Periodico della Scuola Superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” Numero 1 Febbraio 2021
8
Poveri, quelle vite sospese dal Covid 30
26
Donne e Chiesa, un futuro tutto da scrivere
Come cambia l’America
34
38
Che cosa ci insegna The Hater
In televisione tutti i colori del noir
La parola
4
I vaccini
6
Periodico della Scuola Superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” Numero 1 Febbraio 2021
Cover story
Poveri, quelle vite sospese dal covid di Michele Antonelli e Gabriele Bartoloni
8
di Enrico Dalcastagné
10
di Simone Di Gregorio
11
di Martina Coscetta
12
di Silvio Puccio
13
In coda per un pasto caldo, la Milano che non ti aspetti Il supermercato di chi non può permetterselo Fame d’affetto, nuove povertà nella mensa popolare «A Palermo non è cambiato niente», voci dalla città senza lavoro
Lavoro
Tavoli vuoti, città deserte e niente vacanze di Fadi Musa e Jacopo Vergari
14
di Claudia Chieppa
16
di Natasha Caragnano
18
di Erika Antonelli
19
Colf e badanti, difficoltà e contratti
«Non è colpa nostra» «Un freelance è uno che si sbatte dalla mattina alla sera» Le palestre dimenticate
Necessità
di Lorenzo Ottaviani e Gian Marco Passerini 20
Senza rete né pc, i poveri digitali creati dalla pandemia di Elisabetta Amato
22
di Francesco Stati
24
Media tra virus e viralità
Esteri
Come cambia l’America a cura di Chiara Sgreccia
26
di Angelica Migliorisi
28
La democrazia in America non è ancora finita
Storie
Donne e Chiesa, un futuro tutto da scrivere di Camillo Barone
30
di Lorenzo Ottaviani
32
Calcio robotico, passioni storiche e il futuro che corre
Cultura
Che cosa ci insegna The Hater di Gian Marco Passerini
34
di Valerio Lento e Fadi Musa
36
di Livia Paccarié
38
di Jacopo Vergari
40
di Mattia Giusto
42
Porte aperte agli Uffizi
In televisione tutti i colori del noir Le Canaglie che hanno vissuto il calcio
Il manuale per la democrazia
La Guida di Zeta
Radici: Evidenza della Storia, enigma della bellezza di Chiara Sgreccia
44
di Fadi Musa
45 46
Sanremo, Un festival senza pubblico
Parole e immagini
Necessità è una parola dal significato ambiguo e molteplice. Sfuggente perché, come molte altre nella lingua italiana, contiene moltitudini. È forza superiore alla volontà degli uomini, che li spinge ad agire. È condizione generale di carenza o mancanza, di penuria di mezzi o indigenza che ne determina l’azione. Il suo essere insieme stimolo e bisogno ne fa una parola adatta al tempo che stiamo vivendo e allo spirito con cui abbiamo pensato di costruire questo nuovo numero del periodico Zeta. Un numero nato intorno a un’inchiesta sviluppata dagli studenti della Scuola Superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” sulle nuove povertà legate all’annus horribilis che abbiamo attraversato. L’anno di una crisi epocale ma soprattutto trasversale perché ha toccato, anche se in modi differenti, il mondo intero. Le storie che abbiamo raccolto raccontano queste difficoltà dandogli un volto, rifuggendo il pietismo, cercando di capire, provando ad andare oltre il velo di superficialità
delle cose. Se la nuova povertà a volte è il non riuscire a mettere un piatto caldo sul tavolo a fine giornata, altre volte è più subdola, e si traduce in danni profondi ma meno visibili, come la rassegnazione, la mancanza di prospettive e di opportunità con cui guardare al futuro. Quanto è emerso è la necessità di garanzie, di lavoro, di una gestione corretta delle risorse, dei fondi europei e nazionali, della possibilità di compiere scelte libere, di prospettive future per noi giovani, e della speranza di poter tornare a godere di un benessere e di uno stato di salute che prima sembrava scontato e che ci siamo invece accorti che non lo era affatto. Zeta non si limita al racconto delle difficoltà create dalla pandemia ma guarda in avanti con fiducia ai dati, alla Scienza e alla Cultura, motori della professione giornalistica e di una società sana, civile, democratica e moderna. Questo numero è il primo atto di un anno nuovo, l’anno della distribuzione dei vaccini, della ricostruzione, della passione, dell’intensità. Un anno da vivere a tutto campo.
ZETA Periodico della Scuola Superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” supplemento di Reporter Nuovo Registrazione Reg tribunale di Roma n. 15/08 del 21/01/2008
Direttore responsabile Gianni Riotta
Redazione Viale Pola, 12 – 00198 Roma
Condirettori Giorgio Casadio Alberto Flores d’Arcais
Stampa Centro riproduzione dell’Università
Mattia Giusto
Digitale e informazione
A cura di Mattia Giusto, Livia Paccarié
Contatti 0685225358 giornalismo@luiss.it
Zeta — 3
La parola
Necessità s. f. [dal lat. necessĭtas -atis, der. di necesse (v. necessario)].
1. a. Carattere, qualità, condizione di ciò che è necessario; b. Forza superiore al desiderio e al volere degli uomini, che ne determina l’azione. 2. Con uso assol., grave mancanza o penuria di mezzi, indigenza. (Treccani)
NECES 4 — Zeta
Fondi
Lavoro
Opportunità
Il Recovery
AAA Cercasi
Cultura da curare
Fondo di recupero. Questo è il significato di Recovery Fund, lo strumento europeo per la ripresa. A causa della pandemia che ha imposto all’Uninione Europea di trovare una strategia condivisa per affrontare l’emergenza, i Capi di Stato e di governo europei hanno previsto per l’Italia 750 miliardi di euro (390 di contributi a fondo perduto e 360 di prestiti). I fondi sono previsti anche per la sanità, in Italia l’obiettivo del ministero della Salute è investire 34,4 miliardi di euro in 6 anni per la costruzione o la riqualificazione degli ospedali.
La pandemia ha stravolto il mercato del lavoro ma alcuni settori hanno resistito. LinkedIn, il social network del mondo professionale, attraverso l’analisi dei dati dei suoi 13milioni di utenti in Italia, ha individuato i settori che stanno assumendo di più, nonostante la crisi. Ai primi tre posti: istruzione, salute e esperti di digital marketing. Nei settori creativi sono stati gli scrittori a essere i più ricercati: sono aumentati del 74% tra il 2019 e il 2020, grazie ad aziende che volevano rafforzare la propria presenza digitale con contenuti di alta qualità.
SSITÀ
Il coronavirus ha causato la più grande interruzione dei sistemi educativi nella storia, colpendo quasi 1,6 miliardi di studenti in più di 190 Paesi. Nella media dei Paesi dell'Ue, le persone di 30-34 anni che hanno completato un'istruzione terziaria (università e altri percorsi equivalenti) sono il 40,7%, mentre in Italia la percentuale è del 27,8%. I giovani italiani sono meno specializzati e si trovano quindi ad avere minori possibilità di accedere a posizioni lavorative che garantiscano loro reddito sufficiente e soddisfazione personale.
Informazione
Salute
Stop alle fake news
Ipocondria addio
La stampa ha l’obbligo di fornire un’informazione specializzata e certificata. Il mondo dei media, durante l’emergenza sanitaria, si è impegnato di più nel contrastare la diffusione delle fake news, che potevano creare allarmismi e minare l’efficacia dei provvedimenti anticontagio. Le piattaforme digitali hanno giocato un ruolo fondamentale per rendere l’andamento dei contagi, attraverso infografiche e grafici interattivi.
Il Coronavirus è stato percepito come un predatore inarrestabile, le persone hanno dovuto fare i conti con le proprie emozioni e paure. Reggere situazioni di allerta e tensione per lungo tempo in qualcuno ha portato anche a situazioni di ipocondria, intesa come tendenza a un'eccessiva preoccupazione per il proprio stato di salute, percependo ogni minimo sintomo come un segnale di infezione da nuovo coronavirus.
Zeta — 5
I vaccini
Usa/Germania
Stati Uniti
Pfizer - Biontech
Moderna
Il primo vaccino a essere approvato per la somministrazione su larga scala. A causa della fragilità del Rna-messaggero su cui si basa, il vaccino BNTI62b2 richiede temperature di conservazione comprese tra -60 e -90 sotto zero per manterene inalterate le sue proprietà. Vanno somministrate due dosi a distanza di 21 giorni l'una dall'altra per garantire l'immunità. La protezione completa si raggiunge dopo una settimana dal richiamo. L'efficacia dichiarata è del 95%. Ogni fiala contiene fino a sei dosi.
grafica e testo a cura di Silvio Puccio
6 — Zeta
A base di Rna-messaggero, è il secondo vaccino approvato. A differenza di PfizerBiontech, il siero di Moderna può essere conservato all'intero di un range di temperature compreso tra -25 e -15 gradi sotto zero, ma può resistere fino a 30 giorni se stoccato a temperature superiori. Da ogni flacone si estraggono dieci dosi pronte all'uso senza diluizione. Può essere somministrato a soggetti sopra i 18 anni. L'efficacia è del 94,1% e l'immunità si raggiunge dopo due settimane dal richiamo, da eseguire 28 giorni dopo la prima dose.
Regno Unito
Stati Uniti
Oxford - AstraZeneca
Johnson & Johnson
Autorizzato all'uno in emergenza nel Regno Unito e in altri paesi, è realizzato a partire da un virus di scimpanzè reso innocuo per l'uomo. La sequenza di DNA verrà letta dalle cellule e trascritta in mRna, la cui traduzione porterà alla sintesi proteica. Per essere conservato non richiede le bassissime temperature necesarie per i vaccini basati su Rnamessaggero. L'efficacia varia dal 62 al 90 per cento in base al dosaggio e genera una risposta già dopo la prima dose. Il richiamo va somministrato a 28 giorni. Il nome in codice è AZD1222, o Covishield.
Il vaccino Ad26.COV2.S si basa su una versione indebolita del virus del raffreddore, che non si replica nelle cellule umane ma induce la produzione della proteina spike. Con la stessa tecnologia l'azienda ha sviluppato il vaccino contro il virus Ebola e sta lavorando al siero per contrastare Zika e H.I.V. Si conserva tra i 2° e i -8°C per tre mesi. La posologia consigliata al momento prevede una singola somministrazione, ma allo studio c'è anche l'ipotesi di inoculare il vaccino in due dosi. Al momento il farmaco è nella fase 3 della sperimentazione clinica.
Salute
Come funzionano i vaccini Il medico britannico Edward Jenner coniò il termine vaccino nel 1796. Studiando le mungitrici guarite dal vaiolo bovino, si accorse che non contraevano la variante umana del patogeno, spesso letale.
Russia
Stati Uniti
Sputinik V
Novavax
Somministrato in Russia, Argentina e altri paesi, si basa su due tipi di adenovirus inattivati, incapaci di replicarsi e di diffondere la malattia. Con la prima dose viene inoculato un siero a base di adenovirus ad26. Ventuno giorni dopo il richiamo, a base di adenovirus ad25. Ricorrere a due tipi diversi è un modo per scongiurare la possibile produzione repentina di anticorpi con conseguente riduzione dell'efficacia, stimata al 91,4%. Come per altri vaccini a vettori virali, non richiede temperature basse per essere
Il vaccino NVX-CoV2373 le proteine spike utilizzate per "addestrare" il corpo umano a riconoscere e combattere SARS-Cov2 - prodotte da cellule di insetto infettate da un baculovirus ingegnerizzato con il materiale genetico necessario alla loro produzione. vA queste si aggiunge l'auduvante proprietario Matrix-M1 utile a potenziare la risposta immunitaria del soggetto vaccinato. Il vaccino è al momento nella fase 3 della sperimentazione e prevede due dosi a 21 giorni di distanza.
Da qui l'idea: inoculare il materiale estratto dalla pustola di una vacca affetta da vaiolo in un individuo sano, rendendolo immune dalla variante più pericolosa. Jenner somministrò il preparato a un bambino di 8 anni, che non si ammalò di vaiolo. Il concetto alla base del primo vaccino era semplice e geniale: "allenare" la memoria immunologica del sistema immunitario esponendolo a una forma attenuata del patogeno, contribuendo a sviluppare nel corpo umano gli strumenti utili a contrastare l'ipotetica infezione ancor prima che questa si presenti. Per funzionare, alcuni utilizzano una versione inattiva del microrganismo da cui devono proteggere. Altri vaccini contengono solo una parte dell'antigene, unita a un adiuvante che ne migliora l'efficacia. Altri ancora utilizzano frammenti di Dna o mRna per indurre le cellule del corpo umano a sviluppare una risposta immunitaria efficace. La quasi totalità di queste tecnologie farmaceutiche è adesso in campo nella lotta al SARS-CoV2, seguendo il solco tracciato da Jenner 200 anni fa.
Cina
Cuba
Sinopharm
Soberana 1-2
L'azienda farmaceutica statale cinese ha prodotto due vaccini basati su una versione inattivata di coronavirus, che non provoca la malattia stimolando invece la produzione di anticorpi da parte del sistema immunitario. Entrambi i farmaci sono stati testati su soggetti con età superiore a sei anni. La loro distribuzione alla popolazione è stata approvata in Cina, Barhain ed Egitto. L'efficacia dichiarata dai produttori è del 79,34% in regime di doppia somministrazione a distanza di 21 giorni l'una dall'altra.
Due i vaccini in fase sperimentale nell'isola centramericana: Soberana 1 e Soberana 2. Cuba lavora sul primo sin da agosto. Contiene una parte della proteina spike (la RBD) insieme alle proteine di un batterio e all'idrossido di alluminio. La ricerca sul secondo vaccino è partita a ottobre, ed è anch'esso basato sulla fusione della proteina spike con un vaccino antitetanico standard utilizzato per stabilizzare il preparato. L'ingresso nella fase 3 della sperimentazione è atteso a breve.
8
Sono i principali vaccini approvati o in fase di approvazione contro il Covid19. Quattro di questi sono sviluppati negli Stati Uniti, gli altri in Cina, Russia, Regno unito e Cuba. Nella corsa verso la vaccinazione di massa, loro puntano dritti al traguardo, altri hanno dovuto chiedere aiuto. Almeno 189 Paesi si sono rivolti all’Organizzazione mondiale della Sanità per sopperire alle proprie carenze di mezzi.
Zeta — 7
Cover Story
Poveri
Quelle vite sospese dal Covid La pandemia ha eroso risparmi e dimezzato le entrate degli italiani. Tra i più danneggiati, lavoratori autonomi e famiglie già povere L'INCHIESTA
Nomi comuni, volti provati, voci insicure. Persone che da un giorno all’altro hanno perso stipendi, certezze, sogni. Vite in bilico per colpa della pandemia, storie di nuove povertà e di carriere interrotte. La storia di Giorgio, guida turistica, diventa emblema della crisi di un settore e del desiderio di ripartenza: «All’inizio è stata dura. Poi l’idea, insieme alla mia ragazza, educatrice cinofila. Un nuovo sistema di visite guidate, che combina gite e passeggiate didattiche con i cani. È stata la nostra forza». Alessandro, ristoratore da una vita: «Lavoriamo al 30% del nostro potenziale, una bastonata. Sono stato costretto a chiedere una riduzione dell’affitto, non posso più pagare». Se alcune esperienze finiscono, altre diventano storie di successo. Come per Ama-
di Michele Antonelli
zon, che nei mesi di lockdown ha visto la propria piattaforma inondata da richieste. C’è chi ha avuto «occasioni» grazie a nuove assunzioni, ma c’è anche chi ha dovuto fare i conti con «turni estenuanti». Tutti, a modo loro, ingranaggi di una «grande matrioska». Tra quelle dei giovani, esemplare è la storia di Giacomo, fashion designer: «Mi sono sempre dato da fare e dopo la laurea ho trovato uno stage in un’azienda di moda milanese. Era il mio sogno. Nonostante mi avessero già parlato di assunzione, non mi hanno potuto tenere. La pandemia mi ha rispedito al Sud». Il Covid ha infranto il sogno di Giulio: «Io e il mio socio stavamo facendo qualcosa di bello. Abbiamo aperto la nostra palestra nell’ottobre del 2019. La seconda chiusura ci ha fatto davvero male. Non sappiamo se insistere o lasciar perdere tutto». ■
Cinquantuno famiglie su cento con un reddito medio inferiore a 600 euro hanno dichiarato che le proprie entrate si dimezzeranno rispetto al periodo precedente l'emergenza sanitaria. Un calo di entrate che si ripercuote anche sulle scelte alimentari. Dopo l'esplosione della pandemia, il 18 per cento delle famiglie dichiarano di acquistare cibo, vestiti e altri beni di qualità inferiore. (Fonte: Banca d'Italia)
Sono i soggetti con basso titolo di studio ad aver patito le conseguenze economiche peggiori. La pandemia ha eroso sopratutto i redditi dei soggetti in possesso della sola licenza elementare o diploma di scuola media.
