCHINE OSSll)JONALI

"L'arieto di questa machina era centovinti piedi longo, largo di socto un piede e mezzo, la grossezza di mezzo piede , et haveva el rostro di duro ferro, così co me sogliono haver le nave longhe, e dal rostro verso el legname pendevano quatro lame di ferro di circa quindici piedi l'una, le qua le erano inchiodate nel Lravo: e dal capo dello ariete , cominciando dalla parte di socto del trave, erano ligate quatro fune grosse otto dita, religate dalla machina, come si lega l'arbor della poppa alla prora; e queste fune era no anco religate allì predictori trav ersi , distanti l'un dall'altro un piede e un palmo, e tu tto l'arieto era cope rt o di co ri o crudo , e pendeva, questo arieto , tenuto da quattro cate ne di ferro doppie. et esso anc hora era avoltato di corio crudo; avea ancho ra la proiectura di questa machina un a arca facta di tavole e circumdata di grosse fune , per l'asperità delle quale non curendo li piedi , facilmente si perveniva alle mura, e questa machina si moveva in sei modi , in ante et indietro, a destra e sinistra et in s u e in giù se alzava et inclinava. Se alzava in al to questa mach ina per percotere e l muro circa cen to piedi; dalli lati a nchora precurreva e stringea; governavala non meno di cento homini, anchora che havesse di peso quatromilia talenti, che fa a lla nostra misura quattrocentomila libre " <28i

Nonostante la mole dell'esemplare citato, nemmeno le dimensioni erano s uscettibili di ingigantirsi indefinitamente, pena la ingo ve rnabilità del congegno. In prati ca , da un certo momento in poi, si adottarono so lo arieti di grandezza sta nd ardizzata , relativamente modesta. Cons iderando inoltre che la loro prestazione poteva avvenire so ltanto a brevi ss ima distanza dalle mura, esattamente come quella delle torri mobili, si finì per in serirl i nell e ste sse, ricavando dall'abbinamento una esaltazione delle reciproche potenzialità. Così ne rievoca, il so lito Vitruvio, un prototipo attribuito a Diade:

" Per ogni via faceva anchora la testudine a recta ria a l medesimo modo la qual havea d ' intervallo trenta c ubiti

INGEG NO E PA URA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA

et alta senza fastig i o sedic i; el fastigio era alto septe cubiti et uscivali fora, sopra 'l mezzo del fast igio , una torriciola non men larga di dodici c ubiti. La qual voleva che havessi quattro tavolati , e nel tavolato di sopra statuiva catapulte e scorpioni, nelle parte inferiore li poneva molte acque per ex tin guere e l foco si vi fosse stato gettato. Et in questo si poneva una machina ariectaria, la qual in greco si chiama choriodoci [criodoce) , nella qual si collocava un toro , cioè un lecto , da passarvi l'arieto, el qual l ecto era facto al torno, sopra el qual si metteva I' arieto el qual, cacciandosi innante e rettirandosi indietro, faceva grandi effecti, e questo anchora copriva di cor ii c rudi , come la torre "129

In conclusione, che:" fosse montato su ruote, posto su cilindri rotanti (in tal caso si chiama va trapano) o sospeso a un'impalcatura, fino alla fine dell'Antichità l'ariete continuò ad essere l'arma preferita dagli assalitori , se nza s ubire modificazioni di rilievo " <30> E forse proprio per favorirne l' impiego , da un parte, e per ostacolarlo dall 'a ltra, nel medes imo arco sto rico iniziarono a comparire sui teatri ossidionali congegni di staordinari a efficacia, correntemente definiti ' macchine da lancio ' Data la loro rilevante complessità, frutto di diversifica te lin ee evolutive, per valutarne appieno la portata e le conseguenze s ulla fortificazione, è indi spen sa bile far precedere la trattazio ne tipologica da una breve esposizione dei principi di funzionamento.

L'artiglieria elastica

Pur osservandosi intorno al III secolo a.C. una variegata differenziazione dell e artiglierie meccaniche, so tto il profilo costruttivo, operativo e balistico, tutte si riconducevano ad un unico criterio propulsivo: lo sfruttamento deJJ' e nergia elastica. Al di là , però , di que s ta comune matrice , nella realiz zaz ion e pratica vennero adotatti di versi ti pi di accumulatori

energetici, alcuni basati sulla deformazione lineare di idonei materiali, altri su quella volumetrica, altri ancora su entrambe< 3 1>

In linea di massima, dal punto di vista meramente fisico, la deformazione di un solido avviene quando allo stesso sono somministrate forze esterne. Nel caso in cui al loro cessare il solido riacquisti la sua originaria connotazione si parla di deformazione elastica, in quello contrario di deformazione permanente o 'plastica'. Ma mentre nella prima situazione vi è la restituzione, da parte dello stesso solido, nel corso del suo ritorno allo stato normale, di una quantità energetica quasi pari a quella deformante, nella seconda non avviene nulla del genere poichè la stessa risulta definitivamente consumata per il conseguimento della nuova forma. Ovvio , quindi, che un ciclo energetico reversibile, accumulo-cessione, sia attuabile soltanto utilizzando deformazioni elastiche. Inoltre, nella stragrande maggioranza dei materiali elastici, mentre la deformazione può avvenire applicandogli forze modeste per tempi relativamente lunghi , la restituzione avviene, invece, istantaneamente liberando contemporaneamente tutta la quantità di energia accumulata. É facile, a questo punto, intuire la rispondenza degli accumulatori a deformazione elastica per finalità propulsive. E già da questa breve precisazione emergono gli elementi costituenti l'apparato dinamico delle macchine da lancio, ovvero un accumulatore energetico, un dispositivo per il suo caricamento con arresto automatico ed un meccanismo di liberazione a scatto.

Dal punto di vista tecnologico il primo congegno inventato dall'uomo in grado di sfruttare l'elasticità fu senza dubbio l'arco, nel quale l'energia di restituzione tramite la corda veniva trasmessa alla freccia per imprimerle il moto. In quanto tale è definito, al pari delle macchine da lancio, arma telecinetica da corda <32> , L'idea, quindi, di costruire archi giganti per lanciare dardi enormi a distanze maggiori deve collocarsi nella più lontana preistoria:ma la sua realizzazione pratica

ostentò difficoltà tali da frustrare ogni tentativo, almeno fino alla metà del primo millennio a. C.

Dal punto di vista cronologico, infatti, la comparsa di congegni del genere, magari nella concezione più elementare, deve collocarsi intorno al V-IV seco lo E deve ascriversi all'esigenza di incrementare l' ampiezza delle gittate piuttosto che la grandezza dei proiettili. Colpire restando fuori tiro rappresenta ancora oggi una irresistibile motivazione per la ricerca militare.

Il primo ostacolo che si dovette superare fu quello relativo alla costruzione di un arco maggiorato. Una volta ottenuto, applicarlo ad un teniere, munirlo di un supporto e dotarlo di meccanismo di scatto riuscì relativamente facile. Ne derivò una vasta gamma di macchine di lancio a 'fless ione'. Ben presto però, si costatò che l'energia così accumulabile non solo non poteva eccedere detenninati valori ma, per giunta, col tempo tendeva a diminuire irreversibilmente per il deformarsi plastico degli archi. Tuttavia si constatò pure, che esistevano soluzioni migliori per immagazzinare l'energia elastica basate sulla deformazione volumetrica, ovvero sull'allungamento ed assottigliamento di fibre animali sottoposte a torsione.

La torsione, infatti, proprio per spingersi sin quasi allo snervamento omogeno dell'intera ma ssa so llecitata consente accumuli energetici enormemente maggiori della flessione, con entità direttamente proporzionale al numero di fibre impiegate , vale a dire al diametro delle matasse da esse formate. Anche in questo caso l'idea iniziale deve supporsi abbastanza semplice, scaturita forse dall'osservazione di una sega da falegname la cui lama veniva mantenuta tesa dalla divaricazione di due braccia provocata torcendo, con un listello, una fune ad esse avvinta. Sostituire ai corni dell'arco due tozze braccia impegnate in una coppia di matasse ritorte, lasciando immutata le restanti parti dell'arma, non richiese molto, forse meno di mezzo secp lo . Erano nate, a quel punto, le macchine da lancio 'a torsione' destinate a soppiantare inesorabilmente quelle a fles-

LE MACCHINE
OSSIDIONALI
INGEGNO E PA URA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZ IONI IN ITALIA
132 Ricostru z io ne della balista di Caria a flessione

sione, guadagnandosi per potenza e prec1s10ne la strana staffa, sagomata all'incirca come il manubrio definizione per antonomasia di artiglierie elastiche, o della bicicletta. meccaniche. In particolare 'neurotone' se con matasse In dettaglio, alla estre mità posteriore del teniere, saldi tendini bovini, e 'tricotone ' se con matasse di capel- damente vincolata al calcio , stava la suddetta staffa, in li, o crini di cavallo. modo da volgere la concavità verso l'esterno. Al momenSebbene, a prima vista, tra le due non ci appaiono to di caricare l'arma il tiratore inseriva nella sua rienapprezzabili differenze, per i tecnici dell'antichità, inve- tranza l'addome, offrendo così al fusto uno stabi le conce, è inne gabile la nettissima superiorità delle tricotone, trasto mentre le mani ne traevano la corda fino all' arrelasciandocene supporre prestazioni balistiche a ltrettanto sto: senza la staffa l'operazione sarebbe riuscita impratimigliori. Ad una identica conclusione, del resto, induce cabile, per l 'insostenibile pressione che il calc io avrebbe il raffronto dei carichi di snervamento dei capell i e dei esercitato sui muscoli addominali. A ben riflettere si tendini, con una sensibi le prevalenza per i primi a parità, pon·ebbe ravvisare nel singolare dispositivo una sorta di ovviamente, di sezione. É estremamente probabile, per- premessa, sempre di configurazione an;:1tom.ica ma invertanto, che le matasse delle catapulte tricotone, potendo sa 1ispetto alla balesn·a medievale, che era dotata, infatti, sopportare torsioni più esasperate di quelle neurotone, per lo stesso scopo di una staffa anteriore nella quale si riu sc issero ad accumulare quantità energetiche maggio- inseriva il piede. Ad ogni buon conto proprio dal ruolo ri e, quindi, ad imprimere ai proiettili velocità iniziali sostenuto dallo stomaco il gastrafete trasse l'appellativo! sens ibilm ente superiori, che si traducevano in gittate più L'arco dell'arma venne saldamente vincolato ad un ampie. Ciò premesso passiamo ad esanlinare le relative fusto-teniere, lungo il quale giocava una slitta sul c ui macchine. dorso, in posizione assiale, correva una sottile scanaltura destinata ad alloggiare ed a direzionare il dardo alla cui estremità, priva di governali, si incoccava la MACCHINE DA LANCIO corda. L'adozione di un dispositivo di scatto garantiva una perfetta lìnearità della traiettoria soppri mendo le Artiglieria a flessione oscillazioni i1ùziali che rendevano difficile la punteria con i normali archi.

I trattatisti e gli autori classici più antichi fanno s pesso riferimento, nell e loro opere, ad un enigmatico tipo di macchi n a da lancio antiuomo, di uso individuale , che rievocano col il curiosissi mo nome di gastraphetes. In epoca meno arcaica fu definita anche arcobalista: ad una più accurata indagine, sem brerebb e trattarsi di una so rta di antesignana balestra ' man esca', dotata di un rudim entale meccanismo di sgancio ma priva d el verricelJo o di una qualsiasi leva di caricamento. Proprio per la manc a nza di tale dispositivo l a procedura di messa in flessione d ell'arco, che nece ssariamente deve s uppors i di tipo composto, s i doveva dimostrare talmente improba da richiedere una

La fase success i va comportò l'adozione di un affusto, o basamento, sos tanzialm ente s imile ad un cavalletto a tre piedi: l'arma cessava così di essere manesca per divenire da posta, o da banco, o ancora da muro: per i Greci, come più tardi per i Romani , ebbe allora la definizione generica di catapulta, come precisa inequivocabilmente Vitruvio, affermando c he:

'

·... son scoprionj, over ba lestre , catapulte cioè balestre da banco ... " ' 31> .

La 'catapulta', la cui in venz ione stando a Diodoro, deve ascrivers i agli in gegneri del tiranno di Siracusa,

Dionisio il Vecchio , tesi peraltro condivisa dalla maggioranza degli storici moderni , nella sua configurazione più rudimentale sembrerebbe, però, all'epoca già esistente da seco li. Da accurate indagini risulterebbe, infatti, che i tecnici siciliani s i ispirarono per la sua elaborazione ad archetipi di origine fenicia, impiegati correntemente dai Cartaginesi dell'Isola. Altre ricerche, di pari attendibilità, individuano la medesima arma in contesti di gran lunga più remoti, risalenti addirittura intorno al 700 a.C., in Medioriente: è probabile, tuttavia, che, in questo secondo caso almeno, s i tratti di inesatte traduzioni delle fonti.

In conclusione l'ipotesi più fondata resta quella della matrice italiota. É interessante, comunque, precisarne meglio le probabili concause inv entive e soprattutto le sue caratteristiche strutturali e funzionali. In dettaglio: " ... è indu bbi o, nella vicenda, il ruolo sostenuto dall'emulazione dei costruttori e dall ' esaltazione civica, sulle quali insiste Diodoro: questi fattori psicologici non sono affatto negabili; occorre ancora, però , che i tecnici di Dionisio fossero non soltanto bramosi di farlo, ma soprattutto capaci di farlo.

É evidente che la loro opera, al riguardo, fu facilitata dall'ampiezza dei mezzi materiali messi a loro disposizione dal tiranno siracusano, e che il loro genio personale non potè che guadagnare dal contatto con altri specialis ti non esclusivamente originari della Sicilia, ma anche d' « Itali a, di Grecia e dell ' impero cartaginese» ... " <34 > _ Si sa ancora che quel colossale parco macchine: " fu diretto contro la città di Motia. É interessante notare che Dionigi , quando arrivò so tto la città nemica, ne esaminò le difese «co n i suoi architetti». L'assedio non è più solamente un atto di valentia, di impeto e di assalto. Si tratta ormai di un problema tecnico ... " <35l _

É sensato, in siffatta prospettiva storica, supporre c he tali armi non furono il frutto delle fatiche di un unico inventore, di qualsiasi nazionalità fosse stato, ma piuttosto di una scuola di pensie ro , come ad esempio

quella dei pitagorici di Taranto, notoriamente versati nella meccanica. In particolare di quella di: " Archita di Taranto , nato verso il 430 a.C. e morto in un naufragio sulle coste della Puglia verso il 348 a.C. Fu un personaggio di grande rilevo, insieme uomo di Stato e uomo di scienza, che non tra scurò tuttavia gli aspetti pratici. Discepolo di Filolao, membro della scuola pitagorica, scrisse numerose opere di cui restano solo piccolissimi frammenti ... Ma accanto a questi meriti ... Archita è presentato come un vero inventore... Vitruvio cita Archita come scrittore di argomenti di meccanica applicata. « Archita , che eccelleva nella fabbricazione di macchine, vole ndo usare la geometria e la speculazio ne per gli usi della vita, ne aveva fatto ogni sorta di applicazioni » " <36> Una ulteriore conferma all'ipotesi della contemporanea rielaborazione a più mani di quei congegni da guerra si coglie nel cospicuo numero delle loro varianti, con l ' unico fattor comune di scagliare dardi antiuomo e non sfere di pietra o di metallo. In ogni caso ben poche certezze esistono e per l'epoca esatta della loro comparsa e per le loro precise caratterist iche tecnic he , e persino, se realmente quelli a flessione furono antecedenti agli analoghi a torsione. Come in precedenza accennato, affinchè la loro costruzione fosse concretamente possibile: " il principale fattore limitante sare bb e stato l'arco composito . Non abb iamo alcuna informazione circa lo sviluppo di questo tipo di arco per l'impiego ne ll ' artiglieria, ma i maestri artigiani sarebbe ro stati soltanto lentamente capaci di produrre archi più grandi e potenti. Pos siamo ragionevolmente stimare che un periodo di circa 30 anni o più trascorse fra la realizzazione del primo arco composito per i gastrafeti e la produzione di archi enormi come quello per l a prima grande macchina da lancio di pietre non a torsione , pro gettata da I s idoro di Abido ... " c37 l _

Di certo, dal punto di vista pratico , il maggior problema che si presentò per la costruzione del gastrafete fu senza dubbio relativo alla maniera con cui realizza-

I NGEGNO E PA URA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA

re l'arco, che raggiungeva quasi 3 m di ampiez za. Pur risapendosene dettagliatamente gli indispensabili requisiti ottimali, nonchè la forma , trovare un materiale abbastanza elastico per accumulare molta energia senza riuscire al contempo talmente rigido da non poter essere piegato dalla forza umana, dovette dimostarsi di improba soluzione. Senza contare che proprio la notevole quantità di energia accumulata finiva per rendere estremente complesso qualsiasi meccanismo di scatto. Diversamente dalla balestra medievale l'acciaio non era ancora disponibile con le giuste caratteristiche di elasticità, e soprattutto nelle debite dimensioni. La costatazione che all'epoca esistessero già spade d'acciaio non dimostra affatto che la metallurgia coeva fosse in grado di forgiare lame lunghe tre metri, abbastanza sottili e di spessore costante nonchè di omogenea tempra. Tuttavia alcuni studiosi non ne scartano affatto la presenza. Ma che tale potenzialità fosse impraticabile trova implicita conferma nell'osservare che persino i Romani, ancora in epoca imperiale, nonostante la loro superiore tecnologia, non disponevano di archi d'acciaio del genere.

Ovvio pertanto ritenere che, al di là delle maggiori dimensioni, l'arco del gastrafete non differisse se nsibilmente da quelli coevi più potenti, noti appunto come 'archi compositi'. Sotto il profilo storico, l'arco:

" ... nacque semplice e diventò poi quasi s icuramente nell'Asia centrale composito. Quasi sempre il legno forma il nucleo centrale de l fusto, mentre materiali con caratterist iche opposte lo rivestono per un notevole tratto della sua lunghezza. Per la parte esterna del fusto, quella rivolta verso il bersaglio, sono stati adoperati materiali generalmente animali, che offrivano forte resistenza alla trazione, come ad esempio i tendini o i fasci tendinosi; per la parte interna venivano utilizzati materiali che offrivano una forte resistenza alla compressione, come lamine di corno o di metallo. Il tutto e ra fermato con collanti e fasciato con avvolgimenti di tendini ricoperti poi di lacche e vernici. L'arco

compos ito quando allentato, o priva to della sua corda, s i può presentare, a seconda della composizione , c on una semplice o doppia curvatura " (38>

Pochi dubbi , quindi, permangono che l'arco del gastrafete appartenesse alla tipologia appena descritta , in particolare a quella a doppia curvatura. É interessante osservare che per ottenere la mas s ima capacità elastica la soluzione escogitata di connettere divers i materiali a dissimile resistenza alla trazione ed alla compressione, è esattamente la stessa che millenni dopo porterà all'invenzione del cemento armato!

Tornando all ' arco composito a doppia curvatura: " ... nella sua forma più perfezionata... la sua curvatura ... allo stato di riposo completo, risulta invers a alla curva formata dall ' arco quando è armato o te so. Quest'arco si costruiva con corno, tendini e legno di ciliegio. Si cominciava col modellare l ' anima di legno ; questa era formata da tre pezzi , i due bracci e l ' i mpugnatura, che venivano connessi con incastri e collanti delineando già la forma dell ' arco; all'interno di questa curva, che diventava poi il dorso dell'arco armato, veniva disteso , incollato e pressato, il tendine, sul lato esterno venivano distese e incollate le due s tri s ce di corno secondo la loro curatura naturale. Il tutto veniva poi ricoperto con pelle tesa e incollata ... " 09 > .

Il dettaglio che l'arco composito allo stato di ripo s o presentasse una curvatura inversa a quella di quando armato lascia già facilmente intuire il grande sforzo necessario per incoccare la corda: del resto è noti s simo, a riguard o, l'episodio di Ulisse. E se in un arco ' manesco ' era fattibile, con alquanti artifici, la fatico s a operazione in uno di 3 m di ampiezza risultava praticamente impossibile, senza ricorrere ad una falsa corda. L' espediente però serviva soltanto all'iniziale approntamento dell'arma, ferme restando le successi ve difficoltà di caricamento. Ben presto, pertanto, per agevolarne la manovra si ricorse ad un verricello sul cal-

LE MACC HINE OSSIDJONALI

cio. É probabile che tanto quest'ultimo come l'affusto a tripode furono le innovazioni apportate ali' arma intorno alla metà del IV secolo. Per altri studiosi, invece, l'adozione del verricello deve collocarsi in un periodo più recente. A loro parere, infatti, va ritenuta una cooptazione del sistema di caricamento impiegato sulle catapulte a torsione, la cui superiore potenza energetica rendeva tassativo quel dispositivo.

In ogni caso, il verricello fu alloggiato in una staffa, fissata rigidamente ali' estremità posteriore dell'arma, esattamente dove s i collocherà anche quello delle balestre medievali, dette appunto 'a martinetto' o 'a mulinello'. Si componeva di un tamburo cilindrico il cui asse, attraversati i lati della staffa, terminava da ambo le estremità con corone munite di robusti aspi, sui quali si esercitava lo sforzo. Al tamburo faceva capo la fune di caricamento, fissata ali' estremità posteriore della slitta. Posto in rotazione il tamburo, lentamente la slitta retrocedeva trascinando mediante il dispositivo di scatto la corda arciera, caricando l'arco. Per evitare lo sganciamento accidentale durante l ' operazione, e per consentire al servente di potersi fermare in ogni momento per un qualsiasi esigenza, i fianchi esterni del fusto si sagomarono a cremagliera impegnandovi una coppia di arpioni mobili , solidali al gancio di traino. All'interrompersi dello sfo rzo, la corda tornando alla sua posizione di ripo so trascinava la slitta con gli arpioni, che si bloccavano , dopo pochi centimetri, al primo dente della cremagliera ponendo in sicu rez za l 'arma.

Se la potenza dell'arco aveva reso necessario il verricello è probabile che il peso di quest'ultimo, e dei suoi accessori, rese altrettanto indispensabile l'affusto. Esso, in linea di massima, appare formato da un basamento triangolare da cui sp ic cavano tre montanti di legno convergenti intorno ad un grosso perno. Sul perno stava liberamente innestata una forcella che a sua volta sorreggeva il tenierie: possibile, pertanto, la sua rotazione orizzontale e verticale. La configura-

zione, fatte salve le debite dimensioni, è sostanzialmente identica a quella di un moderno cavalletto fotografico da studio, o di un treppiedi di mitragliatrice. Per la prima volta un ' arma poteva brandeggiare ed al contempo basculare , restando soldamente fissata a] suo affusto: la soluzione da allora non sarebbe più mutata.

Poichè la scelta dell'istante di tiro implicava una ponderata valutazione e poichè, quasi certamente, il congegno di sgancio imprimeva ali' arma inevitabili sobbalzi, per migliorarne la punteria si inserì, tra il teniere ed la gamba posteriore del basamento, una traversa ad inclinazione regolabile, simile in larga approssimazione ad un rudimentale 'alzo'. La sua posizionatura confermerebbe indirettamente una preponderanza 'in culatta' dell ' arma, volutamente accentuata per incrementarne la stabilità, del tutto analoga a quella che avranno da un certo momento in poi le artiglierie, per gli stessi motivi. Quanto al congegno di sgancio, il modello più grezzo, era costituito da una leva il cu i braccio minore fuoriesce da sotto la coda dell'arpione lo liberava consentendo alla coda di sollevarlo e di rientrare. É presumibile che i vari movimenti, sia pure limitati, di tanti componenti a forte attrito e a rilevante contrasto reciproco richiedessero un abbondante lubrifica zione del!' arma, ottenuta con frequenti spalmature di grasso animale .

Sintetizza la descritta evoluzione del gastrafete, il prototipo attribuito a Zopiro, praticamente identico ad una balestra da posta medievale. L'assemblaggio tra i suoi principali elementi costituenti era ottenuto tramite legamenti per il fissaggio dell 'arco al fusto, e tramite un doppio giunto a snodo fra quest'ultimo ed il basamento. Ma al di là di questa straordinaria anticipazione del più famoso giunto cardanico, la vera differenza rispetto alla versione medievale si ravvisa nell'attacco dell ' arco al teniere, non complanare alla faccia s uperiore della slitta ma ad essa sottoposta. É probabile che la strana posizionatura s ia dipesa dall'eccessiva legge-

[NGEG NO E PA URA TRENTA SECOLI DI FORTIFI CAZ IO NI lN ITALIA

rezza dell'arco stesso, per cui facilmente i suoi comi al momento della liberazione della corda tendevano a sollevarla, privando il dardo della completa accelerazione. Grazie , invece, al predetto accorgimento la corda era obbligata a strisciare sulla scanalatura, trascinando fino all'ultimo il dardo che, pertanto, poteva esservi alloggiato anche più profondamente con ulteriore miglioramento della punteria.

Con la disponibilità di energie potenziali tanto rilevanti le prestazioni di tali armi dovevano necessariamente surclassare quelle dei migliori archi compositi, senza contare la straordinaria precisione garantita dal loro supporto fisso. Da attendibili studi, infatti, è emerso che la gittata del gastrafete le superava almeno del 25%, fornendo perciò un tiro efficace sicuramente eccedente i l 00 m. Circa i dardi impiegati, da cui la definizione ulteriore di macchine 'oxibele', i numerosi reperti archeologici pervenutici ne consentono una discreta valutazione. Abitualmente erano costituiti da un asta di legno con puntale di metallo, per lo più a sez ione quadrata, simile ai chiodi dell 'e poca. Non possedevano alcun impennaggio, forse perchè incompatibile con la scanalatura, forse perchè inutile per il peso e la velocità del proiettile: di certo gli impatti si dimostravano di tremenda violenza, trapassando facilmente elmi e corazze della migliore fattura. Va inoltre osservato che nelle catapulte a flessione: " ... è la lunghezza del proiettile che serve a definire la potenza della macchina... [e che comunque] la gittata di tali congegni non è necessariamente proporzionale alla loro poten za... " <40)

Non mancarono, nel lungo lasso d'impiego dei gastrafeti, varianti destinate a scagliare pallottole di pietra o di piombo, ricordate dai trattatisti come macchi ne 'litobole' . L'unica differenza rispetto alle precedenti consisteva nel fusto più tozzo per via della scanalatura necessariamente più larga. Come si sa pure della rea li zzazione di prototipi in grado di tirare a ripetizione, mediante un dispositivo a manovella che rica-

ricava l'arco nel mentre avvicendava i dardi: il complicato maneggio sembrerebbe, però, la causa più probabile del loro abbandono.

É difficile sti mare con esattezza la cadenza massima di tiro che macchine del genere riuscivano a garantire, dipendendo molto dalla pratica dei serventi e dalle condizioni dell'arma. Tuttavia supponendola, sia pur di poco, inevitabilmente inferiore a quella di un arco tradizionale non s i è lontano dal vero stimandola di un lancio ogni paio di muniti. Ovvio, pertanto, che solo riunendo diversi pezzi in batteria fosse possibile effettuare un tiro d'interdizione: dal che la conseguenza architettonica di torri planimetricamente più ampie sebbene più rade. Sempre dal punto di vista funzionale va rilevato che i gastrafeti non disponevano, per quanto se ne sa, di alcun dispositivo di registrazione, o di compensazione, della rigidità dell'arco, per cui inevitabilmente con il trascorrere del tempo le prestazioni tendevano a decurtarsi. Nè, peraltro, riusciva agevole la sostituzione dello stesso: unico rimedio per ritardare al massimo il degrado fu sempre quello di staccare la corda non appena se ne reputasse conclusa l'utilizzazione.

Artigieria a torsione

Crono logicamente mentre l 'artiglieria a flessione è documentata, con s ufficiente certezza, a partire dalla fine del V secolo per quella a torsione occorre attendere ancora un cinquantennio, rintracciando se ne le prim e esplicite allusioni intorno alla metà del IV. E, a differanza dell 'a l tra, i perfezionamenti s i s usseguirono per qua s i mezzo milennio, se nza peraltro mai metterne in discussione il sistema di accumulo energetico. Di gran lunga più improbo: " ... tentare di scoprire quando l'artiglieria a torsione fu inventata. L' iniziale indi scutibile riscontro per catapulte con mata sse elastiche di tendini o cape lli si trova in una iscrizione relativa ai materiali

LE
MACCHIN E OSSIDIONALI
I NGEG NO E PA U RA TRENTA S ECOLI DI FORT IFICAZlOM IN ITALIA 133
Ri cos tru zio ne della bali s ta a tors ione di Vitru vio

militari, ed alle loro pertinenze, custoditi nella Calcoteca, la casa-tesoro e arsenale, sull'Acropoli di Atene:

- catapulte, di due cubiti con matasse di capelli complete: 3

- catapulte, di due cubiti, con matasse di capelli non in buone condizioni ed incomplete: 3

native, per la igroscopicità dei capelli con conseguente allungamento in rapporto all'umidità ambientale , le prestazioni delle artiglierie a torsione toccavano l ' apice in regioni dal cUma asciutto e secco. Per le restanti , una pioggia improvvisa bastava a decurtale vistosamente, con esiti immaginabili. Vuoi per questa ragione, vuoi per la presumibile difficoltà di reperirli di suffi-

- due altre catapulte di tre cubiti, con matasse capelli non in buone condizioni ed incomplete di ciente lunghezza, l'impiego dei capelli divenne margi-

- altre catapulte con matasse di capelli

Tutte le catapulte suddette, in buone condizioni o meno, qualora progettate per scagliare dardi di due o tre cubiti possiedono matasse di capelli. Non c'è alcun elemento per poter stabilire se si tratti di capelli di donna o di crin i di cavallo, sebbene siano più probabili i secondi. La forma letteraria dell'iscrizione, stilisticamente, appartiene al periodo di Licurgo, 338-326

a.C. Perciò l ' artiglieria a torsione esistette , indubbiamente, sin dal 326 a.C. " (41 J

L' insistente precisazione, apparentemente oziosa, circa la composizione delle matasse, ovvero se capelli femminili, crini di cavallo, od anche tendini bovini , al cli l à della diversa resistenza specifica di ciascuna fibra, sulla quale già abbiamo espresso valutazioni, deve supporsi motivata dalla lunghezza ottimale che necessariamente la stessa doveva possedere, almeno dell 'o rdine della cinquantina di cm. Infatti per sopportare la tremenda so lle citazione della tor s ione i fili delle matasse richiedevano coesioni notevolmente superiori a quelle delle normali funi, ottenibili so ltanto incrementando l'aderenza su perficiale fra le loro fibre, ovvero impiegandone della massima lunghezza disponibile. Si sp iega così il perchè, nonostante l'infinita varietà presente in natura di formazioni cheratinose chim icamente analoghe, basti pensare al vello di tutti gli ani mal i coperti di peli o di setole, la scelta si riducesse appena ai capelli umani femminili per moda ed ai crini caudali equini. A causa di tale mancanza di alter-

nale, rapidamente sopp iantato dai nervi bovini, al punto che in breve tempo siffatte anni assunsero la definizione per antonomasia di neurobalistiche, senza ulteriori tassati ve precisazioni. Infatti tornando alle tracce epigrafiche dell'avvento dell 'a11i glieria a torsione: " un'altra iscriz ione attica, che possiamo definitivamente attribuire all'anno 330-329 a.C., indica anche l'esistenza di macchine a torsione sebbene le matasse stesse non siano esplicitamente menzionate. Si tratta in sostanza di un inventario di equipaggiamenti navali ... Tra le sue voci:

- struttura di catapulta da Eretria

- affusti per catapulte: 14

- basamenti per catapulte: 7

- archi rivestiti di cuoio: 2

- affusti per scorpioni: 6

- travi a croce (? ): 5

- ruote pulegge: 3

- dardi per catapulte, senza puntali e senza governali: 455

- dardi con puntali: 55

- aste non finite per le catapulte a dardi: 47"(42 1

La netti ss ima prevalenza delle matasse di tendini è ravvisabile ancora in: " un 'a ltra breve te st imonianza delle catapulte presenti sull'Acropoli nel 318-317 a.C., [che così] precisa:

- catapulte da due cubiti, con matasse di tendini: 16

- scatole di dardi per catapulte : 10

LE MACCHINE OSSIDIONALI

- catapulte da due cubiti, con matasse di tendini: 1 - c atapulte da due c ubiti, con matasse di capelli ... " (431

Per quanto innanzi delineato è estremamente probabile che persino quando le fonti accennino esplicitamente ai capelli , come nella precedente citazione, si sia trattato in realtà di tendini, gli unici ormai impiegati nelle macchine da lancio dei Macedoni. Del resto per valutare la estrema rarità del ricorso ai capelli , basti ricordare che durante 1'assedio di Cartagine ad opera dì Roma, il cui esito è ben noto, secondo la tradizione solo al profilars i della di sfatta le matrone offrirono le loro chiome per le catapulte! Nessuna traccia , infine , se ne individua in un frammento di appena un decennio posteriore , relativo agli: " approvvigionamenti di artiglieria ... (306-305 a.C.) che elenca i seguenti materiali , immagazzinati nella Calcoteca dell 'Eritteo dell'Acropoli di Atene:

- una pietra da lancio e un arco che c olpisce di 4 cubiti completo, la voro di Bromios

- un 'altra catapulta di 3 c ubiti c ompleta

- un ' altra catapulta di 3 c ubiti con matasse di tendini

- un'altra catapulta di 3 spanne, con matasse di tendini comple ta ... " (44

In conclusione, standardizzatasi la natura delle matas s e, dal munizionamento: " l'insieme della documentazione , di origine letteraria ed epigrafica, prova per conseguenza che esistevano, all'avvento dell'epoca ellenistica, due tipi di catapulte le oxibele e le petrobole ciascuna con numerose varianti, alle quali se ne deve aggiungere un terzo , gli scorpioni, noti per un unico riferimento ma inequivocabile. Resta da stabilirne le caratteristiche di ciascuna interpretando le scarse indicazioni tecniche ad esse riferi-

lNGE G NO E PA URA T RE NTA S ECO U DI FORTlFI C AZIONI IN ITALIA
134 Flangie per catapulte, ritrovamenti di Cremona

evitare che le braccia , nella violenta corsa di ritorno. andassero a cozzare, per inerzia, contro di loro, danneggiandole. La coppia di assi mediane, appena più strette delle precedenti, oltre ad irrigidire la scatola , fungeva da solido raccordo con il fusto.

