FEBBRAIO_sala&cucina 2023

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Il nostro impegno verso i lettori di sala&cucina

Il turismo enogastronomico

Cosa incide sull’orientamento scolastico (e di vita) dei ragazzi

Locanda Mammì

Gabriele Bianchi

Tra i primi cinque giovani leader del futuro

Febbraio 2023 sala&cucina n. 66 febbraio 2023Poste Italiane SpaCN/BOEdizioni Catering srl –Via Margotti, 8 –40033 Casalecchio di Reno (BO)contiene I.P.costo copia euro 3,50

Mario Benhur Tondini presidente Edizioni Catering srl

Imprenditore nel settore della distribuzione alimentare, gestisce con il fratello Oscar l’azienda di famiglia a Cavriana (MN), dove ha svolto anche l’incarico di sindaco.

Le competenze maturate sul piano professionale e su quello amministrativo lo hanno portato alla convinzione che il principio della condivisione sia la miglior modalità di crescita. Molte sue iniziative, anche all’interno del gruppo Cateringross (che detiene la titolarità della casa editrice), di cui è consigliere d’amministrazione, vanno in questa direzione. A questo affianca una forte sensibilità per ogni azione che dia valore al suo territorio.

Luigi Franchi Direttore responsabile

benhurtondini@salaecucina.it

Marina Caccialanza Redazione

Milanese, un passato come traduttrice, da diversi anni giornalista e redattrice per riviste del settore alimentare rivolte al mondo dell’artigianato e all’industria, in particolare nel campo della ristorazione, del dettaglio specializzato e della ricerca. Contribuisce alla realizzazione di importanti libri di comunicazione gastronomica in Italia e all’estero diretti ai professionisti e ai consumatori. Collabora con le redazioni di sala&cucina, Ecod e Trenta Editore.

marina.caccialanza@gmail.com

Giulia Zampieri

Redazione

Ricorda con esattezza il profumo del primo pane preparato all’età di sette anni.

Forse il suo primo traguardo e, soprattutto, l’inizio di una grande passione: per le cose semplici, per la genuinità, per gli alimenti che crescono e prendono forma. Dopo la Laurea in Scienze Gastronomiche, la specializzazione in comunicazione enogastronomica, e un periodo di alternanza nelle cucine, ha chiara la missione: scrivere per comunicare. Come? Utilizzando gli strumenti di oggi e la curiosità di sempre. Gionalista pubblicista, collabora anche con la guida di Identità Golose.

giuliazampieri@salaecucina.it

Prima fotografo di cibo e territori, poi comunicatore, autore di numerosi libri di enogastronomia e di turismo enogastronomico. e infine giornalista di enogastronomia. Tra le sue principali pubblicazioni, scritte e/o coordinate: La prima edizione della Guida al turismo del vino in Italia, per conto del Movimento Turismo del Vino, (1997), I parchi e il turismo enogastronomico (2004), Il marketing delle Strade del Vino edizioni Agra – Rai Eri (2005), Atlante Alimentare Piacentino, con Valentina Bernardelli (2007), “cuo chi, due anime in cucina”, con Alessandra Locatelli, GL.Editore (2009), Dalle Terre Traverse al Po, GL.Editore (2010), ideatore e coautore dei Maestri del lievito madre, Edizioni Catering (2014), coautore della guida online dedicata alla ristorazione Meglio Prenotare, Edizioni Catering, Le interviste (2018) editore Mediavalue. Co-direttore di Food & Book, festival nazionale di editoria enogastronomica luigifranchi@salaecucina.it

Simona Vitali Redazione

Laureata in filosofia, ha lavorato nella comunicazione e organizzazione di grandi eventi a Parma. Ha ricevuto una prima inconsapevole educazione al gusto per il cibo grazie all’ indimenticato oste dell’Osteria di Felino (PR), il nonno materno Massimino. Con gli studi umanistici è poi arrivata una seconda, consapevole, educazione al gusto per l’utilizzo delle parole secondo il loro significato. Poi sono seguiti un corso di Alta Formazione alla scuola Holden e un master in Filosofia del cibo e del vino. Della ristorazione l’affascina il pensiero e la componente umana. Della formazione di settore segue movimenti ed evoluzioni.

s.vitali@salaecucina.it

Gabriele Adani Grafico

Modenese, appassionato di arte figurativa, fotografia e linguaggi di comunicazione visiva.

Nel 1992 inizia il suo percorso professionale presso una casa editrice. Lavora poi in uno studio grafico e fonda una piccola agenzia di comunicazione in cui ricopre il ruolo di direttore creativo per 18 anni. Viaggiatore, utilizza i frequenti viaggi a Londra e nel Sud Est asiatico per arricchire il suo bagaglio culturale e placare la sua innata curiosità per le altre culture.

Dal 2019 lavora in proprio, occupandosi di fotografia, grafica e consulenze nel campo della comunicazione.

grafica@salaecucina.it

4 | febbraio 2023
La redazione

7 LALETTERA APERTA

Il nostro impegno verso i lettori di sala&cucina | Luigi Franchi

9 L' EDITORIALE

I ristoranti che non aprono più a mezzogiorno | Benhur Tondini

10 IL CONFRONTO

Gabriele Bianchi | Luigi Franchi

15 LA NEUROVENDITA

Il caso NOMA, tre lezioni per chi fa impresa” | Lorenzo Dornetti

17 L’OLIO AL CENTRO

Quanto incide il costo dell’olio sui conti di un ristoratore? | Luigi Caricato

19 L’OSPITALITÀ

Il buongiorno si vede su web e social | Martina Manescalchi

21 LA DIGITAL TRANSFORMATION

Cinque strumenti digitali per una sala moderna | Claudia Ferrero

22 LA RIFLESSIONE

Il turismo enogastronomico | Giulia Zampieri

25 L'ANALISI

La società italiana al 2022 | Luigi Franchi

28 LA FORMAZIONE

Cosa incide sull’orientamento scolastico (e di vita) dei ragazzi | Simona Vitali

32 IL TERRITORIO E LA RISTORAZIONE

Locanda Mammì | Antonella Petitti

36 IL VINO

La storia in divenire di Cantina Kaltern | Giulia Zampieri

40 LA SALA

Giulia Camillini | Luigi Franchi

43 I LIBRI

I dieci pomodori che hanno cambiato il mondo

Il cuoco contemporaneo | Luigi Franchi

44 IL PRODOTTO A MARCHIO

Amabile e Saporito I due nuovi oli in co-branding con Cateringross | Guido Parri

48 AMODO LA RETE DEI RISTORANTI ETICI

La più bella lezione della Locanda del Feudo | Simona Vitali

51 AMODO LA RETE DEI RISTORANTI ETICI

LA GATTA MATTA A PARMA | Luigi Franchi

54 IL RISTORANTE

La Canonica a Verona | Luigi Franchi

57 IL RISTORANTE

Freco è Bottega | Marina Caccialanza

60 LA PIZZERIA

La Toscanaccia | Marina Caccialanza

63 LE PERSONE

INurit, una sfoglina thailandese a Bologna | Bruno Damini

67 LA STORIA DELLA GASTRONOMIA

La cucina italiana in un cambiamento di era | GIOVANNI BALLARINI

70 GLI EVENTI

Foodprint | Guido Parri

74 GLI EVENTI

L'olio è progresso | Guido Parri

76 GLI EVENTI

T&C Tartufi è un’Impresa Vincente | Guido Parri

78 LA DISTRIBUZIONE

Isla Food, un nuovo ingresso in Cateringross | Guido Parri

N° 66 febbraio 2023

EDITORE

Edizioni Catering srl

Via Margotti, 8 40033 Casalecchio di Reno (BO) Tel. 051 751087 – Fax 051 751011 info@salaecucina.it - www.salaecucina.it

PRESIDENTE

Benhur Mario Tondini benhurtondini@salaecucina.it

DIRETTORE RESPONSABILE

Luigi Franchi luigifranchi@salaecucina.it

COLLABORATORI ESTERNI

Luigi Caricato, Bruno Damini, Lorenzo Dornetti, Martina Manescalchi, Elena Monteverdi, Guido Parri,Antonella Petitti

FOTOGRAFIE

Archivio sala&cucina, Archivio Olio Officina, Giuseppe Ghedina, Salvo Lucchese

* L’editore è a disposizione per eventuali crediti fotografici di cui si ignora la fonte

RIVISTA PARTNER di AMODO

PUBBLICITÀ

Tel. 331 6872138 marketing@salaecucina.it www.salaecucina.it

PROGETTO GRAFICO

Gabriele Adani - www.gabrieleadani.it

STAMPA

EDIPRIMA s.r.l. – www.ediprimacataloghi.com

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Ristoranti, trattorie e pizzerie 20.700 – Bar, pub e birrerie 4.000 – Hotel 3.100 – Grossisti e distributori f&b 1.100

Costo copia mensile: 3,50 euro

abbonamento annuo 30,00 euro Per abbonarsi: info@salaecucina.it

Febbraio 2023 sala&cucina febbraio 2023 Poste Italiane Spa CN/BO Edizioni Catering srl Via Margotti, 40033 Casalecchio di Reno (BO) contiene I.P. costo copia euro 3,50
Gabriele Bianchi Tra primi cinque giovani leader del futuro Il turismo enogastronomico Cosa incide sull’orientamento scolastico (e di vita) dei ragazzi Locanda Mammì Il nostro impegno verso i lettori di sala&cucina
LA RETE DEI RISTORANTI ETICI
5 | febbraio 2023
Sommario
Tarta di sa marinata BlackAngus CON INSALATA DI FINOCCHI E ARANCE Carpaccio di BlackAngus a umicato CON ANELLO DI CROSTINO ALL’AGLIO E PUNTE DI ASPARAGI AL BURRO BERNARDINI GASTONE SRL _ CENAIA CRESPINA (PISA) ITALIA _ TEL. 050 644100 _ INFO@BERNARDINIGASTONE.IT _ WWW.BERNARDINIGASTONE.IT

Vi racconteremo quale ruolo può avere la ristorazione verso il benessere delle persone inteso come atteggiamento positivo in funzione di un cambiamento dei rapporti sociali.

Vi riporteremo casi e cronache di ristoratori, chef, addetti al servizio di accoglienza e di sala che creano situazioni di sincero piacere, armonia, voglia di condivisione racchiuse in un pasto.

Vi parleremo di cibo giusto, di ospitalità, di luoghi e di viaggi cercando di aiutare i lettori a vivere secondo logiche di etica e sostenibilità. Presenteremo indagini, ricerche e studi che testimoniano il cambiamento in atto nel mondo della ristorazione e dell’ospitalità convinti come siamo che il ruolo di queste strutture possa contribuire a dare all’Italia il posto che merita nel mondo e a considerare il settore fondamentale per l’economia del nostro Paese. Useremo un linguaggio semplice ma nuovo e rigoroso per dare il nostro contributo a migliorare sempre l’offerta ristorativa italiana.

È con questo spirito che ci approcciamo al nuovo anno, un 2023 che ci vedrà impegnati a dare il valore che merita la ristorazione italiana, quella buona, etica, sana nei piatti e nelle persone che lavorano in questo settore. Ci sono oltre 150.000 ristoranti in Italia che diventano più di 300.000 se consideriamo i punti di consumo del mangiare fuori casa. Un settore che, prima della pandemia, valeva 83 miliardi di euro e che, per quanto riguarda il turismo, asse portante della nostra economia, è tra i più strategici, come vedremo in uno degli articoli in questo numero; ma anche un comparto con grosse lacune imprenditoriali dove si avventurano tutti coloro che, da un lato, credono che sia facile fare i soldi, dall’altro, che sia comodissimo riciclarli.

Ecco, noi vogliamo che le strutture, le persone che vi lavorano con coerenza e serietà siano quelle più riconoscibili. E non servono le stelle, i giudizi positivi nelle guide per individuarli.

Le persone che lavorano seriamente sono premiate, sempre, dalla clientela che, molte volte, è più competente di tanti pseudo-critici gastronomici. A queste strutture noi rivolgeremo l’attenzione, ve le racconteremo nei dettagli e non solo per i piatti che compongono i loro menu: non siamo critici gastronomici, siamo giornalisti che cercano di fare sempre meglio il loro lavoro, senza eccessi, cercando di dare visibilità a un

Il nostro impegno verso i lettori di sala&cucina

modello di ristorazione che non si chiama tradizione, innovazione, avanguardia ma che ha come principale scopo quello di far star bene le persone e, dunque, anche un modello che vede la sala assumere lo stesso rilevante spazio che ha la cucina, unendo le forze per raggiungere quell’obiettivo.

Non è un caso se proprio da noi è nato il progetto che si chiama Amodo, la rete dei ristoranti etici che il 21 marzo farà il suo debutto ufficiale; un progetto che mette in primo piano parole come dignità, studio, cura, giovani, squadra, green, primizie. Una rete che accoglie tutti i ristoranti che fanno ogni cosa con onestà pratica e intellettuale.

luigifranchi@salaecucina.it
La lettera aperta
Scopri Amodo, la rete dei ristoranti etici
7 | febbraio 2023
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C’è una tendenza in atto che vede la ristorazione adeguarsi a un solo turno di lavoro: quello serale. Dopo la pandemia sono venuti alla luce i problemi del settore: personale che non si trova, smart-working che diventerà un elemento fisso in alcuni lavori, persino il delivery che porta via coperti.

Il risultato? Ristoranti chiusi, sempre più spesso e in molti luoghi, a mezzogiorno. Ma non eravamo un Paese che ha nel turismo una risorsa importante? E i turisti non mangiano a mezzogiorno?

Questa è solo una prima riflessione di un metodo di lavoro, quello che interessa la ristorazione, che sta rapidamente cambiando senza però adottare le regole affinché questo cambiamento non diventi deleterio per l’intero comparto.

Prendiamo per esempio la carenza di personale: la soluzione non è certamente quella di cercare delle scorciatoie che risolverà il capitolo personale; ma adottando e creando condizioni per rendere il lavoro degno di essere svolto e quindi con stipendi adeguati, orari di lavoro normali come si fa in molte parti d’Europa. Oppure lo smart-working: uno studio di Confesercenti risalente alla primavera scorsa stimava in 6,2 milioni i lavoratori coinvolti in un sistema di smart-working strutturale e questo causerebbe una perdita di 25 miliardi di euro di fatturato alle attività della ristorazione, del commercio, del turismo e dei trasporti.

Un dato che fa una certa impressione ma se sviluppiamo una progettazione, per i capoluoghi e le città di dimensioni medio-grandi, di rigenerazione urbana, possibile con i fondi del PNRR, per favorire una dimensione diversa del vivere cittadino non potrebbero crearsi le condizioni che le persone, pur lavorando da casa, abbiano voglia, ma soprattutto, bisogno di relazionarsi ad altri nell’ora del pranzo?

Il fenomeno dello smart-working, ormai è un dato accertato, se era cosa gradita fino a qualche mese fa ora sta mostrando tutti i lati negativi dettati dall’isolamento tra le quattro mura di casa.

Infine il delivery: probabilmente diventerà un elemen-

I ristoranti che non aprono più a mezzogiorno

to costante della vita urbana vedere questi ragazzi in bicicletta sfrecciare per consegnare pranzi o cene nelle case ma perché non creare un dialogo tra i ristoratori di un paese o di un quartiere per organizzare un delivery che non sia in mano alle grandi imprese multinazionali? Nel periodo di lockdown era molto più apprezzato il ristoratore di fiducia che ti consegnava la cena a casa rispetto ai vari marchi internazionali. Questo consentirebbe ai ristoranti di aumentare il giro d’affari e la fama del proprio ristorante.

Mantenendo, tra l’altro, una certa vivacità nei quartieri e nei paesi che non guasterebbe di certo. La vetrina accesa di un ristorante offre vita a quel quartiere. Sono solo alcune considerazioni che portano, anche noi distributori del food service, a monitorare con maggior attenzione i cambiamenti in atto nel settore della ristorazione. Il nostro lavoro è strettamente connesso alla vitalità dei ristoranti, cerchiamo di dialogare il più possibile con loro.

benhurtondini@salaecucina.it
L’editoriale
9 | febbraio 2023
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Il confronto Gabriele Bianchi

Tra i primi cinque giovani leader del futuro secondo la classifica ideata da Forbes

Autore: Luigi Franchi Gabriele Bianchi La sfilata di abiti per il servizio di sala svoltasi a Pitti Taste
Clicca e leggi l’articolo sul web 10 | febbraio 2023

28 anni, diploma all’Istituto Alberghiero di Rosignano Solvay (LI), vincitore di Emergente Sala 2019, l’evento creato da Luigi Cremona e Lorenza Vitali, e da quel momento un pensiero fisso: fare del servizio di sala un mestiere importante agli occhi del mondo. Ci sta riuscendo e lo racconta in questa intervista come se fosse un romanzo ottocentesco dove il riscatto è al centro della trama.

Partiamo dagli inizi, Gabriele: perché la scelta di iscriverti a una scuola alberghiera e quali strade hai percorso da allora?

“La mia carriera è ancora tutta da definire dal momento che ho solo 28 anni ma di strada ne ho già percorsa un bel po’, se così possiamo dire. Papà e mamma avevano un bagno sul mare dove, fin da piccolo, a me piaceva servire il caffè agli ospiti. Ci guadagnavo, come mance, i soldini per i gettoni del go-kart. Una piccola fortuna economica per un bambino, oltre al fatto che mi piaceva molto vedere le persone felici quando portavo loro le bevande. Forse è nato tutto in quei momenti, la vita in un posto turistico, le persone gioiose, la possibilità di un futuro unita alla scarsa voglia di passare molto tempo in una scuola: tutto questo insieme di cose mi ha portato a iscrivermi all’istituto alberghiero. Poi la fortuna, perché senza di questa la vita prende le strade più diverse: in terza sostituisco un mio compagno ad un concorso nazionale che prevedeva, come vincita, un tirocinio di due anni all’Enoteca Pinchiorri a Firenze. E vinsi. Non finirò mai di ringraziare i professori del mio istituto, avevano la capacità di trasferire, pur in un programma didattico vecchio e superato che non erano loro a decidere bensì l’istituzione, un elemento intangibile ma fondamentale: la passione. Io non ho mai pensato, grazie a loro, di fare altro che non fosse la sala”.

A quell’età all’Enoteca Pinchiorri è stato davvero un incredibile colpo di fortuna. Cosa hai ricavato da quell’esperienza? Così giovane ti ha consentito di capire dove eri collocato? In uno dei ristoranti più famosi nel mondo?

“L’ho imparato stando lì. Avere come maestro Giorgio Pinchiorri significa scoprire che, in una sala di un ristorante, ci passa un mondo intero e tu sei, anche se per le poche ore in cui si svolge il rito, uno dei conduttori del viaggio. Da lui ho avuto un grande insegnamento: la conoscenza di me stesso, di cosa potevo fare per le persone che avevano scelto quel viaggio. Per trasmettere emozione al commensale dovevo prima di tutto capire se ero in grado di farlo con sincerità e, per questo, mi diceva sempre Giorgio, “devi conoscerti, devi trasformare i tuoi piccoli difetti in capolavori. La tecnica va bene, ci mancherebbe, ma è la parte umanistica che devi far emergere”. E così ho fatto, giorno dopo giorno; la livornesità mi ha aiutato, non lo nego”.

Poi sei ritornato a scuola; cosa hai ricevuto dalla scuola alberghiera? Cosa, invece, preferisci dimenticare, se c’è, e cosa manca nella didattica?

“Ho già spiegato come i miei professori sopperissero alle mancanze di una didattica troppo vecchia, grazie alla passione che sapevano infondermi. Loro mi hanno rivelato i pro e i contro di questa professione già in fase di formazione ed è lì che ho imparato ad amare questo

11 | febbraio 2023

mestiere. Cosa manca? Una proposta ministeriale che è quasi totalmente da cambiare; penso, ad esempio, ai food paring alternativi: io ho introdotto, nei miei servizi attuali tè, tisane e kombucha abbinati a piatti sacri della cucina italiana e ne ho ricavato il mio primo libro - Cacio pepe e kombucha – ma anche temi come la divisa vanno affrontati con la leggerezza e il gusto del terzo millennio. Basta con il cravattino nero, la camicia bianca, il tovagliolo sul braccio. Non corrispondono più a come deve presentarsi un giovane, in ogni momento della sua vita. Nonostante ciò voglio dire una cosa importante: la scuola alberghiera non ha niente da invidiare a un liceo se pensiamo però che dietro al cibo ci sono persone, se diamo al cibo il giusto valore, economico e sociale, se ricordiamo che la ristorazione e il turismo rappresentano quasi il 15% del PIL nazionale”.

Barba e capelli tagliati, divisa si e divisa no, formalità o informalità nel servizio. Sono questi gli argomenti di un dibattito che non coglie l’obiettivo finale: come e cosa deve essere oggi un bravo cameriere?

