Italia Ornitologica - Numero 4 2020

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Rivista mensile di Ornitologia Scientifica - Tecnica - Pratica Organo Ufficiale della F.O.I.-Onlus

ANNO XLVI numero 4 2020

Canarini di Colore

Canarini di Forma e Posizione Arricciati

Affermazioni, dubbi, domande

Parigino e AGI a confronto: il tronco

Estrildidi Fringillidi Ibridi

Il Beccofrusone

Ondulati ed altri Psittaciformi

L’Opalino Cannella



ANNO XLVI NUMERO 4 2020

sommario #FOIFamiglia Antonio Sposito Affermazioni, dubbi, domande Giovanni Canali

Il Beccofrusone Piercarlo Rossi

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La calotta del Lizard Bruno Novelli

Colori Giovanni Canali e Giuliano Ferrari

L’arte dell’allevamento ornitologico Sergio Palma

Le categorie a concorso che tutti vorrebbero (1ª parte) Carmelo Montagno

L’Arricciato del Sud Emilio Sabatino

Orni-flash News al volo dal web e non solo

Canarini di Colore

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Canarini di Forma e Posizione Arricciati

Parigino e AGI a confronto: il tronco (2ª parte) Giuseppe Corsa e Luigi Mollo

L’Opalino Cannella Giovanni Fogliati

La cenere di legna Pierluigi Mengacci

Pagina aperta Argomenti a tema

Un sogno che si realizza Simone Olgiati

Spazio Club Club Arricciato Padovano

AMMINISTRAZIONE E PUBBLICITÀ: Segreteria F.O.I.-Onlus Via Caorsana, 94 - Località Le Mose 29122 Piacenza Tel. 0523.593403 - Fax 0523.571613 Web: www.foi.it - E-mail: redazione@foi.it

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Il Canarino Matusalemme Federico Vinattieri

Estrildidi Fringillidi Ibridi

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Roberto Basso

Lettere in Redazione

Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 0391-254X (International Standard Serial Number) Autorizzazione del Tribunale di Bologna n. 4396 del 12-3-1975 Stampa: TEP s.r.l. - Strada di Cortemaggiore, 50 29122 Piacenza - Tel. 0523.504918

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Canarini di Forma e Posizione Lisci

Allarme Ibis sacro

Direttore Responsabile: Antonio Sposito Caporedattore: Gennaro Iannuccilli Collaboratori di Redazione: Giovanni Canali, Maurizio Manzoni, Francesco Rossini

Coadiutore Editoriale: Lorenza Cattalani

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Le quote abbonamento vanno versate, mediante vaglia o assegno, alla Segreteria. Le opinioni espresse dagli Autori non impegnano la Rivista e la sua Direzione. La Redazione si riserva il diritto di non pubblicare o emendare gli articoli proposti. I collaboratori assumono piena responsabilità delle affermazioni e delle immagini contenute nei loro scritti. Vietata la riproduzione, anche parziale, se non espressamente autorizzata. © F.O.I. In copertina: Beccofrusone (Bombycilla garrulus) Foto: PHILIPPE ROCHER



Editoriale

#FOIFamiglia di ANTONIO S POSITO #FOIFamiglia È l’hashtag da me coniato per dare ad intendere il senso del mio essere nella FOI, del faro che illumina il mio percorso di Presidente. D’altronde sin dal primo giorno della mia presidenza (ma già da prima, nel corso della presidenza Cirmi) ho sempre affermato e sostenuto con forza che l’amore per la natura, la passione per l’allevamento, il rendere possibile la creazione della vita, fossero tutti elementi che avrebbero concorso per innalzare la qualità delle relazioni umane. L’aggregatore tematico che mi ha legato alla FOI da ragazzo, che ha sviluppato la mia passione per la riproduzione degli uccelli in allevamento amatoriale e per il confronto sportivo, che mi ha condotto a divenirne il primo dirigente, è quello di sentirla, di avvertirla, di sperimentarla quotidianamente come una Famiglia. Ma proprio come una Famiglia fatta di carne ed ossa, come la mia famiglia naturale, nella quale cerco sostegno e rifugio dalle fatiche della quotidianità, alla quale penso sempre nel corso di ogni mia giornata, per la quale mi impegno al massimo, per la quale mi sacrifico, per la quale gioisco e soffro, della quale sono oggi il capofamiglia con tutte le responsabilità che da questo ruolo derivano e discendono.

Oggi la FOI soffre, la mia Famiglia soffre, soffre a causa di una Natura talvolta non Madre, a causa delle mani di un uomo non Uomo, a causa di motivi lontani mille miglia dalla semplicità dei nostri rapporti e dalle concezioni di noi allevatori, soffre perché la sua casa è chiusa. L’insorgenza e la propagazione di un virus ci ha segregati, ha quasi totalmente annullato la nostra libertà di movimento, ci ha sottratto le certezze, poche che fossero, del presente e del futuro, Molti di noi sono a contatto con il dramma della morte, in territori del nostro Paese falcidiati dal contagio, con la paura che condiziona ogni azione. Ma allora la Famiglia? La Famiglia c’è! Ci sono i nostri allevamenti che, tra tante difficoltà logistiche e divieti di spostamenti, vanno curati, accuditi e, in piena fase di riproduzione, addirittura coccolati. In essi può essere dedicato più tempo e da essi ottenere una maggiore qualità nei soggetti riprodotti e, conseguentemente, più successi sportivi per se stessi e per la propria Federazione. La FOI è lì, è sempre lì! E se è momentaneamente chiusa la sua sede fisica, le porte della sua anima rimangono spalancate ed il suo cuore sempre pulsante.

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Editoriale

I suoi dipendenti lavorano senza sosta dalle loro rispettive abitazioni per far proseguire tutte le attività istituzionali. Con loro condividiamo un gruppo whatsapp che abbiamo denominato “FOI Anema e Core”, per darci reciproca e costante sensazione di ciò a cui dobbiamo fare riferimento, nel quale ci scambiamo quotidianamente tutte le informazioni e dal quale io possa rilevare il resoconto dei progressi lavorativi. Gli ordini degli anelli vengono smistati, gli anelli prodotti e spediti in tempi ancora più brevi. Il numero della rivista di febbraio è stato regolarmente spedito, il numero di marzo – da tempo completo – ha purtroppo subito qualche ritardo nella spedizione per la provvisoria sospensione del servizio postale, abbiamo ultimato il numero di aprile. Vi è timore per la regolare tenuta delle mostre. Secondo me le faremo tutte, compreso il Campionato Italiano; se quest’anno non sarà possibile organizzarlo a Montichiari, lo faremo certamente in Lombardia nel 2021. Sono caratterialmente proteso a guardare verso il bene, verso la luce, verso la ricchezza dell’umanità, verso tutto ciò che ci consentirà di riprendere presto il nostro cammino. Già la Lombardia, la nostra ferita più grande, insieme all’Emilia Romagna (la nostra regione di residenza) ed il Veneto, territori provati, proni, piegati ma tutt’altro che spezzati e sconfitti. Mi aspetto che tra poco si riaccenda il loro motore, propulsore primario della nostra economia, anche ornitologica. La fraterna vicinanza di tutto il Paese ed in particolare del nostro Movimento alle Regioni del nord è palpabile, come pure verso tutti gli altri territori colpiti dall’epidemia.

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L’unico modo per ricominciare e per drenare la tristezza di questo momento storico è saper versare lacrime silenti, discrete. Penso quindi che la Famiglia FOI debba sapersi ritrovare nel prossimo mese di dicembre, auspicando che gli Allevatori FOI possano darsi convegno per confrontarsi in un grande Campionato Italiano, dovunque sarà possibile organizzarlo, per dare segno tangibile del significato di essere FOI Famiglia. Nel prossimo triennio la FOI sarà chiamata ad organizzare ancora una volta il Campionato Mondiale di Ornitologia. Saremo chiamati nuovamente a dimostrare le nostre capacità organizzative, le nostre qualità istituzionali, le nostre eccellenze nell’ospitalità e nell’accoglienza. Sapremo essere, come sempre, all’altezza del compito, se possibile migliorandoci ancora di più e rimanendo il primo punto di riferimento dell’ornitologia mondiale. Abbiamo da mettere in campo le nostre bellissime strutture, la collegialità e la compartecipazione nell’assumere le decisioni importanti, la collaborazione nelle fasi operative, la competenza dei nostri Giudici, la qualità dei migliori Allevatori al mondo. Il nostro Paese ha una grande storia, è la culla della civiltà, è Patria sociale, culturale, artistica, letteraria, medico-sanitaria, giuridica, ingegneristica ed infine anche ornitologica. Noi siamo nati dal gene della civiltà e nel nostro DNA vi è che siamo chiamati ad essere sempre i primi, sia nel pensare, sia nel fare, sia nel dare. Ed è per questo che noi ce la dobbiamo fare per forza perché noi siamo la FOI, rappresentiamo l’Italia, siamo Italiani! Un abbraccio a tutti voi.


CANARINI DI COLORE

Affermazioni, dubbi, domande

L’azzurro è la caratteristica fondamentale dell’opale! E dove può esserci deve esserci!

di GIOVANNI CANALI, FOTO AUTORI VARI

Sull’opale e dintorni Già da tempo sento da più parti fare affermazioni, avanzare dubbi e fare domande su temi in parte pregnanti, ma anche francamente superati. Si continua ad affermare che mogano e opale siano solo generati da selezioni opposte, quando è stato spiegato con argomenti più che sufficienti ed inconfutabili essere mutazioni diverse ancorché alleliche. Vero è che gli intermedi e le diverse condizioni di tipicità possono essere ingannevoli e fuorvianti, ma aspetti sufficientemente chiari ci sono. L’opale abbassa l’eumelanina nella pagina inferiore della penna, fenomeno per ora unico, mentre il mogano la lascia nella posizione naturale e cioè nella pagina superiore. Inoltre, il mogano inibisce la feomelanina, mentre l’opale la riduce soltanto. Quanto all’eumelanina, l’opale la riduce maggiormente, ingenerando effetti azzurrini nelle condizioni idonee, cosa che non accade mai con il mogano. In aggiunta, il bruno mogano è palesemente diverso dal bruno opale, oltre che per la feomelanina inibita anche per il disegno molto diverso, più evidente e bruno, non azzurrino. Semmai, non dimentichiamo che l’azzurro è la caratteristica fondamentale dell’opale! E dove può esserci deve esserci! Non pretendiamolo quindi nei fondi bianchi, nei neri brinati ecc. dove non può esserci, ma dove può esserci ci sia, pena l’atipicità più grave per un opale. Si badi che non siamo nel campo delle opinioni, poiché argomenti certi con-

sentono di avere certezze e preferire opale fasulli senza azzurro non è un’opinione, ma un grave errore certo, e non mi turbo minimamente se all’estero sbagliano così. C’è anche chi ritiene che l’opale non abbia alleli; ebbene, ciò è palesemente errato, i risultati degli accoppiamenti non ammettono dubbi. In par-

ticolare, l’onice ha caratteristiche sue particolari con l’effetto di diffusione ed accoppiato con l’opale dà degli intermedi (così graziosi che non mi sarebbe dispiaciuto riconoscerli); ebbene, questi intermedi accoppiati fra di loro danno percentuali precise: 50% di intermedi, 25% di opale e 25% di onice.

Nero opale intenso giallo

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Ovviamente, neppure l’onice abbassa la melanina. Non bisogna poi dimenticare la mutazione da me chiamata “ossidiana”, pure allelica all’opale, che riduce sia eumelanina che feomelanina in modo minore dell’opale e senza effetti azzurrini e pure senza abbassamento della melanina. Solo una mutazione può abbassare la melanina ed una selezione non la risolleva di certo. Per dare una spiegazione a queste diverse forme si è pensato anche ad un fattore di melanizzazione che indurrebbe un inscurimento. Ebbene, questa tesi è meno palesemente errata di quella della selezione; tuttavia, ad un attento esame non regge: infatti, se ci fosse questo fattore di metanizzazione dovrebbe agire anche sui classici. In altri termini, i portatori di onice e di mogano dovrebbero essere più scuri dei classici non imparentati, se non tutti (indipendenza dei caratteri) certo in numero elevato e, direi,

Nero mogano mosaico rosso maschio, foto Antonio Javier Sanz

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Se ci fosse un fattore di melanizzazione, i portatori di onice e di mogano dovrebbero essere più scuri dei classici non imparentati

tutti in ceppi consolidati. Vero che si potrebbe ipotizzare un linkage con il gene dell’opale, allora l’ipotesi ci potrebbe stare ad una valutazione superficiale, se il fattore di melanizzazione fosse un carattere recessivo, ma visti i risultati degli accoppiamenti no; sarebbe necessariamente a dominanza intermedia e quindi non ci sta. Inoltre, melanizzazione ed inscurimento non sarebbe comunque ipotizzabile, poiché non potrebbe rialzare la melanina dalla pagina inferiore

della penna, aspetto basilare dell’opale che viene sottovalutato. Il fatto, poi, che la mutazione opale, nei galli, non abbia alleli, come si è sostenuto, non significa nulla. Intanto bisogna vedere se la mutazione è proprio la stessa, somigliare non basta, e poi vi sono altri aspetti da considerare. Non si vede perché una certa mutazione non possa avere alleli. Inoltre, non è affatto detto che mutazioni alleliche non siano avvenute. Potrebbero semplicemente non essere state rilevate. Una massaia che avesse avuto un pollastro onice o mogano avrebbe potuto benissimo destinarlo alla pentola, poiché casualmente meno grosso di un altro diverso come colore, da tenere da razza. Anche nel nostro ambiente, diverse mutazioni antiche non sono state valorizzate e perdute, poi quando ricomparse in tempi recenti, invece, sono state tenute in gran conto, a volte anche troppo. Sul perla La situazione è davvero difficile e a differenza dei casi precedenti non ho molte certezze, ma molti dubbi. Quello che ritengo certo è che sia una mutazione e molto probabilmente ad espressività variabile. Si è ipotizzato esserci di mezzo il gene, normalmente indicato con la lettera C se normale, che mutando dà anche il carattere Himalaya, vale a dire che sarebbe avvenuta la stessa mutazione che comporta un carattere sensibilissimo alla temperatura, noto in diversi mammiferi. È lo stesso gene che, con diversa mutazione, produce albinismo. Sono ben noti e segnalati in letteratura scientifica i casi del coniglio così mutato, cioè Himalaya, e del gatto siamese. Nei punti del corpo più esposti, e cioè orecchie, muso segnatamente naso, coda, gamba e soprattutto piedi, il colore è scuro, mentre nel resto del corpo è più chiaro. Nelle diverse stagioni l’evidenza può cambiare. L’importanza della temperatura è stata dimostrata anche sperimentalmente rasando il pelo; infatti, il pelo rasato in estate nelle parti scure cresce più chiaro, mente rasato nelle parti chiare d’inverno cresce più scuro.


Ora, che nel canarino perla sia coinvolta la stessa mutazione o magari simile non lo posso escludere, ma lo ritengo ben poco probabile. Sull’aspetto fronte ci potremmo stare, ma mica poi tanto, visto che nel canarino normale la fronte non evidenzia melanine di quel genere, essendo prevalentemente lipocromica. E la mutazione suddetta non aumenta le melanine, ma non le inibisce o riduce in zone fredde. La storia diventa assai dubbia su ali e coda. La coda del gatto (e dei mammiferi in genere) e quella di un canarino (e degli uccelli in genere) sono parti ben diverse. La coda del gatto ha le ossa, la carne, le vene le arterie ecc..; la coda del canarino è costituita da penne che sono produzioni cutanee di cheratina e che sono paragonabili ai nostri capelli. Inoltre, la penna in crescita è alimentata dal follicolo, mentre quella già cresciuta è praticamente un organo morto. Tagliare la coda ad un gatto e tagliarla ad un canarino sarebbe cosa ben diversa: fiumi di sangue da una parte e nulla dall’altra. La parte del corpo del canarino ove è situato lo pterilio che genera le timoniere è indubbiamente periferica; forse, si potrebbe ipotizzare, più fredda. Si badi che ho detto “forse”, ma allora tutta la penna dovrebbe essere più scura, mentre spesso invece è solo la punta e non si vede perché solo la punta, o comunque la parte finale. Lo stesso discorso si può fare con le penne remiganti e copritrici che crescono sull’ala, perché spesso solo le punte? Sembrerebbero in linea con l’ipotesi Himalaya l’alula e le grandi copritrici delle primarie, tutte scure, ma ci possono essere altre spiegazioni, come l’elevata quantità di eumelanina specialmente sull’alula. Un altro aspetto è dato dal fatto che le punte di remiganti e timoniere sono in alcune specie colorate diversamente e più scure; nel canarino in livrea selvatica non si nota, ma alcuni fenomeni genetici mettono in luce qualcosa di particolare in quei punti. Nel satiné senza disegno (nero o agata a seconda delle opinioni) la punta delle remiganti presenta qualcosa di particolare, cioè una sfumatura brunella simile a quella del disegno

La penna in crescita è alimentata dal follicolo, mentre quella già cresciuta è praticamente un organo morto

del satiné con disegno. Questa caratteristica consentiva di distinguere i

rubini diluiti dai satiné senza disegno. Un altro caso è dato dall’ali grigie; si consideri che il pastello è una mutazione, ma l’effetto ali grigie è dato da geni modificatori. Ebbene, quando l’effetto è massimo tutto il piumaggio diventa grigio alluminio come eumelanina, ma quando l’effetto non è massimo rimangono orli antracite a livelli estremamente diversificati; la punta delle timoniere e soprattutto quella delle remiganti sono le ultime a cedere all’effetto additivo dei geni modificatori.

Nero onice mosaico rosso maschio, foto: E. del Pozzo

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Tanto che le punte antracite delle remiganti primarie, se ridotte, sono tollerate (ma non costituiscono pregio come taluno vorrebbe) e si può avere l’ottimo anche con questo difetto. Nulla di strano, quindi, che anche nel perla si possano avere parti scure sulle punte di remiganti copritrici e timoniere. Inoltre, si consideri che le melanine del perla appaiono diverse da quelle del classico, mentre per quello che ne so io la mutazione Himalaya non dovrebbe modificare significativamente ma ridurre le melanine; potremmo ipotizzare una mutazione simile, ma le osservazioni precedenti non la rendono probabile. Un vero rebus che mi mette in serissima difficoltà è la comparsa del cosiddetto tipo 2 che presenta mag-

Un vero rebus che mi mette in serissima difficoltà è la comparsa del cosiddetto tipo 2

giore espressione melanica ed appare, almeno a mio gusto, molto meno bello, però è sempre la tipicità da ricercare. Non ho trovato spiegazioni logiche convincenti, quindi non credo di poter essere molto di aiuto su questo punto, almeno per ora. Da considerare anche altre mutazioni interagenti (in particolare l’all black)

Ibrido di Carpodaco messicano Grigio x Canarino Perla, foto e all. B. Zamagni

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come ha fatto G. Zambetta con la CTN su I. O. n°3 / 2020, un intervento che ho apprezzato. Mi è anche passato per la testa un pensiero, e immagino anche ad altri, ma lo ritengo errato; lo esprimo solo per suggerire qualcosa, magari di ulteriore. Ho pensato che il tipo “diciamo 1” potesse essere un’interazione magari onice - perla anche se gli allevatori lo avevano escluso, ma poi ho pensato che il grigio scurissimo, che appare in parte di ali e coda, è più scuro di quello dell’onice, le cui marcature sono in effetti un po’ più chiare; una situazione che escluderebbe l’interazione, a meno che non si volesse pensare ad un antagonismo. Di norma le interazioni costituiscono la somma delle azioni dei due caratteri che interagiscono, ma esistono eccezioni. In alcuni casi abbiamo un effetto maggiore per sinergismo, come per bianco dominante ed avorio, in altri un effetto minore per un antagonismo, come in pastello e satiné o in jaspe ed agata. Sono casi che ho già trattato in altre sedi. Trattasi, comunque, di fenomeni rari e ritengo infondata la cosa, anche per descrizioni che mi sono state date, però non ho mai visto un sicuro onice perla dal vero. La foto del citato articolo sembra eloquente per escludere la suddetta ipotesi. Non ho citato nomi, in certi passaggi, perché mi sono espresso su voci, magari tratte da interventi in social che non frequento; non ho o non ricordo pubblicazioni ufficiali su certi aspetti, quindi non ho fatto citazioni, soprattutto per non travisare il pensiero di qualcuno. Spero che vi siano interventi qualificati ulteriori per rispondere alle domande che ci si devono porre sulla migliore tipicità del perla. Seguo con attenzione la cosa; del resto, sono stato uno dei primi ad intervenire sul perla, prima di tutto per affermare essere una mutazione, circostanza all’inizio messa in dubbio, poi per valutare l’espressione del carattere perla. Operazione non facile, anche perché ritengo che si tratti di una mutazione ad espressività variabile e, come tale, difficile da inquadrare.


ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

Il Beccofrusone di PIERCARLO ROSSI, foto MARCO RIVA

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l Beccofrusone con il suo piumaggio serico ed attillato risulta essere, a mio modesto avviso, uno degli uccelli più belli dell’avifauna europea. La famiglia dei Bombicillidi è composta da tre Specie molto simili tra loro, con caratteristiche comuni, quali zampe corte ed una presa ferrea, un becco relativamente largo, piumaggio setoso e soffice ed un ciuffo erettile che li rendono inconfondibili.

Le specie e la loro distribuzione Analizziamo ora nel dettaglio i tre rappresentanti di questo Genere: Il Beccofrusone dei cedri (Bombycilla cedrorum) più piccolo della Specie europea, circa 17 cm, dalla quale si differenzia per la mancanza delle macchie bianche sulle ali. Questa Specie occupa per la nidificazione un ampio areale che va dall’estremo sud-est dell’Alaska al nord della California, mentre ad est del continente americano si estende fino al sud della peni-

Nido e uova di Beccofrusone

Questi uccelli sono dei migratori instancabili che, con l’approssimarsi della stagione fredda, si spostano verso sud

sola del Labrador, a Terranova ed al New England. Questi uccelli sono dei migratori instancabili che, con l’approssimarsi della stagione fredda, si spostano verso sud raggiungendo gli Stati Uniti meridionali, le Grandi Antille ed il Messico, spingendosi in America centrale dove, pur fermandosi generalmente al Costa Rica, possono talvolta arrivare a sud, fino al nord della Colombia ed al Venezuela nord-occidentale. Le popolazioni della zona di confine tra il Canada e gli Stati Uniti tendono invece ad essere stanziali.