Per sos tenere gli ancoraggi delle matasse su ciascuna delle assi orizzontali, erano praticati due fori di una decina di cm di diametro, attraverso i quali passavano le stesse.

te alla luce dei trattatisti di balistica di età ellenistica presentava, nella parte posteriore, un incavo mediano e romana " <45 ,_ semicircolare, di circa 15 cm di diametro: serviva ad Si può pertanto affermare, con accettabile fondatezza, che all'avvento del III secolo a.C. le artiglierie neurobali stiche erano ormi di uso corrente, perfettamente funzionati e diversificate per il lancio di dardi e di pietre. Logico, quindi , supporre che tutti gli inconvenienti e le deficienze riscontrate nei gastrafeti, persino in quelli più evoluti, avessero trovato nelle nuove macchine una definitiva eliminazione con 1' adozione degli accumulatori elastici a torsione, pur mantendendo inalterata la loro concezione di ba se.

In dettaglio, infatti , dal punto di vista costruttivo, le artiglierie leggere a torsione conservavano, delle precedenti a flessioni, sostanzialme nte immutato il fusto, ovvero il teniere con la slitta centrale e le cremagliere laterali, sempre rigorosamente in legno, quasi certamente di quercia. Immutato pure l'affusto a tripode ed il suo snodo. Diverso , ovviamente, il gruppo propulsore, costituito da due matasse elastiche verticali, montate fra due robuste assi, tenute di s tanziate da altre quattro perpendicolari: una sorta di scatola parallelepipeda scompartita in tre settori, con gli estremi riservati al le matasse ed il centrale al passaggio del fusto. L'insieme formava l'accumulatore energetico, e s tava posizionato sulla parte anteriore dell'arma, nella medesima ubicazione dell 'a rco. Le corte braccia, impegnate nelle matasse, che tendevano la corda, si disposero, invece, esattamente complanari all'estradosso della slitta, e liminand o così ogni deleterio sfregamento.

In merito alle dimensioni dei supporti delle matasse, relativamente al modello, di balista più usuale , possono fissarsi in poco meno di 1 m di lunghezza per le due assi orizzontali, con una larghezza di circa 30 cm ed uno spessor e di una decina, mentre per quelle vert icali erano rispettivamente di 50 e 25 cm, con un identico spessore. Di queste ultime la coppia este rn a

É probabile che 1'originaria rudimentale soluzione consistesse in due sbarre cave di bronzo , in pratica due tubi, più lunghe del diametro dei fori, intorno a11e quali giravano le fibre elastiche, disposte una al di sopra di quello superiore , l'altra al di sotto del1 ' inferiore. Facendole ruotare in se nso opposto, ma per un ugual numero di giri, tramite una leva in serita al loro interno si provocava l 'attorcigl iamento del1 ' intera mata ssa, fino a.Ila tensione desiderata, dopo di che si bloccavano con dei grossi perni. Il semplice espediente si dimo st rò, però , del tutto inadeguato a gestire le notevoli forze in gioco: la trazione esercitata dalla matassa sulle sbarre, rapidamente crescente dopo i primi giri, finiva per farle incidere profondamente il legname intorno ai fori, inceppandole. per giunta, molto prima del conseguimento delle mas s ime ten s ioni.

Si munirono allora i fori di spesse e larghe flangie di bronzo, fissandole alle ass i con numerosi perni passanti: su l loro ampio bordo si co ll ocarono le sbarre, e la procedura di torsione delle matasse si rivelò immediatamente più semplice ed efficace consentendo di aumentare sens ibilm ente la torsione. Ma occorreva, a questo punto, escogitare un sistema affidabile, e reversibile. per bloccare le sbarre al te1mine della precarica, non bastando più ormai i rozzi chiodi . P robabilmente dopo una serie di tentativi infruttuosi s i pervenne alla soluz io ne ottima le del problema. La flangia venne

dotata di un solido co llarino, alto ci rca 5-10 cm, dest in a to ad innestarsi ne l foro del legno, in modo da trasformarlo in un a sorta di ci lindro di bronzo. I buchi sulla sua corona, per i perni di fissaggio , si a umentarono fino al numero di otto, lasciandone, però, un paio vuoti e vi s i adattò una seco nd a flangia. Qu es ta , munita di doppio co ll ari n o, di cui l ' in ferio re di diametro esterno appena più piccolo di qu e llo interno della prima, fu, s uo tramite, fatta infilare ne ll 'al tra, in maniera da potervi liberamente gi rare. Anche la corona della flangia mobile eb be dei buchi ma in num ero di sedici, e nel s uo collari n o superiore si ric avarono due allo ggiame nti diametrali per la sbarra. Posta, co n la so lit a leva, in rotazione la sbarra que sta, so lidal e alla flangia, la trascinava, fino a l conseguimento della massima te nsio ne. A quel punto, fatti coi ncidere due buchi della flangia mobile co n altrettanti, ma vuoti , della fissa vi s i introducevano dei perni bl occando il tutto. L'operazione era reversibile bastando produrre una ulteriore minima torsione s ull a s barra per estrarre i perni e liberare la matassa.

O vviamen te quanto descritto an d ava compiuto su entramb e le mata sse, e s u entram be le loro es tremi tà, impedendo le braccia in esse imp egnate il precaricame nto da un'unica direzione. Il che rendeva il bilanciamento del sis tema not evolme nte complicato e delicato. Infatti se ba sta va far co mpi ere alle se mim atasse, di sopra e di so tto , un identico numero di giri per equilibrarle, no n altrettanto facilmente riuscivano par eggia bili , per le inevitabili disomogeneità , le coppie forni te da quell a d i destra e da quella di s ini stra alle ri s pettive bracci a. Fu necessario, allora, s timarne indirettam ente la ten sione va lutand ola dalla nota emessa percuotendo le ri spettive se rnicorde. La procedura , da un certo momento in poi, canonica è così ria ss unta da Vitruvio:

" e tira nse da l'altra parte e leganse : e voltanse intorno a ll e s ucule , ac ioc hè con quelle si distindino e t irino le fune e toccandole con le mano faccino suo no eq uale ... " c46i

Quanto all'i n tera macchina lo stesso autore ne stabiliva nelle seg uenti prescrizioni le norme costruttive:

"Adunque havendo noi pensato la proporzione e la ragione di questi instrument i , lo faremo seco ndo la longhezza proposta e del iberata di fare la saetta, la qual questo istrnmento ha da mandare e tirrarre o trare. De lla nona parte di questa longhezza s i facci no li fori l i qua li sono nelli capitelli, cioè nella parte di sopra, per li quali se tirranno nervi torti , li quali contengono le braccia della catapulta. L'alte zza e la larghezza del capitello di questi fori si facci così. Le tavole, le quali vanno in som m o et in imo di questo capitello, le quale si ch i amano parallele, s i faccino della grossezza d'un foro, e la larghezza d'un foro e d'una nona parte di quello, nelle parte extreme d'uno foro e mezzo. Le parastatte, nelle parte estreme d'un foro e mezzo. Le parastatte a dextra et a s ini stra, levandone li cardini, s iano alte quattro fori e grossi cinque, li card ini over coniecture s iano d'un fo ro e mezzo, d al foro fino alla parastatta di mezzo anchora sia un foro e mezzo , la larghezza di essa parastatica di mezzo sia di doi fori e m ezzo, l'intervallo d ove si mette la saetta in mezzo della parastatica, over teniero, s ia la quarta part e d'un foro , la grossezza d ' essa paras tatica sia di un fo ro e mezzo. Li quat ro angoli over ca ntoni, li quali so no intorno et in li lati et in nelle fronti, si confermino bene con l ame di ferro over pi astre , over s tili e chiodi o pe rni di ramo che non s i arr iginiscono.

La larghezza di quello cana li colo, che in greco si chiama strix, s ia di di c inove fora; li regoli, l i q uali si mettano a destra e si ni s tra di esso cana le, li quali regoli li chiamano buccole , s iano di longhezza di un o, cioè per ogni verso d'un foro. Anchora se l 'inchiodino due regoli in li quali s i metta la succ ul a, la quale è longa tre fori e la larghezza di mezzo foro; la grossezza del la succula, che d 'alcun i s i c hi ama camillo, cioè se no o come alc uni altri loculam e n to, la qual se in c hioda qui , s ia incast rata con incas tratura in for m a di una scura over acetta, o volem dir coda di rondela fixa nelli cardin i, d ' un foro, l'altezza di mezzo foro. La

IN
GEGNO E PA U RA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALJA

LE MACCHINE OSSIDIONALI

longhezza della succu la sia di nove fori e mezzo, la grossezza di dodici. La cheto over manuglia di longhezza di tre fori, la larghezza e grossezza d'uno e mezzo. La longhezza del canal dal fondo di sedici fori, la gossezza di uno la larghezza di uno e mezzo.

La colon netta e la basa nel suolo, over da piede , sia di otto fori, la larghezza nella plintide, in la qual si ferma la colonnella, sia d'un foro e mezzo, la grossezza di uno et un quarto. La longhezza della colonna, perfino al cardine sia di dodici fori, la larghezza di uno e mezzo, la grossezza di un o et un nono. Li suoi tre caprioli, la longhezza delli quali siano di nove fori, la larghezza di mezzo, la grossezza, d'un quarto. La longhezza del cardine di un foro. La longhezza del capitel lo della co lonna antefixa era uno e mezzo et un terzo, la larghezza di uno foro, la grossezza di mezzo foro. La posteriore colonna è minore, la qua l in greco si chiama contra basa, si fa alta otto fori , larga uno e mezzo, grossa uno et un guano Quella che si mette di sotto si fa di dodici fori, la grossezza altrattanto. Come la minor colonna: sopra la minor colonna si mette el chelonio, over pulvino, di dui fori e mezzo , di larghezza di uno e mezzo , di grossezza di un o et un quarto; el carchesio: grossezza delle sucule di dui fori e mezzo, la grossezza di un o mezzo foro, la largheza d'un terzo. Li traversarii co n li suoi cardini longhi dieci fori, la larghezza d'un foro e mezzo e la grossezza altratanto. La longhezza della braccia sette fori, la g rossezza dalla radice, fino in summo, di due fori e mezzo. L e curvature di otto fo ri. "1 • 1 >

Mentre per la ricostruzione delle artiglierie a flessione ci si è dovuti inevitabilmente arrovellare sulle fonti coeve , spesso lacunose ed e nigmatiche , per quelle a tors ion e un notevole apporto conoscitivo deriva dai ritrovamenti archeologici. Questi , a loro volta, so no stati resi possibili dall ' impiego del metallo per la componentistica meccanica delle suddette macchine, in particolare per le flangie innanzi descritte. Fondamentale , al ri guardo, il rinvenimento effettuato presso Ampurias, che ci ha re stituito, in ottime condizioni di conservazio-

ne, le due coppie di flangie, con le relative sbarre ed ancoraggi, di una grossa catapulta a torsione(48 1 • Attraverso success i ve scoperte so no emerse ancora altre e più sofisticate parti metalliche, sempre inerenti agli accumul atori energetici, permettendoci così di vag liare oggettivamente l'evoluzion e di tali congegni. In dettaglio si tratta di una nutrita serie di pezzi di rispetto di arpionismi di arresto in bronzo di var i diametri e foggie. Volgarmente noti come ruote a crik, o saltaleo ni, so no ancora di impiego corre n te in innumerevoli congegni per consentire la rotazione in un unico senso, bloccando quella retrograda: così negli orologi a molla, così negl i argani delle gru. Nelle catapulte a torsione andarono a sos tituire la cremagliera ed i suoi nottolini di bloc caggio, senza stravo lgern e il criterio funzionale. E , forse, a nch e le s te sse flangie.

Di esse, infatti, in qualche caso fu mantenuto il collarino inferiore, per l'inserimento coassiale nella controflangia, ed il superiore per il doppio alloggiamento della sbarra di ancoraggio della matassa. Mutò, invece, la corona liscia, trasformata appunto in una ruota ad arpioni di arresto. La precarica delle matasse diveniva pertanto ancora più spedita, poichè non occorreva più inserie alcun perno per bloccarne lo srotolamento, provvedendo automaticamente l' arpionismo. Nonostante l 'evidente validità non sem bra che la so luzione si sia impo sta negli anni successivi, verosimilme nte per la sua intrinseca delicatezza.

Di certo la maggiore potenza costituì il principale salto di qualità per l ' intera tipologia delle artiglierie neurobalistiche. E pur s ub e ndo, in tempi ovviamente più ampi, la medesima progressiva p erdita di tensione di quelle a flessione per l'inevitabile scadere dell 'e lasticià delle matasse, con l 'ausilio della so la le va di precarica bastav a impartire una ulteriore modesta rotazione alla s barra di ancoraggio per recuperarne le originarie prestaz ioni. Senza contare poi che, specie dopo la standardizzazione della componentistica meccanica, introdotta dai tecnici romani, la s ostituzione di una intera matassa richiede va pochi ss imi minuti e nessun

particolare attrezzo. Non a caso, per la generalizzata adozione degli accumulatori a torsione, il termine latino con cui vennero definite tutte le artiglierie fu quello di tormenta de1ivazione della voce verbale torcere, il cui etimo permane ancora in tantissimi vocaboli attuali sottintendenti una rotazione, persino in senso puramente astratto , tra i quali la superba ' torre' cilindrica, o la domestica 'torta'.

Per ]'ottima riuscita dell'arpionismo di an-esto, in pochi anni , tutte le artiglierie lo acquisirono applicandolo al verricello. Si eliminò perciò la coppia di cremagliere laterali: non scomparvero del tutto, però, poichè in teatri più remoti, dove non tornava agevole far giungere quei sofisticati organi meccanici, continuarono ad utilizzarsi con soddisfacente efficacia.

L'artiglieria, appena descritta. conobbe numerose varianti dimensionali e funzionali, ciascuna all'epoca

designata con un preciso nome. Artefici della diversificazione , come accennato , furono senza dubbio i Romani , che , pur non essendone gli inventori , secondo la loro abituale prassi, appresone il funzionamento e valutatane la convenienza, introdussero determinanti perfezionamenti e razionalizzazioni all ' arma, dotandone massicciamente le legioni. Innanzitutto ne ricavarono due ben distite specialità, da difesa e campale, s u affusto statico le prime e ruotato le seconde. P e r rendere quest ' ultime meno sensibili alle perturbazioni metereologicbe racchiusero le matasse in appositi contenitori cilindrici di bronzo , dai quali fuoriu scivano soltanto le braccia. Le relative flangie di registrazione e precarica vennero protette a loro volta da cuffie s emisferiche ad incastro. Ai cilindri applicarono deJle s taffe per l ' innesto alle traverse metalliche fungenti da supporto , ammorsate anteriormente al fusto. Grazie all'elementare accorgimento, la s ostituzione di una

135 Arpioni smi d ' arresto retrogrado. ritrovamento di Ephyra INGEGN O E P AURA TR ENTA S ECOLI DI F ORTIFICAZION I I N ITALIA

matassa danneggiata richiedeva alcuni istanti, pochi colpi di rnazzola e nessuna particolare capacità meccanica: ed è anche questa una plausibile spiegazione della cospicua dotazione di cui disponeva ogni legione. Stando a Flavio Renato Vegenzio, infatti:

"Fu consuetudine, infatti, avere in ogoi centuria un carrobalestra, al quale si assegnavano muli per il traino e una squadra di undici uomini per il funzionamento e per condurlo in battaglia.

Questi carri, quanto maggiore fosse la loro stazza, tanto più vio lentemente ed a grande distanza scagliavano i dardi. Non soltanto difendevano gli alloggiamenti, ma in campo aperto venivano po s ti dietro la linea dell' «annatura pesante». Al loro attacco noo possono far fronte nè cavalieri nemici , nè fanti con gli scudi.

In ogni legione, in particolare. c ' erano cinquantacinque di queste «ba lestre». come anche dieci onagri per lan-

ciare grandi pietre; in sos tanza, uno per ogni coorte, tras portati su carri tirati da buoi , allo scopo d.i dife ndere gli alloggiamenti con pietre e sa ss i, nel caso ch e i nemici attaccasero i rifugi. ,, ,.~ ,

Un'ultima annotazione circa le descritte aitiglierie leggere a torsione deve necessariamente riservarsi alle loro prestazioni balistiche. Sebbene le fonti siano al riguardo ampiamente discordanti è fuor di dubbio che macchine in ottime condizioni di servizio e con idoneo munizionamento fornissero gittate massime dell'ordine dei 400 m, di cui soltanto un paio di centinaia sicuramente efficaci e, forse, appena la metà a tiro teso. Convalidano del resto l'affermazione tutte le recenti ed accurate ricostruzioni di tali armi. Abitualmente scagliavano verrettoni quadrati, ma ne esistevano anche di idonee al lancio di palle di pietra di piccole dimensione. Al di là della distanza battibile , ciò che maggiormente impressione è la violenza dei loro

LE MACCHINE OSSJDIO NAL!
1 36 A rpionismi d'arresto. ritrovamento di Mahdia
f NGEG NO E PA URA TRENTA S ECOLI DI fO RTIFICAZIONI IN ITALIA
137 Rico struzione di una gra nd e balista di Vitruvio
L E MACCHINE OSSID lONALJ 138
Rico s tru z ione di una carrobalista romana

impatti: nei rari reperti anatomici di vittime che ci sono pervenuti, come il cranio rinvenuto a Madle Castle, appaiono perfettamente riconoscibili degli eloquenti fori quadrati , completamente privi di slabbrature e di fratture contigue, segno inequivocabile della tremenda energia cinetica residua posseduta dai verrettoni persino dopo lo sfondamento dell'elmo.

Artiglieria pesante a torsione

A differenza delle artiglierie a flessione che , a causa delle caratteristiche strutturali degli archi, non potevano eccedere ben modeste dimensioni, nessun limite del genere condizionò quelle a torsione. In linea puramente teorica sarebbe stato praticabile costruire matasse di qualsiasi grandezza: il vero ostacolo insormontabile era. se mai , il caricarle! Possibile, comunque, realizzare macchine in grado di

scagliare grosse pietre a varie centinaia di metri di distanza. Il che, dal punto di vista offensivo, significava il superamento del tradizionale tiro antiuomo, assurdo per artiglierie pesanti. Infatti , pur non disponendo della indi s pensabile energia cinetica per sgretolare le fortificazioni, palle di circa 30 kg si dimostravano perfettamente capaci di schiantarne le sovrastrutture, dalle tettoie alle merlature, privando così i difensori del loro riparo e soprattutto della loro relativa protezione.

Esistevano ancora. con prestazioni di analoga violenza, anche baliste destinate al lancio di giganteschi verrettoni, singolarmente in grado di trapassare più uomini e persino 'testuggini ' . Il tipo medio: " ... lunga circa otto metri, lanciava un proietto del peso di 40 kg a 400 m di distanza. Tacito rammenta una balista della Isa legione, che scagliava travi pesantissime, e Cesare parla di travi di dodici piedi di lunghezza scagliate dalle grandi baliste ... " <50 ) Di tali ordigni se ne

________:INGEGN
O E PA URA TRENTA S ECOLI DI FORTIFI CAZIONI IN ITALIA
139 Teschio con foro di verre t tone di catapulta

riscontrano esplicite menzioni già in età ellenistica, ma soltanto in epoca romana attinsero caratteristiche strutturali e funzionali congrue alla finalità. Curiosamente mentre i trattatisti coevi definivano le artiglierie leggere 'catapulte', per noi antesignane balestre, definivano invece quelle pesanti 'baliste', per noi catapulte per antonomasia. E che al riguardo non sussistono equivoci è, ancora una volta, Vitruvio a certificarlo ricordandone le proporzioni esecutive, per cui:

" quella balista che ha da gettare un saxo di dui pesi bisogna che habbino el foro del capitello di cinque dita largo per dìametro, se dì quatro pesi el foro sia di sei dita; se dj se i pesi dì septe dita; se di dieci pesi il foro sia di otto dita: se di vinti pesi el foro sia di dieci dita; se di quaranta pesi il foro sia dì dodici dita e mezo; se di sexanta pesi il foro sia di tredici dita et uno ottavo; se di ottanta pesi il foro sia di quindici dita:se di centoventi pesi il foro sia di vinti dita e mezo; se di centosexanta pesi el foro sia di vinti dita e mezo: se di doiciento e dieci pesi e l foro s ia di doi piede e septe dita " ' 511 •

Considerando che l'unità di misura ponderale standard romana era la libbra, pari a circa 327 g, il brano citato ci conferma l'esistenza di baliste capaci di tirare palle di pietra di oltre 70 kg , mediante l ' impiego di matasse del diametro di poco inferiore ai settanta cm! Tenendo conto della densità media della pietra, se ne ricava un diametro di circa cm 38! Quale potesse essere la loro tremenda efficacia è desumibile dalle pagine di Giuseppe Flavio relative all'assedio di Gerusalemme del 70 d.C. Precisava lo storico che:

" tutte le legioni disponevano di magnifici ordigni. ma specia lmente la legione decima, che aveva catapulte più potenti e baliste più grosse con le quali non so lo respingevano le sortite, ma battevano anche i difensori

sulle mura. Scagliavano pietre del peso cli un talento e avevano una gittata cli due stadi e più; i loro colpi abbattevano non so ltanto i primi ad essere raggiunti ma anche quelli che stavano più dietro per largo tratto. I giudei dapprincipio schivarono i proiettili perchè erano di pietra bianca, e perciò non soltanto erano preannunciati dal sibilo, ma si scorgevano da lontano per la loro lucentezza. Le loro sentjnelle collocate sulle torri, quando l'oriligno veniva scarica to e partiva il proiettile, davano l'allarme gridando nella loro lingua: «Arriva il figlio». Subito quelli su cui stava per piombare si sparpag liavano e si gettavano a terra, sì che il proiettile li sorvolava senza causar danni e cadeva alle loro spalle. Allora i romani ricorsero all'espediente di colorare il proiettile di nero, e poichè così non era più tanto facile scorgerlo da lontano , essi piazzarono molti colpi e facevano molte vittime insieme con un sol colpo... "1521 •

Ora ri sapen dosi che l'unità ponderale greca detta 'mina' corrisponde circa a g. 436, e che un 'talento' era pari a 60 mine , le macchine in questione scagliavano palle di circa 24 kg, del diametro, quindi, di oltre 25 cm: non erano perciò le mastondontiche innanzi ricordate, ma probabilmente quelle più convenienti, razionale sintesi di una ragguardevole pesantezza di tiro e di una discreta manovrabilità. Quanto alla loro gittata, corrispondendo lo stadio a circa 185 m, superava abbandantemente i 350 m. Tra le righe dello Storico affiorano anche alcune interessanti precisazioni: innanzitutto risulta accertata l'ipotesi che con i grossi calibri non si mirasse al singolo individuo, secondariamente è ricordata, prima manifestazione del genere in ambito bellico, l'adozione di una colorazione mimetica per i proietti. Il particolare, inoltre, del sinistro sibilJare delle palle in avvicinamento ce ne lascia dedurre la notevo le velocità, che, rapportando la distanza delle batterie al tempo impiegato dalle sentinelle per dare l'allarme, pari all ' intervallo tra il lancio e l'impatto, doveva attestarsi intorno al centinaio di m/sec.

LE
MACCHINE OSSIDIONALI

Sebbene 1e grandi baliste avessero un accumulatore energetico, sostanzialmente identico, concettualmente e strutturalmente, a quello delle piccole catapulte, fatte salve ovviamente le debite dimens ioni, per il resto nulla accomunava le due tipo1ogie, a cominciare dalle rispettive dinamiche offensive. Infatti mentre gli impatti dei verrettoni, al termine di una traiettoria tesa, cedevano al bersaglio l'energia resid ua di quella impartitagli dall'arma, le grosse palle, al termine di una traiettoria parabo1ica, cedevano l'energia acquistata durante la caduta. A prima vista la differenza sembra inilevante, ed in effetti lo era, se la quota delle catapulte e delle baliste coincideva con quella dei bersagli. Cambiava, e di molto, invece, allorquando risultava sensibilmente maggiore. In tal caso, con la direttrice in depressione, mentre l ' incremento della forza viva dei dardi si dimostrava trascurabile quello delle palle si accresceva vistosamente. Ne conseguiva una netta tendenza a piazzare, quando possibile, le baliste in punti eminenti, anche a costo di improbe fatiche per condurvele. Non a caso una delle caratteristiche precipue di una particolare tipologia di tali artiglierie, definita monoancon, a braccio unico, consisteva nella loro discreta mobilità , ottenuta tramite l'adozione di un affusto su telaio a quattro ruote.

Scendendo in dettaglio, su lle robustissime travi laterali del telaio, appena più indietro dell ' assale anteriore, si innestarono due ma ss icci montanti verticali, irrigiditi da quattro con trafforti. Alla loro sommi tà venne incastrata una trav ersa, destinata a fungere da battita per il braccio della balista: onde preservar1a, per quanto possibile , dal rapido deterioramento provocato dalle sue incessanti percussioni, la s i rivestì con una co riacea imbottitura di cuoio

Sempre in posiz ione anteriore, ma fra i due montanti e l'assale, fu collocata la matassa elastica, corrente da un fianco all'altro della macchina, attraversandone i longheroni del telaio mediante le solite flange di bronzo, con i relativi arpionismi di arresto. La precarica della mata ssa, di improba fatica per la sua grandez-

za, richiedeva gli sfo rzi congiunti di numerosi serventi su lunghe leve di ferro. Al centro della stessa stava in serita l'estremità del braccio, simile nella sua interezza ad una g ig antesca cucchiaia di legno. Per l'ubicazione avanzata della matassa rispetto alla battita , l'angolo che il braccio descriveva nella sua rotazione non poteva eccedere i 45 ° , limite che coincideva con la massima gittata dell'arma, quella peraltro di normale impiego. Qu ando circosta nze fo1tuite ne richiedevano di minori, si co llocavano ulteriori imbottiture s ulla traversa in modo da bloccarne anticipatamente la corsa.

Stimando, per baliste capaci di scagliare pietre di una ventina di kg, dimensioni standard del telaio di circa m 6x2, con un braccio, a sua volta , lungo complessivamente m 5, è estremamente probabile che le loro matasse raggiungessero il diametro, al passaggio nelle flange, di circa 30 cm, entità apparentemente modesta rispetto alle desc1itte prestazioni. É indi spensabile, pertanto, ricordare che da accorti calcoli: " ... le corde usate per tendere il braccio potevano facilmente svi luppare una forza di 60.000 ch.ilogrammi. " ' 53)

All'estremità posteriore del braccio , sul bordo della sua conca, era fissato, con lunghe bandelle di ferro e perni passanti, un grosso gancio. Per le enormi sollecitazioni a cui veniva sottoposto durante la carica, è credibile che le bandelle cerchiassero interamente, come un grosso ceppo, la conca ali' interno della quale veniva deposta la pietra, scalpe llata per regolarità di traiettoria, in forma sferica.

Nel gancio, invece , s i in seriva l'occhiello metallico di una spessa fune, dipanantesi da un tamburo, posizionato appena più indietro delJ' assale posteriore. Il suo albero attraversava i longh eroni in boccole di bronzo, portando alle opposte estremità due grosse ruote , con regolari fori s ulla corona, nonch è due arpionismi di arresto. Poste in rotaz ione con diverse lunghe spra ngh e di fe1To inserite nei suddetti fori, provocavano l ' attorcigliamento della fune s ul tamburo, e per conseguenza l ' abbassamento del braccio ed il caricamento della

TNGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN TTALlA
LE MACCHINE OSSIDIO NAL I
140 Ricostruzione catapulta romana derivata da Erone

matassa. Per rendere la procedura meno faticosa tra l'occhiello e la fune si applicò un paranco a due taglie. Premesso ciò, la sequenza di attivazione di una balista si sviluppava nel seguente modo. Piazzatala nella punto prescelto , bloccatene le ruote con cunei e picchetti, se ne precaricava la matassa. Esa urita l'operazione, agendo sul paranco posteriore si portava il braccio ad assumere , lentamente, la posizione orizzontale, al termine della quale lo si bloccava in sicurezza. Valuta con rudimentali espedienti telemetrici la di stanza da battere, apportate le necessarie limitazioni alla co rsa del braccio, si caricava il proietto nella c ucchiaia, e quindi, con uno strappo si disimpegnava il gancio, liberando il braccio. Ques to , trascinato dalla matassa, si abbatteva con straordinaria violenza sulla traversa scagliando la palla. Quanto brevemente sintetizzato lascia ipotizzare cadenze di tiro dell 'ordine di una decina di colpi l'ora, risultato, ancora una volta, affatto in significante: una batteria di appena quattro pezzi che avesse concentrato i tiri su di una ri s tretta sezione di mura l'avrebbe, in pochi minuti, completamente sguarnita di difensori, con conseguenza immaginabili. Eccone un preciso riscontro nella pagine di Giuseppe Flavio relative sempre all'assedio di Gerusalemm e:

"Così essi [i Romani] appressarono maggiormenle le catapulte e gli altri ordigni lanciamissili per co lpire queJli che dall'alto del muro cercavano di far resistenza, e apritono il tiro Sotto questa gragnuola di colpi nessuno osò affacciarsi sul muro " <s.. 1•

Ed ancora più in dettaglio:

"Gli uomini di Giuseppe, sebbene cadessero gli uni sugli altri colpiti dalle catapulte e dalle baliste, tuttavia non si ritiravano dal muro, ma con fuoco , ferro e pietre bersagliavano quelli che al riparo dei graticci azionavano l'ariete. Però concludevano poco o nulla, e ne morivano in continuazione perchè loro erano in visla mentre gli avver-

sari restavano in ombra; infatti es s i, illuminati daj loro stessi fuochi , offrivano un nitido bersaglio ru nemici, come di giorno, e poichè da lontano le macchine non si vedevano era difficile scansare i loro proiettili. La violenza delle bali s te e delle catapulte abbatteva molli uomini con lo stesso colpo , e i proiettili sibilanti scagliati dall'ordigno sfondavano parapetti e scheggiavano gli spigoli delle torri. Non v·è schiera di combattenti così salda che non possa essere travolta fino atrultima riga dalla violenza e dalla grossezza di tali proiettili. Si potrebbe avere un ' idea della potenza dell'ordigno da ciò che accadde quella notte: infatti ad uno degli uomini che stavano s ul muro attorno a Giuseppe un colpo staccò la lesla facendola cadere lontano tre stadi [oltre 500 m]. Sul far del giorno una donna incinta, appena uscita di casa, venne co lpita al ventre e il suo piccolo venne proiettato alla distanza di mezzo stadio: tale era la forza della balista. Più pauroso degli ordigni era il rombo, più s paventoso dei proieuili il fragore "{551•

Occorre, ancora osservare che a differenza delle catap ulte, simmetricamente impiegate sia dai difensori che dagli attaccanti, per esattezza forse più dai primi che dai secondi, le baliste tornavano utili solo in fazione offensiva, in quanto inadatte a battere bersagli mobili e sparpag liati.