“Hai perfettamente ragione, questi sono argomenti fuorvianti molte volte. Vedi, ti racconto la mia seconda importante esperienza; l’ho fatta in un ristorante della costa livornese, La Pineta del compianto Luciano Zazzeri. Ero molto timido a quel tempo e Giovanni e Roberto Vanni, rispettivamente maître e sommelier, mi prendevano sempre in giro. Erano due fratelli gemelli e si scambiavano il papillon per farmi impazzire nel riconoscerli, e un giorno risposi davanti ai clienti. Da quel momento ho eliminato la timidezza e tirato fuori la mia personalità. È questo che voglio dire: esiste la personalità, non la barba o i capelli da tagliare, e tramite la personalità anche una

barba curata non è più un problema. Con la personalità scegli la divisa che può essere anche un semplice jeans con un grembiule davanti, ma che abbia identità. Tra le cose che ho già fatto, in questi pochi anni, c’è stata la prima sfilata della mia collezione di abiti professionali pensati per il servizio di sala, a Taste lo scorso anno. In sala ciò che davvero conta è l’empatia, e soprattutto la capacità di indirizzare l’ospite, consigliarlo per il meglio in base alla sua serata, all’umore, alla compagnia con cui si trova in quell’occasione. Dimentichiamo troppo spesso il ruolo fondamentale di chi sta in sala: quello di incrementare, con la propria esperienza, il fatturato del ristorante. Come deve essere oggi un bravo cameriere? Deve avere sorriso, empatia, curiosità, amore per la materia, voglia di assaggiare, voglia di studiare i gusti e i bisogni delle persone”.

Andiamo avanti con le tue esperienze dove, mi par di capire, hai fatto tesoro di ogni singola prova?

“Esatto! La terza è stata con i fratelli Cerea, a St. Moritz e a Brusaporto. Da loro ho acquisito la consapevolezza di quanto sia importante il servizio italiano di sala. Perché italiano? Per la maggior apertura al dialogo, meno impostato rispetto a quello francese. Con i Cerea si è creato un rapporto di amicizia che perdura. Poi è stata la volta di Emergente Sala. Quando ho vinto, nel 2019, ho capito che dovevo fare qualcosa di più per dare valore a questo settore della ristorazione, dovevo dare la giusta importanza a quel Premio inaspettato, al lavoro che persone come Luigi Cremona e tu, con questa rivista che mette Sala come prima parola, state portando avanti da anni. Da lì è cominciato il percorso che oggi mi consente di essere il miglior cameriere d’Italia e uno dei cinque giovani

12 | febbraio 2023

leader del futuro secondo la rivista internazionale Forbes. Tutto è però accaduto mentre la pandemia cambiava il mondo. Che fare? Usare gli unici strumenti possibili in quel momento: quelli mediatici. Ho aperto un canale Instagram che oggi ha circa 22.000 follower, sono andato in televisione a diversi programmi – Detto Fatto, Domenica In, La vita in diretta – diventando uno dei primi a parlare di sala in tv. E lì ho scoperto che le cose che dicevo, il linguaggio un po’ irriverente, da buon toscano quale sono, piacevano. Da quella prima esperienza in pieno lockdown è nata la Bianchi Hospitality Management, una società di consulenza che oggi conta 25 strutture a cui offro consulenza e recruiting, con 3.500 profili professionali custoditi nella nostra banca dati”.

Qui sorge spontanea la domanda: come risolvere la crisi di personale che investe il mondo della ristorazione?

“Innanzitutto occorre eliminare un sentimento divisivo che ha connotato la ristorazione per un lunghissimo periodo: l’invidia. È necessario che il settore si unisca, parli una sola lingua, faccia squadra. Solo in questo modo otterrà l’attenzione che merita. Poi è necessario che una professione come la sala diventi attraente per chi decide di perseguirla. Gli chef lo hanno fatto e i risultati si vedono. Tra le cose che devo fare c’è in essere un programma televisivo sulla sala e qualcosa smuoverà. E poi è necessario smetterla di farci autogol da soli, smettere gli atteggiamenti dittatoriali che ancora governano i ristoranti. Un lavapiatti e un comis devono avere il valore che meritano. Anche nei colloqui per assumere si deve dare importanza al lato umano delle persone. È necessaria la trasparenza, dire a un cameriere che quel tavolo ha speso di più grazie alla sua bravura, eliminare il muro che ancora, purtroppo, esiste tra sala e cucina, pagare il giusto alle persone. Soprattutto chiedere scusa alle migliaia di giovani che hanno approcciato a questo mestiere e sono stati trattati come pezze da piedi.

Molto chiaro e tu hai dato vita a un progetto, tra i tanti che passano per la tua testa, che hai definito Rivoluzione Sala. Me ne parli?

“Nel famoso 2019 di Emergente Sala il pensiero che mi perseguitava era uno: far capire che può essere figo lavorare nella sala di un ristorante. Da quel momento ho cominciato a contattare le scuole alberghiere per capire se accettavano alcuni miei interventi. Oggi sono le scuole che mi chiamano, ho un calendario fittissimo di incontri, sono ormai centinaia le scuole dove vado a raccontare, con un linguaggio nuovo, la bellezza e la straordinaria varietà che questo mestiere offre. A volte la scuola ha solo bisogno di una mia testimonianza, altre volte partecipo alla definizione del programma didattico, altre ancora sono semplici colloqui con il personale docente ma sempre, sempre, i ragazzi e le ragazze mi chiamano dopo

per mantenere un contatto aperto”.

Parlando di scuola cosa pensi dell’alta formazione, con corsi che costano come veri e propri master, dai 10.000 euro in sù?

“La risposta è: perché devo pagare 20.000 euro per andare a fare il cameriere, mestiere pur sempre artigianale? Mestiere dove ciò che conta oggi sono gli extra per come si sta evolvendo, e in alcuni casi involvendo la ristorazione? Io vengo da una famiglia che non si poteva permettere questo. E io non potevo permettermi il prestito d’onore per una scuola di alta formazione che ci avrei impiegato i primi tre anni di lavoro a restituire. Meglio, molto meglio, avere mille euro per andare a cena in tre ristoranti stellati e vedere come si muovono in sala. Può apparire banale come risposta ma non lo è. Esistono le scuole alberghiere, esistono degli istituti professionali parificati, e so che voi ne parlate più di qualsiasi altra rivista, dove si insegna benissimo questa professione a costo zero. Io aprirò, a Milano, una mia scuola dove si farà integrazione di ciò che si è già imparato all’alberghiero, ma non avrà mai quei prezzi di adesione. La formazione e l’istruzione devono essere libere!”

L’ultima domanda Gabriele: oggi sei anche general manager di un hotel cinque stelle lusso a Martina Franca (TA): come ci sei arrivato e cosa offre quella città?

“Ci sono arrivato per amore: la mia fidanzata ha il padre che gestisce questo hotel – San Martino è il nome – e questo è il motivo principale. Poi però, in questo ruolo, sto imparando a governare i miei istinti, a ragionare su cosa è davvero necessario per far andare avanti la struttura che mi è stata affidata. La Val d’Itria è bellissima e ancora poco conosciuta ma offre davvero tanto: le persone, la cultura e la storia qui hanno grande valore e l’ospitalità che intendo mettere in pratica dovrà tenere in massima considerazione questi valori”.

13 | febbraio 2023

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Il pluristellato ristorante Noma di Copenaghen chiuderà nel 2024. Come riporta il New York Times, lo chef René Redzepi ha preso questa decisione perché i costi del locale non sono più sostenibili, così come i ritmi di lavoro. L’idea dello stop è stata “accarezzata negli ultimi due anni e si concretizzerà nel 2024”. Il Noma (acronimo di Nordic Mad, che significa “cibo” in danese) di Copenaghen è diventato famoso per i suoi menù basati totalmente sui prodotti scandinavi. È stato aperto nel 2004 e lo chef Redzepi lo ha portato ad essere giudicato per cinque volte il miglior ristorante del mondo secondo la classifica The World’s 50 Best Restaurants (nel 2010, 2011, 2012, 2014, 2021). Nel 2021 è stato insignito della terza stella Michelin. Per un tavolo al Noma la lista d’attesa arriva a sei mesi. I segnali che qualcosa non funzionasse erano già stati inviati qualche mese fa, durante la premiazione dei 50 Best Restaurants ad Anversa, lo chef aveva affermato pubblicamente che il lavoro in un ristorante come il suo richiede una fatica enorme e retribuire in maniera giusta un centinaio di dipendenti, a quei livelli, non è praticabile. Nonostante la smentita su possibili cause di fallimento legate alle denunce da parte degli ex collaboratori o all’impossibilità di vincere altri premi, di certo qualcosa è andato storto nel modello di business nordico. Cosa possiamo imparare dal caso Noma? Possiamo trarre tre lezioni. La prima è che non è vero che un posizionamento alto, si traduce immediatamente in successo. Troppo spesso confondiamo la visibilità su media e social media, con il risultato di un’impresa. Il successo imprenditoriale, se esiste, è sicuramente la capacità di avere un business sostenibile, duraturo, in grado di reggere nei numeri, oltre che nei followers o nelle stories su Instagram. Ogni impresa ha senso se trova un ecosistema di clienti che la sostiene nel tempo. La seconda lezione è che fare impresa è qualcosa che richiede un grande uso del sistema 2, ovvero della capacità di pensare lentamente, per dirla con le parole del premio Nobel Daniel Kahneman. Logica, matematica, pensiero, riflessione. Un’azienda non è solo mar-

Il caso NOMA, tre lezioni per chi fa impresa

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keting e creatività. Un’azienda non è solo duro lavoro. O meglio marketing, creatività e tanto lavoro non bastano. Ogni impresa deve conoscere i propri numeri. L’improvvisazione e non sapere i dati della propria azienda non permette alcuna pianificazione, indipendente dal posizionamento di mercato in cui si opera, porta dritti alla chiusura, chiunque tu sia. La terza lezione è che un imprenditore sul mercato da tanti anni è una persona straordinaria. Nessuno glielo dice mai, ma questa è la verità. Lo confermano le neuroscienze. Una recente ricerca realizzata dai ricercatori Shabbir e Kassim, pubblicata sul Journal of neuroscience, ha dimostrato che gli imprenditori di successo hanno un cervello “anti-fragile”. Ovvero quando arriva un una difficoltà, basti pensare al covid, non si rompono, ma cambiano e ripartono diversamente da prima. Sono persone dotate di perseveranza e tolleranza allo stress molto superiori alla media. E soprattutto sono in grado di pensare ed immaginare scenari futuri. Il caso NOMA pone 3 domande: sei sicuro che il tuo posizionamento sia perfetto? Quand’è l’ultima volta che ti sei fermato a pensare come migliorare il tuo locale? Quando è l’ultima volta che ti sei fatto i complimenti? Sappi che te li meriti!

La neurovendita
15 | febbraio 2023

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Il prezzo di un olio extra vergine di oliva di alta qualità è veramente sostenibile sul piano economico? Non a tutti è chiaro questo aspetto. Le scelte effettuate dal ristoratore sono ritenute coerenti da chi acquista l’olio, ma non sempre sono giudicate come le migliori possibili da chi invece l’olio lo produce. Da qui la domanda su quanto effettivamente incida il costo di una fornitura di olio per un ristorante. Domanda la cui risposta non è semplice, perché dipende dal tipo di ristorazione e dagli impieghi cui l’olio è destinato. Intanto, a scanso di equivoci, va precisato che rispetto al passato la selezione degli oli è più accurata e differenziata. Un tempo si trovavano sui tavoli oliere inguardabili, con oli ossidati e in alcuni casi perfino rancidi. C’è stato un salto di qualità decisivo. Anche le stesse aziende produttrici curano meglio l’offerta qualitativa rispetto a un tempo. Sono cresciuti, migliorando nettamente, sia i produttori, sia i ristoratori. Visto il quadro generale in atto, è bene insistere e richiedere un maggiore impegno da entrambe le parti: acquirenti e fornitori. Si tratta soprattutto di superare antichi e non sempre risolti pregiudizi intorno all’idea degli alti costi degli extra vergini. Non è così. Se il problema di molti è risparmiare, va benissimo, ma occorre farlo con giudizio. Con gli oli destinati alla cucina, per cotture e fritture, è più facile: non occorrono in tal caso livelli di eccellenza, visto che le alte (e/o prolungate) temperature comunque degradano un olio di per sé resistente. È sufficiente una qualità media, o anche una qualità entro i termini di legge, purché, insomma, l’olio non presenti difetti sensoriali che compromettano il sapore degli altri ingredienti. Per ciò che concerne le fritture, peraltro, c’è oggi l’imbarazzo della scelta: ci sono oli progettati su misura, frutto di un mix accurato di più tipologie, pensate allo scopo di reggere bene alle alte temperature. Oltre alla gamma degli oli da olive, che restano sempre al top, va segnalato l’olio di girasole ad alto contenuto oleico. L’importante è che la scelta venga fatta con la massima attenzione. Sarebbe anche utile segnalare nel menu l’olio, o gli oli utilizzati. Quanto agli extra

Quanto incide il costo dell’olio sui conti di un ristoratore?

vergini da presentare sui tavoli, o quelli utilizzati in cucina per la finitura di un piatto, l’incidenza del costo resta di fatto un falso problema: è un errore di percezione. In tanti ritengono che un extra vergine di alta qualità incida sensibilmente sui costi del ristorante, per cui tendono a farne a meno e preferire uno più economico, secondo il concetto che un olio vale l’altro e sia sufficiente in etichetta la categoria merceologica “olio extra vergine di oliva”. È una tendenza diffusa, ma sbagliata: non tutti gli extra vergini sono uguali. Faccio un esempio. Abbiamo due opzioni: un extra vergine da sei euro al litro, di qualità basica, oppure uno da 24 euro, di qualità eccelsa. Nell’ottica del risparmio si propende per la prima soluzione, visto che l’obiettivo è condire. Però, a conti fatti, ha davvero senso credere in questo illusorio risparmio, visto che per condire una porzione di dentice o branzino sono necessari appena 10 ml di olio Evo? Quanto inciderà mai tale costo? Considerando le quotazioni di mercato dei due pesci citati, non è da ritenere insulsa la sola idea di ricorrere a un generico extra vergine? Occorre riflettere molto sul difetto di percezione, molto comune tra gli operatori del settore. Ha senso dunque optare per un olio senza grazia solo per ottenere un risparmio di pochi centesimi per ogni singolo piatto?

L’olio al centro Clicca e leggi l’articolo sul web 17 | febbraio 2023

LA RETE DEI RISTORANTI ETICI

2023

LA RETE DEI RISTORANTI ETICI

È un progetto

che vuole dare valore ai ristoranti che abbiano l’etica del lavoro.

Per saperne di più amodo.salaecucina.it dove si può inviare la scheda di adesione

Il Se vi chiedessimo quali sono i punti di forza dell’hotel, certamente in molti risponderebbero che uno di questi è il breakfast. Che, non dimentichiamolo, è anche uno dei fattori che determinano la scelta del soggiorno da parte degli ospiti. Nonostante questo, la colazione è spesso sottovalutata nella promozione dell’albergo. Ma se si tratta di uno dei servizi più ricercati, recensiti e determinanti nella scelta, perché non darle la giusta visibilità online?

La maggior parte dei siti degli hotel relegano il breakfast a una semplice voce nell’elenco servizi. Al massimo si limitano a mostrare foto di brioches e caffè. Molto raramente la colazione ha diritto a una voce di menù e a una pagina tutta sua. Dopo aver allestito il buffet, organizzate un servizio fotografico che valorizzi al massimo colori, ricchezza, varietà e artigianalità del vostro breakfast, pubblicate le foto su una pagina del sito che sarà dedicata esclusivamente a questo servizio e descrivete con cura i dettagli e le caratteristiche dei prodotti. Mettete un link alla pagina nelle email di preventivo, per mostrare ai potenziali clienti il vostro bellissimo breakfast. La comunicazione dovrà far venire l’acquolina in bocca agli utenti e sarà molto utile a promuovere e a vendere meglio l’hotel. Una raccomandazione: le foto devono essere veramente “golose”. Valorizzatele con filtri (con attenzione a non alterarne troppo le caratteristiche cromatiche) e inquadrature particolari, descrizioni a effetto e… con gli hashtag giusti! Ma oltre agli hashtag ufficiali dell’hotel, quali sono i più indicati da utilizzare quando si parla di breakfast?

• Potete inserire tutti gli hashtag del mondo, ma se non vi localizzate sarà tutto completamente inutile. Non solo: inserendo l’hashtag della città i vostri contributi si renderanno visibili all’interno di conversazioni in cui altri utenti stanno parlando proprio di eventi e cose da fare nella vostra zona.

• #breakfast potrebbe sembrare un hashtag troppo generico e ridondante, dal momento che probabilmente state postando proprio dal profilo aziendale dell’hotel, ma è invece molto utile per chi sta cercando una struttura che si differenzi per la colazione nella vostra zona. Utilizzando quindi  #brea-

vede su web e social

kfast + #yourcity, i vostri contenuti avranno maggiori probabilità di apparire tra i risultati di ricerca.

• Le esigenze dei clienti sono sempre più specifiche. Mentre vanno diffondendosi stili di vita vegetariani e vegani, sono purtroppo in costante aumento problematiche legate alle intolleranze alimentari. Se il vostro breakfast propone anche menù attenti alle esigenze di queste e altre nicchie, è importante utilizzare l’hashtag che informi i potenziali clienti circa questa possibilità, dal momento che per molti rappresentano condizioni necessarie e imprescindibili nella scelta dell’hotel.

In ultima analisi, avete mai pensato di dedicare campagne social o Google Ads proprio alla colazione?

Noi abbiamo raccolto un po’ dei dati sul breakfast rilasciati da Hotel.info che mostrano le ultime tendenze e le preferenze di ospiti da tutto il mondo. Su un campione di 1200 intervistati, alla domanda “Quanto è importante per te la colazione in hotel?” L’83% ha risposto che è molto importante. Il 91% preferisce consumare il primo pasto della giornata direttamente in hotel piuttosto che in altri locali. Allora perché non farne un punto di forza? Quelle legate al breakfast sono tendenzialmente keywords con alti volumi di ricerca ma bassa competitività. Questo significa che le vostre campagne potrebbero essere molto performanti e, allo stesso tempo, convenienti.

Il buongiorno si
L'ospitalità
Come promuovere al meglio la colazione in hotel.
19 | febbraio 2023
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CONDIBURRO TERRE NOBILI

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Sono ottimi alleati in cucina per donare un profumo inconfondibile di tartufo ad ogni tuo piatto !

La digital trasformation

L’aspetto digitale non dovrebbe più essere considerato solo un elemento aggiuntivo da implementare all’interno dell’organizzazione.

Da tempo infatti il digitale è già parte integrante dell’esperienza del cliente, dalla prenotazione fino al pagamento, una vera e propria dematerializzazione della componente fisica che rende i processi più fluidi abbattendo i tempi e i costi.

È indubbio che il 2023 sarà un altro anno difficile a causa del persistere dell’inflazione e dei rincari energetici. Proprio per questo motivo sarà necessario adottare strumenti che permettano di monitorare i risultati da una parte e colmare il divario tra le aspettative dei clienti e ristorante dall’altra.

Ecco cinque strumenti essenziali che i gestori dovrebbero avere per vincere le prossime sfide del 2023:

1) Punto cassa evoluto

C’era una volta il registratore di cassa che si occupava solo di emettere documenti fiscali e di gestire gli incassi. Grazie al cloud oggi esistono in commercio punti cassa evoluti con tantissime altre funzioni per efficientare la gestione di un locale: dall’organizzazione dei tavoli e delle comande ai menu digitali, dal magazzino al delivery. Un punto di raccolta di migliaia di dati che si trasformano poi in oro per la propria attività.

2) So ware per la cantina

La cantina è una fonte importante di reddito ma gestirla a mano è davvero difficile oltre che time consuming. Un so ware ad hoc invece contribuisce a snellire i passaggi gestionali oltre ad avere la situazione sempre sotto controllo. Una visione aggiornata e completa delle giacenze e dei consumi permette di essere molto più efficaci nelle scelte aziendali in particolare riguardo alla ottimizzazione degli acquisti

3) Prenotazione online

La prenotazione online è sempre più un must per i clienti, soprattutto il sabato e in occasione di particolari eventi come partite di calcio o festa della mamma / del papà. E spesso le richieste arrivano in orari

Cinque strumenti digitali per una sala moderna

particolari, momenti in cui lo staff è molto occupato. Risulta quindi fondamentale per il ristoratore avere a disposizione una soluzione che consenta di gestire in maniera automatizzata questo processo non solo per evitare di perdere eventuale revenue ma soprattutto per fidelizzare i clienti. Alcuni tool infatti consentono, oltre a questa funzione, anche di importare i contatti tramite il wi-fi, aumentare il numero di recensioni e molto altro ancora!

4) Pagamenti digitali

Nel 2022 la spesa media dei sistemi di pagamento contactless e mobile ha raggiunto i 405 euro di media per consumatore. L’utilizzo di questi strumenti non solo è utile per agevolare i clienti ma serve anche per accorciare i tempi di pagamento e diminuire le code. Ad esempio inserendo un QR code sul pre-conto, il cliente potrà pagare con il suo metodo preferito, direttamente dal tavolo e in totale autonomia.

5) Controllo di gestione

Erroneamente questa delicata mansione viene sottovalutata o delegata al commercialista. Di conseguenza certe problematiche saltano fuori solo all’ultimo momento quando ormai è troppo tardi. Digitalizzando questo processo invece i flussi sono visibili in tempo reale, consentendo al gestore di avere il controllo dei dati ed intervenire subito.

21 | febbraio 2023
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La

Il turismo enogastronomico

Un (potenziale) buon amico del ristoratore e della sostenibilità

Negli ultimi anni, specie dopo la pandemia, quante volte avrete sentito dire che “l’Italia potrebbe vivere di turismo”? Una convinzione che prima era appannaggio solo di alcuni addetti ai lavori e ora si è diffusa anche nel linguaggio corrente.