Il Beccofrusone giapponese (Bombycilla japonica) è diffuso in Estremo Oriente. Questi uccelli si riproducono nel nord della Manciuria durante l’estate, mentre d’inverno migrano a sud, in Giappone, lungo la costa della Cina centrale e nella penisola di Corea, con esemplari isolati che si spingono a Taiwan e nel centro e sud della Cina. Ha ali prive delle piastrine cornee rosse ed una fascia rossa è presente sulla punta della coda. Infine, il Beccofrusone europeo (Bombycilla garrulus), il cui maschio adulto raggiunge una lunghezza che può variare dai 18 ai 21 cm ed è di un bel colore camoscio rossastro. La nuca il dorso e le copritrici sono di colore bruno scuro, con groppone e codione bruno grigiastri, le timoniere sono grigie alla base e nere verso gli apici che sono giallo brillante e spesso presentano piccoli apici delle rachidi rossi, le classiche ceralacche. Fronte, redini, stria sopra e dietro gli occhi, mento e centro della gola sono neri.

Pulli di pochi giorni

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Alla base della mandibola inferiore si nota una piccola stria bianca. Le remiganti sono nerastre con vessilli interni tendenti al grigio, seconda, terza, e quarta remigante con macchie bianche all’apice, le rimanenti con macchie il cui vessillo esterno è giallo vivo, secondarie nero grigiastre con apici dei vessilli esterni bianchi ed apici delle rachidi appiattiti ed allungati di colore rosso brillante (ceralacche). Copritrici primarie nerastre con apici bianchi, restanti copritrici brune. Petto e lati del ventre bruno grigiastri, sottocoda castano scuro, ascellari e sotto alari bianco grigiastre. La femmina risulta comunque essere molto simile al maschio, anche se pre-

senta colori più spenti, in particolare il giallo agli apici delle timoniere è meno esteso e si presentano senza ceralacche, così come il bianco e il giallo delle remiganti primarie; inoltre, le ceralacche delle remiganti secondarie sono notevolmente ridotte. I giovani assomigliano molto alla femmina, dalla quale si differenziano per il ciuffo più corto, per la mancanza del colore nero sulla gola, per alcune strie presenti nel basso ventre, il colore giallo pallido sulla punta della coda e per l’assenza delle ceralacche rosse sulle ali. II pullus nel nido ha l’interno del becco di un bel color rosso ciliegia con macchie blu violaceo ai lati del palato e sulla mandibola inferiore, la lingua è di color rosso vinaceo.

Beccofrusoni a 13 giorni

L’habitat Il Beccofrusone europeo vive nell’emisfero boreale del nord Europa, occupando durante l’estate un’ampia area circumpolare (generalmente delimitata da fasce isotermiche che in luglio raggiungono i 10 °C) che comprende il nord della penisola scandinava e della Russia europea, la Siberia (a sud fino ai monti Altaje al lago Bajkal) e ad est fino al mare di Ochotske, alla penisola di Kamchatka, mentre in Nord America la Specie nidifica in Canada centrale e occidentale nella zona delle foreste boreali e della taiga, dove condivide,

Beccofrusoni appena involati

Nidiata di Beccofrusoni

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in parte, I’areale del Tetraone, sulle coste del Pacifico nord-orientale ed in Alaska. Sempre in Canada è presente anche il Beccofrusone dei cedri, ed in questa zona di confine l’areale delle due Specie si sovrappone, pertanto mi chiedevo se in tale area possano avvenire meticciamenti che darebbero origine ad ibridi naturali fertili (come è stato documentato fra lo Zigolo giallo e lo Zigolo gola rossa). Tenendo presente che le differenze tra le due Specie sono veramente minime, l’unica certa è la presenza o meno del bianco sulle remiganti, l’identificazione degli ibridi risulterebbe essere assai difficoltosa. Nido, uova e nidiacei Il periodo riproduttivo, visto l’areale di nidificazione, risulta essere molto limitato, e va dalla metà di maggio agli inizi di luglio, solitamente in boschi di conifere con sottobosco cespuglioso ricco di numerose bacche, alla base della sua alimentazione primaria, o ai confini di torbiere o sponde dei fiumi; in questi territori sono presenti pochi alberi, per lo più betulle e pioppi. Su questi ultimi viene costruito il nido a forma di coppa a poca distanza dal tronco, ad un’altezza che può variare fra i 2 ed i 9 metri dal suolo; per la costruzione vengono utilizzati piccoli ramoscelli oltre al muschio e licheni,


abbondanti in questo periodo dell’anno, e all’interno viene imbottito con erbe, peli, piumino e penne. Solitamente viene effettuata un’unica covata annua con un numero di uova che possono variare da 4 a 7, solitamente 5, di un colore grigiastro con piccole macchie brunastre, più abbondanti sul polo ottuso. Durante il periodo dell’incubazione, che dura circa quattordici giorni, è compito del maschio nutrire la femmina; alla nascita dei piccoli ambedue i genitori si alternano sul bordo del nido per nutrire i nascituri, che abbandoneranno il nido dopo tre settimane circa. Come spesso accade, la natura ci stupisce e ci fa capire quanto possa essere perfetta ed affascinante; questo accade anche nella parata di corteggiamento del Beccofrusone. In questo originale “balletto”, iI maschio arruffa le penne della parte inferiore del dorso, quasi a formare una specie di gobba, e contemporaneamente quelle dell’addome, sembra avere un gonnellino, solleva le penne del ciuffo e tiene la coda in posizione verticale, volge quindi il capo in direzione opposta a quella della femmina. A questo punto spetta al gentil sesso accettare il corteggiamento, assumendo un atteggiamento molto simile. L’intesa è pressoché stabilita ed il maschio porge un dono simbolico, piuttosto piccolo, quasi sempre una

Nidiacei pronti per l'imbeccata

bacca. Viene offerto alla femmina tenendolo con la punta del becco e questa lo preleva; questo piccolo dono viene passato più volte dall’uno all’altro, senza mai essere inghiottito, cosa che avviene soltanto alla fine della parata amorosa. Le migrazioni di massa Nell’arco della sua vita iI Beccofrusone compie spostamenti irregolari, infatti a volte è possibile osservarlo, in numero copioso, in zone dove per anni non era mai stato notato. Nell’interessante articolo di Giorgio Truffi su questa Specie, viene riportato quanto segue: «Nel 1941 lo zoologo finlandese Siivonen descrisse tre principali spostamenti del Beccofrusone: una migrazione invernale annuale, alla quale non partecipano molti individui e che quindi non colpisce particolarmente l’attenzione, durante la quale raggiunge l’Ungheria e le zone balcaniche, spostamenti intermedi a distanza di alcuni anni, determinati da penuria di cibo e le grandi invasioni che si verificano ad intervalli irregolari. In questi casi gli uccelli partono in massa verso sud e raggiungono anche l’Algeria. È interessante osservare che anche il Beccofrusone giapponese e quello dei cedri compiono occasionalmente analoghi macroscopici spostamenti, durante i quali il primo raggiunge Cina cen-

trale e Giappone, ed il secondo effettua invasioni sino all’America centrale. La spiegazione certa delle invasioni non è ancora stata data, parrebbe siano da attribuirsi ad una serie di concause fra loro interdipendenti quali eccesso di riproduzione della Specie che raggiunge il massimo dopo un certo numero di anni e contemporanea accidentale carenza di nutrimento, sia per l’accresciuto numero, sia per una insufficiente fruttificazione nell’habitat naturale. Di solito, le invasioni, e non solo quelle dei Beccofrusoni, terminano con la sparizione degli individui che vi hanno partecipato e che non si stabiliscono nel paese raggiunto».

Femmina al nido

La coppia nel momento dell'imbeccata

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Quattro splendidi novelli

L’alimentazione in natura Frutta ben matura e bacche di ogni tipo costituiscono l’alimentazione di base dei Beccofrusoni, tutto questo viene integrato da insetti, soprattutto durante il periodo estivo che coincide poi con quello riproduttivo. Analizzando le tre Specie potremmo così suddividerle: La dieta del Beccofrusone dei cedri presenta una componente frugivora ed una insettivora, le proporzioni delle quali variano durante l’anno, sebbene quella frugivora resti preponderante (84% della dieta annuale). Se infatti durante l’autunno e l’inverno questi uccelli si nutrono soprattutto di frutta e bacche mature (in particolare le bacche di agrifoglio e di cedro costituiscono la quasi totalità della loro dieta invernale nella porzione più settentrionale dell’areale di svernamento), in estate e soprattutto durante la primavera essi ripiegano invece sugli insetti, privilegiando le specie alate (zanzare) che vengono catturate in volo o sul pelo dell’acqua non appena completano la fase larvale acquatica ed emergono in superficie. Il Bombycilla japonica ha una dieta essenzialmente frugivora, comprendente, in massima parte, frutti e bacche zuccherine e ben mature, con una certa predilezione per i mirtilli. Il Beccofrusone giapponese si nutre inoltre di insetti alati, catturati in volo soprattutto durante il periodo ripro-

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Nidiacei

duttivo, quando il fabbisogno energetico di questi uccelli aumenta. Per quanto riguarda il Bombycilla garrulus, in base alle diverse stagioni le bacche possono variare passando dal ginepro, al biancospino, dal sorbo degli uccellatori ai mirtilli, al sambuco, ai frutti della rosa canina. Bisogna al riguardo tenere presente che digerisce molto rapidamente (un frutto di rosa attraversa tutto il suo sistema digerente in 25-40 minuti) e di conseguenza le deiezioni sono abbondanti e semiliquide, approssimativamente del tipo di quelle degli insettivori. In inverno può mangiare bacche congelate o semi-fermentate che possono intossicarlo e renderlo temporaneamente incapace di volare. Sembra abbia sviluppato un fegato molto efficiente (meglio di quello umano) per affrontare queste situazioni, infatti si riprende velocemente. L’allevamento in ambiente controllato Tenendo conto di quanto sopra descritto, in allevamento, il fondo delle spaziose gabbie o ancor meglio voliere deve essere pulito spesso. Necessitano inoltre di molta acqua da bere ed hanno una vera e propria passione per le abluzioni, quindi il bagno deve essere fornito loro quotidianamente anche nella stagione fredda.

Risultano essere ottimi ospiti della voliera, infatti convivono pacificamente con altri uccelli, dei quali però non gradiscono l’eccessiva vivacità, senza però mai molestarli. Sono animali di indole confidente e socievole e per nulla sospettosi, imparano in brevissimo tempo a riconoscere chi si prende cura di loro. In base a quanto appena descritto, si capisce che è un animale facile da mantenere in buone condizioni di salute e di piumaggio; il discorso non è altrettanto semplice se si deve parlare di allevamento e quindi di riproduzione. Io penso che in Italia gli audaci e bravi allevatori che sono riusciti a riprodurre questo splendido animale siano veramente pochi, così pochi da contarli sulle dita di una sola mano. Tra questi vi è Marco Riva, brianzolo DOC che ha deciso di aprirci le porte del suo allevamento e di svelarci alcuni dei suoi segreti che gli hanno permesso di conseguire questo splendido risultato. Quali uccelli allevi? Attualmente il mio allevamento è composto da due Specie, il Cardellino Major ed i Beccofrusoni. Ho 12 coppie di Cardellino, in varie mutazioni e 9 coppie di Beccofrusone. Quali hai allevato in passato? Diciamo che la Specie che mi affascina da sempre è il Cardellino, pertanto è sempre stato al centro del mio allevamento, inoltre ho sempre cercato di allevare quelle Specie di cui mi inte-


ressava il comportamento riproduttivo e le loro abitudini; infatti in passato sono riuscito a riprodurre il Ciuffolotto, il Ciuffolotto delle Pinete, il Frosone, il Crociere ed il Crociere delle Pinete ed ora il Beccofrusone. Come ti sei avvicinato a questa Specie? Ho ammirato il Beccofrusone sui libri, o dal vivo nelle fiere ornitologiche, ma, non avendo la certezza che i soggetti fossero nati in allevamento, ho sempre evitato di acquistarli. Negli ultimi anni ho effettuato un “viaggio ornitologico” in Olanda ed ho trovato due coppie in vendita. Dopo aver parlato con il proprietario delle loro abitudini alimentari e di come poterli allevare, li acquistai, e da lì ha avuto inizio questa nuova avventura. Dove li alloggi? Le prime due coppie sono state alloggiate in due voliere distinte, una all’esterno, di 2 metri d’altezza 1,5 di profondità ed 1 mt di larghezza, mentre la coppia che mi sembrava più affiatata la misi all’interno in una porzione abitativa in disuso di ampia metratura. Sul fondo della voliera metto degli aghi di abete di grosse dimensioni (pino strombo), in abbondanza, con uno spessore anche di 10/15 cm. Nel mezzo pongo un sottovaso, con diametro di 20 cm per le abluzioni, molto gradite da questa Specie. Come li alimenti? L’alimentazione è un argomento abbastanza complesso per l’allevamento di questa Specie. Calcolando che il Beccofrusone è un uccello frugivoro, la base è costituita da un buon pastoncino per uccelli insettivori alla frutta, integrato con molta frutta fresca. Io lascio sempre a disposizione la mela, a cui aggiungo bacche di ogni genere, tutto l’anno, fondamentali per l’ottimo stato di salute dei soggetti. Le bacche inoltre risultano indispensabili durante la crescita dei piccoli, in modo particolare durante lo svezzamento. Risultano essere molto appetite quelle di ribes, mirtillo, sorbo degli uccellatori e sambuco. Inoltre non devono mancare le proteine animali sotto forma di tarme della farina, pinkies, buffalo e camole del miele.

La femmina ed i piccoli

Per la riproduzione, come ti organizzi? Nelle voliere metto a loro disposizione due porta nido a casetta, così da permettere alla femmina una seconda deposizione, mentre il maschio continua ad allevare i piccoli della prima covata. Faccio tutto ciò perché in passato mi è capitato che il maschio, eccessivamente in estro, effettuava

Novello molto confidente

una nuova costruzione sul nido ancora occupato dai piccoli, con risultati poco confortanti. Per la costruzione del nido fornisco steli d’erba sottile, tuia e sfilacci di cocco; questo compito è prettamente femminile ed il maschio collabora passivamente, anche se questo può variare da coppia a coppia. Di quante ore di luce hanno bisogno? La base della riproduzione di questa affascinate Specie sono le ore di luce che devono essere almeno 17/18. Io inizio ad allungarle a dicembre, fino ad arrivare a marzo con 17 ore di luce. Tutto questo mi permette di poter effettuare due covate, prima del caldo di giugno, pericoloso per gli adulti e per i novelli. Quando arrivo a 15 ore di luce giornaliera, incomincio la somministrazione di camole del miele, che ho notato usano anche per la parata di corteggiamento; infatti, il maschio le dona alla femmina ed il tutto si conclude con la copula. Dimmi qualcosa sull’allevamento dei piccoli La schiusa delle uova avviene dopo 13/14 giorni, la femmina può deporre da 5 a 7 uova di colore grigio puntinate di nero ed i piccoli vengono anellati (tipo R) al quarto giorno, se ben alimentati. Fondamentale l’apporto del maschio nella fase dello svezzamento, mentre la femmina è impegnata in una nuova deposizione. La crescita è rapida e se ben alimentati, i piccoli abbandonano il nido dopo tre settimane di vita. Una curiosità che ho riscontrato nell’allevamento di questa bellissima Specie è stata quella che, durante lo svezzamento, i novelli più grossi a volte imbeccano i più piccoli, dopo aver ricevuto a loro volta l’imbeccata. Quanto appena descritto ho potuto constatarlo anche con i soggetti allevati allo stecco, quindi certamente non una casualità, bensì un’abitudine innata di questi bellissimi uccelli gregari. BIBLIOGRAFIA Guida degli Uccelli d’Europa nord Africa e vicino Oriente - Lars Svensson Handbook Birds of the World Vol.10 Gli uccelli nostrani granivori - Mario Rota Il Beccofrusone - G. Truffi Allevare, alimentare, addestrare gli uccelli nostrani, Udine 1972

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CANARINI DI FORMA E POSIZIONE ARRICCIATI

Parigino e AGI a confronto: il tronco Seconda parte di GIUSEPPE CORSA E LUIGI MOLLO

I

n questa seconda parte (prima parte pubblicata su I.O. n° 3 - Marzo/2019, ndr) esporremo – sempre sulla base dei Criteri di Giudizio di Forma e Posizione, Canarini Arricciati (ed. 2006) - le differenze che esistono fra il tronco o corpo di un canarino Arricciato di Parigi e quello di un Arricciato Gigante Italiano (AGI). Nel Parigino il corpo dovrebbe formare una sorta di fuso con gli estremi tronchi che, partendo dal collo, si allarga fino a raggiungere il massimo diametro in corrispondenza del petto per poi restringersi armoniosamente fino all’attacco della coda. Nell’AGI invece “il corpo deve avere la forma di un tronco di cono con la base più ampia verso la parte anteriore, e deve essere il più possibile compatto, molto ampio e profondo sia sul dorso sia sul petto. Il dorso ampio e ben pieno. Il petto sia largo e profondo conferente, un’ampia rotondità costituita dalla pettorina” (1). Il primo connotato da valutare è quindi la voluminosità del corpo. Senza modificare l’armonico rapporto fra le tre parti (testa, tronco e coda), il parigino deve mostrarsi elegante e slanciato ma non “lungo”, mentre l’AGI deve esibire una forma massiccia e maestosa. I vecchi allevatori sostenevano che l’AGI dovesse avere la forma dell’iconica bottiglia della Coca Cola capovolta (forma ampia e rotonda) e quindi profondamente diversa da quella di un Parigino, che deve essere affusolata. Come vedremo nella terza parte, sulla valutazione della forma del canarino gioca un ruolo importante la taglia e la qualità del piumaggio.

I vecchi allevatori sostenevano che l’AGI dovesse avere la forma dell’iconica bottiglia della Coca Cola capovolta (forma ampia e rotonda)

Il secondo connotato caratterizzante il corpo sono le arricciature. Le arricciature del tronco sono il mantello, i fianchi e lo jabot. Mantello e spalline. Per l’Arricciato di Parigi i criteri di giudizio, a pag. 53, recitano: “spalline ben spartite, simmetriche, voluminose ed estese a tutto il dorso, bouquet vaporoso e paracerco abbondante”. Il mantello che nasce dallo pterilio (2) dorsale è suddivi-

Fig. 1 - A destra il parigino con la sua forma affusolata, a sinistra l’AGI “in bottiglia”. La differenza di volume e di forma è evidente (disegni degli autori)

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Fig. 2 – Pterilii del canarino (Criteri di Giudizio di Forma e Posizione, Canarini Arricciati, ed. 2006)

sibile in tre parti: le spalline, che originano dal primo tratto lineare dello pterilio dorsale; il bouquet e il paracerco, che nascono entrambi dal secondo tratto dello pterilio dorsale detto anche mandorla per la sua forma slargata. Le spalline devono essere estese e simmetriche per quanto è possibile. Viste da sopra la loro forma deve ricordare quella di un libro aperto (spalline a “libro”) con una netta scriminatura centrale. Non sono ammesse altre forme di spalline. C’è da dire che, come osservava giustamente il compianto prof. Zingoni, “la perfetta simmetria delle spalline è molto difficile da raggiungere dato che le penne nascono dallo stesso punto e poi «decidono» da quale lato piegarsi. Solo in un ceppo lungamente ed attentamente selezionato nascono fioroni con spalline perfettamente simmetriche”. Il giudice, quando le incontra deve considerarle eccellenti; nel contempo, però, non deve penalizzare in modo eccessivo i soggetti nei quali si evidenzia una buona simmetria delle spalline (anche se una delle due fosse “leggermente” più piena dell’altra). Sono da penalizzare tutte quelle evidentemente asimmetriche fino a giungere, nel caso di mancanza totale di una delle spalline (asimmetria perfetta), all’astensione dal giudizio (squalifica). Per i Parigini NON SONO AMMESSE le spalline a rosa. Il soggetto che le presenta va

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squalificato perché esse sono segno evidente di meticciamento con l’AGI. Il bouquet o bouquet de plumes - in italiano detto mazzetto - è dato da un mazzolino di piume che si origina dalla “mandorla” subito dopo le spalline. Si tratta di piume molto lunghe e vaporose; come tali, una parte si solleva fra le ali formando il bouquet della groppa, mentre la restante parte viene schiacciata dalle ali stesse e, sbucando dal loro margine inferiore, dà origine al cosiddetto bouquet dei fianchi. Nella voce “mantello e spalline” va valutato solo il bouquet della groppa. Purtroppo, si tratta di un’arricciatura quasi sempre unilaterale; se è presente non dà penalizzazione (anche se asimmetrica), se è assente comporta la perdita di un punto. Nei rari casi in cui il bouquet si presenti simmetrico è da considerare come carattere di altissimo pregio. Il bouquet dei fianchi non va valutato anche quando interferisce con la coulotte; esso, comunque, è facilmente distinguibile da quest’ultima per l’orientamento delle piume. Dalla parte terminale della “mandorla” nasce un piccolo mazzetto di piume che forma il paracerco; posizionato fra la coulotte e le piume di gallo, il paracerco deve essere evidente ed abbondante e rappresenta l’ultimo connotato da valutare per il mantello. Per l’AGI i criteri di giudizio, a pag. 80, per il connotato mantello e spalline, recitano: “spalline con piume larghe, lunghe molto estese, conferenti una

arricciatura armonica e molto vaporosa; le spalline a ROSA formano una corolla con piume ricadenti in avanti e sui lati, dipartenti da una zona centrale del dorso. Il mazzetto della groppa e quello dei fianchi completano il mantello e debbono essere vaporosi”. Il mantello a “rosa” è dato da piume molto lunghe e larghe che, come i petali di una rosa, emanano a raggiera da un punto centrale posto poco più in basso dell’attaccatura delle ali. In realtà, non sarebbe corretto parlare di punto centrale ma bisognerebbe dire tratto o zona centrale; infatti, volendo essere pignoli, le piume nascono da un piccolo tratto dello pterilio dorsale, quindi il “centro” da cui si dipartono è un breve segmento e non un punto. Va da sé che, quanto più la “rosa” è grande e regolare tanto più il mantello è pregiato; il massimo pregio si ha quando essa copre circa i 3/4 dell’intero mantello e, nella parte bassa (verso la coda), è interrotta da un vuoto avente all’incirca la forma di “V” capovolta. Nella parte alta la “rosa” si raccorda armonicamente con il collare e quindi con il cappuccio senza soluzione di continuità. È chiaro che le spalline a “rosa” rappresentano un carattere di altissimo pregio per l’AGI ma questo non significa che non siano ammesse le spalline a “libro”. Quindi per gli AGI SONO AMMESSE le spalline a “libro”, ma il canarino riceverà, solo per questo fatto, una penalizzazione di due punti alla voce “mantello e mazzetto” (anche se avesse spalline “a libro” perfette). Chiaramente, per differenziare nettamente l’AGI dal Parigino, è auspicabile che, con il procedere della selezione, le spalline a “libro” nell’AGI scompaiano definitivamente, almeno in ambito espositivo. Il mazzetto è più vaporoso di quello del Parigino. Vale tutto quanto detto già scritto a proposito del bouquet del Parigino; l’unica differenza è data dal fatto che nell’AGI va valutato anche il mazzetto dei fianchi che, essendo molto vaporoso, si fonde con il paracerco, rendendo quest’ultimo un poco meno evidente che nel Parigino. La coulotte resta distinguibile per l’orientamento delle piume e per la sua posizione.