Una variante a braccio unico di media potenza, era rappresentata dai cosidetti 'onagr i' , la cui invenzione deve essere ascritta proprio ai Romani. In lin ea di massima differiva dalle precedenti sol tanto per la modalità con cui il braccio scagliava il proietto. La m acchina, infatti, costava di un robusto telaio, di un ' unica matassa elastica trasversale, di un braccio di lancio in se rito nella stessa nonchè di un paranco posteriore per caiicarla. Scomparsa del tutto la caratteristica cucchiaia, con il relativo gancio, sostituita da una fionda, vincolata all'estremità del braccio da tr e funi. Di queste, due stavano fissatate stabil mente al braccio stes~o, l'altra, invece, ad un s uo uncino tramite un anello: in prossimità dei 45 ° di rotazione l'anello si disimpegnava per

INGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI I N ITALIA
LE MACCHINE OSSIDIONALI 141 Ri cos tru z ione di onagro romano
I NGEGNO E P AURA TRENTA SECOLI DI F ORTIFICAZIONI IN ITALIA
142 Ricostn.17.ionc di grosso mangano. o trabucco, medieva le

effetto centrifu go e la tasca de lla fionda si apriva rilasciand o la palla in essa con tenuta. E, mentre quella dirigeva s ul bersaglio, il braccio esau riv a la s ua co rsa, complessivamente di c irca 120°, arrestandosi co ntro un ' imb ottitura obliqua di cuoio. Pe r reazione l 'in tera macc hina so ll evava allora la sua parte pos teriore, ri co rdando così lo scalciare di un asino sel vatico: dal che trasse i I s uo c urio so nome.

Dal punto di vista balistico per l a traiettoria forteme nte parabolica impressa ai pro ietti , e per la loro ragguardevole mole , l'onagro può e quipararsi ad un moderno mortaio per cui stand o a Pietro Sardi: " .. . offendeva inoltre lo assalitore con questa macchina di Onagro, tirando essa pietre così pesanti sopra i tetti delle case della Città o Fortezza facendogli .~fondare, con l'ammazzare quegli che dentro si trouauono, donde impauriti erano forzati ad arrendersi."<56 '

Ri corda va a sua vo lta Yegenzio Flavio che:

" ... l'onagro scag li a pietre di peso rapportato alla robustezza dei nervi. perchè quanto più è possente tanto più grandi so no i sass i che lancia come fu lmini comunque. con i sassi più pesanti scagliati dall'onagro non so ltanto si abbattono g li uomini ed i cava lli , ma sì distruggono anche le macchine nemichc.''' 571

L'adozione della fionda, al di là della ovvia se mplific az ione costruttiva, contribuiva a potenziare vistosamente le prestaz ioni de ll 'o nagro , poichè di s te ndendosi le s ue funi durante la co r sa di la ncio , ne ri sultava allungato il braccio di una prui misura. Ora permane ndo immutata la velocità angolru·e ne derivava un se ns ibile incremento di quella periferica, ovvero della velocità iniziale del proietto, dalla qu a le dip e nd eva la violenza del! ' impatto e la g ittata. L a validità della innovazione fu tale c he , ancora nel Medioevo, le più pes anti ai-tigli eri e d'assedio, i t.rabucchi o mangani158', pur avendo ormai giubilato le delicate matasse, s os6tuite da enormi contropesi, sfruttando l 'e nergia poten -

z ial e di gravità in lu ogo d e ll 'e lastica, conservarono, in vece, la fionda. Riu scivano in tal modo a scagliare massi del peso di c irca 5 quintali ad oltre 300 m di distanza. I proietti non convenzionali

Con le grosse ca tapulte s i praticò, ne l co rso degli assedi più ostinati, anche una antesignana guerra chimico-battereologica. Relati vame nte alla prima la più eclatante manifestazione va co llegata all 'i mpi ego dei proietti incendia1i, alquanto div e rs i dai rudimentali dardi accesi. In par ti co lare : " tirauono piccole botticelle, piene difuoco artificiale, quali così gettate dentro La Città sopra i tetti o altre macchine di legname, abbruciano tutto, donde gli assediati non potendo sopportare tanti danni e pericoli si arrendeuono allo assalitore ... " c59> _ Anche Vegenzio Flavio menziona tali proietti affer mando che :

'

' tiran con le ba lestre magliuo li o faJàriche piene di fuochi. I magliuoli sono come le frezze e dove sì ficcano , venendone accesi, bruciano ogni cosa. La falarica è un ' asta forata con un gagl iardo fen-o in cima, piena di zolfo, resina. bitume e stoppa infusi dì olio incendiario. la quale tirata co n la furia della balestra rompe le coperte e ficcandosi ardendo nel legno, spesse vo lte abb1ug ia le torri ""'0 '

Oltre alle miscele incendiare, che c ulmineranno nel famosissimo, quanto enigmatico fuoco greco, le macc hine lancia vano anche proietti più originali e meno prevedibili. Si sa ad esem pio di otri di terracotta riepieni di sos tan ze fortemente fetide. come pure di altre che sprigionavano fumi acri ed iITe s pirabili, ed ancora di ceste colme di rettili velenosissimi, o di interi sciami di vespe. La tra sc urabile letalità non dev e però far so ttostimare i rischi che questi tiri comportavano, riuscendo, comunque, a provocare temporanei allontana-

LE

menti dei difensori dalle mura non diversamente che gli impatti delle pietre. Più pericolosi, e forse anche meno eccezionali, erano i tiri 'battereologici', ottenuti scagliando all'interno delle città nemiche cadaveri e carogne in avanzato stato di decomposizione per innescarvi, favorite dalle spaventose condizioni che vi regnavano durante gli assedi prolungati, incontrollabili epidemie.

Gli ingegneri

Un ultimo interessante approfondimento, relativamente aJle artiglierie meccaniche , è a carico della figura professionale dei loro progettisti, costruttori e direttori di tiro. Poichè tutte le macchine d'assedio venivano genericamente definite dai Romani 'ingegni', i tecnici ad esse preposti, si definirono, a loro volta, ovviamente 'ingegneri'. Pur essendosi guadagnati, rapidamente, in ambito militare una condivisa reputazione, in quello sociale ed in particolare in quello culturale, gli ingegneri rimasero sempre personaggi di sprezzati , spesso reputati abietti e spregevoli, accuratamente evitati dai coevi studiosi. Il fanatico pregiudizio non dipese daJl'essere la loro attività inerente alla guerra, ma , paradossalmente dall'essere di tipo manuale, pertanto servile e disdicevole, condanna che logicamente si estese alle stesse macchine. Non a caso quando: " ... Platone era adirato con loro, affermava che costoro corrompevano e avvelenavano la dignità e ciò che vi era d i eccellente nella geometria, facendola scendere dagli oggetti intellettivi ed incorporei a quelli sensibili e materiali e facendole fare uso di materia corporea, con la quale è necessario molto vilmente e molto bassame nte impiegare l'opera delle mani; da allora ... la meccanica, o arte degli ingegneri, viene ad essere separata dalla geometria ed, essendo a lungo disprezzata dai filosofi, diviene una delle arti militari. " < 6 1)

Disgraziatamente in quell'orgoglioso rifiuto si col-

loca , con discreta certezza, il mancato sv iluppo tecnologico dell'antichità, nonostante tutte le premesse e le promesse, con dolorose conseguenze per l'umanità. In pratica: " ... in una civiltà, quella ellenistica, tutto era approntato per una trasformazione progressiva e tuttavia radicale delle condizioni dell'esistenza quotidiana. Ma questa trasformazione non si è verificata. L'i ngegnosità impiegata ad utilizzare le proprietà della materia e a dominare le grandi forze naturali , per combattere il nemico , o per divertire curiosi e ingenui , ha praticamente la sc iato il posto all'indifferenza, quando questo sfruttamento e questa peri zia avrebbero potuto contribuire a diminuire la miseria e la fatica fisica degli uomini Così non è per ignoranza che l' antichità ha peccato, ma per rifiuto ... " (62 > Più in dettaglio , come oltre un millennio dopo l'avvento dell'artiglieria a polvere determinerà un rapido evolversi di tutta la tecnologia fino alla costruzione del motore a scoppio che per molti versi può ritenersi un cannone appena modificato anche agli inizi dell'epoca volgare un identico salto sarebbe riuscito praticabile, esistendone già da tempo tutti i presupposti tecnici. Invece nulla del genere avvenne: per alcuni studiosi fu questa incapacità che consentì il protrarsi dell 'abomi nio della schiavitù; per altri, invece, fu esattamente l'opposto. Per i primi la mancanza di forza motrice meccanica avrebbe costretto allo sfruttamento dell'uomo quale macchina, finendo per svilire qualsiasi attività manuale; per i secondi la disponibilità di schiavi a buon mercato avrebbe impedito il perfezionarsi delle macchine.

Pur essendo entrambe le tesi razionali e motivate è, a nostro avviso, di gran lunga più probabile la seconda per una serie di motivi che ci rimandano al disprezzo verso la meccanica applicata, perchè risultato di azioni fisiche. Quanto insormontabile riuscisse tale repugnanza lo dimostra il grande Archimede che solo l'approssimarsi della tragedia della sua città costrinse a cimentarsi come ingegnere, pur incrollabilmente: " ... considerando la meccanica, ed in generale tutte le arti che si

INGEGNO E PAURA TRENTA SECO LI DI FORTIFICAZIONI IN ITAL!A

esercitavano per il bisogno comune, arti vili ed oscure." <n3i. Nemmeno i Romani ebbero, ad onta della loro avanzatissima ingegneria, una posizione contrastante al riguardo. Per: " ... Seneca le invenzioni contemporanee, l'uso dei vetri trasparenti, del calorifero ... sono tutte opere dei più vili schiavi, di menti espe1te, penetranti se vogliamo, ma non certo grandi menti, di menti elevate, come d'altra parte è vile tutto ciò che può ricercare il corpo chino, lo spirito rivolto alla terra. Queste invenzioni sono opera del raziocinio non dell'intelletto " <64i Poste queste p remesse non stupisce affatto che tanto i Greci quanto i Romani al profilarsi di un rivoluzionario progresso tecnico: " ... lungi dall'ignorare le conoscenza scientifiche o le applicaz ioni pratiche che avrebbero permesso loro di avviarlo e poi di svilupparlo ... di proposito ... si astennero da mettere in atto le macchine adeguate per economizzare il lavoro umano producendo di più e più rapidamente " 165> In realtà la spiegazione così impostata è

forse troppo semplicistica offrendo il fianco ad una facile critica: perchè, i n diversi stati, quando prosperava l'economia schiavistica, come in Egitto, e poi nella stessa Roma, si registrò un vistoso progresso tecnologico?

E perchè, invece, dove risulta scarso od inesi stente l 'impiego della manodopera servile, come nell 'a lto Medioevo in Occidente, si ebbe un suo ristagno? Più verosimilmente, allora, il maggiore ostacolo a quel possib il e salto deve individuarsi proprio nella repulsione viscerale nei confronti degli ingegneri da parte dei filosofi: ai primi, 'vil meccanici', mancò pertanto, direttamente o psicologicamente, l'accesso alla conoscenza avanzata, costringendoli alla perenne riproposizione di risapute tecniche. Ai secondi, invece , mancò l'umiltà e la sensibilità umana, finendo col perdersi in sterili elucubrazioni. Le macchine che avrebbero potuto innescare un società migliore riuscirono, purtroppo, soltanto a peggiorare ulteriormente l'esistente!

LE
MACCHINE OSSIDIONALI

NOTE CAPITOLO QUINTO

' Per un quadro generale dell'evoluzione della tecnologia militare in quel particolare period o cfr. E. CECCHINI, Tecnologia e Arie militare, Roma 1997 , pp. 29-32.

2 Sintetizza perfettamente il concetto M. HOWARD , La guerra e le armi nella storia d'Europa, Bari 1978, p. 32, affermando che:" con conseguenze più generali , i re di Francia misero insieme un parco di artiglieria d'assedio di fronte al quale i castelli, che proteggevano le proprietà terriere della corona inglese in Fran cia, si sgretolarono in mucchi di pietre". Anche T. ARGIOLAS, Armi ed eserciti del Rinascimento italiano, Roma 1991 , pp. 95-96, traccia una sintesi degli effetti dell'artiglieria s ulla fortificazione, precisando che:"Le mura, per quanto potessero essere spesse, prima o poi venivano demolite dai grossi e pesanti proiettili Logicamente si pen sò che per difendersi dalle artiglierie fosse necessario disporre di analoghe am,i con gitatta maggiore di quel le dell'assediante ... [per cui] le artiglierie ebbero un ' influenza detemunante sulle modifiche radicali delle fortificazioni per due motivi: per la necessi tà di irrobustirle per as sorbire gli impatti. .. e poi per l'indispensabile ampliamento ... delle superfici s ulle quali appoggiava il cannone ... due fattori, uno difensivo, uno offensivo, imposero il nuovo tipo di fortificazione permanente " Circa gli espedienti per adeguare le fortificaz ioni alle crescenti nunacce delle artiglierie, ricorda W. H . MC NEILL, Caccia al potere. Tecnologia , armi, realtà sociale dall'anno Mille, Varese 1984, p. 77, che:" già prima del 1494 i tecnici militari della penisola avevano sperimentato pe r mezzo seco lo diversi modi per migliorare la capacità delle vecc hi e fortificazioni di resistere al fuoco d 'artiglieria ".

3 In merito cfr. J. POMIANKOWSKI, Il tramonto d e ll'impero ottomano, Milano I 934, pp. 13-26

• L' intervento di Archimede nella progettazione delle fortificaz ioni di Siracusa è estremamente improbabile, proprio per la sua notoria riluttanza ad occuparsi di questioni pratiche Precisa, infatti, al riguardo E. VOLPINI , La scienza nell 'antichità e nel M edioevo , in Storia della Scienza , a cura di M. DAUMAS, P. CASINI , Bari 1969, pp. 213-214, c he: " Le invenzioni meccaniche d 'ordin e pratico hanno avuto , nell'insieme dell'attività del Siracusano, un ruolo episodico Infatti , a parte le macchine belliche, non s i citano altre s ue creazioni nel campo... Resta pertanto acquisito che Archimede non aveva la m e ntalità dell ' ing egnere ma quella di un matemati co e fisico di genio ".

5 La posizionatura bassa delle art iglierie meccaniche è di notevol e interesse , anticipando di quasi 18 seco li quella delle artiglierie a polvere: per riscoprirla, infatti, occorrerà attendere la metà del XV secolo Al riguardo cfr. C. SA CHERO, Corso di fortificazione permanente , Torino 1861 , pp. 28-29.

6 Da E. W. MARSD EN, Greek and roman artillery, rist. Oxford 1999, pp. 1 I 9-121. La tradu z ione è del! ' A.

7 La citazione è tratta da B . GJLLE , Storia delle tecni che , Roma 1985, p. 171 .

8 Da Y. GARLAN , Guerra e società nel mondo antico, Imola 1985, p. 177.

9 La citazione di PLAUTO, Captivi, 796 , è tratta da E. W. MARSDEN, Gre ek..., cit., p. 84.

10 Ricordano D . D EL Ri o, S. ESPOSITO , Vigliena , Napoli 1986, p. 111 relativament e all'altezza delle cortine del fortino di Vigliena di Napoli, costruito agli inizi del ' 700 che:" gli ingegneri s uggerivano di tenere in conto quella mas s ima possibile ai mezzi di scalata mai inferiore a circa m. 6. 80. "

11 Cfr. E. C ECC HINI , Tec nologia , cit., p. 3 I.

12 Da Y. GARLAN, Guerra ... , cit., p. 178.

11 La c itazione è tratta da T uc 1oroE, La guerra , cit., Il, 75, 2 - 3.

1 • Da Y. GARLA N, Recherches , cit., p. 233. La traduzione è dell ' A.

15 Da Y. GARLAN, Recherches , cit. , p. 229. La traduzione è dell ' A.

6 Da Y. GARLAN , Recherches , cit., p. 233. La traduzione è dell ' A.

17 Di Diodoro Siculo non è nota la data esatta di nascita, che comunque s i colloca intorno alla metà del I sec. a. C. ad Agirio in Sicilia. Pochi ssi me notizie ci sono pervenute della sua vita. Circa la produzione s torica sappiamo che si componeva originariamente di quaranta libri: di questi ce ne sono giunti soltanto i primi cinque e qu e lli compresi fra I' 11 ed il 20: degli altri disponiamo di s unti di epoca bizantina. Cfr. DIODORO SICURO, Storia universale, a cura di A. Baccarin, Forlì 1991, pp. 5-7.

18 Da Y. GARLAN , Re che rches... , cit., p . 225. La traduzione è dell' A.

9 La citazione dell'Anonimo di Bis anzio, è tratta da Y. GARLAN , Reche rches ... , cit., p. 226. La traduzione è dell 'A.

20 La citazione di Diodoro , XX, 85-1 , è tratta da Y. GARLA N, Rec he rches , c it. , p 231. La traduzione è dell' A

21 VITRUVIO , D e architettura, traduzione di Fabio Calvo Ra vennate, a cura di V. Fontana, P Morachiello, Roma 1975 , p 399.

22 Per ulteriori notizie sui lavori di mina e di contromina nell'antichità cfr. Y. GARLAN, Gu e rra , cit. , pp. 178- 181.

23 VITRUVIO, De , cit., p. 400.

INGEG
DI FORTIFICAZIONl IN ITA LIA
NO E PA URA TRENTA S ECOLI

OSSJDIONALJ

24 Al riguardo A. DoNNARJ, Il carro armato. Storia, dottrina, impiego, Roma 1995, pp. 41-101.

zs Da YITRUVJO, De ... , cit., p. 395.

26 Da Y. GARLAN, Guerra , cit., p. 173.

27 Da Y. GARLAN, Guerra ... , cit., p. 17 3.

28 Da VITRUVIO, De , cit., p 402.

29 Da VITRUVIO, De... , cit., p. 397.

30 Da Y. GARLAN, Guerra , cit., p. 173.

31 Per approfondimenti cfr. R. FlESCHI, Dalla pietra al laser, Roma 1981, pp. 61-64.

12 Per approfondimenti cfr. C. BLAIR, Enciclopedia ragionata delle armi, Verona 1979, alla voce 'arco'.

33 Da VJTRUVJO, De , cit, . p. 388.

3 • Da Y. GARLAN Recherches , cit., p. 166. La traduzione è dell' A.

,s Da B. G11.u, Storia , cit., p. 174.

36 Da B. GILLE, Storia , cit., p. 172.

37 Da E. W. MARSDEN, Greek... , cit., p. 56. La traduzione è dell' A.

38 Da C. BLAIR, Enciclopedia , cit., alla voce 'arco'.

39 Da C. BLAIR, Enciclopedia ... , cit., alla voce 'arco'.

40 Da Y. G ARLAN, Re cherches , cit., p. 219. La traduzione è dell' A

41 Da E. W. MARSDE N, Greek. .. , cit. , pp. 67-68. La traduzione è dell' A.

42 Da E. W. MARSDEN , Greek , cit., pp. 67 -68. La traduzione è dell ' A.

43 Da E. W. MARSDEN, Greek... , cit. p. 69. La traduzione è dell ' A.

44 Da E. W. MARSDEN, Greek , cit., p. 70. La traduzione è dell' A.

45 Da Y. GARLAN, Recherches ... , cit., p. 219. La traduzione è dell' A.

46 Da YlTRUVJO, De... , cit., p. 395.

• 1 Da VITRUVTO, De , cit., p. 390.

" 8 Per approfondimenti cfr. D. BAATZ, Hellenistische katapulte aus Ephyra (Epirus), in Athenische Mitteilungen 97, 1982, pp. 213 e sgg. Ed ancora F. Russo, Tormenta, venti secoli di artiglieria meccanica, Roma 2002, voli. Te TI. Dello stesso autore l'artiglieria delle legioni romane, Roma 2004.

49 Da F. R. VEGENZIO, l 'arte militare, a cura d i A. ANGELJNJ, Roma 1994, p. 76.

50 Da C. MONT Ù, Storia del!' artiglieria italiana , Roma 1932, voi. I , p. 41.

5 1 Da VJTRUVIO, De , cit., p 392.

52 Da G IUSEPPE FLAVIO , la guerra giudaica, a cura di G. Vitucci, Vero na 1978, voi. II , p. 231 -V, 6.

53 Da R. J. FORBES, L'uomo fa il mondo, Torino 1970, p. 96.

S4 Da GIUSEPPE FLAVIO, La guerra , cit., voi. l , p. 521.

55 Da GIUSEPPE FLAVIO, La guerra , cit., voi. I , p. 527.

56 L a citazione è tratta da C. MONTÙ, Storia , cit., voi. l, p. 43. Per approfondimen t i cfr. P. SARDI, Architettura militare , Venezia 1639, p. 165.

57 Da F. R. VEGENZIO, l'arte ... , cit. 'p. 170.

58 Pe r ulteriori informazioni sui trabucchi cfr. P. E CHEVEDDEN, L. EIGENBROD , V. FOLEY, w. SOEDEL, la più potente macchina da guerra del Medioevo, in le scienze n. 325, 1995, pp. 74- 79.

59 La c i taz io ne è tratta da C. Mo NTù, Storia , cit., voi. I, p. 44.

60 La citaz io ne è tratta da C. MoNTÙ, Storia .. . , cit., voi. I, p. 78.

6 1 Da B. GTLLE, Storia , c it. , p. 196.

62 Da B. GILLE, Storia , cit., p. 195.

63 Da B. GILLE, Storia , cit., p. 196.

64 Da B GILLE, Storia , cit., p. 197.

65 Da B. GILLE, Storia , cit., p. 199.

* La stesura di questo libro è di alcuni anni precedente ai miei "To rm enta : venti secoli di artiglieria meccanica" e "L'artiglieria delle legioni romane", che approfondiscono notevolmente l'argomento.

L E MACCHINE
•.

CAPITOLO SESTO

Le Fortificazioni Romane

Il contesto storico

Allorquando gli ingegneri sirac usa ni da pochi anni avevano completato le colossali fortificazioni della loro metropoli, altri tecnici, più a nord, s i accingevano ad erigere intorno a quella che sarebbe stata l' urbe per antonomasia una poderosa cerchia di eccezionali dimensioni. I s uoi 11 km di sv iluppo, includenti un ' area di circa 427 ettari, rappresentano già di per sé un ' eloquente testimonianza della rilevanza dell'opera ed, implicitamente , della città. Secondo una prassi ricorrente nelle murazioni italiote, anche in quella di Roma: " ... non tutta l'area compresa... era omogeneamente abitata, dal momento che il percorso della cinta obbe-

diva soprattutto a ragioni di carattere strategico militare ... La nuova cinta fortificata, costosissima e faticosa da realizza.re, s i spiega solo in presenza di una popolazione sufficiente a fornire la manodopera necessaria a un 'im presa del genere e, allo stesso tempo, il numero di armat i indispen sabili per difenderla che ... non possono essere s tati meno di l 0.000" (1)

Ma se quest'ultima preci saz ione ne fornisce una plausibile s piegazione attuativa ne lascia , però , del tutto inevasa quella motivazionale: chiarisce il come senza risolvere il perchè. É indubbio che un agglomerato urbano di que lla e ntità disponesse da tempo di una cospicua difesa perimetrale, senza della quale mai avrebbe potuto sopravv ivere. Ed infatti, per molti stu-

--/-. ; PIANTA DS UA CITTÀ D I IIOIH: co•riN loaNM Nh •• ...,•• .-.1... ~fttl ._...,,~,..nau11i u u o Ci i..
143 Planimetria delle mura di Roma del IV sec . a.C.
. - --, I 11 'I I'

diosi, l'onerosissima fortificazione andava a sostituire una precedente risalente al VI secolo, ma non per necessità espansive poichè: '' sembra di poter dedurre che l'estensione della città era più o meno analoga nel VI secolo e nel TV secolo a.C. .. " m.

L'esigenza, quindi, deve inevitabilmente ricercarsi nella mutazione delle minacce presunte e nella costatazione delJ 'inadeguatezza della cerchia esistente a vanificarle. L'avvento delle macchine ossidionali potrebbe, allora, rappresentare la prima parte dello stimo lo e, molto probabilmente, proprio la celebrità delle fortificazioni siracusane la seconda. Non a caso la concomitanza dei due eventi ha lasciato supporre un diretto coinvolgimento dei tecnici s iciliani nelle mura erette intorno Roma , a partire dal 378 a.C., ovviamente su pressante invito del la sua dirigenza. É emblematico al riguardo che: " il tipo di cooperazione richiesto da lavori di tale dimensione non può essere, in una società arcaica, che di tipo «orientale», basato cioè su pre-

staz ioni d'opera obbligatorie di tutti i cittadini, di «corvées»: lo stesso che venne impiegato dai governi tirannici della Grecia arcaica ... " c. 11 • Inoltre i: " ... segni utilizzati so no tutti di carattere alfabetico e non s imbolico, e alcuni di essi so no comprensibili solo nel!' ambito della scrittura greca. Questo fatto unito all ' eccezionalità a Roma di una pratica, che invece è diffusissima in area greca, ha indotto Saflund a supporre l'intervento diretto di tecnici greci, provenienti forse da Siracusa, ove da poco era stata terminata la grandiosa fortificazione delle Epipole ... altre caratteristiche sembrano confermare questa ipotesi, come la divisione in cantieri separati che si può costatare soprattutto nel più ampio tratto conservato, quello prossimo alla s tazione Termini. Qui si possono ancora ricono scere con chiarezza due linee di di visione verticali, una a 20 metri dall 'estre mità meridionale, l'altra a 36 da questa ... "<41 • Parimenti significativa è l ' adozione della tecnica isodomica, squisitamente greca. Del re s to la politica

144 Le mura del TV sec. a.e. presso l a Stazione Termini LNGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFTCAZIONI L'l ITALIA

seguita da Siracusa, sotto il profilo ideologico, non sarebbe stata in contrasto con l'ipotesi Di certo è innegabile che le mura del IV secolo tradi scano affinità strutturali e concettuali con quelle delle città italiote, come le più arcaiche già le ebbero con le estrusche ed italiche. Ed è in questa capacità di cooptare quanto di più evoluto rientras se nella loro sfera d'azione, in ambito militare e tecnologico , che s picca la singolarità dei Romani, scarsamente dotati di autonome capacità speculative.

Nessuna meraviglia, pertanto , che essendo le direttrici espansive della Città osteggiate a nord dagli Etruschi ed a s ud dai Greci , proprio dalle rispettive fortificazioni i suoi ingegneri dedussero le bas ilari conoscenze in materia, limitandosi ad ottimizzarle seco nd o le peculiari n ecessità.

I Romani, infatti, non s i dimostrarono mai significat i vamente inclini verso la sc ienza in genere, e quella militare in particolare, ma non per questo non ne sapevano accortamente ponderare tutti poss ibili apporti. Il loro naturale pragmatismo gli consentiva di scorgerne immediatamente quaJsias i potenzialità s usce ttibile di impiego, magari debitamente modificata, in fun zione delle specifiche esigenze. Per cui, considerando che l'approccio dei Romani con gli altri popoli della Penisola fu eminentemente di tipo bellico, è abbastanza logico dedurre che proprio le innovazioni tecnologiche nemiche gli fornissero i maggiori suggerimenti.

E mai ostentarono al riguardo un altezzoso disprezzo nei confronti degli sconfitti avversa1i, istigato dalla s uperiorità militare, fecendosi, invece , sempre un esplicito vanto di saper vagliare, e migliorare, quanto di valido avevano individuato persino nel loro armamento individuale, o nei loro ordinamenti tattici. Per tale ragione , ad esempio: " ... i Romani avrebbero adottato il clipeus e I' hasta dagli Etruschi , subito sconfiggendoli con la loro stessa tattica delle falangi , lo scutum e il pilum , o ltre le tattiche della cava ll eria dai Sanniti,

anch'essi rapidamente battuti ... Roma fu se mpre fiera della sua capacità dj imparare dai nemici " <5> Intuibile, pertanto , la forte suggestione esercitata dalle fortificazioni che, di vo lta in volta, s barravano loro la strada e con le quali dovettero necessariamente confrontarsi. Si spiegherebbe così il perchè in un primo tempo i villaggi romani ebbero le caratteristiche degli oppida preistorici , quindi delle fortificazioni poligonali italiche ed infine etrusche, in un crescendo evol uti vo indotto che con-isponde al cresce ndo dell'es pans ione militare. E quando l'identica spinta espansiva provo cò il contatto con la civiltà greca, è indubbio che le conseguenze anche nel settore difensivo non si fecero attendere.

Plau s ibile, allora, almeno sotto il profilo della coeren za, c h e alle spall e dell e fortificazioni repubblicane di Roma ci s iano stati gli stimoli della poliorcetica italiota.

Meno scontata, invece, la prese nza di tecnici s iciliani , se bbene proprio 1'ava nzata definizione architettonica dell e mura e, s oprattutto, la comp lessa organizzazione del lavoro indi s pens abile per la loro costruzione, ponesse problemi imm e n si per chi mai si era cimentato in simili grandiose realizzazioni. Roma , in ogni caso, ebbe la sua cerchia urbica di concezione spiccatame nte italiota , poco dissimile, in definitiva, da quella di Napoli.

Fin qui, però, nulla di eccez ionale e se non fosse intervenuta la ribadita capacità ottimizzatrice d ei Romani questo capitolo non avrebbe ragion d'essere esaurendosi con il precedente la trattazione de]I' evoluzione della fortificazione ne ll'antichità. In realtà, invece, s ubentrò una rivoluzionaria innovazione edificatoria , talmente straord inaria che i suo i criteri informatori troveranno una puntuale riproposizione nell e opere difensive contemporanee, persino in que11e più evolute e moderne.

Tra le stimolazioni che la provocarono, probabilmente , due soprattutto svolsero un ruolo determinante. Da un

LE FORTIFICAZIONI ROMA NE

lato la constatazione dell'enorme mole di lavoro necessaria per erigere le fortificazioni perimetrali, sia in opera poligonale secondo la concezione italica, sia in opera isodomica secondo la concezione greca, in entrambi i casi onerosissime ed implicanti la disponibilità di numerose maestranze ed ingegneri altamente qualificati.