Anziché farle eco tento, nelle prossime righe, di analizzarla… e contestarla.

Stiamo davvero dando il meglio?

Vivere di turismo per un Paese significa avere il turismo come elemento di traino, quindi poggiare su un impianto ricettivo solido e porre all’attivo un sistema di relazioni, collaborazioni, infrastrutture, progettualità. Pilastri che in tantissime aree del nostro Paese, purtroppo, ancora mancano. Per di più le aree più carenti sono le medesime in cui il potenziale turistico è elevatissimo, come ci rivelano i numeri relativi al Sud Italia o alla dorsale appenninica.

C’è chi sostiene che il bello dell’Italia sia anche questo, ma ne siamo davvero convinti?

Le domande da porsi sono parecchie. Siamo davvero sicuri che affrontare strade impervie e dissestate per raggiungere un produttore sia sinonimo di piacere per il visitatore? E che non trovare l’insegna di quel produttore, o non disporre di un luogo adatto in cui prolungare la sosta una volta terminata la visita, sia motivo di ritorno?

Ancora: siamo certi che le nostre strutture alberghiere e i nostri ristoranti siano sempre all’altezza dei bisogni dell’ospite? E che i nostri sistemi di ospitalità riescano davvero a veicolare al viaggiatore l’iden-

riflessione Clicca e leggi l’articolo sul web

tità di un territorio e di una comunità?

Non è così infrequente sentire ristoratori e albergatori decantare il modo italiano di accogliere, eleggendolo come il migliore al mondo. Anche se fosse (ed è comunque da stabilire, soprattutto a livello manageriale), possiamo permetterci di trascurare l’ammodernamento delle nostre risorse perché ci consideriamo bravi ad accogliere?

Il turista enogastronomico, questo sconosciuto

Uno dei problemi rilevanti nel settore del turismo italiano è l’inconsapevolezza degli attori coinvolti. Prendiamo in esame il comparto che ci tocca da vicino, quello del turismo legato al cibo e al vino. Si sentono molte approssimazioni tra i ristoratori, a cominciare dalla definizione di questa figura per certi versi semi-sconosciuta. Chi è il turista enogastronomico? È colui che sceglie la destinazione di viaggio mettendo al primo posto l’interesse per l’enogastronomia.

Pensate che vantaggio, viene apposta per voi! Ma non è detto che vi conosca…

In alcuni casi il turista esprime un’intenzione precisa di visita, con una meta enogastronomica (un ristorante, una cantina, ma anche una bottega, un’attività produttiva..) definita prima della partenza, con indirizzo alla mano e prenotazione anticipata nella casella di posta. In altre circostanze - quelle del viaggio step by step, approccio molto diffuso per chi si sposta in auto o in camper - la scelta avviene d’istinto o per coincidenza.

Di interesse per il ristoratore dovrebbero essere entrambe le tipologie di ospiti; dovrebbe fasi intercettare puntando congiuntamente su strategie offline e online adeguate.

Capita invece di vederne una trascurata più dell’altra e che non si riesca dunque a massimizzare le potenziali-

tà della vostra attività o del territorio in cui vi trovate. L’altro errore in cui incappano ancora molte figure dell’ospitalità è considerare il turista gastronomico con un profilo omologato; con esigenze, propensioni, background sempre uguali. Anche quando si parla di turista enogastronomico bisogna differenziare.

Gourmet, foodie, lifestyle, turista enologico, turista con bisogni speciali (che includono sistemi alimentari, religione di appartenenza…): sono davvero tanti i termini che potrebbero essere utilizzati per categorizzare il turista enogastronomico. E senza questa corretta differenziazione risulta difficile personalizzare l’esperienza dell’ospite, riservargli le dovute attenzioni, elaborare un menu originale e in linea con le sue curiosità, proporre itinerari che possono stupirlo, suggerire altri locali che potrebbe provare nella medesima zona, e via discorrendo. Uno strumento utilissimo per ragionare su tutto ciò è il Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano stilato da Associazione Italiana Turismo Enogastronomico. Si tratta di una copiosa raccolta di definizioni e dati che possono rivoluzionare il vostro modo di concepire l’accoglienza.

Villa Petriolo, esempio di

riuscita integrazione enogastronomica

Diventa inoltre interessante indagare l’esperienza di una struttura che ha fatto, dall’apertura avvenuta nel 2019 ad oggi, dell’attenzione all’ospite un elemento fondamentale in tutti fasti dell’accoglienza, e delle sinergie enogastronomiche un aspetto attrattivo determinante. Villa Petriolo sulle colline di Cerreto Guidi (FI) è diventata a inizio 2023 il primo agriturismo in Europa a ottenere la certificazione di Turismo Sostenibile Iso 21401 Ad attribuirle tale riconoscimento è stata Valoritalia, società leader nella certificazione agroalimentare in Italia; un traguardo che si aggiunge a quello già acquisito di

23 | febbraio 2023
Vista su Villa Petriolo, il podere

massima sostenibilità ambientale (best sustainable place) emesso da Save the Planet. Questa villa, adornata di arredi cinquecenteschi appartenuti alla famiglia Albizzi-Alessandri, ristrutturata dall’imprenditore messicano Ector Quadra, è in realtà un ampio podere circondato da cipressi, uliveti, campi di cereali coltivati con agricoltura rigenerativa; siti di apicoltura; spazi per gli animali che qui pascolano allo stato semi brado. Una delle particolarità - assieme alle bellissime suite, al paesaggio rilassante, alle scelte per ridurre l’impatto ambientale - è la centralità delle produzioni del podere all’interno dell’offerta ristorativa della struttura. La ristorazione di Villa Petriolo è guidata dallo chef Stefano Pinciaroli che conduce il ristorante gastronomico PS Ristorante e l’osteria Golpaja, comprese le prime colazioni. Miele, salumi, farine, olio: la maggior parte delle materie prime impiegate vengono autoprodotte e gli ospiti possono toccare con mano il luogo in cui nascono, vedere con i propri occhi chi si reca nei dintorni per coltivare o governare gli animali.

Ci racconta Stefano Pinciaroli: “In Villa Petriolo non abbiamo mai voluto stravolgere l’identità del territorio che ci circonda ma al contrario valorizzarlo entrandoci in simbiosi. Non sono solo le macro-scelte, come la produzione biologica, l’attenzione al non spreco e al recupero, a connotare l’attività, ma anche i tanti dettagli di cui ci prendiamo cura. A colazione non serviamo i croissant, per esempio, ma le torte fatte in casa, le nostre marmellate, il salato. Non è semplice quando hai una clientela che ancora non ti conosce ed è abituata a trovare sempre certi prodotti durante un soggiorno tradizionale. Questo è solo un esempio, ma potrei riportavene tanti altri. Abbiamo eliminato, anche dal ristorante gastronomico, i cibi di lusso, come il foie gras, per preferire ingredienti a

chilometro zero. Quasi tutto ciò che viene prodotto viene consumato internamente e questo viene apprezzato moltissimo. Sull’esperienza di Villa Petriolo posso dire che il turista enogastronomico ha molta più cultura alimentare del turista tradizionale. Tanti ristoratori ignorano questo aspetto che risulta essere invece un elemento chiave se si vuole elaborare una proposta specifica. Tutto il nostro staff si impegna a creare delle esperienze apposite per avvicinare anche chi non ci conosce, o consolidare chi ha già pernottato da noi. Abbiamo la fortuna di avere una clientela che viene appositamente, a maggior ragione deve rimanere soddisfatta. Con il turista enogastronomico le opportunità sono tante, basta saperle cogliere e applicare un sistema di lavoro quotidiano, non occasionale”.

Il valore della sostenibilità

Consultando i dati della sopra citata guida alla sostenibilità, pubblicata poco più di un anno fa, emergono due notizie non poco rilevanti per chi si occupa di accoglienza e ristorazione.

La prima: il turista enogastronomico è più sensibile ai temi ambientali e alla sostenibilità rispetto a un turista tradizionale. L’altra è che la sostenibilità si sta affermando, anche tra gli italiani, come driver di viaggio. Perché sono evidenze così interessanti?

L’Italia è uno dei Paesi al mondo più apprezzati per la sua biodiversità gastronomica ed enologica, e dispone di luoghi che potrebbero implementare notevolmente la propria sostenibilità, aumentando l’appeal verso turisti italiani e stranieri.

Da qui in avanti sarà sempre più necessario ragionare su destinazioni di interesse eno gastronomico che siano anche sostenibili.

Significa sicuramente allinearsi al piano europeo Green Deal; attuare una gestione corretta dei rifiuti, delle fonti energetiche, favorire mobilità sostenibili; proteggere il patrimonio culturale, sostenere le comunità locali, promuovere attività all’aria aperta, le esperienze con i produttori; attuare progetti di Farm to Table, proporre bike tour e trasferimenti a basso impatto ambientale, concentrarsi su menu stagionali realizzati con prodotti locali… Puntare insomma a una sostenibilità che non includa solo la dimensione ambientale, ma anche sociale, culturale, energetica...

Termini indispensabili per il nostro futuro e per un Paese che potrebbe vivere di turismo.

Lo chef Stefano Pinciaroli
24 | febbraio 2023
Scopri Villa Petriolo e la sua cucina, a Cerreto Guidi (FI)

Autore: Luigi Franchi

La società italiana al 2022

Il

Molti si chiederanno cosa c’entrano argomenti come quello che stiamo per affrontare su una rivista che parla di ristorazione ma siamo convinti che conoscere la società in cui si vive, anche per imprenditori e lavoratori di uno specifico settore sia oltremodo importante ed è per questo che raccontiamo la società italiana del 2022 attraverso la lente del 56° rapporto Censis

L’acronimo Censis significa Centro Studi Investimenti Sociali, è diretto dal suo fondatore, il sociologo Giuseppe De Rita, e da 56 anni studia il nostro Paese in ogni sfaccettatura possibile, culminante nel rapporto annuale sullo stato del Paese.

Proprio questo 56° rapporto, presentato a Roma nel dicembre scorso, è oggetto di questo articolo, nella parte riguardante la società italiana nel 2022.

“Un’Italia ferma ma che crescerà” racconta Giuseppe De Rita che rilancia con un appello ai giovani: “Restate qui, non è detto che solo all’estero si possa far carriera. Paradossalmente proprio un’Italia in latenza può offrire diverse opportunità, basta impegnarsi per coglierle”.

L’Italia come una betoniera

Non è mai stato un Paese rivoluzionario, dai cambiamenti repentini, l’Italia e, di conseguenza, gli italiani non sono un popolo altamente dinamico, ma come una betoniera, continua a girare producendo il necessario per andare avanti.

Un’immagine molto realistica quella tracciata dal Rapporto Censis che prende le mosse dal Piano di ripresa e resilienza che, se confrontato con un altro piano di ricostruzione, il Marshall del secondo

L’analisi
25 | febbraio 2023
56° Rapporto Censis disegna un quadro di profonda staticità
Clicca e leggi l’articolo sul web

dopoguerra, evidenzia come, nel caso attuale, manchi la mobilitazione, la partecipazione delle persone, degli imprenditori, della politica che, in questo caso, si limita a indicare qualche direzione. Eppure con i tanti soldi che arrivano e arriveranno l’Italia potrebbe tornare ad essere una potenza internazionale come lo fu alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso. Invece viviamo quest’occasione senza passione, senza coinvolgimento, come se gli ultimi anni, con le crisi che si sono susseguite, avessimo preso una superdose di anestesia.

Il 56° Rapporto descrive così lo stato attuale delle cose: “La quasi totalità degli italiani (il 92,7%) è convinta che l’accelerata dell’inflazione durerà a lungo e che bisogna pensare subito a come difendersi. Il 76,4% è convinto che non potrà contare su aumenti significativi delle entrate familiari nel prossimo anno, il 69,3% teme che nei prossimi mesi il proprio tenore di vita si abbasserà (e la percentuale sale al 79,3% tra le persone che già detengono redditi bassi), il 64,4% sta ricorrendo ai risparmi per fronteggiare l’inflazione… È su questo scenario che si innestano novità rilevanti dal punto di vista dell’immaginario collettivo. Assume una valenza socio-politica significativa la ripulsa verso i privilegi di alcuni ritenuti oggi odiosi, con effetti sideralmente divisivi. Gli italiani ritengono particolarmente insopportabili, nell’attuale situazione, i seguenti fenomeni:

l’87,8% l’eccessivo gap esistente tra le retribuzioni dei dipendenti e quelle dei manager; l’86,6% i bonus milionari di buonuscita per i manager, pagati per andarsene piuttosto che per lavorare; l’84,1% le tasse troppo ridotte pagate dai giganti del web; l’81,5% i facili, immeritati guadagni di influencer, personaggi senza un comprovato talento e competenze certe; l’80,8% le remunerazioni milionarie di azionisti e manager; il 79,7% l’incremento boom

dei patrimoni dei super-ricchi; il 78,7% gli eccessi e gli sprechi per le feste delle celebrities; il 73,5% l’uso di jet privati da parte di ricchi paperoni; il 71,0% lo sfrecciare di auto potenti e Suv dai consumi incontrollati; il 70,5% la presenza di piscine e giardini da innaffiare nelle grandi ville private; il 69,4% l’esibizione sui social network di vacanze e viaggi di gran lusso; il 69,3% l’ostentazione di spese stratosferiche per ristoranti, hotel, locali notturni”.

I paradossi di questo Paese

È su questi dati che si innesta un’Italia divisa e divisiva, senza qualcuno - un’istituzione, la politica, la società stessa nelle sue varie forme – che sappia raccontarla per riportare alla luce i valori che, comunque, esistono nel Paese. Valori e persone che rappresentano, forse, la maggioranza silenziosa: quella che fa dell’Italia la nazione dove esiste la più diffusa forma di volontariato sociale, quello stesso che cozza contro un Paese dove a far sentire la propria voce sono solo quelli che urlano contro i neri, gli extracomunitari che ci invadono – 110.000 contro 60 milioni, non facciamo ridere i polli per favore – senza tener conto di un dato inoppugnabile: siamo ancora un Paese artigianale sotto molti aspetti, dove il lavoro richiede molta manualità che si riesce a risolvere proprio grazie a questi derelitti che scappano da miseria, violenza e morte.

Come si può urlare contro persone che, nella stragrande maggioranza dei casi, affrontano veri e propri viaggi della morte per raggiungere un continente – l’Europa –dove, per fortuna, si vive ancora bene nella maggior parte delle sue nazioni?

“Emerge il massificarsi di una ritrazione silenziosa dalla partecipazione ad ambiti costitutivi del vivere civile. Un esempio paradigmatico è il grado di partecipazione

26 |
2023
Milano Porta Garibaldi
febbraio

Le disparità e gli eccessi più insopportabili per gli italiani in questo periodo (val%)

Fonte: indagine Censis 2022

Italiani insicuri sul proprio futuro, 2019 e 2022 (val%)

Fonte: indagine Censis 2019-2022

al momento supremo della vita democratica, cioè il voto elettorale. Alle ultime elezioni politiche del 25 settembre 2022 il primo partito è stato di gran lunga quello dei non votanti, composto da astenuti, schede bianche e nulle, che ha segnato un record nella storia repubblicana: quasi 18 milioni di persone, pari al 39% degli aventi diritto. In 12 province i non votanti hanno superato il 50%. Tra le elezioni politiche del 2006 e quelle del 2022 i non votanti sono più che raddoppiati (+102,6%), e tra il 2018 e il 2022 sono aumentati del 31,2% (quasi 4,3 milioni in più)… L’84,5% degli italiani ‒ di più i laureati (89,2%) e i giovani (87,8%) ‒ si è ormai convinto che vada presa seriamente in considerazione la possibilità che anche eventi geograficamente lontani possano cambiare improvvisamente e radicalmente la propria quotidianità, sconvolgendo i propri destini. Ci introduciamo in una nuova età dei rischi, in cui è finito quello “sciopero degli eventi” che a lungo aveva persuaso le nostre società mature di essere definitivamente al riparo da catastrofi o da situazioni di emergenza estrema. I principali rischi globali in grado di condizionare le vite nel futuro prossimo

Il costo dei grandi eventi della storia: l’inceppamento dei meccanismi proiettivi e la malinconia sociale

Più che una Italia sull’orlo di una crisi di nervi, segnata da diffuse espressioni di rabbia e da gravi tensioni sociali, per ora prevale una vaga mestizia, nella consapevolezza della finitezza soggettiva e dell’impotenza di fronte a quel che sta accadendo. Le grandi narrazioni di ascesa individuale non catturano più: le simbologie mobilitanti del turbo-consumismo sono destituite di vigore. Tra gli italiani ora prevale piuttosto la voglia di essere se stessi, con i propri limiti, ispirandosi a una filosofiadi vita molto semplice: lasciatemi vivere in pace nei miei attuali confini soggettivi.

sono: le guerre per il 46,2% degli italiani, per il 45,0% le crisi economiche, per il 37,7% i virus e le nuove minacce biologiche alla salute, per il 26,6% le instabilità dei mercati globali (dalla scarsità delle materie prime al boom dei prezzi dell’energia), per il 24,5% gli eventi atmosferici catastrofici, con temperature torride e precipitazioni intense, per il 9,4% gli attacchi informatici su vasta scala (tab. 5). Così, il 66,5% degli italiani (oltre 10 punti percentuali in più rispetto al 2019 pre-Covid), dopo gli eventi che hanno stravolto il quotidiano, si sente insicuro pensando al futuro proprio e della propria famiglia: due italiani su tre sono pervasi dall’insicurezza”.

I meccanismi proiettivi della rampante società dei consumi, che spingevano le persone a fare sacrifici per adattarsi, elevarsi, modernizzarsi, arricchirsi e imbellirsi, hanno perso presa e capacità di orientare e stimolare i comportamenti sociali. Gli italiani non sono più disposti a fare sacrifici: l’83,2% per mettere in pratica le indicazioni di influencer, celebrities o altre figure di riferimento; l’81,5% per vestirsi secondo i canoni della moda; il 70,5% per acquistare prodotti di consumo di prestigio, come auto o moto di marca, abiti firmati, telefoni cellulari all’ultima moda, vini pregiati; il 63,5% per sembrare più giovani; il 58,7% per essere o sentirsi più bel li. Inoltre, al 36,4% degli italiani non interessa più sacrificarsi per fare carriera nel lavoro e per guadagnare di più (fig. 7).

È sempre una parte del 56° Rapporto Censis a descrivere l’Italia attuale, ma anche lo scenario futuro, come sostiene Giuseppe De Rita nella presentazione: “L’essere umano che oggi ha un’età tra gli 8 e gli 11 anni si trova in uno stato di latenza ma non è indifferente. All’improvviso viene attratto dal sesso, si innamora, trova le energie che pensa gli servano a cambiare il mondo. Ecco, l’Italia non resterà “bambina” per sempre ma, nella sua lenta crescita, ha bisogno di regole certe”.

Si tratta di una molteplicità di ambiti minuti della vita quotidiana in cui è evidente come oggi appaia più importante accettarsi per quel che si è: nel

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56° Rapporto Censis
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febbraio 2023

Autrice: Simona Vitali

Cosa incide sull’orientamento scolastico (e di vita) dei ragazzi

Vi siete mai chiesti cosa accada nel percorso di studi che i ragazzi affrontano dai 14 ai 18 anni di età?

Quante figure si avvicendino e incidano, nel bene e nel male, sulle loro scelte in un arco temporale importantissimo che determinerà la loro vita? E perché, in diversi casi, arrivati a chiusura del percorso debbano ancora capire quale orientamento prendere o, peggio, vogliano cambiare completamente rotta?

Una volta tanto intendiamo cercare di tracciarlo completo, questo quadro delle responsabilità, e ci accorgeremo che, per un ruolo o per un altro, ciascuno di noi gioca la sua parte.

Perché non ne abbiamo scritto prima? Perché bisogna osservare e studiare, e tanto, per cercare di parlare a ragion veduta. Sono anni che stiamo frequentando attivamente il mondo della formazione in materia di accoglienza ed enogastronomia - dalla scuola dell’obbligo fino al diploma poi al post diploma e alle specializzazioni, nonché scuole di alta formazione, corsi universitari e master - un percorso volto a formare figure professionali idealmente finite, motivate, pronte.

Un continuo prendere nota, da parte nostra, toccando con mano realtà in tutto lo stivale, che non è stato il vezzo di voler semplicemente raccontare esempi virtuosi ma un raccogliere informazioni, elementi

La formazione
Il professor John Keating interpretato da Robin Williams ne L'attimo fuggente 28 | febbraio 2023
Clicca e leggi l’articolo sul web

di riflessione, su ciò che sta accadendo a questo nostro mondo della formazione.

Lo stato delle cose

Non è una novità, ma il dato resta grave e va rimarcato, che i comparti della ristorazione e dell’accoglienza, peraltro trainanti per la nostra economia, stiano soffrendo di una preoccupante carenza di personale che istituti alberghieri e altre realtà preposte alla formazione di settore non riescono a colmare.

È altrettanto innegabile, e lo conferma l’Osservatorio Ristorazione nel suo Rapporto 2022, che si sta registrando un calo di iscrizioni negli istituti professionali, tutti quanti!, a partire dall’alberghiero. Se il dato di riferimento dev’essere il picco massimo di iscrizioni raggiunto, registrato nell’a.a. 2014/2015 (nel pieno boom di Masterchef, per intenderci), siamo felici di dire che c’è almeno un aspetto positivo: si è sgonfiata finalmente quella bolla mediatica che ha illuso e deviato molti studenti.