Fianchi. Nei Criteri di giudizio, per l’Arricciato di Parigi si legge che i fianchi devono essere “molto voluminosi, sostenuti e devono oltrepassare il margine inferiore delle spalline” e per l’AGI che devono apparire “ben sviluppati, ricurvi verso l’alto senza cedimenti, accostatisi vaporosamente alle ali e simmetrici”. È evidente che, salvo differenze lessicali, si tratta di un connotato che le due razze condividono totalmente. I fianchi, detti anche “pinne”, rappresentano l’arricciatura più vistosa e caratterizzante nei canarini di FPA e pertanto essi sono molto pregiati ed apprezzati. Si tratta però di un’arricciatura molto delicata che nasce dallo pterilio ventrale in prossimità dello sfiocco (fig. 2). Sia nel Parigino sia nell’AGI, i fianchi devono essere rivolti verso l’alto, superare il limite delle spalline e accostarsi in modo lieve alle ali, non devono mai essere aperti e rivolti in avanti o, peggio, verso il basso (fianchi più o meno cascanti). I fianchi cascanti denotano un piumaggio “andato”, ovvero di scadente qualità. Diverso è il caso di fianchi aperti ma rivolti verso l’alto. Quest’ultima tipologia è corretta e appartiene ai canarini di piumaggio molto brinato ma di ottima qualità. Utilizzando la tassonomia utilizzata dal club dell’AGI si possono distinguere i fianchi in due tipi: fianchi distali e fianchi mediali. I fianchi distali sono “molto laterali” (aperti e rivolti in alto) e sono posseduti prevalentemente dagli esemplari con piumaggio molto soffice e brinato. Tali fianchi sono distanti dal “piano mediano” ossia il piano che “taglia” in due parti simmetriche il corpo del canarino. I fianchi mediali sono fianchi la cui origine è tanto vicina al “piano mediano” che, in certi esemplari, sembra addirittura che lo tocchino. Probabilmente ciò dipende dal fatto che le due branche dello pterilio sono molto vicine alla

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linea mediana del corpo. Questa caratteristica, che è più frequente nei soggetti intensi o semintensi, comporta un certo “stacco” tra le piume della pettorina e quelle dell’addome. Essendo erroneamente i soggetti intensi e semintensi, meno allevati ed apprezzati, rende questa caratteristica meno frequente pur essendo esteticamente gradevole. L’ultimo connotato che caratterizza il corpo è quell’arricciatura del petto e dell’addome definita in Italia “pettorina” e oltralpe “jabot”. Per questo considerando, le differenze fra le due razze divengono importanti. Per il Parigino i criteri di giudizio dicono che lo jabot deve essere “pieno, simmetrico, massimamente sviluppato, esteso al petto e all’addome senza interruzione”. Si tratta, in buona sostanza, del classico jabot dell’Arricciato del Nord massimamente esteso a tutto l’addome; per questo motivo è anche detto jabot lungo. È molto semplice da valutare; poiché le piume provengono dai due lati dello pterilio ventrale, per essere eccellente deve manifestare la massima simmetria. Come nell’Arricciato del Nord, nei migliori soggetti è evidente, seppure poco marcato, il solco mediano. Si tratta di una caratteristica di elevatissimo pregio che denota un’ottima qualità di piumaggio. (nello specifico denota la “massima espressione della simmetria delle arricciature”). Per l’AGI i Criteri di Giudizio recitano: “nella pettorina le piume, dai lati, convergono verso l’alto in avanti formando «un ventaglio» e richiudendosi nella zona prossimale al collare, senza dar luogo a cavità. Nell’addome le piume tendono verso l’alto per raccordarsi con la pettorina, senza determinare vuoti. L’addome si presenta con una superficie molto mossa”. Si tratta di uno jabot profondamente diverso da quello del Parigino. È suddiviso in due tratti, la pettorina vera e propria e l’addome, che però, seppure con volumi diversi, sono simili; entrambi sono formati da piume che provengono dai due lati dai due tratti dello pterilio ventrale ma, a differenza di quanto avviene nel Parigino, non confluiscono verso il centro ma convergono verso l’alto fino a raggiungere il collare. Si tratta di una conformazione caratteristica

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dell’AGI che il Parigino non deve manifestare. In estrema sintesi, il Parigino non può avere lo jabot a ventaglio e l’AGI non può avere lo jabot lungo a noce. L’allevatore deve selezionare Parigini o AGI che manifestano lo jabot giusto anche per non incorrere in forti penalizzazioni da parte del giudice. Nel prossimo articolo tratteremo dell’ultimo tratto del canarino, la coda, e del quarto terzo, formato da taglia, portamento, piumaggio, arti inferiori AGI lipocromico pezzato, 94 p.ti a Bari 2014, foto: S. Giannetti

e condizioni generali, evidenziando, come fatto finora, le differenze fra AGI e Arricciato di Parigi.

NOTE (1) Standard analitico dell’Arricciato Gigante Italiano redatto a cura del Club dell’AGI, pag. 2 (2) Per la definizione di pterilio e per l’elenco degli pterilii del canarino si consulti Umberto Zingoni, “Canaricoltura”, Edizioni FOI, Piacenza 1990, pagg. 77 e 78


ONDULATI ED ALTRI PSITTACIFORMI

FORMA & POSIZIONE PARTIAMO DALLE BASI

L’Opalino Cannella

I loci di entrambi gli alleli mutati in combinazione sono ovviamente presenti nel cromosoma Z

Testo e foto di GIOVANNI FOGLIATI

Trittico di novelle femmine Opalino Cannella

L’apparizione della mutazione Cannella, verso la fine degli anni Venti del secolo scorso, e la sua divulgazione negli anni successivi portò a frequenti incroci con altre mutazioni tra le quali l’Opalino; è quindi presumibile pensare che i primi Opalino Cannella siano stati visti ed allevati nei primi anni successivi. Questo abbinamento si rivelò presto “croce e delizia” per gli appassionati cultori dell’Ondulato e occorsero diversi anni affinché se ne comprendessero appieno le potenzialità e la corretta ereditarietà. Descrizione La mutazione Opalino-Cannella è contraddistinta dalle tipiche caratteristiche che accomunano le due mutazioni

Femmina da nido Opalino Cannella azzurro

che la compongono e che sono presenti in tutti i soggetti, sebbene non sempre con la stessa intensità di espressione. L’effetto più evidente è la rimozione più o meno profonda delle ondulazioni che si estendono su testa, collo, guance e dorso. Le ondulazioni sulle copritrici sono più grossolane e meno nette che nei Normali, ma mantengono sempre un disegno Cannella ben visibile. A partire dalla base del collo si forma gradualmente un’area dello stesso colore del corpo che si estende su tutto il dorso formando una sorta di disegno a “V” tra le ali. In questa varietà le estremità dei barbi delle copritrici assumono lo stesso colore del corpo, sostituendo in ma-

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niera più o meno accentuata il colore di fondo. Questa soffusione del colore del corpo nelle ali produce l’effetto opalescente che ha contribuito a dare il nome alla mutazione. Le remiganti sono costituite, in ogni ala, da 10 primarie e 10 secondarie. Su ogni remigante di un soggetto Normale, a partire dalla 2° primaria fino all’8° secondaria, è presente una

Giovane femmina Opalino Cannella verde chiaro

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banda chiara che ad ala chiusa è invisibile, ma ad ala aperta forma una barra chiara continua. Questa barra è visibile solo sulla parte inferiore dell’ala. Nell’Opalino Cannella questa banda chiara è presente su ogni remigante ed è molto più ampia. Solo la metà distale delle remiganti è scura, con la zona chiara che si estende dal punto medio fino alla base. Poiché la zona

chiara è più ampia, con l’ala ripiegata si forma uno specchio triangolare. Un effetto simile si verifica anche nelle copritrici delle ali primarie e secondarie e pure nelle sei timoniere laterali. Le due timoniere primarie mostrano una zona chiara più o meno variabile lungo l’asse. Gli Opalino-Cannella presentano un colore del corpo più chiaro rispetto al corrispondente colore del Normale,

Femmina Opalino Cannella azzurro fortemente ticchiolata


ciò non è dovuto ad una diluizione, ma al fatto che la mutazione CANNELLA produce solo eumelanina bruna e non nera, inoltre è anche più “appastellato” e meno netto che nei Cannella, effetto dovuto alla mutazione OPALINO. La caratteristica finale dell’Opalino Cannella è il colore delle piume dei novelli da nido, che sono bianche invece del solito grigio, e questo consente di identificare questa mutazione in età molto precoce. L’ereditarietà La combinazione di mutazioni OPALINO-CANNELLA, frutto del crossingover ricombinante tra la mutazione sesso legata CANNELLA e la mutazione sesso legata OPALINO, è ovviamente anch’essa legata al sesso. La probabilità di combinazione, che dipende dalla distanza genetica esistente tra i loci interessati, in questo caso tra il “locus cannella” e il “locus opalino”, è del 33%. I loci di entrambi gli alleli mutati in combinazione sono ovviamente presenti nel cromosoma Z. Negli uccelli, il maschio ha due cromosomi Z mentre la femmina ha un cromosoma Z e uno W. Quindi nelle femmine, qualunque sia l’allele, o la combinazione di alleli mutati, presente sul singolo cromosoma Z, è completamente espresso nel fenotipo. Le femmine sesso-legate non possono essere portatrici per la mutazione (o qualsiasi combinazione di mutazioni “sex linked”). Nei maschi il discorso è diverso in quanto possiamo avere soggetti mutati e soggetti portatori della combinazione OPALINO-CANNELLA. I soggetti mutati (in questo caso OPALINO-CANNELLA) avranno in entrambi i cromosomi Z la combinazione delle due mutazioni. Per contro esistono due diversi tipi (genotipicamente parlando) di maschi portatori della combinazione OPALINO-CANNELLA, entrambi possono trasmettere la combinazione di mutazioni ma in percentuali probabilistiche diverse. Il primo tipo avrà un cromosoma Z con alleli non mutati (tipo selvatico) e l’al-

tro con entrambi gli alleli mutati per la combinazione OPALINO-CANNELLA, che possiamo indicare con la formula genetica seguente: Z Zop-can. Il secondo tipo di maschio portatore di CANNELLA e di OPALINO, fenotipicamente COMUNE come il primo ma genotipicamente diverso da esso, avrà l’allele mutato CANNELLA su un cromosoma Z e l’allele mutato OPALINO sull’altro cromosoma Z, che possiamo indicare con la formula: Zcan Zop. Entrambi possono trasmettere alla discendenza sia la combinazione di mutazioni sia le singole mutazioni, ma come detto con probabilità percentuali diverse. Accoppiati con una femmina COMUNE daranno femmine: COMUNI, OPALINO-CANNELLA, OPALINO e CANNELLA, stesso tipo di discendenza per i maschi portatori: COMUNI, portatori di OPALINO-CANNELLA, portatori di OPALINO e portatori di CANNELLA. Di seguito, a titolo esemplificativo, si indicano i rapporti di discendenza (rapporti derivanti dal calcolo probabilistico della frequenza con cui avviene crossing-over ricombinante) per le femmine generate dai due tipi di maschi portatori.

Dai maschi portatori del primo tipo (Z Zop-can), generati dall’incrocio di un maschio OPALINO-CANNELLA con una femmina COMUNE o viceversa, a loro volta accoppiati con una femmina COMUNE, si otterranno figlie femmine nelle seguenti proporzioni: • Un terzo COMUNI • Un sesto CANNELLA • Un sesto OPALINO • Un terzo OPALINO-CANNELLA Dai maschi portatori del secondo tipo (Zcan Zop), derivanti dall’incrocio di un maschio OPALINO con una femmina CANNELLA o viceversa, anche loro accoppiati con una femmina COMUNE, si otterranno figlie femmine nelle seguenti proporzioni: • Un sesto COMUNI • Un terzo CANNELLA • Un terzo OPALINO • Un sesto OPALINO-CANNELLA Accoppiamenti ideali per ottenere l’Opalino Cannella • Opalino Cannella X Opalino Cannella • Opalino Cannella X Cannella • Opalino Cannella X Opalino • Opalino Cannella X Normale

In ricordo di Peppino Diegone

N

on avremmo mai voluto venire a conoscenza di questa brutta notizia. Avremmo voluto incontrarti ancora a Reggio Emilia o a Bari, a ricordare i tempi in cui ci davi consigli sugli accoppiamenti dei canarini e soprattutto, a noi ragazzi, consigli su come affrontare la vita. Ricordiamo l’entusiasmo e la determinazione con cui affrontavi l’organizzazione delle varie esposizioni ornitologiche della tua AOP di Bari, della quale sei stato presidente per innumerevoli anni. Peppino Diegone era un grande conoscitore di canarini di colore, di cui era anche giudice; nella sua vita aveva allevato di tutto, dai cardellini ai verdoni mutati, agli innumerevoli ibridi che gli avevano regalato tante soddisfazioni. Era stato anche coordinatore dei giudici nel raggruppamento Puglia-Basilicata. Aveva un carattere forte e schietto, ma era generoso, un amicone e un punto di riferimento per tutti. Il Coronavirus lo ha portato via dall’amore della sua famiglia e dal nostro sincero affetto, ma, per tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo, rimane il ricordo di una gran bella persona, che rimarrà nei nostri cuori per sempre. Ciao, Peppino, grazie per tutto quello che ci hai trasmesso e insegnato: non ti dimenticheremo. I TUOI “RAGAZZI” LELLO E MICHELE

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CRONACA

La cenere di legna Primo antiparassitario naturale L’orto-ornitofilo

testo e foto di PIERLUIGI MENGACCI

Premessa Quel pomeriggio, mentre nello studio ero intento a leggere un quotidiano, la voce di mia moglie, che si trovava nel soggiorno con il televisore acceso, mi distoglie dalla lettura: – “Gigi, Gigi, accendi la tele… a Geo stanno parlando della cenere, del suo utilizzo nell’orto, e… addirittura per i volatili! Sicuramente ti può interessare”. – Finisco di leggere l’articolo, ripongo il quotidiano ed accendo il televisore che ho nello studio, ma, purtroppo, di cenere nemmeno una parola, l’argomento era tutt’altro! – Accidenti! Mi sarebbe piaciuto vederne l’utilizzo per i volatili. Chissà – penso tra me e me – se era simile a quello che mia nonna Ersilia praticava con le sue galline. Infatti la nonna, per “spulciare”così diceva - le sue galline, le prendeva ad una ad una e le ricopriva di cenere, massaggiandole, fino a non riconoscerne più il colore delle penne. Io, curioso, assistevo all’operazione e

Il camino acceso

tra lo starnazzare delle galline chiedevo alla nonna a cosa servisse quell’operazione di “camuffamento” - “Fiol mia, - così mi rispondeva- acsé i bdòich pulén i va via e ni dan pio’ fastidi”- (“così i pidocchi pollini vanno via e non le aggrediscono più”). Questo ricordo ha smosso in me la voglia di conoscere meglio tale residuo solido della combustione della legna, e, perché no, valutarne la possibilità di applicazione sui miei canarini! Ho sempre avuto un camino dove

Il camino produce la cenere che riciclo come fertilizzante e antilumaca nel mio orticello ed in parte nella compostiera

brucio solamente legna vergine di provenienza sicura, assieme alle potature delle mie 20 viti e piante da frutto. A partire da novembre e per tutto l’inverno è sempre acceso. Oltre a farci compagnia, seduti sul divano davanti allo sfavillio della fiamma e crepitio della lega che brucia (sgranocchiando anche caldarroste con vin brulé) nelle fredde serate invernali, mi produce la cenere che riciclo come fertilizzante e antilumaca nel mio orticello ed in parte nella compostiera assieme agli sfalci del prato, gli scarti dell’orto e della cucina. Mai mi era passato per la mente di utilizzare la cenere per i miei canarini! Ma c’è sempre una prima volta… Prima di passare all’utilizzo della cenere come antiparassitario sui volatili, faccio un breve excursus sulla sua composizione chimica come fertilizzante e sui vari utilizzi conosciuti fin dai tempi antichi e conservati fino al secolo scorso.

Cenere

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Analisi chimica della cenere di legna La cenere è il residuo solido della combustione: è una polvere molto fine di colore grigio, in quasi tutte le tonalità, dal nerofumo ad un grigio chiarissimo, quasi bianco. Nel nostro caso (legna vegetale) le ceneri sono costituite dalla componente minerale della pianta, composta per la maggior parte da elementi indispensabili per la vita vegetale quali calcio, fosforo, potassio, sodio e magnesio. La composizione delle ceneri e la disponibilità dei nutrienti varia a seconda della specie arborea da cui provengono, dall'età della pianta, dall'ambiente in cui è cresciuta e dalla parte utilizzata. Generalmente vengono attribuiti i seguenti componenti minerali: (fonte: “Coltivazione biologica”) - Calcio da 25 al 40% - Potassio da 5 al 30% - Fosforo da 1,3 al 20% - Magnesio da 1,3 al 16%

Cenere con passino

La cenere nell’orto: ottimo sistema fertilizzante I componenti minerali presenti nella cenere hanno una rilevanza importante

Cenere nel vaso

Cenere appena sparsa su parte dell’orto

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per l’utilizzo della stessa nelle colture agricole. La percentuale di utilizzo può variare a seconda del PH del terreno. Un dosaggio medio di 200 g per mq è generalmente sufficiente per coprire i fabbisogni minerali di qualsiasi coltura in qualunque terreno, tranne per i fabbisogni di azoto e di zolfo che, non essendo presenti nelle ceneri, vengono assicurati da un buon letame maturo o compost. La cenere, utilizzata come fertilizzante assieme al compost, è alla base di tutte le tecniche agricole sostenibili, quali ad esempio l’agricoltura naturale, l’agricoltura biologica e l’agricoltura biodinamica ed è ammessa anche dalla direttiva comunitaria (Reg. Cee 2092/91), purché la cenere sia prodotta da “legname non trattato chimicamente dopo l’abbattimento”. L’utilizzo dell’insieme (cenere e compost) garantisce una fertilità fisica (alleggerimento della struttura del terreno), una fertilità microbiologica (attivazione di tutti i processi di trasformazione), una fertilità chimica (le colture assorbono


gradualmente gli elementi chimici che vengono liberati tramite la mineralizzazione). Inoltre, con questo utilizzo, cosa affatto non trascurabile, si chiude anche un ciclo eco-compatibile. Va precisato, infine, che non è opportuno utilizzare la cenere sulle piante acidofile, data l’alta percentuale di calcio contenuta, che non è gradita al loro sviluppo. Riutilizzo della cenere: ottimo sistema ecologico La cenere di essenze vegetali, fin dai tempi antichi, venne riutilizzata per vari scopi. Ad esempio, i vetrai egizi fondevano polvere di quarzo e cenere per ottenere un impasto simile al nostro vetro. Anche la “malta romana” conteneva ceneri, ma queste erano di origine vulcanica. Più avanti nei secoli, la cenere ha avuto varie applicazioni, tramandate fino ai nostri giorni. Eccone alcune: Le mie nonne, come pure tutte le nonne e bisnonne, con la cenere di stufe a legna e camini creavano la così det-

Cernita dei semi

ta lisciva, che veniva realizzata setacciando la cenere in un pentola e, mescolando, veniva aggiunta dell’acqua fino ad ottenere un impasto denso. Il composto ottenuto, chiamato appunto lisciva, veniva usato soprattutto per il bucato e steso a strati sulle lenzuola o capi di abbigliamento, con acqua bollente, era ottimo per eliminare le macchie più difficili e l’ingiallimento delle lenzuola (faccio il bucato con il “ranno”, così dicevano le mie nonne). – Inoltre, con l’aggiunta dell’olio di oliva, veniva realizzato un ottimo sgrassatore per tutte le superfici della casa, pentole vetri e accessori vari, anche in acciaio inox. – Cenere, un po’ di acqua tiepida e qualche goccia di limone potevano essere mescolati fino ad ottenere un composto cremoso che, sfregato delicatamente con un panno sull’argenteria di casa, la faceva brillare come nuova. (Questo era un altro metodo di mia madre per lucidare il suo servizio di posate d’argento). - Altra cosa che veniva realizzata dalle mie nonne era il classico sapone, o saponetta alla cui

Vaschetta con cenere e pennellino pronti

Inizio operazioni di spulciatura

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Nuca e vessillo alare di maschio isabella mos.rosso con cenere

realizzazione assistevo con grande curiosità ed interesse. Facevano bollire in una pentola un bicchiere di lisciva, due di acqua, un cucchiaio di sego (strutto o lardo) e alcune foglioline di erbe aromatiche, fino ad ottenere un composto denso che, raffreddato, veniva messo in alcune vaschette di vetro a “maturare” (solidificarsi) per alcuni giorni prima di toglierlo pronto per essere usato. Bei ricordi… e che profumi! – Durante il periodo invernale la cenere può essere usata come antigelo. Io (l’ho ereditato da mio padre), in previsione di neve e ghiaccio, realizzo una miscela di cenere con un 20% di sale grosso che ripongo in un sacco di plastica di recupero “tipo compost”, pronta per essere adoperata in caso di necessità. La cenere come antiparassitario: ottimo, naturale, ecologico, economico I parassiti interni ed esterni, nonostante le loro piccole dimensioni, possono colpire non solo i nostri canarini ma tutti gli uccelli domestici e pos-

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Spulciatura addominale del maschio isabella mosaico rosso

sono provocare numerose malattie, fino a compromettere interi allevamenti. I parassiti più comuni, che sicuramente ogni allevatore conosce, si possono così riassumere: Pidocchi: ectoparassiti che vivono sul corpo dell’animale, succhiano sangue, creano piccole ferite e intenso prurito, arrossamento della pelle e perdita di piume. Acari: sono degli animaletti notturni considerati ectoparassiti. Vivono succhiando il sangue dell’ospite su cui si posizionano, rifugiandosi nelle ore diurne negli interstizi delle murature o sul fondo dei cestelli durante le cove o altri interstizi delle gabbie, posatoi e accessori vari. Intere nidiate vengono distrutte se non si interviene preventivamente. Vermi: parassiti interni che vivono nell’apparato digerente e tramite il flusso sanguigno possono raggiungere tutti gli altri organi. Succhiano il sangue, creano perdite di peso, diarree, denutrizione e anemie, fino a risultare letali. Per contrastare ed eliminare la proliferazione dei suddetti parassiti esi-

stono in commercio dei buoni antiparassitari per gli uccelli domestici, ma io voglio proporre, prima di descrivere il mio utilizzo della cenere di legna, alcuni rimedi “fai da te”, ecologici, economici, (sicuramente molti allevatori li conosceranno) e che possono sostituire i prodotti commerciali o essere consociati. Aglio e aceto di mele sono gli antiparassitari più usati e consigliati per il loro potente effetto antisettico e insetticida sia interno che esterno. Io utilizzo uno spicchio d’aglio tagliato in quattro parti in un beverino da 50cl d’acqua che lascio a disposizione per 3 o 4 giorni una volta al mese. Per quanto riguarda l’aceto di mele, che faccio in casa con mele biologiche, lo uso mettendone 20 cc in un litro d’acqua, che verso nelle vaschette per il bagnetto settimanale. Bicarbonato di sodio: altro potente antisettico e antiparassitario naturale. Un paio di cucchiai diluiti in un litro di acqua tiepida sia per pulire gabbie e accessori che per fare il bagnetto agli uccelli hanno un ottimo effetto antiparassitario.