Dal!' altro , la casuale scoperta di un conglomerato dalle caratteristiche meccaniche inusitate, peraltro lentamente recepite nelle loro massima potenzialità ma perfettamente padroneggiate sin dalle prime applicazioni per gli impieghi correnti: la cosidetta 'opera cementizia'. Si trattava, in sintesi , di un tenacissimo calcestruzzo molto simile ad un antesignano cemento.

Per le conseguenze che la sua comparsa rivestirà nell ' ambito delle fortificazioni , ed in quello dell ' intera produzione architettoni c a romana, si impone una ennes ima digressione.

sostanze solide, o aggregati, e di materie cement1z1e quali le calci idrualiche , ed il cemento Portland. Le differenze fra malta e calces truzzo sono puramente arbitrarie... " <6) Nonostante ciò, non disponendo di una migliore definizione , continuere mo a chiamarlo ' calcestruzzo'.

Per i Romani, curiosamente, i caementa , erano gli inerti, le pietre cioè più o meno piccole, che venivano tenute insieme da un legante, impa s to a cui significativamente non diedero mai un preciso nome , pur es sendo sos tan zialmente simile ad una malta , la cui conoscenza e disponibilità, tramite la calcinazione della pietra calcarea, si perde nella notte dei tempi. Le prime notizie certe del suo impiego , infatti , rimontano al tempo di Nabucodonosor quando, a Babilonia, si ini z iò a sostituire la malta asfaltica con la calce idratata, pratica rapidamente diffusasi specialmente laddove non sgorgava naturalmente il bitume e , per contro , abbondavano la pietra calcarea e la legna.

IL cal cestruz zo

I Romani, come appena ricordato, lo chiamarono opus caementicium il che lascerebbe immaginare, se non altro per assonanza fonetica, una qualche affinità con il nostro cemento di univer sale, e spesso deprecatissimo, impiego. In pratica, però, il conglomerato in questione non ne possedeva significative analogie tranne la fluidità iniziale ed il successivo rapprendersi, fino alla consistenza lapidea. Va osservato , peraltro, che la definizione di opus cementicium non era specifica in quanto designava, anche in precedenza, qualsiasi impasto contenente inerti, ovvero qualsiasi mescolanza di pietrisco e malta, Ma nessuno di loro aveva lontanamente la resistenza di quello in questione che, in meno di un secolo, li sostituì completamente.

Con proprietà di linguaggio il conglomerato romano non si può definire nè un cemento nel senso moderno nè un calcestruzzo. Il: " termine calcestruz zo è molto generico: con esso si intende un conglomerato di

Approfondendo ulteriormente la que s tione dai reperti archeologici risulterebbe che: " la calcinazione del calcare fosse praticata in Mesopotamia sin dal 2450 a.e [e] poichè la [sua] produ zione è s empre stata relativamente costos a, allo scopo di economizzare si è diffusa l'abitudine di diluirla con materiali meno cari, come sabbia, pietra macinata, polvere di mattonelle e ceneri. I tipi di s abbia che si possono usare sono molto vari , alcuni hanno effetti pozzolanici e contribuiscono ad aumentare la resistenza della malta " (7>

La pozzolana sebbene correntemente ritenuta una sorta di sabbia è, in realtà, una deiezione vulcanica, costituita da cenere e da piccolissimi lapilli, alterata ed omogeneizzata dagli agenti atmosferici, ricca di oss idi di silicio, alluminio e ferro , oltre a percentuali variabili di ossidi di calcio e di magnesio. Con la calce e l'acqua fornisce una malta straordinaria, con proprietà cementizie, e se vi si aggiungono gli inerti, cioè sabbia e pietrisco di varia pezzatura, impastando con ulteriore aggiunta di acqua si ottiene il calcestruzzo in fonna fluida, per-

ING EG NO E PA URA TR ENTA S EC OLI DI FORTI F ICAZIONI IN ITALIA

ROMANE

fettamente idoneo ad essere colato in casseforme che, una volta rappreso, ha la consistenza della pietra.

Più in dettaglio mentre la sabbia, o l'arena ir genere, altro non sono che una roccia meccanicamente ridotta in minutissimi frammenti dall'erosione eolica o idrica, la polvere di Pozzuoli è un sedimento vulcanico a forte componente s ili cea. E se mescolando le prime con la calce, ottenuta dalla disidratazione della pietra calcarea, si produce una sorta di calcare artificiale, lo s tesso procedimento applicato alla seconda da origine ad un composto che induritosi è di gran lunga più resis tente e coeso, idoneo a sopportare rilevantissime sollecitazioni a compressione e, peculiarità singolare, di screte trazioni, caratteristica quest'ultima non condivisa nemme no dai moderni cementi non armati. La più evidente diversità fra g l i impasti pozzolanici rispetto a quelli sabbiosi è nella loro stupefacente capacità di rapprendersi sott'acqua. Per la medesima ragione richiedono una minore quantità di calce, dettaglio affatto ininflu ente nelle grandi costruzione per il suo cospicuo costo. L'insieme delle connotazioni appena riassunte va sotto il nome di effetto pozzolanico. Ovviamente tale definizione appartiene alla nostra cultura mentre la sua scoperta a quella romana: no nostante tale innegabile ignoran za fu proprio questo processo chimico-fisico a determinare l'accennata rivoluzione. Scriveva infatti Vitruvio:

"Esiste un tipo di polvere (pozzolana) che produce naturalmente cose meravigliose ... Si trova nei dintorni di Baia e nelle zone dei comuni intorno al Vesuvio. Questa polvere, mescolata con la calce e pietrisco, non solo rende assai solidi gli edifici in genere, ma fa sì che anche le costru zioni fatte nel mare si solidifichino sott'acqua. Sembra che la ragione sia questa: sotto quei monti vi sono molte terre calde e sorgenti d'acqua e non vi sarebbero se in profondità non vi fossero gran fuochi ardenti di zolfo, di allume e di bitume. Onde il fuoco e il vapore della fiamma, passando attraverso le fessure, rendono quella terra legge -

ra, e il tufo che vi s i trova è privo di umidità. Per cui, quando tre sostanze formate in tal modo dalla violenza del fuoco si trovano mescolate insieme, assorbono prontamente l'umidità e si uniscono a formare una cosa sola, e rapidamente indurite dal liquido solidificano, e nè i flutti nè la forza dell'acqua le possono più sciogliere. " C3>

É evidente che la reazione di indurimento della malta pozzolanica sia tutt'altra cosa di quella appena citata ed im plichi, per attingere la massima so lidità, molti anni, pur fornendo già dopo pochi giorni resistenze notevolissime.

Da un punto di v ista storico, ancora una volta, è estremamente probabile che la tecnologia romana cooptò la scoperta della malta da quella della Magna Grecia, intorno al Ili secolo a. C. Una testimonianza probante, in merito, la si può cogliere nelle mura di Cosa < 91, costruite nel 273 a.C., la cui parte basamentale è in opera poligonale mentre l'elevato è in conglomerato cementizio. Nel 273, quindi, non solo si disponeva della rivoluzionaria procedura ma se ne aveva ormai una tale fiducia da utilizzarla nella fort ifi cazio ne, dettaglio emblematico per valutarne la diffusione.

Affi nchè, però, l'opera cementizia, almeno nei primi decenni, fosse concretamente utilizzabile occorreva disporre, ovviamente, della famosa pozzolana, ovvero del partico lare sedime nto c he erro neamente si suppose esclus i vo di alcune località circumvesuviane. E tale opportunità fu a disposizione dei tecnici romani so lo dopo l a conq ui sta della Campania, compiutasi, appunto, nello stesso arco di tempo. Per un lungo periodo se ne fece incetta, a nche per opere da erigersi a diverse centinaia di km di distanza, e soltanto quando s i realizzò che l'intero bacino laziale e quindi buona parte dell'Italia ce ntral e erano ricchissimi della preziosa harenafossica la tecnica del calcestr uzzo potè applicarsi senza alcuna restrizione.

Nonostante l 'i ncomp re nsione del reale processo di presa del cong l omerato pozzolanico, nessuna in certez-

LE FORTIFICAZIONI

za permase sul suo esatto dosaggio ed, jn brevissimo volgere, ne fu perfettamente recepita la potenzialità applicati va. I progettisti romani, tuttavia, ne approfittarono gradatamente spingendosi, decennio dopo decennio, verso costruzioni sempre più complesse ed ardite, dovendo superare, paradossalmente, soprattutto le resistenze psicologiche al!' impiego di quel materiale povero in alternativa alla nobile pietra. In definitiva la: " prima parte della storia del calcestruzzo romano è dunque la storia della scoperta acc identale e della lenta esplorazione empirica delle proprietà della pozzolana come ingrediente di una malta molto più resistente di quelle fino ad allora conosciute. Alla fine della Repubblica le proprietà idrauliche del pulvis puteolanus erano ben conosciute, e si era capito che i tipi più pregiati di harena fossica romana avevano le stesse proprietà ...

Quali furono le conseguenze dell'uso del nuovo materiale nell'architettura della tarda Repubblica? La prima e la più ovvia fu il suo affermarsi come sunogato economico e spesso più efficace dei materiali tradizionali ... " <'°i .

E dove se non in una fortificazione perimetrnJe il

concetto di economicità e facilità d'impiego tornava particolarmente ricercato? Poter assemblare strutture enormi tramite piccoli apporti unitari, per giunta fluidi, materializzò subito la soluzione dei tanti problemi inerenti all'edificazione delle cerchie urbiche, senza contare l'esito strutturale che garantiva la miscela. Poichè il conglomerato aveva inizialmente una consistenza fluida, ed almeno in ciò era esattamente analogo al nostro cemento, doveva necessariamente essere colato, o costipato, in apposite casseforme. Ma molto raramente quest'ultime venivano fonnate con tavoloni di legno, preferendosi sistematicamente J'adozione di due paramenti murari, che, a secondo della loro precipua natura, davano nome alla particolare tecnica. Non a caso la definizione di siffatta muratura è anche di: " opera a sacco, perchè è materiale informe che viene gettato, come in un sacco, dentro una cassaforma che può essere di legno, di pietra o di mattoni."<11 1

In pratica, perciò ebbe, designazioni diverse: quando i paramenti erano realizzati con blocchetti di pietra a contorno geometrico irregolare si chiamò opus incertum, se quadrati opus reticolatum; con i paramenti in mattoni si chiamò, invece, opus latericium. In ogni caso, al di là deJJ' immagine esteriore, peraltro spesso ce lata dall'intonaco, si trattava sempre del medesimo solidissimo calcestruzzo. L a funzione dei paramenti non si riduceva a quella di mera cassaforma in quanto fornivano un supporto statico per tutto il tempo del1' indurimento c he , come accennato, poteva risultare anche notevolmente luo go specie se relativo a masse di grande spessore. Proprio per tale motivo le colate non s i realizzavano per l'intero vo lume , ma a stra ti nel cui interno: " ... di regola il pietrame veniva posto in opera a mano, in corsi pressappoco orizzonta] i e con abbondante mjscela di malta; ed era la fusione in un blocco monolitico della malta c h e legava i di versi corsi c h e costit uiva la forza del prodotto finito. Il tempo necessario per innalzare imp alcat ure e casseforme di legno fra una fase e l'altra del lavoro creava una difficoltà

_ lN=G:!.:EG"'-' ' Nc.:..,O"-"' E
DL
I N ITALIA
PAURA TRENTA SECOLI
fORTrFICAZIONJ
145 Dettaglio cortina del Castro Preto1ìo

R0/\.""'1ANE='--- -

che ancora nella tarda Repubblica i costruttori trovavano difficile risolvere ... Soltanto con la diffusione generale del laterizio come materiale per i paramenti il problema fu risolto in modo soddisfacente , grazie all ' introduzione dei corsi di bipedali , che avevano la doppia funzione di concludere ciascuna fase del lavoro e di fornire ai costruttori un piano di posa e di livellamento per la fase successiva... " i 12i

Circa i settori d'impiego, non è per nulla casuale che tra le prime grandi applicazioni dell'opus latericium, spicchi una costruzione militare. Infatti un: " ... altro aspetto di questa prima fase formativa nell ' uso del calcestruzzo romano fu la selettività della sua applicazione. Come abbiamo già osservato, dal punto di vista sociale, l 'a bbandono dei materiali tradizionaLi era più accettabile in certi rami dell'architettura che in altri. É questo un fenomeno molto consueto ... Lepremesse c'erano: si trattava di svil upparle; e viene da chiedersi quali straordinarie innovazioni avrebbe potuto permettere la ricostruzione di Roma sotto Augusto se fosse avvenuta in circostanze politiche diverse In realtà, l' autorità pubblica pose l' accento sulla restaurazione dei valori romani tradizionali, che in termini architettonici si tradusse nell'esteriorità più vistosa del classisicismo tradizionale, con una vernice di neoatticismo, che non aveva alcun rapporto con le possibilità latenti dell'opera cementizia romana. L ' unica importante innovazione che queste produssero nell'età augustea fu la rapida diffusione del mattone come materiale di rivestimento. Esso si era già così affem1ato a Roma che fu usato da Tiberio nei muri esterni del Castro Pretorio (21-23 d.C. ) ... " 113 )

In pratica, l 'e norme recinto rettangolare era una sorta di accampamento fortificato, che vantava già numerosi esempi analoghi in tutto l ' impero, sebbene eretti in opera incerta o reticolata. Di consimili, come più dettagliatamente esamineremo in seguito, se ne rintracciano alquanti nell ' Italia centro-meridionale, ridotti purtroppo a miseri segmenti, come ad Albano , nei

press i di Roma , ad eccezione di uno ancora integro nel1' intero perimetro, ad Alife , in provincia di Caserta. L'eccezionale innova z ione costrutti va, generalizzatasi a decorrere dal li sec. a.C., rappresenta, peraltro , la tan g ibile te st imonian za geografica del progressivo espandersi dell 'ege monia romana. Grazie all'indiscutibile convenienza e rispondenza, trovò impie go dovunque e per qual sias i costruzione, civile o militare, dalla mode sta villa al grandioso anfiteatro, dai lunghissimi acquedotti alle innumerevoli cerchie urban e. Significativamente que s t'appo rto è s tato considerato il principale contributo di Roma alla sto ria dell'architettura europea. Di certo la sua apparizione nel se ttore delle costruzioni rappresentò una vera rivoluzione , paragonabile per la sterminata gamma di conseguenze ed implicanze , tanto per fare un raffronto a ttu a le, a quella del cemento armato. Ne derivò, per l a facilità d 'apprendim e nto della tecnica, per la reperibilità dei componenti, per la rapidità di reali zzazione, per la fle ss ibilità d'impie go e per la long evi t à stru tturale , la poss ibilità di edificare in gra n numero costru zio ni altrimenti sporadiche, omogeneizzando l'urbani st ica a partire dalle fortificazioni. Il pragmatismo romano riuscì, così, nell'ambito della difesa statica a co nciliare due limiti altri menti insonnontabili.

Da un lato, infatti, la relativa economicità dell'opera cementizia permetteva agevolmente a tutte le nuov e città di essere cintate, se nza però attingere potenzialità interdittive preoccupanti per la sos pettosa Roma . ln alt1i termini , le cerchie dovevano poter fornire l'imprescindibile sicurezza sociale, senza però tra sfo rmare il centro abitato in una poderosa piazzaforte che, come l'esperienza maturatasi durante i 17 anni della guerra con Annibale aveva tragicamente dimostrato c141, in caso di defezione s arebbe poi ri s ultata di improba riconquista Pertanto gli standard difen s ivi , di ottimo livello medio, si confermano modesti se rapportati a quelli greci coevi, ma assolutamente congrui alle pres umib ili minacce ormai esclusivamente brigantesche, provve -

LE FORTIFICAZIONI

dendo co ntro improbabili inva sio ni nem ic he il pode roso apparato milit are ce ntrale.

Dall ' altro , a re nd ere quella s traordin aria scoperta perfettamente idon ea a ll a cos truzion e de lle fortificazioni g iocava un a s ua peculiarità il cui co nsegu e mento non è e rra to porlo fr a le prin ci pali cause de ll 'o neros ità delle tr adizio na li s trutture difen sive, in qualsias i mani era ve ni ssero e re tte . Da tempo immemorabile , infatti , s i era perfe ttament e rece pito c he la r es iste nza pass i va di un 'opera dip e nd eva d a ll a gr a nd ezza dei suoi ele m ent i c o s titu e nti e dalla loro coesione. Una fortificaz ion e, c ioè, s are bbe ri s ultat a tanto più indi s truttibile quanto più i s uoi co nc i e l a loro coerenza fossero risultati rilev a nti. Lo avevano co mpreso g li Ita li c i c he si avvalsero di pietre g iga ntesc he, incas tra ndole fr a loro in mani era co mpli ca ti ssi m a, m a lo avevano com preso pure i Greci che ne e la borarono una varian te razionale, ferme resta ndo le dim e n s ioni dei s in go li co nci, com un que e normi. In e ntrambe le c ircostanze, tuttavia, alle peggiori so ll ec itaz ioni oss idion ali imp resse dagli arieti le s trutture s i sco nn e tteva no. Sarebbe stato a us picab il e, a ll ora, accrescere ulte rionn e nte la dim e nsione dei conci pe r in c re me ntarn e l'inerzia, ma l a sol uz ione s i dim os trò imp ra ti ca bile La ma gg iore diffi co ltà, infatti , no n era ne ll a movime ntazion e de i g randi blo cc hi , certamente s poss ante m a no n imp ossi bile, quanto piuttos to nella l oro es trazi o ne in num e ro s uffi c ie nte. Pochissi m e cave avre bbero potuto fornirli a mi g liaia , per l a naturale di so mogen e ità degli stra ti ro cciosi. Il vero trag uardo ideale s are bb e sta to qu e ll o di reali zzare opere te ndenti al monoliti s mo a sse mblandol e c on pezzi più minuti poss ibili.

Il di s porre pe rc iò di un a tec ni ca c he co nse nti va d i co nseg uire un mo no liti smo 'a pos teriori ' fornì la so luz ione del millenario probl e ma. Infatt i le fortificazioni e re tte in ca lce s tru zzo, sebb e ne cos tru i te tramite innumerevo l i pi cco le co late, una volta rappresosi il c ong lomerat o, div enivano un uni co imm e nso blocco , reage nd o so lid almente a ll e s in go le soll ec itaz ion i, esa tta-

mente come mill en ni dopo avv e rrà in qu e ll e di ce m ento a rmato . L ' unica differenza, a l riguardo , è s oltanto nell'assenza di una armatura inte rn a per incrementarn e la coes ion e, ma non es is tendo alc un a mina cc ia lontam e nt e parago nabile a quella dei proietti ad alto esplosivo, le resistenze di spo nibili s i dimo s tra va no ampi amen te s uffi c ie nti, anche in strutture di mod es to sp essore , a so pportare g li impatti degli a ri e ti di m ed ia gra ndezza.

L'ampliarsi de ll e es p erienze permise inoltre di individuare un pò dovunque i compone nti necess ari per l'impas to, per c ui in breve fur o no proprio le s tesse legioni a di vu lgarne in og n i regione l' impi ego. Adattare la tecnologia del calcestruzzo a i c riteri avanzati della fort ifi caz ione italiota fu , a qu e l punto, un processo di sint esi tipico della m e nt a lità romana: ne scat urì una precisa arch ite ttura militare di basso cos to e di buona protez ione, requi s iti ottimali per un a produ zio ne quantitativa piuttosto c he qu a litati va , in c iò perfettamente co ngrua alla imp os tazione urbana dell 'i mpero.

La fortifica z ione ronzano

La fortifi caz ion e ro mana, co m e già osservato, dal pun to di vis ta co nce ttu a le non ra pprese ntò alc un prog resso nel se ttore , ritrova ndo s i in ess a tutte le innov az ioni e le impo s tazioni g ià e labora te ed affi nate d a i gr eci. O s te nt ò, certame nt e, s u e prec ise pec uliarità ma devo no attribuirs i piuttosto a ll a di versa modalità d ' es trin secare la difesa c he ad una diversa impostazione arc hit e ttoni ca. E tale cara tteri s ti c a va a sc ritt a emine nte me nte alla m a tri ce mi l itaris ta della soc ietà. Pert a nto se le cerc hi e roman e mantennero la connotazione di qu e ll e italiote, ne inc re mentarono , però , v is to samen te il numero de ll e torri , riducendone, per co ntro dras ti c ame nte quello de])e pos te rl e. Sen za dubbio ne lla vicenda g iocò un ruolo in ce nti vante il minor cos to d e ll e s trutture in ope ra cemen ti z ia , ma lo stimolo c oncreto

_____
LNGEGNO E PAURA TR ENTA SECOLI D I FORTIFICAZIONI I N ITALIA

ROMANE

potrebbe ravvisarsi nell'essere ogni abitante un provetto soldato, perfettamente capace di destreggiarsi sulle mura. Il che consentiva di trarre, senza alcuna difficoltà, dall'intera cittadinanza gli armamenti per le torri , indipendentemente dal numero delle stesse, superando l'endemica carenza di guerrieri professionisti, imposta dal loro oneroso mantenimento ed, al contempo, le loro estemporanee sortite.

E se, in prima approssimazione, tante città romane di nuova fondazione sorgeranno con un impianto urbanistico ortogonale non sarà per una pedissequa adozione dei criteri ippodamei ma per il loro subentrare sul tradizionale accampamento legionario, che ne fu la premessa insediativa. In moltissime circostanze, infatti, uno stanziamento militare provvisiorio finì per radicarsi sul territorio trasformando le sue difese campali in strutture permanenti, e la s ua trama di alloggiamenti in distinti quartieri residenziali: è ancora agevole individuare quella lontana genesi nei centri storici delle maggiori città europee<15 > Non a caso il processo conobbe la sua massima riproposizione proprio laddove l'ostilità alla penetrazione romana si dimostrò più violenta e la resistenza più irriducibile. Nulla del genere si verificò nella società greca, i cui eserciti mai si sobbarcarono alla fatica della sistematica realizzazione di un razionale accampamento. Ricorda in merito Polibio che gli stessi:

" quando mett ono un accampamento, pensano che la cosa più importante sia di conformarsi agli ostacoli naturali del terreno, sia per evitare la fatica di scavare fossati, sia perchè ritengono che le protezioni artificiali siano meno sicure degli ostacoli forniti in loco dalla natura: perciò, nella disposizione comp lessiva del campo, sono costretti ad adottare ogni sorta di forme per fedeltà al terreno, e qualche vol ta anche a trasferire alcuni corpi delle truppe in luoghi impossibili. Con la conseguenza che ciascuno si domanda qual è la parte del campo riservata a lui e alla sua unità. Invece i Romani preferiscono fare la fatica di scava-

re fossati, accettandone tutte le conseguenze, per ragioni di comodità: quelle di avere sempre un solo e me desimo esempio di campo, che sentano familiare. "0 61

In verità anche tra i Greci gli Spartani già si erano dati spesso, ma non sistematicamente, la pena di fortificare i propri accampamenti, con le prime intuizioni circa la migliore forma planimetrica da adottare. Infatti, precisava Senofonte:

"Vedendo che gli angoli di un quadrilatero non servivano a niente... Licurgo diede agli accampamenti una forma circolare, salvo nei casi in cui la sicurezza fosse garantita da un rilievo o da una murag lia , o si fosse a ridosso di un fiume. Pose delle sentinelle di giorno, col compito di stare vicine all'esercito e di guardare verso l'interno , perchè non erano dirette contro i nemici , ma contro gli amici. La sorveglianza dei nemici è affidata ai cavalieri sistemati nei punti donde si può vedere più lontano ... "<m .

Più attenzione in materia vigeva nell'esercito persiano in cu i, stando sempre a Senofonte:

" dovunque il re decida di accamparsi, tutti alloggiano sotto la tenda, sia d'estate che d'inverno. In primo luogo Ciro introdusse l ' usanza di montare la tenda a levante; poi determinò, anzitutto, a quale distanza dalla tenda regale dovessero montare le tende i lancieri; assegnò infine un posto a destra per i panettieri, a sinistra per i cuochi, ai cava lli a destra e alle bestia da carico a sinistra; tutto il resto era disposto in modo che ciascuno sapesse qual era il posto riservatogli, di che dimensioni era e dove collocato." ns1

Ma indubbiamente furono i Romani ad introdurre una esatta e costante configurazione degli accampamenti, di sicuro a partire dalla seconda guerra punica. In linea di larga massima: " ... per un esercito consolare dotato di due legioni si cominciava col sistemare il quartier generale occupato dal generale (praetorium); si

LE FORTIFICAZIONI

all in eavano ne lle vicinanze le tende dei tribuni, poi quelle d e i leg ionari su ddivi s i in camerate di otto uomini (contubernia ) e raggruppati in manipoli; acca nto al pretorio e a ll a tend a de l ques tore s i col locava una piazza (forum) s ui co ntorn i de ll a quale erano rel egati la cav alleri a e g li au si l iari. Il tutto era disposto all'interno di un quadrilatero in ge ne re di forma quadrata, costeggiato da un fossato e da una trin cea co n s tecca to , co n le strade che s i tagli ava no ad an go lo r e tto parallelam e nt e ai du e assi prin c ipali : la via praetoria e decumana che sboccava di front e a l pretori o, e la via principalis che ne prolun gava la fa cciata. A ltrettanto rigidi erano i rego l amenti s ui qu a li si basava la g uardia de l campo.

I ra cco nti de g li s torici e so prattutto le sco perte arc heologiche ci cost rin go no a introdurre in questo sc hema numerose varia nti: i cam pi da operazioni (castra aestiva) erano d iversi dai qu artieri d'inverno (hiberna); fra quelli op e rativi s i di s tin g ueva no g li accampamenti d i tappa , evac uati all ' indomani de l l ' istalla z ione o nei giorni seg uenti, i campi s trategici che facevano di base alle operazioni in una o più ca mp ag ne, e i camp i frontalieri c he appartenevano a ll a difesa perman e nte del Limes; i campi legionari e ra no più imp ortant i di quelli au s iliari, ecc Le lo ro pos iz ioni e ra no variabili, e anch e l'a ll estimento: i so ld at i all ogg iavano sotto te nde di pe ll e o in e difi ci in muratura... I trinceramenti potevano avere un va lore puram ente s imboli co, opp ure rivalegg iare in pot e nza co n le fortificazioni c itt adine (in lin ea di prin c i pio comprendevano, dall'e ste rno all'interno, quattro e le menti:un o o più fossati profondi da uno a tre metri e in gen e re di di seg no trian go la re; una spo nd a incli nata, ta l vo lta irta di ostacoli artificia li ; un terrapieno dello agger, c he poteva opporre al ne mico una parete verti ca le di pi e tra, legno o erba; s ulla c ima del te rrapie no , una pali zza ta co mpl etata da pali c onfic ca ti in te rra ). Spesso le po rte erano qu attro alle es tremità d ei du e ass i prin c ip a li, ma qualche vo lta e rano anche più numeros e se mplicem e nt e per ragioni d i co modit à. " 119>

S tando a Vegenzio Flavio, ed i ritro vam en ti archeolog ici ne offro no piena co nferma, s ull a forma degli accampamenti esis teva una più amp ia escu r s ione, ferm o res ta nd o quello d ' impianto canonico. In particolare:

" Gli accampamenti devono essere disposti alcune volte in quadrato, altre in forma di triangolo oppure di semicerc hio, a seconda delle esigenze, anche in relazione a li fisionomia del terreno.

La porta chiamata « pretoria» deve essere posta verso l' oriente o da ll a parte del nemico. ovvero in previsione del futuro movimento, nella direttrice di marcia dell'esercito.

Accanto a questa porta le prime centurie, vale a dire le corti, alzano le tende e fr;sano le aquile e le insegne.

Dal lato oppos to si troverà la porta denominata «dec umana»

I ripari degli accampamenti sono diversi e su tre l inee. Qua lora il perico lo non s ia incombente, si taglian o cespugli d"intomo e con essi si distende una sorta di muraglia alta tre piedi, con un fossato davanti. nel luogo dove sono stati divelti i ces pugli s tessi ; s uccessivamente si scava in maniera speditiva un altro fossato largo no ve piedi e profondo sene.

Se però la minaccia del nemico sia più massiccia, allora è nece ssario munire il perimetro di un fossato regolamentare. che misuri dodici piedi di larghezza e nove di profondità sotto la lin ea (così la chiamano) del suo lo.

Sopra le siep i poste al di qua ed a l di là si accumula la terra raccolta dallo scavo. t anto da far aumentare l"altezza di quattro piedi. Così il va ll o diventa di tredici piedi per una larg hezza di dodici; su di esso si conficca no pali di leg no robustissimi, che i so ldati sono so liti portare apprcsso

In merito a lla forma geo metrica da dare al campo lo s tesso autore ritorna ancora sull ' argomento affermando:

·· secondo la conformazione del terreno si cos tituisca l' acca mpam en to, quadrato. triangolare o ob lun go.

La forma non nuoccia all"utilità. Comu nque si ritengo-

- - - ~ _ I
NGEGNO E PAURA TRENTA $ECOLI DI F ORTIFICAZIONI IN ITALIA
:·,io,

CAZION I ROMAN E

no più acconci quelli che hanno lunghe zza di un terzo maggiore della larghezza . Sicchè è opportuno che gli agrimensori prendano le misure in « piedi », in modo che l'esercito s ia contenuto nella s ua totalità

Con il nemico vicino, d 'es tate e d'inverno gli accampamenti s tabili si fortifich in o con maggior cura e fatica.

Le singole centurie, seco ndo la suddivisione stabilita dai mae s tri del campo e dai principi. occupino gli spazi assegnati e, di s po s ti in cerchio gli scudi e i bagagli intorno ai propri vessilli, co n gli effettivi c inti di spada, aprano un fo ssato largo nove o undici o tredici piedi, oppure se si terne una maggiore consiste nza dell'avversario, di diciassette. É infatti us anza applicare una mi s ura dispari.

Allora. formate s iepi o interpos ti tronchi e rami di albeii aflìnchè la terra non si sfa ldi facilmente, si innalza il vallo.

Su di esso, a so mi g lianza di un muro, s i costruiscono merli e 1ipari " 1111 •

Nessuna meraviglia, quindi, che all'interno dei campi permanenti maggiori si andassero progressivamente insediando struttu re residenziali più e laborate e differenziate, quali depositi di viveri , granai, l aboratori, officine, locali di ritrovo, terme ed ancora prigioni, ospedali, ecc ... per stretto impiego militare.

All'esterno, inve ce, nel frattempo si moltiplicavano le abitazioni private , le taverne, le botteghe e quindi gli anfiteatri e numero si altri locali dove i soldati, più o meno Jeggi ttimamente , potevano rita gl iars i contesti esistenziali meno intollerabili. Sarà appunto la pletora di tutte queste costruzioni , che saldatesi lentamente annientando il vallo, fonneranno tante città. In alcune di esse, all'originaria fortificazione campale, di configurazione abitualmente quadrangolare con s pigoli arrotondati con due strade ortogonali e quattro porte, subentrò, ovviamente quando la pressione demografica interna s i dimo s trava costante, una murazione in opera cementizia con alquante torri. In altre, la stragrande

maggioranza, lo sviluppo urbano, invece, ca nce llò rapidamente le con nota zioni castrensi a partire dalla cerchia, conservandone, come estrema testimonianza, soltanto il reticolo viario interno e il tracciato del fossato trasformato in strada di circonvallazione.

Complice della vicenda, nel bene e nel male, la innovati va tecnologia del calcestruzzo che, per la sua rapidità ed economicità, consentiva tanto l'edificazione sped iti va quanto la sua demolizione se n za rimpianti, disinvoltura a cui deve imputarsi la est rema rarità di esempi integri per l'intero perimetro, come ad Alife.