8 — Zeta
Non tutti i poveri sono uguali, anatomia e sintomi di un sussidio Se i requisiti del RdC sono gli stessi su tutto il territorio nazionale, non si può dire la stessa cosa della povertà assoluta. Una distinzione di cui il RdC non tiene conto.
fisiologico del RdC così come disegnato in origine», spiega Francesco Nespoli, ricercatore dell’Università di Modena e Reggio Emilia e data analyst di Catchy Big-Data. «La soglia ISEE per accedere al RdC è la stessa in tutta Italia, ma l’erogazione massima è stabilita nella cifra simbolo di 780 euro mensili. In alcune zone d’Italia questa somma può essere comunque inferiore alla soglia di povertà assoluta calcolata dall’Istat». Il risultato è che un cittadino di Reggio Calabria potrebbe prendere il sussidio anche se non è considerato povero dall’Istat, in quanto al Sud la soglia di povertà è fissata a circa 624 euro al mese. Al contrario, chi abita a Milano, nonostante la stessa condizione di indigenza, rischia di non ricevere il sussidio o di ottenerne solo una parte, che, a differenza di un residente nel Mezzogiorno, non gli permetterebbe di raggiungere la soglia di povertà calcolata dall’Istat che per il Nord è stabilita intorno agli 840 euro. A rimanere esclusi, dunque, sono quelli che rientrano nella fascia di reddito compresi tra i 780 e gli 840: poveri tanto quanto al Sud ma con l’impossibilità di accedere al sussidio. ■
La pandemia, il lockdown e la crisi economica, sono state un banco di prova importante per il Reddito di Cittadinanza. Non solo per il Mezzogiorno, ma anche per il Nord, la zona più colpita dalla diffusione del Covid-19 in Italia. Secondo l’Istat, il numero di famiglie povere al Nord è più o meno lo stesso rispetto Sud: 726 mila nel primo caso e 706 mila nel secondo. Guardando il grafico a barre è evidente la sproporzione in termini di nuclei beneficiari del RdC: al Nord, nel 2019, erano 225.642, neanche la metà rispetto al Sud (597.530). Questa asimmetria è dovuta in parte all’intensità della povertà (più alta nel Mezzogiorno), e in parte dal tasso di occupazione (più alto al Nord), visto che l’assenza di un lavoro è uno dei prerequisiti per ottenere il sussidio. Ma in realtà il problema sta anche nel “difetto di fabbrica” con cui è nato il Reddito: prendere come unica soglia per accederci un reddito di 780 euro mensili, senza considerare l’esistenza di differenti soglie di povertà assoluta in base al posto in cui si vive. «Si tratta di un risultato di Gabriele Bartoloni
Un Paese di poveri sempre più poveri La pandemia ha eroso risparmi e dimezzato le entrate degli italiani. Tra i più danneggiati, lavoratori autonomi e famiglie già povere
Su ZETALUISS.IT trovate tutta l'inchiesta assieme a tanti contenuti esclusivi, video e podcast realizzati dalla redazione di Zeta.
In Italia i poveri sono sempre più poveri. È ciò che emerge dai risultati dell’indagine straordinaria della Banca d’Italia: un questionario per monitorare le aspettative economiche e i consumi degli italiani attraverso una serie di domande fatte a campione, con l’intento di essere rappresentative della popolazione del Paese. Secondo lo studio, metà delle famiglie che vivono con meno di 600 euro al mese afferma che il Covid-19 ha dimezzato i guadagni pre-pandemia. Una nuova e strisciante povertà prende forma come effetto collaterale di un’emergenza che pesa soprattutto sugli ultimi. In media 51 abitanti su 100 pensano che le loro entrate diminuiranno in maniera più o meno significativa, indipendentemente dal reddito percepito. Nel quartiere che con poca fantasia chiameremo Nord, i cittadini che si aspettano un calo delle entrate familiari salgono a 55, un numero sopra la media complessiva. Il dato indica quanto la pan-
di Silvio Puccio
demia abbia colpito prima, e in maniera più dura, il motore produttivo del Paese. A subire le conseguenze del lockdown di marzo sono stati soprattutto i lavoratori autonomi. Nonostante aiuti e ristori, il 51 per cento dichiara una variazione negativa del reddito familiare tra il 25 fino a oltre il 50 per cento, a partire dalla prima serrata cui è stata costretta l’Italia. Anche il 40 per cento dei dipendenti a termine ha accusato un calo simile. A registrare perdite importanti sono anche i cittadini con il più basso livello di istruzione. Il 30 per cento degli italiani con un titolo fino alla terza media ha affermato di aver perso oltre il 25 per cento del reddito pre-lockdown. Secondo Eurostat, a essere più pessimista è chi ha una licenza elementare (-17) e chi si è fermato alle medie (-14), mentre per laureati e diplomati la situazione è meno grave (-9), a riprova del fatto che un alto livello d’istruzione costituisce una sicura difesa contro il rischio di impoverimento in tempi di crisi. ■ Zeta — 9
Coverstory
Mense In coda per un pasto caldo, la Milano che non ti aspetti Nella città più colpita dal virus, modello economico per anni, le associazioni aiutano chi ha bisogno. Le storie di chi non si arrende di Enrico Dalcastagné
1
ti con storie diverse». I camerieri filippini licenziati in tronco, il parcheggiatore disoccupato. Una moltitudine che viveva di piccoli flussi di reddito che sgocciolavano dall’alto dei successi del terziario cittadino e che oggi, con le luci spente dal virus, non arrivano più. Il mondo dell’assistenza milanese si è attivato e reinventato con forza: la Caritas con le parrocchie, l’ambiente progressista di Emergency, il Banco Alimentare nato da CL, Pane Quotidiano con il Rotary Club. Con qualche invidia e momentanea alleanza, remano tutti dalla stessa parte. Volontari e «utenti», come li chiamano i City Angels di Mario Furlan, che a tarda sera regalano coperte e tè caldo a chi un tetto non ce l’ha; fino all’una di notte su un furgone rosso, tra i quartieri Cadorna e Gratosoglio. O volontari e «nostri ospiti», come ripetono i frati di San Francesco alla mensa di viale Piave. Lì vediamo una coda di mamme con i passeggini, giovani immigrati al telefonino, gruppetti vocianti di badanti dell’Est, maschi anziani con lo sguardo perso. Gli stranieri accanto ai pensionati milanesi, le colf rumene assieme a chi ha perso il lavoro da lavapiatti, commesso, fattorino all’ortomercato. Solo adesso ci si accorge quanto fosse largo il retroterra di lavoro irregolare e di part time involontario femminile; lo spazio dell’economia sommersa, nella Milano delle special week a raffica.■ 3
«Giustino è sulla strada dopo trent’anni di lavoro. Ogni sera va a Paderno Dugnano e dorme in un capannone abbandonato. Ce l’ha con la Fornero e gli extracomunitari ma salva la sanità lombarda: «Mi sono preso il Covid e mi hanno curato in ospedale, su questo non ho niente da dire». Claudio ora sta meglio, dopo un anno senza lavoro ha trovato un’occupazione e un posto dove stare: «Da lunedì non sono più in giro, per me la pandemia finisce qua». Angelo dorme a piazza Firenze oppure sulla 90, il filobus che gira attorno a Milano. La biblioteca gli manca tanto: da quando è chiusa per Covid non può stare al caldo e lavarsi. «Io lì leggevo fumetti». Le biografie degli ultimi sono queste, alla povertà materiale si sommano storie di solitudine. Se ai milanesi moderni e europei il lockdown ha regalato Netflix e smart working, a tanti altri ha inflitto una rottura dei rapporti sociali. «Ogni giorno vengono da noi tra le 2 e le 3 mila persone, nell’ultimo anno soprattutto giovani che non arrivano alla fine del mese. Gente che prima aveva un lavoro, magari in nero, e conserva ancora una casa – ci dice fra Giuseppe Fornoni, che gestisce la mensa dell’Opera San Francesco – Dopo la crisi del 2008 venivano di più gli anziani, oggi sono aumentati i Neet e tanti ospi10— Zeta
2
4
1. I City Angels in azione vicino alla Stazione Centrale di Milano, dove c'è la loro sede operativa. 2. I volontari dell'Opera San Francesco distribuiscono pane e pasta. 3. La mensa di piazza Velasquez dell'Opera San Francesco. 4. Un pasto caldo alla mensa di viale Piave, a Milano.
Il supermercato di chi non può permetterselo Un bancomat a punti con un sistema di ricarica automatica. Così le famiglie più impoverite possono contare su un'iniziativa della Caritas per recuperare una normalità sospesa di Simone Di Gregorio
1
Intere famiglie, donne, uomini, giovani, anziani, italiani e non. I nuovi poveri di Roma affollano i corridoi di un supermercato nascosto nel cortile della “Cittadella della Carità – Santa Giacinta”, tra le mura romane dell’acquedotto che costeggia via Casilina. È l’Emporio della Solidarietà. Cinquecento metri quadrati di scaffali, alimenti, carrelli, insegne, in cui le famiglie indigenti possono reperire gratuitamente generi di prima necessità, ma non solo. «Questa esperienza nasce nel 2018 come aiuto alle famiglie che non riuscivano a arrivare a fine mese. Parliamo di 30 – 40 persone al giorno, niente a che vedere con la situazione attuale. Il Covid ha cambiato tutto, oggi arriviamo anche a 250 accessi», spiega Lucia Montebello, la responsabile dell’Emporio. Dal carico scarico delle merci, fino ai turni di volontariato e il riordino scaffali, Lucia organizza ogni aspetto del funzionamento di questo supermarket gratuito. Conosce i clienti, parla e scherza con tutti. «Per fare la spesa qui è necessario passare dai centri di ascolto diocesani o parrocchiali che verificano l’esistenza di una condizione di disagio socioeconomico e rilasciano una specie di bancomat a punti». Ogni prodotto esposto all’emporio, invece del prezzo, ha una targhetta che ne indica il costo in punti. I “clienti” alla cassa presentano questa carta di credito che, vidimata con un Pos, scala i punti dal monte crediti disponibile. «Ho speso 117 punti» racconta la signora mentre sfoggia dal carrello due pigiami blu ancora imballati
2
3
nel plexiglas, tra un pandoro e alcuni pacchi di pasta. La mascherina chirurgica le sostiene il naso: «Sono per i miei figli. Hanno 50 anni, ma non lavorano per colpa de ‘sto Covid che ci ha distrutto economicamente e fisicamente». In vendita ci sono articoli di tutti i tipi. Dai generi alimentari, come pasta e carne, omogenizzati e pannolini, fino a zaini, pantaloni, magliette e anche pigiami. Lucia Montebello se ne prende i meriti: «Da quando sono qui, ho fatto in modo che l’offerta non fosse limitata ai generi alimentari». Tutte le merci sono reperite attraverso un sistema di approvvigionamento basato su finanziamenti pubblici e sponsor privati, le derrate alimentari donate dell’Unione European e le raccolte fatte dai volontari nei centri commerciali. Prima della pandemia, parte del ricavato proveniva dalle monete raccolte sul fondo a Fontana di Trevi. «Con il turismo bloccato, anche la raccolta simbolica dal “Fontanone” non è più possibile. I generi di prima necessità non sono accessibili illimitatamente, altrimenti non basterebbero per tutti», continua Montebello mentre indica un cartellino sullo scaffale della pasta. “Non più di due pacchi”, si legge stampato. Come i soldi, anche i punti finiscono. «Ne ho spesi 60 oggi. Ho finito il mio credito, ma ho fatto richiesta per la ricarica, dovrei farcela», racconta Mohamed, egiziano, che prima di perdere il lavoro con la pandemia, faceva il collaboratore domestico. «Lavoravo presso due famiglie, assistevo due anziani, poi la paura li ha convinti a allontanarmi». Lucia sa che oltre al sostengo economico, c’è una componente psicologica nella ritualità della spesa al supermercato. «L’Emporio della solidarietà permette a tutte queste persone di riprende a vivere quella normalità che gli è stata negata e sospesa dall’emergenza Coronavirus». ■
“Prima della pandemia l’accesso medio era di 30-40 persone al giorno, Il Covid ha cambiato tutto, oggi arriviamo anche a 250 accessi.”
4 1. La Cittadella della Carità – Santa Giacinta sulla via Casilina Vecchia a Roma. 2. Lucia Montebello, responsabile dell’Emporio della Solidarietà, dentro la Cittadella. 3. La signora Maria, romana del quartiere Prenestino.
Zeta — 11
Cover story
Fame d’affetto, nuove povertà nella mensa popolare
1
Anziani soli, italiani over 50 disoccupati e immigrati senza fissa dimora. L’Oratorio del Caravita è il simbolo della nuova emergenza povertà in Italia di Martina Coscetta
Sono le 12 di un freddo sabato di gennaio quando una fila di persone comincia a raggrupparsi disordinatamente fuori il portone dell’Oratorio del Caravita, nel cuore di Roma. Siamo a pochi metri di distanza dalla Camera dei Deputati e da Palazzo Chigi. In quella che ogni giorno è una piccola chiesa storica del centro della Capitale da quattro anni ogni sabato i banchi della Messa vengono spostati per lasciare posto ai tavoli che accolgono senzatetto, immigrati in stato di necessità e anziani che non riescono ad arrivare a fine mese. A servire i pasti caldi – sempre abbondanti, con primo, secondo, dolce e frutta – una squadra di giovani volontari del Liceo Classico “Visconti” e di adulti laici che condividono anche un percorso di fede comunitaria. A guidare la squadra dei volontari del sabato c’è sempre Padre Massimo Nevola, il rettore dell’Oratorio, un gesuita napoletano che ama scherzare con i suoi ospiti del pranzo. Con tanto di microfono impostato al massimo dei decibel intona canti della tradizione napoletana e invita tutti a fare altrettanto, spesso nella triste indifferenza di chi è lì per consumare un pasto veloce e andare via. Con il suo fare cerca di sdrammatizzare i toni Padre Massimo, ma non nasconde la gravità del suo lavoro in mensa: «Quando uno ha fame non può attendere le grandi riforme degli Stati. Quando uno ha fame deve mangiare», dice lapidario, togliendosi la mascherina come a voler essere ancora più incisivo. «Noto più italiani del solito venire a mangiare qui, quasi tutti adulti senza un lavoro, o nel peggiore dei casi anziani soli senza una pensione sufficiente a vivere con dignità. Cerchiamo di creare un clima disteso che permetta un’accoglienza calda e discreta, ma è diventato tutto più complicato con l’arrivo della pandemia». Le portate del pranzo si alternano frettolosamente e il cibo avanza come ogni sabato. Padre Massimo passa di tavolo in tavolo per parlare del più e del meno con i suoi ospiti, per sapere come procedono le loro vite. Molti non alzano la testa e restano schivi, i più anziani chiacchierano senza problemi. «La solitudine è la malattia più importante. È difficile da curare da quando è arrivato il covid, ma questa mensa mi aiuta a combatterla», spiega M., pensionata di 78 anni. Da tre anni M. frequenta diverse mense caritative data la bassa pensione percepita, ma spiega di aver perso nel 2020 il briciolo di sicurezza sociale che le era rimasto. 12 — Zeta
«Se non ci fosse il mondo religioso gli immigrati, i rifugiati e le persone senza documenti soffrirebbero molto di più. Da musulmano in Italia mi ritengo salvato dal volontariato cristiano», dice al tavolo affianco R., tunisino rimasto senza lavoro a Roma da maggio 2020. La mensa non si fermerà, assicura Padre Massimo. «Ci siamo stati anche quando avevamo meno donazioni di cibo. Oggi per fortuna non mancano, ma abbiamo bisogno di sostegno», dice col volto sereno di chi non ha paura del futuro. ■
2
1. Nella mensa del Caravita a Roma, nel centro storico. Le persone che aspettano di mangiare sedute ai tavoli allestiti all'interno della chiesa. 2. Il cestino del pane composto dai volontari dell'oratorio. I cestini vengono preparati e poi portati in tavola, oppure il pane è distribuito dentro alle buste.