Semi di zucca: a mio avviso, oltre all’aglio, sono uno dei migliori rimedi naturali contro i parassiti interni e mangiarne regolarmente aiuta a prevenire ed eliminare gli endoparassiti del tratto gastrointestinale. I semi che io utilizzo provengono dalle zucche che mi fornisce un mio amico ortolano a colture biologiche, con le quali mia moglie fa degli squisiti risotti e fette gratinate al forno da leccarsi i baffi, mentre io mi diverto a recuperarne i semi che faccio essiccare al sole, o sul termosifone, sguscio e, triturati, ne aggiungo 20gr per Kg di pastone, che servo ai canarini a periodi alterni durante l’anno. Faccio altresì notare, in tema di riciclo, che nel mio piccolo allevamento di canarini di colore sono molto graditi ed efficaci, al pari dei semi di zucca, anche gli scarti della zucca. A tal proposito, ne ho descritto proprietà ed utilizzo in due miei precedenti articoli pubblicati su I.O. (vedi marzo e ottobre 2016). Inoltre, data l’alta concentrazione di carotene, sono di aiuto alla colorazione (allevo canarini a fattore rosso) e non da meno nella prevenzione dei parassiti interni; vedi il contenuto di fibre e cucurbitina (aminoacido con proprietà vermifughe). Ed eccoci finalmente all’uso della cenere di legna. Cenere di legna: antiparassitario naturale Da qualche anno, memore della “spulciatura” delle galline che faceva mia nonna (galeotta fu la trasmissione televisiva di cui alla premessa), come prevenzione contro pidocchi ed acari in sostituzione dei prodotti commerciali, uso tranquillamente la cenere di legna prodotta dal mio camino. Logicamente raffreddata, la filtro con un passino molto fine, così da farla sembrare quasi un talco, e la ripongo in un barattolo di vetro. All’occorrenza, e cioè prima di immettere i riproduttori nelle voliere a svernare e quando li riprendo per le cove, faccio come mia nonna: ne metto un po’ in una ciotola, ma al posto delle mani uso un pennellino con setole molto fini e spolvero in particolare tutto il vessillo (come lo chiama l’amico

Nel mio piccolo allevamento di canarini di colore sono molto graditi ed efficaci, al pari dei semi di zucca, anche gli scarti della zucca

Canali) dei canarini, dalla nuca alla coda, le ali e in tutto il corpo. La stessa cosa faccio in estate con i novelli. Inoltre, come prevenzione contro il famigerato acaro rosso, metto un pizzico di cenere sul fondo dei portanido e sul nido prima delle cove che, precauzionalmente, rinnovo durante lo svezzamento. A tutt’oggi, non ho riscontrato controindicazioni, anzi, penso di aver risolto, se non debellato, il problema di questi parassiti nel rispetto della natura, ecologicamente e, perché no, anche economicamente. Comunque, in casi molto particolari (morie continue di piccoli nel nido) è sempre bene essere in contatto con il veterinario il quale, eventualmente, prescriverà interventi con prodotti medicinali specifici e testati del commercio. Chiudo dicendo che, fin dai tempi più remoti, gli umani si erano accorti che

Il taglio della zucca

la terra dove avevano bruciato della legna e/o materie organiche, era diventa più fertile; ciò era dovuto al rilascio da parte della cenere di sostanze minerali atte allo sviluppo di qualsiasi coltura. Questa conoscenza, se da un lato ha permesso una migliore produzione, ha però causato, nel corso degli anni, in molti paesi sudamericani ed in altre nazioni, il disboscamento tramite l’incendio, la distruzione di parte di foreste vergini pur di coltivare maggiori estensioni di terreno. Purtroppo, anche al giorno d’oggi tale scempio è generalizzato in tutte le nazioni, non solo ai fini agricoli, ma soprattutto speculativi, con grave compromissione di tutto il sistema ecologico mondiale. Ma il male non è solo questo: sono gli inquinamenti dell’aria, dell’acqua, del suolo ed infine l’elettrosmog, che hanno intaccato l’integrità della biosfera, l’accelerata estinzione di specie naturali (vegetali e animali), effetto serra, scioglimento dei ghiacciai, disastri idro-geologici ecc. (vedi l’ultimo immane incendio dell’Australia) che compromettono la nostra salute e l’esistenza del genere umano. È questo il problema più pressante da risolvere per il nostro secolo: rispondere alle esigenze del presente senza compromettere le future generazioni. La natura ci viene incontro in ogni occasione: sta a noi saperne cogliere i benefici, ma soprattutto rispettarla, proteggerla e contribuire anche con le piccole azioni quotidiane, quali il riciclo e la raccolta differenziata, per far sì che si chiuda il ciclo eco-compatibile, a cui anche le nostre membra sono destinate (…scusatemi questa digressione). Infine, a proposito di cenere, ogniqualvolta la spargo sul terreno o sul vessillo (di nuovo “uso” Canali) dei canarini, ritorna alla mia mente il Mercoledì delle ceneri, quando, da piccolo chierichetto, il Parroco del mio paese mi cospargeva il capo di cenere dicendomi: “Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris (da Genesi 3,19;)”; ed io, che non capivo il latino, spesso pensavo alla nonna Ersilia e alle sue galline (sic!) Niente a che vedere con i nostri volatili; ma… meditiamo gente, meditiamo!

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Se desideri proporre un argomento scrivi a: redazione@foi.it

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n questo numero ospitiamo la lettera del sig. Nando Cerasoli, che pubblichiamo integralmente, seguita dalla risposta dettagliata a firma del Presidente dell'Ordine dei Giudici FOI, Andrea Benagiano.

Argomenti a tema

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i recente, ho partecipato al Campionato Italiano di Ornitologia svoltosi a Bari nel mese di dicembre del decorso anno 2019, esponendo uno STAMM di canarini appartenenti alla categoria “D5 – brinato giallo”, con ragionevoli prospettive di un buon piazzamento, dal momento che lo stesso, nel vicino Campionato Interregionale (Abruzzo – Marche – Molise – Lazio - Umbria), tenutosi a Colonnella (TE) si era classificato al 1° posto, con punti 365. È facile immaginare la delusione, che è eufemistico definire enorme, da me provata allorquando, all’esito del giudizio finale, me lo sono visto valutare solamente punti 360, con una decurtazione (- 5 punti) che, chiunque partecipi agli eventi espositivi e conosca, pertanto, il valore che un solo punto in essi assume, altro non può che definire oltre che eccessiva, altresì anomala. Di primo impeto, volevo produrre reclamo e pubblicizzare, inoltre, l’accaduto, ma poi, vuoi per la palese contraddittorietà sul punto del Regolamento di quella Mostra che, definendo dapprima insindacabile il giudizio finale e consentendo, successivamente, il reclamo senza però indicarne termini, modalità e composizione della commissione giudicatrice, pare appositamente scritto per non farlo proporre; vuoi per l’esito impalpabile conseguito dai miei precedenti suggerimenti di cui appresso in sintesi parlerò, ho deciso di desistere, ripromettendomi di non prendere mai più parte a similari manifestazioni. Senonché la successiva lettura dell’editoriale, dal titolo: “Dalla parte di chi fa”, apparso sul numero 11 del mese di novembre 2019 di “Italia Ornitologica”, ove l’autore, a mio giudizio correttamente, si schiera dalla parte di coloro (organizzatori e giudici) che agiscono e contro chi si limita solo a criticare senza costrutto, mi induce a rompere il silenzio che mi ero riproposto per porre in risalto come a volte, almeno per quanto mi riguarda, anche “chi fa” (vertice) sbaglia, non dico nel non accettare (motivatamente), ma nel non prendere neppure in considerazione i suggerimenti che provengono dalla base. Giunto a questo punto, sciogliendo la riserva precedentemente formulata, allo scopo di fornire la prova di quanto più sopra affermato, passo a dire delle mie proposte rimaste, purtroppo, lettera morta. Orbene, tempo fa, come può desumersi dalle note, a mia firma, pubblicate su “Italia Ornitologica” (Posta dei lettori) numeri: 11 del novembre 2017 e 4 di aprile 2018, nell’intento, tra l’altro, di far cessare quelle odiose critiche ai giudici che, di norma, conseguono alle manifestazioni espositive, suggerii quanto di seguito in estrema sintesi riportato: a) di aumentare il controllo sull’operato dei giudici mediante: 1) la partecipazione, con ovvie limitazioni, degli espositori alle operazioni di giudizio, a garanzia del rispetto dell’anonimato; 2) il divieto per i giudici di esporre nelle mostre nazionali, allo scopo di scongiurare la sussistenza di ipotetici rapporti di conoscenza; b) di migliorare i controlli medesimi attraverso: 1) l’inserzione nelle schede di giudizio dei sotto-punteggi limitatamente alle zone di elezione, al fine di rendere più decifrabile la discrezionalità tecnica ivi esercitata; 2) l’espressione del giudizio finale sul soggetto giudicato a beneficio dell’allevatore dello stesso; c) di introdurre l’obbligatorietà delle preselezioni per l’accesso ai Campionati nazionale e mondiale, al fine di consentire: ai giudici, una più approfondita e meditata valutazione dei soggetti esposti, stante la diminuzione dei medesimi; agli organizzatori, la miglior scelta possibile dei locali in cui ospitare la mostra, tenuto conto della minore ampiezza richiesta per gli stessi. In conclusione, domando al vertice ed al citato editorialista: sebbene manchi la prova contraria, si è proprio sicuri che, con l’adozione dei provvedimenti da me invocati, il caso suesposto si sarebbe egualmente verificato? Ad entrambi l’ardua risposta che mi auguro non tardi e, qualora negativa, sia motivata. NANDO CERASOLI


Gent.mo sig. Cerasoli, ho il piacere di rispondere io alla sua missiva. Capisco che, quando si procede ad iscrivere i propri soggetti a mostre importanti come i Campionati Italiani o Mondiali, le aspettative sono altissime; comprendo anche il fatto che dopo aver ottenuto un primo posto nei campionati Interregionali, ci si aspetta lo stesso piazzamento ai campionati Italiani. Purtroppo questa non è una regola, infatti la invito a verificare un piccolo, ma sostanziale, particolare; al campionato Interregionale, nella sua categoria partecipavano solo 3 stamm, mentre al campionato Italiano ne concorrevano ben 13. Naturalmente si presuppone fosse presente il meglio della produzione nazionale. Riguardo il punteggio, questo può variare da una manifestazione ad un’altra per motivi che esulano dall’aspetto fenotipico di un canarino, ma anche per fattori di stress, di piumaggio, di condizioni atmosferiche oltre che di luce. È bene notare che la differenza è di 5 punti su uno stamm e non su un singolo soggetto, quindi la differenza è di poco più di un punto a soggetto, la realtà non è stata stravolta. A tal proposito è bene precisare che anche il ricorso non aveva i presupposti per essere presentato in quanto gli stamm che hanno raggiunto il podio non avevano nessun motivo di essere penalizzati; se la cosa può confortarla, anche chi si è aggiudicato il titolo di Campione Italiano aveva ottenuto ottimi risultati in manifestazioni nazionali ed internazionali. Noto, purtroppo, una certa diffidenza sull’integrità dei Giudici, le garantisco che è un suo preconcetto privo di qualsiasi fondamento: il corpo giudicante è all’oscuro sull’appartenenza dei soggetti che gli vengono presentati sul tavolo di giudizio, garantisco personalmente sull’integrità dei Giudici FOI. Voglio anche prendere in considerazione i suoi suggerimenti, provenienti dalla base, che in linea di principio potrebbero essere condivisibili, cercando di essere il più chiaro possibile in quello che è il mio, e non solo, punto di vista sulla difficoltà di attuarli all’atto pratico: 1.1 La presenza di allevatori durante le fasi di giudizio sarebbe un ottimo momento didattico. Ma immagina quanto spazio richiederebbe? E le difficoltà che incontrerebbe il personale addetto all’assistenza ai Giudici? 1.2 I Giudici devono partecipare alle mostre in qualità di espositori e non possiamo precludergli la possibilità di farlo in quelle nazionali. Si definisce Giudice, un allevatore esperto; come tale, egli deve allevare ed esporre. Per quest’ultima, le ricordo che l’anonimato vale per tutti. 2.1 Le modifiche indicate da lei sono già presenti nelle schede di giudizio delle mostre specialistiche, questo comporta un maggior tempo da dedicare alla compilazione, quindi maggiori costi per le Associazioni organizzatrici, pertanto anche per gli espositori. 2.2 La preselezione per l’accesso ai campionati nazionali e mondiali sarebbe preclusivo per molti allevatori. Inoltre una cosa del genere sarebbe penalizzante per i comitati organizzatori che vedrebbero ridursi di molto il numero degli ingabbi a fronte, comunque, di costi fissi che non cambierebbero (locali, presidi di pronto soccorso e vigili del fuoco, autorizzazioni sanitarie ecc.) In ultimo voglio tranquillizzarla del fatto che, pur seguendo tutte le indicazioni da lei date, il podio del Brinato Giallo stamm non avrebbe subito alcuna modifica. Nella speranza di essere stato esaustivo le do appuntamento alla stagione mostre 2020. ANDREA BENAGIANO PRESIDENTE ORDINE DEI GIUDICI FEDERAZIONE ORNICOLTORI ITALIANI

Argomenti a tema

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ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

Un sogno che si realizza Lucherino europeo (Spinus spinus) x Crociere dell’Himalaya (Loxia curvirostra hymalayensis) testo e foto di SIMONE OLGIATI

L

a storia di questa ibridazione iniziò quando mi ritrovai spaiato un maschio di Lucherino bruno portatore di pastello acquistato, alla 29ª edizione di Fringillia, allo scopo di ibridarlo con una femmina di Venturone corso. Il progetto venne bocciato per privilegiare la riproduzione in purezza dei rari Carduelis corsicana. Nei giorni successivi mi arrovellai nella ricerca di una buona femmina da accoppiare allo scapolo con l’obiettivo di realizzare ibridi inediti o comunque rari, soprattutto in riferimento alla prole femminile mutata. Dopo aver riflettuto a lungo, la scelta ricadde su due specie: il Canarino solforato ed il Crociere dell’Himalaya. Scelsi queste due perché entrambe sono in grado di trasmettere la propria forma e taglia alla prole, nonché un ottimo colore e un disegno inconfondibile. Purtroppo, le mie fantasie si scontrarono con l’impossibilità di reperire una femmina delle specie sopra citate, nonostante i diversi contatti che avevo trovato. Sembrava proprio che il progetto dovesse naufragare ancor prima di iniziare. Nel momento in cui mi arresi all’idea di provare l’ibrido pastello bruno col Canarino, ricevetti un messaggio da un mio caro amico, il mitico Marco Pagani, che mi diceva che aveva disponibile un’ottima femmina novella di Crociere dell’Himalaya. Non stavo più nella pelle! Fissato il ritiro il sabato dell’esposizione internazionale di Reggio Emilia, passai i giorni che mi separavano dalla prenotazione alla

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Verso la metà del mese di febbraio, vidi la femmina con dei fili di juta nel becco, segno inequivocabile del suo desiderio di riprodursi

mostra in uno stato di febbricitante agitazione. Giunto il momento del riti-

La coppia riproduttrice

ro, rimasi colpito dalla bellezza del soggetto nelle mie mani: ottimamente colorato, con una forma perfetta e di una docilità disarmante. Una volta portata a casa, alloggiai la Crociera in una gabbia da 60 centimetri all’inglese assieme al suo compagno Lucherino, in modo tale che potessero familiarizzare fin da subito. L’alimentazione fornita era uguale per entrambi e molto spartana, basata su un misto di semi composto per la maggior parte di scagliola e arricchito con piccole percentuali di perilla, girasoli-


no nero, lattuga, panico giallo con l’aggiunta di pinoli forniti in linguetta. All’avvicinarsi del periodo riproduttivo, iniziai a fornire del cous cous ammollato in acqua e asciugato con pastone all’uovo fatto in casa, ricco di proteine e semi germinati essiccati. Grazie a questa alimentazione, la coppia giunse in ottima forma al periodo riproduttivo, non dimostrando particolari segni di aggressività durante i mesi di convivenza. Verso la metà del mese di febbraio, vidi la femmina con dei fili di juta nel becco, segno inequivocabile del suo desiderio di riprodursi. Allora mi apprestai a posizionare due nidi: uno interno, di metallo e leggermente infrascato, nell’angolo destro del gabbione e uno esterno di plastica bianca dalla parte opposta. La Crociera scelse il primo e costruì una coppetta perfettamente circolare usando soprattutto juta e sisal. Una volta che il nido venne terminato, vi furono deposte tre grosse uova che, purtroppo, non vennero assolutamente covate. Fortunatamente, potei passare le preziose uova a balia, ma purtroppo risultarono infeconde. Lo stesso accadde alla covata successiva, sebbene la femmina avesse utilizzato il nido esterno, e questo mi demoralizzò non poco.

Tutto cambiò alla terza covata, avvenuta a metà marzo: la Crociera costruì un nuovo nido nella coppetta interna di metallo e iniziò immediatamente a covare le uniche due uova deposte. Era così attaccata al suo nido che era praticamente impossibile allontanarla. Un giorno, però, riuscii a scorgerla sul posatoio, così ne approfittai per verificare la fecondità delle uova: finalmente si vedevano due cuoricini battere! Non riuscivo a trattenere la gioia e la felicità e attesi il giorno della schiusa con emozione, ma anche con una certa ansia: la femmina avrebbe allevato? Come si sarebbe comportata una volta anellata la prole? Il maschio avrebbe disturbato la Crociera? Il 29 marzo 2019 accadde uno degli eventi più belli della mia vita: un uovo si schiuse, regalandomi un pullo di taglia ridotta e con tantissimo piumino nero che reclamava a gran voce l’imbeccata. Dopo aver scattato un paio di foto di rito, riposi il piccolo nel suo nido. Nei giorni che seguirono, le mie preoccupazioni si placarono: la neomamma imbeccò e scaldò diligentemente l’unico piccolo nato, aiutata dal premuroso Lucherino; l’anello non causò alcun problema, come se la femmina fosse già abituata a tale pratica.

Il pullo ancestrale con la sorellina mutata nei primissimi giorni di vita

Gli ibridi durante l’implumo

Il primogenito anellato

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I due fratelli di nido a muta conclusa

Il piccolo si involò al sedicesimo giorno di vita, dimostrandosi già abbastanza abile nel volo, nonostante la coda corta e la giovane età. Purtroppo, mi accorsi troppo tardi di un difetto alla zampa destra, probabilmente dovuto al fatto che, essendo figlio unico, avesse dovuto sopportare tutto il peso della madre durante lo sviluppo. Nonostante ciò, a 35 giorni l’ibridino, un maschio ancestrale, si rese indipendente, venne separato dai genitori e stabulato con altre femmine di riserva in un gabbione da 120. Dopo la terza deposizione pensai che la Crociera si fermasse, invece decise di sorprendermi ancora una volta, regalandomi altre tre uova ad aprile inoltrato. Sfortunatamente questo nido, sebbene la covata fosse feconda, venne distrutto dalla Crociera, probabilmente per il meteo instabile che caratterizzò la scorsa primavera. A maggio iniziò un forte caldo che mi fece pensare allo stop totale delle attività riproduttive della Loxia: eppure, nella prima decade costruì per la quinta

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volta il nido e depose addirittura 4 uova, che covò diligentemente fino al 22 dello stesso mese, quando si schiuse

La femmina di Crociere in cova

un pullo molto vivace e sempre ricco di piumino. Il giorno dopo, ovvero quello del mio ventesimo compleanno, un altro piccolo venne alla luce. Solo in quel momento, confrontando i due pulcini, mi accorsi che il primogenito era leggermente diverso dal fratellino appena schiuso: dopo un attimo di smarrimento, capii che la prima nata era una femmina bruna! Non potevo credere ai miei occhi: oltre ad aver ottenuto già un ibrido inedito per l’Italia nella covata precedente, ora avevo anche una anteprima mondiale tra le mie mani! A pensarci, mentre scrivo queste righe, ho ancora la pelle d’oca. Tutto andò come per il primo ibrido: la femmina imbeccò diligentemente i piccoli con il solito pastone umido descritto in precedenza, aiutata anche dal premuroso partner. Sempre a sedici giorni si involarono, a trentacinque si resero indipendenti e vennero isolati in una gabbia da 55 per favorire una buona muta, evitando così che litigassero con soggetti adulti, rischiando di rovinarsi il prezioso piumaggio. Tutti e tre gli ibridi, due maschi ancestrali e una femmina bruna, completarono la muta verso la metà di settembre e il loro carattere mansueto e confidente fu favorito dall’alloggiamento in gabbie di ridotte dimensioni


e dal continuo maneggio durante la permanenza nel nido, che ha consentito ai piccoli di conoscermi meglio ed essere meno stressabili in gara. Ad ottobre partecipai alla mostra internazionale di Malpensa, svoltasi in quel di Busto Arsizio e organizzata anche dalla mia associazione, l’Associazione Ornitologi Varesini, iscrivendo anche l’ibrido maschio sano di Lucherino x Crociere dell’Himalaya che si aggiudicò il primo posto con 91 punti, anche se gareggiò in solitaria. La prima uscita andò più che bene e rimasi molto soddisfatto del risultato del giovane ibrido “inedito”. La tappa successiva fu alla 30ª edizione di Fringillia, la mostra più importante e competitiva relativa ai Fringillidi e loro ibridi, dove i migliori allevatori espongono i propri soggetti, che vengono valutati dai più bravi giudici in circolazione. Mi presentai il venerdì all’ingabbio con i tre Lucherino x Crociere dell’Himalaya e due Verdone x Canarina, decisamente emozionato e al tempo stesso teso, accompagnato dalla mia Lisa, che ha dovuto sopportarmi per tutti e tre i giorni della fiera. Il sabato attesi trepidante la conclusione del giudizio, aggirandomi ansiosamente per la mostra scambio; al pomeriggio mi avventurai lungo le cavalle per sincerarmi dello stato di salute dei miei beniamini, valutare la concorrenza, prendere qualche spunto di ispirazione e, per ultimo ma non meno importante, scoprire il punteggio dei miei soggetti esposti. Con mia somma gioia, scoprii che i due Lucherino x Crociere, fratelli di nido, erano saliti sul podio, col maschio al terzo posto e la femmina al primo, mentre il primogenito, ovviamente, venne squalificato per il difetto irreparabile alla zampa destra. Ero veramente euforico per il risultato, visto il livello della competizione e molto soddisfatto dei miei beniamini. Ma qualcos’altro doveva ancora accadere. Il giorno dopo, sfogliando il catalogo, scoprii che mi ero aggiudicato anche il premio dei migliori tre ibridi col Crociere! Appena lessi la notizia stavo per svenire dall’emozione, non ci potevo credere. Andai a ritirare il premio: trattenevo a stento la gioia, nonostante la stanchezza dei tre giorni

Questa è la storia di un’ibridazione inedita per l’Italia, nella forma ancestrale, e mondiale per la forma mutata

trascorsi in fiera. Questa è la storia di un’ibridazione inedita per l’Italia, nella forma ancestrale, e mondiale per la forma mutata; l’ibrido si presenta come un incrocio simile al Crociere dell’Hima-

laya come corporatura, mentre per colori e disegni il Lucherino è decisamente predominante, così come lo è per il comportamento. Visto il fenotipo, è ovvio che non sia uno degli incroci più appariscenti che si possano ottenere, ma il fatto di realizzare qualcosa di molto raro, o addirittura per la prima volta al mondo, mi riempie di orgoglio e soddisfazione. Quale sarà il prossimo passo? Ho ancora tante coppie ibride in cantiere, alcune inedite e altre no, ma spero vivamente di poterne scrivere i risultati su questa rivista e di diffondere ancora di più questa stupenda arte che è l’ibridazione.