Alife

L'evidenz iat a eccezionale integrità del perimetro originario della murazione di Alife è il risultato di una ancora più rara circostanza: la sostanziale invarianza demografica del suo abitato fin quasi ai nostri g iorni Non manifestandosi alcuna pressione re sidenziale all'interno della cerch ia , nessun irreversibile abbandono del centro e ne ssuna radicale distruzione la fortificazione urbica , ricorrentemente restaurata perchè mai s uperflua, sopravvisse. Sopravvisse anche a tante offese sismiche e belliche tra le quali, ancora una volta unica del genere a sostenere una simile esperienza, un violentissimo bombardamento aereo alleato 122l . Non mancarono, ovviamente, parentesi di abbandono, per tutte, quella conseguente alla devastazione sarace na del X secolo, ma in tempi più o meno brevi il borgo riprese a popolarsi.

Il nome della cittadina tramanda quello della più remota Allifae sa nnita , della quale, forse, fu la riedificazione pedemontana romana: di certo fu inizialmente un accampamento legionario stab ile, trasformato in colonia intorno al I seco lo a.C. probabilmente dai veterani di Silla. La planimetria, infatti, è quella perfettamente rettangolare canonica, m 540x405, con gli s pigoli aiTotandoti dei castra Il cardo e il decumano face-

LE FORTIFI
I
NGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIRCAZJONJ IN ITALIA
146 Alife, Caserta. porta urbica 147 Alife, scorcio mura
LE FORTIFICAZIONI R OMANE
148 Alife, bombardamento alleato 149 Ricostru z io ne accampamento romano
I NUEGNO E
I I ITALIA
PAURA TRENTA SECOLI D I rORTIHCAZ ION
150 Alife, veduta aerea obliqua

vano capo a quattro porte, che conservano:" ... la struttura di opus quadratum, con grossi blocclli parallelepipedi sistemati in filari alternati nel senso della lunghezza e della larghezza " c23 > E conservano , pure, la compartimentazione interna con corte di sicurezza tra il doppio sistema di serramenti, a saracinesca ed a battenti. La viabilità secondaria, sempre ortogonale, frammentava lo spazio in insulae di larghezza costante di circa 50 m. Dal filo esterno delle cortine è possibile scorgere il leggero aggetto delle torri, pari a meno di un terzo del diametro o del lato, di forma circolare, quadrangolare e persino esagonale negli spigoli, a struttura generalmente piena ed a scansione regolare ma eccessivamente rada. Non tutte possono attribuirsi alla primitiva edificazionel241, tradendo alcune una chiara matrice medievale. Tenendo conto di ciò, il loro modesto fuoriuscire dalla cortina e gli eccessivi interassi valgono a ribadirne la concezione arcaica.

Sorprendente la resistenza nel tempo delle mura alifane, spesse circa 2 m., attualmente ancora sovrastanti mediamente di 7 m. il piano di campagna, con altri 2,5 m interrati. L'altezza quasi certamente di poco inferiore ali' originale, induce a ritenere che la decurtazione abbia interessato soltanto il coronamento merlato ed il retrostante camminamento di ronda. Nel corso dei secoli molte abitazioni si addossarono dall'interno alla cerchia , per avvantaggiarsi della sua robustezza , forandola però con alquanti vani , finestre e porte.

Albano

Molto meno conservata della precedente è la murazione castrense di Albano, ridotta ormai ad una frazione del suo originario perimetro. Anch'essa tramanda

LE FORTIFIC AZIONI ROM ANE
151 Alife , scorcio mura e torri

In dettaglio, l'accampamento posto sulla sinistra della grande aiteria le volgeva il: " ... lato corto; era cinto da mura in opera quadrata rafforzate da torri, e scandito all'interno da vari terrazzi che regolarizzavano il terreno permettendo l'impianto degli alloggi e delle a ltre costruzioni di servizio.

In relazione alI'accampamento, subito al di fuori di esso vennero poi costruiti altri edifici, tra i quali 1' anfiteatro a nord e le grandi terme a sud, al di là della via Appia ... [A] via De Gasperi... nello spazio compreso fra questa il Municipio e piazza della Costituente , sono i resti della Porta Praetoria. la porta più importante dell ' accampamento, che dava sulla via Appia. Sono ritornati alla luce in seguito ai bombardamenti dell'ultima guerra e sono stati restaurati di recente. La porta fianc heggiata da torri era costruita in opera quadrata di piperino, a tre forn ici, dei quali più ampio il centrale. " '2 "') Paiticolarmente interessante è la grande cisterna sotterranea per la conservazione dell'acqua della guarnigione , probabilmente di oltre I 0.000 uomini. Si tratta di una colossa l e opera di circa: " ... 1436 mq ed alta circa 13 m, partita in cinque na va te da quattro file di nove pilastri <26J, capaci di circa 10.000 mc d'acqua, cos truita in età severiana per il fabbisogno dell'accampamento. La c isterna fu in parte scavata nella roccia, e complet ata con strutture in muratura. É rivestita in opera reticolata con ricorsi in laterizio, i pilastri hanno l'innalzamento in opera laterizia e sono congiunti tra di loro da archi pure laterizi; la volta di tutto l 'ambie nt e è in opera cementizia. La cisterna è tutt 'ora in uso e raccoglie acqua non potabile per usi

152 Albano , planimetria
153 Tipi co accampamento romano ubicato lungo il vallo di Adriano a Housesteads N I JN ITALI A
I NGEGNO E PAURA TRENTA S ECOLI DI FORTIFICAZIO una pianta rettangolare, più allungata però di quella di Alife, di circa m 400 x 240 , con spigoli arrotondati , torri in aggetto e quattro porte. Per i Romani furono i Castra Albani, ovvero gli accampamenti che Settimio Severo fece costruire per alloggiarvi la II Legione Partica, occupando un'area già utilizzata per i giardini della sontuosa villa di Diocleziano , gravitante appunto fra la via Appia ed il lago di Albano.

a g ricoli "( 21 > Con la calata dei Goti iniziò la devastaz ione della fortificazione al cui interno si era nel fratte mpo svi luppata una cittadina. Nel 537 fu occupata da Belisar io, quindi nel secol o lX provvid e ro i Saraceni a sacc heggiarla , m e n tre nel 1168 furono le milizie del Comune di R o m a con l 'a iuto di Cristiano di Magonza e del Prefetto Urbano a diroccarl a ulte ri ormente Nel 1436 , nel corso della g u erra fra Eugenio IV ed i baroni del L az io , la ci ttadina, lentamente ripresasi, finì ra~icalmente sp ian ata da Giuli a n o Ricci govern ato re di Roma. Allo scad e re dello s tesso secolo fu Sisto IV ad ordinarne la distruzione delle mura<28l

Inspiegabile a questo punto non la scom parsa di buona parte delle mura castre n s i ma la permenenza della restante!

Te l e sia

Come facilmente immaginabile, fra i tecnici leg ionari l 'ampliarsi delle conq ui ste provocava un contestuale incremento delle conosce n ze in materia di architettura mili tare, s p ecia lm e nte dopo le campagne nelle regioni mediorientali, da sempre a ll 'ava n g uardi a nel settore. Nessuna meraviglia perciò c he gli influssi di tante suggestion i e di tante esperie nze inizi assero a permeare anche le fortificazioni eret te in Italia, intorno alle loro colonie di veterani. In particolare proprio l addove le co nqui ste, sebbe ne sc hia ccianti e s pesso pr odromiche di genocidi e deportazioni di massa, non avevano affatto pacificato il territo rio ma al co ntrario, esaspera nd o l a resistenza degli scampati, vi avevano endemizzato la guerriglia. Ed una di tali aree fu qu e .ll a ai piedi del Massiccio del Mate se fra le c ui g iog a ie, s i rinserrarono i sopravv iss uti Sanniti Pe ntri , scandendo con feroc i scorreri e i s ucc essiv i decen ni . Impo ssibil e snidar li , inutil e r as trell a re l 'estes i ss imo altipiano , rischioso pattugliarlo: unica so luzion e, pertanto, chiuderlo in un ane llo di co l o nie fortifica te, adottando p e r renderle inviolabili da probabiliss ime sc orrerie in forza , i p iù ava n za ti criteri architettonici, magari proprio quelli appresi nelle campagne orientali . E d e ll a s upposizio n e Te les ia è senza dubbio una rari ss ima esemp lificazion e.

Non l ontano da Alife, n e i press i della c onflu e nza del Calor e con il Volturno , in posizione baricentrica tra Capua, B eneve n to e Venafro, s i scorgon o i rud eri d ella ci nt a di un 'a ltra ci ttadina romana. Sono anch'essi, al pari d ei già me n zio nati , te s timonianza della m e de s ima

tecnologia ceme nti zia se bbene ostentino una peculiarità not evo lm e nt e più rara , n on relativa alla genesi

L E FORTIFICAZlONJ ROMA NE
L54 Albano, ruderi della P orta Praetoria

insediativa ma alla sua concezione, con pochissime analogie note nell ' intera immensa area circumediterranea imperiale. Si tratta delle mura di Telesia.

La colonia di Telesia fu impiantata alla base di monte Acero, nei pressi dell 'od ierna S. Salvatore Telesino , forse ancora una volta in avvicendamento di un preesistente centro sannita. Le vestigia delle sue mura urbiche , per completezza di circuito, ci sono pervenute sostanzialmente continue e discretamente leggibili nella loro originale logica difensiva. Sappiamo da P olibio che nel 217 a.C. i Cartaginesi: " ... conquistarono anche la città di Teles ia, che era senza mura e fornita di ogni specie di provviste " mi, dettaglio che ne conforta la datazione al II - I secolo a.C.

L'eccezionalità di siffatta murazione appare già dalla pianta, esulante dalla tradizionale configurazione poligonale. Ma si recepisce pienamente osservando che i segmenti di cortina che la compongono non sono retti-

linei bensì arcuati 16 1 li suo perimetro, infatti, è stato conseguito tramite una serie di settori concavi verso l 'esterno, una sorta di catenaria chiusa. Agli apici di ogni raccordo si innestò una torre, alternando spesso, però, quelle di pianta circolare con quelle di pianta esagonale , secondo una seq uenza totalmente desueta, il cui approfondimento travalica la finalità della ricerca. La stranissima articolazione della cerchia dà luogo, in definitiva , ad una s ucces s ione di rientranti per usare una terminologia appropriata seb bene desunta dalla trattatistica rinasc imentale i cui salienti erano le predette torri. Ques te a loro volta, in vi1tù della efficacissima dislocazio ne planimetrica, riuscivano a prodursi in una difesa di fian c heggiamento eccedente gli abituali valori ottimali di 180° per ascendere ad oltre 250°. Cosa significa, in pratica, anche per i non tecnici, questa maggiorazione? La possibilità non so lo di tirare ai fianchi di un nemico avanzante per l'inve stime nto delle mura prassi

15 5 Telesia , foto aerea ob li qua lNGEGNO F. PAURA TRENTA SECO LI DI FORTIFICAZIONI h ITALIA

156 Teles ia , planimetria

all' e po ca ormai pienamente recepita ed assodata ma persino alle s ue s palle , potenz ialità che tornerà in auge sotto i nostri evo luti c ieli occi dentali a partire dagli inizi de l 1500, con l'avvento d e l fron te bastionato!

É indubbio c he il re mot o architetto fosse a perfetta conoscenza de lla s uperiore effica cia delle s ua e laborazione, ma , e qui s i coglie l ' indica zione dei liv ell i tecnologici vigenti, anche le autorità c ittadin e dovettero agevolmente recepirla nella sua rivoluzionaria portat a, e qui si cog li e altresì l a loro origine militare e sos tanzialmente affine. Perch è altrimenti avrebbero rinunciato alla s perimenta ti ss ima e comprensibilissima c onfi g urazion e ca no nica delle cerchie urbi c he , in favore di quella cervellotica e lucubrazio ne, priva di riscontri o prece denti, pur nell 'am bito di uno stato vas ti ssimo e militari s ta ? Unica spie gazione plau s ibile che fosse ro tutti reduci dalle medesime campagne ne l corso delle quali, imbattuti s i in fortificazioni si mili, ne avevano sperimentato dire tt a mente la validità 001

S ull a scorta d e lla più accurata indagin e, le :" ... mura riman gono ancora vis ibili su tutto il loro percorso: questo seg ue s u tutto il lato s ud occ id en tale e s u qu ello orientale i cigli dei due fossi ... Su ll 'a ltro l ato invece a nord ovest, la c ittà è aperta verso la pianura e qui il s istema dell e fortifica z ioni s i fa più co mples so.

Le mura so no costru it e secondo una tematica de l Lutt o omogenea, in opera incerta o quas i reticolata s u nucleo cementizio mentre un analogo s is tema di torri rotonde o poligonali le muni sce a di s tanza regolari zza nte s u precise pos i z ioni.

Tre sono le port e princ ipali ... Altre p o rte sec ondari e o po s te rl e so no a ncora poi ricono scibili in a ltri punti del tracciato. Tutte le cos tru z ioni so no in calcestruzzo tenaci ss imo ... Le mura s pesse 1.7-1. 9 m. ed alte ancora, nei punti più conservati, fino a 7 m ., si presentano concave tra torre e torre.

Questo s istema è seg uito fe delmente s u tutto il percorso, eccetto che ne i du e tratti in c ui il piano urbano è forzatamente stre lto s ui due fossi e la dife sa trova neUa morfologia del terre no una natura particolarm e nte favorevole. P oi il sistema delle fort i ficazio ni s i fa proporz ionalmente più co mplesso, man mano che la difesa na tural e viene me no : l' e le m ento più evide nte è dato dall a frequen za delle torri che, rade s ui due tratti rettilinei così particolarmente dotati dalla natura , s ul fosso Trono so no in vece m esse a catena ad una di s tanza c he varia d ai 75 a i 50 m. , m e ntre s ulla fronte della pianura , aperta e se nza più la di fesa dei bacini lacustri, s i se rran o ad una distanza che varia dai 45 ai 30 m.: qui a nz i al normale sistema delle torri rotonde si alterna qu e ll o de ll e poli gona li , esago ne. essendo poste, que s te ultim e a co pertura dei punti più v ulnerabili quali l ' anfiteatro o l'in g resso de ll 'acqu e d otto. D elle torri s i presentano a c orpo pieno quelle s ui ve rs anti della pianur a, minacciate d a ll' assalto degli arieti, mentre in vece quelle po s te sui fos s i so no v uo te all ' interno , e quindi alleggerite del peso d e ll e ma sse gravanti s ui te rren i poco s tabili delle sc arpate e degli acq uitrini .

LE FORTIFICAZIONI
ROMANE

157

Per la difesa il cammino di guardia sulle mura, Lappétl'e] ... scarso per il doppio senso di ronda, per cui è da ritenere che esso s ia stato ampliato mediante l' aggetto di strutture... lignee , attraverso cui dovevano anche avvenire gli accessi a dette mura ed alle torri ... ampie dai 6 ai 7 m... sufficienti all'eventuale postazione di macchine belliche...

Due delle Lre porte principali si conservano ... situate al centro di uno dei soliti sistemi concavi dei rnesopirgi , protette dall'avanzamento delle torri rotonde.

Esse presentano lo schema a doppia chiusura, probabilmente ad arco e caditoia per la saracinesca con corte intermedia a cielo scoperto ... " <m .

Da quanto esposto appare inconfutabile, oltre alla modernità dell 'i mpianto, il suo esulare dalle fina.lità di semplice ornamento urbano, ovvero di pura gratificazione municipale. Siamo di fronte p erciò ad una sofisticata opera militare: ma a chi, motivatamente, potrebbe ascriversi? Un unico grande teorico della fortificazione classica, il solito Filone di Bisanzio, si occupò approfonditamente di quel tipo inconsueto di cerchie urbane. Scriveva infatti il grande trattatista:

" esiste un altro sistema di fortificazione non inferiore a nessu n altro dei precede nti: è costituito da s emicerchi disposti in maniera che le loro parti concave siano rivolle ve rso l'attaccante; in questo sistema. le estremità degli archi di cerchio s i raccordano alle t.01Ti in modo da es s ere innestati ai loro spigoli e sono distanziate tra loro, ad iniz iare dalla circonferenza es terna, di una larghezza pari a quella del muro inte rno della gola delle torri. In tutte le torri , è nec essa rio disporre i travi s ui muri laterali, affinchè, nel caso c he quello volto verso il nemico crolli s otto i suoi colpi. le piattaforme resistano e si possano ricostruire tali to1Ti. Occorre altresì rea lizzare delle posterle sui loro fianchi , in maniera tale che co loro i quali debbano compiere delle sortite non espongano il loro fianco scope rto , cd inoltre che non possano essere sfo ndate dalle bali s te " 1121 •

Pertanto poichè nella: " ... dettagliata esposizione che Fi Ione svolge sulla tecnica delle fo1tificazioni, troviamo un così diretto e complelo raffronto col nostro sistema ... questo non può non appartenere ad una tale scuola di ingegneria [come si evince nelle toITi e nel modo di collocarle], per stabilirne la migliore posizione per la copertura incrociata dei mesopirgi ... (il che porta al datare la nostra fortificazione ed il particolare sistema difensivo che essa rappresenta, all'età della colonia sillana ... frutto della diretta esperienza portata dall'Oriente da quei veterani, che del resto non erano in maggioranza italici ... " <331 •

Telcsia , scorcio cortine concave INGEGNO E PAURA TR ENTA S ECOLI DJ FORTIFlCAZION L IN ITALIA

In realtà quest'ultima ipotesi , apparentemente indiscutibile e motivata, trova recentemente un valido motivo per essere messa in dubbio: la scoperta di alcune cerchie a mesopirgi, di più remota costruzione, nella valle del medio corso del Guadalquivir, già Belis nella Betica in Spagna. La loro preesistenza potrebbe porsi alle spalle di quella di Telesia. Non a caso, infatti: " ... dopo il ritorno di Silla dall'Oriente Sertorio fu dal governo democratico mandato come propretore nella provincia Citeriore, donde riuscì ad espellere il governatore di parte sillana. Nell 'a nno 81 fu a s ua volta cacciato da Anio, luogotenente di Silla [e] nel 79 accettò l'invito dei Lusitani di assumere il comando delle tribù malcontente del governo dei pretori ...

[ed] iniziò la tradizionale guerrilla spag nola contro i luogotenenti di Silla, con successi tanto rapidi che nel 77 era padrone di tutta la penisola ... "< 34l In linea di massima, quindi, alcuni alti ufficiali di Silla ebbero modo di conoscere perfettamente le cerchie concave della Betide, e di sperimentarne direttamente il grado di resistenza. Nessun motivo, pertanto, di ordine cronologico impedisce di ritenere che il suggerimento per quella di Telesia sia scaturito proprio da queste, attualmente certe, piuttosto che da gene1iche similari, peraltro ignote, orientali. É indispensabile, per l ' importanza della questione, fornirne pertanto le caratteristiche salienti.

Storicamente la Betide: "... era densamente urbanizzata all'epoca di Strabone, e molte di quelle città so no attualmente dei 'des poblados' ; tale abbondanza costituisce di per sè un ostacolo alla conoscenza dell 'urbanistica antica, a causa della rarità di scavi estesi. Molto resta da fare affinchè s i possa conoscere il nome di ciascun s ito e viceversa. Quanto allo sviluppo ed all'evoluzione del processo d'urbanizzazione della provincia romana della Betide, la conosciamo malissimo, in particolare nella sua fase iberica e repubblicana, ed ignoriamo quasi completamente l'organizzazione urbana di queste città talmente piccole che si è esitato a definirle tali, e che sono le più numerose. Parallelamente agli scavi il rilevamento aereo ha consentito dei progressi nella conoscenza della rete urbana e della connotazione architettonica delle città, persino per il periodo imperiale, come nel caso dei tre si ti seg uenti.

Il primo caso è un esempio di cerchia già conosciuta che la fotografia consente di documentare meglio: è quella di Obuleula, città di modesta importanza, attraversata dalla via Augusta, e della quale non sussistono dubbi circa l ' origine preromana. Lo sradicamento degli ulivi fa apparire la cerchia come una larga traccia bianca, che indica una muraglia spessa, con a tratti delle linee sp rofondate che potrebbero indicare a

LE FOlfflflCAZIONI
' .. ,
ROMANE
158 Telesia, veduta torre esagonale

loro volta dei vuoti interni come fu osservato ad Osuna. A nord- es t, si di st in g ue un a inteTTu zione c he può corrispondere ad una porta verso Palma del Rio. Innan zi alla cerchia è visibile un ampio fos sato, che sembra rinforzato davanti aJJ'uscita ovest da due incisioni parallele.

Per il suo s pesso re, per la s ua larghezza e per l'a sse nza apparente di torri, la cerchia sembra preromana. Per il che, ci si può chiedere se i cigli regolari che bordano le numero se ' de s poblados' non celino muraglie simili .. .

Il s ito di Pajares s i trov a a 10 km a nord-ove st di Osuna (a nticamente Urso), e s ul s uo territorio municipale Si tratta di una collina piatta con versanti relativamente ripidi , dominanti da c irca 20 rn di quota la pi a nura ... Fu s coperto nel J981: fu una città di cui s i sc orge per i due terzi la cerchia che disegna un triangolo grosso modo isosce le. L'a nalis i delle foto aeree

159 Tele sia, ri cost ru zione mura 160 Telesia, schema tatti co mura
I NGEGNO E PAURA T RENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA
o 50 100m

20 40m

161 Schema di Filone di Biasanzio ha permesso di valutare la sua base pari a m 315, i lati a m 480 circa, per un perimetro complessivo pari a 1.275 m ed una s uperficie di 14.3 ha ... Il sito è rimasto inedito. Tuttavia l'interesse principale della scoperta risiede nella disposizione della cerchia: si distinguono nettamente dodici torri ubicate in posizione avanzata rispetto alla muraglia, che è realizzata fra di loro mediante co1tine concave; l'angolo sud-ovest è difeso da tre grosse torri circolari, tra le quali la cortina si raddoppia, dando all'insieme l'aspetto di un solido bastione A terra, le tracce appaiono come delle linee o dei mucchi dì calce bianca polverulenta frammista a delle grosse pietre non squadrate. L'insieme è ubicato a mezzo versante e le torri formano dei ruderi ben visibili; le loro dimensioni sono impressionanti, persino se si tiene conto dello sparpagliamento delle macerie: il diametro delle grosse torri del bastione raggiunge i 20 m; l'interasse medio delle to1Ti circa i 45 m.

Il sopralluogo del novembre del 1981 ha mostrato

che la nettez za del perimetro era dovuta ad un lavoro molto profondo; tutta la sommità del sito era disseminata di pietre e di blocchi non squadrati; la raccolta ceramologica ha fornito qualche frammento dell'Età del Bronzo Finale, di numero si cocci iberici tra cui un collo d 'a nfora databile al IV sec. a.C., una scheggia di ceramica grezza, ed un solo frammento di ceramica etrusco-campana a vernice nera ... questa ultima scoperta , unitamente all'assenza assoluta di ceramica sigillata e di tegole indicherebbero che l'occupazione sia cessata nella seconda metà del I sec. a.C. al più tardi ...

La scoperta del sito precedente ci ha indotto a sorvolare nell'anno successivo le despoblados note nella regione. Quella di Camorras, segnalata da diversi autori, presenta con Pajare s num erose similitudini: è una vasta collina piatta di forma ovale ... La foto aerea ha rivelato all'estremità nord del sito una parte del1' antica cerchia della città: da sinistra a destra si distin-

LE FORTIFICAZIONI ROMANE o
10

gue un bast ione approssimativamente rettangolare costituito da due grosse torri che sembrerebbero quadrate, unite con due cortine; in seguito apparvero cinque cortine concave collegate a quattro torri di forma indistinta. La s tudio dell e fotografie, tanto obblique che verticali, consente di assicurare che questo dispositivo guarniva il fianco est della città...

Le cerchie a cortine concave sono in effetti un modello importato, di origine ellenistica: per lungo tempo conosciute so ltanto attraverso le pagine di Filone di Bisanzio... [che] dopo aver descritto un dispositivo a cortine concave semi c ircolari aggiunge:

Da alcuni è stato approntato un altro sistema di fortificazioni nel quale si sono costruite le cortine leggermente concave lunghe 100 gom iti (46.24 m) e spesse 12 (5.55 m) , alte 6 orge ( 11. l O m). La sommità del muro volto verso il nemico deve andare restringendosi ed essere doppia, affinchè i co lpi delle baliste non g li causino alcun danno ... "• 35 >

Da quanto appena citato emerge, però, la non perfetta id entità tra le cerchie ricordate e le prescrizioni di Filone: la divaricazione per la estrema rarità di costruzioni analoghe non può imputarsi ad una approssimata applicazione dei canoni, quanto piuttosto ad una matrice culturale alternativa, forse precedente allo stesso Filone. ln realtà è probabile che in queste fortificazioni spagnole s iano confluite le esperienze stra niere e locali : " ... delle seco nde si accetteranno i grandi spessori delle muraglie, che se mbrano un carattere iberico L'assenza apparente delle torri poligonali ribadisce cos ì i 1i miti dell'apporto orientale, sebbene tale tipo di torri non sia affatto assente in Andalusia ... Inoltre si pone il problema del percorso seg uito da tali influenze orientali: furono introdotte dai Romani o direttamente dai Greci e dai Punici che li precedettero? Di sicuro esiste in Andalusia un altro sito che presenta anche lui delle co rtine concave, con una muraglia di 6 m rinforzata ogni 40 m circa da una torre quadrilatera

i , TI: ' F'J ?'' /
162 Schema di Carlo Borgo
I
IN
..... ÒoJ l o J,10 j ISO . --····~· •, f o
NGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI
ITALIA

ROMANE

irTegolare, e che risale al IV sec. a.e., ma la sua scoperta non è stata pubblicata; per 1' insufficienza dei dati, non si può affermare che le cerchie di Pajares e Camorras siano pre-romane, per contro, però, è certo che sono anteriori all'Impero. Vitruvio non fa alcun accenno alle cortine concave ... " '36>

L'ipotesi, pertanto, che la cerchia di Telesia sia derivata da archetipi occidentali piuttosto che orientali non può al momento dimostrarsi incontestabilmente, pur presentando discrete probabilità di credibilità. É comunque singolare che conclusasi quella breve stagione prodromica dell'impero, nonostante la indubbia capacità romana di discernere competentemente in ambito militare, la fortificazione a mesopirgi di Telesia restò un'eccezione, essendo state completamente abbandonate quelle similari in Spagna, priva di estimatori coevi o, più probabilmente, di verifiche ossidionali. Progressivamente decadde, squassata dai terremoti e dalle acque limitrofe, disgregata dai rovi e smantellata dai contadini: la sua magistrale calibrazione per le artiglierie neurobalistiche si dissolse nella notte del medioevo' 31> La concezione però sopravvisse , adeguandosi per giunta alle artiglierie a polvere.

Intorno al 1780 un oscuro gesuita, insegnante di teologia, presso l'università di Modena, autore di un trattatello di architettura militare pubblicato nel 1777, fu insignito del grado di colonnello onorario del genio, in uno dei più evoluti eserciti europei, da uno dei massimi generali, nonchè sovrano mecenate. L' iniziativa, manco a dirlo, fu di Federico il Grande138ì, re di Prussia, straordinaria sintesi di signore illuminato, generale imbattibile e saggista militare di indiscussa professionalità. Intere generazioni di soldati applicarono in tutta Europa le sue riforme e le sue ordinanze: la parola stessa 'prussiano' divenne sinonimo di efficienza bellica e di meticolosa e rigida combattività' 391 • Nessuno, quindi, meglio di Federico di Prussia e dei suoi consiglieri militari, poteva con accertata competenza valutare una

proposta fortificatoria, fosse pure di un misconosciuto cattedratico, lontanissimo per indole, cultura e collocazione ideologica dal violento mondo della guerra. E che l'autore restasse anche nel ristretto ambito della sua disciplina adottiva pressochè ignoto, lo dimostra l'assoluta marginalità che ricopre nella storiografia specifica ancora oggi.

Carlo Borgo(401 , tale era il suo nome, valente matematico e studioso di scienze naturali, al di là di quell'apprezzatissima pubblicazione: «Analisi ed esame ragionata dell'arte della fortificazione», non lasciò infatti altre equivalenti testimonianze del suo ingegno.

Quale eclatante novità si coglieva tra le righe di quello scritto, da giustificare l'incredibile onorificenza, concessa per di più ad un sacerdote? Tratteggiamo per schematica sintesi l'aspetto saliente della sua opera stralciandolo da un accurato sagg io sui sistemi difensivi elaborati in Europa tra il 1494 ed il 1794: " Borgo chiamafronte un tratto fortificato di 249 tese. Sulla mezzeria della fronte vi è un bastione ritirato. Nella estremità della fronte vi sono i bastioni avanzati, i quali hanno spalle tondeggianti ed i fianchi retti ritirati

Dietro ogni bastione avanzato vi è un controbastione. Due recinti semicircolari, uno più alto ed uno più basso , in funzione di cortine collegano i controbastioni ai bastioni ritirati le facce dei bastioni, sia avanzati che ritirati, e dei controbastioni sono fiancheggiate da un terzo del semicerchio dei due recinti ...

Questo sistema del Borgo è sta to ammirato da un intenditore della fortificazione quale Luigi Marini perchè l'artiglieria vi può svolgere un'ampia e intensa azione verso la campagna e perchè l'andamento curvilineo dei recinti protegge dai colpi d'infilata. Inoltre ... tutto il fuoco della difesa può concentrarsi in un punto ... [e] le comunicazioni risultano sicure e spedite ... " (• 11 •

Quasi negli stessi anni in cui il Borgo riscopriva la

LE FORTIFICAZIONI

fortificazione a mesopirgi di Filone di Bisanzio142 , alle falde del Vesuvio ven iva lelleralmente riscoperta un'altra fortificazione perimetrale romana, anch'essa di eccezionale interesse, e per di più in ottimo stato di conservazione. Pompò

Nel precedente esem pi o abbiamo avuto modo di costatare che i Romani, dopo la conquista di città nemiche ed il loro eventuale inserimento nella compagi ne s tatu a le, si limi tarono semplicemen te ad aggiornarne le fo1tificazioni già esis tenti, a patto ovviamente c he la loro validità fosse ev id ente. La procedura ab itu a le da loro riservata alle cerch ie greche co nsisteva nell'incrementarne il numero delle torri, riducendo co nte stualm ente quello delle posterle, che ai fini della difesa non rivestivano una pari importanza. Del resto a nche gli It alioti avevano adottato, in precedenza, un a nalogo comportamento nei riguardi delle migliorie difensive ap pli cate dagli Italici alle difese perimetrali, durante le parentesi di occupazione delle loro ci tt à, reputandole van taggiose. Il fenomeno determinò, nei cas i più ec latanti , il sovrapporsi ed il fondersi di concez ioni archi te ttoni c he precipue delle tre maggiori c ulture penin. ul ar i. originando una singo larissima sintesi nella quale riu sc iv a facilmente percebile, tanto per ese mplifi ca re, l'aggere italico, la murazione in tecnica isodomica italiota ed il serrato fianchegg iamento con torri in opera cementizia rom ana. Ovviamente il trasco rrere dei secol i e le mutate esigenze difensive finirono, nella stragrande maggioranza dei casi, per cance llare ta li rea lizzaz ioni , sos tituite da più co nsone e d omogenee ce rch ie, tramandandocene a l massimo sparuti la certi di improba decifrazione. Una so la, tuttavia, co mpli ce un eve nto catastrofico, ci è pervenuta sostanz ialmente integra: quella di P ompei. Sigillata nella pienezza della sua funzione dalla co ltre di ce neri e lapilli

eruttati dal Vesuvio nel 79 d.C., ha con la sua precoce inumazione, scampato la sorte comune a tutte le simi lari. consentendoci così interessanti approfondimenti sull'i ntera vice nd a, a partire dalla remotiss im a fondazione della cittadina.

