L'Espresso 31

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Lo scenario

CAMORRA SOCIAL E AFFARI VERI DI ROSARIA CAPACCHIONE

P

er fare business c’è bisogno di silenzio. E di discrezione, sempre. Che si tratti di affari legali o di investimenti criminali, la regola non cambia: low profile, buona stampa, un tanto di beneficenza, un po’ di impresa sociale senza profitto, un uso sapiente dei social. Ecco, i social, dall’ormai obsoleto Facebook a Instagram fino a TikTok, proiezione dei bisogni individuali da conoscere e far conoscere, per creare nuovi desideri e per assecondare quelli che ci sono già. Una vetrina sul mondo e un gigantesco spot di se stessi e del proprio marchio di fabbrica. Li usa anche la camorra, ovviamente (non Cosa Nostra, non la ’ndrangheta). O per meglio dire: li usano i piccoli boss delle bande urbane (come i vari rami dei romani Casamonica) per pubblicizzare scorrerie a mano armata, omicidi, attentati, nuove affiliazioni, nuovi nemici. Fanno rumore, molto rumore. E sfilano a volto scoperto, tatuaggio a vista, a favore di telecamere della videosorveglianza. Naturalmente vengono riconosciuti e arrestati. E dunque, si dirà, non sono camorristi. In questa apparente contraddizione è racchiuso il potere delle famiglie storiche dell’alta camorra, quella che continua a ordinare gli omicidi che servono, il meno possibile, ma che è impegnata soprattutto a far girare i soldi che arrivano dal traffico di droga, dalle estorsioni, dal mercato del falso. Investendo nel settore immobiliare, nella sanità pubblica e privata, nei servizi alla persona, nella distribuzione del carburante. E così, mentre Ponticelli, San Giovanni a Teduccio, rione Traiano (l’ultima relazione della Dia ha censito diverse decine di microgruppi che si compongono e si scompongono con una velocità impressionante, generando continui conflitti), si spara e si postano i video delle proprie imprese criminali; mentre i raid nel Decumano o le stese a Toledo seminano paura tra la folla; il clan Contini, i Mazzarella, l’Alleanza di Secondigliano sfruttano la cortina fumogena del terrore per fare affari, grossi affari. Un’operazione di distrazione di massa che funziona eccome, nonostante l’allarme lanciato più volte dal procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, durante la sua lunga permanenza alla procura di Napoli, che ha retto fino a due mesi fa. Allarmi pubblici, sui giornali, e diretti agli addetti ai lavori, come nella relazione alla Scuola di specializzazazione della magistratura, a Scandicci. «Una cantilenante e rassicurante narrazione vorrebbe ricondurre la camorra a mero contenitore di una violenza urbana sprigionata dalla contrapposizione armata di bande

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7 agosto 2022

in continua e magmatica trasformazione, nell’ambito di una diffusa e parcellizzata gestione dei tradizionali mercati illegali», aveva detto parlando ai colleghi. Non perché non sia giustificato l’allarme sociale, se non altro per l’efferatezza dei raid tra componenti di bande che «si disputano il controllo della dimensione locale dei tradizionali mercati illegali della droga e del racket». Ma, ha rilevato Melillo, queste bande «sono lasciate ai margini dei settori di confluenza degli interessi mafiosi nel mondo dell’impresa». Una irrisolta questione meridionale, dunque, con il patto tra camorra e borghesia mafiosa, tra i grandi cartelli criminali e quei professionisti che per denaro, per ignavia, per cinismo, hanno messo a disposizione servizi legali e consulenze: fiscali e bancarie. Una saldatura che, con molte difficoltà e incerti risultati, investigatori e magistrati si sforzano di spezzare. E se durante i primi mesi dell’emergenza Covid le società d’affari a capitale mafioso si sono accaparrate le forniture di mascherine e di ossigeno, con la ripresa economica stanno rilanciando sul turismo. In uno studio fatto dalla Kroll Reag, società di consulenza immobiliare che ha analizzato le aree di maggior interesse per le destinazione dei fondi per l’edilizia previsti dal Pnrr, studio pubblicato dal Sole 24 ore nel giugno scorso, Napoli è inserita tra le quindici città intermedie con un elevato potenziale d’ingresso per gli investitori e di potenziale interesse per investimenti a dieci anni. Un settore storicamente appannaggio del clan Contini, in centro, e dell’Alleanza di Secondigliano nell’area nord della città, aggredito attraverso l’accaparramento di immobili alle aste giudiziarie, aggiudicate a prezzi risibili con contrattazioni al ribasso ( fenomeno che si verifica anche in provincia di Caserta, dove il clan dei Casalesi ha perduto quasi del tutto l’ala militare ma dove si registra una convergenza di interessi con il gruppo Moccia), o l’acquisto a prezzo d’occasione di “bassi” e case che fino a tre anni fa erano alloggi per studenti, con la trasformazione in B&B. Un fenomeno che ha già trovato i primi riscontri in indagini giudiziarie svolte dalla Guardia di finanza e che era stato denunciato il 2 dicembre dello scorso anno dal sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, durante la sua audizione a Palazzo San Macuto, in commissione antimafia. Stesso discorso per i locali dell’area della movida, bar, piccoli ristoranti, take-away, nati come funghi in quelli che erano i bassi dei Quartieri Spagnoli, di Chiaia, dei Decumani. Ai piani superiori di palazzi storici abbandonati dai vecchi proprietari e acquistati (il rumore e le risse quotidiane sono tra le cause della fuga verso la periferia o verso città vicine e


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