Il primogenito a muta completata

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S pazio Club Club Arricciato Padovano

Club di Specializzazione

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i è gradito intervenire ancora sul Padovano in occasione della pubblicazione nel sito F.O.I. del Verbale del Consiglio dell’Ordine dei Giudici datato 14 settembre 2019. In tale verbale troviamo finalmente una nostra idea (e antico cavallo di battaglia). La proposta sottoposta al Consiglio, portata avanti dal Presidente del Collegio di canarini FPA, su indicazione della CTNA, riguarda lo stabilire la taglia del Padovano a 18 cm. In allegato inoltriamo inoltre come promemoria la sintesi dei criteri di giudizio sul Padovano e la scheda di valutazione fatta alcuni anni fa dal club ad hoc per il Padovano. Riflessioni sulla lunghezza del Padovano, ma non solo. Sempre più spesso, e comunque ciclicamente, ci ritroviamo a disquisire sulla lunghezza del Padovano, senza tuttavia riuscire a venirne a capo. Per meglio dire, la materia non è assolutamente difficile da comprendere ma, per tanti, è più facile creare confusione e incomprensioni con tutto quello che ne deriva. Perché accade ciò? I motivi possono essere tanti come l’ignoranza delle regole, le convenienze economiche, il meticciamento ecc. Tuttavia, bisogna accettare che la lunghezza del Padovano deve aggirarsi sui 18 cm. D’altronde, sui criteri di giudizio, si legge che un soggetto di 17,5 cm può essere considerato nello standard, mentre i 19 cm si addicono ad un adulto esponibile in classe B. Più chiaro di così! Allora, perché questa continua diatriba? Perché si continuano a vedere soggetti di taglia eccessiva premiati? Evidentemente vi sono allevatori che spingono per motivi prettamente economici - commerciali o, per gusti personali ecc. Fin qui può anche essere accettabile anche se non condivisibile. Ma se a confortare queste scelte sono i giudici che li premiano nelle manifestazioni ufficiali, le cose diventano gravi. Eppure ci consta che, durante gli annuali incontri dei giudici di specializzazione, questo concetto viene sempre trattato e rimarcato, apparentemente condiviso, ma poi? C’è anche da dire che questo tema finisce per offuscarne altri e, purtroppo, si continua a parlare della lunghezza, trascurando le altre caratteristiche che pur sono importanti e decisive affinché un soggetto eccella nello standard. Il Padovano, come gli altri arricciati, deve sempre avere le tre arricciature primarie, quali spalline, jabot e fianchi. Detto ciò, sembra si parli di un normalissimo arricciato del Nord (con il resto del piumaggio completamente liscio), mentre il Padovano deve averlo ricco di arricciature, così dette secondarie, ma che secondarie non lo sono affatto. Anche la mancanza di una di esse lo impoverisce pesantemente ed un occhio esperto e critico deve saper cogliere il vuoto che essa crea. Ma pensiamo veramente che sia bello un Padovano con le tre arricciature primarie di buona fattezza ma con un brutto ciuffo, o senza belle sopracciglia, o con imbracatura non visibile, o con stacco assente, o mancante di piume di gallo, o addirittura senza collarino? È nostra convinzione che la mancanza di una sola di queste caratteristiche dovrebbe inibire il giudice ad assegnare elevatissimi punteggi. Riteniamo che tutte le arricciature siano caratteristiche di pregio a cui un buon giudice deve prestare la medesima attenzione e, qualora anche solo una di esse fosse completamente o parzialmente assente, debba rimarcarle sulla scheda e farla pesare nella valutazione finale. Un semplice esempio può essere quello di immaginare un Padovano, seppur molto buono in quasi tutte le caratteristiche, ma mancante delle piume di gallo: certo ad occhio sembrerà bello, ma non bellissimo aggiungiamo noi. In un così fatto canarino, la presenza di piume di gallo è il non plus ultra, il tocco di classe in più che lo completa, che lo rende più elegante, nonché pregiato e quindi eccellente. Purtroppo, il più delle volte una tale mancanza non viene nemmeno notata dal giudice che magari (ci ripetiamo) assegna punteggi esagerati. Ma anche se venisse penalizzato di 1 punto (per noi dovreb-


S pazio Club

Club di specializzazione

bero essere 2), la mancanza di queste (che debbono essere almeno 3 per lato) ne oscurerebbe la finezza. Analogo discorso possiamo fare su ognuna delle altre arricciature. Il collarino, qualora assente, non consente al soggetto di andare a podio (90 punti) perché è un connotato assolutamente immancabile che contraddistingue ancor più la razza. Questa particolarità è comunque più gestibile delle altre in quanto, a dire il vero, mette d’accordo tutti. Infatti, la totale mancanza lo danneggia pesantemente (5 punti) mentre, qualora fosse solo presente nella parte anteriore, subirebbe una penalizzazione adeguata stabilita di volta in volta dal giudice ma che, comunque, ne pregiudicherebbe solo lievemente il valore. Un plauso ovviamente se completo. Nella perfezione di un buon Padovano non bisogna trascurare le unghie che, qualche volta, si vedono a forma di cavatappi. Noi pensiamo che questa apparente anomalia non vada vista con troppa severità, giacché è spesso causata da eredità atavica e non necessariamente da meticciamento. Anche qui sta all’occhio del bravo giudice valutare se ciò è sopportabile o penalizzabile, ma se altri connotati lo convincessero che ciò sia causato da inquinamento con altra razza, dovrebbe procedere a squalifica senza alcuna remora. A conclusione di questo excursus, ci teniamo a richiamare l’attenzione di tutti, giudici e allevatori a non soffermarsi mai nelle valutazioni in modo sommario e/o superficiale, ma di analizzare criticamente ogni considerando dello standard dell’Arricciato Padovano. Solo così si potrà addivenire a condividere un giudizio più esatto e completo, con la speranza che, prima di assegnare punteggi da 93 in su, il giudice si accerti che tutte, dicasi tutte le caratteristiche siano ben evidenti; in caso contrario premiamo pure ma senza esagerare.

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CANARINI DI FORMA E POSIZIONE LISCI

La calotta del Lizard di BRUNO NOVELLI, foto FOI

Fra i canarini di forma e posizione occupa un posto del tutto particolare, in quanto la caratteristica risiede nel ricamo disegnato sul dorso dalle scaglie

È

la razza più antica, l’unica che non ha subito mutamenti attraverso i secoli. La storia delle sue origini è incerta: è un ibrido fecondo di qualche fringillide asiatico (la precocità dello svezzamento della prole, la presenza della calotta anche se di colore diverso, peculiarità questa comune ad altre specie di fringillidi e l’estrema vivacità lo farebbero pensare) o una mutazione antica? Ma quanto profonda e definitiva è stata questa mutazione? Tutte ipotesi ma nessuna certezza! Si sa solo che i primi soggetti furono importati in Inghilterra da profughi francesi fuggiti in seguito a persecuzioni politico-religiose nella seconda metà del ‘500. Fra i canarini di forma e posizione occupa un posto del tutto particolare, in quanto la caratteristica risiede nel ricamo disegnato sul dorso dalle scaglie; un canarino da disegno, quindi, che non poteva che chiamarsi “Lizard” (dall’omonimo termine inglese e dalla lingua francese lézard), cioè “lucertola”, appunto per il disegno delle scaglie, la lucentezza un poco fredda del piumag-

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Lizard argento senza calotta o quasi

gio, eredità misteriosa dei suoi lontanissimi ascendenti: i rettili. In questo breve articolo mi occuperò solamente del suo connotato, la calotta, che a me sembra essere di grande importanza rispetto alle altre caratteristiche perché è il primo dato appariscente che colpisce l’occhio dell’allevatore o dell’occasionale visitatore di mostre. Secondo me la calotta andrebbe maggiormente rivalutata con un maggior punteggio a sua disposizione, mentre attualmente ha solo 10 punti. La Calotta del Lizard 1) Calotta netta - Canarino la cui calotta è del tutto priva di penne scure e presenta ciglia con un contorno regolare e formate da una sottile

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linea di penne nere, piccolissime che separano l’occhio dalla calotta. Calotta quasi netta - Canarino la cui calotta comprende una o più penne scure ricoprenti un’area non eccedente un decimo dell’area totale della calotta. Calotta mancante - Canarino in cui la testa e collo sono affatto privi di penne chiare. Calotta quasi mancante - Canarino in cui testa e il collo sono marcati da una o più penne chiare per una estensione non eccedente un decimo dell’area totale di una normale calotta. Calotta imperfetta - Canarino in cui le penne della testa sono tali da impedirne la classificazione nelle altre categorie.


Tenendo presente la calotta si possono presentare i seguenti casi di accoppiamento: • Calotta netta x Calotta netta = Si otterrà qualche supercalotta, varie calotte nette ed alcune quasi nette. • Calotta netta x Calotta quasi netta = Possibilità di qualche supercalotta, varie calotte nette ed alcune quasi nette. • Calotta netta per Calotta imperfetta = Calotte nette, calotte quasi nette e calotte imperfette. • Calotta quasi netta x Calotta quasi netta = qualche calotta netta, calotte quasi nette e calotte imperfette. • Calotta quasi netta X Calotta imperfetta= qualche calotta netta o quasi netta e calotte imperfette. • Calotta imperfetta x Calotta imperfetta = Preponderanza di calotte imperfette con possibilità di ottenere qualche soggetto a calotta netta o senza calotta. • Senza Calotta x Calotta netta = Calotte imperfette, qualche calotta quasi netta e qualche soggetto quasi senza calotta. • Senza Calotta x Calotta quasi netta = Calotte imperfette con possibilità di soggetti con calotte quasi nette e quasi senza calotta. • Senza Calotta x Calotta imperfetta = Soggetti con calotte imperfette, senza calotta, quasi senza calotta. • Senza Calotta x senza Calotta = Senza calotta o quasi senza calotta. Naturalmente, non è possibile predire esattamente i risultati degli accoppiamenti e pertanto quanto sopra indicato può costituire solo un buon punto di riferimento per la legittima aspettativa dell’allevatore. A proposito delle varie possibilità di incrocio secondo la calotta, dirò che il primo, e cioè calotta netta x calotta netta, è sconsigliabile perché drebbe luogo a soggetti con supercalotte. Importante ricordare che, per i soggetti che la presentano, la calotta debordante sotto l’occhio è motivo di non giudicabilità; tali soggetti devono essere esclusi dalla riproduzione. Volendo ottenere molti Lizard con calotta perfetta, gli accoppiamenti

Lizard argento calotta netta

Lizard dorato mezza calotta

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migliori sono “Calotta netta x Calotta quasi netta” e “Calotta netta x Calotta imperfetta”. Se però si mira all’ottenimento di pochi soggetti con calotta netta ma che abbiano valorizzate tutte le caratteristiche comprese nello Standard, si ricordi che i migliori incroci sono “Calotta quasi netta x Calotta imperfetta” e “Calotta imperfetta x Calotta imperfetta”. Gli accoppiamenti fra calotte variegate daranno soggetti con marcature più nette e con un migliore colore di fondo e fra essi vi sarà sempre qualche casco perfetto. Quindi chi si inizia all’allevamento del Lizard non si fissi sull’acquisto di soggetti con calotta perfetta che, se hanno notevoli le altre caratteristiche, Esempio di calotte nette o quasi nette

Esempio di calotte spezzate

Esempio di calotte mancante o quasi mancanti

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sono dei campioni e quindi costano molto, ma faccia cadere la propria scelta su esemplari robusti e vivaci con casco variegato, con colore di fondo intenso e con dorso largo, petto pieno, piumaggio compatto e lucente. La Calotta deve avere questi requisiti (CTN): “di forma ovale con contorni ben definiti che copre la testa da sopra il becco sin alla nuca. In assenza di calotta, verrà giudicata la regolarità della scagliatura che apparirà sulla testa. Per calotte parziali la parte scura dovrà essere scagliata”. Difetti e penalità della Calotta Di forma irregolare o comunque dai contorni frastagliati con parti scure anche se scagliate. In caso di mancanza completa di calotta andranno giu-

dicate le scaglie con lo stesso criterio del corpo. È pertanto tecnicamente possibile che un soggetto senza calotta riporti penalità zero. (Criteri di giudizio - Canarini F. P. L.) È bene ricordare che uno stamm di Lizard deve essere composto da soggetti tutti dorati, tutti argentati o tutti blu, indistintamente se maschi o femmine. Per quanto attiene alla calotta e per inderogabile uniformità dei quattro soggetti: - Tutti con calotta netta o quasi netta, per essere considerata tale la melanina non deve superare il 10% - Tutti con calotta spezzata - Tutti con calotta mancante o quasi mancante, per essere considerato tale il lipocromo non deve superare il 10%


DIDATTICA & CULTURA

Colori

Quelli che percepiamo sono prodotti da un fenomeno di riflessione della luce sui corpi colpiti

di GIOVANNI CANALI e GIULIANO FERRARI, foto da INTERNET (AUTORI VARI)

I

n queste righe non parleremo solo dei colori nel canarino o negli uccelli in genere, ma faremo qualche cenno alla natura dei colori in senso generale. L’argomento non è semplice e richiederebbe ben altro livello di approfondimento; inoltre, l’ottica non è del tutto una scienza esatta, benché se ne siano interessati diversi illustri studiosi, come Leonardo, Newton, Einstein ed altri ancora, anche perché la percezione dei colori può avere variazioni individuali. I colori che percepiamo sono prodotti da un fenomeno di riflessione della luce sui corpi colpiti. La luce solare è composta da radiazioni di molte frequenze diverse, che vengono percepite dai nostri occhi come i vari colori dell’iride. La consideriamo bianca, poiché quando un corpo riflette contemporaneamente tutti i colori visibili della luce appare bianco. Quando un corpo appare nero è perché assorbe tutti i colori e non riflette nessuna frequenza dello spettro visibile. Se la superficie di un corpo riflette solo le frequenze di un certo colore e assorbe tutte le altre ci appare di quel colore, cioè un corpo appare rosso quando riflette la luce rossa, appare blu quando riflette la luce blu, e così via. Quando un corpo riflette contemporaneamente più colori si può verificare un complesso insieme di fenomeni, di riflessione, interferenza e diffrazione che dipendono anche dalla struttura della sua superficie e che possono produrre colori intermedi o diversi da quelli dei raggi incidenti. Queste diversità di assorbimenti e riflessioni si possono evidenziare con ben noti esperimenti: per esempio,

Nel triangolo centrale sono rappresentati i tre colori primari: giallo, rosso e blu, circondati dai triangoli dei tre colori secondari: verde, arancio e viola, mentre nella corona circolare esterna figurano i colori terziari in gradazione: i più caldi nel semicerchio a destra e i più freddi a sinistra

appiccicando delle cartine bagnate di diversi colori ad un vetro esposto al sole. La prima a cadere è quella nera, perché il nero non riflette ma assorbe tutte le frequenze, comprese quelle della luce infrarossa, che trasferisce calore e la fa asciugare rapidamente. Poi cadono quelle degli altri colori in successione, mentre l’ultima è la bianca, perché il bianco riflette tutte

le frequenze cromatiche e assorbe meno calore. Se il cruscotto della nostra auto è nero ma non lucido, non è per eleganza, ma perché non emettendo riflessi non ci infastidisce. In compenso, si scalda molto di più al sole. La neve invece è abbagliante (riflette tutto) e bisogna proteggersi con occhiali scuri adeguati, come dalla luce diretta del sole.

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Vespa di terra (Vespula germanica), foto: extensionaus.com.au

Possiamo verificare che la luce solare comprende tutti i colori dell’iride facendo un esperimento da scuola elementare, cioè facendo girare vorticosamente un disco colorato a spicchi dei colori dell’iride, che così apparirà bianco. Newton dimostrò in un importante esperimento che, facendo attraversare un prisma cristallino da un raggio di luce solare, si ottiene per rifrazione la scomposizione del bianco (spettro visibile della radiazione solare) proprio nei colori dell’iride. I colori, che sono poi quelli dell’arcobaleno, sfumano con continuità l’uno nell’altro ma vengono per convenzione raggruppati in sette fasce, benché non vi siano confini definiti scientifi-

Serpente corallo (Micrurus fulvius), foto: Floridensis.com, autore: Janson Jones

camente tra l’una e l’altra. Il numero sette venne forse utilizzato anche perché cabalistico e facile da memorizzare, tant’è che viene usato per i giorni della settimana, i peccati capitali, e tantissimo altro. Tradizionalmente i colori dell’arcobaleno vengono così distinti: rosso, arancio, giallo, verde, blu, indaco e violetto. Il violetto è prodotto da lunghezze d’onda molto corte e quindi ad alta frequenza, mentre il rosso è generato da onde più lunghe e quindi a più bassa frequenza. La vista umana ha dei limiti e come noto non possiamo vedere al di sopra del violetto (ultravioletto) né al di sotto del rosso (infrarosso). Quando parliamo di color “viola” rife-

Rana dorata o rana freccia (Phyllobates terribilis), foto: commons.wikimedia.org, autore: Marcel Burkhard

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rendoci a certi piumaggi, in qualche caso potremmo sbagliare, poiché potrebbe essere invece “violetto”. Infatti, il viola deriva dal miscuglio di pigmenti blu e rossi e riflette una lunghezza d’onda circa intermedia, a seconda delle percentuali dei due colori, comunque ben diversa dalla radiazione della luce violetto, che pure percepiamo come simile. Supponiamo che questo possa essere il caso del pappagallino ondulato apparentemente viola, ma che non ha pigmenti rossi (e neppure blu, che è colore prodotto da un effetto strutturale) e potrebbe quindi essere violetto. Per accertarlo occorrerebbero prove complesse che non ci risulta siano state fatte finora.

Salamandra infraimmaculata, foto: wikipedia.org, autore: Lior Fainshil


Certi animali possono avere uno spettro visivo diverso dal nostro. Molti uccelli vedono l’ultravioletto e alcuni animali che vivono al buio “vedono” anche l’infrarosso. Quindi, quando diciamo che una specie è priva di dicromatismo sessuale, cioè che maschi e femmine non hanno colori diversi, può darsi che questo non sia vero, poiché potrebbe esservi una differenza, per esempio una “sfumatura” dell’ultravioletto, che noi non possiamo vedere, ma gli uccelli sì. Certo non ci è dato sapere quali altri “colori” si celano alla nostra vista, per i limiti suddetti. Chiamiamo primari i colori dall’unione dei quali si possono ricavare tutti gli altri. Si distinguono in primari luce e primari pigmento: i primari luce sono rosso, blu e verde, mentre i primari pigmento sono rosso, blu e giallo. Non si tratta di differenze trascurabili, tutt’altro. Facendo convergere i fasci di luce dei tre primari luce rosso, blu e verde si ottiene il bianco, mentre mescolando i primari pigmento, cioè vernici, inchiostri, tempere, ecc. di colore rosso, blu e giallo si ottiene il nero. Ora, fra bianco e nero la differenza non è piccola! I colori che si ottengono mescolando i primari sono detti secondari o anche terziari se le unioni sono più di una, oppure si parla, secondo Boyle, di colori semplici e composti. Va detto che il verde, che è un primario nei colori luce, nei pigmenti è un secondario che si ottiene unendo giallo e blu. Il verde richiede cioè la presenza di un pigmento giallo, tranne che nel piumaggio dei Turachi, che hanno un vero pigmento verde, la turaco-verdina. A sua volta il giallo, primario nei pigmenti, nei colori luce è secondario e si ottiene unendo rosso e verde. Anche altre unioni danno effetti diversi fra i primari luce e pigmento. Per esempio, sovrapponendo due fasci di primari luce rosso e blu si ottiene il magenta (un rosa - viola vivace), mentre unendo pigmenti rosso e blu si ha il viola. Da notare che l’unione di pigmenti rossi e verdi dà un marrone ma che anche unendo tinte rosse e nere si ha un marrone.

Uccello del paradiso (Paradisaea raggiana), foto: commons.wikimedia.org, autore: David J. Stang

Aggiungendo bianco ai pigmenti si ottengono tutti i colori chiari, come azzurro (bianco più blu) o rosa (rosso più bianco), e così via.