A questo punto occorre che la marcia la ingrani con urgenza il MIUR con veri e propri interventi, meglio se rinforzi sostanziosi ma ponderati, per un rilancio degli istituti alberghieri (e in generale di tutti i professionali).

A stravolgere si perde tempo prezioso e non è detto che si faccia meglio.

Intanto il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha firmato il decreto che approva le Linee guida per l’orientamento scolastico, riforma prevista dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che, se pensate in modo oculato, dovrebbero essere in grado già di produrre qualche effetto.

Cosa si deve intendere per orientamento scolastico

L’orientamento scolastico altro non dovrebbe essere che un accompagnamento del ragazzo/studente alla cono-

scenza di sé, perché possa arrivare a scegliere il percorso più in linea con le proprie attitudini, senza che qualcun altro decida per lui. E qui sta il problema.

Mentre le Regioni si impegnano a mettere in atto programmi di orientamento rivolti ai giovani dai 12 ai 19 anni di età con un certo approccio metodologico (percorsi di accompagnamento e laboratori orientativi, individuali o di gruppo) ci sono invece altri soggetti che a tutti gli effetti depistano certe scelte dei ragazzi o non le alimentano adeguatamente

Orientamento in entrata: cosa succede in terza media

Solitamente una figura preposta all’orientamento prepara gli studenti alla scelta (test attitudinale e presentazione indirizzi). Tra fine ottobre e inizio gennaio, in vista dell’iscrizione alle superiori (ora denominate scuole secondarie di secondo grado), si apre la possibilità di conoscere direttamente le scuole di interesse, attraverso open day (visita scuola e partecipazione a laboratori di indirizzo). Accade anche che siano le scuole stesse a fare visita agli studenti nelle loro sedi. Ma purtroppo non in modo sistematico e in certi casi su richiesta scritta. Eppure questo “andare verso” si rivela utile per far superare loro i pregiudizi, ricredersi e rivalutare percorsi che avevano già scartato a priori, senza nemmeno avere approfittato degli open day in programma.

In questa fase un grosso ascendente nelle scelte viene giocato dalla famiglia che, nutrendo non infrequentemente certe aspettative – potremmo dire ambizioni – per i propri figli, accade, e non di rado, che non ritenga il professionale idoneo alla brillante carriera che sogna per loro. Di fatto nulla toglie che chi ha veramente la propensione per lo studio scelga di proseguire con l’università anche dopo il diploma alberghiero (e con i brillanti risultati che abbiamo avuto modo di registrare). Al contrario,

29 | febbraio 2023
I sogni dei nostri ragazzi

chi sceglie il liceo, contrae un impegno temporale non indifferente, senza ancora sapere se lo studio a lungo termine sarà la sua strada, con il rischio di interromperla anzitempo.

Quanto agli stessi docenti delle scuole medie, la cui formazione è perlopiù tutt’altro che tecnica e quindi lontana dalla sfera dei professionali, non è infrequente che giochino un ruolo non imparziale nell’orientamento, presentando questi istituti con leggerezza o, peggio, esprimendo parere negativo in merito ad eventuali intenzioni espresse dai ragazzi.

Non possiamo dimenticare il nostro scambio con una docente di lettere, P.G., di un alberghiero veneto che per tanti anni ha insegnato alle scuole medie “L’istituto alberghiero – ci ha confessato candidamente - per me è stato una vera scoperta. Mi sono trovata di fronte a un dinamismo a cui non ero abituata, un nuovo modo di fare scuola che non è il banco. Se penso che io e i colleghi orientavamo i ragazzi alla scelta di questa scuola quando non c’erano più chances... Da quando invece lavoro qui mi sono resa conto che non è vero. L’organizzazione del loro tempo scuola è dilatata su quello che è il mondo lavorativo. È un ambiente dinamico, bellissimo!”.

Anche il gruppo dei pari gioca la sua parte, cioè capita che i ragazzi si condizionino fra loro nelle stesse scelte, per non interrompere la loro frequentazione.

Orientamento in itinere: la scelta dell’indirizzo dopo il biennio di alberghiero

Dopo un biennio in cui sono state approcciate in modo indistinto le materie di tutti gli indirizzi (cucina, pasticceria, sala e accoglienza turistica), giunge il mo-

mento in cui decidere in cosa specializzarsi. A questo proposito la prassidei diversi istituti alberghieri non è uniforme: c’è chi si limita, per un paio di mesi, a implementare le ore professionali ad opera di soli docenti interni e chi attiva corsi professionalizzanti coinvolgendo professionisti esterni.

E qui è interessante rilevare come ci siano ancora scuole che in simili momenti non riescano a vedere l’apporto esterno come un arricchimento ma piuttosto una messa in discussione del proprio modo di operare. Lo abbiamo riscontrato noi stessi e ce lo testimoniano associazioni di cuochi che, nel dare la loro disponibilità a fare attività con i ragazzi non sempre trovano le porte della scuola aperte. E qui il pensiero va a quei dirigenti che osteggiano gli ingressi per loro presa di posizione e/o per ovviare a rivoluzioni interne.

In questa fase sulle scelte degli studenti molto giocano anche i docenti di laboratorio che li hanno accompagnati nel biennio: quelli più appassionati, capaci a loro volta di appassionare, ma anche quelli che con insistenza si sbilanciano nel consigliare l’indirizzo della materia insegnata. È già attivo inoltre il percorso dell’alternanza scuola-lavoro (ora definita PCTO, con qualche variante) che accompagnerà gli studenti fino al diploma e che si concretizza, oltre che nel prestare servizio ad eventi/ iniziative esterni o organizzati dalla scuola, anche in tirocini presso ristoranti e strutture ricettive. Qui le figure di riferimento diventano i datori di lavoro: chef, pasticceri, direttori di sala, direttori d’albergo. Questi non infrequentemente dimenticano di dovere anche loro giocare il ruolo di formatori, capaci di stimolare la crescita professionale dei ragazzi e non usarli meramente per mansioni di comodo. A ben pensare, con la carenza che

I dubbi

c’è di personale, questa è un’ottima occasione per iniziare a costruire relazioni che possano rivelarsi durature, investendo su chi si incontra. C’è chi lo ha capito e chi ancora no. È poi chiaro che le esperienze negative lascino il loro segno e possano determinare esse stesse allontanamenti che suonano come vere e proprie perdite, di cui non abbiamo bisogno.

Orientamento in uscita: il post diploma

Arriva l’agognato quinto anno e insieme uno sforzo di proiezione, da parte dei ragazzi, sul proprio futuro. Le Regioni, la scuola riaccendono la macchina dell’orientamento.

Così c’è chi arresterà la sua corsa, optando per il mondo dellavoro, non infrequentemente altro rispetto agli studi intrapresi. Un impegno di troppe ore, molto tempo libero sacrificato e uno stipendio che non giustifica tutto questo fanno optare per lavori più remunerativi.

C’è poi chi proseguirà con l’Università o con corsi di Alta Formazione. Ma c’è anche chi sceglierà di seguire percorsi formativi di specializzazione tecnica (ITS e IFTS) pensati per chi desidera inserirsi in aree lavorative considerate prioritarie per lo sviluppo e la competitività del Paese (efficienza energetica, mobilità sostenibile,

turismo, manifattura, tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Agli studenti viene garantita una formazione pratica (una bella selezione delle materie, il 50% dei docenti è fatto di professionisti di settore e sono contemplati stage e tirocini formativi in aziende). Questo inevitabilmente ci genera una domanda: bisogna arrivare a un post diploma per scoprire che esiste un modello di formazione – che abbiamo testato in commissioni d’esame verificandone l’efficacia sui ragazzi - che farebbe così bene innestare già dai professionali?

Ciò non toglie che gli IFTS in particolare rappresentino un ottimo strumento per giovani e adulti che intendono entrare qualificati nel mercato del lavoro o reinserirsi con l’acquisizione di nuove competenze e quindi non vadano, a nostro avviso, messi in discussione.

Ma siamo altresì convinti che un certo imprinting vada dato all’inizio di un percorso di formazione scolastica e non alla fine quando non è improbabile che si siano perse per strada preziose risorse!

E infine, sappiamo bene che c’è chi per fortuna non si troverà nel quadro sopra delineato. Significa che è un caso virtuoso – e anche questi abbiamo incontrato. Ma delle migliori trovate da cui prendere spunto, ne parleremo nel prossimo numero.

Quale direzione? Fare centro Il cammino

Il territorio e la ristorazione

Autrice: Antonella Petitti

Locanda Mammì

Il Molise esiste, anche in tavola

“Questo luogo è parte integrante del mio essere, non ho mai pensato di poterlo abbandonare”. Quarant’anni ed un carattere forte e coraggioso, Stefania di Pasquo non ha mai avuto dubbi sul valore del territorio in cui è nata. Sarà perché è cresciuta nella casa di fine Settecento, appartenuta al papà di sua nonna, tra le campagne molisane.

Appena fuori Agnone, dieci anni fa nasce Locanda Mammì. È figlia della sua passione per la cucina ed il mondo dell’accoglienza, seppure ci sia voluto tempo per comprenderlo. Prima una laurea in Scienze Manageriali all’Università di Pescara, poi l’idea ‘matta’ di frequentare l’Accademia di alta formazione di ristorazione e cucina di Niko Romito

Il destino sceglie strani percorsi per manifestarsi: Stefania entra nella prima classe della scuola dello chef abruzzese nel 2011, inaugurando un percorso formativo che è ormai un riferimento in Italia.

“Avevo cominciato a lavorare nell’azienda di famiglia che si occupava di edilizia, fin quando non abbiamo deciso di ristrutturare la casa di campagna di nonna. Ho subito pensato che mi sarebbe piaciuto accogliere persone, creare un B&B. Ma, nel corso dei lavori, ha preso sempre più corpo il desiderio di poter anche cucinare per loro. Ecco che venire a conoscenza dell’apertura della scuola di Niko Romito è stato come un segno, che ho colto al volo”.

Terminati gli studi e un periodo di stage proprio al Casadonna Reale a Castel di Sangro, Stefania rientra ad Agnone con nuove consapevolezze e grandi sfide: rappresentare il suo territorio in tavola, rivisitando la cucina tradizionale, liberandola dalle consuetudini.

Gli inizi, il Covid e la nuova Locanda Mammì

“I primi anni sono stati difficili, mi sono sentita davvero sola. Avevo una visione diversa di cucina rispetto a quanto proposto in Molise fino a quel momento, inoltre portare ad Agnone professionisti del settore non è stato e non è facile. Ho avuto il grande sostegno dei miei genitori, nel mentre rafforzavo le mie

Pane vino e caciocavallo
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idee, lavoravo su quella che sarei voluta diventare e, in taluni casi, sono cresciuta con i miei ospiti, spingendomi sempre un po’ più in là. Ci sono stati momenti in cui ho pensato di mollare, ma il giorno dopo ho sempre ripreso con forza: qui c’è quella che sono”.

Definita a più riprese la regione che non esiste, il Molise è un piccolo scrigno d’entroterra che si lascia leggere soltanto ai più pazienti. In tavola trionfa il caciocavallo, elemento antico amatissimo dalla chef, assieme alle patate di montagna e al tartufo. Il tutto accompagnato dalle carni locali, dai frutti dei piccoli orti di famiglia e i regali spontanei di una terra spesso brulla e avversa.

“I lunghi periodi di chiusura del Covid mi hanno segnata profondamente, cambiando me e la locanda. La ristrutturazione della sala, come la rivisitazione del menù, ha avuto un filo conduttore: togliere tutto ciò che non rappresentasse il territorio. Così ho rinsaldato i rapporti con i miei fornitori locali e oggi porto in tavola sostanzialmente il Molise”.

Il 2020 è stato un anno importante per Stefania e per Locanda Mammì. Alla squadra si unisce Tomas Torsiello, apprezzato sommelier campano, anche lui scuola Romito. Insieme professionalmente e nella vita, hanno reso questo indirizzo un luogo ancora più autentico e rappresentativo. Abbandonate le prime passioni francesi, alle pareti sono comparse opere realizzate in rame, lavorazione artigianale tipica di Agnone, proprio lì dove la nonna di Stefania un tempo appendeva le sue padelle. Locanda Mammì è oggi un luogo di relazioni, di ore lente, intriso di ruralità nonostante la sua eleganza, il servizio impeccabile e una cucina fermamente contemporanea. Un luogo attorno a cui si muovono i tanti piccoli produttori che rappresentano il Molise in tavola e partecipano all’offerta gastronomica di Stefania e Tomas.

L’idea di cucina di Stefania di Pasquo

“Ho sposato a pieno la filosofia del mio maestro, lo chef Niko Romito, di cui ho grande stima: territorio e semplici-

tà. Pochi ingredienti che si devono sentire, la famosa apparente semplicità. Ricerco una certa purezza del gusto dei singoli, non vorrei mai che non fossero riconosciuti gli elementi di un mio piatto”.

In carta non mancano mai le pallotte cacio e ova, così come presenziano la carne di agnello e le interiora. Guardando al mondo dei pesci, vi entrano i classici della gastronomia d’entroterra: il baccalà, le acciughe, così come quelli di fiume.

Un rincorrersi di rimandi e rivisitazioni, con radici ben piantate sull’Appennino e sui piatti tipici di un’area a cavallo tra la provincia di Isernia e quella abruzzese di Chieti.

Tra i suoi piatti iconici la rivisitazione della zuppa alla santè. Un caposaldo della cucina locale, tipico delle feste natalizie, realizzato con brodo di gallina, pane raffermo, polpette di formaggio, uova e caciocavallo. Tante le versioni e le minuziose varianti nelle diverse famiglie e nelle zone limitrofe. Un grande classico che la chef Stefania di Pasquo ha rivisitato addirittura in versione fredda per l’estate, trasformandolo in un suo cavallo di battaglia.

“Riconosco di essere cambiata tanto in 10 anni, forse è per questo che non c’è un piatto che mi accompagna da sempre. Ma uno di quelli che è rimasto in carta almeno per tre estati è senz’altro Piselli e Caciocavallo. Sì, alla fine lui c’è sempre! Il caciocavallo praticamente diventa una sorta di mousse, accompagnata da una crema di piselli, una cialda croccante di caciocavallo e un crumble di

Tomas Torsiello e Stefania di Pasquo
33 | febbraio 2023
L’esterno della Locanda Mammì

nocciole. Credo sia il prodotto più importante per Agnone ed anche per la mia cucina”.

Tra le carni spesso presenti in carta quelle di quaglia, ma anche di cervo. In questo periodo proposto con nocciole e radicchio infuso nel succo di melograno, riesce a dare il senso di una cucina che guarda sostanzialmente alla montagna.

Molto richiesto il suo Pane, vino e caciocavallo che, a dispetto di quanto si possa pensare, è un dolce. Rappresenta la sintesi di alcuni elementi centrali per la tavola molisana, trasformati in un dessert simbolico per la sua offerta gastronomica.

Il casale di Locanda Mammì

Databile verso la fine del Settecento, la struttura in cui insiste Locanda Mammì è sempre appartenuta alla famiglia di Pasquo. Qui ha vissuto il bisnonno della chef, poi sua nonna, i suoi genitori e lei, che qui è tornata a vivere assieme a suo marito Tomas e suo figlio Leonardo.

“La strada di passaggio, lo sguardo sul paese e sulle campagne circostanti, la possibilità di mangiare e di fermarsi a dormire. Ecco perché nel nome vi è il termine locanda, mi pareva calzasse a pennello. E poi il nomignolo con cui amavo chiamare mia nonna: Mammì! Qui c’è il passato e il futuro, ci sono le radici, ma anche la vita che ci sorprende”.

Sei le camere disponibili e una sala che non ospita più di 40 coperti alla volta. Dopo aver varcato la soglia della locanda l’orologio non ha più voce in capitolo, il culto della tavola comprende il tempo per degustare e godersi uno dei vini della ricca e fornita cantina. Molto territorio, ma anche nomi poco blasonati che meritano attenzione e vengono presentati con competenza.

“Un passo alla volta, non è stato facile, ma credo che

dopo dieci anni di sacrifici ora la strada possa essere più agevole. Siamo in un piccolo borgo d’entroterra, certamente non di passaggio. Offriamo il nostro racconto del territorio con grande passione, perché crediamo in esso e nelle sue peculiarità. Il Molise esiste ed è più che vivo”.

Locanda Mammì Contrada Castelnuovo, 86 86081 Agnone (IS) Tel. 0865 77379 www.locandamammi.it
La sala della Locanda Mammi Cervo, melograno, nocciola e radicchio Scopri il territorio di Agnone (IS)
34 | febbraio 2023
Scopri il territorio di Agnone (IS)

La nostra idea di olio

La gamma completa degli oli Zucchi porta sulle tavole e nelle cucine della moderna Ristorazione tutta l’esperienza acquisita in oltre 210 anni di storia.

Un impegno continuo, un meticoloso lavoro di selezione e di lavorazione delle migliori materie prime, per garantire sempre l’eccellenza di ogni singolo prodotto.

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Il vino

La storia in divenire di Cantina Kaltern

Autrice: Giulia Zampieri

Tracciare gli eventi storici che hanno portato alla nascita dell’attuale Cantina Kaltern è una vera impresa. Tant’è che ve li abbiamo riportati, per chiarezza, qui sotto. Noterete che la linea del tempo, scoccata nel 1900, è scandita da fusioni e affermazioni di cantine nuove e storiche, tutte sorte attorno a quella meraviglia naturalistica che è il Lago di Caldaro. Un lago dalle vicende geologiche estremamente interessanti e che oltre ad attirare per la sua oggettiva bellezza affascina gli appassionati del mondo del vino per la sua straordinaria vocazione.

fondazione della Kellerei Kaltern fondazione della Jubiläumskellerei Kaltern

la cantina privata Baron Di Pauli diventa la cooperativa Josef Baron Di Pauli

fondazione della Bauernkellerei

fondazione della “Neue Kellerei” (Nuova Cantina); la Kellerei Kaltern viene denominata “Erste Kellerei” (Prima Cantina)

si fondono la Erste Kellerei e la Neue Kellerei, nasce “Erste+Neue”

la Bauernkellerei e la Jubiläumskellerei si fondono in Kellerei Kaltern

la cooperativa Josef Baron Di Pauli viene integrata nella Erste+Neue; la Tenuta Baron Di Pauli torna ad essere una cantina indipendente

anche Erste+Neue e la Kellerei Kaltern si fondono in Cantina Kaltern

Un caso studio che potrebbe ispirare molte realtà collettive del vino
Il lago di Caldaro e i suoi vigneti
Kaltern
1900 1906 2016 1991 1925 1908 1986 1992 1932
36 | febbraio 2023
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Un anfiteatro per il vino

I pendii che costeggiano il lago di Caldaro sembrano davvero essere baciati da qualche divinità amante del buon vino: le condizioni pedo-climatiche ideali per la crescita della vite, l’arco alpino che infrange le correnti fredde a nord, l’influenza mediterranea che spinge da sud; le brezze costanti, l’altitudine repentina che porta sino ai 750 metri sul livello del mare, l’esposizione di tutte le pareti coltivabili verso il meridione…e quella postura ad anfiteatro - con i filari e la natura in perfetto stato di grazia - che infonde una pace assoluta.

Chi ha abitato questo luogo ha fatto il resto. Imparando a trarne il meglio, a trovare nella vite una fedele mediatrice tra la mano dell’uomo e quella della terra. E anche tra gli uomini stessi, come dimostra Cantina Kaltern.

Una storia centenaria

Cantina Kaltern è il vero fulcro economico e sociale di Caldaro. 123 anni sono un arco temporale in cui il mondo cambia, le culture si evolvono e con loro anche la rete sociale di un territorio, il modo di coltivare, di promuovere, di fare squadra o di creare individualismi. Non è stata da meno questa attività che prima della sua ultima fioritura - la ristrutturazione del 2018 - ha attraversato notevoli mutazioni; ha visto nascere il nuovo corso del vino in Italia dopo lo scandalo del 1986; ha attraversato l’introduzione della tecnologia in vigna e in cantina, l’affermarsi del biologico, e molto altro ancora.

Oggi si disvela come una realtà unita, la più importante dell’Alto Adige, con una superficie vitata di circa 440 ettari e 590 conferitori. Il 45% di questi detiene meno di 0,7 ettari.

Una frammentazione così massiccia potrebbe far gridare al miracolo per chi ne mastica di cooperative: mettere insieme mezzo migliaio di produttori in un unico progetto, orientarlo all’evoluzione, alla modernità e al futuro, è affare complesso.

Non si tratta di una mera questione politica: su una località che conta 8.000 anime, come Caldaro, i numeri di Cantina Kaltern diventano un fattore sociale, economico e comunitario di ampia rilevanza. Un caso studio a cui molte realtà produttive dovrebbero guardare.

La dimostrazione che il collettivo nel vino può funzionare

Ce lo spiega con grande precisione Andrea Moser, qui enologo e manager tecnico dal 2014, che ha accompagnato tutte le recenti trasformazioni strutturali ed enologiche di Cantina Kaltern.

“Quando si parla di cantina sociale quasi per automazione si pensa a un approccio enologico poco meticoloso e a un vino da prezzo. Cantina Kaltern vira in tutt’altra direzione: siamo una grande cantina ma interagiamo con piccoli produttori e lavoriamo per dare quanto più possibile valore alle particolarità del territorio. Le tante micro-realtà di produzione del lago di Caldaro non avrebbero la forza commerciale per affrontare il mercato; così, invece, vedono rispettato il loro lavoro e possono sentirsi parte di un progetto comune proprio del luogo in cui vivono” spiega Andrea.