Anche Pompei va ricondotta alla colon izzazione greca, che ravvisò nella rident e plaga alle falde del Vesuvio ed a ll a foce del Sarno, il sito ideale per la fondazione di un importante centro commerciale. Per quanto accertato intorn o al: " VII seco lo a.C., su ll 'altura formata dal margine di una colata di un'eruzione preistorica, punto forte per il controllo del porto fluviale del Sarno. de l traghetto della strada costiera verso sud e del1a strada per la penisola sorrent ina. s i sarebbe formato un villaggio, l'Alrstadt, centrato su un santuario di Apollo, con forte caratterizzazione etrusca .''1J 11 •

Quest'ultima affermazione, però , susc it a alquante riserve. po ichè se: " ... non è escluso che [g li Etruschi] si siano sp inti molto più a sud [di CapuaJ, estende nd o temporaneamente il loro dominio anc he su Ercolano e Pompei ... non si può affermarlo con sicurezza, e neppure è certa un'influenza etrusca in questi luoghi sia pure soltanto nel campo religioso architetton ico... " 1 ,1.1 1 • D e l resto quella:" dell'Arx pomp e iana era una localizzazione assolutamente conge nia l e, per il suo carattere, a ll e popolazioni elleniche, che erano insediate a breve distanza, per esempio nella palepoli napoletana. ma soprattutto a Cuma. ci ttà egemone nel sud vesuviano-sorrentino: in prossimità del mare, all'uscita di un fium e ... aperta verso terra e in direz ion e delle colline retrostanti e della Valle del Samo.

Sarebbe ipotesi st r aordinariame nt e suggestiva (anche se a) momento indimostrabile, e purlllttavia, non del tutto peregrina), s upporre che il prim o stan z iamento sull'Arx pompeiana fosse dovuto ad un nucleo di gen ti di stirpe ellenica, magari non organizzate in un a st ruttura politica definita, ma unite forse, so lo in un a orte di sta::.ione commercia/e costiera. dipenden-

INGEGNO E PA l,! RA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA

te da Cuma e diretta a stabilire relazioni di scambio con le popolazioni dell'interno ... e, successivamente, cancellata da queste ultime , allorchè esse si sentirono sufficientemente forti ed autonome da gestire in prima persona tali commerci.

La possibile installazione di una presenza ellenica sull'Arx pompeiana non deve, peraltro, essere ritenuta eccessivamente fantasiosa, se si considera che, anche sulla base delle testimonianze delle fonti antiche ... sia la Valle del Sarno, sia l'agro nucerino, sono considerati come occupati 01iginariamente da genti pelasgiche e peloponnesiache ... " <4:i>

Di sicuro con il declinare dell'egemonia etrusca nell'Italia meridionale, intorno al V sec. a.C., si incrementò quella greca, che finì per sostituirla dovunque.

Le rozze mura che serrano ancora l'abitato di Pompei appaiono ormai troppo deboli e ristrette per il tumultuoso sviluppo urbano. Pertanto: " nel V secolo, in

LE FORTIFICAZIONI ROMAN E O 1.00 200 m
163
Pompei planimetria 164 Pompei, scorcio torri e mura

165 Pompe i. una torre romana co n comitanza co n la press ion e sa nnitica , s i sarebbe g iunti alla c rea z io ne di una g rand e nuova c inta di mura per fortificare l 'a rca della c ittà nu ov a, ora es tend e nte si s ulla d efi nitiva dimen s ione di c irca 66 e llari quale fo sse la densità d e lle case ( ne co no sc iamo co munqu e g ià ora più che in molte indi sc u sse c itt à a rcai c he), è innegabile l 'esis te nza, già totalm e nt e costituita n e l VI seco lo a.C., di una tru nura te rritori a le di abita to definita di mura , reticolo stradale intraurbano e vie ex traurbane e piaae , munita di sa ntuari intra ed extramurari. Se poi tale entità s ia o meno da definir s i «c ittà », è questione che in veste i problemi della s tes sa

o ri g ine della c ittà ... M a a nc h e nell'ipotesi ... c he per questa Pompei arcaica non si debba usare la catego r ia della c itt à, l 'este nsio ne d ello s pazi o fortificato, mo lt o supe ri ore a ll e necessità insediative d el momento ... [escl uderebbe] po~ sa parlarsi, come si è fatto, di un semplice villaggio ag ricolo , quasi un pagus ne ll 'agere Nucerinus ... " ,-11,> .

No no stante le moderne e, presumibilmente, pod erose fortificazioni perimetrali , Pompei n o n fu in grado di re s istere all'offensiva d ei San niti, e nell'ultimo trente nnio di quello stesso secolo, verso il 420 a .C., cadde in l oro potere. Il vi toso di s li vello cu lturale tra vincitori e vinti d e t ermi n ò, ben presto, una profonda evo l uz ion e dei rudi montanari , c h e lun g i dal ripudiare quanto estraneo a ll a l oro cu ltura lo adottarono pienamente. Quasi tutto. perciò restò come lo avevano tro vato, dagli edifici religio s i alle abitazioni. Unica eccez ion e la fortificazione perimetrale. ritenuta. forse. inidonea alla loro modalità com b att i va, divenendo, per g iunt a, di an no in an n o più te mibil e la pre ss ione roma na. T ra il 400 ed il 300 a.C., i n fatti, l'aggiornarono senza d e molire però l'e s istente. É pres umibil e c he in tal e circosta n Ja d otaro no il piede delle co rtin e di un aggere grado n ato. trasformando la ce rchia in un in e dit o coace rvo g reco -itali co.

La romanizzazione di Pompei pren d e l 'avvio dal 290 a. C. , in seg uito alle progressive g ravi ssi me sco nfitte dei San niti. Agli inizi d e l Il seco lo a.e. la città è o rm ai pienamente contro ll ata da R oma, co m e attes tan o le prim e cos truzioni in te cn ica cementizia. E non reputandosi tal e possesso irreve rs ibil e per la s ituazi one politica vigente, anche i R o m a ni s i ri solse ro di pot e nziarne le difese . Pe rtanto fr a il 300 ed il 90 a.e . , ancora una vo lt a se nz a demolire l 'esistente se n on quando manife s tame nte g iubilat o, i tec ni c i legion a ri integraro no le cur io se for t ificaz ioni ibrid e co n soluzioni più avanzate. per loro peculiari. Fu qu e llo , prob abi lm e nte. il caso delle torri , c h e ce rt a mente g ià esistent i nel la impo s taz io ne g reca, come s i de s um e dai rispettivi vani

[ :s.GE<.i~O E PA URA TRl:.NTA Srcou DI Fo,mFICAZIONI l'> ITALIA

d'accesso ubicati agli estremi della viabilità secondaria, vennero però sostituite dai Romani per meglio adeguarle alle pitL moderne armi da lancio. Pertanto le attuali: " torri sono databili solo al II secolo a.C.. Non essendo pensabile un ribassamento della data del sistema urbanistico al Il, se ne deve quindi dedurre o l'esistenza di torri più antiche sullo stesso sito di quelle conservateci o, più probabilmente, di postierle inframezzate alle porte maggiori e poi sostituite dalle torri " <47 > _ Mura greche, agere sannita, torri romane: in una unica opera la sintesi estrema delle tre civiltà che si contesero l'Italia. Il Vesuvio nel 79 d.C. provvide a conservarle.

La fortificazione ornamentale: Altilia

Con il pieno affermarsi dell'impero la fortificazione perimetrale urbana, in particolare in Italia centro meridionale, non rappresentò più una inevitabile necessità ma soltanto una sorta di ornamento urbano, simbolo dell'orgoglio municipale. Conservò, tuttavia, le più spiccate caratteristiche della sua funzione, quali merlature, porte compartimentate e torri in aggetto, semplificandole e decorandole. Del resto, nella peggiore delle ipotesi, la loro prestazione sarebbe potuta servire per evitare intrusioni notturne di banditi, o per fungere da barriera daziaria. E, forse proprio per quest'u l timo motivo, sull'ultramillenario tratturo delle PugJìe, a breve distanza dalla mitica Boiano capitale dei Sanniti Pentri, la piccola Altilia ricevette a cavallo dell'anno O, dallo stesso Tibe1io'48 , il munifico regalo di una splendida cerchia turrita.

A differenza delle precedenti, in contrasto per giunta con quanto affennato dal liber Coloniarum che la includeva fra le colonie attribuendone la deduzione all'imperatore Nerone, non fu mai tale ma sempre un municipium. La sua originaria fondazione dovrebbe rimontare al II secolo a.C., intimamente connessa con

l'artigianato della lana e, più in generale, con 1a pas torizi a. Quanto invece ci è pervenuto, fortificazioni e tessuto urbano, appartengono ad una fase successiva di ricostruzione , culminata forse prop1io con la realizzazione della cinta turrita.

Il perimetro della murazione facilmente identificabile anche prima dei sommari restauri del 1952-53, s i estende per quasi 1250 m, con una configurazione planimetrica quadtilatera , con gli spigoli arrotondati ed orientati secondo i punti cardinali. In essa si ap1ivano quattro porte monumentali, alrestremità del cardo e del decumano fra loro quasi ortogonali: ed il decumano fra porta Tammaro e porta Benevento è il segmento urbano del celebre tratturo.

In merito alla datazione: " 1' iscrizione ripetuta su ciascuna delle quattro porte ... indica piuttosto I' avvenuta realizzazione dell'opera ... [o) l ' inaugurazione ...

In realtà l'edificazione... sembra essersi protratta per mesi, forse per anni, nel corso dell'ultimo decennio del I sec. a.C. Ispiratore dell'impresa appare Tiberio associato al fratello Druso morto nel 9 a.C.

Il progetto può dunque risalire agli anni immediatamente precedenti, ma non prima, probabilmente, dell'esiro vittorioso delle campagne contro i Dalmati ed i Germani conclusesi nell'anno 11 a.C. Questo lasciano intendere le figure dei prigionieri barbari posti ai lati del]' iscrizione sui rinfianchi delle porte ...

L'intervento della casa imperiale testimonia la gradualità del processo di stabilizzazione e di organica definizione dell'assetto territoriale del Sannio nei decenni successivi la conclusione della guerra sociale. Le mura... restituiscono finalmente all'insediamento un'impronta ed una dignità dichiaratamente urbane. Esse sono pur sempre, però , un'opera attenta di ingegneria militare che si realizza nel disegno stesso della cinta, ne ll'adozione di torTi circolari e poligonali, nella loro distribuzione ad intervalli utili alla difesa, nei ricorsi di feritoie dischiuse in cortina piena, nel1e porte munite di corti di sicurezza. L'esistenza di un fossato,

LE FORTIFICAZIONI
ROMANE

pur ipotizzabile , non è però confermata da alcun indizio ev idente ... Se pure es pli ci t a t o ne ll a decorazione delle porte e n e ll e isc ri z ioni l ' inte nto co mmemorativo la ci nta asso l ve efficacemente il ruolo di controllo della linea tra trurale a s ic uran d o la co n t in uità d ei proventi daziari e s alvaguardando la comuni tà dall 'eve ntualità , non rara, di som mo sse e rib e lli o ni armate di pas to ri " '~ 91 •

Le caratteris ti che s trutturali della c int a di A ltilia posso no s inteti zz ars i prec i sand o c he lo pesso re d e lle co rtin e, eseguite in op e ra quasi reticolat a, rimane c ont en u to tra m 1.5 0 e m 2 con un 'a ltez za, per qu a nto a ttualm e nte d ed ucibil e, di c irca m 8-9, dalla qu o t a di ca mp ag na al livello del camm in amento di rond a. Le torri, per lo più c ilindri c he e cave, s i avv ice ndan o co n un int erasse di c irca 30 m : nel loro interno so no ancora riconoscibili le sudd ivi sioni dei div e rsi piani, di dim e n s io ni inconciliabili con le artiglierie neuro balistich e. L' inn es to cort i ne-torri avvie ne in pos izio ne diam e trale, m modo d a lasciare un aggetto pari alla

I KGEGNO E PA URA TRENTA SECOLI DI FORTIFICA710NI IN ITALIA

m e tà esa tta d e ll e s tesse. Una parti co lare atte nzion e fu ri servata alle po rt e, sempre se rrate fra due torri, munite di doppia ch iu s ura co n sarac in esca esterna, co rtil e di icurezza e portone a d oppio battente interno.

La fortifica::.ione c ivile

Quand o i lapilli e le ce neri del Vesuvio ricoper sero la sfortun a t a ci tt ad in a di Pompei , nulla la sc iava presag ire che il gra ndioso edificio imperiale all'apogeo del s uo sp le ndore s i avviava, come tutte le is titu zion i um ane, al s uo inesorabile declino. U n prim o indiscutibile indi z io, tuttavia, potre bbe ravvisarsi nelle tra cce c he il cri s tian esimo, in poc hi d ece nni di divulgazi o ne, era riu sc ito a l asc ia re pers ino nell e ci ttadin e ves u v iane. Non s i trattò , almeno ini zia lm e nte, di ista n ze di sgreganti ma del man ifestar i di una se ns ibilit à soc iale profondamente innovativa cd antitetica, prodromi ca di un a netta repulsione verso qual s ias i forma d i violenza. Di certo nei secoli c he seg uirono la combattivi t à d elle leg ioni i niziò v istosa m e nte a de c resce re : la s tessa profess ion e militare non eserc ita va più alcun fascino o ri chiamo s ui s udditi d el l ' imp ero, m agari per moti vaz ioni ed is tanze o ppost e a quell e predicate dal cri s ti anesimo, ma, purtroppo co ncordi nei ri s ultati . Nel frattempo la pressione dei barbari s ui co nfini os t entò un t e mibil e increme nt o, e l 'a ppro ntament o di int e rminabili lin ee intcrd i ttive fortifica t e cost ituiva già di per sè un impli c ito ri sco ntro , se no n di debolezza. di esa urime nto d e ll a s pinta es pans ioni st ica

Con l'avvento d e l II1 sec olo la s itu azio ne milit a re peggi orò ulter iorme nte lun g o tutte le fronti e re, ed in particolare a ridosso di quelle europ ee. A l di là del R e no e lun go: " ... il co rso su pe riore del Da nubi o, le a nti c he popolazi o ni limit rofe d e ll ' imper o, un tempo di vi se in in num e revo li tr ibù, avevano cominciato a riunirs i in ag g lom e ra t i molto più grandi e m o lto più p e rico losi già durante il II seco lo , ancor prima c he ini zias -

? IQO 1 2QO ln 166 AJtilia, planim etria -I
L E FORTIFICAZ IONI RO MANE
167 A ltili a, scorcio porta urbica 168 Altilia. porta urbica

sero i disordini politici all'i nterno dell'impero. Adesso i Rom ani no n dovevano più affro n tare i numerosi po po li di c ui si parla a proposito del I e Il secolo . .. bensì le ben più vas te federazioni de i Fra nchi e degli Alemanni, c h e potevano co ncent rare un contingen te m o lto m agg iore di forza, nel caso che avessero deciso di a tt accare i co nfini de ll 'i mp ero ... " <'0 •

Pres um ere di poter co nte nere l a crescente pressione con una difesa di sbarra men to, la s tessa cioè dei secoli preced e nti di ve nne manifestamente assurdo sebbene l 'alte rnati va, la 'di fesa e la s ti ca', lasciasse prefigurare costi soc ia li tragici e costi materiali, soprattutto in fortificazioni, i mmensi. Sarebbe stato indispensabile, infatti, este nd ere l'adoz io ne delle massicce oper e a nc he a ll e c ittà più interne ed arretrate ri spetto alla linea di confi ne, ab band o nan do alla loro sorte tutte le a ltre non ugualmente trasformabili o troppo avanzate per essere socco rse in te mp o utile. La sce lt a di per sè dolorosa non ammetteva onnai alc un a dilazione e, m eno che mai, a lcun rip ensamen to. In pratica la: " ... caratteristica genera le delle s trategie di difesa 'in profondità' è qu e lla di una difesa 'ar retrata', a differenza deJla d ifesa 'avanzata' tipica deJJa strategia precedente. In e ntrambi i cas i, il ne mi co deve essere interce tt a to con s icu r ezza, ma mentre la difesa ·avanzata' prev e de l'interc e ttazion e de g li avversari oltre il co nfine, in modo c he a ll 'i nterno di q uesto possa conti nuare la vita paci fica d eg li abitanti, la difesa 'arretra ta ' prevede l 'i ntercettazio ne o lo nell'amb ito del terri torio impe rial e, affidando alle dife se l oca li zzate di fo11i città, e perfino di fattorie fortificate, il co mpit o di co nten e re i danni. Il preced e nte s is tema di difesa 'di sbarram en to' era stato chiaramen te s uperiore per i benefici che garantiva alla socie tà , ma era eccessivamente cos toso da m a nte ne re, in pre e nza d i nemici divenuti capaci di co ncentrare un e norme numero di s old a ti s u qu a ls ias i settor e dei confi ni. Ino l tre que to si~tema non prese ntava una re s is ten za e la s tica, poi c hè non esisteva no fo rtifi caz ioni dietro le difese della linea di

169
A ltili
a. ~corcio torri e mura
LE FORTIFICAZIO I ROMANI::
170 Altilia, dettaglio torre

co nfin e. Una difesa 'i n profondità', in vece, poteva so pravviv e re anch e a penetra z ioni gravi e prolun ga te se n za s ubire un traco llo tota le. E que sta res is tenza e lastica si agg iun geva a ll a flessibilità co mpl essiva d e ll a s trategia imperiale: in caso di p er icoli multipli prese nti co nt empo raneam en te su diversi se ttori , g li eserciti da ca mp o p otevano essere spos t at i d a un settore all'altro per affrontarli seriatim, poi c h è i danni inferti durante i loro spostamenti non sarebb e ro s tati irrepa rabili ... " 151 > Il c h e, se s trat egica ment e ap pari va tollerabile nelle g randi lin ee e n ei risultati complessivi, sce ndend o a lla vita quotidiana s i g nifi cava in c ur s ioni continue sem pre più de vasta nti e se mpre me no fr o nt eggiab ili dall 'ap p ara to milita re propri ame nte detto. Dalla c ittà alla s in gola fattoria ogni nucleo abitato avrebbe dovuto fare affidamento, p e r intervalli più o meno lun gh i. so lt anto s ulle p rop ri e capaci t à di resistenza. M a i come in quel co ntesto il ricor so alla fortificazione divenne esiziale. Era notori o anche a ll 'e poca, infatti, che:" una s tr ategia di difesa 'i n profondità ' co mportava ... cos ti per la soc ietà , pagati in prima perso na dagli abitanti, e non per mez zo di e saz io ni fiscali o d e l reclut a mento [ma attraverso le l perdite inflitte direttamente dalle incurs ioni n e mi c he. A breve termin e, questi cos ti socia l i non avevano ripercussioni dirette s ull'ese rcito , che co mbatte va co n i so ldati prece d e ntem e nte reclutati e a limentati co n il cibo preced e nte me nte raccolto. M a a lungo termine l'entità di que s ti costi ... avrebbe minato d ec isam e nte il m o ra le delle truppe auto c tone " 15 z, La s i tuazione, p er molti aspe tti può esse re p aragonat a a qu e ll a provocata dai bombardamenti s trateg ici de ll 'ultima guerra: n e ll ' immed iato non inta cc avan o la co mbatti v it à dell e truppe al fronte, ese nti d a p erd it e umane e material i , ma i n brev e, privand o le de i riforniment i e fia cc andon e i I mor a le con l'in ce rtez za de ll a so rte d e i propri ca ri , ne determinavano il co ll asso, acce ntuando s imm e tri ca mente l 'agg re ss i v ità nemi ca.

Anc h e di que s t ' u ltimo a s p e tto non mancano esp li c iti ri sco ntri nel III seco lo. Sotto Caracalla: " ... uno scia-

me innum e revo le di Svevi comparve s ull e ri ve del R e n o e in v ici nan za delle provin ce romane in cer ca di vettovag li e, di bottino, o d i g loria. Questo esercito raccog liti ccio di volon t ari divenne a poco a poco un a grande sta bil e na z ion e, c h e essendo composta di tant e di verse tribù , prese il n o m e di Alamanni, Al/men (tutt i u o mini ), per denotare in s ieme la dive rsa di sce nd enza ed il comune va lore. Qu es t ' ultimo fu pres t o provato d a i Romani in molt e ost ili in c urs io ni .. . lel p re mendo sem pre ai co nfini d ell'impero, acc re bb ero il generale di so rdine c he seg uì alla morte di D ecio . Essi infli sse ro g rav i ferite a ll e ricch e prov inc e della G a lli a e furono i primi a squarciare il velo c h e co pri va la d e b ole maestà d ell' Italia. Un numeroso eser c ito di Alamanni passò il Danubio, e p e ne trato per le Alpi R e ti c he nelle pianure d e ll a Lombardia, avanzò fino a R avenna, s piegando le vittoriose insegne dei barbari qua s i in v ista di R o m a ... In quel frangente, i se natori assunsero la difesa dello s t ato, mobilitarono i p retoriani , lasc iati di guarn i gio ne nella ca pitale, e n e com pl etaro n o g li effettivi arru olando i più robu s ti e v olenterosi pleb e i Gli Alamanni, s bigott iti dall ' improvv isa com parsa di un ese rc i to assai più num eroso del loro, i ritirarono in G erma nia car ic hi di bottin o " 15'> .

Ma altre sco rreri e di Goti, abbattutesi n eg li s t ess i a nn i e bbero ben più n efas te consegue n ze. P er chi unqu e fu a ll ora evidente la necess ità di difendersi, anche aut o nomam e nt e ed anche all ' int e rno d e lla Penisola, n on potendosi co ntare p er quella tipologia di minacce s u l co ntra s t o mil i tare. La g ra v ità d ella s ituaz ione d e t e rmin ò l ' avvento di un nu ovo tipo di fortifica z io ne , quella rurale di ini z iativa pri va ta , d est in a ta anch'essa ad un a futura a mpi a riproposizione I n parti co l are, la villa romana , fino a d a ll ora ca ratteri zza t a dalla pi a nta aperta ed articolata s ulla ca mpagna , non sopravv i sse a lun go d opo g li albori d e l I II seco l o. Il d estino co mun e alla maggior parte dell e stesse fu qu e llo dell 'a bband ono , e ciò non t a nto per g l i ecc e ss ivi ri sc hi c h e impli cava la p erma n enz a abita t iva tra le loro mura per le

_ I
NGEGNO E PAURA TRENTt, SECOLI DI FORT!t-'ICAZIONI [N ITALIA

accennate scorrerie barbare ma soprattutto per la tracotanza con cui le bande di banditi e di briganti, causate dal dissolversi del potere centrale, vessavano le contrade appena discoste dalle grandi città. A moltiplicarne gli organici provvedeva inoltre lo spietato fiscalismo dello Stato, causa ed effetto della travolgente crisi economica divampata in quel medesimo arco storico. Comunque non si trattò di una scomparsa radicale, permanendo la necessità del loro apporto agricolo, ma meramente tipologica. Riassestatasi , s ia pur approssimativamente, la società imperiale la caratteristica struttura rurale ricomparve, ma in veste assolutamente inedita in Occidente. La villa, infatti: " ... dopo il torbido turbinio del III sec., si ripresenterà sì ricca e sfavillante ma tutta compatta in se stessa, senza per questo riproporre schemi compositivi precedenti: l'elemento generatore è ora un grandioso cortile colonnato, intorno al quale ruotano i vari ambienti padronali: di rappresentanza , dei servizi, della parte produttiva, a cui si accede attraverso un ingres so monumentale, che si organizza senza nessun legame compositivo, come complesso autonomo; se ne possono considerare esempi eclatanti, in Italia la villa di Piazza Armerina, in Francia di Montmaurin.

Pur avendo in Italia tale esempio, l'origine di questo schema compositivo probabilmente va ricercato altrove; non si deve dimenticare che oramai l ' Italia e Roma hanno perso quel loro originario ruolo egemone ... la villa, concetto tipicamente romano in precedenza 'esportato', torna in Italia con nuove forme compositive, che derivano dalle modifiche a contatto di caratteristiche e tradizioni locali dei territori del nord-Europa

Prevale qui un andamento lineare dei corpi di fabbrica, legato in genere a strutture preesistenti inglobate, dando al complesso la forma di U stilizzata con l'aggiunta di avancorpi; tra questi a contatto con la facciata si sviluppa, evidentemente per ragioni climatiche, una loggia porticata, che funge da accesso all'edificio:

naturale è ben presto il co ngiungere i due avancorpi co n un muro e trasformare l'area antistante la loggia in un cortile, intorno al quale s i disporranno s uccessi vamente i nuovi vani annessi al complesso ... " <54> .

Abbiamo cosl un primo sin tomatico passagg io , che costringe la rielaborata villa alla forma di un quadrilatero chiuso con un cortile interno. Il concetto è di per sè evidente, venendosi a perdere il libero gravitare sul1 ' ambiente circostante, ma ottenendosi, per contro , una maggiore protezione. La mutazione tuttavia è ben lontana dall 'esse re conclusa. In pochi dece nni, forse ispirandosi ai caposaldi di confine di modernissima concezio ne impo stati su fortini quadrati con quattro torri ai vertici, detti quadriburghi, a loro volta di derivazion e da similari ellenistici, detti tetrapirgi, le cui dimensioni si attestano intorno alla cinquantina di metri per lato , anche al quadrilatero delle ville si addossarono quattro torrette angolari. Origi nariamente erano del1e co lombaie, ma in breve la loro connotazione strutturale si appesantì e si caratterizzò acquisendo spiccate connotazioni difen s ive, in particolare fuoriuscendo in aggetto dal pe rimetro della villa, in modo cioè da poterne fiancheggiare le mura. In definitiva s iamo di fronte, a questo punto, ad una singolare fortificazione civile con precise peculiarità architettoniche, pass ive ed attive.

Fra le prime la pianta quadrilatera chiusa, tipica di un piccolo forte. La scelta ri s ulta scontata in quanto costituiva quella più semplice da costruire e da proteggere, compatibilmente con la destinazione fruitiva implicante la massima s uperficie interna utilizzabile<55> , A differenza però di qualsiasi similare costruzione militare, in qual siasi contesto s torico, l'accesso rimane sempre coincidente con la quota di campagna ed abbastanza largo da riu sc ire carraio, privo di cesure e di compartimentazioni di s icurez za, sia pur elementari. Non viene, ad esempio, adottata per serramento nemmeno la tradizionale saracinesca, s icuramente più rapida nelle manovre di emergenza, ma altrettanto indub -

LE FORTIFICAZIONI ROMA NE
IN GEGNO E PA URA TRENTA S ECOLI DI F ORTIFI CAZ IONI IN ITAI IA
171 Villa ro man a de l m seco lo d. C. 172 Tra s formazioni della villa romana

bi ame n te di gran lunga più complessa e delicata di un normale portone a due battenti. Ness u n accorgime nt o di so prelevaz io ne della q uota del cortile, nè di maggiorazione delle fo nd azioni, come pure nessun espedi e nte per accrescere indiretta m e nte l'inviolabilità o l'interdizione attiva del portone, fosse pure la disposiz ione ad avvicinamen to 'sceo'. Questa se mplificaz ione rapp rese nta senza dubbio la principale d eficienza struttural e dal punto di vista ostativo, e sse ndo ri sa puta la scarsissima re s istenza delle opere in legno ai t e ntativi di sfondame n to o di incendio. E rappresenta, perciò, la conferma che la fina l ità perseguita supponeva basse pressioni d'investimento e ridottiss im e prestazio ni tempora li.

Analogo discorso per le luci praticate lungo i muri perimetrali, che risultano soltanto rialzate e d i s uperficie ridotta rispetto a lle normali finestre, munite ab itualmen te di pesanti ca nce ll ate. La loro definitiva eliminazione, che ridusse il portone ad unico vano sull 'esterno, si att uò in un secondo momento , potendosi facilmente aggirare tale limi tazione con apert ure su l corti le. Fu, in og ni caso, una ulteriore conferma del ra pido scad ere della residua sic urezza pubblica. Lo spesso re dei muri pe1ìmetrali delle ville fo rtifi cate n on tradi sce alcuna se ns ibile maggiorazione nei co nfro nti di quelli portanti inte rni, e ntrambi perciò dimen sionati in funzione dei caric hi sta tici e no n della dife sa p ass iva: non eccedo no, in ge nerale, il metro.

Circa le seconde co nno tazioni difensive il maggior ele me nto qualificante si coglie nelle coside tte torri , s pesso fungenti ancora d a colombaie , c on indubbi e reminiscenze militari ma con vistose se mplifica zioni strutturali, co nseguenti a l loro adeguamen to a11a protezione delle cort in e. In partico l are 1'anali si funzionale delle s te sse evidenzia una eccessiva approssimazione d ' impianto: i loro interassi eccedono abitualmente almeno di un terzo qu e lli canonici o ttimali per il fiancheggiamento, mentre 1'aggetto, inizialmente in esi ste nte, s i conferma sem pre mod es to . Praticame nte

impos s ibile cop rire con il tiro incrocia to l ' intero sv ilu ppo perimetrale d e lla villa, come pure ma nte nere l'appoggio reciproco fra le torri.

Nonostante ta li deficienze ed approssimazio ni la vi lla fortificata sopravvisse alcuni secoli ancora, dimost rando la s ua efficacia ed, al contempo , la concret ezza della minaccia. Con il dissolvers i d efi niti vo del1 ' impero , ovviame nte, non fu più in grado di garantire la s ua funzione e scom parve, cooptata co ncettualme nte prima, e d architettonicamente, poi i n epoca sveva, d ai caratteristic i castelli fede ri cia ni

A R o ma , nel frattempo , co me nel res to dell'Italia , lo scampato pericolo della ca l ata a l ema nn a non cost ituì moti vo di orgoglio nè lo si reputò un successo ripetibile , ma se mplicemente fortuito. La necessi t à di procedere alla rifortificaz ione della capita le dell'impero , come già ormai era avvenuto per tante città si tuate più a nord, s i rep utò non più procrastinabile, e a doversene far carico fu proprio un imperatore di estrazione militare , L. Domi zio Aureliano. Na to, quasi ce rtamente a Sirmio una sess antina di a nn i prima, da un 'umil e famiglia con t adina, dopo aver sca l a to tutti i g radi gerarchici del!' esercito, intorno alla metà del 27 0 ve nn e acclamato imperatore dai so ld ati di st a n za ne lla s tessa c ittadina . A lle spalle, ol tre alla lunga carriera mili tare , una proverbiale irruenza, c he lo rendeva , a d onta dell 'età, più pronto all ' azione c he alla meditazione, se n za però scadere nella ottusa temerarietà. É d esc ritto, infatti, d i ril evante forza fisica, ma anche di no tevol e inte lligenza, sempre perfettamente co n scio del s uo ruolo tanto ne l dare o rd ini quanto ne ll 'eseg uirli : in definiti va un ri gi do asse rtore d e lle virtù militari e d ella di scipli na. Negli an ni precedenti:" aveva g ià bloccato l 'avanzata di un 'o rda di popolazioni barbare mi g ranti dalle foci del Dniester ver so occidente: 320 mila u o mini , Goti , Ernli e Sciti s i e ra no scontrati io Mace don ia co n lui c he a ll 'e poca era a ca po d e lla cavalleria di Claudio il Gotico e d aveva inseguito poi i fuggitivi nelle pianure dell a Tracia e del basso Danubio . .. " (56 , A seguito di tali

LE FORT IFICAZ

s traordin a ri e vittorie fu in sig nito del co n so lato dall'imperatore Valeriano , c he: " ... nel po mpo so ling uaggio del te mpo l o c hiamav a il libera tore d e l! ' Jllirico , il restauratore de lla GaJJia e il rival e degli Sc ipio ni . Per r acco mand azione di Valeriano , un se natore d e l più alto merito e rango , Ulpio Crinito, consang uin eo di Traian o, adottò il contadino della Pann o nia , gli diede in m oglie l a figlia, e co l s uo cos picuo pa trimonio a ll eviò l 'o norata povert à c he Aureliano aveva mant e nuta in vi o l a ta. " ' 571 •

Con un simi le passa to si s pi ega la s ua avvers ione per il g ioco, pe r il bere e pe rsino per la divinazion e non tol1erando ne i so ldati la minima rilassate zza m o ra le o materi a le, nè alcuna in g iu s tificata violenza o cupidi g ia. Al ri g uardo affermò c he: " ... il so ld o c he ricevono dall o sta to ... è uffi ciente al loro sos te ntame nt o; l e ricc hezz e de bbono ess ere fatte col bottino pres o ai ne mic i e no n con le lacrim e dei provinciali. " 1581 Ben presto la s ua sev erità, la s ua imparzialità, e sopra ttutto le s ue terribili punizioni, valsero a ripri s tinare ne lle indi sciplinate legioni la tradi z io na le obbedi e nza e co mbattività. Nessun dubbio , quindi , s ulla ca pacit à di Aureli a no a sa per fr o ntegg iare le d e fi c ienze ri s olve nd o le dirett a me nt e, se nza alcuna remora per la prevedibile impop olarità.

