Valsugana News n. 1/2021 Febbraio

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Come eravamo di Mario Pola

Caldonazzo e le trippe del castello Caldonazzo è oggi un paese di quasi quattromila abitanti. Da sempre la sua economia si basa prevalentemente sull’agricoltura ma da una trentina d’anni, la vicinanza con la città di Trento, la facilità dei collegamenti con la ferrovia della Valsugana e la strada statale 47, il servizio di autobus, hanno invogliato molti trentini a trasferirsi fra le rive del lago e il monte Rive e la popolazione è quasi raddoppiata. Caldonazzo è oggi una ridente cittadina che ospita pubblici dipendenti, artigiani, albergatori, ristoratori, operai e naturalmente contadini.

P

er uno strano fenomeno di urbanizzazione, sicuramente legato alla nascita di supermercati in periferia, mentre sono cresciuti gli abitanti sono diminuiti alcuni servizi, quali le macellerie, le panetterie e le osterie. Racconta Beppi Toller, storico sindaco di Caldonazzo, nel secondo volume de” I passi ritrovati” edito dal Centro d’Arte La Fonte, che nei bei tempi, quando alle discoteche si preferivano i “filò” nelle stalle, di osterie in paese ce n’erano almeno quindici. Una di queste, fra le più caratteristiche era la trattoria Al Castello nota anche come osteria del Pasqualoto. Un locale modesto in una vecchia casa nella piazza della chiesa sul lato di Corte Trapp e per questo chiamata appunto del Castello. Ma era anche detta del Pasqualoto perché il titolare era Pasquale Curzel, discendente di una famiglia, probabilmente originaria della Germania. Pasquale era rientrato nel 1900 dall’America, aveva rilevato il locale e sposato Tecilla Maria già impiegata come cameriera all’Hotel Caldonazzo, ora Kinderdorf. La coppia aveva avuto undici figli e fra questi Emilio, che con la sorella Pia, ha ereditato l’attività. La trattoria, presente almeno dal sedicesimo secolo, aveva i muri di un bianco polveroso e i tavoli di legno brunito dal tempo e dal vino

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augana

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che in molti casi veniva fatto traboccare dal bicchiere dai grossi pugni picchiati dagli avventori sulle assi per scandire i numeri della Morra. Erano i tempi in cui la chiesa si riempiva ogni domenica ed in occasione di funerali, matrimoni e battesimi e i fedeli dopo le cerimonie si riversavano all’osteria e qui, grazie all’arte dei Pasqualoto, trovavano delle ottime trippe. Tanto rinomate che ai consueti avventori si aggiungevano spesso buongustai provenienti dalla città di Trento e dai paesi vicini. Nessuno è mai riuscito ad emulare le trippe del Pasqualoto, che consistevano in una minestra fatta con le frattaglie, in particolare del vitello, con verdure tra cui sedano e cipolla. Alla conduzione della trattoria, quando morì Pasquale, si dedicarono i figli Elmilio, detto il Milio, e Pia, i quali raccolsero la tradizione e rafforzarono la fama. Quando si chiedeva al buon Emilio e alla sorella Pia di svelare la ricetta ovvero come erano state confezionate le trippe, loro con sorriso quasi ironico, rispondevano che non erano in grado di dare ricette in quanto tutto era stato fatto secondo una vecchia maniera spesso definita “ad occhio”. Certo avevano un gusto prelibato e una consistenza dovuta agli ingredienti impiegati; non erano liquide, ma spesso la quantità di pane

usata, creava della buona minestra una specialità unica. Negli anni Ottanta del Novecento i fratelli Emilio e Pia decisero di andare in pensione e avendo il Milio una sola figlia poco propensa alla cucina e alla professione di oste, chiusero i battenti. Il locale venne affittato ad una parrucchiera ed ancora oggi vi si svolge tale attività. Sta di fatto però che, nonostante sia trascorso del tempo, ancor oggi è rimasto il ricordo di quelle trippe che in nessun altro locale si riesce ad assaporare e l’osteria del Pasqualoto resta nella storia del paese, in quanto locale alla buona, senza grosse pretese, e soprattutto accessibile ai buongustai, desiderosi delle buone trippe.


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