Il progetto Cantina Kaltern è pensato per dare voce ai singoli. Non solo ai piccoli produttori che coltivano la vite in quest’area, ma anche ai vitigni che qui crescono bene, come in nessun altro posto, come il Pinot Bianco

“L’altro aspetto fondamentale per la nostra cantina è dare spazio alle varietà locali, il che presuppone un intenso sforzo per fare cultura di prodotto. In Italia abbiamo tantissime varietà viticole e affermarle non è immediato. Si storpiano i nomi, in alcuni casi, in altri si fanno fatica ad individuare le peculiarità di quel vitigno. Così per molto tempo in tante zone si è percorsa la strada più semplice, allevare vitigni internazionali” continua Andrea.

Ma il cambiamento è possibile, come dimostra il Pinot Bianco, tornato in auge negli ultimissimi anni grazie ad una grande sinergia territoriale

“In Alto Adige abbiamo lavorato per ridare identità a que-

®TM KellereiKaltern

sto vitigno e per differenziarlo dallo Chardonnay con cui spesso condivideva gli spazi in vigna, in impianti misti. Sottolineo che si tratta di un lavoro territoriale: la nostra forza, la forza dell’Alto Adige, sta nei singoli che diventano collettivo”.

Un lavoro di fino

I conferitori di Cantina Kaltern vengono seguiti passo passo sul piano viticolo, tecnico e produttivo: un lavoro immane quello svolto dalla cantina, molto minuzioso, reso più agevole dalla nuova grande struttura in cui avvengono trasformazione, messa in bottiglia e affinamento (pensate, affinano in mille barrique), e indubbiamente reso possibile dalle accortezze dei professionisti di cui si avvale. Un ruolo cruciale è proprio quello di Andrea Moser, che racconta:

“Adottiamo rigidi criteri nella selezione delle uve e prima ancora nei processi agronomici. Abbiamo scelto di connotare i nostri vini rispettando le aree geografiche da cui provengono le uve, esattamente come fisiologicamente facevano le cantine prima della fusione. Dalle uve raccolte nelle altitudini più elevate otteniamo i vini Erste+Neue e Puntay, più verticali e austeri. I vini Kellerei Kaltern, che originano più a ridosso del lago, hanno invece un profilo sensibilmente diverso, più caldo e mediterraneo. Per noi questa differenziazione è necessaria, dà senso alle diversità che convivono in un territorio”.

La promozione

Molti di voi assoceranno Caldaro alle Strade del Vino

Fate bene: qui c’è la più antica d’Italia, lunga circa quaranta chilometri, che coinvolge le cantine e tante attività di accoglienza, pronte a ospitare migliaia di visitatori e turisti tutto l’anno.

In questo contesto Cantina Kaltern si inserisce con due shop moderni, spaziosi, funzionali, e naturalmente con la cantina stessa, visitabile su prenotazione.

Ci raccontano che l’impegno nella comunicazione e nell’ospitalità sarà sempre più al centro degli investimenti.

D’altronde la promozione, quando un progetto è così complesso - e facile vittima di stereotipi - diventa cruciale. Solo visitando la cantina se ne comprende la particolarità e il grande sforzo collettivo. Uno sforzo che, abbiamo appreso anche assaggiando i vini, “è sul dettaglio e non sulla massa”.

Gli interni della cantina Kaltern Andrea Moser
Per saperne di più sulla Strada del vino dell’Alto Adige
Reperti geologici dal suolo ®TM KellereiKaltern

La sala

Autore: Luigi Franchi

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Giulia Camillini

Racconto storie intorno a una tavola

È vero! Ci sono luoghi dell’anima, non è un semplice modo di dire. Per noi uno di questi luoghi è a Cortina d’Ampezzo. Detta così sembra banale, la perla delle Dolomiti un luogo dell’anima? Con un turismo così elitario, ma anche un po’ straccione come sono i parvenu della politica e della finanza che lo frequentano? Cortina in questo caso è solo il territorio amministrativo che ospita il nostro luogo dell’anima, perché quello che descriveremo tra poco si trova nei pressi di un bosco, ad Alverà, vicinissimo a Cortina d’Ampezzo, con una malga poco distante, una strada leggermente impervia per arrivarci quando nevica, una sala calda e accogliente dalle grandi finestre che si affacciano sul silenzio, una montagna di burro che crea dipendenza servita come inizio di un pranzo o una cena che saranno indimenticabili nella memoria di ciascuno: questo luogo del’anima si chiama San Brite ed è il ristorante, o meglio, il progetto di Riccardo Gasparri e di Ludovica Rubbini, sua moglie.

In ladino San non sta per santo bensì per sano, brite invece significa una malga adibita alla vendita di latte fresco. Messi insieme i due termini, oggi, stanno a indicare un ristorante straordinario per il pensiero che ci sta dietro e per le persone che qui lavorano. Ragazze e ragazzi giovani che condividono pienamente l’idea di Riccardo e Ludovica: “Mio padre mi ha insegnato che il lavoro è sacrificio, e che senza sacrificio non esisterebbe la gratificazione, è per questo che nella mia cucina cerco di valorizzare il lavoro della mia famiglia e con essa di celebrare la mia terra. Ecco il segreto, la tradizione di un latte munto la mattina, il sapore di un pino, l’odore di una capra. Il segreto dei miei piatti è che nascono prima gli ingredienti e poi il piatto stesso. Questo legame tiene unite le mie vite e lascia che io possa tramandare ancora e ancora questa storia. Cucinare significa trasformare il profumo dei boschi in un’esperienza di palato e anima” racconta Riccardo.

Chi è Giulia Camillini

È proprio tra i ragazzi che qui lavorano che abbiamo scelto la voce narrante. Per spiegare come e perché ha scelto di venire qui e di fare questo mestiere in sala.

Giulia Camillini non è di quelle parti, anzi le sue ori-

Giulia Camillini. Foto di Giuseppe Ghedina
www.sanbrite.it

gini sono marine, essendo nata e cresciuta a Cattolica, e non si definisce cameriera o altro termine che indica questa professione. Giulia ama definire il suo lavoro come quello di chi racconta storie intorno a una tavola. Bellissima come definizione!

“Questa è la prima volta che mi fanno un’intervista, la cosa mi emoziona e mi rende felice, soprattutto per mia madre; una donna che mi ha sempre lasciato molta libertà ma che forse non ha mai capito bene come mai una ragazza laureata in relazioni internazionali faccia un lavoro da tutti ritenuto faticoso. Spero di riuscire a spiegare che questo invece è un lavoro bellissimo se fatto con il cuore, con persone che condividono le idee, i progetti, le emozioni come sanno fare Riccardo e Ludovica”.

Partiamo dall’inizio, da quando Giulia si diploma al liceo linguistico di Pesaro e si laurea in relazioni internazionali all’università di Bologna. Subito dopo cosa fa? Chiede al proprietario del suo ristorante allora preferito, Le vele di Misano Adriatico, di farle fare una prova in sala.

“Mi ha sempre appassionata la tavola, il ristorante come luogo, un pranzo al ristorante ha il potere di farti star bene e la mia famiglia mi ha sempre insegnato il gusto di stare a tavola. Quella prova ha significato lavorare a Le Vele per sette anni. È stato allora che ho deciso di frequentare il master in Restaurant Manager ad ALMA e da lì iniziare la mia carriera nella ristorazione” spiega Giulia.

Come sei arrivata dal mare alle montagne dolomitiche?

“Avevo finito una bella esperienza alla Gioconda di Gabicce e lo chef resident Davide Di Fabio mi ha chiesto di andare con lui a fare un pop-up ristorativo a Cortina d’Ampezzo, dove ho servito durante la cena a quattro mani di Davide e Riccardo Gasparri. Ho conosciuto lì lo chef patron del San Brite. Poi sono andata a pranzo in malga al Piccolo Brite, poi a cena al ristorante stellato e la sensazione che mi portavo dietro da questi due momenti era rimasta a lungo nella mia memoria. In quel periodo ricevevo molte proposte di lavoro a cui dicevo di no perché le aziende con cui volevo lavorare dovevano colpirmi al cuore prima di tutto. Io ho bisogno di credere in quello che faccio! Un ristorante, per me, non è solo una semplice azienda, deve essere un concentrato di empatia, emozione, rispetto. Riccardo e Ludovica mi sembrava, a ragione, che rappresentassero tutto questo e, quindi, scrissi a loro proponendo

Giulia Camillini. Foto di Giuseppe Ghedina
41 | febbraio 2023
Uno scorcio del San Brite. Foto di Salvo Lucchese

la mia candidatura che venne accettata. Nel febbraio dello scorso anno sono arrivata qui e le mie sensazioni hanno subito trovato conferma. Riccardo e Ludovica, anche nelle piccole cose quotidiane danno libro spazio alle persone, ascoltano anche le idee di un’ultima arrivata quale ero io. Cercano, anche nell’organizzazione del lavoro, di rispettare il tempo di ciascuno; offrono un metodo e questa cosa, per me, è molto più importante di mille altre”.

Cosa ti piace di più del San Brite?

“Mi piace il lato umano! Mi piace raccontarne la storia, la filosofia che sta dietro a un piatto, quando metto il piatto davanti al commensale non ho un’unica definizione per spiegare quel momento. In sala non si servono piatti, si serve davvero un’emozione e non è un modo di dire abusato. Non qui! C’è un pensiero in ogni dettaglio, è questo che rende il San Brite un luogo dell’anima, c’è il desiderio di far dimenticare agli ospiti il tempo, proiettarli in una dimensione diversa per qualche ora, di gioia, di divertimento, di benessere”.

Si parla tanto, molte volte a sproposito, delle difficoltà di questa professione di sala, qual è il tuo pensiero?

“Quale lavoro, se ben fatto, non richiede impegno?! Io credo che ci sia una narrazione che va cambiata quando si parla di questo settore. Oggi ci sono ragazze e ragazzi, pur laureati come me, che scelgono questo mestiere, perché? Perché è bellissimo aver a che fare, ogni giorno in modo diverso, con persone di tutto il mondo. Offrire loro un momento di piacere. La narrazione, invece, usa ancora parole come fatica, sacrificio. Ma quale sacrificio può mai essere avere libero il mercoledì anziché il sabato? Dipende da cosa ci metti dentro al tuo tempo libero. La difficoltà più grande sta proprio lì, nel cambiare la mentalità di chi pensa che il sabato libero sia più bello di un altro giorno. E cambiare anche la visione da caserma che resiste in alcuni ristoratori. Trasparenza nelle azioni, rispetto di chi lavora per rendere sempre bello il tuo ristorante. Queste sono le cose da fare e qui, al San Brite, sono una realtà ogni giorno. È per quello che sono qui e ci voglio restare”.

Scopri il San Brite Da sinistra: il maître Simone Pandolfi, il sommelier Vincenzo Saladino, Giulia Camillini e la chef de rang Arianna Della Vecchia

I dieci pomodori che hanno cambiato il mondo

È da libri come questo che si scatena nelle persone il piacere della lettura. William Alexander, giornalista del New York Times, ha davvero girato il mondo per scrivere questa incredibile storia del pomodoro in dieci capitoli, a sé stanti tra loro. E lo ha fatto, lo confessa lui stesso, convinto che il pomodoro avesse origini italiane tanto è diffusa la produzione e il consumo nel nostro Paese. Solo viaggiando ha, invece, fatto chiarezza sulle origini, sulla storia e sull’importanza che ha adesso questa pianta nel mondo.

È un libro ricchissimo di piccole storie e aneddoti che ne fanno una lettura piacevole dove lo stupore e la sorpresa appaiono all’improvviso ad ogni pagina.

Lo sapevate, ad esempio, che il pomodoro, una volta giunto in Europa dall’America, è stato per tre secoli considerato non commestibile perché la fonte letteraria che ne esaltava l’utilizzo in cucina era inserita in un manoscritto di un frate francescano, Bernardino, che, dall’America nel 1550, aveva scritto la storia e la vita degli indigeni in maniera troppo simpatetica verso i pagani e, quindi, il Vaticano ne ha bloccato la pubblicazione fino al 1829?

Oppure che la decisione se il pomodoro fosse un vegetale o un frutto è stato uno dei dibattimenti della Corte Suprema degli Stati Uniti perché un importatore, tale signor Nix, avrebbe dovuto pagare un dazio pesantissimo se il pomodoro veniva considerato un vegetale?

“L’approccio carico di curiosità dell’autore è contagioso, scrive The Wall Street Journal, e non ci resta che confermarlo!

I dieci pomodori che hanno cambiato il mondo

William Alexander Aboca Edizioni

377 pagine

19,50 euro

www.aboca.com

Lorenzo Pace è il presidente dell’Unione Regionale Cuochi Abruzzesi, oltre ad essere un cuoco professionista e docente. La sua vera passione, però, sono i libri che raccontano di storia e contemporaneità del mestiere di cuoco. Ne ha scritti numerosi, tutti estremamente utili per chiunque voglia capire qualcosa di questo mestiere ma l’ultimo – Il cuoco contemporaneo – è il più preciso dei libri che parlano di chef, cucine, cuochi.

È frutto di un’attenzione al cambiamento che ha sempre caratterizzato la sua figura professionale e, in questa pubblicazione, “ancor prima di pensare alle ricette”, Lorenzo Pace mette in luce “una filologia di metodi e prassi utili a svolgere il lavoro di cuoco con sapienza e professionalità”.

Nella prefazione di Niko Romito appaiono molto chiari gli obiettivi che l’autore si pone con questa pubblicazione: “Lorenzo aiuta a districarsi e posizionarsi tra tradizione e avanguardia, a capire che l’evoluzione è naturale anche in cucina e che non bisogna aver paura della tecnologia”.

Lorenzo Pace

D’Abruzzo Edizioni

95 pagine

20 euro

www.dabruzzo.it

Il libro serve proprio a questo; con l’esempio aiuta a districarsi tra nuovi strumenti e nuove tecniche. Poi c’è la parte dedicata al menu che è decisamente interessante perché unisce storia e modernità, attraverso un’evoluzione anche delle parole usate nei menu.

Un libro consigliatissimo!

cuoco contemporaneo
cuoco contemporaneo
Il
Il
I libri Autore: Luigi Franchi
e leggi l’articolo sul web 43 | febbraio 2023
Clicca

Amabile e Saporito

“Un’azienda che ha fatto la storia dell’olio extravergine in Italia, attiva dal 1897 e iscritta al Registro delle imprese storiche italiane istituito da Unioncamere, questa stessa azienda che, oggi, vanta il Rating di Legalità confermato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato; infine un’azienda che ha scelto di avere la certificazione del dna delle proprie olive taggiasche da parte di Accredia per aumentarne il valore, soprattutto del lavoro che fanno i piccoli olivicoltori che conferiscono le loro olive: tutto questo è l’azienda Olio Salvo. E questi sono anche i motivi che hanno portato il gruppo Cateringross a realizzare con Olio Salvo un’operazione di co-branding su due confezioni di olio extravergine d’oliva per i ristoranti e le pizzerie servite dai soci del nostro gruppo” afferma Andrea Marchi, presidente di Cateringross.

Il progetto di co-branding

Di cosa si tratta? Olio Salvo ha realizzato, in esclusiva per Cateringross, due blend di olio extravergine

100% italiano da proporre in due tipologie, le stesse che danno il nome alle etichette: Amabile e Saporito

“Nomi che, da soli, parlano, raccontano il gusto e il sapore di questi due oli che abbiamo realizzato in esclusiva per i ristoranti e le pizzerie servite dalle 40 aziende di distribuzione associate a Cateringross in tutta Italia. –racconta Marco Dominici, direttore commerciale di Olio Salvo – Amabile è un blend particolarmente indicato per piatti di pesce e crostacei, ottenuto a freddo, non

filtrato per mantenere la naturale ricchezza di antiossidanti, dalle caratteristiche organolettiche estremamente delicate. Saporito, invece, è un blend sempre ottenuto a freddo e non filtrato, dal colore oro con sfumature verdi, per pietanze che necessitano di un ingrediente dal sapore deciso come zuppe e carni. Abbiamo voluto condividere questa azione di co-branding esclusiva con uno dei migliori gruppi italiani di distribuzione per il canale horeca per la storia e la capacità di intercettare l’innovazione che lo connota. Mettere i due marchi sulle confezioni – Cateringross e Olio Salvo –rappresenta, per noi, un grande valore aggiunto”.

Le confezioni, disponibili in formato da mezzo litro, saranno presenti sul mercato nei primi giorni di primavera, in concomitanza con l’avvio della stagione e consentiranno a Cateringross di offrire unicità e bontà di prodotto a tutti i clienti dei 40 soci.

Sono queste le azioni che determinano una qualità di servizio di cui la ristorazione ha un grande bisogno: essere identitari, lavorare con aziende solide per storia ed etica diventa uno degli elementi distintivi per una ristorazione che, sempre di più, deve tenere alta l’asticella verso i propri clienti.

L’olio extravergine d’oliva, lo scriviamo ogni volta su questa rivista, ha bisogno di maggiore conoscenza e innovazione per essere apprezzato come ingrediente fondamentale della cucina italiana e azioni come questa altro non fanno che aiutare in questo percorso.

I due nuovi oli in co-branding con Cateringross
44 | febbraio 2023
Il prodotto a marchio Clicca e leggi l’articolo sul web

Amabile e Saporito

I due oli extravergini di Cateringroos in esclusiva per voi

Saporito

un blend 100% italiano adatto adatto a zuppe e carni

Amabile

un blend 100% italiano adatto a piatti di pesce e crostacei

Chiedi al tuo agente, crea identità ed esclusività per i tuoi piatti

Per saperne di più

info@cateringross.net

AL GRANDI FOODSERVICE RISTORAZIONE OPERATORI AZIENDE DI SERVIZIO DEGLI DELLA Cateringross S.C. Via Margotti, 8 40033 Casalecchio di Reno Bologna -Tel. 0516167417
(AQ) TEL. 0863 448052 (AR) TEL. 0575 984186 (MN) TEL. 0376 804071 (MI) TEL. 02 99010606 (GR) TEL. 0564 467005(SO) TEL. 0342 996640(TR) TEL. 0744 989765(AN) TEL. 0731 60142(BG) TEL. 035 670405 (FC) TEL. 0547 671511 (CA) TEL. 070 9165293(MB) TEL. 0362 302620(RC) TEL. 0965 636587(FI) TEL. 055 8825914 (BR) TEL. 0831 332045 (IM) TEL. 0183 650433 (RN) TEL. 0541 968196(CE) Tel. 0823 918122 (BA) TEL. 080 6901781 (RM) TEL. 06 658661 (TN) TEL. 0462 761211 (CZ) TEL. 0968 93068 TASTE SUPPORTER (BZ) Tel. 0471 820095 (SO) TEL. 0342 354055 (PT) TEL. 0572 636682 (TN) TEL. 0465 501569 (SA) TEL. 089 461693 (NA) TEL. 081 909380 (PN) TEL. 0434 91373 (VI) TEL. 0424 8188 (SS) TEL. 079 361750 (MO) TEL. 059 284736 (RM) TEL. 06 9060510 (RG) TEL. 0932 456176 (VB) TEL. 0324 243885 (LE) TEL. 0832 611439 (NA) TEL. 081 5630620 RZ Service È Ristorazione (BS) TEL. 030 9826391 (AL) TEL. 0143 896216 La prima rete distributiva italiana nel foodservice www.cateringross.net (PA) TEL. 091 867 7106

Amodo, la rete dei ristoranti etici

La più bella lezione della Locanda del Feudo

Abitare un borgo significa non pensare solo a sé stessi

Autrice: Simona Vitali

È una sera infrasettimanale di giugno.

Siamo in tre diversi clienti seduti ciascuno a un tavolino. Tre tavolini allineati sull’esterno della Locanda del Feudo, in un piccolo slargo che dà sul borgo di Castelvetro di Modena.

È l’intimità. Il sentirti a tuo agio a partire dalla sistemazione. È l’attenzione Il piccolo accorgimento di metterti in compagnia, anche se con quei commensali non è detto che parlerai. Non so ancora come mangerò ma io mi sento già allineata a chi ha saputo creare quell’ambiente, quell’atmosfera.

Potremmo parlarne di quanto un solo ospite sia sempre gradito: non fa cassetto e porta via spazio meglio spendibile. Comunque la mia cena è appagante, i piatti avvolgenti. Qui c’è un pensiero che merita di essere sondato. Me lo appunto, tornerò.

Sono tornata d’inverno, che per un borgo abbarbicato su una collina è un periodo di riposo ma - come ho avuto conferma - non lo è per chi, per la propria attività e per il borgo, è un motore.