Storno di Hildebrandt (Lamprotornis hildebrandti), foto: en.wikipedia.org, autore: Noel Feans

Ci sono anche dei trucchi: per fare apparire il bianco più splendente si mette una goccia di blu e magari anche di viola. Queste aggiunte minime non sono percepite dall’occhio come distinte ma danno l’impressione di un bianco più splendente, come desiderato. Ben lo sappiamo, per via dei piumaggi dei canarini bianchi che traggono giovamento da certi additivi messi nell’acqua del bagno. La miscela di pigmenti gialli e rossi dà l’arancio, che può avere diverse gradazioni, virando più verso il giallo o più verso il rosso a seconda delle rispettive percentuali. Ben lo sanno gli allevatori di canarini a fattori rossi che, oltre a ricercare il rosso più deciso con la selezione dei riproduttori (non abbastanza in verità), si aiutano con i coloranti. Si parla anche di colori freddi e caldi, dove per caldi ci si riferisce al rosso, all’arancio ed al giallo, generati dalle frequenze più basse (onde lunghe) mentre si dicono freddi il violetto, il blu, l’azzurro e il viola (a frequenze più alte). Altri colori si considerano di solito neutri, come pure il bianco e il nero. Sulla sensazione di caldo e freddo, cioè sulla maggiore o minore lunghezza d’onda, possono esserci delle sensibilità soggettive diverse, legate anche a toni particolari. Il giallo verdognolo, come il color limone nel canarino, è certo meno caldo del giallo oro. Colori neutri possono apparire più sul freddo se vicini a colori caldi, mentre se affiancati a colori freddi tendono più al caldo. Ci sono poi vari inganni ottici. Ben sappiamo che strisce orizzontali fanno apparire la figura più grossa, mentre le strisce verticali più snella. Il bianco ingrossa ed il nero snellisce, ben lo sanno le gentili signore. Una chiazza di colore caldo sullo sfondo di colore freddo appare più grande e vicina, mentre la superficie coperta da tinta fredda affiancata a una calda appare al contrario più piccola e lontana. Questo effetto di apparente sporgenza e rientranza viene utilizzato a scopo mimetico, per esempio per rompere e rendere confusa la sagoma umana nelle uniformi da combattimento, e appare

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anche nel manto o nel piumaggio di molte specie animali che alternano macchie chiare al fondo scuro: fra le tante, zebre, cerbiatti, storni, nocciolaie, quaglie. Ci sono poi i colori complementari, cioè quelli che sono opposti sul cerchio di Itten, che sono rosso e verde, giallo e viola, arancio e blu. Questi colori, se vicini, si esaltano reciprocamente. Un aspetto fisiologico particolarissimo è dato dal fatto che quando si fissa a lungo una figura e poi si strizzano gli occhi per un attimo vediamo la stessa figura nel suo colore complementare: nel caso fosse un

gli altri per il velenosissimo polpo ad anelli, i serpenti corallo, le salamandre pezzate e le raganelle tropicali dalla cui pelle gli indios ricavano il veleno per le loro frecce, ma anche per la tossica farfalla monarca americana e per le nostre comuni vespe gialle e nere. Di inganni ottici sappiamo qualcosa anche in canaricoltura, per esempio che i melanici a fondo bianco o avorio appaiono più bruni perché risulta più evidenziato il colore scuro. Nel piumaggio degli uccelli (ma non solo, anche per altre strutture in insetti e rettili) gli inganni ottici sono

Papa della Luisiana (Passerina ciris), foto: wikipedia.org, autore: Dan Pancamo

quadrato rosso, vedremmo un quadrato verde. Accostamenti cromatici vistosi si trovano in natura quando servono ad attirare l’attenzione (per esempio nel corteggiamento), a segnalare ai conspecifici l’affinità o a costituire segnale per l’orientamento del gruppo (si pensi al sottocoda bianco di molti cervidi, come il capriolo, o al codione bianco del ciuffolotto). Tinte sgargianti possono avere anche una funzione “aposematica”, se servono a dissuadere i predatori avvertendoli che chi le sfoggia è un animale pericoloso o tossico: vale tra

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frequenti, poiché esistono colori strutturali che non corrispondono al pigmento in sé ma sono prodotti da conformazione dell’epidermide, delle penne e delle barbule e possono apparire viola, violetto, blu, azzurro, verde. È stato citato più volte il caso della penna blu di pappagallo che al microscopio appare marrone scuro. I colori strutturali sono infatti prodotti appunto da strutture della penna, di regola nelle parti contenenti eumelanina. Queste conformazioni possono causare anche fenomeni diversi quali la diffusione, o scattering, e l’interferenza, né si può escludere qual-

che aspetto di diffrazione, ma non c’è rifrazione come, sbagliando, si sostiene a volte. Quando c’è interferenza si verificano molti effetti cangianti. Da effetti strutturali abbiamo nel canarino la tonalità limone e l’azzurrino di certe mutazioni (segnatamente l’opale). Nell’opale ci sono anche stranezze, visto che l’azzurro non si manifesta nei fondi bianchi e inoltre, nei piumaggi a fondo rosso intenso, non appare nelle strie ma può apparire nelle marcature. Sono fenomeni difficili da spiegare, ma che vanno almeno segnalati. Quello che appare evidente è che i granuli di eumelanina, per ottenere effetti azzurrini, debbano essere di ridottissime dimensioni o modificati. Particolarità ci sono anche in altri casi: sappiamo che puntini di colori diversi finiscono col confondersi e dare la visione di un altro colore. Questo fenomeno ha dato il via alla corrente pittorica del puntinismo, che poi ha aperto la strada al divisionismo. I quadri puntinisti ottengono l’effetto voluto se guardati da lontano: allora non si vedono, per esempio, i puntini rossi e gialli distinti, ma un diffuso arancione. A distanza ravvicinata si svela il trucco. È un effetto analogo a quello su cui si basa la televisione a colori e che si verifica nel mantello dei cavalli roani, nel pelame dell’aguti e nel piumaggio dello storno o della nocciolaia, che da lontano sembrano di tinta unita, perché le minuscole aree di colore diverso si fondono con quello prevalente delle penne e dei peli contigui. Per definire univocamente i colori nelle loro infinite sfumature sono stati proposti vari sistemi di classificazione, più o meno utilizzabili in campi diversi: alcuni sono maggiormente usati in certi settori industriali e commerciali, altri in campo artistico, ecc. Purtroppo, in queste classificazioni non sempre vi sono corrispondenze facilmente trasferibili nel linguaggio comune. Personalmente abbiamo una certa preferenza per la Tabella colori interattiva codice RGB in italiano, tuttavia sappiamo che è difficile mettere d’accordo tutti.


CRONACA

L’arte dell’allevamento ornitologico di SERGIO PALMA, foto S. PALMA e FOI

D

ue ordini di considerazioni portano verso una contrapposizione. Una fa notare che in natura è presente sia la regolarità di perfette geometrie e cromie, sia l’assoluta irregolarità di forme e colori. Nell’una o nell’altra l’espressione artistica è solo una mera questione di gusto. Si può sostenere che, comunque, ci sia artificio dove è presente l’intervento dell’uomo. Tutto quello che appare più naturale della natura stessa, ma costruito dall’uomo, è artificiale. Non è sul piano geometrico -

Il maestro sa di non sapere, l’allievo presume di sapere (proverbio cinese)

cromatico che si deve cercare la conciliazione tra artificio e natura, ma ad un livello diverso, molto più elevato. Qualcuno sosterrà che ogni artificio,

anche quello più lontano dalla natura, è in realtà un prodotto della natura stessa, se si parte dal presupposto che l’uomo stesso è un prodotto della natura. Da questo punto di vista allora, l’allevamento e la selezione del canarino non è inferiore ad altre forme d’arte esistenti. Superato il dubbio sulla presunta artificiosità delle forme dei Canarini di Forma e Posizione, si può affrontare quello relativo alla natura artistica. Un accostamento potrebbe essere fatto con l’arte della scultura o anche della pittura.

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Nell’allevare uccelli si seleziona, si allena, si modella. Nella scultura si lavora il materiale nella forma che si desidera, nella pittura si fissano i colori che si preferiscono. In tutti e tre i casi l’uomo lavora non imponendo una forma ma assecondando il materiale a sua disposizione. L’allevatore dirige la forma secondo il proprio progetto, assecondando la natura del materiale (uccelli) che fa riprodurre. Negli uccelli, tuttavia, la natura viva impone una più intima intesa tra uomo e soggetto. Il prodotto finale dell’allevamento è il risultato di una volontà esterna (uomo) e di una volontà interna (genetica). Volontà soggettiva che non può essere violata, elemento base sul quale si innesta l’azione dell’uomo, che deve accompagnare per molte generazioni i cicli di crescita degli uccelli dato che gli animali sono in evoluzione continua nella forma, nella taglia e nei colori. Non è statica, è opera d’arte vivente e vitale, che viene violata da chi è capace di manipolarla e che la deve accompagnare per tutta la vita nei vari cicli selettivi dell’evoluzione. L’uccello allevato in ambiente controllato, infatti, rientra a pieno titolo nel concetto di arte, poiché la presenza

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Nell’allevare uccelli si seleziona, si allena, si modella

dell’allevatore condiziona ed esalta le caratteristiche che più lo aggradano. L’allevatore, come un artista, deve sempre più ridurre l’esaltazione della propria centralità dando rilievo alla sua “opera d’arte”. È una vera complicità nella quale il ruolo primario è riservato al canarino. Potrebbe sembrare che con tecniche particolari l’uomo imponga una costrizione. In realtà, è soltanto un procedere nel massimo rispetto della fisiologia degli animali, ai quali si impone sin dall’inizio una strategia artisticoselettiva con lo scopo di ottenere degli apprezzabili risultati. Si può parlare di una condizione di totale simbiosi che permette di comprendere a fondo la natura dei soggetti selezionati. Ecco che l’intervento dell’allevatore diviene un agire all’interno stesso dell’esemplare che seleziona. Si può interpretare come estrinsecazione della personalità dell’alleva-

tore, una stabilizzazione della peculiarità principale alla quale si è data priorità nella selezione. Il selezionare allevando è una disciplina formativa, come ogni altra via di educazione. È anche osservazione della natura, con la capacità di cogliere ogni elemento capace di assoggettarsi al volere dell’uomo. Alcuni pensieri orientali dicono che anche la mente umana appartiene all’arte umana. Infatti, essa è capace di modellare pensieri, comportamenti, usi e abitudini. Gli uccelli destinati alla selezione rimangono natura inviolata in determinate caratteristiche. L’uomo, con il suo intervento, li inserisce in un contesto particolare, cercando di ottenere quello che più lo rappresenta nell’inconscio. Il fallimento di un progetto selettivo, per la mancanza dell’espressione di alcune peculiarità volute, rende possibile la comprensione profonda della natura, con l’esasperazione di caratteristiche salienti destinate a far implodere il progetto. Il diuturno impegno in allevamento ed il raggiungimento dell’obbiettivo concedono all’allevatore una tranquillità interiore di cui tanto si parla nella pet-therapy. Questo è uno dei


tanti esempi attraverso cui la natura, usata nei nostri laboratori di arte vivente, cede parti della sua pace all’uomo, che è capace di trasformare il frutto in progetti finalizzati. La tranquillità è infatti intesa come uno spazio mentale libero da preconcetti, un “vuoto” di sollecitazioni provenienti da esperienze diverse. In tal modo, il canarino si manifesta come prodotto dell’“arte”, grazie al vuoto che gira attorno alle sue piume ed alla gabbia. In tutto ciò qualcuno potrebbe eccepire l’eccesso di artificiosità, il distacco dalla wild-nature. In realtà, non si fa che esaltare l’armonia che, peraltro, si riscontra nella natura stessa ma che non appare perché sommersa dalla quantità di elementi che la costituiscono fino a che l’uomo non la estrapola con il suo acume, proprio attraverso la selezione. Se si osservano gli uccelli selvatici, le forme e le cromie, ci si accorge della quantità e

La serenità appare caratteristica primaria dell’allevatore

qualità estetiche dissimili che non possono essere percepite con precisione. Proprio nei nostri allevamenti è più evidente l’importanza dei dettagli e delle differenze tra soggetto e soggetto. La serenità appare caratteristica primaria dell’allevatore perché una selezione ben riuscita comunica la sicurezza di chi per anni ha operato contro avversità di ogni tipo. Infine, la profondità del pensiero strettamente associato a quello della tranquillità, indica la capacità di cogliere la natura nelle piccole differenze dei soggetti, portando a verifi-

care meccanismi nascosti della trasmissione genetica e della propria capacità di mettersi in discussione. La cura dei soggetti induce a una continua verifica delle proprie doti e delle proprie capacità. La profondità di pensiero è una caratteristica che interessa l’allevatore ma anche, allo stesso tempo, conduce ad evocare tutto ciò che non è scritto e riportato negli standard ma immediatamente percettibile dagli attenti osservatori, dalle situazioni ambientali e dall’insieme dei processi evolutivi dei soggetti allevati. I termini “estetica” e “bellezza”, nella loro principale accezione, hanno un significato molto soggettivo; se l’osservatore si limita a guardare con occhi staccati dalla percezione del sentimento, non è capace di cogliere le difficoltà e i disagi che l’allevatore ha incontrato nell’ottenimento della sua opera.

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ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

Le categorie a concorso che tutti vorrebbero testo e foto di CARMELO MONTAGNO (PRESIDENTE C.T.N. E.F.I.)

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edigere la composizione delle categorie a concorso rientra fra i compiti assegnati alle CC.TT.NN.

Cardinale ciufforosso (Paroaria coronata)

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Prima parte

È nostro dovere chiarire, ai lettori di Italia Ornitologica, quali siano i presupposti che stanno alla base delle scelte tecniche operate dalla CTN-EFI nella stesura delle categorie a concorso. Nutriamo la ragionevole consapevolezza di operare all’interno di un Collegio di Specializzazione, quello degli EFI (Estrildidi, Affini e loro Ibridi - Fringillidi Affini e loro Ibridi), molto particolare, ove si riscontrano delle peculiarità uniche che rendono questo collegio diverso da tutti gli altri (Canto, Lisci, Arricciati, Colore, Pappagalli). Infatti, la vastità delle possibili specie trattate, pari ad oltre 10.000 (escluse le sottospecie) suddivise in seno a 35 Ordini (escluso quello degli PSITTACIFORMES) e 240 Famiglie (escluse le 3 Famiglie degli Strigopidae, Cacatuidae e Psittacidae appartenenti all’Ordine degli PSITTACIFORMES) ci pone in una condizione di consapevolezza che né ora, né mai, potremo sognarci di dedicare una categoria a concorso ad ogni specie vivente, visto che ne servirebbero per l’appunto oltre 10.000 solo a fenotipo classico (escluse quindi le categorie dedicate alle mutazioni). Per forza di cose, quindi, ciascuna categoria a concorso, a parte quelle dedicate alle specie maggiormente allevate (Diamanti Mandarino, Gould, Passero del Giappone, Padda, Diamante Codalunga, Verdone, Organetto, Ciuffolotto, Cardellino, Lucherino, Cardinalino del Venezuela, Carpodaco Messicano, Lucherino Testa Nera etc.) non può essere riservata ad una singola specie potenzialmente allevabile ed esponibile nelle Mostre Ornitologiche. Sarebbe altresì


impensabile disporre le categorie a concorso accomunando fra loro specie provenienti dalla stessa località geografica (Regione? Nazione? Continente?) o, peggio ancora, raggruppandole in funzione della loro dimensione corporea. Fra la specie più piccola vivente, il Colibrì di Elena (Mellisuga helenae) del peso di 1,6 grammi, lungo 5,7 cm e la specie di uccello volatore più pesante, la Otarda (Otis tarda) del peso di 18 Kg, lungo 105 cm, esistono tutta una serie di specie, molto diverse fra loro, dalle dimensioni intermedie che provengono da ogni parte del mondo, e che non possiamo pensare di raggruppare in funzione della loro taglia o della loro provenienza geografica. Le categorie a concorso subiscono ogni anno uno screening molto serio. Si valutano le esigenze di ciascuna categoria a concorso esistente, in funzione del livello di partecipazione dei soggetti esposti in ognuna di loro. Prendendo ad esempio le categorie a concorso dedicate ai Fringuelli: - Fringuello Maschio - Fringuello Maschio Mutato - Fringuello Femmina - Fringuello Femmina Mutato durante gli ultimi due Campionati Italiani (Parma 2018 e Bari 2019) la categoria dei Fringuelli Mutati sia maschi che femmine è rimasta vuota: non è stato esposto nessun soggetto mutato. Mentre nella categoria dei maschi singoli a fenotipo classico, sono stati esposti 2 soggetti a Parma e 2 a Bari ed in quella delle femmine singole, sempre a fenotipo classico, 3 soggetti a Parma e 2 a Bari. Come potremmo mai proporre di allargare una siffatta categoria a concorso dei Fringuelli mutati visto che per due anni di fila non è stato esposto nessun soggetto nella loro categoria dedicata? Se, in un futuro prossimo, in tale categoria dei mutati si dovessero esporre a maggioranza soggetti agata, si potrebbe pensare di dedicare ai Fringuelli Agata una categoria loro riservata, sdoppiandola dalla attuale categoria generica Fringuelli Mutati. Si potrebbe obiettare che non si espongono soggetti mutati per il fatto che, non esistendo le categorie dedicate alle singole mutazioni (Agata, Bruno Isabella, Opale etc.), i partecipanti sarebbero

chiamati a gareggiare fra loro in maniera impari, dovendosi confrontare con le diverse mutazioni del fenotipo. La verità è che tali soggetti non hanno elevata presenza numerica nelle esposizioni, per il fatto che sono poco allevati e non tanto perché non è stata loro riservata una categoria per ogni mutazione! Per rendersene conto basta guardare i numeri dei Fringuelli che sono stati esposti nelle 2 categorie riservate al fenotipo classico negli ultimi due Campionati Italiani: 4 maschi e 5 femmine in due anni. Veramente pochi! Di solito le specie molto allevate vengono esposte senza remore, sia che esistano le categorie loro riservate nelle diverse mutazioni, sia che non esistano. Basti osservare le categorie riservate ai Verdoni o ai Cardellini. In queste specie sono presenti le categorie a concorso riservate alle mutazioni più allevate (Agata, Bruno, Mascherato, Lutino, Satiné, Isabella etc.). Se fosse

vero che gli allevatori non amano esporre i propri soggetti nelle categorie generiche, ci saremmo dovuti aspettare che per queste specie (Verdoni e Cardellini) nella categoria generica: ALTRE MUTAZIONI E COMBINAZIONI, non si sarebbero dovuti esporre soggetti. Invece anche le categorie generiche di queste specie molto allevate, sia all’ultimo Campionato Italiano di Parma 2018 che a Bari 2019, contemplavano soggetti esposti. Anche gli uccelli di grossa taglia (per lo più insettivori) soffrono di una simile carenza numerica espositiva. Infatti, in occasione del Campionato Italiano di Parma 2018, nonostante nella sezione G siano state dedicate 6 categorie a concorso per i singoli e 6 per gli stamm fra Tordi e Storni, i soggetti esposti sono stati soltanto 13 distribuiti su tutte e 6 le categorie a concorso. Addirittura, nella categoria Merli a fenotipo classico c’era un solo soggetto esposto,

Tordo Bottaccio Mutato (Turdus philomelos)

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così come nella categoria Merli mutati un solo altro soggetto. Nella categoria Storni a fenotipo classico addirittura, così come in quella Storni mutati, nessun soggetto esposto. Ancora peggio sono stati i numeri dei soggetti esposti a Bari 2019, nonostante nella sezione G siano state dedicate le medesime 6 categorie a concorso per i singoli e 6 per gli stamm; fra Tordi e Storni, i soggetti esposti sono stati soltanto 6 distribuiti su tutte e 6 le categorie a concorso. Nelle due categorie dedicate ai Merli, e nelle altre due dedicate agli Storni, non c’era esposto nessun soggetto, soltanto 3 soggetti esposti nella categoria Tordi Indigeni (escluso il Merlo) e 3 nella medesima categoria dedicata ai mutati. Se è vero che gli allevatori non espongono in quanto vorrebbero che si dedicassero delle categorie specifiche per ogni mutazione, come mai neanche le categorie a fenotipo classico trovano riscontro di partecipa-

Carpodaco striato o del Caucaso (Carpodacus rubicilloides)

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zione a concorso in queste specie? La verità è che queste specie sono molto poco allevate e allargare le categorie a concorso per incentivarne la loro esposizione non risolverebbe il problema. Durante il penultimo Campionato Italiano di Parma 2018, le categorie a concorso della specializzazione EFI risultavano suddivise in due sezioni, F (Estrildidi Affini e loro Ibridi) e G (Fringillidi Affini e loro Ibridi). Le sezioni O (Tortore e Colombi) e la P (Quaglie e Colini) sono risultate assenti dalla manifestazione per volere del Distretto Sanitario Locale. Le categorie della sezione F sono state pari a 133 singoli (e 133 stamm). Le categorie della sezione G sono state pari a 162 singoli (e 162 stamm). In totale sono stati presenti 295 categorie singoli (e corrispondentemente 295 categorie stamm). Nella sezione F non sono state partecipate soltanto 9 categorie di singoli su 133 esistenti (il 5,5%), mentre nella sezione G non sono state partecipate

soltanto 12 categorie di singoli su 162 esistenti (il 7,4%). In totale, fra le due sezioni a concorso, soltanto 21 categorie di singoli non sono state partecipate fra le 295 esistenti (il 7,1%). Statisticamente, una categoria viene definita partecipata allorché vi siano stati esposti soggetti almeno in una delle due categorie dedicate ai Singoli o agli Stamm. I dati statistici vengono riportati anche per rimodulare e correggere le categorie a concorso, eliminando per il futuro quelle non partecipate. Non potremmo invece mai pensare di eliminare una categoria a concorso Stamm (non partecipata) lasciando presente la corrispondente dedicata ai singoli (partecipata) o viceversa. Durante l’ultimo Campionato Italiano di Bari 2019, le categorie a concorso della specializzazione EFI, sono risultate suddivise invece su 4 sezioni: F - (Estrildidi Affini e loro Ibridi) con 142 singoli (e 142 stamm) G - (Fringillidi Affini e loro Ibridi) 183 singoli (e 183 stamm) O - (Tortore e Colombi) 8 singoli (e 8 stamm) P - (Quaglie e Colini) 6 singoli (e 6 stamm) In totale sono stati presenti 339 categorie singoli (e corrispondentemente 339 categorie stamm). Nella sezione F non sono state partecipate 18 categorie (fra singoli o stamm) su 142 esistenti (il 12,7%), mentre nella sezione G non sono state partecipate 30 categorie (fra singoli o stamm) su 183 esistenti (il 16,4%). Nella sezione O non sono state partecipate 5 categorie (fra singoli o stamm) su 8 esistenti (il 62,5%). Nella sezione P non sono state partecipate 3 categorie (fra singoli o stamm) su 6 esistenti (il 50%). In totale, fra le 4 sezioni a concorso, 56 categorie (fra singoli o stamm) non sono state partecipate fra le 339 esistenti (il 16,5%). Statisticamente, per gli stessi motivi esposti precedentemente, le categorie dedicate agli Stamm non rilevano ai fini del requisito di partecipazione dei soggetti a concorso, purchè la corrispondente categoria Singoli abbia avuto partecipanti (o viceversa). La CTN-EFI, ha dedicato MOLTA ATTENZIONE alla evoluzione delle categorie a concorso sin dal primo giorno in cui si è insediata (21/04/2018), ristrutturando-


ne i contenuti di cui alle attuali 4 diverse sezioni (F-G-O-P). Crediamo che per favorire un numero elevato di ingabbi nelle manifestazioni espositive, sia necessario potenziare le categorie a concorso creandone di nuove per invogliare gli allevatori ad esporre i soggetti che precedentemente non esponevano per svariati motivi: soggetti pezzati molto allevati e mai esposti; ibridi di sesso femminile che non potrebbero competere nelle medesime categorie dei maschi; categorie dedicate alle nuove mutazioni costrette a gareggiare nelle categorie ove primeggiano fenotipi piĂš allevati; rimodulazione delle categorie dedicate agli ibridi creandone di nuove per quei soggetti maggiormente allevati e che precedentemente risultavano inclusi in altre categorie dedicate a parentali generici; ibridi esponibili senza limite di etĂ per evidenziarne la loro valenza esclusivamente sportiva; ibridi Intragenere la cui esponibilitĂ era precedentemente vietata etc.. Queste ini-

ziali innovazioni, frutto di considerazioni ragionate, hanno potenziato taluni dei punti deboli cui soffrivano le categorie a concorso e siamo abbastanza fiduciosi

che a breve vedremo i frutti di queste scelte coraggiose, anche attraverso un incremento numerico dei soggetti esposti nelle manifestazioni espositive.