«A Palermo non è cambiato niente», voci dalla città senza lavoro In una città in cui lil tasso di inattività sfiora il cinquanta per cento, la pandemia e le restrizioni imposte per contrastarla sono solo un’altra difficoltà che grava sulle spalle degli ultimi di Silvio Puccio
1
«Ce l’avete un sacchetto per me?». Rosa si avvicina all’auto dei volontari con passo incerto, facendo perno sulla stampella. Con l’altra mano trascina un carrellino vuoto. «Coronavirus o meno, a Palermo non è cambiato niente. Facevo la fame prima e continuo a farla adesso». Se le chiedi del suo lavoro, ti risponde che non ce l'ha mai avuto. «Ma ho sempre cercato di vivere con dignità, rispetto ed educazione», sottolinea. Poi un volontario in mascherina e casacca blu le porge una busta. Dentro ci sono due confezioni di pasta, sughi in bottiglia, dei tramezzini donati da un bar ormai costretto chiudere alle 18. «Ho una figlia ancora piccola. Quando torno a casa coi sacchetti della spesa sorride, corre verso di me e mi abbraccia. Il bene che fanno queste persone arriva anche alla mia bambina, portando un po' di gioia in casa». Dopo aver distribuito i viveri al capannello di persone ammassate sui gradoni del palazzo delle Poste, la carovana ricomincia la sua ronda. Antonella Madonia chiude il cofano ancora colmo della sua Panda. Di giorno lavora nella segreteria di un liceo. Ogni primo lunedì del mese si occupa dei più bisognosi con la Perla Rosa, una cooperativa di aiuto fondata a Palermo tre anni fa. Sale in auto, mette in moto e comincia a raccontare: «Prima della pandemia assistevamo non più di quaranta famiglie. Adesso portiamo cibo, vestiti e beni necessari a 139 nuclei familiari. Un numero destinato ad aumentare. Molte delle persone che aiutiamo un lavoro stabile non l'hanno mai
1. Le ronde notturne dei volontari nel centro storico di Palermo. I bisognosi attendono sul ciglio della strada in attesa di ricevere la spesa. 2. Il pranzo da dietro un vetro alla mensa "la Panormitana" della Caritas di Palermo. A causa del Covid il refettorio serve solo pasti già pronti, da consumare altrove.
avuto. Altri lo hanno perso nell'ultimo anno, dopo l'arrivo del coronavirus». Secondo l'Istat, a Palermo il tasso di disoccupazione sfiora quota 19 per cento. Si tratta del quarto valore più elevato tra le grandi città italiane. Ma è il numero degli inattivi a raggiungere valori da primato, toccando i cinquanta punti percentuali. Dopo Napoli, si tratta del dato peggiore registrato a livello nazionale. Una statistica resa drammatica dai tanti che, non trovando un'occupazione regolare, si affidano a forme di lavoro sommerso, irregolare, nascosto, andando a ingrossare le fila di quelli che vengono classificati come inattivi dai dati ufficiali. Parcheggiatori abusivi, lavoratori in nero, pensionati con la minima. Uomini e donne che sopravvivono appoggiandosi a strumenti di welfare informale per continuare a sbarcare il lunario. Una rete che la pandemia ha spezzato, rendendo tangibile l'emergenza che ha allungato le file di fronte alle mense dei poveri. «Sono uscito dal carcere a luglio. Se non ci fosse la Caritas sarei di nuovo a rubare». Pietro, un uomo sulla cinquantina ingobbito dentro il suo cappotto strappato, fuma nervoso mentre aspetta di ricevere il pranzo. In coda come tanti allo sportello che il refettorio della Caritas ha adibito per fornire i pasti senza creare assembramenti dentro la struttura, si avvicina alla volontaria che passa i piatti da dietro il vetro. A mezza bocca le dice che non ha la tessera per dimostrare il suo stato di indigenza. Lei risponde comprensiva che per oggi non serve. «Nelle mense che gestiamo abbiamo registrato un notevole incremento di richieste di aiuto – Spiega Gregorio Porcaro, vice presidente del braccio palermitano della Caritas – molte delle persone che assistiamo adesso non si sono mai rivolte a noi prima d'ora. Gente che, prima della pandemia, viveva di espedienti o piccoli lavori sommersi o non regolari. e che adesso sperimentano la difficoltà di pagare le bollette e di comprare da mangiare. Adesso che è stato imposto il distanziamento sociale, le comunità cui appartenevano si sono infragilite. Questo è il sostrato nascosto di Palermo che la pandemia ha portato a galla, e che ora siamo chiamati ad aiutare». ■ 2
Zeta — 13
Lavoro
Tavoli vuoti città deserte e niente vacanze Tempi duri per ristorazione, alberghi, piste da sci e viaggi. Tra chiusure e restrizioni le storie di Nicolò, Giorgio, Stefano, Alessandro e Luisa TURISMO
Cosa hanno in comune una guida turistica, un maestro di sci tuttofare, un maggiordomo dell’hotel St. Regis di Toronto e una coppia romana di ristoratori? Sono professionisti del turismo nell’anno 2020: il lavoro giusto, al momento sbagliato. L’avvento di Covid-19 ha stravolto la loro esistenza. Alcuni hanno dovuto abbandonare - chissà per quanto tempo - il mestiere di una vita, altri si sono visti stroncare una carriera appena avviata, piena di speranze e progetti. «L’indipendenza economica, un mestiere stimolante, una casa propria. Ce la stavo facendo, poi ho perso tutto. Come una mano che ti afferra e trascina giù. Per fortuna sono giovane, ho la possibilità di studiare e rilanciarmi». Nicolò ha lasciato il Canada lo scorso marzo. Assunto a ventisette anni in una prestigiosa catena alberghiera come addetto alle relazioni con i clienti, è tornato a Roma, dai suoi genitori, per rimettersi sui libri. di Jacopo Vergari e Fadi Musa
14 — Zeta
Studio che è stato fondamentale anche per Giorgio, trentatreenne guida turistica della Capitale. Ha reagito, con un guizzo di originalità: «Ne ho approfittato per ripassare, approfondire. Poi ho avuto un’idea. La mia ragazza è un’educatrice cinofila, perché non sfruttare la cosa? Ho quindi organizzato un diverso tipo di passeggiate didattiche, chiamate “Dogs in Tour”. Incontri dedicati a cani e padroni, che si svolgevano sull’Appia Antica. Un posto meraviglioso, all’aperto, dove si poteva parlare di storia e arte. Ma distanziati e in sicurezza. Peccato che abbia funzionato per un tempo limitato». E cosa è successo alla ristorazione? Ce lo raccontano i proprietari de “Il Gatto e la volpe al 151”, locale del quartiere Talenti, periferia Nord di Roma. Le misure restrittive legate alla pandemia hanno costretto Alessandro e Luisa a tagliare le spese, rinunciando al servizio pizzeria. Poi la situazione li ha messi in condizione di non poter pagare l’affitto del locale al prezzo pi-
Saslong
La Saslong è la famosa pista da sci del comprensorio del Dolomiti Superski che scende dai piedi del Sassolungo sino a Santa Cristina, nel cuore della Val Gardena.
eno. «Non ce la faccio a darti millecinquecento euro, questa è una zona dove non gira gente. I clienti vengono apposta da noi per cena. Se la sera non mi fai aprire, è la fine». Mancanza di persone che si è fatta sentire ancora di più sull’Altopiano delle Rocche, Appennino abruzzese, in provincia dell'Aquila. Sono quarantaquattro anni che Stefano è maestro di sci nella stazione di Campo Felice, un’ora e mezza di auto da Roma. «La chiusura degli impianti è stata un duro colpo. Non è come in una grande città, qui ci sono paesi vuoti, quasi deserti, che vivono durante la stagione estiva e invernale. Nel centro dove sono nato io, abitano diciotto persone. Da un paio d’anni percepisco una piccola pensione, e anche in un contesto di normalità ho bisogno di arrotondare con lavori di edilizia e artigianato. Ma senza gente è tosta andare avanti». Un quadro drammatico, che ha colpito al cuore l’economia del nostro Paese: in Italia il turismo valeva 171 miliardi di euro di fatturato, offriva lavoro a circa un milione
e mezzo di persone e contribuiva a quasi il 12% del Prodotto interno lordo. In Europa eravamo al primo posto per quota di esercizi ricettivi, e nel 2018 al terzo per numero di turisti ospitati, dopo Spagna e Francia. Un settore florido, in costante crescita. Poi, nel 2020, tutto è crollato. Da marzo a maggio le attività avrebbero potuto sfruttare una fase di rilancio, grazie a festività pasquali e Pentecoste. L’Istituto nazionale di statistica ha stimato che senza Covid-19, nei mesi primaverili ci sarebbero state 81 milioni di presenze, ovvero il 18% del totale annuo. Sempre in quel trimestre, sarebbero stati 9,4 i miliardi di euro spesi dai soli turisti stranieri. Poi tra luglio e agosto un rilancio transitorio, che ha registrato un aumento delle presenze, anche se non ai livelli dell’anno precedente. Rispetto all’estate del 2019, c’è infatti stato un calo del 36,1%. Secondo gli esperti, in un anno il mercato del lavoro italiano ha subito un crollo di 841 mila occupati, e nel secondo tri-
mestre il turismo ha registrato un calo di 246 mila unità, pari al 16,1% dell’intero settore. Infine, nel 2020 il 29,3% delle persone ha perso il lavoro. Dietro queste percentuali fredde e anonime ci sono le loro storie. ■
9,4 mld Turismo straniero
Gli euro che avrebbero speso i soli turisti stranieri in Italia nel secondo trimestre dell'anno se non ci fosse stato il
Presenze Nonostante un rilancio transitorio, rispetto all'estate 2019 c'è stato un calo delle presenze turistiche del
36,1 % Zeta — 15
Lavoro
Colf e badanti, difficoltà e nuovi contratti Nelle prime fasi della pandemia la categoria dei collaboratori domestici è stata fra le più penalizzate ma negli ultimi mesi si è assistito a un aumento di assunzioni
«Le persone da cui vado senza contratto mi hanno detto, a maggio, che non serviva che andassi al lavoro perché tanto c’erano loro a casa e anzi, avevano paura che io, andando in giro, potessi attaccargli il virus». Questo il racconto di una colf, che ha preferito rimanere anonima, a Zeta, riguardo i cambiamenti che il suo lavoro ha subito durante i primi mesi della pandemia in Italia. Quella dei collaboratori domestici è stata una delle categorie più penalizzate dalla pandemia da Covid-19. Le mansioni di colf e badanti, infatti, non consentendo il distanziamento sociale, hanno alimentato la paura del contagio tra le famiglie che, in alcuni casi, hanno richiesto la sospensione totale o la riduzione delle ore lavorative dei propri dipendenti. Inoltre, secondo le stime dell’ILO, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, i lavoratori dell’economia informale (che ammontano a 1,6 miliardi nel mondo) rischiano di perdere i propri mezzi di sussistenza a causa dell’incertezza economica e sociale derivata dal Covid-19. In Italia, a questa situazione, si sono sommati, nei mesi più duri del lockdown, dei provvedimenti normativi specifici non adeguati. «Il periodo emergenziale della pandemia ha segnato profondamente il lavoro domestico», racconta a Zeta l’avvocato Massimo De Luca, direttore dell’Osservatorio nazionale dell’Associazione Domina sul lavoro domestico. «Soprattutto per quanto riguarda il modo in cui è stato trattato dalle istituzioni governative nel momento del lockdown. Datori di lavoro e lavoratori domestici non sono stati destinatari delle misure di sostegno al reddito che hanno ricevuto invece altre categorie lavorative». Il riferimento è al decreto “Cura Italia” del 17 marzo 2020, che discriminava i collaboratori domestici – esclusi dalla cassa integrazione in deroga e dallo stop ai licenziamenti – in aperta violazione della Convenzione n.189 del 2021 sul lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici, ratificata anche dal nostro Paese. L’Associazione Domina, di cui l’avvocato De Luca fa parte, è una delle Parti Sociali firmatarie della contrattazione nazionale di settore che si sono poi rivolte al governo per richiedere una rettifica di questa situazione. Rettifica che in parte è arrivata con il “Decreto Rilancio” del 19 maggio 2020, in cui i lavoratori dome-
di Claudia Chieppa
16 — Zeta
stici hanno ricevuto due indennità da 500 euro per i mesi di aprile e maggio. L’erogazione è andata però solo a una parte di essi, a causa dei requisiti stringenti: non convivenza con le famiglie per cui lavoravano e contratti da almeno 10 ore a settimana. Nello stesso decreto si è anche provveduto ad attuare una sanatoria per favorire l’emersione dei rapporti di lavoro irregolari, cosa che ha aumentato le regolarizzazioni e le assunzioni. Il panorama del lavoro domestico nel 2020 è dunque cambiato. Secondo il rapporto Domina su lavoro domestico ed emergenza Covid-19, nel mese di marzo si è assistito a un aumento del 58,5% delle assunzioni rispetto allo stesso mese del 2019. Mentre, con la sanatoria del decreto Rilancio, l'85% delle domande arrivate all'Inps tra maggio e agosto (ben 177 mila) riguardavano lavoratori domestici. Tuttavia, le Parti Sociali hanno presentato il mese scorso al governo una piattaforma programmatica degli interventi normativi essenziali per restituire dignità a questo settore cruciale. La categoria del lavoro domestico infatti è al centro dei fenomeni che costituiscono le chiavi di volta del mercato del lavoro e del diritto sociale nel prossimo futuro. Le donne rappresentano l’88% degli impiegati del comparto; mentre i lavoratori stranieri sono oltre il 73%, di cui più del 44% cittadini dell’Unione europea.■
Master in Giornalismo e Comunicazione Multimediale e Luiss Data Lab
Inaugurazione anno accademico 2020/2021 25 febbraio alle ore 16:00 in remoto digitale
Paolo Gentiloni, Commissario all’Economia dell’Unione Europea, Lectio Magistralis sul tema "Rebuilding Trust" Vincenzo Boccia, Presidente Luiss Guido Carli Giuseppe Tornatore Director, Academy Award Winner Paola Antonelli, MOMA Senior Curator, Architecture & Design Vittoria Colizza, Research Director Epicx-Lab/Inserm & Sorbonne Université Diego Piacentini, Senior Advisor for KKR and Convoy. Member of the advisory board of University Bocconi, former Italian Government Commissioner for Digital Transformation, former vice President Apple Europe, former vice President of International consumer Business Amazon Costanza Sciubba Caniglia, Special Editor Commentaries Harvard Kennedy School (HKS) Misinformation Review Shorenstein Center on Media, Politics and Public Policy Alberto Barbera, Director of Venice Film Festival
Lavoro
I giovani «Non è colpa nostra» Le storie di Giacomo, Giorgia e Luca sono comuni a quelle di tanti giovani che si stanno affacciando al mondo del lavoro oggi, tra le tante difficoltà causate dalla pandemia di Natasha Caragnano
1
L’ufficio stile di una nota azienda di moda, diventare cooperante internazionale, aprire un ristorante. Giacomo, Giorgia e Luca hanno messo da parte tutto questo, almeno per il momento, perché qualcosa d’incontrollabile come la pandemia glielo ha imposto. «Può sembrare una frase fatta, ma ci hanno davvero tappato le ali». La voce di Luca è rassegnata, come quella di tanti altri ragazzi che come lui cercano di costruirsi un futuro e di entrare nel mondo del lavoro oggi, tra le tante difficoltà causate dalla pandemia. Sono 656mila i posti di lavoro persi durante la prima ondata dei contagi, ma questa crisi non ha avuto un impatto omogeneo sulla popolazione. La classe dei lavoratori tra i 25 e i 35 anni è stata quella più colpita, Giacomo rientra tra i più piccoli della fascia. Raccoglie i capelli e li lega in una coda sulla nuca mentre con un marcato accento pugliese, che Milano non è ancora riuscito a cancellare, mi racconta del suo amore per la città dove si è trasferito cinque anni fa per studiare Fashion design. «Durante gli anni universitari ho sempre lavorato per ammortizzare le spese. Anche se dopo la laurea, nel 2018, ho iniziato subito uno stage in un’azienda di moda ho continuato il mio secondo lavoro in una discoteca. La retribuzione dello stage non era abbastanza per vivere tranquillo». Secondo il rapporto Censis, l’istituto di ricerca socioeconomica, il 60% degli individui nella fascia d’età compresa tra i 18 e i 35 anni ha visto le proprie condizio18 — Zeta
2
3