I tanto celebrati borghi, sempre più in auge in questi ultimi anni, rappresentano certamente una bella prova per chi ci deve vivere ogni giorno, portando avanti un’attività a cui non bastano i calendari di iniziative, perlopiù distribuiti nella bella stagione, per vivere. Ci si deve inventare e reinventare continuamente, partendo da un importante presupposto: vietato pensare solo a sé stessi

Clicca e leggi l’articolo sul web 48 | febbraio 2023
Panoramica del borgo di Castelvetro di Modena

Quella sana incoscienza

Aveva 23 anni Andrea Rossi, che oggi ne ha 42, quando insieme a suo fratello Roberto, allora ventunenne, ha deciso di rilevare una piccola locanda semisconosciuta nel borgo di Castelvetro di Modena, fino a quel momento funzionale a una multinazionale della zona. C’era poco da porsi in continuità con la gestione precedente: occorreva partire da zero. Dalla loro, questi fratelli, avevano un bel dinamismo che li aveva accompagnati durante gli studi in diverse stagioni estive anche all’estero, Andrea come cameriere e Roberto, che aveva fatto l’alberghiero, in cucina. E ora, che uno stava studiando Scienze della comunicazione e marketing e l’altro lavorava come cuoco presso una trattoria della zona, c’era il forte desiderio di iniziare a concretizzare qualcosa. D’altro canto questo era l’esempio che sempre hanno raccolto in famiglia, dove non si sta ad aspettare che il lavoro arrivi. Il nonno materno, prigioniero di guerra, era stato uno dei primi imprenditori agricoli della zona, dando un futuro alla sua famiglia.

Di fatto, Andrea lo dice ancora oggi: “il nostro è stato un atto di incoscienza. Non ci rendevamo conto di cosa significasse gestire un’azienda però abbiamo fatto due calcoli: io avrei potuto occuparmi delle sei camere della locanda e della sala del ristorante, mio fratello sarebbe riuscito a mettere a tavola 14/16 persone a servizio. Così ci siamo buttati. ‘Cominciamo a metterci alla prova, a vedere cosa sappiamo fare’ ci siamo detti”.

Quando il navigatore era ancora un’optional

“Era il 2005 - ricorda Andrea - quando ci siamo insediati nella Locanda. Il borgo di Castelvetro che oggi è conosciuto come Bandiera Arancione del Touring Club Italiano, allora non si sapeva neanche dove fosse. Ricordo che continuavo a sollecitare l’amministrazione comunale che mettesse cartelli mentre ero costretto a fornire spiegazioni certosine al telefono perché i clienti potessero arrivare”.

Far rivivere l’esperienza di un pranzo o una cena emiliana, più precisamente modenese, era l’idea cullata dai due fratelli che avevano l’ambizione, quella sì, di riproporre quelle “indimenticabili tavole imbandite” dalla nonna, una vera rezdora, che aveva imparato a far da mangiare per il solo fatto che tutti i giorni aveva a tavola 7/8 persone. Così conserve, marmellate, cipolline sott’olio, salse per arrosti, paste ripiene, torte, nocino rappresentavano il suo impegno quotidiano.

“Ci siamo rimboccati le maniche. Nei primi due/tre anni abbiamo incrementato sensibilmente il fatturato e abbiamo iniziato ad essere citati in alcune guide. Sono stato anche coinvolto nel consiglio direttivo della catena Charme & Relax a cui aderivamo. Eravamo giovani, sì, ma ci veniva riconosciuta voglia di fare. Di fatto - riflette Andrea – siamo partiti senza avere avuto la possibilità di lavorare in un grande ristorante o comunque di fare una grande esperienza. È il caso di dire che la gavetta l’abbiamo fatta sulla nostra pelle, memori delle tradizioni della nostra famiglia”.

I clienti che arrivavano da tutto il mondo gli hanno dato la spinta di proporre interventi migliorativi in un borgo certamente bello ma con potenzialità da sviluppare e di insistere che bisognava si iniziasse a fare azioni perché fosse riconosciuto.

Lambrusco rifermentato in bottiglia che passione!

Intanto in Andrea si riaccende la voglia di continuare a studiare e, come dice lui, si rifugia nei vini. Nel giro di pochi anni passa da sommelier a sommelier professionista e anche questo mette a disposizione del suo territorio. Castelvetro di Modena è Città del Vino e terra del Lambrusco Grasparossa, coltivato insieme al Trebbiano, quest’ultimo utilizzato per la produzione di un’altra eccellenza: l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena. Da tempo nel borgo si tiene la Sagra dell’uva e del Lambrusco Grasparossa di Castelvetro che altro non è che una sorta di Oktoberfest in stile emiliano, dove viene of-

Andrea Rossi

ferto a tutti un assaggio di Lambrusco nei bicchieri di carta. Perché non cominciare a far capire che il Lambrusco è un prodotto di qualità da bere con cognizione di causa? Così anche la sagra prende nuove sembianze, alza il livello qualitativo della sua offerta. Nel 2007 arriva per i fratelli Rossi il premio “Grappolo d’oro”, assegnato ai cittadini che si distinguono per la collaborazione con l’amministrazione comunale e per aver fatto conoscere il nome del paese nel mondo. In effetti capita non infrequentemente che siano le strutture ad attrarre nei luoghi, di cui solo dopo si apprezza la bellezza.

Ma è il master ALMA-AIS in Gestione e comunicazione del vino seguito nel 2019, che vede Andrea distinguersi prima come migliore allievo del corso poi come brillante stagista presso le Calandre. Un’esperienza significativa che gli conferma la bontà del percorso intrapreso fino a quel momento: “finalmente mi sono misurato - dice - e ho capito di essere portato per questo mestiere, che sento come una missione! Questo ha creato in me la voglia di innalzare la qualità del mio lavoro dove ho sempre fatto tanta ricerca. Quanto al vino, nel mio ristorante ho fatto una scelta ben precisa: ho contattato tutti i produttori di Castelvetro che hanno fanno della rifermentazione in bottiglia la loro bandiera e li ho messi tutti in carta dove ora ho dieci rifermentati e un metodo Charmant, giusto per chi me lo chiede. Sono stato un naturalista della prima ora e giustificavo le imperfezioni. Adesso sono arrivato a

pretendere che il vino sia a posto anche dal punto di vista gustativo.

Semplicemente credo che questi produttori che ho in carta faranno la storia del Lambrusco nei prossimi anni. C’è grande fermento in zona, grazie soprattutto ai giovani e a figure come Max Brondolo e Vittorio Graziano. Sta scommettendo sul futuro del Lambrusco, Andrea. E diciamolo pure, nel suo locale sta già tracciando una strada. Se si è al timone di un'attività si ha questa facoltà. Una scelta matura e coraggiosa che, ne siamo certi, aprirà altre strade. A lui ma non solo.

Gli esterni della Locanda Battuta di bufalo reggiano alla puttanesca
Locanda del Feudo Via Trasversale, 2 41014 Castelvetro di Modena (MO) Tel. 059 708711 www.locandadelfeudo.it
L'interno della Locanda del Feudo
50 | febbraio 2023
Scopri Castelvetro di Modena

Amodo, la rete dei ristoranti etici

Autore: Luigi Franchi

Clicca e leggi l’articolo sul web

Sulle pareti c’è un ritaglio della Gazzetta di Parma del 1959; non è il solito quadretto che incontri in tanti ristoranti e che racchiude la recensione del locale. In quel ritaglio si parla dell’oste dell’epoca che vinse 100 milioni di lire alla Lotteria Italia e che, con quella cifra, comprò il palazzo secolare dove si trovava la sua osteria. Un documento storico che comprova che, dove oggi c’è La Gatta Matta, è da sempre un luogo dell’accoglienza e del buon cibo.

La Gatta Matta a Parma

Forse è anche per questo che Daiana Spinali e DiegoDe Filippo hanno scelto proprio un noto ristorante di Parma, collocato in uno dei borghi del centro storico, per dare vita al loro sogno.

Ma andiamo con ordine: Daiana e Diego sono due giovani pugliesi, lei di Taranto, lui di Peschici, che, a diciannove anni, emigrano per laurearsi al nord. Due dei tanti che, purtroppo, sono costretti a fare questa scelta, si conoscono all’università di Parma, si innamorano, si sposano: lei si laurea in lettere, lui in economia e commercio.

Poi arriva il tempo del lavoro: Daiana diventa, in poco tempo, responsabile commerciale di una catena di negozi, Diego segue la sua passione che non è quella del commercialista ma del cuoco.

Inizia a collaborare con diverse cucine della città: Hotel de la Ville, Accademia Barilla, La Greppia per citarne alcune. Sviluppa una sua precisa idea della cucina e di cosa serve in una città così tradizionalista sul piano gastronomico come Parma.

In piena pandemia fanno la scelta di intestarsi una licenza e rilevano, nell’aprile 2022, La Gatta Matta in Borgo degli Studi dai proprietari che vanno in pensione e iniziano a: “Correre insieme tenendoci per

Un ristorante storico che oggi parla un nuovo linguaggio: quello di Diego e Daiana
Da sinistra Salvatore Della Monaca, sous chef, Diego De Filippo, chef patron, Daiana Spinali, direttrice di sala Interno della Gatta Matta Crostatina al cioccolato, crema alla vaniglia del Madagascar e frutta sabbiata Lasagna di cartellate con ragù d’ anatra, fonduta di Parmigiano reggiano 24 mesi e zucchero all’ arancia e nespole sciroppate
52 | febbraio 2023
Plin con cuore di tosone su crema di piselli freschi e i suoi germogli.

mano. Non c’è frase che meglio rappresenta me e Diego, mio marito e chef. La nostra “folle” corsa ci ha portati qui: a raccogliere l’eredità di due persone meravigliose come Paola e Stefano, che per 20 anni hanno vissuto La Gatta Matta come la loro casa. Ora ne prendiamo le redini, pieni di entusiasmo e voglia di far bene, nonostante il periodo non facile e i “chi ve lo fa fare?” Perché farlo? Le nostre bambine. Vorrei che un domani Leonie e Dalila possano capire, guardandoci, che mai è tardi per cambiare strada e poter realizzare ciò che più ami fare, anche se comporta sacrifici e rischi”. Inizia così la prima pagina del loro menu, dove Daiana racconta il perché di questa scelta con parole che colpiscono e predispongono gli ospiti a un atteggiamento positivo.

Non è un’operazione di marketing quel racconto. È sincerità messa in luce! Lo si vede quando Daiana arriva al tavolo, da come racconta la cucina di Diego, con una competenza e una passione imparate dalla vita, dal fare ciò che più ama fare.

A lei è toccata la scelta più difficile, abbandonare un lavoro in cui aveva acquisito competenza e professionalità per farne un altro poco conosciuto, eppure sembra che in una sala di ristorante ci sia nata dentro, da sempre.

La cucina di Diego

Diego cosa fa? Fa una cucina solida, comprensibile, equilibrata dove unisce la tradizione parmigiana dei salumi negli antipasti con ricette tipo Uovo matto, sbrisolona al Parmigiano Reggiano, peperone crusco. Oppure ti presenta una lasagna che si rifà come forma alle cartellate pugliesi, o ancora, quando viene al tavolo a salutare, propone di gettare un occhio ai secondi piatti perché è lì che, secondo lui, dà il meglio di sé, con Sedano rapa, polvere di liquirizia, mela, olio alla menta.

Una cena bella quella che si svolge qui, semplice come si deve, con un concetto di semplicità che non vuol dire ovvia o banale bensì piacevole, stuzzicante, colma di benessere.

Per non parlare dei dolci dove la sua creatività si fa davvero sentire: non sono dolci troppo dolci, anzi, il Pane tostato, marmellata al pomodoro, gelato all’olio extra vergine d’oliva è un vero inno alla sua Puglia perché è lì che ha scoperto la sua vera passione, con un padre, Giovanni, cuoco e la convinzione che la cucina sia gioia.

È ancora Daiana che lo racconta: “Diego in cucina ci è praticamente nato, ma con papà chef Giovanni non poteva essere diverso! Cosa vorrebbe esprimere attraverso i suoi piatti? Semplice… gioia. Perché “cucinare è ciò che più mi rende felice fare” dice. Scatenare un ricordo, una sensazione, avere radici così tanto salde da potersi permettere di sdoganare la tradizione, ricercare, non fermarsi a ciò che sembra…perché non lo è!”

Infatti, secondo Diego che la mette in pratica: “La stagionalità si esprime più o meno ogni due mesi e questo è il

tempo di durata dei nostri menu, con alcuni piatti che restano sempre ma tanti che cambiano ogni sessanta giorni”.

La carta dei vini

“Il locale non è cambiato tanto rispetto a prima, l’amore con cui era stato arredato si sente ancora e quindi abbiamo deciso di mantenerne l’essenza. – raccontano Daiana e Diego – Anche i clienti che aveva un tempo sono in gran parte rimasti, donandoci quella fiducia che ci ha sorretto nelle prime settimane. Il cambiamento è avvenuto in cucina con piatti che si discostano dalla tradizione dei tortelli e degli anolini, che introducono un po’ della nostra terra d’origine. Una scelta che si sta rivelando vincente perché il turista che resta qualche giorno a Parma dopo un po’ vuole provare qualcosa di diverso dalla tradizione. E anche la carta dei vini è cambiata: questa è la nostra prima carta dei vini! Questo è il nostro progetto, il nostro futuro. Vogliamo mettere in ogni dettaglio grande e piccolo qualcosa di noi, raccontare e spendere il nostro tempo, poter dire “in questa piccola cantina ci credo!” Provare, cambiare e riprovare! L’abbiamo composta pensando ai nostri clienti, è il frutto di nostre conoscenze, di esperienze, di assaggi, di studio e di ricerche infinite. Ma quello che vorremmo è soddisfare appieno i desideri dei nostri ospiti e quindi diciamo sempre a loro che se hanno suggerimenti o proposte di etichette che non sono presenti ad oggi in carta, saremo felici di soddisfarli”.

Una carta, quella di Diego e Daiana, che contiene alcuni grandi classici ma molti produttori che loro stessi hanno conosciuto, scoperto, assaggiato. Una carta moderna che racconta di quanto stia cambiando il mondo del vino in Italia.

C’è una certa etica in questi due giovani ristoratori, e c’è grande passione nelle loro parole, nei loro gesti. Così vorremmo che sia sempre la ristorazione italiana. Soprattutto in luoghi come Parma che si fregia di essere Città della Gastronomia UNESCO!

La Gatta Matta Borgo degli Studj, 9/a 43121 Parma Tel. 0521 231475 – 320 4869663 www.osteriagattamatta.com Scopri di più su Parma 53 | febbraio 2023

Autore: Luigi Franchi

La Canonica a Verona Una piacevole sorpresa

A Verona l’Adige attraversa la città, a volte impetuoso pur nei suoi argini perfettamente imbrigliati. Lo è quando il cielo annuncia uno dei tanti temporali che qui, spesso, diventano grandine improvvisa. Lo spettacolo del cielo però è talmente particolare e conferisce alle pietre bianche e ai marmi veronesi un fascino che ci piace definite identitario.

È in uno di questi giorni che varchiamo la soglia della Canonica, con i colori di quel cielo prima che diventi scroscio d’acqua negli occhi. Un colore definito, preciso, che solo a Verona abbiamo visto e questo pensiero identitario è trasmesso, sorprendentemente e senza soluzione di continuità, nei piatti che ci arrivano in tavola.

La cucina di Saimir Xhaxhaj

Saimir, lo chef della Canonica, è di origini albanesi e, anche se vive in Italia da quando aveva dieci anni, non ha dimenticato le sue origini gastronomiche.

“Sono arrivato in Italia da bambino, nel 1999, da Lushnje in Calabria dove esisteva una comunità di albanesi e dove vivevano i miei parenti. A Castrovillari ho fatto i primi anni di scuola alberghiera per poi trasferirmi al Saffi a Firenze e lì la mia vita è cambiata, la tristezza dei ricordi della mia terra d’origine si è attenuata, ho iniziato a lavorare per mantenermi agli studi, la mia famiglia non poteva aiutarmi più di tanto perché non ero di certo l’unico ad aver bisogno. – racconta Saimir – Il primo ristorante in cui ho lavorato è stato Casalta a San Casciano Val di Pesa, poi al Relais Borgo Il Poggiaccio a Sociville, sulle colline senesi. Sono tornato a Firenze all’Hotel Elvetia&Bristol fino ad arrivare a Verona come sous-chef in un hotel cinque stelle, Palazzo Victoria, appena ristrutturato”.

“È lì che ho lasciato qualcosa di mio” racconta Saimir mentre ci svela che Verona è la sua città, dove ha

Il ristorante
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trovato pace, amore, serenità.

Ed è proprio l’incontro con Lorendo Donadel, patron de La Canonica, nel 2016, a rafforzare questa convinzione.

“Con lui ho avuto chiaro, fin da subito, cosa significasse libertà di espressione in cucina. Da niente a tutto: creiamo sia piatti apparentemente semplici e riconoscibili, sia piatti più articolati, con ingredienti particolari e sapori del tutto nuovi. Perché io penso che la cucina sia talmente ampia che ognuno di noi debba essere libero e creare tutto quello che vuole senza limiti”.

Un pensiero che trova espressione in una carta composta da tre menu degustazione e uno alla carta: Menu Rivoluzione che accompagna l’ospite attraverso la rivoluzione di pensiero della sua cucina; Menu Principio che si sviluppa dai piatti storici fino a quelli attuali; Menu Passato di pomodoro che si articola nei ricordi d’infanzia dello chef, con piatti della tradizione albanese che sanno di profumo di burro, di riso, di fragranza delle erbe di montagna e “dell’abbraccio della mia nonna”, un ricordo che resta indelebile nella sua memoria.

“Quest’ultimo è il menu più difficile da far comprendere – ci spiega Saimir – perché ognuno di noi è orientato spesso su ciò che conosce meglio ma quando gli ospiti si lasciano accompagnare in questo percorso provo grande soddisfazione nell’incontrare i loro sguardi stupiti e affascinati”.

Passato di Pomodoro

Non possiamo che confermare quelle parole avendo scelto il menu albanese che inizia, nel nostro caso, con degli amuse bouche gentili, tra cui una sorprendente morta-

della dolce ricavata dal cioccolato Ruby di Barry-Callebaut.

Poi si entra nel cuore del menu: crema di friggitelli con olio evo, feta di capra e focaccia bianca; Byrek, un involtino di pasta fillo ripieno di cime di rapa e spinaci, caviale di aringa affumicato e yogurt; Triglia, creme brulé, sambuco ed estratto di mela verde e foglie sedano sono alcune delle sorprese di Saimir.

La Canonica

Il locale non è grande, ha una cucina a vista dove Saimir lavora con il suo sous-chef e la pasticcera Ilaria Pisani,

La cucina a vista
55 | febbraio 2023
Filetto di sgombro

giovane e molto capace. Gli spazi interni, moderni, raffinati e caratterizzati da un design dinamico e minimale, sono circondati da una scenografia esterna che rappresenta un piccolo anfratto silenzioso, fatto di pietre scolpite di storie passate, case appartate, tranquille e serene.

Dalla cucina Saimir riesce a osservare tutta la sala, cercando di cogliere gli sguardi, capendo quando deve avvicinarsi o meno ai tavoli, vivendo in un continuo stato di attenzione verso il piacere degli ospiti. Lo si coglie perfettamente questo suo modo di essere, discreto e amabile al tempo stesso.

“La mia, la nostra, è una cucina creativa, di qualità e libera, che ricerca i prodotti del territorio senza limitarvisi ed è per questo che sento il bisogno di capire sempre se l’ospite è soddisfatto oppure nutre qualche dubbio. Per risolvere i problemi, per fare sempre in modo che la soddisfazione sia al primo posto” ci spiega.

A cominciare, per lui, dai sui ragazzi: “Do molto spazio ai miei ragazzi per permettere anche a loro di esprimere i propri sogni, credo che la condivisione sia la forza più grande che esista”.

E anche questo lo abbiamo verificato dal modo in cui siamo stati serviti da un giovane cameriere, Niccolò Stefanelli, che ci ha raccontato i piatti come se avesse vissuto anche lui l’infanzia e i ricordi di Saimir e spiegandoci la sua visione delle cose che fanno di questo mestiere una professione degna: “Ho ventun anni e mi è sempre piaciuto molto questo mestiere. Qui ho la possibilità di farlo nel migliore dei modi perché l’ambiente è raccolto, la clientela che arriva sa di entrare in un locale che non ha nulla di turistico, anzi, e quindi si trova in una con-

dizione già di per sé ottimale. Il racconto del menu è un vero piccolo romanzo di vita, con le esperienze dello chef, i suoi ricordi e poterlo raccontare a un pubblico attento è una delle cose più belle di questo lavoro. Abbiamo una carta dei vini eccellente e il rapporto tra sala e cucina è tutto il contrario di un rapporto conflittuale”. Cosa chiedere di più?

Alla fine del pranzo ha smesso di piovere, il cielo ha ancora quel tipico e unico colore veronese e attraversiamo questa bella città con gli occhi a cuore per come siamo stati bene!

La Canonica

Vicolo S. Matteo, 3

37121 Verona

Tel. 045 473 2625

www.ristorantelacanonicaverona.it

Scopri il Venerdì Gnocolar di Verona Saimir Xhaxhaj Nella Mente dell'astice Diaframma di cavallo, grigliata di peperoni, zucchine e melanzane Gli insoliti tre
56 | febbraio 2023
Spaghetti, ragout e jus di faraona

Autore: Luigi Franchi

Autrice: Marina Caccialanza

Voglia di mare, voglia di Fresco

Cucina, bar e bottega, storia e modernità: Fresco riunisce in un’unica anima la tradizione siciliana del cibo sincero e l’apertura verso nuovi orizzonti. Fresco è Bottega accoglie nel suo abbraccio come a casa, o re un momento di tranquillità, piacere e benessere

Immaginate di trovarvi seduti davanti al mare che si affaccia sul panorama del porto turistico di Marina di Ragusa. Sedete a un tavolo, il tepore del sole vi riscalda, la vista del mare, a pochi metri, infonde tranquillità, il suo profumo vi solletica le narici e l’appetito, le barche ancorate ondeggiano dolcemente e, davanti a voi, sulla tavola, un piatto gustoso, preparato come tradizione comanda o esotico quanto basta per stuzzicare i vostri sensi.