Organetto Bruno-Pastello x Ciuffolotto Bruno-Pastello (maschio)

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CANARINI DI FORMA E POSIZIONE ARRICCIATI

L’Arricciato del Sud testo e foto di EMILIO SABATINO

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el corso della riunione della CTN-CFPA, avvenuta il 3 Febbraio 2020, uno degli argomenti presi in considerazione è stato quello relativo al Canarino Arricciato del Sud e, in particolare, le voci “Taglia” e “Jabot”. Sull’Arricciato del

Arricciato del Sud bianco, all. A. Rosa

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Lo standard richiede piumaggio serico, abbondante, composto e con addome liscio

Sud si leggono e si commentano svariati articoli, dove viene descritto il suo comportamento, mite, tranquillo e socievole, che lo rende uno dei canarini più accattivanti e di leggendaria grazia tra tutti gli arricciati. Il suo carattere affabile ed adattabile ad ogni situazione lo rende tra i migliori riproduttori, tant’è vero che spesso si ricorre con successo alle sue prestazioni di balia come supporto a canarini poco o per nulla affidabili nella fase di imbecco dei pulli. Fino ad un decennio fa era possibile vedere nelle mostre ornitologiche soggetti con ottimi portamenti e Jabot, ma piccoli di taglia e con piumaggio insufficiente sia per quantità che per qualità tanto che, spesso, si faceva fatica a considerarlo un Arricciato del Sud. Lo standard richiede piumaggio serico, abbondante, composto e con addome liscio. La taglia prevede una lunghezza di 17/18 cm con proporzioni perfette. Oggi bisogna cercare di selezionare soggetti vistosi di taglia e ricchi di piumaggio; infatti, si può affermare che, se per i connotati “Taglia” e “Piumaggio” c’è stato un netto miglioramento, per gli altri connotati è avvenuto l’opposto e, in particolare, per ciò che concerne la voce “Jabot” (cestino, acquasantiera o nido di rondine). Questo risulta spesso confuso, aperto e poco profondo. Anche il collo, con piumaggio scomposto ed “incravattato”, si associa sempre più spesso al cestino “aperto”, perché le piume di entrambi provengono dallo stesso “pterilio” (nello specifico, si tratta rispettivamente dello “pterilio ventrale del tratto unico” e dello “pterilio ventrale del tratto doppio”). Quei pochi soggetti che presentano


collo liscio, pulito e cestino chiuso, spesso peccano nella taglia e, di conseguenza, nel piumaggio, evidenziando spesso fianchi e spalline striminziti. La dimostrazione di quanto affermo si è avuta a Bari, in occasione del Campionato Italiano, dove c’erano numerosi soggetti apprezzabili, ma con piumaggio scomposto nel collo e Jabot, tanto è vero che ha vinto un soggetto grazioso, pulito di collo e Jabot ma appena in taglia. Comprendo e capisco che la risposta a tutto ciò non sia facile, ma una risposta bisogna pur darla “chiara e determinata”, perché altrimenti si potrebbe incorrere nel rischio di vedere diminuire l’allevamento e l’interesse per questa splendida razza che, con Nord e Parigino, è fra le più antiche di tutte le razze di Arricciati. Come suggerimento, come umile consiglio, direi di evitare di formare coppie con gli stessi difetti e le stesse tare, ma preferire nei limiti del possibile sempre soggetti di buona qualità, fermo restando che anche da tali accoppiamenti non si ha sempre prole di ottima fattura. Bisogna sempre accoppiare soggetti a piumaggio in-

tenso con altri a piumaggio brinato, a prescindere se si tratti di soggetti a lipocromo giallo o bianco, oppure se siano bruni, verdi o ardesia. Alcuni anni fa l’Arricciato del Sud ha attraversato un periodo di semi-crisi mentre, adesso, sta tornando agli antichi splendori. Poiché è un arricciato di “posizione”, bisogna ricordare il suo portamento a sette (7) che dà al canarino una eleganza e tipicità uniche. Se poi questa peculiarità si associa a testa, collo e Jabot puliti, siamo in presenza di un eccellente soggetto. Non va dimenticato, o sottovalutato, il giudizio sugli arti inferiori. Questi, infatti, devono essere lunghi, massimamente estesi, e non flessi. Un dettaglio importante da tenere in considerazione è la testa, piccola e “serpentiforme”, che deve essere omogenea al corpo ed al collo proteso in avanti quasi orizzontalmente, a determinare così, un canarino elegante, aggraziato ed armonico. Nella gran parte degli Arricciati del Sud, dove esiste armonia e pulizia di piumaggio (senza “toelettatura”), la posizione eretta del soggetto esalta ancora di

più le spalline simmetriche e voluminose, ed i fianchi che devono essere anch’essi voluminosi, folti, ampi e ricurvi verso l’alto fino ad oltrepassare il margine delle spalline. Anche se la CTN volesse intervenire su modifiche da apportare ad alcune voci della scheda di giudizio, ciò non sarebbe possibile in quanto lo “standard” lo detta la Francia. Ciò che è stato possibile modificare, sotto suggerimento di molti allevatori, è la sostituzione dell’anellino da B a X (da diametro 2.9 a diametro 3.1), in quanto si è riscontrata una evoluzione della taglia, con soggetti grossi e ben impiumati. Ho cercato, nei miei limiti, di descrivere al meglio le caratteristiche di questo meraviglioso ed elegante canarino, con l’auspicio che tutti i cultori ed allevatori trovino in questo hobby, oltre ad uno spirito competitivo, una collaborazione di gruppo ed una sana amicizia, che ci accomuna in questa passione e ci consente di allevare. La CTN, di cui sono membro, è sempre disponibile a confronti e dialoghi costruttivi e collaborativi.

Arricciato del Sud verde, all. E. Sabatino

Arricciato del Sud giallo, all. A. Rosa

Arricciato del Sud ardesia pezzato, all. E. Sabatino

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O rniFlash Loro Parque contribuisce a reintroduzione di sei Ara

News al volo dal web e non solo

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a Loro Parque Fundación ha recentemente contribuito alla reintroduzione di sei esemplari di Ara di Buffon dell’Ecuador (Ara ambiguus guayaquilensis) nel loro habitat naturale, un successo che è stato possibile grazie al lavoro della Fondazione Jocotoco e alla collaborazione di altre associazioni e comunità locali. Questa sottospecie è gravemente minacciata e solo 60 esemplari sono stati censiti in natura. Pertanto, l’obiettivo è aumentare questa piccola popolazione e la sua diversità genetica e, quindi, essere in grado di salvare la sottospecie dall’estinzione più che probabile. In questo caso, il rilascio di queste tre coppie nate nel Jambelí Rescue Center ha avuto luogo a Las Balsas, a Santa Elena, perché due esemplari precedentemente reintrodotti erano stati avvistati in quella zona, coesistendo con altri selvatici. Come avviene di solito in questi processi, i sei soggetti sono stati prima sottoposti a una fase di preadattamento, durata più di cinque mesi, nella riserva di Ayampe della Fundación Jocotoco. Lì, i maschi disponevano di localizzatori satellitari per determinare la loro area di distribuzione, i luoghi di riproduzione e alimentazione, ecc. Grazie a questi moderni sistemi di localizzazione satellitare, il tracciamento di queste Ara nella giungla ecuadoriana sta permettendo di ottenere importanti dati scientifici per la protezione non solo di questa sottospecie, ma anche di molti altre tra cui piante, insetti o persino anfibi. Fonte: Ufficio Stampa Loro Parque Fundación

Identificata nuova specie vissuta tra 6 e 9 milioni di anni fa

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na nuova specie appartenente agli pteroclidi, una famiglia di uccelli prevalentemente terricoli, vissuta tra 6 e 9 milioni di anni fa è stata identificata da un team di ricercatori dell’Istituto di paleontologia e paleoantropologia dei vertebrati (IVPP) dell’Accademia Cinese delle Scienze. I paleontologi hanno effettuato la scoperta analizzando resti fossili ritrovati nella provincia di Gansu, Cina occidentale. Secondo i ricercatori questa scoperta indica la presenza di habitat aridi nei pressi dei bordi dell’altopiano tibetano mentre quest’ultimo continuava ad innalzarsi a seguito dello scontro tra le due placche tettoniche, quella dell’Asia e quella dell’India. Nello studio, pubblicato su Frontiers in Ecology and Evolution, viene descritta la nuova specie denominata Linxiavis inaquosus. I resti sono rappresentati da un fossile parziale dello scheletro che comunque comprende le parti più importanti del corpo tra cui le spalle, le ossa di entrambe le ali, le vertebre e parte di una zampa. Mancano purtroppo resti della testa. Si tratta in ogni caso di una scoperta molto importante perché è l fossile più completo tra quelli mai scoperti appartenenti al gruppo degli pteroclidi, oltre ad essere il fossile più antico mai individuato di questo gruppo. Gli pteroclidi sono una famiglia a cui oggi appartengono 16 uccelli viventi, appartenenti ai generi Syrrhaptes e Pterocles. Questi uccelli vivono nelle aree più aride dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa e ciò ha lasciato pensare che il luogo dove sono stati ritrovati i resti del Linxiavis inaquosus, situato a oltre 2000 metri sul livello del mare, fosse altrettanto arido durante il periodo in cui è vissuto questo uccello (tardo miocene). Secondo i ricercatori, questi uccelli rifornivano i propri piccoli di acqua trasportandola da zone distanti nelle loro piume. Fonte: https://notiziescientifiche.it/identificata-nuova-specie-di-uccellovissuto-tra-6-e-9-milioni-di-anni-fa-nellaltopiano-tibetano/


O rniFlash I fenicotteri stringono lunghe amicizie fenicotteri, secondo un nuovo studio, possono stringere amicizie che durano per anni, denotando una certa complessità delle strutture sociali. È quanto rivelato da uno studio pubblicato sulla rivista Behavioural Processes. Per cinque anni i ricercatori dell’università di Exeter hanno osservato quattro specie di fenicotteri al Wwt Slimbridge Wetland Centre, riserva faunistica vicino a Slimbridge, nella contea inglese di Gloucestershire. Gli scienziati hanno documentato una vasta gamma di legami sociali, dai rapporti monogami, alle amicizie tra esemplari dello stesso sesso e persino la formazione di gruppi di tre o quattro amici intimi. Le abitudini gregarie dei fenicotteri sono note da tempo, sono infatti animali dalla spiccata socialità che vivono abitualmente in stormi molto numerosi. La nuova ricerca ha però scoperto che, nonostante vivano in grandi stormi, i fenicotteri trascorrono costantemente del tempo con specifici “amici”. Non solo, evitano anche deliberatamente alcuni individui, dimostrando di non andare d’accordo con tutti i fenicotteri dello stormo. Proprio come gli esseri umani, sembra che i fenicotteri stringano legami sociali per una serie di ragioni, e queste amicizie durature, hanno ipotizzato gli scienziati, potrebbero essere importanti per la sopravvivenza in natura. Le scoperte dei ricercatori, oltre ad ampliare la nostra conoscenza delle capacità cognitive e sociali dei fenicotteri, aiutandoci ad aggiungere un tassello alla nostra conoscenza degli uccelli, che, come classe, esistono da più di cento milioni di anni, possono essere importanti nella gestione dei fenicotteri in cattività. Fonte: https://www.lifegate.it/persone/news/fenicotteri-stringono-lunghe-amicizie

Gli uccelli che apprendono nuovi comportamenti hanno meno probabilità di estinguersi

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li uccelli hanno in vari modi adattato – e ottimizzato – le loro abitudini di sopravvivenza grazie agli umani. Ora un nuovo studio ha scoperto che uccelli in grado di cambiare il loro comportamento hanno meno probabilità di estinguersi di quelli che non si adattano. Questi adattamenti possono includere l’incorporazione di nuovi alimenti nella loro dieta o lo sviluppo di nuove tecniche di caccia, ha affermato un team di ricercatori dell’Università McGill in Canada e CREAF a Barcellona, Spagna, in uno studio pubblicato di recente. Tali comportamenti innovativi sono una misura della “plasticità comportamentale” che è stata a lungo considerata utile nel prevenire l’estinzione. Per testarlo a livello globale, gli scienziati hanno analizzato i rapporti sui nuovi comportamenti tra le specie di uccelli e li hanno confrontati con il livello di rischio per ciascuna specie nella Lista rossa dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN). Lo studio – interamente pubblicato sulla rivista Ecologia ed evoluzione della natura - include oltre 3.800 nuovi comportamenti tra 8.600 specie di uccelli e ha concluso che il rischio di estinzione diminuisce all’aumentare del numero di nuovi comportamenti. Tuttavia, gli autori hanno sottolineato che l’innovazione può solo proteggere gli uccelli dai cambiamenti nel loro habitat e non dalla caccia eccessiva o dalle minacce da specie invasive. Fonte: https://diconews.com/gli-uccelli-che-apprendono-nuovi-comportamentihanno-meno-probabilita-di-estinguersi-secondo-i-risultati-dello-studio/

News al volo dal web e non solo

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CRONACA

Il Canarino Matusalemme testo e foto di FEDERICO VINATTIERI

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on vi nascondo che quando la Signora Giada Masoni mi contattò, dicendomi che sua madre era la proprietaria di un canarino di 26 anni, pensai subito, in tutta sincerità, che si trattasse del solito sensazionalismo che la maggior parte delle persone si convince di possedere, ma che poi in realtà finisce per essere solo una falsa convinzione. Quando poi, per mera curiosità, ho voluto indagare più a fondo e chiedere chiarimenti, ricevendo per risposta le foto del soggetto e la storia completa di questo canarino, mi son dovuto ricredere ed ho capito che era tutto vero. È esatto, avete capito bene... non è un errore di battitura, quel Canarino ha veramente la veneranda età di 26 anni. Un primato che ha quasi dell’incredibile. Tra i tanti racconti ed aneddoti che nel corso degli anni ho raccolto dai vecchi allevatori che ho frequentato nell’ambito dell’Associazione Fiorentina Ornitologica, si parlava anche di alcuni canarini vissuti fino a 20 anni circa, in una casa borghese di Firenze nel secolo scorso... ma penso francamente che i 26 anni di questo soggetto siano un vero record per un canarino. In realtà la sua età è forse maggiore, poiché fu acquistato già da adulto. Teoricamente potrebbe anche essere già al suo 30° anno di vita, ma noi basiamoci sulle certezze, e queste certezze ci vengono date dalla Sig.ra Giovanna Francalanci, madre di Giada, che è assolutamente certa dell’età minima di questo pennuto.

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L’anziano canarino di 26 anni

Teoricamente potrebbe anche essere già al suo 30° anno di vita


Veniamo alla storia di questo eccezionale uccellino. Correva l’anno 1994 ed era precisamente il giorno 8 dicembre. Nel giorno dell’Immacolata si svolgeva a Santa Croce sull’Arno, in Provincia di Firenze, la fiera paesana nella quale vi era anche quello che in Toscana viene definito “l’uccellaio”, ossia il venditore di volatili e vari animali domestici. Fu proprio in questo stand che la Signora Lori, madre di Giovanna, acquistò “Pippo”, così venne da lei battezzato questo canarino. Un comunissimo canarino di colore giallo. Fu un colpo di fulmine. Questa anziana signora adorava questo canarino ed era affascinata dal suo canto melodioso. Un maschio quindi, senza ombra di dubbio, visto che non smetteva mai di cantare. Gli anni passarono. Nel 2008 l’anziana signora venne a mancare ed il canarino fu ereditato dalla figlia Giovanna. Quest’ultima lo ha mantenuto con una tale dedizione che farebbe invidia a qualunque ornicoltore. Pulizia quasi maniacale della gabbia e del canarino stesso, con bagno quotidiano, collirio negli occhi, taglio delle unghie, lavaggi delle zampe con Amuchina, qualche ora di sole ogni giorno... pur mantenendo sempre la medesima gabbia, mai cambiata dall’origine e lo stesso telo che la madre utilizzava per coprirla durante le ore notturne. La mia curiosità si è subito concentrata su quale fosse stata l’alimentazione di questo soggetto per quasi tre decenni. La Sig.ra Giovanna me l’ha descritta minuziosamente: semi con frutta essiccata all’interno, quelle normalissime scatoline che vengono vendute anche al supermercato... poi uno spicchio di mela ed una foglia di insalata. Oltre a questi, sempre a disposizione il “biscottino”, del quale il canarino va ghiotto tutt’oggi, talvolta alternato con la classica stecca di semi e miele, anch’essa facilmente reperibile nei supermercati. “La foglia di insalata mai scura però” sostiene la Sig.ra Giovanna - “perché

La mia curiosità si è subito concentrata su quale fosse stata l’alimentazione di questo soggetto per quasi tre decenni

solo se chiara viene apprezzata da questo canarino.”

“Sul fondo della gabbia solo carta da cucina assorbente colorata, e mai quella bianca, perché altrimenti lui non scende volentieri” - sostiene la proprietaria, che conosce attentamente le abitudini dell’uccellino. Mai somministrato nessun genere di vitamine o altri integratori, men che mai medicinali di alcun tipo. Tutto al naturale. Questa, evidentemente, è la ricetta per una lunga vita. D’inverno la gabbia non viene mai spostata all’esterno, solo durante la

La Sig.ra Giovanna Francalanci con il suo affezionato Canarino

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"Pippo", il canarino di 26 anni

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bella stagione vengono concessi dei “bagni di sole”. Queste le parole della Sig.ra Giovanna, che parla di questo canarino come di un vero e proprio membro della sua famiglia: “Tutti gli anni lo portiamo con noi in vacanza in montagna, ad oltre 1100 metri di altitudine, a Pian di Novello, una località nei pressi di Abetone Cutigliano, in Provincia di Pistoia, e trascorre le ferie con noi per tutto il mese di agosto. Ogni mattina lo chiamo e lui si sveglia”. Nonostante tutti gli acciacchi della vecchiaia ed una recente paresi alla zampa sinistra, questo canarino continua a stupire per la sua straordinaria voglia di vivere. Una storia semplice, dunque, una storia ricca di amore e di passione, una storia che deve farci riflettere sul fatto che trattar bene i nostri animali può significare assicurare loro una vita lunga e felice.


CRONACA

Specie alloctone dannose

Allarme Ibis sacro

In Egitto nell’antichità era una specie ritenuta sacra ed aveva un ruolo rilevante nella religione

di ROBERTO BASSO, dati e foto CIVICO MUSEO DI STORIA NATURALE DI JESOLO e G. BOANO

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Ibis sacro (Threskiornis aethipicus) è un pelecaniforme della famiglia dei Treschiornitidi. Specie inconfondibile per il suo candido piumaggio: zampe, becco e collo nudo, nero, come pure le egrette sul dorso degli adulti. Solo l’estremità delle ali è bordata di nero, carattere distintivo che ben si nota quando sono in volo, anche a distanza; inoltre, nella specie sono stati più volte riscontrati casi di melanismo totale. In periodo riproduttivo alcuni adulti possono assumere delle macchie rossastre sulla pelle nuda della testa e del collo; anche sotto le ali appaiono aree ascellari rossastre che si estendono lungo tutta l’ala. Ha un’apertura alare di 110 – 120 cm e può raggiungere il peso di 1 – 1,20 kg. Vola con il collo e il robusto becco protesi in avanti e tiene le zampe allineate al corpo, sporgenti oltre la coda. È una specie che ha una marcata adattabilità a tutti gli ambienti umidi: acquitrini, paludi, fiumi, risaie e anche spiagge in prossimità di foci di fiumi; in ambiente controllato può vivere fino a 19 anni. È specie che si ritrova frequentemente lungo le sponde del Nilo, dell’Eufrate, del Tigri e del Niger, ed è oggi diffusamente presente nell’Africa settentrionale e in Iraq, mentre anticamente era presente anche in diversi stati del Nord Africa, dove è stata perseguitata fino a portarla all’estinzione a causa dei danni che creava nelle peschiere e ai pulcini degli animali di bassa corte, da sempre importanti per la sussistenza nei villaggi delle famiglie locali più povere.

Ibis sacro in volo; si noti l’inconfondibile bordatura nera sul margine delle ali Esemplare adulto di Ibis sacro su un tipico posatoio

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In Egitto nell’antichità era una specie ritenuta sacra ed aveva un ruolo rilevante nella religione: le sue immagini erano associate al dio Thot e veniva considerato un animale puro, simbolo di intelligenza e reincarnazione, in quanto si cibava anche di cadaveri. È presente con due sottospecie diverse in Madagascar e nell’atollo corallino di Aldabra. Negli ultimi trent’anni si è naturalizzato in diversi stati europei, in particolare Italia, Francia, Belgio e Spagna a causa di fughe mirate o irresponsabili liberazioni. I francesi, resisi conto del grave impatto che ne subiva l’endemica biodiversità, hanno provveduto alla sua eradicazione, ritenendola specie alloctona invasiva, causa di rilevanti predazioni alla fauna autoctona più vulnerabile: in soli 12 mesi è stata eradicata da tutto lo Stato. La Francia ha ritenuto così di concretizzare un elevato senso di responsabilità e interesse verso le specie endemiche più vulnerabili e a rischio di estinzione. È stato dimostrato che, nel giugno del 2004, nell’ovest della Francia una sola coppia nidificante di Ibis sacro abbia predato, azzerandone la riproduzione, un’intera colonia di 30 coppie di Beccapesci (Thalasesus sandvicensis), nutrendosi delle loro uova. La stessa sorte è toccata a diverse altre specie durante il loro delicato periodo riproduttivo: sterna comune, cavaliere d’Italia, pavoncella, gallinella d’acqua, tarabusino, tuffetto, germano reale; per non parlare poi delle garzaie, dove si insidia per nidificare tentando, anche predandone uova e pulcini, di scacciare tutte le altre specie presenti. Ed è così che spatole, mignattai, sgarze ciuffetto, garzette e aironi guardabuoi abbandonano i siti dove da anni sono state istituite oasi proprio per tutelare e facilitare la loro presenza e nidificazione estiva.