ni economiche peggiorare improvvisamente durante il lockdown: Giacomo, come tanti altri suoi coetanei, ha perso il lavoro in discoteca in questo periodo. «Il problema però è sorto quando ho terminato il mio stage. Mi avevano promesso un contratto, ma poi l’azienda è entrata in cassa integrazione e ho perso questa opportunità. Sono tornato in Puglia perché non trovavo lavoro e non riuscivo a mantenermi da solo a Milano». Sembra contento di poter passare un po’ di tempo a casa, vicino al mare, ma pronuncia sempre con nostalgia la parola «Milano». I settori dell’intrattenimento e della ristorazione sono quelli in cui sono impiegati il maggior numero di giovani, e anche quelli più colpiti dalla crisi economia causata dal Covid-19. Il Dpcm firmato il 24 ottobre 2020 ha bloccato nuovamente l’attività di una fetta di lavoratori giovani e a basso a reddito, Il 27,4% dei dipendenti nei servizi della ristorazione appartengono alla fascia 25-34 anni. Tra questi c’è Luca che lavora come sommelier in un ristorante nella provincia di Taranto. «È dal 26 marzo che sono in cassa integrazione, ma ancora non sono arrivati i sussidi dallo Stato. Adesso vivo dei risparmi che avevo messo da parte per realizzare i miei progetti». Luca ha 25 anni e lavora nel mondo della ristorazione da quando ne ha 17, sogna di aprire un locale tutto suo un giorno. «Ma adesso il futuro che ho sempre sognato mi sembra più lontano». Non investire sulle nuove generazioni vuol dire ridurre le prospettive di questi ragazzi nel territorio in cui vivono e un blocco nella crescita economica del nostro Paese.Il mancato investimento pubblico sulla formazione e l’inserimento nel mondo del lavoro attraverso stage e tirocini è il principale nodo da sciogliere. «Io sono una tirocinante, ma a causa della pandemia il mio percorso formativo si è fermato. Questi mesi di formazione non li potrò più recuperare». Giorgia ha 27 anni e dopo la laurea in Giurisprudenza ha conseguito un Master in diritti umani e gestione dei conflitti. «Nella posizione in cui sono ora non riesco a trovare lavoro perché non ho abbastanza esperienza, ma allo stesso tempo non ci sono tirocini perché hanno tagliato tutti i fondi per noi». Nei periodi di difficoltà economica le aziende preferiscono investire in professionisti già performanti e non attendere la formazione degli stagisti. Ma questo impedisce a Giorgia di acquisire l’esperienza richiesta a tutti i colloqui: «Negli ultimi mesi ho ricevuto tanti di quei no che posso allestire un museo con le email che ho ricevuto». Quando l’emergenza sanitaria sarà finita ci troveremo con una bassa presenza degli under 35 nel sistema produttivo italiano, è questo l’allarme lanciato dal Censis. Ma devono essere i giovani la risposta alla crisi economica che stiamo vivendo. ■
1. Giorgia a Lima, a lavoro su un progetto per il riciclaggio dei risidui solidi condotto dalla Ong per cui ha svolto un tirocinio di sei mesi 2. Luca a lavoro come sommelier di un ristorante, poco prima che scoppiasse la pandemia 3. La scrivania di Giacomo nell'ufficio stile di un'azienda di moda durante il suo anno di stage
«Un freelance è uno che si sbatte dalla mattina alla sera»
Alessandro Tonti, 29 anni, pugliese, vive e lavora a Roma come interprete, traduttore e insegnante
Gabriele Cruciata e Alessandro Tonti sono due giovani liberi professionisti che hanno rimodellato il loro lavoro sui ritmi imposti dalla pandemia. Ecco le loro storie di Erika Antonelli
Se si scinde la parola e la si traduce dall’inglese, free lance vuol dire lancia libera. Libertà e professionalizzazione costituiscono il cuore anche dell’espressione italiana: liberi professionisti. Gabriele Cruciata è uno di loro, una lancia libera nel mondo del lavoro, un libero professionista. Ha 26 anni e le idee chiare. «Ho deciso che avrei fatto il giornalista quando sono passato davanti a una scuola intitolata a Ilaria Alpi». I nonni gli raccontano di quella reporter nella Somalia devastata dalla guerra civile, dell’inchiesta a cui lavorava e della morte sotto i colpi di kalashnikov. «E lì ho capito quale sarebbe stato il mio mestiere», ricorda lui. Dopo aver frequentato una scuola di giornalismo a Groninga, nei Paesi Bassi, Cruciata torna a Roma. Collabora con diverse testate italiane e internazionali, ama fare podcast e ha vinto uno dei premi giornalistici più prestigiosi, quello intitolato a Roberto Morrione per il giornalismo investigativo. Talento e organizzazione maniacale delle giornate, lui la chiama «mentalità imprenditoriale». Significa che spesso, anche se gli incarichi sono tanti e il tempo scarseggia, l’ennesimo lavoro si accetta lo stesso. «Perché a volte mantenere una buona rete di contatti è persino più importante che guadagnare». E guardando ai dati, Cruciata fa bene a cercare di gestire tutto. Secondo un sondaggio condotto da Acta, l’associazione dei freelance, e dalla testata on-line Slow News, il 66% dei giornalisti viene pagato solo se il lavoro commissionato risulta pubblicato. Le cose non sono migliorate con la pandemia, che da una parte ha costretto i professionisti dell’informazione a orari estenuanti e dall’altra ha ridotto i compensi e prolungato i tempi di pagamento. Già, la pandemia. Il Covid-19 e i milioni di professionisti costretti a casa. E tra quelli c’è anche Alessandro Tonti, 29 anni, pugliese naturalizzato a Roma. Ha un master in traduzione e adattamento audiovisivo e una laurea in interpretariato, lingue di lavoro inglese e tedesco. Faceva tre lavori Alessandro, prima che arrivasse il Covid-19: l’interprete, il traduttore e l’insegnante. «Ora non si organizzano conferenze da quasi un anno, su quell’entrata non posso più contare. Stessa cosa per le traduzioni. Per fortuna mi è rimasto l’insegnamento». Per fortuna, e per bravura, Tonti continua a lavorare. La scuola interpreti con cui collabora tre giorni a settimana è aperta, studenti in presenza ma distanziati. «Sono contento di mantenere la mia indipendenza economica», racconta. Bisogna fare qualche sacrificio,
Gabriele Cruciata, 26 anni, giornalista freelance, vive a Roma, collabora con diverse testate italiane e internazionali. Ha vinto il Premio Morrione per il Giornalismo investigativo
ma lui e la sua compagna Maria Antonietta l’affitto riescono a pagarselo da soli. Ora è un appartamentino alla periferia ovest di Roma, poi chissà. Alessandro e Gabriele lavorano con partita Iva, entrambi l’hanno aperta un anno fa. Tonti ha anche ricevuto i 600 euro di indennità Covid-19, 300 a marzo e altri 300 ad aprile, previsti dal governo per i liberi professionisti in difficoltà. «Mi hanno fatto comodo, certo, non credevo fossero così puntuali nell’erogazione». Cruciata e Tonti, non ancora trent’anni e tanta passione per un lavoro che «la maggior parte dei mesi ti fa guadagnare poco più di mille euro». Non si conoscono, eppure hanno qualcosa in comune. Sono giovani, motivati, un po’ come quelle lance libere di cui parlavamo all’inizio. Lavorano con impegno, anche se secondo Acta è proprio la fascia dei quasi trentenni quella più esposta al rischio di compensi bassi e discontinui. Loro lo sanno, e a volte è dura: «Un freelance è uno che si sbatte dalla mattina alla sera» dice Gabriele, «ma io la libertà di fare quello per cui ho studiato non la cambierei con niente», gli fa eco Alessandro. ■ Zeta — 19
Lavoro
Le palestre dimenticate
1
Giulio e Sara, prima sale tutte piene, adesso sono in attesa di capire quale sarà il loro futuro SPORT
di Gian Marco Passerini e Lorenzo Ottaviani
«Ci sentiamo presi in giro. È frustrante vivere nell’incertezza. Non ne possiamo più». Sono le parole di Giulio, un ragazzo romano di 29 anni che, poco prima dell’arrivo della pandemia aveva deciso insieme a un amico di aprire una palestra. L’epilogo si può intuire con facilità: il suo è stato un anno fatto di chiusure e rinunce. Lo sport ha tanti volti, dagli atleti professionisti che fanno sognare milioni di appassionati a chi va ad allenarsi durante la settimana per tenersi in forma. E poi c’è chi lavora nel mondo delle palestre, chi si occupa di mantenere vivi i luoghi dove si svolge attività fisica. Con la pandemia le difficoltà si sono moltiplicate. Le palestre sono state costrette a una lunga chiusura e le saracinesche si sono abbassate. Abbiamo voluto raccontare le storie di chi, a causa del virus, fatica ad intravedere un futuro certo: le storie di Giulio e Sara, persone che vivono di sport e cercano di affrontare questo momento, fatto di incertezze e dubbi, come meglio possono. Giulio nell’aprire la sua palestra ha investito una discreta somma. Non poteva di certo prevedere il coronavirus e nemme2
no le problematiche che ha comportato. L’entusiasmo iniziale si è trasformato presto in timore e ad oggi, non sa nemmeno se vale la pena continuare. «In questo momento siamo chiusi. Abbiamo aperto nell’ottobre 2019, abbiamo investito un capitale discreto, abbiamo sottoscritto un contratto di affitto che ha un certo costo e abbiamo investito tanto tempo per allestire gli interni. Ora viviamo nell’incertezza e non sappiamo cosa ne sarà. Vale la pena continuare a provare? O è meglio lasciare perdere?». Sono queste le domande che Giulio si pone ogni giorno perché, in una situazione del genere, rispettare tutte le scadenze e i pagamenti non è cosa facile. Non è servito a nulla seguire le misure precauzionali e nonostante le grosse spese per mettere in sicurezza le sale, Giulio è stato costretto a chiudere. «Le misure le abbiamo seguite tutte. Sanificazioni, distanziamento, dispenser sanificante per le mani e mascherine. È stato un duro colpo da digerire, soprattutto l’ultima chiusura. Abbiamo speso parecchi soldi e il governo ci aveva promesso dei controlli per verificare
potenziali irregolarità che però non sono mai stati effettuati. La chiusura poi è arrivata comunque e noi ci siamo sentiti presi in giro». Ora Giulio non ha idea di come riuscirà a portare avanti la sua attività perché tutt’ora non sa nulla sul quando ripartire e soprattutto sul come farlo. Sta pensando di mettere in stand-by tutto. «Adesso non avrebbe senso riaprire con solo dei corsi individuali e con troppe restrizioni. Non rientreremo a tutti i costi. Economicamente la situazione è delicata, abbiamo ottenuto solo uno sconto per l’affitto e la prospettiva di dover chiudere c’è. L’unica soluzione è aspettare che passi la bufera per poi capire come organizzarci al meglio». 1. Nella palestra di Sara a Roma. Alcuni allievi di taekwondo si muovono nella sala seguendo i segni sul pavimento che indicano il metro di distanza 2. Alcuni attrezzi in una palestra. I macchinari di Giulio, comprati appena prima del locwdown, non possono essere utilizzati
20 — Zeta
Sara invece è una personal trainer che lavora in una palestra di Roma dove tiene due corsi: uno di taekwondo e uno di pilates. Il primo è stato bloccato a più riprese sin dal lockdown di marzo, mentre nel secondo caso è riuscita a continuare a lavorare solo grazie alle lezioni svolte online, soprattutto su piattaforme come Zoom. La sua fortuna è stata che la disciplina che insegna si è potuta adattare con facilità grazie alla tecnologia: «Il lato positivo del mio lavoro è il pilates a corpo libero. Sono riuscita a cambiare modalità e, anche se non è la stessa cosa, pur di muoversi la gente ha accettato le lezioni online» racconta Sara. «L’incertezza è molto stressante, in quarantena abbiamo avuto mesi complicati. In più la gente si è spaventata facilmente e molti ragazzi si sono chiusi in casa. Dal punto di vista mentale questo “apri e chiudi” è stato pesante. Ora siamo nel buio totale mentre prima eravamo tutti i pomeriggi in palestra». Il virus ha costretto Sara a modificare il suo lavoro e a trovare nuove forme di adattamento all’attività Fitness
John Vigna e Abbye Stockton, i precursori
Fu John Vigna che all’inizio degli anni Cinquanta portò in Italia l’interesse per la cultura fisica e il mondo del fitness. Il suo “Muscoli e Bellezza”, pubblicato nel 1954, con in copertina un giovane Steve Reeves, futuro Superman del cinema, fu il primo libro del culturismo italiano. Due anni dopo aprì il famoso centro benessere in Corso Dante a Torino, trasformando il suo metodo in una scuola di forma fisica. Il libretto riportava "Dammi mezzora al girno e farò di te un campione", la fama era tale che persino Gipo Farassino lo aveva citato in una strofa della canzone Sangon Blues: "Ma vado ën palestra a doi bòt/ përchè c’è John Vigna/ che il muscolo insegna/ anche a ij pì brut tracagnòt".
Abbye “Pudgy” Stockton è stata una strongwoman professionista e precursore del bodybuilding femminile di oggi, diventata famosa negli anni Quaranta frequentando le spiagge di “Muscle Beach”, negli Stati Uniti, le palestre all'aperto più famose del mondo. Abbye trasformò la sua passione in lavoro e iniziò a scrivere per la rubrica “Forza e Salute” con l’obbiettivo di avvicinare sempre di più le donne al mondo del fitness. Insieme al marito poi aprì la prima palestra per uomini e donne, rivoluzionando la rigorosa divisione tra i sessi per allenamenti e attrezzi e la concezione per cui pe una donna non era salutare sollevare i pesi. Fu una delle prime donne a indossare un costume a due pezzi.
sportiva. «Nel futuro le lezioni online per il pilates, potrebbero rimanere come sessioni private individuali per chi torna dal lavoro e vuole avere la comodità di fare un allenamento a casa piuttosto che recarsi in palestra» spiega Sara. Questi sono mesi complessi dove si è dovuuto riprogrammre tutto e le difficoltà economiche si sono sommate alla stanchezza delle persone che, dopo tanto tempo passato dentro casa, non ci vogliono più stare. «Ora che sport come sport come tennis e padel sono concessi, i ragazzi non hanno più intenzione di stare a casa davanti a uno schermo a seguire le nostre lezioni quindi, se prima gli inviavamo con costanza le schede d’allenamento ora non facciamo nemmeno quello. Siamo molto preoccupati perché sono sicura che non riapriremo a breve. Non so come faremo ad andare avanti» racconta Sara. L’unico periodo nel quale, grazie agli spazi all’aperto l’attività della palestra non si è fermata è stata l’estate, ma ora tutto si è bloccato di nuovo. «Quando abbiamo riaperto a giugno, non sono rientrati tutti i clienti. C’era ancora tanta paura nonostante ci fossimo messi in regola. Poi a settembre le cose sono andate meglio, le persone erano più tranquille e sono rientrate, tutto sommato eravamo abbastanza soddisfatti». Sara lavora in questo centro sportivo insieme ad altri quattro insegnanti under 40 che ad oggi non hanno idea di come programmare al meglio il futuro. Secondo lei quello delle lezioni online sarà solo un lavoro temporaneo che non potrà sostituire per sempre il lavoro quotidiano in palestra. Per Sara una piccola speranza in realtà ancora c’è: «L’arte marziale come sport lega tanto, si crea quasi una famiglia e ci si affeziona di più ai maestri. Questo è il nostro punto di forza. Siamo un gruppo di 45 persone che amano questo sport. Con molta probabilità non torneremo tutti e 45 nel breve periodo, ma la mia speranza è che la maggior parte non abbandonerà la nostra famiglia». ■
Zeta — 21
Digitale e informazione
Senza rete né pc, i poveri digitali creati dalla pandemia La vergogna di chi non riesce più a pagare l’affitto e ha difficoltà a fare la spesa, la difficoltà dei giovani a seguire le lezioni a distanza. È la nuova povertà: economica, sociale e digitale, causata dal Covid TECNOLOGIA
«A marzo mi hanno licenziata dal call center perché non prevedeva lo smart. Non ho potuto accettare nessun altro lavoro da casa perché non ho mai avuto i soldi per comprare un computer o permettermi una rete Internet. Sono diventata povera nel giro di poche settimane». Lucrezia ha gli occhi lucidi, l’espressione di chi ha paura e prova un po' di vergogna, ha l’angoscia di chi non sa più come andare avanti. A 56 anni, non ha più potuto pagare le bollette o fare la spesa, a causa del Coronavirus. Le sue parole sono il grido di rabbia di tante persone alle quali il virus ha stravolto la vita. Il suo è un esempio di “nuova povertà digitale ed economica”, alla quale si aggiunge anche una povertà sociale, di tutti quei bambini e ragazzi che hanno riscontrato difficoltà a seguire le lezioni a distanza. «La scuola è stata assente, ci ha quasi abbandonato. Non abbiamo più sentito né visto gli insegnanti e, per alcuni, è così ancora oggi. Le lezioni sono state affidate all’intraprendenza dei singoli insegnanti. La preside ci ha comunicato di aver avviato un programma di fornitura dei pc per i docenti, perché non tutti avevano un computer. Non ci saremmo mai immaginati una simile disorganizzazione dell’apparato scolastico». Deluso e amareggiato, Max Lombardi, padre di due gemelli, racconta quanto siano stati complessi i primi mesi della pandemia per i bambini. «Ho visto i miei figli fare passi indietro. Li ho visti più immaturi rispetto all’anno scorso», una condizione di isolamento e stress psicologico di cui soprattutto i più giovani hanno risentito. Simona, madre di una bambina, sottolinea la scorretta gestione della Dad da parte dei singoli istituti: «Gli insegnanti di mia figlia sono spariti. Lei ha solo 7 anni e a quest’età nessuno può essere lasciato da solo. Ho dovuto dimezzare il mio stipendio per lavorare di meno e seguirla di più. Dallo scoppio del lockdown ar-
di Elisabetta Amato, Carlo Ferraioli, Laura Miraglia, Giuliana Ricozzi
22 — Zeta
280 mila Computer L’ultima indagine dello scorso settembre da parte del Ministero dell’Istruzione ha rilevato la presenza di 280mila studenti senza un computer e oltre 300mila privi di connessione a Internet.
17,4 % Connessioni In Italia le scuole raggiunte dalla fibra Internet sono il 17,4%. La regione più virtuosa è la Campania col 29,1%, la più arretrata è il Molise, con solo il 5,4% degli istituti connessi.
10 _____ 100 Didattica a distanza L’ultimo report dell’Agcom segnala che durante il lockdown della scorsa primavera 10 studenti su 100 sono rimasti del tutto esclusi dalla DAD.