State sognando? Ci riuscite? Allora siete da Fresco è Bottega, il nuovo locale di Antonio Santamaria, un angolo di tranquillità dove la buona tavola e il piacere del palato sono solo alcuni degli elementi che compongono l’esperienza: aggiungete la cordialità, l’accoglienza e otterrete l’impareggiabile sensazione del “sentirsi bene come a casa”.

“Abbiamo aperto nel 2019 – racconta Antonio Santamaria – e volevamo un locale che fosse, più che un ristorante, una bottega con cucina, ma una cucina senza fronzoli, sincera e spontanea, non costruita. La cucina di Fresco

Il ristorante
57 | febbraio 2023
Clicca e leggi l’articolo sul web

è basata, il più possibile, sul rispetto dei prodotti locali e delle materie prime che il territorio offre. Inoltre, ci piaceva l’idea di un luogo da vivere tutto il giorno, adatto a tutti, giovani e meno giovani, gente del posto e turisti”.

La cucina di Fresco apre alle sette e mezza del mattino e chiude a tarda sera secondo un programma trasversale che comprende dalla colazione al pranzo, dallo spuntino pomeridiano all’aperitivo o alla cena, fino al dopocena, spesso accompagnato da intrattenimenti ed eventi musicali.

Una sessantina di posti, un dehors riscaldato e racchiuso da vetrate, uno spazio esterno fronte mare, rivolto al porto. Diportisti e turisti sono i clienti abituali: non cercano altro che la Sicilia e le sue meraviglie.

Spiega Santamaria: “Non abbiamo un target di clientela definito, da noi vengono indifferentemente i ventenni o i settantenni perché offriamo una cucina per tutti i gusti e momenti di convivialità adatti a ogni età. Soprattutto, ci piace l’idea di far sentire a proprio agio il cliente perché trovandoci all’interno del porto turistico siamo evidentemente in un luogo dove la gente cerca il relax. Non ci sono formalità da noi: la tavola è imbandita con tovagliette di carta e i piatti “della nonna”; il cliente può entrare in ciabattine e abbigliamento sportivo, perfino in costume da bagno. L’arredo è in armonia, con le poltroncine da casa e l’atmosfera informale. Si può mangiare a tutte le ore e, secondo la nostra idea, il cliente che entra deve stare comodo, trovare il proprio comfort, ambientale e gastronomico”. All’informalità dell’ambiente, risponde la ricercatezza della proposta culinaria che non vuol dire gourmet ma di qualità schietta e genuina. Del resto, la Sicilia offre una varietà di prelibatezze che sarebbe un peccato trascurare o contaminare.

I menu di Antonio Santamaria

“Al menu tradizionale – spiega Santamaria – composto di piatti tipici realizzati secondo la ricetta tradizionale con materie prime freschissime, il pesce di giornata innanzi tutto, abbiamo recentemente affiancato

Burger con polpo croccante al bbq, chips di verdure e aneto fresco Chef Caterina Cilia
58 | febbraio 2023
Pancake

un menu fusion basato su piatti di sushi in stile nippo brasiliano, per offrire una visione diversa, soddisfare la fantasia attraverso un viaggio tra i sapori. La nostra impareggiabile chef Caterina Cilia, con la sua grande esperienza e sensibilità, riesce a coniugare i diversi stili con classe ed esprime la sua creatività con ricette perfettamente equilibrate”.

L’apertura mentale è fonte di ispirazione e dalla tradizione dell’isola si spazia verso il resto del mondo senza, però, stravolgere quella che è l’essenza, senza nulla togliere all’identità del luogo. Insomma, siete appena approdati con la vostra barca e volete fare colazione? Potete farla classica con cornetto e cappuccino o all’americana, con deliziosi pancake o waffle; oppure vi va di pranzare sulla terraferma ma a 10 metri dal mare, tanto per non perdere il contatto con l’acqua? Ecco pronti deliziosi piatti della cucina tradizionale siciliana, gustosi nella loro identità perché: “Ci piace l’idea di offrire la storia della cucina siciliana e per questo non rivisitiamo i piatti, come spesso accade oggi, ma li proponiamo come tradizione insegna”.

In alternativa, se volete provare qualcosa di nuovo, la sera, non resta che sfogliare il menu fusion: una visione diversa, sapori intriganti, la bontà ineguagliabile del pescato di giornata accostato a ingredienti esotici secondo uno stile moderno che esalta la freschezza: è il mare stesso nella sua essenza. Il pesce è locale, naturalmente, il riso e le alghe arrivano dal Giappone

in un’unione di intenti ideale e armoniosa. Fresco è Bottega è aperto sette giorni su sette, da mattina a sera, tutto l’anno. Un impegno che richiede organizzazione ben distribuita: “I turisti cercano la cucina aperta a ogni ora del giorno e per poterli accontentare abbiamo investito in due brigate di cucina e uno staff di sala che si alternano in 3 turni. In estate il personale in cucina è il doppio per poter rispondere al volume di lavoro richiesto. La cucina è incentrata sulla figura di Caterina, è con noi fin dall’inizio e ha carta bianca sulla stesura del menu. I suoi dolci sono specialità ormai famose presso gli habitué. Il suo stile è perfettamente bilanciato con le nostre aspettative e il nostro ideale di cucina: è un po’ la mamma di Fresco, con le sue ricette classiche, proprio come le farebbe la mamma a casa. Ci aiuta a stare bene con noi stessi e con gli altri”.

Fresco è Bottega

Porto Turistico di Marina di Ragusa

Tel. 0932 161 2496

www.frescobottega.it

Antonio Santamaria col pescato di giornata Linguine fresche con finocchietto, acciughe, pinoli, uva passa, pomodoro e mollica tostata

La pizzeria

La Toscanaccia

Dalla griglia al forno

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Vent’anni di esperienza nella ristorazione e un ottimo posizionamento di zona per La Toscanaccia, ristorante e pizzeria a Coccaglio, in provincia di Brescia. Uno dei tanti locali eccellenti che, nel nostro Paese, costituiscono il tessuto territoriale, formano le basi dell’imprenditorialità italiana nel campo dell’accoglienza, con solidità e capacità. Non bisogna lasciarsi condizionare dal nome che, spiega il titolare Angelo Franzoni, non vuole suggerire un’origine toscana ma semplicemente strizzare l’occhio alla specialità del locale: la carne alla griglia, specialmente la fiorentina.

“Facciamo cucina tradizionale ma il nostro focus è la carne alla griglia – racconta Franzoni – costate, fiorentine, grigliate d’agnello e di carni miste. Abbiamo molta esperienza e con la griglia animiamo anche banchetti e ricorrenze. Abbiamo adottato questo nome per suscitare curiosità in Franciacorta: obiettivo raggiunto, perché oggi siamo molto conosciuti proprio per la qualità della proposta di carne. La nostra clientela è prevalentemente locale ma vengono anche da più lontano e possiamo affermare che nel tempo abbiamo seminato bene e oggi raccogliamo i frutti ”.

L’introduzione del menù pizza è più recente ma contribuisce alla fama de La Toscanaccia. Angelo Franzoni, che tutti chiamano Athos, spiega come sono arrivati a questa decisione, quasi per caso: “Abbiamo fatto ristorazione tradizionale per 15 anni, poi, ci siamo trasferiti e abbiamo rilevato il locale attuale, già conosciuto come pizzeria, dove abbiamo trovato, in cucina, ben installato e perfettamente funzionante, un forno a gas di ottime performance. È sembrata una scelta

naturale quella di provare a fare pizze e, in breve, si è rivelata un’ottima soluzione perché ci ha permesso di consolidare la nostra posizione sul territorio acquisendo ulteriori fasce di clientela. La pizza piace sempre, a tutti, e ha certamente il suo pubblico”. La Toscanaccia propone pizze classiche all’italiana, realizzate con un blend di farine 5 Stagioni: “Non ho voluto stravolgere la nostra identità che resta quella di un ristorante, e ho preferito orientarmi su una pizza tradizionale, ben bilanciata nei gusti e negli ingredienti, senza però lanciarmi in eccentricità come si usa oggi. Non mi piacciono le mode, il classico funziona sempre e noi continuiamo per questa strada. Inoltre, sarebbe stato complicato dover studiare diversi impasti; siamo nati e restiamo un ristorante di carne dove la pizza funge da ramo accessorio. Questo non significa che abbiamo sottovalutato il prodotto, anzi. Quando ho deciso di fare la pizza non ne sapevo nulla, era un mondo sconosciuto per me, allora mi sono affidato alla consulenza del rappresentante della ditta Tondini che ci ha consigliato le farine di Agugiaro&Figna, le 5 Stagioni; ci hanno subito soddisfatto come performance e resa e non le abbiamo più abbandonate. Per questo restiamo fedeli alla scelta: facciamo un unico impasto, un mix realizzato con farina classica e farina Nativa; il pizzaiolo, che ha studiato il blend, detta la linea di produzione, io gestisco gli acquisti e, insieme, portiamo avanti il progetto con soddisfazione”.

Il forno che troneggia nella cucina de La Toscanaccia si è rivelato un ottimo alleato, afferma Franzoni: “Oltre a cuocere mirabilmente le nostre pizze è utile anche per altre cotture: per esempio, la sera prima di chiudere, quando il forno ha raggiunto il massimo della temperatura che può arrivare anche a 380° C ed è spento, inforno la porchetta, una delle nostre specialità, per il giorno dopo. Al mattino è pronta con un buon risparmio di tempo ed energia. Lo stesso per il pane che prepariamo con lievito madre ottimizzando gli impasti, ed

è un valore aggiunto alla nostra tavola”.

Un centinaio di coperti nel locale interno, altrettanti nell’ampia veranda. La Toscanaccia è in grado di ospitare una clientela vasta e varia nei suoi locali luminosi e accoglienti, informali, dove accomodarsi al tavolo e gustare con tranquillità un’ottima grigliata o una pizza appena sfornata diventa un appuntamento atteso da molti. La qualità del menù non è in discussione e la cordialità di Athos fa il resto, per sentirsi come a casa, ma più contenti.

Ristorante Pizzeria La Toscanaccia Via Paolo VI 25030 Coccaglio BS Tel. 333 892 2095 www.latoscanaccia.it
61 | febbraio 2023
Per saperne di più su La Toscanaccia

Nurit, una sfoglina thailandese a Bologna

Di come un viaggio turistico si trasforma in un progetto di lavoro e di vita

Nurit Maporn arriva a Bologna vent’anni fa come turista dalla nativa Thailandia. Cammina a lungo per il centro storico della città, ne percorre i portici, ammira i palazzi, le chiese, il mercato del quadrilatero. Un giorno si ferma incantata a guardare un signore che prepara i tortellini nella vetrina della trattoria Annamaria, in via delle Belle Arti. Lo osserva tirare la sfoglia e chiudere i tortellini, le piace così tanto quella gestualità che si ripete in maniera ipnotica al punto da pensare: quello deve diventare il mio lavoro.

Nurit è un’ottima cuoca ma il salto dalla cucina Thai a quella bolognese è acrobatico. Non si intimorisce e decide di provarci iscrivendosi alla Vecchia Scuola Bolognese di Alessandra Spisni che tramanda l’antica tradizione della pasta fresca a Bologna. Segue un corso amatoriale ma la maestra la spinge a passare al corso per professionisti. Viene chiamata a lavorare alla Trattoria del Cacciatore a Casteldebole e da allora non ha mai smesso di tirare la sfoglia. Le piaceva viaggiare per

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Le persone
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il mondo e non avrebbe mai immaginato di fermarsi a Bologna, ma un lavoro tira l’altro e si sparge la voce della sua instancabile bravura. In seguito è alla Trattoria Paradisino, poi a Polpette e Crescentine. Nel 2006 vince un concorso dell’Unione dei Cuochi Bolognesi per la migliore pasta ripiena, nel 2008 il primo premio al concorso Mattarello d’Oro che si svolge all’Antoniano e nel 2011 è Miss Tagliatelle, a Minerbio. Non pensate che siano concorsi minori perché vi partecipano nutrite pattuglie di sfogline e sfoglini professionisti sfidati da ‘dilettanti’ altrettanto capaci. Bologna rappresenta sempre più un polo d’attrazione per giovani cuochi professionisti stranieri desiderosi di apprendere forme e manualità della sua cucina, principalmente l’arte della sfoglia. Seguono stage anche di un anno in importanti locali in città e in provincia ma non pensano di fermarsi qui a vivere, vogliono arricchire la loro esperienza, continuare a lavorare in altre parti d’Italia attratti dalla cucina mediterranea e poi fare ritorno nel loro paese dove riproporre la pasta fresca nei menu di ristoranti di prestigio, oppure aprono locali propri, alcuni con il nome e la formula della trattoria. Così ha fatto Evan Funke, venuto anch’egli a imparar la sfoglia alla Vecchia Scuola Bolognese e fre-

quentando uno stage da Amerigo 1934, an American Sfoglino che da circa vent’anni propone un ricco menu di pasta fresca nella sua Felix Trattoria a Venice, California.

Un colpo di fulmine: Vincenzo Ferrara

In un giorno di riposo Nurit va al ristorante Scaccomatto a trovare una sua amica thailandese che all’epoca lavora in cucina da Mario Ferrara come aiuto cuoca. Socio di Mario è il fratello Vincenzo, per tutti Enzo, ottimo uomo di sala del locale. Tra i due scocca il coup de foudre favorito anche dalla comune passione per la buona cucina.

Frequentando Enzo segue un lungo stage in cucina allo Scaccomatto e in seguito Mario realizza con lei anche delle cene a quattro mani con piatti Thai e in tempi di pandemia dei delivery Thai affiancano l’offerta di menu da asporto del ristorante.

Nurit segue uno stage anche da Massimiliano Poggi, arricchendo sempre più la propria esperienza, non solo come sfoglina.

Nel 2013, rimane incinta la prima volta e smette temporaneamente di lavorare. Nasce il loro primogenito Vincent (un genio della matematica in erba che adesso gioca nei pulcini del Bologna Football Club) ma il tagliere la richiama presto all’opera. Ottiene la cittadinanza italiana e continua a tirare migliaia di uova di sfoglia. Nel 2016 nasce il loro secondo bambino, Victor. Altra breve pausa poi di nuovo al lavoro e lei ed Enzo si sposano.

Quando lui va in pensione, tre anni fa, cede le sue quote di Scaccomatto al figlio di Mario, Simone, che gli subentra nel servizio in sala. Enzo sogna di cominciare a godersi la vita riposandosi e facendo dei viaggi. Compra un camper ma ci mette lo zampino l’amico Stefano Delfiore, titolare dell’Antica Drogheria Calzolari in via Petroni, una strada del centro storico in piena zona universitaria, a pochi volti di portico dal Teatro Comunale. È la più bella e storica enoteca di Bologna, quella dove tutti i giorni potevi incrociare Umberto Eco che beveva un bianco dopo avere tenuto lezione al DAMS, assieme a grandi pittori come Concetto Pozzati, scrittori e teatranti.

Stefano conosce i responsabili della fondazione Rusconi che sono alla ricerca di qualcuno che voglia aprire un’attività artigianale in una bottega da loro acquisita proprio in via Petroni, là dove prima c’era un bar dalle dubbie frequentazioni.

La Fondazione Rusconi

Dal 1927 la Fondazione Rusconi è un ente morale che sostiene iniziative di valorizzazione e tutela del patrimonio culturale, artistico ed architettonico della città di Bologna e alla sua zona universitaria, con particola-

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re attenzione alla rigenerazione del territorio e al recupero di immobili sfitti attraverso progetti creativi e innovativi, prioritariamente promossi da giovani artisti e ricercatori, oltre a sostenere azioni solidaristiche a favore di persone svantaggiate.

Il laboratorio di pasta fresca

Stefano sottopone Enzo e Nurit a un assedio serrato! Alla fine è la stessa Fondazione che li cerca e li convince. Il laboratorio Scacco alla pasta fresca apre l’11 aprile 2022 in via Petroni al civico 22 B. Siamo in piena pandemia ma parte subito alla grande per la richiesta di pasta fresca da asporto che in quel periodo di limitazioni alla circolazione si incrementa notevolmente.

Adesso con la sua aiutante prepara tagliatelle, lasagne, gnocchi e paste ripiene come tortellini e tortelloni, per i clienti della bottega e per alcune trattorie e ristoranti di Bologna quali l’Osteria Broccaindosso, il Ristorante Teresina, l’Enoteca Da Lucia, Ristorante Scaccomatto, Trattoria Buca Manzoni.

Ogni giorno mediamente tirano al mattarello venticinque chili di impasto dal quale ricavano duecentocinquanta nidi di tagliatelle, poi altra sfoglia molto sottile per preparare dai quindici ai venti chili di tortellini giornalieri, in periodi tranquilli perché nel mese che conduce alle festività natalizie a Bologna scatta il delirio e si lavora anche di notte.

I clienti non si stupiscono più di trovare una thailandese che tira la sfoglia. In realtà la bottega mostra una doppia anima ammiccante: quella della tradizione bolognese e quella della tradizione thailandese perché Nurit propone all’asporto anche ottimi piatti tipici della sua terra come Saté, Salapao, Riso Thai con Pad Krapao Mù, spaghetti di soia e il Padthai, tagliatelle di riso con gamberi e germogli con salsa di pesce al tamarin-

do, una delle preparazioni che va per la maggiore. Capita che quelli chi non la conoscono entrino in bottega e al momento rimangano un po’ sorpresi, poi ritornano e, come i clienti abituali, comprano i tortellini o le lasagne ma si lasciano incuriosire e finiscono per provare questi nuovi piatti per organizzare cene o aperitivi Thai.

Non chiamatelo meticciato gastronomico, nessuna confusione o ibridazione fra le due culture. Qui si pratica semplicemente una forma di coabitazione e stimolo reciproco con la giacca cuciniera double face di Nurit.

SCACCO alla pasta fresca

info@scaccoallapastafresca.it scaccoallapastafresca.metro.rest

di pasta fresca
prelibatezze da asporto
Laboratorio
Con
Petroni,
Bologna
Via G.
22/b –
Tel. 051 6590726
Guarda il video di Nurit Enzo e Nurit
www.novafunghi.it-info@novafunghi.it E'oradiportareilbosco neltuomenù
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sul web 67 | febbraio 2023
l’articolo

nazionale procede per tutta la prima metà del XX secolo quando anche nel settentrione si mangia pasta secca e nel meridione risotti e al ricettario dell’Artusi se ne affiancano e si sostituiscono altri come Il Talismano della Felicità (1925) di Ada Boni (1881 – 1973). È nella seconda metà del secolo e a partire dal Boom Economico degli anni cinquanta che la Classe Borghese e sua cucina entra in crisi e è sostituita da una mal definita Classe Media con una cucina sempre più influenzata dai media. Nel 1971 la televisione italiana tramette Colazione allo studio 7 che poi diviene A tavola alle 7 ottenendo un notevolissimo successo di pubblico, successo hanno le rubriche di cucina sui giornali e sui settimanali man mano sostituendo le tradizioni delle mamme e delle nonne soprattutto nelle famiglie che dalla una povertà contadina entrano nel Ceto Medio. Contestualmente gli orti contadini e i negozi locali di alimentari iniziano a essere sostituiti dai supermercati (il primo a Milano inaugurato nel 1957) che offrono alimenti delocalizzati. Agli inizi del XXI secolo in Italia vi è una cucina sostanzialmente unificata che di tradizionale contiene solo piatti regionali “nazionalizzati”, spesso anche di produzione industriale.

Cucina Italiana, globalizzazione e contaminazioni

Se anche in cucina il Medioevo finisce il 12 ottobre 1492 con la scoperta dell’America e la Modernità inizia con il 14 luglio 1789 con la Presa della Bastiglia, una nuova era della cucina anche in Italia inizia nel XXI secolo e precisamente l’11 settembre 2001 con il crollo delle Torri Gemelle a New York che indica che il mondo è comple-

tamente globalizzato, dalla guerra ad ogni altra attività umana, alimentazione e cucina comprese. Se oggi si può mangiare più o meno bene italiano in ogni parte del mondo, in Italia si possono gustare le cucine di ogni altra parte del mondo in modo altrettanto più o meno bene. Fino a metà del XX secolo la pizza era piatto regionale che si poteva mangiare solo a Napoli e dintorni, ora la pizza è diventata parte di una cucina nazionale. Ora soprattutto i giovani e i “diversamente giovani” dopo aver gustato gustando piatti stranieri come gli hamburger si stanno rivolgendo a piatti esotici dal kebab ai sushi, pokè e altri. Come gli hamburger sono già interpretati dagli chef italiani e entrati nella cucina italiana, lo stesso inizia ad avvenire per il kebab e gli altri piatti d’importazione, per un fenomeno di contaminazione alimentare che segue la contaminazione linguistica e dell’abbigliamento. La contaminazione alimentare non è nuova in un’Italia al centro delle rotte e migrazioni mediterranee, anzi è una delle caratteristiche madri di una cucina che si è formata integrando cibi, ricette e piatti arabi, spagnoli, francesi, austroungarici e di altre origini. Un tempo queste contaminazioni riguardavano solo una piccola parte della popolazione, quella dei nobili e ricchi (con l’eccezione del mais e della patata) e sono avvenute in tempi lunghi. Oggi le nuove contaminazioni interessano larghi strati popolari e sono rapidissime, destando sospetti, preoccupazioni, paure e soprattutto, rendono necessario criticamente giudicare un loro giusto e corretto inserimento nella odierna formazione di una nuova cucina nazionale italiana.