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Antica statuetta egizia dell’età tolemaica in bronzo e legno raffigurante un Ibis sacro, attualmente esposta al Museo Gregoriano Egizio di Roma

Immagine che evidenzia forma e colorazione delle uova

L’Ibis sacro depone solitamente 2/3 uova biancastre di forma ellittica allungata, che verranno covate solo dalla femmina, che ha anche il ruolo di alimentare i piccoli; il nido è composto da rami grossolanamente intrecciati al fine di creare una piattaforma quasi sempre aerea, ma può nidificare anche al suolo. L’incubazione dura dai 23 ai 25 giorni. La nidificazione è quasi sempre caratterizzata dalla costituzione di piccole colonie, ma vi sono stati casi sul Nilo di colonie anche con 200/300 nidi. I maschi adulti e dominanti formano un harem di femmine, sottraendole anche ad altri maschi con cui scatenano cruente lotte; durante queste ripetute sfide rischiano di distruggere piattaforme di altri nidi vicini, mentre il tutto è rumorosamente amplificato da striduli gorgheggi e colpi di becco. Se nei loro paesi di origine hanno

diversi nemici naturali, coccodrilli, varani, serpenti e soprattutto babbuini, risaputi razziatori di uova e pulcini, in Europa invece non ha predatori naturali di contenimento e questo è uno dei fattori che gli ha consentito l’esponenziale incremento numerico. Di abitudini gregarie, erratiche ed anche migratorie, in autunno e d’inverno si possono osservare branchi composti da decine di esemplari. Specie onnivora, di grande adattabilità alimentare, si ciba di piccoli pesci, anfibi, rettili, molluschi, crostacei e micromammiferi, privilegiando uova e pulcini di altre specie. È stata anche ampiamente documentata la sua adattabilità a cibarsi presso immondezzai di carcasse o carogne. Il becco molto robusto frantuma il carapace di gamberi, granchi, chiocciole e persino tartarughe acquatiche. In Italia la specie è in forte incremento numerico e rapida espansione territoriale. Nella sola Regione Piemonte nel 2019 si stima una popolazione di circa 10.000 individui; parrebbe che questa densità sia stata raggiunta in poco più di 30 anni, problema che sta interessando anche le Regioni Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Lazio; difatti, la specie sta progressivamente spostandosi e colonizzando il centro – sud Italia. Nel delta del Po, Legambiente ha lanciato diversi messaggi di allarme e preoccupazione invitando gli organi competenti, ovvero regioni e ministeri, ad intervenire con misure drastiche di contenimento. In pressoché tutte le oasi naturalistiche ove negli anni si sono costituite colonie nidificanti di ardeidi, sono stati rilevati casi di predazione e impoverimento delle stesse a causa della presenza dell’Ibis sacro. Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio comunicava nell’aprile 2017:


Dettagli del becco in una preparazione tassidermizzata. Collezione di studio Civico Museo di Jesolo

“Eradicazione dell’Ibis sacro (Threskiornis aethiopicus) – Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio 114/2014 del 22 ottobre 2014, recante disposizioni volte a prevenire ed a gestire l’introduzione e la diffusione di specie esotiche invasive. Il regolamento di Esecuzione n. 2016/1141 dell’Unione Europea, recante prima lista di specie esotiche invasive di interesse unionale, include l’Ibis sacro (Threskiornis aethiopicus). Ai sensi del Regolamento 1143/ 2014 tutti i Paesi dell’Unione Europea devono provvedere all’eradicazione o, laddove non possibile, al controllo efficace della popolazione delle specie esotiche invasive di interesse unionale…” “…La Legislazione vigente, attraverso gli art. 2 e 19 dell L. 157/92, affida alle Amministrazioni regionali il compito di impostare gli interventi di eradicazione e controllo in forma coordinata e organica. Per quanto sopra esposto, e tenu-

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Bel primo piano di un soggetto adulto intento ad alimentarsi

to conto che per il momento gli esemplari di Ibis sacro in Italia nidificano nelle Regioni settentrionali, si chiede alle Amministrazioni in indirizzo di voler porre in essere ogni utile ed efficace

Foto di Giovanni Boano

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iniziativa per l’eradicazione della specie, anche avvalendosi della consulenza tecnica dell’ISPRA”. Successivamente l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricer-

ca Ambientale), in data 31/05/2017 esprimeva un parere su “Eradicazione IBIS Sacro Piemonte”: nel contenuto della missiva vengono argomentati vari aspetti e indicazioni tecnico operative. Il Piemonte già in quella data aveva la popolazione di Ibis sacri più numerosa d’Italia, pertanto segnalava necessità di attivare con urgenza operazioni di contenimento della popolazione, suggerendo inoltre di considerare “… l’abbattimento sul nido in fase di incubazione, con carabina calibro 22 in modo da escludere effetti di disturbo all’intera garzaia…”; sempre l’ISPRA richiedeva un fattivo coinvolgimento dei guardiaparco delle aree protette interessate. Non bisogna però dimenticare che in Italia è vietato l’uso della carabina cal. 22, “come anche del silenziatore”, a differenza degli altri Stati europei dove è liberalizzato come qualsiasi altro calibro e il silenziatore è di frequente in dotazione per casi o situazioni di prelievo che hanno criticità. Per tutta una serie di complicazioni tecnico – burocratiche e per mancanza di fondi, parrebbe che le Regioni abbiano disatteso queste indicazioni date dal Ministero dell’Ambiente e dall’ISPRA. Pertanto, oggi l’Italia rischia di incorrere in sanzioni da parte della Comunità Europea per aver trascurato aspetti legislativi e preventivi rivolti alla tutela della nostra biodiversità e quella degli Stati confinanti. Non bisogna lasciarsi ingannare dall’attraente piumaggio e comportamento di questa specie invasiva, bensì considerare l’impatto fortemente negativo che sta producendo a danno della nostra biodiversità. I fondamentalisti/animalisti che non hanno basi zoologico–scientifiche e che si lasciano emotivamente condizionare da sentimentalismi privi di giustificazioni etico–morali, ancora una volta dovrebbero prendere esempio dai colleghi ambientalisti e naturalisti d’oltralpe che hanno dimostrato e dimostrano ben maggiore sensibilità e responsabilità nella tutela del bene più prezioso che abbiamo, ovvero “l’endemica biodiversitá”.


Ornitologia multi federale Tra pluarlità e presa di partito inseguendo il modello spagnolo

E

ra dopo gli esami di terza media quando mio padre mi regalò la mia prima coppia di canarini, credo fosse il 1996 ed avevo 13 anni. Da allora, solamente nel 2018 ho deciso di diventare un allevatore federato e l’ho fatto in Spagna, dove vivo dal 2015. Era da tanti anni che volevo dei cardellini e le leggi locali finalmente mi permettevano di allevarli con delle restrizioni ma senza le complicazioni burocratiche che abbiamo in Italia. I miei primi anellini riportavano il “numero di allevatore nazionale” (quello che in Italia chiamiamo RNA) FA-68 e con quelli inanellai i pulli che nacquero da un paio di coppie, cedute da un amico. Per due anni l’allevamento andò bene fino a quando alcuni fattori esogeni mi stancarono e mi spinsero a lasciare. Allevare all’aperto come nel mio caso implica che i cardellini inizino le cove molto tardi ed entrino in conflitto con momenti dell’anno in cui si è più fuori in vacanza che a casa. A complicare le cose c’è che a Barcellona (città in cui vivo) la vigilia di S. Giovanni sia tradizione sparare petardi dal pomeriggio fino a sera inoltrata, cosa che puntualmente pagavo con nidiate finite sul fondo della gabbia. Altra cosa che non amavo molto è che il mondo della fauna mediterranea fosse popolato da personaggi amanti della cattura fuori dalle norme. È vero che si trattava di una (folta) minoranza ma era il tipo di elementi che si faceva più notare nel gruppo di allevatori a cui mi ero aggregato e non mi piaceva. Nel 2019 ho deciso quindi di tornare ai canarini e di iscrivermi alla FOI. La ragione dell’iscrizione è stata puramente affettiva e spinta dal piacere di volermi unire all’Associazione Ornitologica Fata Morgana di Reggio Calabria, di cui mio nonno fu uno dei soci fondatori nel 1964. Nel frattempo in Spagna al cambiare associazione scopro… di non avere un numero di allevatore nazionale. Perché? Incominciare questo articolo raccontando per sommi capi che ho allevato per tanti anni prima di federarmi è stato solamente un preambolo avente lo scopo di spiegare non solo che sono un allevatore che finora ha sempre mantenuto dimensioni amatoriali (le circostanze della vita finora non mi hanno dato alternativa) ma, soprattutto, che sono sempre stato lontano dagli ambienti della politica ornitologica. In meno di un anno, grazie alle due associazioni di cui ora faccio parte, ho conosciuto molti allevatori di grande livello,

ho iniziato a leggere molto e ad accorgermi di tante cose sulle quali, benché io sia distante, sia stato costretto a farmi un’idea che voglio condividere. Politicamente la Spagna è un Paese in cui le regioni (le chiamano comunità autonome) hanno competenza su una quantità tale di cose da sembrare tutte regioni a statuto speciale. Questo tipo di equilibrio politico arriva a radicarsi in vari settori inclusa l’ornitologia, in cui tutto è frammentato. Le associazioni rispondono a delle federazioni regionali (ce n’è più di una per regione) e queste a delle federazioni nazionali (anche di queste ce n’è più di una). In Spagna esistono la COE (Confederación Ornitológica Española), la FOCDE (Federación Ornitológica Cultural Deportiva Española) e la FOE (Federación Ornitológica Española), tutte gravitanti nell’universo di COM España ma indipendenti fra di loro. Così arriva la risposta alla domanda di prima: perché non ho più un numero di allevatore nazionale? Semplice, perché mi sono iscritto ad un’associazione situata sotto l’ombrello di una federazione nazionale differente da quella dell’associazione precedente e devo rifare tutto da capo. La frammentazione che introduce l’esistenza di queste federazioni in Spagna ed il modo in cui agiscono in forma completamente autonoma, non costituisce a mio vedere un beneficio per l’ornitologia ed è un forte motivo di scontento per gli allevatori spagnoli, per le ragioni che sto per spiegare. Fuori dalla Spagna, probabilmente si penserà che nel Paese che più medaglie ha raccolto al mondiale di Matosinhos le mostre locali siano delle grandi competizioni: in realtà non è così. La divisione interna fa che esista un grande quantitativo di mostre, alcune delle quali spesso non arrivano ai 200 ingabbi. Secondo le voci raccolte qua e là (non sono in grado di dimostrarne la veridicità), inoltre esisterebbe un conflitto personale fra i presidenti delle due federazioni spagnole più importanti a causa del quale sarebbe impossibile qualsiasi relazione tra le due entità. Qual è il risultato? Due campionati nazionali a cui gli spagnoli partecipano in funzione della federazione di appartenenza. Non è raro leggere lamentele sulle reti sociali, perché avere due campionati nazionali non fa altro che dimezzare il prestigio del titolo, dimezzare la competizione, dividere tutto per due, dividere gli allevatori fra loro. Gli allevatori spagnoli non ne sono affatto

Lettere in Redazione

di F RANCESCO AMBUSTO

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contenti nonostante abbiano la libertà di pagare più di una quota, federarsi dove vogliano e partecipare a tutti i nazionali che vogliono. Questo è il modello spagnolo. Da quando recentemente mi sono iscritto a Facebook per mettermi in contatto con altri allevatori, ho scoperto che anche in Italia si stia cercando di dare forma ad una nuova federazione che si sta pubblicizzando attraverso post e video nelle reti sociali. I messaggi che si lanciano inneggiano alla pluralità, alla libertà di scelta, a tutto il positivo che possa nascere da due federazioni che, spinte dallo spirito di competizione, si migliorano reciprocamente. Sarebbe veramente così? La mia preoccupazione è che nelle parole di chi sostiene la nuova federazione ho la sensazione di leggere malcontento verso la FOI e che questo sia il movente unico della nascita del nuovo movimento. Sono convinto che tra i motori della nuova federazione ci siano allevatori, giudici, forse ex cariche FOI di grande peso, sono convinto che il capitale umano che dà forza a questo movimento annoveri gente brillante e d’iniziativa, quello che mi preoccupa sono due cose: l’antagonismo di fondo (e non la competizione sana) che percepisco ed il rischio di arrivare ad un modello spagnolo in cui a perderci, a mio vedere, sarebbe il prestigio delle nostre mostre ornitologiche. Davanti alla possibilità di un futuro multi federale, le posizioni delle due parti sono da subito contrapposte: la FOI serra i ranghi in una strategia conservativa per difendere i propri confini e proteggere la sua posizione di unica istituzione ornitologica in Italia, basandosi sui vigenti regolamenti che non prevedono la possibilità di associarsi contemporaneamente a più federazioni; la federazione emergente gioca la sola carta possibile dell’immagine di un’entità pioniera dell’apertura al mondo e disponibile ad accogliere a braccia aperte chiunque e senza condizioni. Dal mio punto di vista di allevatore estraneo alla vita politica federale e non avendo alcun interesse a difendere le ragioni di nessuno, immaginando nel contesto attuale uno scenario di importante migrazione di soci da una parte all’altra, a lungo termine e con questo conflitto di fondo, anche in Italia ci ritroveremmo come la Spagna in una situazione di divisione interna del mondo ornitologico, con concorsi dal prestigio dimezzato ed allevatori divisi fra le due fazioni. D’altro canto, se la politica ornitologica spagnola non riesce ad organizzare un unico campionato nazionale, non vedo perché ci debba riuscire quella italiana in cui le divergenze sono più che evidenti anche ad un allevatore amatoriale come me. Che abbiamo di diverso rispetto ai nostri cugini spagnoli? Avere un allevamento che permetta di poter competere ad alti livelli ogni anno, non è alla portata di tutti: spesso manca il tempo, manca lo spazio, a volte mancano le risorse economiche. Dobbiamo ammettere che per queste ragioni il nostro hobby non aiuta la proliferazione

di giovani rincalzi e non dobbiamo dimenticare l’attuale momento storico in cui l’imperversante ambientalismo improvvisato sta danneggiando gli amanti degli animali domestici. Se a tutto questo sommiamo che la stessa ornitologia si vuole spaccare dall’interno, dovremo rassegnarci ad accettare che il duro lavoro dell’allevatore, col tempo, nemmeno verrà più premiato con titoli dal valore oggettivamente indiscusso. Come italiani abbiamo sempre la tendenza a pensare che “fuori sia meglio”, che “se lo fanno lì e funziona, possiamo farlo anche noi”. In questo caso vi assicuro che non è così, il modello italiano mono federale è una grande opportunità di forza comparato al modello spagnolo. Accusare la FOI di monopolio e non accettare che in una federazione così grande sia impossibile mettere tutti d’accordo è una mancanza di maturità da parte nostra, reagire con una separazione unilaterale in questo caso non porterebbe a nulla di positivo per le nostre competizioni. A mio vedere, mantenere la coesione dell’attuale modello italiano è la scelta giusta per cercare assieme i punti di miglioramento ed andare avanti grazie alla grande esperienza accumulata nel tempo. Tra molti anni, senza un’inversione di tendenza saremo molti meno. Oggi, per arginare gli scenari pessimistici che ipotizziamo per il futuro, è quanto mai indispensabile restare uniti per poter affrontare tutte le sfide che ci attendono come allevatori e per lavorare all’unico obiettivo che dovremmo avere in mente: mantenere in vita l’ornitologia.

L’autore con la pergamena a ricordo della fondazione dell'AOFM di Reggio Calabria


Allevare al tempo del Coronavirus di P IER F RANCO S PADA

N

All'interno del locale di allevamento

Tutte queste considerazioni noi, allevatori amatori e sportivi della FOI - Federazione Ornicoltori Italiani, da tempo le abbiamo già fatte nel più profondo e convinto credo che possiamo riassumere in due parole: ALLEVARE È PROTEGGERE! Oggi il mutamento di uso del territorio e la distruzione delle foreste hanno portato la popolazione umana a un contatto più stretto con l’insorgenza dei virus. Facilitati dalla distruzione degli ecosistemi e dal riscaldamento globale, dall’inquinamento e dall’aumento della popolazione, i nostri veri nemici hanno nuovi spazi da conquistare. Le periferie degradate e senza verde di tante metropoli tropicali si trasformano nell’habitat ideale per malattie pericolose e se ci mettiamo pure il riscaldamento globale il gioco è fatto; tutti i virus e batteri prediligono il caldo umido favorito dalle nuove condizioni climatiche. Allevare al tempo del Coronavirus ci può davvero aiutare durante questo isolamento. Non potendo uscire, la compagnia dei nostri uccellini diventa sempre più fondamentale anche per il nostro benessere mentale. E poiché il Coronavirus impedisce proprio alle persone di avvicinarsi, restare nei nostri locali di allevamento con i nostri animali ci fa riscoprire protagonisti di questa nostra vita in quarantena. Statistiche alla mano, siamo senza dubbio un popolo amante degli animali. Secondo un’indagine del Censis gli animali domestici nelle nostre case sono tantissimi, circa 32 milioni, e in Italia ci sarebbero oltre 12 milioni di uccelli ornamentali.

Lettere in Redazione

on ci si rende conto di quanto sia bella la normalità fino a quando viene sconvolta o ne siamo privati. Sono giorni difficili per ognuno di noi, per il nostro bel Paese, per il mondo intero. L’umanità si trova ad affrontare un nemico invisibile, spietato e una situazione nuova e inaspettata. Inaspettata forse non tanto, perché da tempo molti scienziati e studiosi affermano che per tutelare la salute umana dobbiamo conservare la biodiversità. Esiste un legame strettissimo tra le malattie che stanno terrorizzando il pianeta e le dimensioni epocali determinate dalle modifiche che l’uomo impone alla natura. Molte delle malattie come Ebola, Aids, Sars, la più nota a tutti noi appassionati ornicoltori col nome di “Influenza aviaria” e non ultimo il nuovo Coronavirus (Covid 19) non sono catastrofi del tutto casuali, ma possono essere la conseguenza indiretta del nostro impatto sugli ecosistemi naturali. I Coronavirus sono una vasta famiglia di virus diffusi in molte specie animali, inclusi gli uccelli con cui spesso convivono in equilibrio. La comparsa di nuovi virus come il Covid 19, patogeno nell’uomo, che precedentemente ad oggi circolava solo nel mondo animale, è un fenomeno ampiamente conosciuto dagli studiosi come spillover, che in ecologia ed epidemiologia potrebbe tradursi come “tracimazione” ed indica il momento in cui un agente patogeno passa da una specie ospite a un’altra, e si pensa che questo passaggio possa essere anche all’origine del nuovo Coronavirus. Tra tante ipotesi, l’unica certezza del mondo scientifico è che dietro la diffusione di questa patologia si nasconda il commercio legale e illegale di animali selvatici vivi e di loro parti. Si tratta di una zoonosi, cioè di una malattia che si è trasmessa dagli animali all’uomo. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) denuncia al Mondo la conoscenza ad oggi di circa 200 zoonosi, tra le quali anche l’Influenza aviaria. Gli ecosistemi naturali hanno un ruolo fondamentale nel regolare la trasmissione e la diffusione di malattie infettive come le zoonosi. L’impatto dell’uomo sugli ecosistemi naturali ha oggi modificato in modo significativo il 75% dell’ambiente terrestre e messo a rischio circa 1 milione di specie animali e vegetali.

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Il legame con i nostri beniamini è certamente un rapporto di affezione ma anche di assoluta consapevolezza. La loro presenza, infatti, implica responsabilità e costante dedizione da parte nostra. Al di là dei semplici aspetti affettivi, i benefici del rapporto che abbiamo con i nostri beneamati animali sono ormai riconosciuti sia a livello sociale che scientifico: molti studiosi concordano nell’affermare che il supporto sociale sia un fattore importante di benessere sia fisico che psicologico, solitamente soddisfatto dalle interazioni umane. Dagli ultimi studi fatti, pare che questo bisogno possa essere ugualmente appagato anche dai nostri uccellini. Quando ciascuno di noi trascorre del tempo nel proprio locale di allevamento in compagnia dei suoi uccelli, la loro presenza comporta un incremento del livello di neurotrasmettitori quali adrenalina e dopamina, con benefici ritorni sull’umore e sullo stato psicologico. Una condizione di benessere mentale che si riflette anche sul fisico, diminuendo, infatti, la pressione sanguigna e con essa il ritmo cardiaco e respiratorio; a quel punto si verifica una riduzione degli stati d’ansia, di stress e di sindromi depressive. Insomma, avere animali, nel mio caso specifico

canarini, aiuta a combattere lo stress emotivo di questo nostro nuovo quotidiano e ci consente di allontanare, anche solo per un momento, i pensieri negativi e l’angoscia davanti a questa contingenza del Coronavirus. Nonostante il momento sia davvero difficile da affrontare, ciò che conta di più in questi giorni è cercare la serenità interiore, certi che tra un po’ sarà passato, e impegnarci, nel tempo forzato che tutti noi abbiamo in queste settimane, a goderci all’interno del nido delle nostre case i nostri familiari, intenti a fare cose che ci possono dare benessere, come ad esempio chiamare al telefono un amico allevatore: fortuna vuole che questi giorni corrispondono anche al periodo dell’inizio della tanto attesa stagione riproduttiva dei nostri uccelli. Curare in maniera più approfondita il nostro hobby ci renderà più forti, consapevoli di essere stati di grande utilità a noi stessi e agli altri. Proprio con questa convinzione, ho trovato l’entusiasmo di scrivere queste righe per la nostra cara rivista Italia Ornitologica, regalandomi, scrivendo, un piacevole momento di normalità. Concludo questa riflessione pensando ai tanti canarini che nasceranno presto nei nostri allevamenti: la loro nascita, oggi più che mai, sarà la rinascita dopo un momento tanto complicato.

L’allevamento dell’autore

Piccoli preziosi aiutanti




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