I ragazzi dell'associazione vPc4u.tech
rivare a fine mese è diventata una sfida». Lo stato ha cercato di fornire gli strumenti per venire incontro alle persone, ma non sempre è stato efficace. Sono allora intervenute delle associazioni, cittadini che aiutano altri cittadini. «Pc4u.tech è un’iniziativa no-profit che si occupa della raccolta e ridistribuzione di dispositivi usati ma funzionanti, destinati a studenti di Milano e dell’Hinterland, che non dispongono degli strumenti per la didattica a distanza». Così Jacopo spiega il progetto da lui creato insieme ai suoi amici, Matteo, Emanuele e Pietro. Ragazzi di diciotto anni che hanno dato vita a un’iniziativa in grado di aiutare tutte le famiglie e tutti gli studenti sprovvisti degli strumenti. «L’idea è nata da un confronto, quando ci siamo resi conto di una problematica all’interno della nostra comunità più vicina. Parlando con mia sorella, che faceva la terza media, sono venuto a conoscenza di questo disagio e di alcune realtà dei suoi compagni di classe, che vivono in contesti sociali ed economici molto eterogenei. C’erano classi dimezzate perché una parte degli studenti non aveva i computer per seguire le lezioni. C’era un diritto allo studio violato, non garantito». Il progetto è tutto gratuito. Sul sito di Pc4u.tech i ragazzi raccolgono le donazioni, da parte di aziende che hanno computer funzionanti ma che non utilizzano più. «Parlando con queste persone ci siamo resi conto delle profonde lacune e degli errori che le istituzioni hanno fatto nel gestire questa situazione. Da parte del governo sono stati stanziati dei soldi per acquistare dispositivi distribuiti agli istituti. Questi strumenti, però, sono stati dati a comodato d’uso, per cui finito il periodo di didattica a distanza sono tornati alle scuole. Mi ricordo bene che a settembre abbiamo ricevuto diverse chiamate di genitori che non sapevano come
"Non ho mai avuto i soldi per comprare un computer. Sono diventata povera nel giro di poche settimane" sarebbe stata la didattica o che avevano la figlia in quarantena che doveva seguire le lezioni da casa, ma non avevano più il computer». Secondo Jacopo, questa iniziativa del governo non aiuta gli studenti, non solo per la didattica a distanza, ma anche per il digital divide. "Mai solo, con o senza la campanella" è un’altra iniziativa nata a Milano la scorsa estate e portata avanti dall’associazione no profit Energie sociali, guidata da Michela Jesurum, insieme a nove municipi della città. Su una piattaforma web ad hoc, i milanesi che vogliono donare un computer possono inserire il proprio indirizzo. Un gruppo di volontari risponde, il pc viene ritirato, riportato a nuova vita e consegnato a chi ne ha bisogno. Anche l’Università Bicocca ha partecipato all’iniziativa donando alcuni pc: «Milano è una città che ha tante persone che vogliono aiutare, molte più di quante si pensi», commenta Michela Jesurum. ■ Zeta — 23
Digitale e informazione
I media tra virus e viralità
Come ha impattato la pandemia sul mondo dell'informazione? Rispondono il professor Michele Sorice (Luiss Guido Carli) e la professoressa Paola Bonini (Alma Mater Studiorum) di Francesco Stati
Media tradizionali e digitali condividono ormai lo stesso spazio informativo, come un unico ecosistema. Tuttavia, la pandemia li ha colpiti in modi diversi. «La televisione è tornata al centro del dibattito pubblico come luogo collettivo di informazione, oltre che di intrattenimento. Pensiamo alla prima fase di lockdown, quando ci si sintonizzava ogni giorno alle diciotto per ascoltare il bollettino della Protezione Civile» spiega Michele Sorice, ordinario di sociologia della comunicazione alla Luiss. «Non si può dire lo stesso dei giornali cartacei. Nonostante le edicole siano rimaste aperte, le vendite sono calate: la gente d’altronde non poteva uscire». Discorso a parte per le testate digitali, capaci di sfruttare l’espansione dei social network. «I social media – continua – hanno beneficiato del Covid-19 perché erano l’unico modo per connettersi agli altri, permettendo una ridefinizione dei rapporti sociali, oltre che dell’informazione». In rete, però, la pandemia ha determinato un movimento duplice: da una parte, l’aumento incontrollato delle fake news; dall’altra, la richiesta di maggior credibilità: «La fiducia nei governi è aumentata di pari passo con la richiesta di informazioni più attendibili alle testate giornalistiche. Due movimenti in contraddizione tra loro, ma tipici di una situazione di emergenza come questa». E non è tutto. Secondo Paola Bonini, docente di social media e comunicazione istituzionale all’Università di Bologna, anche capire che tipo di esperti contattare è stato un problema: «Si sono mescolati punti di vista diversi, e questo ha alimentato il caos. Sono stati molto importanti i matematici, per capire al meglio i dati, ma il loro ruolo è emerso con grave ritardo». Si sarebbe dovuto creare un dibattito pubblico informato, ma per la massmediologa i mezzi di informazione non sono riusciti a fare da raccordo fra esperti e pubblico: «I media hanno fallito a interpretare i dati delle conferenze stampa, rassegnandosi a dare i numeri senza alcun filtro. Sono pochi i giornalisti in grado di leggerli, una competenza oggi imprescindibile. Se non si è in grado di farlo, a che serve il loro lavoro?». A complicare il quadro, una dinamica tipica dei media tradizionali, tanto nociva quanto consolidata: 24 — Zeta
Che Tempo Che Fa, Rai2 Il giornalista Fabio Fazio ospita nel suo programma il ministro della Salute Roberto Speranza, videocollegato, e il virologo Roberto Burioni seduto nello studio. Il caso
I virologi, nuovi protagonisti del dibattito pubblico Nel murales di TvBoy, realizzato nel centro storico di Roma, in via Antonio Canova, sono raffigurati Ilaria Capua e Roberto Burioni. L'opera, il cui sottotitolo è "Happy Christmas from Capua & Burioni", era volto a sensibilizzare la popolazione sul rispetto delle norme anti Covid-19. Proprio i due virologi sono tra i volti più noti del dibattito pubblico sulla pandemia. Già da prima del lockdown di marzo, infatti, i medici hanno preso sempre più spazio sui media, arrivando a esserne protagonisti indiscussi con il passare dei mesi.
33% Traffico in tilt Nella prima settimana di lockdown, in Italia si è registrato un aumento del trentatre per cento del traffico internet. Prima delle chiusure si navigava di più la serae, da marzo in poi il traffico si è intensificato durante il giorno.
-11 Caduta libera Sono i punti di fiducia persi, in media, dai giornali italiani nei confronti dei loro lettori. Secondo il Reuters Institute per lo studio sul giornalismo, a pesare sono i forti interessi politici ed economici dei principali editori nazionali.
la mancanza di senso di responsabilità e la corsa alla notizia. «Un elemento tossico per la salute pubblica», continua Bonini. «Pensiamo alla fuga di notizie sulla chiusura della Lombardia, che ha portato all’esodo di massa da Milano. Anche se si ricevono SMS da Palazzo Chigi con indiscrezioni, i media dovrebbero chiedersi se è opportuno diffonderli. L’evento è stato dipinto come responsabilità degli studenti del Sud, ma anche la buona borghesia milanese ha fatto la stessa cosa: è salita in aereo o ha preso il SUV e se ne è andata al mare, diffondendo potenziali focolai». All’arrivo del Covid-19 in Italia, i media tradizionali sono stati spiazzati su vari livelli. Per Bonini, questo ha evidenziato gravi mancanze. «In primo luogo, è emerso un dilemma deontologico, il confine tra dare l’allarme e creare allarmismo. Ci sono stati sia titoli sensazionalistici, sia chi si è interrogato sul ruolo responsabile dell’informazione. Una dualità presente anche all’interno di singole redazioni. Nessuno sapeva davvero di cosa si stesse parlando, si è navigato a vista, e questo ha veicolato una grande incertezza». A ciò si aggiunge la corsa all’esclusiva, che secondo Sorice ha contribuito alla diffusione del caos: «È mancato un ruolo di mediazione a causa della ricerca del sensazionalismo. C’è stata una corsa alla notizia per poter garantire la sopravvivenza di una testata, anche a scapito della verità». Si può quindi parlare di colpe? Per Bonini, «Più che di colpa, i media hanno scoperto la loro mancanza ataviche: la capacità di incontrare e sfruttare competenze nuove. Si considerano le piattaforme digitali come un gioco, non si riescono ancora a rappresentare i dati nel modo giusto. Ma dopo le elezioni statunitensi del 2016, questi elementi non si possono più ignorare. Non voglio credere nella fine dei media tradizionali, ma nella loro evoluzione». ■
I giornali
Un anno di quarantena in prima pagina in Italia e nel mondo
Oltre ai media italiani, alcuni quotidiani internazionali hanno dedicato ampio spazio in apertura alle vicende del nostro Paese durante i primi mesi dell'emergenza sanitaria
Zeta — 25
Esteri Zeta
Come cambia l'America Donald Trump è sconfitto e lascia la Casa Bianca, il democratico Joe Biden giura come 46° presidente degli Stati Uniti. Kamala Harris è la prima donna vicepresidente nella storia del paese. «L’America è tornata. La diplomazia è tornata: voi siete il centro di tutto ciò che intendo fare» ha detto Biden durante il primo discorso al Dipartimento di Stato. Un racconto per immagini mostra il nuovo volto degli Stati Uniti PHOTOGALLERY
1
1
4
6 26 — Zeta
7
1
2
3
4
5
1. Inauguration Day. Joe Biden batte i pugni alla vicepresidente Kamala Harris dopo il giuramento, Washington, DC, 20 gennaio 2021. Foto: Drew Angerer/Getty Images
2. Inauguration Day. I fuochi d'artificio sopra la Casa Bianca. Foto: T. Fallon/AFP/Getty Images
3. Inauguration Day. Le porte della Casa Bianca erano chiuse quando il presidente Biden e la first lady, Jill Biden, sono arrivati. Foto: Doug Mills/The New York Times
4. Capitol Hill. I sostenitori di Donald Trump si riuniscono fuori dal Campidoglio a Washington, 6 gennaio 2021. Foto: Reuters/Leah Millis
5. Donald Trump e la moglie Melania lasciano la Casa Bianca a bordo dell’elicottero Marine One. Foto: Mandel Nga, AFP
8
6. Una folla pro-Biden balla all'incrocio tra la 3rd e Arch Street a Philadelphia, Pennsylvania, mentre Joe Biden è in vantaggio su Trump nel conteggio dei voti, 7 novembre 2020. Foto: Luis Sinco / Los Angeles Times 7. L'infermiera Tabe Mase somministra la prima dose di vaccino PfizerBioNTech al presidente eletto degli Stati Uniti Joe Biden, Christiana Hospital di Newark, Delaware, 21 dicembre 2020. Foto: Leah Millis, Reuters 8. Donald Trump si toglie la mascherina al ritorno alla Casa Bianca dal Walter Reed National Military Medical Center, 5 ottobre 2020. Trump ha trascorso tre giorni in ospedale per il Coronavirus. Foto: Win Mcnamee | Getty Images
Zeta — 27
Esteri
In America la democrazia non è finita Il 6 gennaio, i supporter di Trump hanno assediato il Campidoglio. Quali conseguenze? L'intervista a Gregory Alegi, professore di History of Americas STORIE
Barricate, milizie armate, vichinghi in tenuta antisommossa. Qualcuno si mette in posa sulla sedia della speaker della Camera, Nancy Pelosi. La polizia guarda inerme. Scene da film, ma il set è il Campidoglio statunitense, gli attori i manifestanti pro-Trump. Un attacco al cuore della democrazia americana. Obiettivo, impedire la convalida delle elezioni “truccate” che hanno visto il democratico Joe Biden trionfare sull’ex presidente. Per un’analisi approfondita, abbiamo intervistato Gregory Alegi, docente di History of Americas presso la Luiss Guido Carli. Come spiega i fatti del 6 gennaio? «Sono il frutto della martellante campagna di delegittimazione avviata da Trump ben prima delle elezioni. La prova generale è stata a Charlottesville, in Virginia, nel 2017, dove alcuni suprematisti bianchi si scontrarono con la polizia. In seguito si è visto come il discorso della legittimazione di queste frange abbia caratterizzato l’intero arco della sua presidenza. L’assalto al Campidoglio ha sorpreso per di Angelica Migliorisi
il modo in cui è sfuggito alle Forze dell’ordine. Due giorni prima Rudolph Giuliani, legale dell’ex presidente, aveva parlato di Trial by combat, esaltando la violenza; il tycoon aveva mobilitato i suoi fedelissimi per il 6 gennaio, parlando per settimane di elezioni rubate. A questo si aggiunge il corteggiamento dei più estremisti. C’è stata una sorta di pianificazione, alla quale è corrisposto un errore di valutazione. Ma c’è di più: gli agenti che abbiamo visto nei filmati, la Capitol police, sono inferiori in qualità anche ai vigili urbani. Hanno fatto il possibile con i mezzi che avevano». C’è chi sostiene che la Costituzione statunitense garantisca il diritto di assaltare il Parlamento. «Si tratta dell’interpretazione di destra del diritto di portare armi, che vede nel secondo emendamento la facoltà di ribellarsi contro il governo. In realtà, è la possibilità di difendere lo Stato da aggressioni esterne. Non esiste il diritto a occupare il Congresso: l'emendamento dice che quella facoltà si esplica nel contesto di una Well regulated militia: non è che io acquisto una pistola e vado dove voglio. Al momento
11
della sua stesura non c’era un esercito a tempo pieno né una difesa che pesava oltre 700 miliardi di dollari sul bilancio annuale, ci si difendeva dal nemico (gli inglesi) con l’aiuto della cittadinanza». Perché la polizia di Washington non c’era? «È palese che il sistema non fosse preparato. Ci si può chiedere anche se non siano stati troppo “morbidi”. Si è visto che altre manifestazioni (pensiamo a quelle legate al Black Lives Matters) sono andate in tutt’altro modo. Questa è una cosa forse da commissione d’inchiesta: come mai erano impreparati? Se fossimo in Italia, dove abbiamo una Polizia di Stato, allora si potrebbe dire che le forze dell’ordine sono d’accordo con i manifestanti, con il Governo che dice al Ministro degli Interni 1. La parata Un manifestante sfila con la bandiera confederata, simbolo Sudista nella Guerra di Secessione JIM LO SCALZO/EPA-EFE
2. La preparazione Supporter di Trump si accalcano fuori dal Campidoglio EPA-EFE/MICHAEL REYNOLDS
3. Inizia l'assedio I facinorosi invadono le sale del Congresso 4. Lo sfregio Richard 'Bingo' Barnett, uno dei manifestanti seduto alla scrivania di Nancy Pelosi JIM LO SCALZO/EPA-EFE
2 28 — Zeta
5. Le barricate La folla prova a entrare nel Senato. La seduta viene sospesa
Un piatto servito freddo Jake Angeli, lo “Sciamano” simbolo dell’attacco al Campidoglio, si è detto disposto a testimoniare contro Donald Trump nel processo di impeachment che lo vedrà protagonista, previsto per febbraio. WIN MCNAMEE | GETTY
3
di andarci piano. Negli Stati Uniti, invece, non esiste una polizia federale sul territorio; c'è un servizio di indagini, l’Fbi, ma si occupa di altro. L’ipotesi del complotto secondo cui la polizia non ha risposto perché ha obbedito agli ordini di Trump non sta in piedi, anche perché Washington Dc è una roccaforte democratica». È la fine della democrazia in America? «Qualcuno potrebbe pensarlo. In realtà, al netto di questi avvenimenti, è successa una cosa bella: il ballottaggio in Georgia ha funzionato. Il punto non è chi sia stato eletto, ma che una cosa così importante sia andata senza incidenti. Il fatto che anche alcuni repubblicani, come l’ex senatrice della Georgia, Kelly Loeffler, abbiano detto che dopo queste scene non si sentivano più di sostenere la politica di terra bruciata di Trump sembra una presa di coscienza: non era solo un gioco mediatico, ma una vicenda con conseguenze importanti. Il sistema ha ancora degli anticorpi». Cosa cambierà dopo l’assalto al Campidoglio? «In termini politici, è auspicabile una modifica del sistema elettorale per regolamentare alcune zone grigie in modo che anche un presidente “in mala fede” non possa approfittarne. È improbabile, ancorché utile, una riforma che sposti l’elezione presidenziale a livello federale. Alcuni repubblicani hanno criticato le difformità dei meccanismi elettorali nei vari Stati americani: se si sta eleggendo la stessa carica, è curioso che due membri della stessa Confederazione votino in modo diverso. Un cambiamento sarebbe opportuno, ma rappresenterebbe anche un forte spostamento di potere dagli Stati al governo centrale, cosa che i repubblicani e il Sud vedono con sospetto». Quanto durerà l’eco di questi avvenimenti? «Le conseguenze interne saranno duratu-
re, quelle esterne sono difficili di valutare. Già la presidenza Trump aveva eroso il mito dell’America “Gigante buono”, oggi si aggiunge una turbolenza interna che rende arduo immaginare che il Paese sia affidabile, o possa prendere impegni internazionali e mantenerli. Pensiamo al NAFTA, l’accordo per il libero scambio delle merci tra USA, Canada e Messico, prima criticato e poi ritoccato dal tycoon. Se ci fosse una protesta simile a quella del 6 gennaio contro un qualsiasi trattato, che immagine darebbe l’America di sé? Con quale ottimismo un Paese, anche amico, potrebbe pensare a un accordo con gli Usa? Qualcuno potrebbe persino fomentare ad arte l’opinione pubblica contro eventuali partnership. Biden ha già fatto delle mosse di apertura per dimostrare l’affidabilità degli Stati Uniti, ma gli crederanno? Questo messaggio riuscirà a resistere per quattro anni? Trump ha alzato la posta, e il conto lo dovrà pagare il suo successore. Questo compromette anche le relazioni con gli europei, che potrebbero scegliere di andare avanti senza l’alleato atlantico. A guadagnarci sarebbe soltanto chi vuole demolire questo rapporto, come Cina e Russia. Gli unici che non hanno ancora detto niente sulla questione sono proprio i russi. Sarà un caso?». ■
4
Cronologia dell’assalto: 14.12: I sostenitori di Trump entrano in Campidoglio attraverso una finestra sfondata sul lato nord-ovest; il vicepresidente Pence è scortato fuori dall’aula del Senato. 14.28: “Stanno sfondando le porte per trovarla!”. Una registrazione documenta la caccia dei rivoltosi a Nancy Pelosi, speaker della Camera. Il suo ufficio verrà invaso; 14.40: Un gruppo di funzionari fugge dalla Camera, trovandosi davanti la folla inferocita. Vengono divisi dagli agenti e da una porta barricata, assaltata dai rivoltosi; 14.42: La barricata cede. Due minuti più tardi, Ashli Babbitt, una supporter di Trump, cerca di scavalcarla. La polizia le spara, uccidendola; 14.53: Sono passati 41 minuti dall’ingresso dei rivoltosi nel Campidoglio. L’ultimo membro della Camera viene evacuato e diretto verso un luogo sicuro. Lentamente, la Capitol Police riprende il controllo della situazione.