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La zuppa etrusca di Aimo Moroni

Ristoranti e cambiamento della cucina

Nelle ere passate i cambiamenti della cucina avvengono nelle cucine delle regge, palazzi e magioni del ceto sociale dominante. A partire dal XIX secolo i cambiamenti della cucina avvengono nelle case di una borghesia ricca dove i cuochi, più spesso le cuoche, partendo da preparazioni tradizionali e con contaminazioni eseguono modifiche. Contemporaneamente assumono un’importanza sempre maggiore i ristoranti dove i cuochi, non raramente formatisi da cuoche come insegna l’esperienza delle Mères Lyonnaises, avvengono cambiamenti attraverso alcune principali linee: interpretazione della tradizione adeguandola alle caratteristiche degli alimenti, innovazioni tecnologiche di conservazione e trasformazione; nuovi fuochi e nuove tecniche; contaminazioni con altre cucine; accettazione da parte di una clientela sempre più ampia e diversificata. Di particolare importanza è che dalla fine del XIX secolo e soprattutto nel XX secolo, e ancor più in questo XXI secolo, il ristorante con i suoi diversi livelli di qualità e prezzi è il luogo nel quale la cucina evolve ed evolvono i gusti. Tra gli infiniti esempi è al ristorante che gli italiani nell’ultimo dopoguerra conoscono una moderna cucina del pesce anche crudo e nelle pizzerie stanno sperimentando, sembra con successo, la Pizza Napoletana Moderna o Contemporanea.

Cucina e critica gastronomica accademica

La cucina è tecnica e la gastronomia è arte, necessarie sono quindi una storia, ma soprattutto una critica. Se

non mancano le ricerche e gli studi storici sulla cucina e soprattutto sulle ricette regionali e nazionali italiane, più scarsi sono i contributi di critica gastronomica del passato ma soprattutto del presente, diversamente da quanto avviene per taluni settori, quali ad esempio quello dei vini. Chiaramente insufficiente se non fuorviante è il sistema di attribuire ad un piatto o ad un locale un punteggio, il che equivarrebbe che in una mostra di quadri dove sono presenti opere di Leonardo da Vinci, Caravaggio, Picasso, Burri e Fontana e altri si volesse valutarli con un punteggio e poi trarne una media per valutare l’importanza della mostra stessa. Questo è quello che si sta facendo per un pranzo o una cena per dare un giudizio di un locale, mentre una critica gastronomica dovrebbe essere uno se non il principale argomento di ricerca come sta facendo l’Accademia della Crusca per la lingua italiana. Ma questa è un’altra storia.

Risotto oro e zafferaano di Gualtiero Marchesi
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Spaghetto al pomodoro

Autore: Guido Parri

Foodprint

La Dieta Mediterranea oggi, una mostra da visitare

Il 2023 vede le due città di Bergamo e Brescia capitali della cultura italiana. Due città in una, una scelta senza precedenti quella fatta dal governo italiano, all’epoca di Mario Draghi, che guarda al futuro, che rilancia “un’immagine di spazio urbano ‘possibile e futuro’ che può unificare la propria straordinaria capacità manifatturiera, la tradizionale capacità e disciplina di lavoro, la vocazione imprenditoriale, ma anche reti di solidarietà e patrimoni culturali di rilevanza unica su scala internazionale, scambiandosi buone pratiche, trovando sinergie, accelerando processi e condividendo conoscenza”. È con queste parole che viene presentata la scelta di assegnare a due città così vicine il titolo di capitale della cultura italiana e il cibo, anche in questo caso, diventa elemento importante del fare cultura. Infatti a Brescia si è scelto proprio il cibo, attraverso una originalissima mostra fotografica, per dare il via a un ricco calendario di eventi per celebrare il ruolo di capitale.

Gli eventi
John Clausen, In verticale, Cipro Clicca e leggi l’articolo sul web

Foodprint, la Dieta Mediterranea oggi

Perché il cibo e perché la dieta mediterranea?

Brescia non vanta, apparentemente, molte attinenze con il cibo. Città industriale, lega le sue fortune al ferro, con il cibo a poco da spartire eppure è il food ad aprire il 2023. Segno tangibile di come parlare, scrivere, in questo caso fotografare il cibo sia un esercizio culturale molto diffuso in ogni parte d’Italia e del mondo. La mostra è allestita presso le Gallerie del Parlatorio delle monache del Museo di Santa Giulia, dal 10 gennaio al 26 febbraio, e racconta, attraverso le immagini di un nutrito gruppo di fotografi, la nascita e la storia della Dieta Mediterranea, riconosciuta patrimonio immateriale dell’umanità dall’UNESCO grazie alle sue qualità uniche, illustrandone la sua importanza ancora oggi, in quanto capace di fornire soluzioni ad alcuni dei problemi del pianeta: la perdita di biodiversità, lo spreco alimentare e il cambiamento climatico. È una storia di sostenibilità, salute e scambio culturale, che vuole ispirare il cambiamento e riconnettere il pubblico al passato di una regione che ha creato la dieta più sana e sostenibile del mondo.

Come è strutturata la mostra

La mostra propone le fotografie realizzate dai fotografi contemporanei di fama internazionale Myrto Papado-

poulos, Johann Clausen, Elena Heatherwick, Chris De Bode e Maria Contreras Coll, che con i loro scatti riportano in vita pratiche antiche perpetrate da secoli in tutto il Mediterraneo.

In questo modo i visitatori della mostra potranno vivere un’esperienza anzi, un’esplorazione multitematica del Mare Mediterraneo, quel mare così bistrattato da un mondo che cambia e che vede milioni di persone fuggire da luoghi che soffrono per le guerre civili, per il clima, per la fame lasciando morti senza identità nelle sue acque. Il mare che era culla di civiltà, di scambio, di scoperta e anche di conquista, di una visione comunque comune di culture.

La Dieta Mediterranea oggi è forse l’ultima cosa che unisce le sue sponde e come tale, forse con la speranza che il Mare Nostrum torni ad essere un mare di pace, va conosciuta, celebrata, vissuta.

I fotografi ne raccontano, attraverso le loro immagini, i paesaggi estremi e contrastanti: da villaggi isolati e luoghi di montagna ai centri urbani per affrontare tematiche importanti come sostenibilità, identità, famiglia, comunità, cucina, agricoltura, salute, povertà e creatività.

“Assai numerosi sono i fili che collegano la mostra Foodprint. La Dieta Mediterranea oggi, che si inaugura al Museo di Santa Giulia, con l’avvio della stagione dedicata alla Capitale Italiana della Cultura. La ‘città

71 | febbraio 2023
Myrto Papadopoulos, In transito, Marocco

natura’, uno dei temi al centro dello sviluppo tematico della grande manifestazione bresciana, si arricchisce di una interpretazione profonda legata al vitalismo della dieta mediterranea, un vero e proprio tesoro riconosciuto patrimonio mondiale dell’Unesco. Realizzata da Brescia Musei nell’ambito del bando Europa Creativa, questa mostra fotografica non solo offre una rappresentazione originale di un modello e di una cultura alimentare, ma consente anche di collegare il concetto di valorizzazione del patrimonio con il concetto di sostenibilità degli ecosistemi. È infatti noto come la Dieta Mediterranea sia un esempio di armonia tra le popolazioni del bacino del Mediterraneo e l’ecosistema di quest’area, un’area culla di civiltà e cultura e che ci ha tramandato una ricchezza di cui dà testimonianza l’ingente patrimonio archeologico del Museo di Santa Giulia, che non a caso fa da cornice a questa bella mostra fotografica” ha raccontato, nel corso della presentazione, Laura Castelletti, vicesindaco e assessore alla cultura del Comune di Brescia.

La mostra e la città

Una proposta articolata quella di Foodprint, che guarda anche al mondo della scuola con quattro laboratori a partire dall’ultimo anno di scuola dell’infanzia fino alla scuola secondaria di secondo grado, e uno speciale gioco interattivo Kids Against Waste, realizzato dai creativi de IlVespaio, per scoprire con i bambini cosa sono gli sprechi alimentari, e da cosa sono causati, perché Foodprint vuole essere un progetto per ispirare nelle giovani generazioni una maggior consapevolezza sul tema dell’alimentazione e promuovere un cambiamento.

Altri eventi importanti sono dedicati in particolare ai

teenagers: un workshop di due giorni di fotografia sulla rappresentazione del cibo, che sarà tenuto il 4 e 5 febbraio, da Chris de Bode, uno dei fotografi protagonisti della mostra ed una speciale call to action rivolta a tutti i fotografi non professionisti per una raccolta di fotografie sul tema ‘Food Heroes’, oggetto di una mostra collettiva il prossimo ottobre presso l’ΕΜΣΤ Museo Nazionale di Arte Contemporanea di Atene. E una città che risponde, anche grazie ad A.R.T.Ho.B., l’associazione dei ristoratori bresciani, che si sta impegnando per offrire ai visitatori di Brescia e Bergamo, nel 2023, l’accoglienza migliore dal punto di vista gastronomico e dell’ospitalità.

Emanuela Rovelli, presidente dell’associazione, presenta l’adesione di A.R.T.Ho.B.al progetto VivaVittoria, un movimento contro la violenza sulle donne: “Parteciperemo alla catena umana di 40.000 persone unite da una striscia in maglia lunga un metro e mezzo si disporranno una accanto all’altra lungo il percorso di circa 80 km, 50 miglia, che lega Bergamo e Brescia. E soprattutto daremo loro l’accoglienza migliore”.

Scopri le capitali della cultura italiana 2023
72 | febbraio 2023
Elena Heatherwick, Pane quotidiano, Creta Myrto Papadopoulos, Il profumo delle melagrane, Marocco

Autore: Guido Parri

L'olio è progresso

Il tema portante della nuova edizione di Olio O cina Festival, dal 2 al 4 marzo a Milano

Olio Officina Festival è la manifestazione più importante del mondo degli oli, voluta da Luigi Caricato tredici anni fa, per il livello culturale che porta con sé. Non si tratta di una fiera, neppure di un congresso gastronomico; è un format particolarissimo dove si sommano cultura, arte, storia, conoscenza attorno al prodotto principe della Dieta Mediterranea: l’olio.

Un prodotto che, pur avendo millenni di storia, ha subito negli ultimi anni, tante deviazioni culturali e storiche che diventa estremamente difficile comunicarne le caratteristiche. Basti pensare al mondo degli extravergini che, molti pensano, siano sempre esistiti, invece hanno poco più di cinquant’anni di storia. Ed è proprio per aprire la mente ad una visione contemporanea, lontana da dogmi e schematismi secondo cui, ad esempio, l’olio buono lo si trova solo nel nostro Paese, che Luigi Caricato, l’oleologo più famoso in Italia, ha voluto realizzare questo evento, resistendo a tutte le difficoltà che esso comporta.

“L’educazione alimentare è fondamentale. - spiega Luigi Caricato, ideatore e direttore di OOFSia per la salute fisica dell’individuo, sia per la salute dell’ambiente in cui viviamo. E parlando di progresso, chi se non i giovani - come il bambino della cartolina di OOF che, seduto tra i rami di un ulivo, guarda lontano con un cannocchiale - saranno gli innovatori del domani più prossimo?”

Gli eventi
www.olioofficina.it
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Il programma dell’evento

L’edizione 2023 di OOF si svolge a Milano, al Palazzo delle Stelline di Corso Magenta 61 da giovedì 2 a sabato 4 marzo Il tema è, come dicevamo, L’olio è progresso e attorno a quest’affermazione si snoderanno tre giorni di confronto tra i massimi esperti del settore, giornalisti, ristoratori, buyer della grande distribuzione, nutrizionisti, scienziati. Un parterre di tutto rispetto con lo sguardo rivolto ad un futuro non troppo lontano dove si dovrà, ad esempio, prendere in seria considerazione il ruolo dell’Italia nel comparto oleicolo; un ruolo che, anno dopo anno, perde terreno per svariati motivi: vecchi impianti, età media degli oleicoltori abbastanza elevata, dimensione troppo piccola delle aziende.

Aspetti che necessitano di nuove idee, di impegno istituzionale da parte delle associazioni di categoria, delle regioni e dei governi.

Non è più sufficiente, quando si parla di olio italiano rilanciare il dato delle 600 cultivar, anzi a volte è perfino controproducente se prima non si fa vera cultura di prodotto.

Il programma della tre giorni prevede una rassegna di oli internazionali, laboratori di assaggio con degustazioni guidate agli abbinamenti olio/cibo e masterclass comparative per scoprire le infinite sfumature dell’olio, incontri con i produttori; talk sull’economia dell’olio, gli utilizzi in cucina e cosmesi, il valore del packaging, quindi design, arte e letteratura.

L’edizione 2023, con ingresso libero, presenta un focus sull’olio e i bambini, degustatori eccezionali perché ancora privi del pregiudizio sensoriale che vizia le valutazioni degli adulti, con scuola di cucina, sessioni di assaggi e gioco dell’olio per imparare come si produce l’olio, dall’albero alla tavola.

75 | febbraio 2023
Luigi Caricato

Autore: Guido Parri

T&C Tartufi

è un’Impresa Vincente

Tra le dieci imprese selezionate in Emilia-Romagna e Marche dal progetto di Intesa San Paolo

“Il programma Imprese Vincenti fa parte di un ampio piano di valorizzazione delle imprese italiane con il quale Intesa Sanpaolo vuole rafforzare la sua ambizione di diventare partner a 360° dei propri clienti. Garantiamo valore e visibilità alle aziende che si distinguono per crescita e innovazione, in modo da dare voce ai territori e alle diverse realtà locali e diffondere la cultura d’impresa. Abbiamo faticato a scegliere le dieci imprese di questa tappa perché il tessuto economico è davvero straordinario ma ci siamo riusciti e le loro storie sono davvero avvincenti” ha affermato Alessandra Florio, direttore regionale di Intesa San Paolo di Marche ed Emilia-Romagna

Imprese vincenti è un progetto di Intesa San Paolo che ha già premiato oltre 500 imprese italiane sulle 10.000 che hanno partecipato nel triennio 2019/2021 e che, nel 2022/2023, ha dato vita a un tour per far emergere le piccole e medie imprese italiane nel raccontare la propria storia e gli investimenti nella crescita.

Quattordici tappe che attraversano il territorio italiano, in cui 10 imprese per regione hanno un palco a disposizione per spiegare chi sono!

A Bologna, presso Symposium, il luogo degli incontri che prima era una chiesa, poi tipografia, poi ancora chiesa fino all’acquisto da parte di un imprenditore che ha creato Symposium Eventi, si è svolta la tappa che riguardava le imprese di Emilia-Romagna e Marche.

Come vengono selezionate le aziende

La quarta edizione, ispirata alle linee di crescita del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, si focalizza sui territori e sui progetti di sviluppo o di trasformazione aziendale, che hanno permesso alle piccole e medie imprese di reagire con successo al particolare momento di difficoltà.

Tra le imprese selezionate anche una dell’agroalimentare, partner di sala&cucina, la T&C Tartufi di Acqualagna.

Sul palco Thomas Clementi, ceo della T&C Tartufi, ha raccontato l’essenza delle attività di T&C Tartufi e il processo di innovazione che ne ha reso possibile la selezione in Imprese Vincenti: “L’azienda nasce nel 1990 per volontà di Ulderico Marchetti. Da subito ci siamo connotati come azienda anomala perché abbiamo perseguito un obiettivo strategico importante: destagionalizzare il tartufo, renderlo fruibile tutto l’anno. Con noi ci sono, oggi, 25 collaboratori di cui il 20% dedicato a qualità, ricerca e selezione della materia prima. Il tartufo che arriva in azienda è selezionato tutto a mano per evitare impurità e la nostra clientela è la ristorazione e le boutique gastronomiche. Nel periodo Covid questi due canali erano fermi e allora abbiamo introdotto una nuova attività, partendo dal concetto che tutto può essere tartufabile: produrre per le aziende alimentari. Inoltre stiamo collaborando con tantissimi istituti superiori perché abbiamo bisogno di giovani che si possano appassionare a questo prodotto e ne facciano un mestiere”.

Gli eventi
www.tectartufi.it
Thomas Clementi mentre riceve il premio Imprese Vincenti 76 | febbraio 2023
Clicca e leggi l’articolo sul web
the eating out experience show rimini expo centre 19 ² 22 FEBBRAIO 2023 in contemporanea con: organizzato da: con il patrocinio di: in collaborazione con:

La distribuzione

Autore: Guido Parri

Isla Food www.islafood.it

Un nuovo ingresso in Cateringross

Hanno compiuto 10 anni dalla fondazione e come regalo i soci di Isla Food hanno scelto di entrare a far parte del gruppo Cateringross

“È il momento giusto per noi. – racconta Alessandro Pantaleo, amministratore delegato dell’azienda di distribuzione palermitana – Prima eravamo una piccola realtà nel mondo del food service ma ora che abbiamo consolidato la nostra crescita entrare in un gruppo importante come Cateringross per noi significa accelerare i processi di formazione nei diversi settori della distribuzione, avere e dare garanzie di serietà e professionalità, acquisire informazioni essenziali per stare sul mercato con un’identità più solida”.

Isla Food è un’azienda 100% siciliana

Nata nel 2013 dall’esperienza pluridecennale di quattro soci – i fratelli Alessandro, Claudio, Roberto Pantaleo e Napoleone Foresta – dopo aver dato vita a un’azienda di latticini, Isla Food si è costruita una solidissima reputazione sul mercato della pizza prima, di tutta la ristorazione poi.

“L’esperienza nel mondo della pizza deriva dall’azienda di latticini ma soprattutto dalla partnership che siamo riusciti a instaurare con il Molino Iaquone, di cui siamo distributori esclusivi nelle province in cui operiamo: Palermo, Messina, Trapani e Agrigento. Questo ci ha permesso di vantare un catalogo di farine con oltre 50 referenze che si adattano a tutte le tipologie di pizza. – spiega Alessandro – Poi abbiamo deciso di estendere i nostri servizi alla ristorazione adeguando

l’offerta di prodotti, con referenze che ben si adattano ad una ristorazione in crescita ed evoluzione. Ad esempio, solo di salse abbiamo oltre 50 referenze e non solo ketchup e maionesi, così come siamo diventati un punto di riferimento per un’azienda importante come Demetra. Oggi abbiamo, nei nostri magazzini di stoccaggio di 1.500 mq oltre 2.000 referenze tra food e non food, con prodotti a nostro marchio e a marchio del gruppo Cateringross che ci consentono di fare proposte esclusive ai nostri 1300 clienti tra ristoranti e pizzerie”.

Un assortimento che fa di Isla Food un preciso punto di riferimento della ristorazione siciliana, un settore in forte crescita grazie all’implementazione che il turismo ha raggiunto nell’isola: nel 2022 Catania, per fare un esempio era la quinta città dell’Italia più cercata dai turisti internazionali.

“La ristorazione sta cambiando pelle e noi con essa. Infatti non è più il prezzo l’elemento di confronto sul mercato. I ristoratori hanno sempre più bisogno di formazione, di servizio e la nostra rete vendita è strutturata per dare questo servizio ai clienti. – sostiene Alessandro Pantaleo – In questi anni abbiamo sviluppato dei percorsi formativi per i nostri agenti che, nella maggior parte dei casi, sono anche nostri dipendenti. Una scelta questa che abbiamo fatto per offrire loro maggiori garanzie professionali”.

Una visione puntuale e precisa

“Oggi non esiste un unico modo di fare ristorazione e neppure esiste più un solo modo di proporre la pizza. Per questo Isla Food ha investito molto in formazione negli ultimi anni. Essere a conoscenza delle dinamiche del mercato, capire con anticipo i cambiamenti è il nostro stile di lavoro, uno stile che ci ha permesso una crescita continua e che ci vedrà, nel 2023, attenti a dare risposte puntuali ai nostri clienti per favorire un modello di ristorazione al passo con i tempi” conclude Alessandro Pantaleo.

Alessandro Pantaleo, ad di Isla Food I quattro soci di islaFood Clicca e leggi l’articolo sul web

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Oliva 1800 al tartufo Arancino passion

Oliva 1800

Cuor di Parma

CREATI. PROVATI. APPROVATI.

“In cucina chiudo gli occhi.

Immagino il mix di sapori, odori, emozioni che vorrei ritrovare nei miei piatti.

Poi apro gli occhi e li creo, li provo e li approvo, se catturano tutti i miei sensi. Ho creato, provato ed approvato la linea Grand’Or Gourmet: potete sceglierli ad occhi chiusi”.

www.cgmsurgelati.it
IL
SURGELATO RAFFINATO
ph. Mauro Corinti
Chef ristorante “Il Tiglio” - Montemonaco (AP)
Il primo gruppo della distribuzione italiana nel food service con 40 aziende associate e più di 65.000 esercizi pubblici serviti in ogni regione. DIVENTA ANCHE TU NOSTRO CLIENTE! Cateringross S.C. Via Margotti, 8 40033 Casalecchio di Reno Bologna -Tel. 0516167417 www.cateringross.net

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