Un esempio de l ge ne re può cog liers i ne lla s ua decis ione di evac u a re dall a Daci a tutte l e forze romane, abbandonando la grande provin cia ai Goti e d ai Vandali. Si tra tt ò di un a d ec is ion e es tre m a mente dolorosa ma ormai improcra s tinabil e e d: " ... il s uo carattere po s itivo lo co nvin se dei reali vantaggi e g li fece di s prezzare l 'appare nte di so no re di ridurre c o sì i co nfini dell ' impero. I s udditi de lla Dac ia, tras fe riti da quelle terre lontane c he non sa pevano nè coltivare nè difendere , agg iun se ro for za e popo l azione alla p arte meridionale d e l Danubio ... " <59>

Qu a nto grave fosse ormai l a s ituazion e lo dim os trò , di lì a breve, un a ennes ima sco rre ria degli Alemanni c he s baragliato un esercito romano presso Pi acenza

marciò rapidamente alla volta di Roma . Soltanto la prontezza d i Aure lian o valse a sal vare l a c ittà: il terrore, però, avev a attinto al s uo intern o vertici tali da is tiga re a ce rimoni e religiose da seco li obsolete, previa co ns ultaz io ne d ei libri s ibillini . Di sso ltasi la minaccia, se nza ripri stinars i la sicurezza, fu c hiaro c he l'unica m a niera per evitare il tra gico ripeter si di s imili eventi co n s iste va nel1a cos truzion e di una mod e rn a ce rc hi a. La dife sa di Roma dov eva poter contare non s ulle process ioni e s ui sac rifi ci m a s u pod e rose fort i ficazioni , e s olo un imperatore volitivo e di s incantato come Aureliano a ppariv a in grado di s up era re l e co mpren s ibi 1i res is te nze ad accettare l ' umiliante realtà.

A differenza de lla capitale, nell e città a rido sso d e ll e fr o nti ere, ness un o s i s tupi va più per la riqualificazione delle fortificazioni perim etra li e pe r il moltipli cars i de lle artigl ierie ne urobali s tiche s ui loro s pa lti e ne lle loro casama tte. L' avvicendarsi di sc orrerie e di incurs io ni , se nza qua si so luzione di continuità e, purtropp o, se nza contrasto d a parte dell'esercito, aveva finito col rendere le murazi o ni e l e relative m acchin e da g ue rra l e unich e estreme garanti della sopravvivenza. Significativamente, infatti :" ... per una dell e tante co inc idenze ironiche dell a s toria , l 'e poca dell e inva s ion i barbariche porta c ontemporaneame nte 1' inten s ifi cars i d e l l ' u so delle m acc hin e da p a rte dei Romani ... Evidentemente le macchine non fur o no se no n uno fra i moltis s imi elem e nti ch e pe rmisero a Rom a di difendersi p e r tanto tempo ... L a macc hin a da getto, che g li e redi d e ll 'a ntica invin c ibile Urbe oppo ng ono a ll e valanghe umane d e l Nord , dell'E s t e dell ' Ovest, no n se rvono so lamente in quanto sos titui sc ono, in part e, la sc arsità d i co mb atten ti e ne neutral izzano la minore co mbattività, ma anche p e rc hè con tribui sco no a ten e r de s ta ne i barbari quella o sc ura reve renza , quel mi sterio so sac ro timore " l601

In breve l 'es i ge nza di c ingere la Città con una mas todonti ca fo rtifi cazione, adere nte alle più avanzate co ncezioni in mate ria e rid o ndante di ma cchine, trovò

_ - - -------~ l ~NG=E=G~N'"'"O~E~PA U ___ R ____ A ~T ~R=EN_T~A~S ECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA

indiscussa accettazione, sebbene in una atmosfera di angosciata apprensione. Magistralmente rievoca quello stato d'animo il Gibbon precisando che: " ... fu un grande ma triste lavoro, giacchè le fortificazioni della capitale svelavano la decadenza della monarchia... " <61 > . A concretizzare ulteriormente i timori fu la frenetica velocità con cui la costruzione venne portata avanti, meno di otto anni per uno sviluppo complessivo di circa 19 km, inequivocabile conseguenza del deteriorarsi della tenuta delle frontiere. Dal punto di vista architettonico si trattò, senza dubbio, dell'ultima grande costruzione imperiale, rivelandosi militarmente efficacissima poichè elargì a Roma un altro insperato secolo di inviolabilità.

intorno al Hl secolo sebbene Roma avesse raggiunto dimensioni straordinarie, ed uniche per le metropoli dell'antichità, la sua ulteriore espansione non sembrava affatto prossima all'esaurimento. La necessità di procedere a ll 'edificazione di una cinta, in quanto tale limitata e limitante, andava perciò a condizionare qualsiasi futuro sviluppo della città . In pratica ne decretava l'arresto, stravo lgendone per di più i tanti rapporti osmotici con la circostante campagna, nefasto effetto co llaterale che ne rese particolarmente ardua la scelta del tracciato. É s intomatico che in fase di definizione preliminare dell'andamento delle mura, per aggirare le fin troppo prevedibili opposizioni private, si preferì condurne il circuito il più possibile all'interno dei possedimenti imperiali, ovvero lungo la fascia verde dei famosi horti, sfruttando qualsiasi costruzione preesistente. Tale vincolo influen zò per più di un terzo il perimetro, obbligando i progettisti ad adottare ulteriori sofis ticazioni , per non comprometterne la validità difensiva.

Altre complicazioni ancora nascevano dalla natura

geologica dei siti attraversati dalla loro morfologia, così multiforme in una città impiantata tra co lline tufacee di variabiliss ima pendenza ed altezza. Per ottimizzare la prestazione interdittiva della murazione la si fece coincidere con il ciglio tattico delle stesse, espediente, però, che in diverse tratte si dimo strò impraticabile. E se lungo queste ultime s'impose l'incremento dell'altezza delle cortine, lungo le restanti, invece, s'impose l'esigenza di gradoname il dipanarsi, non essendo in alcun altro modo compensabile la forte escursione della quota d'impianto. La soluzione, sebbene ortodossa, segmentando il comminamento di ronda e gli spalti con rampe e gradini, avrebbe finito per impacciare le manovre dei difen sori, e so prattutto gli spostamenti delle loro macchine. Si risolse allora, di ricondurre agli innesti con le torri i dislivelli so mmitali di ogni singola tratta di cortina, mantenendone orizzontale la so mmità. Analogamente si portarono anche i cambiamenti di direzione della muraglia a coincidere con le torri. Sotto il profilo balistico ne conseguì che mentre la stragrande maggioranza delle stesse, per la sua ubicazione tangenziale rispetto alle cortine, difendeva un settore di 180° , per quelle in corrispondenza dei vertici si registra uno scarto fra i 90° ed i 270° .

Un più complesso problema scaturiva dal corso del Tevere, potenziale via di penetrazione nemica: alla fine si stabilì di assegnargli un preciso ruolo difensivo. Lo si equiparò, pertanto, ad un gigantesco fossato naturale lambente la murazione appositamente eretta lungo la sua riva destra, ad eccezione della sezione prospiciente il Gianicolo. Quest'ultimo colle, unico del Trastevere, lo si inglobò in una distinta cerchia, a forma di enorme saliente in corrispondenza della cui cuspide si ubicò Porta Aurelia. Il raccordo fra le due parti venne assicurato mediante ponti fortificati. Pertanto si può affermare che : " ... il tracciato non viene condizionato dalla presenza del Tevere: risulta infatti collocato a cavallo del fiume , ma per buona parte è

LE FORTIFI
CAZIONI ROM ANE
Le mura aureliane

s ituato s ul la s ua ri va si ni s tra , c h e s ia a n ord che a s ud veniva pr o te tta dall e mura s tesse.''1621•

Quanto all ' area transteverina inclu sa n e l p e rim e tro difen sivo, o nde preserv arn e la viabilit à a se ttentri o ne eb be: " ... tre porte: l a Septimi a na a nord , s u di un a via parallela al Teve r e; la A ure lia s ull a via o monim a; la Portuen sis su lla via di Porto . D e lla p orta Se ttirnini a n a ... s i ignora il nome antico [e] fu sos tituit a afundamentis daJ papa Ale ss andro VI, ma l 'as p e tto a ttual e ri sa le aJ pontifi ca to di P io VI ( 1775-1799) ...

La porta Aurelia sco mparv e nel 1644 , demolita da Urbano VIII c h e ri cos truì l e mura d e l Gianicolo. M a a n c he la p orta di Urbano V lll fu di strutt a dai Fran cesi n e ll'atta cco del Vascello ( 1849) e fu sos tituita n e l 1854 s otto il pontificato di Pio lX con la presente dei Vespignan i .

La porta Portu e ns is di Aureliano si apriva a circa 90 metri dall a s ponda d es tra d e l fiume e a metri 470 a s ud-ove st dell'attuale .. . Fu probab ilm ente L eo n e IV nell '846 c h e c hiu se uno d ei du e archi e l e fine s tre, nello stesso momento nel qual e cos truiv a poco di stante da qui , a va ll e le due torri fronteggiantisi s ull e due oppos te spo nde d el fiume. munite di un o s barrame nto tra sve rsal e fino aJ p e lo di m ag r a, a difesa de l transito s ul fiume s tess o .. . " 1" 1> .

Quant o ai monum e nti c h e, p er l a lo ro cospicua mole, s i reputaro n o poten z ialm e nte trasformabili da parte di un eve ntual e aggressore in altretlanti capos a ldi , s e ne attuò l'ing lo b amento n e l c irc uito piuttosto c h e l ' abbandono all 'es terno. L 'opzio ne non trova analogie in tutte le altre città dell'imp e ro per l'on e re imm e nso che impli cav a. Gli acq u edotti, di importan za s trateg ic a b as il are, furono a mmorsa ti , fin dove po ss ibil e, nella ce rchia, tentando di protegg e rn e i punti più vulnerabili costi tuiti dagli inn es ti urbani . Da quanto s inte ti c am e nte accenna t o tras p are a s uffic ienza la sequela nutritissima di difficoltà di di s para ta natura c h e dovettero essere affrontate e risolte dai progettis ti impe ri al i , prima di p o t er co nc r e tam e nte

avviare i cantieri. L a deci s ion e d i A urelian o di ve nn e operativa n e l 27 1 per co nclud ersi, a lm e n o nella sua fase di prim a i s tanza, nel 279. In co nformità con l ' accen n a to cr iter io genera le le mura s i co ndu sse ro , dovunque p oss ibile , s ull a dorsa le de ll e co llin e, in serendo le porte nelle loro d epress ion i , in co in c idenza con i prees i s tent i inn esti v iari . P er e liminare qualsiasi r esi dua o b iezione s i pro c lamò uffi c ialmente c h e : " il tr acc i ato sottopos t o da A ure lian o agli architetti mili tari. o elabora t o dallo stesso imperatore ... [era] d e ttato da rag ioni di carattere s traleg ico.

Questa affermazione, a n c he se ovv i a, n o n trova un ri sco ntro puntualissimo n ell'effett i vo percor o delle mura. Il tracciato sem br a piutto s to seguire di volta in volta motiv azio ni pratiche, di oppo r tunità, di protezione de ll e propri e tà imp eriali o di edifici pubbli ci " <b-1•

Al di là de ll e difficoltà im po s te dalla d efiniz ion e ottima le d el tracc iato, no n meno esas p e ranti dovettero dimo s trarsi , nel poco tempo di s ponibile, quelle r elative alla produ z ione e a ll' approvv igioname nto d ell'i mm e n sa quantità di mater ia li da cos tru zi on e, dai mattoni a ll a calce per ci tare i princi p al i , ingoiati da un' opera t a nt o grand iosa, per n o n p ar lare della r e l ativa man odopera. Eppure tutti g li os tacoli vennero s is t e maticam e nte s up era ti e, n e l br eve volgere d i o tto a nni , un c irc uito dall a planimetria vagam e nte s te ll a t a, co n se tte sa li e nti , fu e re tt o.

P e r molti s tudio s i quella s in go la re configuraz ion e planimetrica d eve essere ricondotta ad un fa tto re ma gico-ritua le, ad o nta de ll 'ava n zante cri s tian esi mo . Nella s tell a a se tte punte ritorna il num e ro parti co larmente caro alla c ittà, non a caso dei se tte co lli , d e i se tte re, ecc. D e l re s to la prese n za di una co mpon e nte scaramanti ca s i r ece pi sce a n c he n elle molte rapprese ntazioni prop iz iato ri e c he ancora posso n o osservars i sulle st rutture delle porte, per lo più in se mbian ze di escresce n ze falli c h e, diffi c ilm e n te att ri buib ili a s porti p e r agevo lare la presa dei co nc i.

La cer c hia a ure lian a co n s isteva in una murazio ne in

- - -
~lNGEGNO E PAURA TR ENTA SECOLI DI F ORTIFICAZIONI IN ITALIA

ROMANE

opera laterizia di circa 4 m di spessore con una altezza lo, molto semplice, i laterizi sono di fabbricazione media di 8, insistente su di una solid issima fondazione. contemporanea (alti cm 3.5) di colore rosso chiaro B en 383 torri ne scandivano lo sviluppo, mentre oltre 7.000 merli ne guarnivan o i camminamenti di ronda e gli spalti. Le porte erano 14, mentre le posterle appena cinque. I posti di guardia 116 ed almeno 2.000 le feritoie di notevole dimensione per le artiglierie, senza co ntare quelle minori innumerevoli. Più in dettaglio le cortine: " si presentano con caratteristic h e architettoniche di estrema semplic it à. Si tratta di un muro a parete verticale di limitata altezza: in media le strutture originali erano alte da 7 50 a 8 metri e raggiungevano so l o in alcuni casi i 12 metri. La fondazione è formata da due s trut ture murarie parallele, addossate e interconnesse l'una all'altra, una interna e l'altra es terna.

Il paramento di Aureliano è a cortina di mattoni: la tecnica è quella dei grandi ed ific i pubblici del III seco-

tagliati a triangolo, irregolari o in forma trapezoidale, oppure di recupero da scarichi, da vecchi depositi e , in minima parte, da edifici demoliti. La scelta era dovuta ai ristretti tempi dell'approvvigionamento del materiale: tuttavia la cortina è regolare, con alternanza di strati di mattoni e di malta biancastra e terrosa (media cm. 22 .59, con piani irregolari so l o dove la differente altezza d e i l aterizi lo richiedeva (modulo: cm. 28-31 )."<65 )

Che la cos truzi one fosse affetta da una stringente necessità e da una urgenza st raordinaria lo dimostra pure la sua non ottin1ale definizione verticale, fortemente stride nte con la grandiosità planimetrica. Logico, quindi, che, superata la contingenza con più ponderatezza, e meno ristrettezze, alle mura si apportarono le indispensabili migliorie, adottando persino una diversa tecnica edificatoria. É facilmente indi-

LE FORTIFICAZIONI
PIANTA DI NEI SECOL I 173
planimetria
Roma, mura aurelia ne
_______;l:.:..N:.:,G,.,E,.:;G:.:..N"'O'-E"'-..:.p-"'A=U RA TR ENTA SECOLI DI FORTIRCAZIONI IN ITALIA
174 Roma, sco rcio mura aureliane 175 Roma, sco rcio mure aureliane
LE fORTIFlCAZlONI ROMAN E
176 Roma, dettag l io torre
_ I NGEGNO E
PAURA TRENTA SECOLI DI fORTIFICAZJONI IN ITALIA
177 Ro ma, po rta S. Se bas tian o 178 R oma, porta S. Sebastiano

viduabile, infatti, che: ·'... nella fase massenziana, circa quarant'anni dopo, compare... il caratteristico paramento a rincorsi di mattoni e di tufelli alterna ti per l e parti a muratura continu a, mentre ne ll e parti s trutturali, arcuazioni, pilastti , sottarchi, finestre e porte, è a cortina lateriz ia. Il muro d'epoca aureliana ha un camminamento quasi sempre scoperto con il parapetto alto circa un metro e merli ad in terva lli regolari; le merlature sono di due tipi, uno più rado con merli alti cm. 60, larghi cm. 45 e distanti 3 metti l'uno dall'altro da centro a centro; l 'altro tip o di parapetto ha merli più gra nd i (cm. 90x75) d i s tanti da un minjmo di cm . 75 ad un massimo di metr i 1.50 uno dall 'al tro ; ques t ' ultimi a pp artengono a ll a fase massenziana e so no in muratura li s tata.

Il cam min amento è in alcuni punti coperto, probabilmente dove l 'altezza delle mura doveva essere maggiore per ragioni difensive. ln questo caso la st ruttura

raggiunge un'altezza di metri 10.30 e presenta una galleria a vo l ta con gra ndi arcate verso l'interno della città e st rette feri toi e verso l'esterno (alte cm. 60 e larghe 10-12 cm disposte a ll a distanza media di metri 2.96, u g uali a dieci piedi romani e coperte in genere da un blocchetto di marmo) ; al di sopra si trova il cammino scoperto di ronda; in altri casi il muro fascia terrapieni , come nella zona del colle del P incio o altre strut ture già di per sé di fensive ...

Il cam mino di ronda, come pure le torri , sono seg nati , all'esterno, da una sotti l e cornice di mattoni a marcapiano ... ''<66 >

Il dettaglio d e lla progressiva cope rtu ra della galleri a ci conferma l'adozione di soluzioni difensive che g ià da se tte secoli a pp arteneva no al reporto1io canonico italiota, rep utate ormai anche dai Romani indispensabili per prote ggere i difensori, distribuiti lungo gli s p al ti , dai tiri fortemente a rc uati. Sebbene limitatiss i-

L E FORT IF ICAZ IO N I RO MANE
179 Roma. veduta aerea porta S. Sebastiano
__ lNGEG O E
PAURA TRE:-.ìA SECOLI DI f ORTIACAZI0:'\1 [N ITAI.IA
180 R oma. porta S. Gi ovanni 18 1 Ronw dett ag l io gal le ri a

ma nell'edificazione originaria, tale copertura, nel mezzo secolo successivo, finì estesa all'intero circuilo , tranne alcune modeste sezioni, per la loro evidente invulnerabilità. La risultante dell'intervento rappresenla però un sensib il e miglioramento della tradizionale copertura greca, poichè essendo in muratura voltata, consentiva un doppio livello di schieramento , uno più basso, ad uso esclusivo degli arcieri e delle artiglierie leggere, ed uno più alto scoperto e merlato , per la difesa eminentemente piombante.

E che nella definizione progettuale delle mura si tenne il debito conto delle artiglierie, soprattutto in funzione offensiva, è evidentissimo nelle sue numerosissime torri, in notevole aggetto dal filo delle cortine . In dettaglio si dispose: "... ogni trenta metri (I 00 piedi=metri 29.60) una toITe di forma quadrata con quattro finestre (due sulla faccia verso l'interno della città e due ai lati nella fase aureliana; tre al piano superiore, dopo la sopraelevazio ne della fase di Onorio) sporge dalla linea delle mura: le finestre serv ivano per posizionare macchine da guena munite di sistema di lancio di frecce (catapu lte) e camera superiore per macchine da guerra con il sistema di lancio a getto di pietre (onagri ) . Le torri che sporgono di 12 piedi romani (metri 3.55) dalla struttura lineare delle mura, risultano in genere 5 met1i più alte del camminamento " <671 •

Quest'ultimo accorgimento consentiva di effettuare dalle stesse, oltre al normale tiro di fiancheggiamento lungo l'e stradosso delle cortine, anche quello radente su lla loro so mmità, efficacissimo in caso di tentativi di scavalcamento nemico mediante approccio con torri ambulatorie. Originariamente il disimpegno verticale delle torri era gara ntito da una uni ca scala interna in posizione centrale. Successivamente , dopo la sop relevazione, ne fu aggiunta una seconda per accedere ai nuovi livelli, ubicandola in posizione angolare. In sintesi le: " toITi sono a due piani; il superiore, a terrazzo scope1to con parapetto a merlature nella fase aureliana, e neJla fase massenziana viene soprae levato, ma

LE
FORTIFICA Z IONI ROMA NE
182 Roma deltaglio spa lti

183 Roma, sc orcio mura aureliane

quasi nulla rimane di quest'intervento. All ' epoca di Onorio le torri vengono sopraelevate di un piano e coperte con volte cono idi che poggianti agli angoli su quattro cuffie in calcestruzzo, in parti gravitanti su lle pareti e su tre mesole lapidee e tra sformano nella parte superiore la pianta quadrata in ottagona: su quest'ultima poggia la cupola. Ques ta è compos ta di otto falde piane, triangolari , riunite al vertice in alto; l a volta veniva gettata su un'armatura di tavole, di cui rimangono impresse vistose impronte.

Il tetto de ll e toITi è a quattro fa ld e , al di so tto si trova un rivestimento in cocciopesto impermeabilizzante ; il tutto poggia su piccole mensole di marmo

con copertura di tegole ... "168 > .

Sempre alle torri vennero riservati ulteriori adeguamenti nel periodo s uccessivo. Infatti le: " torri di epoca onoriana hanno due camere , una sovrappos ta ali' altra; al piano superiore, destinato alle artiglierie , si accedeva con una scala interna appoggiata alla parete di destra; la camera inferiore era occupata dagli arci e ri.

L a pianta superiore è quadrata con dieci aperture arcuate sulle pareti (alte tre piedi romani: circa 90 cm. ) , di cui otto sono finestre, tre delle quali danno s ul nemi -

co e due sono i passaggi di comunicazione con il can1minamento: le feritoie verso l' e sterno si presentano con parapetti interni concavi per consentire l'appo ggio

INGEGNO E PAURA TRENTA S ECOLI DI F ORTrFICAZION I IN ITALIA

delle balliste."(69> Poichè l'accesso diretto dalle torri al camminamento di ronda costituiva una grave compromissione della sicurezza complessiva, è estremamente probabile che i suddetti vani fo ssero dotati di robustissime chiusure manovrabili soltanto dall'interno.

Una particolarissima attenzione, tipica peraltro dell'architettura militare romana, venne riservata alle porte, edificandole, almeno le principali, con evidentissime finalità monumentali<101 É credibile tuttavia, come riscontrato per quelle di Trastevere, che gli abbellimenti ornamentali e gli ampliamenti dimensionali siano di epoca posteriore non conciliandosi tanta ricercatezza con l'urgenza dei lavori imposta da Aureliano. Nella versione iniziale, pertanto, dovevano essere tutte ad un unico fornice, connotazione, peraltro , conservata dalla maggioranza. La concezione funzionale adottata era queJla classica a doppio ordine di chiusura, con corte interna di sicurezza. Per ovvi motivi tattici si cercò di far coincidere le porte minori, prive di una adeguata difesa autonoma con il centro della cortina compresa fra due torri, in modo che le stesse potessero fornirle il doppio fiancheggiamento da non più di l O m di distanza, senza alcun onere aggiuntivo.

questo spec ifi co caso non sottintende un mancato sv iluppo cu ltural e, poichè i Mon goli avevano all'epoca pienamente co nosciuto l'agricoltura ed i suoi apporti anche se ne avevano abbandonato la pratica a favore dell'allevamento del bestiame, ovviamente per loro più redditizio . Il perchè di tale anomala opzione deve ricondursi al contestuale svilupparsi di una straordinaria cavalleria, capace di integrare i magri proventi lavorativi con i ricchi bottini delle scorrerie perpetrate ai danni delle popolazioni limitrofe Tra le vittime per antonomasia i Cinesi che, per stornare l ' insostenibile vessazione eressero la fortificazione più imponente mai realizzata s ulla terra , in ogni caso l'unica visibile ad occhio nudo anche da11a Luna mi _

La .fine del mondo antico

Un insieme di circostanze improvvise, originatesi dalla imprevedibile quanto travolgente avanzata di popoli nomadi provenienti dalla Mongoliami, determinò, agli inizi del V secolo, a ridosso delle frontiere orienta li dell'Impero romano, una destabilizzazione a catena. La pressione, già nei secoli precedenti in continua levitazione, sotto l'impatto di quella ulteriore sollecitazione raggiunse il parossismo , travolgendo ogni ostacolo. Quanto temibile fosse l'emergenza può arguirsi dall'essere la razzia l ' unica risorsa di quei terribili aggressori. Da un punto di vista st rettamente etnico, infatti, va rilevato che la definizione di 'nomade' in

La dirigenza imperiale romana recepì rapidamente la po1tata della inedita minaccia , sin dal suo primo insorgere, tentando , p er quanto possibile, di contenerla. A testimoniarlo permangono i ruderi delle fortificazioni erette dopo la metà del III seco lo , e soprattu tto dopo l'avvento del IV, lungo lo ste rminato limes renano e danubiano. In esse è perfettamente recepibile la mutata concezione informatrice, prodromica della tragica età s ucces s iva . La motivazione, infatti , di tale: " .. . trasformazione consisteva naturalmente nel fatto che le forze concentrate nel principato potevano affrontare il nemico sferrando l'offensiva , mentre le piccole guarnigioni di frontiera del tardo impero erano spesso obbligate a resistere sul posto , in attesa dell 'arrivo dei rinforzi inviati a livello provinciale, regionale o anche imperiale... Lungo il basso corso del Reno , dove il terreno è principalmente pianeggiante, i forti venivano costruiti sulle poche colline disponibili (sebbene questa posizione fosse svanlaggiosa per altri motivi) ...

Questa preoccupazione di trovare un terreno facilmente difendibile risulta ancor più manifesta nella collocazione dei forti stradali e delle fortificazioni relative al sistema di sorveglianza come si ritrovano nel settore di confine della Siria

Una seconda differenza evidente riguarda la pianta

LE FORTrFJCAZIONI
ROMA NE

d e ll e tarde fortificazioni romane. L a forma rettangolare di vecc hio tipo, con fosso difensivo circolare, continuava naturalmente ad esistere, poichè in molti casi era no rimaste in u so le vecc hie fortificazioni, tuttavia si fece se mpr e più di ff uso l'uso di una pianta quadrata ... Dell e cinte murari e di for ma irreg olare, che sarebbero di ven ute caratteristiche d elle strutture medi eva li , cominciarono a d a pp a rire nei luoghi in cui le mura seg ui va no le iITeg o larità del terreno , scelto di so lito nei punti scosces i e più facilmente difendibili .. . " <73> _

Anche sotto il profilo s truttur a le qu e lle fortificazioni non erano più sem pli ci difese antibrigantesche e, me no che mai , vis to si ornamenti muni c ip ali, ma tetre costruzioni militari, eloquente mate riali zzazio ne del teITor e montante. Lo spessore de lle loro mura pas sò, perciò, dai tradizionali m 1,5-2 a più di 3, con un ricco repertorio di opere avanzate di ra gg uarde vo le ampiezza, probabile indi zio del possesso da parte barbara di macchine ossidionali, oltre che estrema ostentazione della supremazia balistica imp e riale , ultima ri sorsa ostativa delle pavide guarnigioni.

Nel IV seco lo , come in pre ce den za accennato, infatti : " .. . le legioni non di s ponevano più del complemento organico di artiglieria e, a parte alcuni corpi separati di artiglieria legionaria se mbra che le macchine di artiglieria sia no s tate usa te in gran numero solo per la difesa di posizioni fi sse (tormenta muralia). Poichè ques te armi, piazzate s u torr i e bastioni , non potevano essere s pos tate in modo da ottenere una forte angolazio ne , non era poss ibile dirigere il tiro contro g li assa litori che s i trovassero v icino alla base del muro.

L'ampia falsabraca aveva dunque lo sc opo di tenere g li avversari in un'area che era possibile colpire con il lancio di proiettili . " (741

Un'altra emblematica mutazione dei canoni dell 'architettura militare imperiale riguardante le cerchie urbiche, anch'essa precoITitrice del medioevo , concerne la pos izione al loro interno delle abitazioni. Fino a quell 'e poca la: " .. . pratica caratteristica dei

romani (che continuò a quanto pare, fino al IV seco lo inoltrato ) co nsisteva nel separare, mediante un'ampia strada (v ia sagularis), le zone di a bitazio ni dall e mura di cinta .. . Ma dalla metà del IV seco lo in poi, s i cominc iarono a costruire delle baracc he appoggiate alla faccia interna d e lle mura, per offrire ad ambedue una maggior sic urezza. In questo modo le abitazioni ri s ultavano meno illuminate e meno confortevoli, ma allo stesso tempo era questo un mezzo economico per aumentare lo spess ore dell e mura ... " <75 > .

Dal che s i deduce, implicitamente, un radical e mutamento d e llo st ile di vita, venendos i via via a s fumare le identità precipue dei militari e dei civili, in particolare dei contadini, a causa de lla condivisione di una comune pre caria cond iz ion e es isten ziale.

La durezza del tempo portò da un lato, e num erosi so no i ri sco ntri in Europa centrale, ad una progressiva militariz zaz ione della classe rurale, co n il conseguente incremento, s ul piano globale, d e ll e potenzialità difensive dell'inte ro Stato. Ma , dall'altro , causò un fenomeno concomitante, anch e se di seg no inver so , c he ne bilanciò gli esiti: la ruralizzazione delle truppe localmente s tan ziate. In linea di larga ma ss ima, le legioni di s locate lungo i confini si dedicarono a coltivare: " in proprio la terra ; quella c he era venuta in possesso dello s tato per diritto di conquista e di cui poteva, teoricamente , disporre l ' imperatore Più s p esso era lasciata ai soldati, costituendo il territorium legionis, di cui, a quanto se mbra , ogni campo era pr ovvisto, costituendo essa per così dire , una dotazione della legione in quanto co rp o; al limite essa avrebbe potuto coincidere con la zona della c ui difesa era incaricata la legione ... [c he] s i circondava così di insediamenti in parte commerciali, in parte agricoli ... ed appu nto ne l III sec olo si s are bbe precis ata la svolta del so ldato tardoromano, che è più vicino ad un ag ric oltore che ad un s oldato " c76> Pur ricono sce ndo che quella complementarietà dequalificava pericolosam ente g li organici, minandon e lo s pirito e le capacità combattive, si repu-

INGEG NO E PAURA T RENTA SECOLI DI FORTIFICA Z IONI IN ITALIA

tarono predominanti i vantaggi. Si istituzio nalizzarono, perciò, a partire dal IV seco lo , l e figure dei castriciani e dei castellani: era no i militari delle forte zze e dei castelli che possedevano e coltivavano gli appezzamenti limitro fi ai loro rispettivi quartieri. Il fenomeno, ancora una volta, ebbe nella regione orientale i suoi modelli archetipali. In conseguenza le: " ... città furono talmente ridotte e le opere di difesa divennero così elaborate, che esse s i trasformarono gradualmente in forti o almeno finirono per non distinguersi più da essi Poichè certe truppe stavano diventando una milizia part-time di cittadini o agricoltori sedentari, la vita civile e quella mjlitare tornarono gradualmente a coincidere; le città stavano diventando forti a loro volta, i forti s i stavano trasformando in città abitate da so ldati , che al tempo stesso esercitavano il mestiere di artigiani, mercanti o agricoltori. Nel caso del Limes Tripolitanus (nell'attuale Libi a), con i suoi centenaria piccole fattorie fortificate o fortini autosufficienti? - l'omogenizzazione dei ruoli fu completa... " <11> Nel secolo success ivo , il V, quell'estrema parvenza militare s i dissolse rapidamente. Le truppe in Britannia si dile guaro no durante gl i ultimi anni di Valentiniano, intorno al 450 , quelle in Spagna sub ito dopo, e comunque nello stesso decennio in seguito all'invasione visigota. Fu la volta, forse tra il 470-480, dell 'eserc ito della Gallia e poi ancora, nei medesi mi ann i, di quello illirico. In Italia la forza armata scomparve contestualmente all'impero.