55
Zeta — 29
Storie
Donne e Chiesa un futuro tutto da scrivere Con l'approvazione di Bergoglio, sarà possibile per le donne poter essere ministranti ufficiali durante le messe. Ne abbiamo parlato con il teologo Massimo Faggioli e con Brunella Pia Pavone, ministro straordinario dell’Eucarestia nella sua diocesi CHIESA
Ha colto di sorpresa dentro e fuori le mura vaticane il motu proprio “Spiritus Domini” di Papa Francesco (paragonabile dal punto di vista legale ad un decreto diretto di un Capo di Stato) circa l’istituzionalizzazione dell’accesso alle donne all’accolitato e al lettorato. Di fatto questa pratica è presente nella Chiesa di tutto il mondo da almeno 30 anni, cioè da quando è stato permesso anche alle donne nella prassi ma non nelle regole stabilite in Vaticano di poter leggere le letture delle celebrazioni liturgiche durante le messe e di servire come ministranti accanto ai sacerdoti sull’altare. Con una lettera inviata al cardinale Luis Francisco Ladarìa, Prefetto per la Congregazione della Dottrina della Fede (l’ex Sant’Uffizio), Bergoglio ha chiesto ufficialmente che da oggi anche alle donne laiche e non consacrate venga concesso il corso di iniziazione per questi ministeri, già previsto per gli uomini nella legge vaticana. Sia per mancanza di “personale” che per desiderio profondo di molti fedeli cattolici sparsi per il mondo, il Papa ha normalizzato per le donne una prassi che già esiste: a meno che un parroco non sia fortemente contrario oggi è infatti possibile ricevere la comunione dalle mani di una donna, o vedere una donna leggere dall’altare le letture del giorno durante una messa (escluso il Vangelo, prerogativa del sacerdote o del diacono, ultimo gradino dopo l’accolitato e il lettorato). Ne è la prova Brunella Pia Pavone, fedele di Camillo Barone
30 — Zeta
laica di una grande diocesi del Sud Italia, che da 6 anni in quanto ministro straordinario dell’Eucarestia è autorizzata a dare la comunione ai fedeli, così come può leggere le letture del giorno per l’assemblea. «Con queste concessioni del Papa la donna sta ottenendo quello che da tempo doveva ottenere. L’impegno di noi donne nella Chiesa si è visto molto negli ultimi anni in diverse forme, e spero di poter cominciare quanto prima il percorso di accolitato appena lanciato da Francesco», dice a Zeta Brunella Pia. «Domenica scorsa per esempio ho sostenuto un sacerdote servendo la messa come ministrante. Ho portato le ampolle contenenti l’acqua e il vino per la consacrazione, al servizio 1
2
4
1. Alessandra Smerilli, Consigliera di Stato del Vaticano 2. Mary Keller, primo dottorato in informatica negli Stati uniti, 1965 3. Norma Pimentel, tra le cento persone più influenti del Time, aiuta i migranti a entrare negli USA 4. Giuliana Galli, ex presidente della Compagnia di San Paolo, fondazione bancaria europea
3
della messa al suo fianco. Io vado dai malati moribondi in ospedale e nelle case per pregare e dare loro una benedizione. Spesso i parenti hanno paura di chiamare un sacerdote per dare ai malati l’unzione degli infermi perché percepiscono che si avvicina l’ora della fine, e una figura laica come la mia può dimostrare un sostegno importante e diverso». Ciò che invece divide ancora nella Chiesa è l’accesso delle donne laiche al diaconato, primo gradino verso il sacerdozio. Con un documento di 20 anni fa poi confermato da Benedetto XVI, Giovanni Paolo II infatti confermava l’impossibilità per le donne di accedere agli ordini consacrati del diaconato e del sacerdozio, lasciando però scoperti l’accolitato e il lettorato sotto il profilo del diritto canonico. «Questa apertura è un’ottima notizia perché è un movimento nella giusta direzione: un riconoscimento di una realtà che le donne già fanno in moltissime parti della chiesa in tutto il mondo. Una realtà consolidata
da moltissimi anni. È un segnale di movimento verso un certo senso della realtà da parte del Papa e dei suoi consiglieri. D’altra parte bisogna vedere che tipo di aspettative avranno molte altre donne verso un ipotetico diaconato femminile o addirittura il sacerdozio, su cui questo documento non porta alcuna modifica», spiega a Zeta Massimo Faggioli, professore di Teologia presso la Villanova University di Philadelphia, in Pennsylvania, autore del volume di prossima uscita “Joe Biden e il cattolicesimo negli Stati Uniti”, edito da Morcelliana. «Non vedo il diaconato femminile come una delle priorità attuali di Bergoglio, che non è intenzionato a spingere perché sa che è una questione che dividerebbe la Chiesa in alcune zone del mondo in modo molto grave, se non addirittura portandola ad una spaccatura vera e propria». E infatti col 2021 è partito il sinodo dei vescovi della Chiesa cattolica tedesca, che durerà due anni e che avrà al centro del-
la sua agenda la discussione di eventuali aperture verso il diaconato e il sacerdozio femminile, la benedizione delle coppie omosessuali e il matrimonio anche per i sacerdoti. Temi che fanno tremare i polsi della Curia Romana, sempre più spaventata dalle spinte interne che da anni emergono in seno alla Chiesa tedesca, pronta a rivendicare autonomia pastorale circa i temi più sensibili legati a donne e sessualità. Un futuro, quello della Chiesa di Bergoglio, pieno di incognite secondo Faggioli: «Non è ancora chiaro cosa verrà deciso in Germania e in altre Chiese locali: il ruolo della donna è la questione principale visto il numero di abbandoni femminili nella Chiesa. In una cultura dell’eguaglianza sociale e di uguale accesso ai ruoli dirigenziali la Chiesa ha un grosso problema di credibilità: dovrà spiegare chiaramente perché le donne sono emarginate dal sacerdozio e da altri ruoli. Anche in Australia e negli USA è così, ma ci sono chiese in cui tutto questo porterebbe ad uno scisma formale e reale tra chi è favorevole e chi respinge». Del resto ogni cambiamento nella Chiesa ha atteso decenni prima di prendere vita, e anche in questo caso temi così delicati potrebbero attraversare più di un pontificato: «Se la chiesa tedesca dovesse votare per un cambiamento in questo senso, io credo non troverebbe un benvenuto a Roma neanche da parte di Francesco».■
Zeta — 31
Storie
Di Lorenzo Ottaviani
1
Calcio robotico, passioni storiche e il futuro che corre Un giorno, grazie all’Intelligenza Artificiale, potremmo assistere ad entusiasmanti partite di calcio giocate dai robot. Tutto è iniziato meno di trent’anni fa, ma il processo è in evoluzione SPORT
1
1. La Bar Ilan University, israeliana, famosa per lo sviluppo del calcio robotico, sta trasformando la sua abilità tecnologica verso la progettazione di veicoli autonomi 2-3-4. Tripla vittoria per il team B-Human di Brema nella Standard Platform League alla RoboCup 2017 a Nagoya, in Giappone (Fonte: B-Human)
2 32 — Zeta
Bulloni e cavi al posto del sudore, ma sempre con il pallone tra i piedi. Se migliaia di esseri umani si sfidano sui campi da calcio sin dall’800, i robot hanno iniziato a farlo da quasi trent’anni. Era il 1993 quando nacque la RoboCup, iniziativa avviata ufficialmente nel 1997 con l’obiettivo di realizzare un team di robot umanoidi in grado di affrontare e battere la squadra Campione del Mondo. Una sfida affascinante e complicata ma non impossibile, come ci spiega Daniele Nardi, docente di Intelligenza Artificiale alla Sapienza Università di Roma: “È ancora difficile fare delle previsioni sull’evoluzione tecnologica nei prossimi anni, ma la cosa interessante è aver individuato queste competizioni per sviluppare un diverso tipo di tecnologia”. L’Intelligenza Artificiale – disciplina delle scienze e della tecnica che consente la progettazione di sistemi in grado di fornire alle macchine prestazioni proprie dell’intelligenza umana – ha le sue origini nelle teorie di Alan Turing. Il grande matematico, negli anni ’50, teorizzò che un giorno una macchina avrebbe battuto a scacchi un essere umano. Il tutto si avverò il 10 febbraio 1996, quando il famoso scacchista Garri Kasparov venne sconfitto dal computer IBM Deep Blue. Da lì al calcio robotico il passo è stato breve in termini di tempo, meno per quanto riguarda i progressi tecnologici. “Inizialmente avevamo solo automi su ruote, adesso abbiamo robot umanoidi che per quanto piccoli e lenti rappresentano una novità importante. Grazie allo sviluppo delle tecniche di Computer Vision (la capacità di una macchina di riconoscere gli oggetti, ndr) siamo riusciti a rendere i giocatori consapevoli di dove si trova la palla”. Ma non è l’unico problema da superare: “Grazie alle loro telecamere interne, oltre che ad individuare gli oggetti, i robot sono anche in grado di riconoscere la propria posizione in campo e quella degli avversari. L’aspetto più critico dal punto di vista tecnologico è proprio questo. Dopodiché i robot devono essere in grado di coordinarsi come squadra, per evitare di rincorrere il pallone come farebbero dei bambini”. Le sfide fra robot umanoidi si svolgono 5 contro 5 su un campo da nove metri per sei. I robot si muovono in maniera autonoma, senza nessuna forma di controllo. Il computer esterno svolge solamente le funzioni di arbitro, che ravvisa falli e pu-
3
nizioni. Un altro esempio di tecnologia avanzata applicata al calcio sono i robot Paratutto: “Ma in quel caso si tratta di macchine diverse, perché hanno riflessi e capacità superiori a quelle umane”, commenta Nardi. Il professore responsabile del progetto di calcio robotico alla Sapienza – gli unici che si occupano di questo ramo dell’IA in Italia – considera l’Intelligenza Artificiale come la tecnologia principale che determinerà il futuro di questo pianeta: “Per questo tutti i paesi stanno facendo enormi investimenti in questo campo. Riuscire ad ottenere la leadership significa avere la possibilità di far prosperare il proprio paese in maniera migliore”. E il nostro di paese, come sta agendo in tal senso? “La speranza è che l’Italia si muova. Lo sta facendo per alcune iniziative prese finora, anche se non siamo fra i primi della classe per quanto riguarda gli investimenti. Nonostante questo, - conclude Nardi - dal punto di vista della ricerca riusciamo a raggiungere risultati brillanti anche con poche risorse”. Fondi scarsi ma risultati notevoli per i ricercatori italiani, che sperano un giorno che anche il calcio robotico possa diventare “religione” così come quello praticato dai nostri beniamini in carne e ossa. ■
63cm
La dimensione che i robot appartenenti alla categoria "taglia media taglia", non deve superare
80kg
Il peso massimo consentito per i robot che partecipano alle competizioni
2-6
I giocatori (da minimo a massimo), di cui la squadra è composta, di cui almeno uno come portiere
Categorie Al torneo internazionale della RoboCup i giocatori e i team possono appartenere a diverse tipologie, suddivise in relazione alle dimensioni del robot con il quale si partecipa, alla complessità o in funzione al tipo di finalità progettuale di quest'ultimo.
4 Zeta — 33
Cultura
1. La locandina del nuovo film Netflix del regista p 2. Una scena del film, che vede Tomala impegnato nel sui social social network che nella vita reale | courtesy of Netfli nicki, nel film candidato sindaco di Varsavia, ispirato alla fi progressista di Danzica, ucciso da estremi
Che cosa ci insegna The Hater Il potere della suggestione e della manipolazione raccontati tramite la storia di Thomasz, un ragazzo di Varsavia che nella sua solitudine trova rifugio negli angoli più bui del web CINEMA
34 — Zeta
Thomasz è uno studente di legge che dopo essere stato accusato di plagio viene espulso dall’università. Vive a Varsavia nel pieno di una campagna elettorale e in questa città sembra perdersi. Alterna la solitudine a una finta socializzazione: social network e videogiochi. «È proprio un tipo creepy», uno di quelli che fa accapponare la pelle. Lo definisce così Gabi, la figlia dei Krasucki, la famiglia alto-borghese polacca che si prende cura di Tomala, come lo chiamano loro, pagandogli gli studi. È proprio Gabi il punto d’incontro tra la realtà virtuale che risucchia le giornate di Thomasz e quella società che sembra non voler accettare un ragazzo dall’aspetto “particolare”. The Hater è proprio questo: il racconto della vita di chi, all’apparenza, non riesce a trovare un posto nella società. Thomasz si ribella a un sistema che l’ha punito e che troppe volte sembra ignorarlo. La sua passione è il web e lavora come moderatore di contenuti per la Best Buzz, agenzia di comunicazione di Bea, una donna spietata che non conosce il concetto di etica. Distrugge la reputazione di aziende e personaggi famosi, questo è il suo lavoro. «Non sono interessato al marketing rispettabile e nemmeno a quello leale», esordisce così Tomala al colloquio di assunzione e sin da subito mette in pratica le sue capacità promuovendo una campagna di diffamazione di Gian Marco Passerini
2
1
polacco Jan Komasa | courtesy of Netflix lla sua attività più usuale, vivere più ix 3. Thomasz assieme a Paweł Rudigura di Paweł Adamowicz, sindaco isti di destra nel 2019 | courtesy of Netflix
Il regista polacco Jan Komasa grazie ai suoi film continua a raccontare le sfumature della solitudine
Suicide Room Racconta la storia di Dominik, uno studente che sceglie l’isolamento virtuale come risposta al bullismo. Dominik è innamorato di un suo compagno di scuola e per questo viene schernito fino a quando non deciderà di rifugiarsi nella "Camera dei Suicidi"
Corpus Christi Daniel ha un sogno: diventare sacerdote, ma è colpevole di aver provocato la morte di un uomo. Cercherà la redenzione nella fede cristiana, ma non sarà così facile. Solo quando si allontanerà dalla sua città avrà la possibilità di diventare il momentaneo sostituto del parroco
online fatta di troll e fake news verso una famosa influencer che aveva basato il suo successo su una dieta a base di curcuma. Il web è un luogo senza confini e controllarlo non è cosa facile. Negli angoli più bui e, sempre più anche nei più conosciuti social network, trovano spazio gli estremisti, le teorie complottiste e l’odio razziale. Thomasz decide di stare da quella parte. Decide di sfruttare questi ambienti per il nuovo lavoro che Bea ha pensato per lui: distruggere la campagna elettorale di Paweł Rudnicki, candidato sindaco di Varsavia, favorevole all’accoglienza e all’inclusione di tutte le minoranze nelle società polacca. «L’Europa sarà bianca oppure disabitata» è questo il mantra che Tomala decide di usare in rete per scatenare e reclutare gli elementi più pericolosi dei movimenti fascisti. Per farlo tutto è lecito: bot automatizzati, meme, profili e pagine fittizie, fake news, troll e spionaggio selvaggio. L’obiettivo è sempre e solo quello di raccontare una realtà che non esiste: quella dell’imminente islamizzazione della società polacca. Una realtà costruita su fatti mai avvenuti, su collegamenti che nulla hanno in comune e su una discriminazione feroce verso quello che risulta essere il «diverso». Thomasz fa del tribalismo, del nazionalismo e dell’autoritarismo gli elementi del potere della suggestione che esercita ogni giorno online. Il film è efficace nel dettagliare come funzionano le campagne di disinformazione e regala alcuni dettagli sull’ascesa del nazionalismo bianco in Polonia. The Hater senza volerlo sembra raccontare la morte di Paweł Adamowicz, sindaco progressista di Danzica, avvenuta durante un evento pubblico a inizio 2019. Paweł era già stato oggetto di attacchi da parte dei gruppi di estrema destra che avevano addirittura pubblicato un finto certificato di morte. La trama intreccia la vita virtuale con quella reale. Per i ragazzi come Tomala l’una equivale all’altra e in entrambe non ci sono limiti: si deve giocare sulle emozioni e sulle debolezze altrui senza mai uscire dalle regole imposte della società. La scelta di queste regole però è il grande punto interrogativo che questo film vuole sollevare. Nel deep web valgono le stesse regole della vita di tutti i giorni? Per questi estremisti la differenza non c’è: per loro le regole non esistono.
Ognuno dei personaggi che si incontra ha una propria ferita che si porta dentro. C’è chi ha un genitore malato, chi è emarginato, chi è deriso e chi si sente incompreso. Thomasz ha quell’aria un po’ nerd che proprio non vuole togliersi di dosso, è una cosa che gli appartiene. È quell’aria che gli costa etichette scomode, etichette che peserebbero a chiunque. «Lo vuoi capire o no? Le persone come noi non contano nulla. Finiamo nel loro libro nero per sempre, ma ricordati io non sono un nessuno». Questa è forse la frase più potente di The Hater perché racchiude il disagio e la vita struggente di chi si sente estraneo dalla società e trova rifugio in una qualsiasi community online. Nella vita privata di Tomala tutto è un controsenso e tutto segue passo per passo le parole dell’“Arte della guerra” del filosofo Sun Tzu che gli fa scoprire l’arte della manipolazione.
Tomala attraverso una rete di bugie e diffamazioni raggiunge l'obiettivo di avere una vita agiata, ma l'odio virtuale avrà ripercussioni violente The Hater è un film fatto di pause, di attese, di riflessioni e di solitudine. Più volte Tomala si rinchiude in sé stesso e nella sua cameretta dove coltiva il suo segreto rapporto con i media. All’inizio bastavano semplici richieste d’amicizia su Facebook, come segnale di un’apparente accettazione e stima. Poi all’improvviso questa cosa non basta più. L’unico obiettivo è la subdola ricerca dei punti deboli del suo avversario per poter costruirci sopra una falsa narrazione con il solo scopo di distruggergli la vita, come quando riesci a sconfiggere il supereroe all'interno di un videogioco. ■
3
The Hater si unisce ad altri film che hanno cercato di raccontare il web e la potenza dei social network: The Social Network Racconta la storia di Mark Zuckerberg e i primi tumultuosi anni di Facebook. Dalla fondazione nel 2004, come semplice sito per connettere gli studenti di Harvard fino alla causa da 600 milioni di dollari indetta contro il suo fondatore
The Social Dilemma Il film esamina il controverso mondo dei social media concentrandosi sullo sfruttamento e la manipolazione degli utenti. In più approfondisce la dipendenza che i social provocano, in particolare nei più giovani con effetti sulla salute mentale
Zeta — 35
Cultura
Porte aperte agli Uffizi, ma i turisti non ci sono Dopo i mesi di chiusura imposta dall’emergenza pandemica, riaprono le porte del celebre museo. Il mondo però è ancora troppo distante TURISMO
1
Mai così tanto spazio. La prima sensazione che regala la Galleria degli Uffizi dopo 77 giorni di chiusura, è quella di un vuoto insolito. Nessuna fila all’ingresso, nessuna babele di lingue straniere che si mischiano alle porte del museo. L’accento è quello fiorentino, toscano. I visitatori sono i cittadini di Firenze e qualche loro corregionale; ognuno finalmente solo in compagnia dell’arte, a tu per tu con Giotto e Botticelli. La presenza più ingombrante è l’assenza dei turisti, nazionali e internazionali. La Toscana è stata dichiarata zona gialla, ci si può spostare al suo interno, ma per arrivare dal resto d’Italia sono necessari motivi di lavoro o di salute. Giungere dai quattro angoli del pianeta è ancora più complicato. «Si sa benissimo che i numeri del turismo in questa città non erano dati dai fiorentini e dai toscani, ma dal turismo americano – il commento di una guida della Galleria - Finché non si riapriranno le frontiere, l’afflusso al museo resterà molto limitato». Non tutti i mali, però, vengono per nuocere. Per una visitatrice fiorentina, anche lei impiegata come guida turistica, perdere l’occasione di visitare le sale sgombre da folle di curiosi «sarebbe un errore imperdonabile. Quando ci troviamo a gestire gruppi numerosi di turisti siamo costretti a rintanarci in un angolo per raccontare le opere, ma spesso finisce che le persone passano più tempo a guardare noi che spieghiamo piuttosto che a immergersi nei capolavori. Adesso ognuno può restar solo con l’arte senza fretta e senza ansie». La riapertura degli Uffizi è comunque un segnale incoraggiante per la ripresa delle attività artistiche e culturali nel nostro Paese. Come dichiarato dal direttore dei musei, Eike Schimdt: «Sebbene l’emergenza non sia ancora finita, questo è un segno della presenza della cultura. Ho paragonato questa riapertura ai concerti che si davano
di Valerio Lento e Fadi Musa
36 — Zeta
foto originali degli autori
alla National Gallery di Londra durante la Seconda guerra mondiale. Noi ci auguriamo di guarire per l’arte». Il paragone con la guerra non è azzardato: era dai tempi del secondo conflitto mondiale che gli Uffizi non restavano chiusi al pubblico per un periodo tanto prolungato. All’epoca le opere d’arte furono addirittura trasferite dalle sale museali per essere messe al sicuro nella Villa medicea di Poggio a Caiano, vicino Prato. Lo spostamento avvenne nel giugno del 1940, pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra alla Francia e al Regno Unito, e solo cinque anni e mezzo più tardi, nel dicembre del 1945, i capolavori poterono far ritorno a casa. Oggi la “guerra” è al Covid e, nonostante la situazione sia ancora lontana da una conclusione felice e definitiva, la Cultura sta compiendo i primi passi verso la rinascita. Il museo più importante d’Italia ha riaperto i battenti al mondo, in attesa che il mondo torni a bussare alle sue porte. ■ Zeta — 37
Cultura
In televisione tutti i colori del noir Tra romanzi e film un genere che non smette di appassionare e accomuna una generazione di scrittori INTRATTENIMENTO
Occhi verdi e tristi che custodiscono un segreto sovrannaturale. La fame e l’amore come motori dei mali del mondo. Sono gli elementi dell’atmosfera noir della Napoli degli anni Trenta in cui si muove il commissario Luigi Alfredo Ricciardi. Dai romanzi di Maurizio De Giovanni, una nuova trasposizione per la tv, diretta da Alessandro D’Alatri: la fiction con Lino Guanciale che interpreta il commissario ha debuttato ieri sera, conquistando quasi 6 milioni di spettatori. Un successo doppio, perché più o meno lo stesso numero di persone segue già da due settimane le avventure di un’altra creazione di De Giovanni, Mina Settembre, l’assistente sociale dallo straordinario altruismo interpretata da Serena Rossi nella Napoli contemporanea. La città dai mille colori ospita questi due protagonisti che si fanno compagnia nel palinsesto di Rai 1 la domenica e il lunedì, ma nei suoi vicoli camminano altri personaggi che aspettano di tornare sullo schermo, sono I Bastardi di Pizzofalcone. La serie, prima letteraria e poi televisiva, di cui si attende la terza stagione, due anni fa ha consacrato la penna di Maurizio De Giovanni in declinazione fiction. La città riveste un ruolo importante nella scrittura di De Giovanni, nei romanzi come nelle trasposizioni televisive, e anzi ricorre come elemento di identità anche in altri autori della generazione degli scrittori del noir che si contendono i primi posti delle classifiche dei best-seller, basta ricordare la Roma di Giancarlo De Cataldo o di Antonio Manzini, che attraverso le parole del vicequestore Rocco Schiavone trasporta le espressioni romane anche nella piccola Aosta innevata. Commissari, vicequestori, malviventi, sono loro i personaggi del noir, un giallo che si tinge di nero, dalle storie a tinte fosche, violente, in cui il confine tra bene e male è avvolto dalla nebbia, un genedi Livia Paccarié
38 — Zeta
re letterario che continua a trasformarsi e non smette di appassionare i lettori. Dalla Milano degli anni ’60 di Giorgio Scerbanenco, mitico autore di Venere Privata e Milano Calibro 9, all’esplosione de Il commissario Montalbano di Andrea Camilleri all’inizio degli anni Duemila, dai romanzi di De Cataldo, De Giovanni, Manzini a quelli di Carlo Lucarelli e Massimo Carlotto, fino ai casi giudiziari dell’avvocato Guido Guerrieri firmati da Gianrico Carofiglio e ai gialli “umoristici” di Marco Malvaldi. La dimensione tetra del noir non accomuna questi autori allo stesso modo. Se il commissario Ricciardi ha un’anima cupa, sorretta anche dalla macabra dote di riuscire a parlare con i morti – per di più con coloro che sono morti in modo violento – non è lo stesso per Rocco Schiavone, personaggio che già solo per il fatto di essere stato trasferito da Roma ad Aosta e per i suoi comportamenti fuori dagli schemi stimola la risata, in una commistione di dolce e amaro che mostra al lettore, e allo spettatore della fiction, anche il male nella sua più cruda brutalità. Già in Camilleri il noir veniva “addolcito” dal carattere del suo eroe. Montalbano a volte sembra burbero ma è incapace di provare cattiveria,
Serena Rossi è Mina Settembre. Regia di Tiziana Aristarco, 2021.
Lino Guanciale interpreta Il Commissario Ricciardi. Regia di Alessandro D'Alatri, 2021.
Ubaldo Lay nei panni del Tenente Sheridan, nella serie "Giallo Club". Regia di Guglielmo Morandi, 1961.
e ad accompagnare la dimensione del giallo, spesso declinato in storie perverse, ci sono dei personaggi ben caratterizzati. Si pensi solo alle iconiche battute di Catarella che va a sbattere sullo stipite della porta o alle passioni di Mimì Augello. Anche la Rai parte da lontano, con gli indimenticabili sceneggiati degli anni ’60 che hanno reso famosi poliziotti e marescialli. Domenica 27 dicembre 1964 andava in onda la prima puntata del Maigret preferito dallo stesso Simenon, quello interpretato da Gino Cervi e introdotto dalle note di Luigi Tenco. L’inizio di una tradizione che non si è mai fermata, con Ubaldo Lay nei panni del Tenente Sheridan, Tino Buazzelli in Nero Wolfe, Gigi Proietti con Il Maresciallo Rocca, fino a Luca Zingaretti che ha dato il volto a Montalbano. C’è così tanto materiale che il Museo di Roma in Trastevere il 7 ottobre ha inaugurato Sulle tracce del crimine. Viaggio nel giallo e nero Rai, una mostra di oltre 200 fotografie e video sulle produzioni Rai del giallo e del noir dagli anni ’50 alle fiction di oggi. E ancora ci sarà molto altro da leggere e da vedere. Maurizio De Giovanni, in un’intervista a Fanpage, si è lasciato sfuggire che «Arriverà anche il turno di Sara», la profiler dei servizi segreti protagonista della serie di romanzi Sara al Tramonto. ■
Le inchieste del commissario Maigret Diverso dai poliziotti americani con la mano sulla pistola e dagli investigatori inglesi con le loro complicate deduzioni mentali, Maigret è un eroe umano amante della buona cucina e accanito fumatore di pipa. Il personaggio nato dalla penna di Georges Simenon è stato interpretato da Gino Cervi in una serie televisiva di 35 puntate, in onda sul Programma Nazionale, dal 1964 al 1972. Per la realizzazione fu incaricato Andrea Camilleri, all'epoca delegato di produzione.
Tino Buazzelli e Paolo Ferrari in Nero Wolf. Regia di Giuliana Berlinguer, 1969.
Zeta — 39
Cultura
Le Canaglie che hanno vissuto il calcio Angelo Carotenuto nel suo ultimo romanzo racconta “le Canaglie”. Dalla ricerca delle fonti ai protagonisti che lo hanno ispirato, la storia della Lazio dei primi anni 70, metafora di Roma e della società del tempo LIBRI
40 — Zeta
«Scrivere e prepararsi a scrivere questo romanzo è stata anche la maniera di rileggere cose e rivivere episodi che erano in memoria da qualche parte, un modo di reinterpretare, di dare un bordo a certe cose sfumate che da bambino e da ragazzo avvertivi in sottofondo e non sempre capivi bene». A parlare è Angelo Carotenuto, giornalista e scrittore, autore del libro Le canaglie, edito da Sellerio e uscito nel 2020. Il protagonista è Marcello Traseticcio, personaggio immaginario che fa il fotografo in un quotidiano romano, costretto dal suo direttore a occuparsi della Lazio. Dalla dolce vita di Via Veneto - lui che vanta l’amicizia del regista Federico Fellini - al periferico campo di allenamento di Tor di Quinto. Di calcio sa poco, quasi nulla. Ma si immerge in quel mondo, esplora i confini, ne comprende la dimensione trasversale. Nella stagione 1971-72 i biancocelesti sono in Serie B, divisi tra nuovi acquisti e una gestione tecnica che sa di scommessa. È l’inizio di una parabola fatta di risse, conflitti insanabili tra clan, trionfi, momenti di crescita e condivisione. Marcello regala scatti della promozione in A, dello scudetto buttato via a Napoli l’anno successivo, delle bravate dei giocatori nei locali notturni, del tricolore conquistato il 12 maggio 1974, giorno del referendum per l’abrogazione della legge sul divorzio. La sua esistenza si intreccia con quella di Tommaso Maestrelli, allenatore saggio e profondo, del rissoso e fiero Giorgio Chinaglia, del biondo e talentuoso Luciano Re Cecconi, morto in circostanze assurde. Fino all’acculturato capitano Pino Wilson, detto “Milord”. Sono solo alcuni dei protagonisti che popolano lo spogliatoio, dove pistole e asciugamani vengono tirati fuori dai borsoni con la stessa leggerezza. Il libro è una fitta rete di passaggi tra sport, storia, costume e cultura. Sullo sfondo delle giornate di campionato ci sono gli omicidi di politici e magistrati, il caso Pasolini, la morte dello scrittore Gadda, la nascita delle Brigate Rosse. E così quella squadra divisa tra destra e sinistra, ma unita su un campo di calcio, diventa la metafora di Roma, della società italiana dell’epoca. In un’intervista a Zeta, l’autore descrive il suo romanzo, dalla ricerca delle fonti fino ai protagonisti che lo hanno ispirato. Come è nata l’esigenza di scrivere questo libro? «Come sempre. Per la voglia di raccontare una storia e amoreggiare con delle parole. Le storie delle persone dentro quella Lazio mi parevano gigantesche, di Jacopo Vergari
“Il fotografo è un mestiere che fa i conti con la testimonianza e con la responsabilità della memoria. Mi pareva un buon espediente per avere un narratore non onnisciente ma partecipe, consapevole”
“Ai personaggi è preferibile affezionarsi da lettori. Se ti affezioni a qualcosa, non te ne liberi, come le fotografie” “Chinaglia è stato un uomo complesso, pieno di sfumature, un giorno intrattabile e il giorno dopo generoso, una volta prepotente e all’improvviso mansueto”
1974
Tommaso Maestrelli e Giorgio Chinaglia
15 gennaio - La serie Happy Days debutta sulla rete televisiva statunitense ABC 9 agosto - In seguito allo scandalo Watergate, Richard Nixon si dimette dalla carica di presidente degli Stati Uniti 30 ottobre - A Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire), si svolge The Rumble in The Jungle, leggendario incontro di pugilato tra Muhammad Ali e George Foreman La copertina del nuovo libro edito da Sellerio 364 pp., 16,00 €
uniche e tutto sommato rimosse. Più mi documentavo, più mi pareva che quella squadra diventasse altro, diventasse cioè molto più di una squadra di calcio, fino a sembrarmi la riproduzione in scala della società italiana dell'epoca, una riproposta in miniatura delle sue spaccature feroci, drammatiche, pubbliche, teatrali. Con le risse in allenamento, la divisione in due clan». Cosa ti premeva raccontare di Roma e della società di quel periodo? «Un senso di perdita, forse. Il collasso di un mondo. L'odore delle macerie in arrivo. Ma già dalla lingua, intendo. Oggi Roma ha una parlata, non ha mica più una lingua. Esiste uno slang che viene da lontano, figlio di certi sottoprodotti televisivi e cinematografici che attribuiscono un romanesco di plastica a una serie di personaggi di volta in volta cialtroni, improbabili o delinquenti. L'altezza della lingua di Roma è stata cancellata. Perduta. Sostituita da un chewing-gum che è presentato come una macchietta, quando le opere in dialetto conservano parole e modi di dire meravigliosi. La perdita di un certo modo di fare il giornalista. La perdita della componente popolare nel calcio. La perdita dell'ingenuità garantita dai grandi programmoni popolari della RAI, da Canzonissima a Rischiatutto, dal Pinocchio di Comencini al Sandokan di Kabir Bedi. La perdita di molte vite innocenti, studenti che uscivano per partecipare a una manifestazione, a un corteo, e potevano non tornare a casa, vittime della violenza politica di quegli anni. Il lutto di una generazione di genitori». Come descriveresti il calcio degli anni 70? «Un calcio che si bastava. Un calcio del poco. Un calcio del quale si vedeva quasi niente e che lasciava all'immaginazione un campo enorme per esercitarsi. L'ultimo calcio ingenuo prima dell'arrivo degli stranieri, prima della nascita del divismo, prima che questo sport prendesse la strada dell'entertainment». Quali erano il punto di forza e il punto debole di quella Lazio? «Fu una squadra costruita con possibilità economiche limitate rispetto alle avversarie, aveva molti giocatori scartati nel resto d'Italia, smentì il luogo comune che si vince restando uniti come una cosa sola». Come descriveresti il tuo libro a chi non l’ha letto? «È un romanzo che prova a raccontare un pezzo di storia del nostro Paese attraverso le storie di ragazzi che facevano i calciatori e una ragazza che voleva fare la giornalista: come fanno a stare insieme la cupezza e l'energia». ■ Zeta — 41
Cultura
Il manuale per la democrazia Assaltata dai sovranisti, minacciata dalle derive del capitalismo e messa in discussione, la politica attraversa oggi un grave momento di crisi LIBRI
42 — Zeta
Scritto poco meno di cinquant’anni fa, all’indomani dei bombardamenti americani in Cambogia, questo libro rispecchia un decennio di intenso impegno politico dei cittadini. L’intento era redigere una guida utile ai cittadini partecipi, perciò evitai riferimenti specifici alla realtà politica degli anni Sessanta. In questa sede desidero tuttavia illustrare al lettore di oggi alcuni impegni concreti che mi trasformarono in cittadino attivista e mi indussero a scrivere questo libro. I movimenti politici sono perlopiù una faccenda di giovani. Io avevo venticinque anni ed ero un dottorando insoddisfatto, quando Irving Howe, direttore di Dissent, mi propose di volare in Carolina del Nord e di entrare in contatto con gli studenti afroamericani che organizzavano sit-in antisegregazionisti nei ristoranti dei magazzini Woolworth preclusi ai neri. Era il febbraio 1960 e i sit-in inauguravano gli anni Sessanta. Chiacchierai con gli studenti e poi ne scrissi, come mi aveva chiesto Irving. Ma la cosa più importante per me fu che diedi una mano a organizzare, con altri liberal e attivisti di sinistra della zona di Boston, l’Emergency public integration committee (EPIC), i cui membri picchettavano i magazzini Woolworth locali per solidarietà nei con- fronti dei sit-in del Sud. Io, perlopiù, prendevo la parola per spiegare che cosa stavamo facendo, reclutavo i picchettatori nelle numerose università dei dintorni e mi davo da fare per tenere a bada gli ideologi di estrema sinistra. Trattavo con la polizia, che non era proprio amichevole nei nostri confronti, ma tutto sommato si comportava in modo cauto e corretto: non ci sgomberava se noi non ostacolavamo troppo i clienti. La nostra era una single-issue politics, ossia ogni nostra azione politica riguardava un’unica questione, perseguiva un unico obiettivo, cercava di risolvere un ben determinato problema. Sapevamo che il razzismo, negli Stati Uniti, andava oltre i ristoranti Woolworth riservati ai bianchi, i bagni pubblici separati, le ultime file di sedili degli autobus in cui erano relegati i neri, ma le organizzazioni necessitano di mettere in campo un progetto; gli attivisti non possono limitarsi a parlare ma devono agire, fare qualcosa. Facemmo circolare delle petizioni che prendevano posizione sulle elezioni del novembre successivo e invitammo la cittadinanza di Cambridge a una giornata di mobilitazione contro la guerra in ► di Michael Walzer a cura di Mattia Giusto
Michael Walzer, (New York, 3 marzo 1935) è un filosofo statunitense che si occupa di filosofia politica, sociale e morale. Dopo il dottorato alla Harvard University (1961) inizia a insegnare a Princeton (1962-66) e ad Harvard (1966-80). Dal 1980 è prof. presso l'Institute for Advanced Study di Princeton. Studioso del pensiero politico moderno e contemporaneo, ne ha indagato le implicazioni morali ed etiche, interrogandosi sui concetti di guerra giusta, libertà e uguaglianza rispetto alla giustizia e dei problemi connessi all'idea di democrazia.