A Roma , logicamente, ci s i rendeva conto del precipitare della situazione e, perciò, nei limiti delle risorse, fu strenuamente contrastato, per quanto possibile militarmente e per quanto conveniente politicamente, fin dagli ultimi decenni del [ V secolo, proprio in conseguenza della s pinta mongola. In dettaglio nel: " ... 376, Vale nt e dovette fare una sce l ta deci si va. Gli unni, negli ultimi anni, avevano cominciato a muovers i verso occidente, provocando un'ondata di confus ione e di terrore Il re dei g reutungi, o ostrogoti, nella Russia

meridionale, s i era tolto la vita, incapace di far fronte alla situazione, e il re dei visigoti, sulla sponda settentrionale del basso Danubio, era stato abbandonato dalla s ua gente, quando aveva provato ad organizzare la difesa del suo regno. I suoi sudditi preferirono rifugiarsi entro i confini dell'impero , chiedendo asilo a Valente e impegnandosi a servire nell 'ese rcito romano ... E proprio la prospettiva di poter disporre di una vasta riserva di reclute fu ciò che attrasse Valente: quelle reclute lo avrebbero messo in grado di trasformare 1' arruo lamento fra la popolazione romana in oro e, con ciò, di aumentare anche le entrate. Cosicchè accondiscese alla richiesta e i visigoti furono traghettati al di qua del fiume " 081

Non si trattò, ovviamente , di una solidarietà di s interessata ma della consapevolezza che la frontiera sarebbe stata comunque sfondata , ad onta delle sue poderose fortificazioni , sotto l'urto di una popolazion e disperata e priva di alternative. In tale evenienza, per giunta, la violazione avrebbe acquisito le connotazioni di un'invasione di improbo contrasto e contenimento. P ertanto, fatta salva ufficialmente la sovranità territoriale, si dovette consentire l ' ingresso alla marea di 'profughi' nel 370, g iu sto un seco lo dopo l ' erezione delle mura aureliane. I precedenti, del resto, non mancavano, come già a suo tempo ricordato<19> _ Tuttavia il modo con c ui : "l'operazione fu condotta non riuscì a neutralizzare i pericoli che l' inserimento degli immigrati goti comportava. Le tribù non furono disperse con sufficiente prontezza e, insieme , mancarono rifornimenti adeguati; intanto il comes e il dux locali approfittarono della s ituazione e presero a barattare rifornimenti alimentari, valutati a prezzi esorbitanti , con i bambini delle famiglie gote, per farne degli schiavi. In questo stato di cose nacqu ero dei disordini e, approfittando della confusione anche g li ostrogoti riuscirono a passare il Danubio. Le tribù gote passate nei territori dell'impero ora raccoglievano , secondo alcuni, un totale di 200. 000 individui ... " <80>

LE FORTIFI
CAZION I ROM ANE

Come facilmente prevedibile, lo stanziamento di un'orda-il cui etimo mongolo significa appunto 'acca mpamento' -scarsame nte civilizzata ed ancestralmente propensa alle razzie non si dimostrò affatto pacifico e controllabile.

Già nel 378 i contrasti degenerarono in aperte ribellioni, che innescarono uno stillicidio di provocazioni militari culminate nella battaglia di Adrianopoli, nella quale la cavalleria pesante barbara sbaragliò le forze imperiali.

Questa sconfitta dal significato inequivocabile, sancì sotto il profilo polemologico , l'affermazione della cavalleria, resa temibile dalla adozione delle staffe, unico retaggio positivo degli Unni < 8 1l, con tutti i valori ad essa connessi. Ma sancì, soprattutto, l'avvio delle invasioni barbare, che da quel momento, colla ssata ogni dife sa organica, si protrassero , praticamente senza soluzione di continuità, per diversi secoli, provocando conseguenze devastanti nel quadro di una vistosa involuzione della civiltà. Quanto ai Goti, presa coscienza della propria forza, o, più probabilmente, della debolez za imperiale, calarono pochi decenni dopo in profondità nella Penisola, agli ordini di un capo bellicoso e carismatico, Alarico, e nel 410

ebbero facilmente ragione delle mure aureliane, conquistando la mitica Roma.

Al di là dell'impatto emotivo, senza dubbio traumatico, stando alle analisi sto rich e meno retoriche, il saccheggio non s i dimostrò particolarmente efferato e distruttivo (82 ) Forse fu per un residuo timore reverenzia le suscitato dalla immensa città e dalla s ua raffinata cultura, forse per il miraggio di poter in qualche modo entrare a farne parte, e non in veste di servi, forse per qualche oscuro presagio, di certo i pochi giorni di occupazione non produ sse ro s ignificative devastazioni e s tragi. In ogni caso, per: " ... i romani, che avevano perso i diritti e ogni capacità di difender si, furono tre giorni senza fine [mentre] a portata di mano per i soldati di Alarico, c'era tutta l'Italia meridionale ... " <83 > .

É difficile osservando oggi l'ampio letto bianchegg iante e riarso del Bu se nto, immaginare quale acqua i Goti abbiano dovuto deviare per scavarvi la tomba del loro re : la tradizione non lo dice e la le ggenda è divenuta certezza sto rica. L'avve ntura per Alarico comunque finì lì: si s pense stronca to dalla peste, o forse dalla dis se nteria , nella torrida estate calabrese, pochi mesi dopo l ' epica conquista che seg nò la conclusione di un'epoca.

I NGEG NO E PAUR A TR ENTA S ECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA

NOT E CAPITO LO SESTO

1 Da F. COARELU. Ù! Mura regie e repubblicane. in Mura e porte di Roma antirn. Roma 1995, p. 21.

2 Da F. COARELLI. Le Mura cit., p. 19.

,. Da F. COARELU, Le Mura ... , cit., p. 21.

• Da F. COARELU, Le Mura , cit.. p. 23.

5 Da E. T. SALMON, // Sannio e i Sanniti, Torino 1985, pp. 1 11-1 12

6 Da N. DAVEY. Storia del 111areriale da costruzione, M ilano 1965, p. 129.

7 Da N. DAVEY, Storia , cit., p. 124.

g La citazione è tratta da A. MONDIN I. Dalla preistoria ali'amw Mille, in S toria della tecnica, Torino I973, voi. I, p. 297.

9 Cfr. J B. WARD- PERKINS, Architettura romana, in Storia universale del!'architettura, Venezia 1974, pp. 97- I 44.

1" Da J. B WARD-PERJ<I s, Architettura , cit., p. 99.

11 Da A. MONDJN T , Dalla preistoria , cii., p. 297.

12 Da J. B. WARD-PERKINS, Architetrura , cit., p. 148.

11 Da J. B. WARD-PERKINS, Architetrura , c ii., p . LOO.

14 Cfr. A. J . TOYNBEE, L'eredità di Annibale, Torino 198 1, pp. 171 -334.

15 Cfr., Les enceintes augustéennes dans l'occident romain (France, ltalie. Espagne, Afrique du Nord). Atti del Colloquio internazionale di Nimes , 9 - 12 ottobre 1985, pubb li cati nel Bolletti no n° 18 dell 'Eco le A ntique de Nimes. 1987.

16 Da Y. GARLAN. Guerra e società nel mondo antico, Bo logna 1983, p. 220.

17 Da Y. GARLAN. Guerra , c it., p. 220.

,R Da Y. GARLAN. Guerra , cit., p. 221.

19 Da Y. GARLA.N, Guerra , cit., p. 223.

20 Da F. R. VEGENZ IO, L'arte militare. traduzione, a cura di A. ANGELJNI, Roma 1984, pp. 32-33.

2' Da F. R. VEGENZJO, L 'a rte cit., p. 104.

22 Cfr. D. MARROCCO , La guerra nel medio Volturno nel 1943, Napoli 1974, pp. I 35- I 38.

2 Da L. SANTORO, Fortijìcuzioni , cii., p. 226.

14 Cfr. L. SANTORO, Fortifica zioni , cit., pp. 124-125.

25 Da S. QUILICl GIGLI , Rom~, faori le mura , Roma 1980, pp. 98-100.

26 Le dimens ioni della cisterna e la stessa compartimentazione in cinque navate sono molto s imi li a quella più ce lebre di Miseno, ut ilizzata dalla base navale dell a marina imperiale. Così la descrivono S. DE CARO, A. GRECO, Campania. Bari 1981, p. 68: "L'enorme cisterna, a pianta rettango lare. è scavata nel tufo per m 70 di lunghezza e 22. 50 d i larghezza, ed è profonda 15 metri. Quattro file di dodici pi lastri cruciformi formanti una divis ione interna di cinque navate lunghe e tredic i corte sorreggono la volta a botte La capacità del baci no è di 12. 600 mcd' acqua:·

27 Da S. Q tJI LI CI GIGLI, Roma cit. , p. 103.

2A Cfr. G. SILVESTRELLI , Città costelli e terre della region e romana, II ediz. Ro ma 1970, voi. I , p 17 1

29 Cfr. POLIBJO di MEGALOPOLI, Storie, a cura di G. B. Cardona, Napoli 1968, voi. 1, p. 304-305, li b. 90- 92.

10 C fr. N. V1Gu0Tn, Telesia Telese due millenni, Napoli 1985, pp. 41-43.

11 D a L. QUlUCI, Telesia, in Studi di Urbanistica Ant ica, Ro ma 1966, pp. 85 e sgg.

2 La citazione è tratta da Y. GARLAN. Recherches... , cit., p. 296. La trnd uzione è dell' A.

J.• Da L. Quiuc,, Telesia , c it., p. 90.

14 Da T. CELorn, Storia di Spagna , JJ ed. Mi lano 1940, p. 50.

35 Da A. BAZZANA, A. HUMBERT, Prospections aeriennes les paysages et leur his roire. Cinq campaines de la Casa de Vela zquez en Espagne, Pubb licatio ns de la Casa de Velazq uez, fase. Vll , Pa1is, 1983, p. 73 e sgg. La traduzione è de ll ' A.

16 Da A. BAZZANA, A. H uMBERT, Prospections... , cit. , p. 77. La traduzione è de ll ' A.

Jì Cfr. N. VIGLIOTT I, Telesia , cit., pp 43 e sgg.

38 Federico Il , detto ' il Grande ', re di Pruss ia, nacque a Berlino ne l 1712. Nel J740 a~sunse la corona e due anni dopo conquistò attraverso le vittorie di Mollwitz e Czas lau la Slesia Nel 1745 con l'u lte ri ore vittoria di Hohe fìiegberg e la co nseguente pace d i Dresda consolidò la sua potenza. Una coa lizio ne fonnatasi co ntro di lui lo costrin se all a guerra dei Sette anni, durante la quale tenne testa felicemen te ai diversi nemici, confermand osi straordi nario uomo d'arme Nel 1772 ottenne la Polonia, nel 1778 fo ndò la lega dei principi tedeschi contro GiL•eppe Il O ltre che eccezi onale ge nerale fu anche accorto protettore d i uom in i di scienza e di artisti. Morì nel 1786.

39 Circa le orig ini de l mi li tarismo pru ss iano ed i s uo i caratteri disti ntiv i cfr. F. L. Ci\RSTEN, Le origini della Prussia, Bologna 1982, pp. 113 e sgg.

LE FORTIF ICAZIONI ROMAN:..:.:'E==----------_______

"'° Carlo Borgo. gesuita del sec. XV 11 1 n. di Vicenza. autore di un 1ra11ato: «A11a/isi ed esame ragionato dell'arte della .fortifica~Jo11e» di cui fa cenno Luigi M arini nella « Biblioteca di Fortjìcazione » Federico Il fece il B. che era andato a suo se rvizio. colonnello degli in gegneri militari"-Tratto dal l' Enciclopedia Militare, Roma 1933. voi. Il alla voce ., Da A. FARA, Il sistema e la città, Genova 1989, pp. 248-250.

• 1 Una co mpara z i o ne tra i due si stemi di fortificazione perimetrale è in F. R usso. L'invarianza. in Studi Storico Militari 1992. R oma 1994. pp. 233-243.

" S. D E CARO-Lo sviluppo urbanistico di Pompei, in AMSMG. 3°. 1992, pp. 67.

• • Da E. CORTI, Ercolano e Pompei. Torino I 963, p. 2 1

45 D a P. SOMMEI.LA. Urbanis tica pompeiana. Nuovi momenti di studio, in Neapolis, R oma 1994. voi. Il, p. 166

..., Da S. D E CARO-Lo s, •iluppo.... cit.. p. 72.

41 Da S. D E CARO-Lo sviluppo , cit., p. 78.

48 Cfr., les e n cei111 es ... , c it p. 142

•• Da, Sepino Archeologia e contin uità. a cura della Sov Archeo logica, Matri ce, 1979. pp. 44-56.

50 D a E. N. L UTI'WAK, la grande strategia dell'impero m111a110, Milano 1981, p. 172.

5 1 D a E. N. L UTTWAK l a grande , cii., p. 183.

52 Da E. N. L UTfWAK. UI wande cit., p. 185.

53 D a E. GJBBON, Storia della decaden:,a e caduw de/l'impero romano. Torino I 967. voi. I. p. 238.

'4 Da G. GUADAGNO, Dalla Pilla al castello, analisi di 1111 .fe11ome110, in Apollo - Bollettino dei musei provinciali del salernitano, n° VI Gen - Di c. 198 8, p. 288.

55 In realtà il minimo perimetro con la mas sima su perfi cie i nterna corrisponde alla circonfer enla: tuttavia per ovvi motivi non si presta ad un impiego civile. Per ulteriori approfondimenti cfr. F. R usso la di.fe.\a delegata. Roma 1995.

'" Da L. CARDILLI, G. PISANI SARTOR IO, Le Mura Aureliane e Gianiwlensi. in Mura c it. , p. 59.

57 Da E. GIBBON. Storia ... , c it., voi. I. p. 267.

5 ~ D a E. GmBON. Storia cit.. p. 267.

<9 Da E. GIBBO!\. Storia eit. p. 269.

60 Da C. MONTÙ Storia de/l'artiglieria , c it voi. I , p. 61.

61 D a E. GIBBON. Storia cit.. col. I , p. 273.

61 D a L. CARDILLI. G. PISANI SARTORIO. le Mura , cit.. p. 75.

63 D a G. SOMM ELLA B EDA. Roma: le .fortificazioni del trastevere, Lu cca 1973, p. 87.

M D a L. CARUILLI. G. PI SANI SARTORIO. Le Mura cit., p. 74.

M D a L. CARDILLI. G. PI SANI SARTORIO, le Mura , cit.. p. 67.

66 D a L CARmLLI, G. PI SANI SARTOR IO, le Mura , cit., p. 68.

6 7 Da L. CAR0 11.u, G. PI SANI SARTOR IO. Le Mura cit. , p. 69.

OR D a L. CARDlLLI. G. PI SANI SARTORIO, Le Mura .... cit.. p. 69.

69 D a L. CARDI! LI, G. PISANI SARTORIO, le Mura , cit p. 69.

70 Da M. Q UERCIOLI, L e mura e le porte di No ma, Roma 1982, pp 62-82

71 Cfr. E. D. PHl LLIPS. L'impero dei Mongoli. R oma 1979. pp. 15- 29.

n Cfr C. D AUN. Peregri11a tio11s 0/0111: the gre<II wa/1, H ong K ong 1987, p. 6.

73 D a E. N. L UTTWAK La grande... , cii., pp. 2 15 -216.

74 Da E N. L UTl'WAK, u1 grande , cit p. 220.

75 D a E. N. L UTfWAK, u1 g rande cit.. p 222.

16 D a M. M AZZA, lotte sociali e restaurazione autoritaria nel /Il secolo d. C., Bari 1973, p. 41 l.

77 Da E. N. L UTTWAK, La grande , cit., p. 225. Più in generale sull ' argomento c fr. F. R usso, l a difesa , c it. , pp 67 -

78 D a A . H . M . Jones, Il tramonto del mondo antico, Bari 1972. pp. 99 - 100. Ed ancora cfr. E. Gmn O'IIS, Storia , voi. 11 , pp. 954-972.

19 Cfr. E. D EMOl 'GEOT. De /'1111itè à la division de /'empire romain 395-410, Pari , 1951 , p. 497.

00 D a A. H. M. JONES, li tramon!O , cit., p. 100

81 Cfr. R . J. FoR GES, L'u o m o fa il mondo, Torino I 970. p. 126.

32 Cfr. R FoLZ. A. G u 1u .ou L. M ussET, D SOURDEL, Origine e formazione de/l'Europa Mediel'ale, B ari 1975, pp. 33-35.

~, D a H SCHREIBER, / Goti, Milano I 981. pp. 170-17 l.

114 Cfr. E. PIRO VINE, Napoli, n e lla visio n e classica del Golfo d elle S ire ne , Napoli 1977, pp. 6 1-67.

ss Cfr. B M ONTGOMERY. Storia delle guerre. Mil ano 1970. pp. 138 - 141. 39

I NGEGNO E PAURA TRENTA SECOLI DI FORTIFICAZIONI IN ITALIA
1.
7
INDICE GENERALE Pag. Presentazione 3 PR EMESSA O sservaz ioni etiche " s Osservazioni tecniche 12 Osservaz ioni cronologiche " 14 O sse r vaz ioni geostoriche " 16 Osservazioni polemologiche 20 NOTE PREMESSA " 23 CAPITOLO PRIMO Gli archetipi Le prime fortificazioni " 27 Le origini concettuali " 32 La diffusione e differenziazione " 34 Mattoni e dinastie " 41 Divaricazioni soc io -economic he " 44 Gli sconvo lg im enti del secondo millennio 46 Le fo rtifi caz ioni ittite " 48 Interludio miceneo " 53 NOT E CAP. PRIMO " 62 CAPITOLO SECONDO Le prime fortificazioni in Italia P assaggio ad ovest " 65 Le protofo,tificazioni italiche " 69 I villaggi trincerati della D aunia 69 I castellieri a lp in i " 73 Il fe nomeno nuragico " 75 Il 'castello' di Ustica " 82 Conclusioni 86 N OTE CA P. SECONDO 89

La civiltà appenninica

Criteri d ' impianto

Criteri costruttivi

Probab ili ragioni del poligonale

Criteri difensivi

Ri scontri territori a l i-N orba

Rose i le Cosa

Terracina

L e fortificazioni dei Sanniti Saepinum

Le causali della colon izzazio ne greca

Demo craz ia e colonie

La for tificazione greca arcaica

Impli canze filosofiche e urbanistiche

Evoluzione della fortificazione greca

L a fortificazione i ta li ota Fiancheggiamento

INGEGNO E PAU RA TR ENTA S ECOLI DI F ORT I F!CAZlONI IN ITALI A
N OTE CAP. TERZO
difesa attiva Sintesi conclusiva Cuma Napoli Siracusa Poseidonia NOTE CA P. QUARTO L a tra cce architettoniche CAPITOLO TERZO Le fortificazioni italiche
LO QUARTO Le fortificazioni italiote
QUINTO Le macchine ossidionali Di vers ifi cazione delle m acc hin e ossid io na li M acc hin e da scavalcarne nt o-Sca le Pag. " " " " " " " " " " " " " " " " ,, " " " " " 91 95 98 11 6 11 9 121 124 125 127 l3 1 135 138 141 144 146 148 149 151 15 9 164 165 170 179 189 197 201 204 205
e
CAPITO
CAPITOLO
INDI CE GENERALE Pag. Tollenoni " 206 Torri d'assedio " 207 Te stuggini 2 11 Macchine da urto-Arieti " 213 L'a rtigli e ria elastica " 216 Macchine da lancio-Artiglieria a fl essio ne " 217 Artiglieria a torsione 222 Artiglieria pesa nte a torsione " 231 [ proietti non convenzionali " 236 Gli ingegneri 239 NOTE CAP. QUINTO " 24 1 CAPITOLO SESTO Le fortificazioni romane Il contesto st orico Il ca lcest ruzzo " 243 La fortificazione romana " 245 Alife 250 Albano " 252 Teles ia 256 Pompei " 258 La fortificazione ornamentale: Altilia " 267 La fortificazione civile " 271 Le mura aureliane " 275 La fine del mondo antico " 280 NOTE CAP. SESTO " 290 " 294
PREMESSA
1-Il Mediterraneo a Capo Colonna " 19 2-Area biblica " 29 3-Ruderi delle mura di Gerico " 31 4-Planimetria di Catai Huyuk " 32 5-Ricostruzione di Catai Huyuk " 34 6-Ricetto pastorale appenninico " 35 7-Planimetria di Hacilar " 37 8-Ricostruzione di Hacilar " 38 9-Planimetria di Mersin " 39 1O-Ricostruzione di Mersin " 40 Il-Planimetria di Troia Il " 41 12-Ricostruzione di Troia II " 42 13-Porta dei Leoni a Bogazkoy " 44 14-Ricostruzione di Babilonia " 45 15-Mura di Costantinopoli " 51 16-Planimetria mura di Bogazkoy " 51 17-Ricostruzione mura di Bogazkoy " 52 18-La merlatura nei modelli di bronzo di Toprakkale " 53 19-Tebe , Medinet Habu: la porta Alta " 54 20-Micene, la porta dei Leoni 57 21-Tirinto, le casematte " 59 22-Planimetria di Tirinto " 59 23-Ricostruzione delle mura di Tirinto 60 24-Alberobello, scorcio di un trullo " 69 25-Foto aerea di un recinto dauno " 73 26-Foto aerea di un recinto dauno " 73 27-Ricostruzione di un villaggio trincerato " 74 28-Castelliere alpino, Mereto , Udine " 77 29-Nuraghe semplice " 78 30-Nuraghe polilobato " 79 31-Nuraghe Santu Antine , Torralba 80 32-Nuraghe Santu Antine, foto zenitale " 80 33-Nuraghe Santu Antine , pianta e sezione " 80 34-Ricostruzione nuraghe Santu Antine " 81 35-Broch britannico " 84 36-Ustica, planimetria villaggio 85
INDICE ICONOGRAFICO

37- Ustica, veduta d e l promontorio dei Farag li oni

38-Ricostru zio ne villaggio di Ustica

39-Monte Cita , Pi edimente, sco rcio fortifi caz ioni

40-Le quattro maniere del Lu g li

4 1-Scorci o mura poli go nali d i Terracina

42-Scorcio mura poligonali di Atina

43-Scorc i o mura poligo nali di Atina

44-Scorcio mura poli go nali di Sepino

45-Scorcio mura poligonali d i Sepi no

46-Scorci o mura poli go nali di Mont ' Ac e ro

47 - Aereofoto cerchia poligonal e di Mont ' Acero

48-Testa d'ariete in bronzo

49 - Ariete ass iro , da un basso ri li evo

SO- Scorcio mura poligonali di Amelia

51-Dettag li o mura poligonali d i A melia

52-Scorcio mura poligonali di Norba

53-Sco rcio mura poligonali di Norba

54-Scorcio mura poligonali di Norba

55-Scorcio mura poligonali di M ontecassino

56- Montecass in o, ba ame nt o d e ll ' Abazia

57-Scorcio mura poligonali di M ontecass ino

58- Panorami ca aree d i Montecassino

59-Sco rc io mura poligonali di Pi e trabb o nd ante

60-Scorc io mura poli gona li di Isernia

6 1-Sco rc io mura poi igo nal i di Cefalù

62-Mura pol igonali d i Sacsahuaman , Pe r ù

63-Cos tru z ioni megal i tiche d i Malta

64-Cost ru zio ni me ga litiche di Malta

65- P lanim e tria di Norba

66 -Dettaglio d e ll a Porta Grande di Norba

67-Dettag li o della Porta Grand e di N o rb a

68-Scorcio mura di Norba

69 - Scorcio mura di Norba

70- Rose ll a, sco rcio mura poli go nali

7 I -Cosa, de ttaglio porta

72-Cosa, planimetria

73-Te rra ci na, planimetria

74- Terra cina, dettaglio mura po li gonali

75- Terra c ina, scorcio ' Pesco M o ntan o'

" 86 " 87 " 103 " 110 " 111 " 111 " 112 " 11 2 " 113 11 3 " 11 4 " 115 " 116 " 116 " 117 " 11 7 118 " 118 " 119 " 119 " 1I 9 " 120 " 120 " 121 " 122 " 124 124 " 125 " 128 129 " 129 " 130 " 130 " 131 " 132 " 133 " 134 " 134 135
I NGEGNO E PA URA TR ENTA SECOLI DI F ORTlFICAZI ONI IN ITALIA
PR E M ESSA 76-Terracina, scorcio torri romane " 136 77 -Faicchio ponte di Fabio Ma ss imo e dettagli " 137 78-Ricos truzioni fortifica z ioni a gradoni " 139 79-Ricostruzione giavellotto s annita " 140 80-Ricostruzione schieramento sannita " 140 8 1-Planimetria di Saepinum " 142 82-Saepinum, posterla del Matese " 142 83 -Saepinum, ruderi di case medievali " 143 84-Marchi sulle pietre e sui mattoni di Elea " 160 85 -D ettaglio sezione delle mura di Cuma " 161 86-Elea , dettaglio di una torre quadrata " 162 87-Poseidonia, guida della saracinesca di una torre " 163 88-Elea , panoramica " 164 89 -Elea, Porta Rosa " 165 90-Fortificaz ioni a denti di sega " 166 91 -Fortificazioni a cremagliera " 166 92- Siracusa, fo rtifi cazioni a dente di sega " 167 93-Cuma, panoramica della costa vista dall'acropoli " 174 94-Cuma, planimetria " 174 95 -Cuma, l ' antro della Sibilla in una stampa " 175 96-Cuma, scorcio delle mura " 175 97-Cuma, scorcio delle mura " 176 98-Cuma, imbocco antro della Sibilla " 177 99-Cuma, antro della Sibill a " 178 100 -Napo li , resti sul monte Echia " 179 101-Planimetria della Napoli greca " 180 102- Resti delle mura grec he di Napoli 181 103-Res ti delle mura g rec h e di Napoli " 181 104-Resti delle mura greche di Napoli " 182 105 -Resti delle mura g reche di Napol i " 182 I06-Resti delle mura grec he di Napoli " 183 107 -Res ti delle mura greche di Napoli " 184 108-Ampliamenti della città di Napoli " 18 5 I09-Dettaglio tec ni ca mura grec he di Napoli " 185 110-Siracusa, planimetria della città " 187 111 -Siracusa: castello Eurialo dall'alto " 18 8 1 12 -Siracusa: caste ll o Eurialo dall ' a lt o " 189 113-Siracusa: dettaglio fossato castello Euria lo " 189 11 4 -Siracusa: camminamenti castello Eurialo " 190

115- S i racusa : le cinque torri di cas tello Euria lo

11 6-P la ni metr ia di cas tello E uria lo sec o ndo Mauce r i

117-P lastico di cas tello E uri a lo, I. S.C.A.G Ro m a

11 8- S i rac u sa: res t i de l p il one del po nte

119-P osei d onia , p lan i me tria

120-Poseid o n ia, dettag li o rud e ri d i una to rre

12 1-Pose id o naia, sco rcio d e ll e mu ra

122-P ose idonia , dettag lio to rre

123-Posei d o ni a, scorc io torre-co rtin a

124-P ose ido n ia, AB de tt ag li o feritoia

125- P oseido n ia, de ttag li o posterl a

126-P osedio n ia, po rta Sir ena

127 -P o e id o nia, t racce de l fossato

128- B asso rili evo di asse di o co n sca le

129-To ll e n o ne i n un a a ntica s ta mpa

130-R icos tru zio ne di to rre a m bul a to ri a semove nte

13 1-Ri cos tru zio ne d i a ri ete stan dard

132-R icostruzio ne de ll a ba lis ta a fle ss io ne

133-Ri cos tru zio ne de ll a b al ista d i Vitruv io

134-Flangie per catap ul te ri t rovate a Cre mo na

135 -A rpi oni s mo d 'arres to di E ph yra

136-Arpionismi d' arretso d i Mah d ia

137-Ri cos tru z io ne g ra nde ba lis ta d i Vitru v io

138-Ri costruzione di un a carrobalista romana

139-Teschio co n fo ro d i ve rretto ne di ca tap ulta

14 0 -Ri costruz ione ca ta pulta ro mana derivata d a Erone

14 1-R icos tru zio ne d i o nagro roman o

142- R icos tru z io ne di grosso man ga no me di evale

143- P la nim etria de ll e mu ra di Roma del IV sec. a.C.

144-Le mu ra de l IV sec. presso la Stazio ne Te r mini

145-Dettag li o corti na de l Cas tro Pretorio

146-A life, CE, po rta ur b ica

147-A life, scorcio de ll e m ura

148-Alife: ista n tan ea de l bo mbard a me nt o a ll eato

149- Ri costru z io ne d i u n acca mp amento roma no

150-Alife, ved uta ae rea o bl iqua

15 1-A life, sco rc io mur a e to rri

152 -A lban o , p lanimetr ia

153-Tipico accampa me nto ro ma no ub ica to lun go il va ll o di A dria no a

INGEGNO
IN ITALI~ " I 91 " 192 " 192 " 193 " 194 " 195 " 195 197 " 198 " 199 " 200 " 200 " 201 " 212 " 213 " 2J4 " 222 " 226 " 232 " 234 " 238 " 239 " 240 " 24 1 " 242 " 245 " 247 " 248 " 255 " 256 " 260 " 266 " 266 " 267 " 267 " 268 " 269 " 270
E PA URA TR F.NTA SECOLI DI f ORTTFICAZIONI
teads " 270
Houses
154-Albano , porta pretoria " 271 155 -Teles ia, foto aerea obliqua " 272 156-Te le s ia , planimetria " 273 I 57-Telesia, sco rcio co rtin e concave " 274 158 -Teles ia, veduta torre esagonale " 275 159-Telesia, rico stru zi one mura " 276 160-Telesia, sc hema tattico " 276 161-Schema di Filone di Bisanzio " 277 162-Schema di Carlo Borgo " 278 163-Pompei , planimetria " 281 164 -Pompei , scorcio torri e mura 281 165-Pompei, una torre romana " 282 166-Altilia, planimetria " 284 167-Alti lia , scorcio porta urbica 285 168-Altilia, porta urbica " 285 169-Altilia, sco rcio torri e mura " 286 170-A ltilia, de ttaglio torre " 287 171-Villa romana del III seco lo " 290 172 -Tra sfo rmazioni della villa roman a " 290 173-Roma, mura aureliane planimetria " 295 174-Roma, mura aurelia ne scorcio " 296 175 -Roma , mura aureliane scorcio " 296 176-Roma, dettaglio torre 297 177 -Roma, porta S. Sebastiano " 298 178 -Roma, porta S. Sebas tiano " 298 179-Roma, veduta aerea porta S. Sebastiano 299 180-Roma , porta S . Giovanni " 300 181 -Roma, dettaglio galleria " 300 182-Roma, dettaglio spalt i " 301 183 - Roma , scorcio mura aureliane " 302
PR EMESSA

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.