“Il mio intento è proporre ai lettori un genere ben determinato di azione politica. Mi sembra che il modo migliore per farlo sia semplicemente partecipare ai dibattiti che avvengono nei circoli e nei movimenti”.
“L’attività politica richiede un lavoro enorme. La gente della comunità che ha qualche anno in più, ha anche impegni familiari e un tempo limitato da dedicarvi. Così i giovani partecipano sino in fondo alle riunioni, lavorano per ore e ore, e alla fine sono loro che menano le danze”.
Michael Walzer, Azione Politica, Guida pratica per il cambiamento. Premessa di Nicola Barone. Introduzione di Leonardo Morlino, in uscita in Italia per LUISS University Press l'11 Febbraio 2021, 152 pp. € 16,00
Un libro necessario On s’engage et puis on voit (“Ci si impegna, poi si vede”). Vedrò poi che cosa succede. Questa massima giacobina pronunciata nel 1793 viene presa come ammonimento. Non seguite quel consiglio. Nonostante l'iniziativa politica sia spesso narrata in termini di "passione", di "sconsideratezza giovanile" o anche di azione "dettata da rabbia personale e frustrazione, questo libro di Walzer ci ricorda che l'azione politica è ben altro. A discapito di queste pulsioni, per quanto intense, l'iniziativa politica passa soprattutto per la definizione di alcuni elementi cardine, imprescindibili perché il fuoco sacro non si spenga dopo qualche mese. Si va dalla definizione degli obiettivi da perseguire, alla creazione della struttura di un’organizzazione, alla scelta
di Mattia Giusto
degli alleati, fino alla raccolta dei fondi necessari per tenere in vita un movimento. Oggi che la distanza e la diffidenza crescente tra cittadini e politica sembra aver creato una cesura proprio con quelle fasce sociali che sono storicamente state il motore del cambiamento nelle nostre società, ai giovani Walzer vuole dare dei consigli. Consigli pratici raccolti in capitoli brevi, che danno forma a un libro scritto con termini semplici e dedicato a "quelli che a differenza degli adulti hanno veramente tempo" per occuparsi dell'iniziativa politica. A cinquant’anni dalla sua prima pubblicazione – e per la prima volta in Italia – questo libro di Michael Walzer rappresenta ancora un’indispensabile guida per tutti coloro che vogliono prendere parte attiva alla vita della propria comunità. ■
►Vietnam. [...] Osammo addirittura invitare Martin Luther King a Cambridge a fare propaganda assieme con noi. Accettò e andò a bussare alle porte della gente al cospetto di giornalisti e telecamere. Non credo che la presenza e l’impegno di King ci siano stati di particolare aiuto nei quartieri bianchi di Cambridge. In ogni caso, a novembre ottenemmo il 40 per cento dei voti, uscendo sconfitti in tutti i quartieri operai. Solamente a Harvard Square e negli immediati dintorni si votò compattamente contro la guerra. [...] L’attività politica richiede un lavoro enorme e la sua distribuzione è questione fondamentale: non perché gli attivisti cerchino di scansarlo, bensì per foga di far tutto e subito. Gli attivisti più giovani, anche se studenti o insegnanti (come nel mio caso) di università ritenute esigenti, hanno un sacco di tempo da dedicare a ogni sorta di lavoro organizzativo e, in particolare, alle riunioni. La gente della comunità ha qualche anno in più e, oltre al lavoro, ha anche impegni familiari e quindi un tempo limitato da dedicare all’azione politica. Così i giovani partecipano sino in fondo alle riunioni, lavorano per ore e ore, e alla fine sono loro che menano le danze. L’intensificarsi della guerra in Vietnam era moralmente inaccettabile; così cominciammo a ragionare tra di noi sul da farsi. L’assassinio di Robert Kennedy portò alla nomination di Hubert Humphrey e alla disastrosa sconfitta del 1968. Ne seguì l’invasione della Cambogia, voluta da Nixon e Kissinger, che suscitò un’altra grande marcia a Washington ma nessun rinnovamento delle politiche locali contro la guerra. In questa situazione ero impossibilitato ad agire e, quando un attivista non può agire, scrive un libro. I responsabili editoriali della New York Review Books Classics si sono detti d’accordo a ripubblicare questo libro esattamente come l’avevo scritto nel 1970-’71, compresi i miei errori di genere in fatto di pronomi personali. Forse, l’unico capitolo che oggi necessiterebbe di una revisione è quello relativo ai mass media, che tratta delle relazioni tra attivisti e cronisti. Non c’è dubbio che i nuovi media possano servire alla raccolta fondi e, probabilmente, a favorire la partecipazione alle manifestazioni. Tuttavia, non credo possano sostituire gli incontri di persona e il faccia a faccia che creano e mantengono attivi, nel tempo, i movimenti politici. Resta necessario riunirsi in piccoli gruppi, partecipare alle riunioni e alle discussioni che vi avvengono, bussare alle porte dei vicini per parlare con loro e prestare ascolto: che è l’argomento, appunto, di questo libro. ■ Zeta — 43
Guida
ROMA | MOSTRE
RADICI: Evidenza della storia, enigma della bellezza Fino al 16 maggio al Museo dell’Ara Pacis di Roma
Siria, Grecia, Turchia, Cipro, Italia, Israele, Tunisia. Oltre cento immagini panoramiche in bianco e nero tracciano il percorso fatto dal fotoreporter ceco Josef Koudelka per scoprire le radici e la storia del Mediterraneo. Un progetto che dura da trent’anni, iniziato nel 1991 a Delfi, in Grecia, e terminato a Petra, in Giordania nel 2018, che «racconta il rapporto tra l’uomo e il mondo, le tracce che le persone lasciano sul territorio e che si sedimentano nel tempo» spiega Alessandra Mauro, direttrice editoriale di Contrasto, curatrice della mostra RADICI. Tappa unica in Italia, la retrospettiva dedicata a Koudelka, uno degli ultimi grandi maestri della fotografia contemporanea conosciuto soprattutto per Gypsies – il libro che con 109 scatti racconta le comunità gitane – e le foto che fece nel 1968 con lo pseudonimo PP Prague Photographer durante l’invasione di Praga da parte delle forze sovietiche, è promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, Contrasto e Magnum Photos. «Koudelka nella sua ricerca fotografica ha sempre messo al centro l’uomo e a un certo punto ha scelto di focalizzare il racconto sulle antiche vestigia greche e romane che fanno parte della nostra storia. Non affreschi romantici e nostalgici del passato, le rovine sono elementi vivi necessari per interpretare il presente». Non ci sono persone nelle immagini che scorrono lungo le pareti del di Chiara Sgreccia
44 — Zeta
Museo dell’Ara Pacis ma i segni lasciati durante il passaggio, la presenza dell’uomo. Paesaggi che hanno vissuto e che cambiano. Le gigantografie di panorami senza tempo caratterizzati da prospettive instabili e inaspettate avvolgono il visitatore appena entra e manifestano il lessico visuale utilizzato da Koudelka che rifugge la pura documentazione di siti archeologici e invece decide di rappresentare l’eterna tensione che rimane nelle rovine delle antiche civiltà del Mediterraneo, tra ciò che è visibile e ciò che è ancora nascosto, tra enigma ed evidenza, generando bellezza. «Tutta l’Europa viene dal Mediterraneo e scelsi di vedere TUTTO» dice il fotografo in una delle poche interviste concesse al photoeditor e giornalista francese Christian Caujolle. «Andai in più di duecento siti per cercare le cose più belle e interessanti per me. L’importante era avere una foto bella di ogni luogo importante, in ogni paese. E mi domandavo dove potevo trovarla». La fotografia per Koudelka è una battaglia con la realtà, un’avventura che non ha una fine già scritta e che questa volta è diventata un viaggio spazio-temporale nell’area mediterranea, un invito alla riflessione, una ricerca del posto giusto in cui scattare ciascuna delle 170 immagini che compongono la mostra. Quaranta fotografie in grande formato e le altre immagini sono lunghe circa un metro, appoggiate sui basamenti lungo il percorso.
SANREMO
Un festival senza pubblico Il 71esimo Festival di Sanremo che si terrà dal 2 al 6 marzo andrà in scena senza il pubblico dal vivo. Lo ha deciso la rai dopo una discussione travagliata, che ha persino visto il conduttore minacciare di abbandonare il progetto. Amadeus, attraverso i social, aveva infatti affermato che il Festival di Sanremo senza pubblico è come un circo senza animali. Nella polemica sono entrati anche esponenti politici importanti. L’ormai di Fadi Musa
ex ministro dei beni culturali Dario Franceschini su Twitter ha scritto: “Il Teatro Ariston di Sanremo è un teatro come tutti gli altri e quindi il pubblico, pagante, gratuito o di figuranti, potrà tornare solo quando le norme lo consentiranno. Speriamo il prima possibile”. L’obiettivo dell’Azienda è quello di realizzare un Festival in totale sicurezza, portando comunque lo show ai telespettatori di tutto il mondo.
Il settantunesimo Festival di Sanremo sarà condotto, per il secondo anno consecutivo, da Amadeus, che, nel corso delle serate, sarà affiancato da Fiorello, come avvenuto nell'edizione precedente. Al mattatore siciliano si uniranno Achille Lauro, Zlatan Ibrahimović, Elodie e Naomi Campbell. La competizione avrà due categorie principali: una categoria Campioni composta da 26 cantanti e una categoria nuove proposte composta da 8 cantanti.
Gaia Gozzi, in arte Gaia, 24 anni di origini italiane e brasiliane. Nel 2020 ha vinto il talent Amici. Il suo genere musicale spazia dal pop alla musica latina e ai caraibici. Ha avuto grande successo la scorsa primavera con il singolo Chega, che ha conquistato il doppio disco di platino. Salirà sul palco di Sanremo presentando per la prima volta il suo nuovo brano Cuore Amaro.
Matilda De Angelis sarà accanto ad Amadeus in una delle serate del Festival. L'attrice bolognese di 25 anni ha conquistato i set internazionali con la sua ultima apparizione in The Undoing, mini-serie di HBO che l'ha vista recitare al fianco di attori come Hugh Grant e Nicole Kidman. Ha avuto un ruolo importante anche ne "L'Isola delle Rose" prodotto da Netflix accanto a Elio Germano e recentemente sta girando a Venezia in qualità di protagonista l'adattamento hollywoodiano del romanzo di Hemingway "Di là dal fiume e tra gli alberi". Coma Cose, duo musicale milanese composto da Fausto Zanardelli e Francesca Mesiano. Nella loro carriera ha già collezionato importanti collaborazioni, nel 2019 con i Subsonica e nel 2020 con Francesca Michielin. Sono comparsi nella serie Netflix Summertime. Tra i loro maggiori successi c’è il singolo Mancarsi, con oltre 4 milioni di visualizzazioni su Youtube. A Sanremo presentano il brano Fiamme negli occhi. Zeta — 45
Parole e immagini
LIBRO
SERIE
Stephen King
Ridley Scott, Aaron Guzikowski
Guns
Raised by Wolves - Una nuova umanità
Marotta & Cafiero 120 pagine 15,00 euro
HBO Max Sky Atlantic
di Valerio Lento
«Si intitola “Guns”, pistole, il saggio breve di denuncia contro il traffico di armi firmato dal re del brivido Stephen King. Un’opera ispirata al massacro della Sandy Hook Elementary School, avvenuto nel 2012 in Connecticut, in cui morirono 27 persone per mano di un ragazzo ventenne che aveva rubato il fucile in possesso della madre. Il saggio, pubblicato negli Stati Uniti un anno dopo la tragedia, viene per la prima volta tradotto in italiano da una casa editrice con sede a Napoli, quartiere Scampia. Un posto dove le armi non si vendono sugli scaffali dei negozi, ma circolano comunque, libere di sparare. La casa editrice in questione è la Marotta&Cafiero, di Rosario Esposito La Rossa, proprietario anche della “Scugnizzeria”, una libreria sostenibile nel cuore di Scampia, che produce libri biodegradabili con inchiostri vegetali. Con il motto “dove prima si vendeva la droga, oggi si spacciano libri”, la Marotta&Cafiero ha già pubblicato oltre cento titoli con nomi di autori quali il premio Nobel Gunter 46 — Zeta
di Claudia Chieppa
Grass, Osvaldo Soriano ed Ernesto Che Guevara. Ma per La Rossa aver ottenuto i diritti da Stephen King, un autore da oltre 350 milioni di copie vendute in tutto il mondo, rappresenta un miracolo: «Tutto grazie a una mail inviata al suo agente – ha dichiarato – la storia del nostro impegno sociale ha convinto Stephen King a credere nel progetto». Per la pubblicazione in Italia si attende l’evento del Salone del Libro di Torino in programma il 4 maggio. L’opera verrà distribuita da Mondadori. L’intento di Marotta&Cafiero è dichiarato da un po’: prendersi quello spazio lasciato vuoto a Napoli da una certa editoria a respiro nazionale. «Non c’è un equivalente di Sellerio né di Laterza a Napoli. Con la distribuzione Mondadori abbiamo già realizzato un miracolo, era quello per noi il passo più importante. Il coraggio – ha poi aggiunto - è spesso mancato all’editoria meridionale, per il resto il Nord non ha molto più di noi, giusto un’organizzazione migliore. Eppure anche da qui possiamo avere una visione imprenditoriale e moderna».
«Ho visto come che voi umani…». Quasi 40 anni dopo Blade Runner Ridley Scott si cimenta per la prima volta con le serie tv, firmando la regia dei primi due episodi di Raised by wolves, in onda in Italia dall’8 febbraio su Sky Atlantic. La serie, di cui il regista de Il gladiatore è anche produttore esecutivo, è un omaggio senza riserve al genere sci-fi e alla filmografia di Scott stesso. Nel XXII secolo la Terra è resa inabitabile dalla guerra tra Mitraici (antico culto pagano praticato nell’Impero romano prima di essere soppiantato dal Cristianesimo) e atei. I mitraici, più avanzati tecnologicamente, usano come armi di distruzione di massa degli androidi dalle sembianze umane, i Negromanti, e hanno costruito un’arca per portare in salvo una colonia umana su un pianeta chiamato Kepler-22b, anch’esso realmente esistente. Un ateo riesce a riprogrammare due androidi per portare in salvo alcuni embrioni umani su Kepler al fine di creare una colonia umana atea, in cui non si riproponessero le guerre di religione che
avevano reso inabitabile la Terra. I due, chiamati Madre e Padre, si stagliano con i loro corpi nudi e argentati come dei sinistri Adamo ed Eva contro il paesaggio brullo del nuovo pianeta, avendo come obiettivo di perpetuare la specie umana, proprio loro che erano stati pensati come letali armi da guerra. Su Kepler, la colonia guidata da Madre, rappresentata con gli attributi di una versione androide della Lupa che allattò Romolo e Remo (da cui il titolo della serie), si scontrerà con i passeggeri dell’arca dei mitraici mandata a colonizzare il pianeta. Già da questa breve sinossi si evincono i temi chiave della serie: il legame genitori-figli che riecheggia quello tra uomo e macchina in cui, in questo caso, si inverte costantemente il rapporto tra il creatore e colui che viene creato. E poi il tema della fede e della religione, ovvero il posto del “Creatore” per eccellenza, in questo mondo fatto di umani e androidi capaci a loro volta di dare la vita. Cercando il senso di cosa è umano e cosa, invece, è divino. È il pulviscolo di eternità in ognuno di noi.
giornalismo.luiss.it @Zeta_Luiss
zetaluiss.it Zetaluiss
@zetaluiss